Udienza 8 marzo 1938; Pres. Lavagna, Est. Cantelli, P. M. Santoni (concl. conf.) —Ricc. Biondied altri (Avv. Maffuccini e Pergola; per la parte civile Avv. Persico)Source: Il Foro Italiano, Vol. 63, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1938), pp.189/190-199/200Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23136167 .
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189 GIURISPRUDENZA PENALE 190
cesso colposo, figura di reato che riposa sui medesimi
presupposti di fatto.
Invano perciò, rileva la Corte Suprema, il ricorso rifà
a modo suo tutto il fatto, rivalutandolo in senso contra rio a quello ritenuto dalla sentenza con la deposizione dei testi Santilocchi, Santellini, testi non sfuggiti ma
espressamente tenuti presenti dalla Corte di assise (pa
gina 31). Ed anche quando il ricorrente insiste nella mancata
indagine sull'eccesso colposo nei riguardi di una propor zione tra effetto e difesa non può essere seguito dal Su
premo Collegio, per il semplice rilievo che, quando due
persone mirano (come avverte la sentenza) ad offendersi
reciprocamente, non può parlarsi, in alcuna delle due, di
difesa e conseguentemen'e di eccesso nella reazione di
fensiva, difettando lo stato di necessità di agire contro
il pericolo imminente di una offesa ingiusta. Nè miglior sorte tocca all'ultima censura circa i cri
teri seguiti nella sentenza nello stabilire se vi fosse un
residuo di deturpazione permanente. La sentenza nota che, sebbene la plastica eseguita
avesse raggiunto parzialmente lo scopo di attenuarne
la deformità, che era risultata dall'asportazione di tutta
quanta la punta del naso e di buona porzione del setto
nasale, tuttavia era ancora evidente la deformazione stessa
(per constatazione diretta della Corte di assise) in modo
da doversi questa considerare permanente. Si obbietta nel ricorso, con richiamo di elementi dot
trinali e giurisprudenziali, che la Corte di assise nulla
ha detto sulla relazione che deve intercedere tra lesione
sulla quale s' indaga ed il complesso delle linee armoniche
del viso, che deve risultare deturpato o sfregiato. Questo
Supremo Collegio osserva che la deformazione non è che
l'alterazione della forma degli organi, qualunque la causa,
e, quando questa è delittuosa, come nel caso, deturpa mento e sfregio non possono essere abbinati, come fa il
ricorrente, ma tenuti distinti, La sentenza infatti, con
richiamo al giudizio peritale ed alla propria personale,
ispezione della parte lesa, aveva rilevato che più che di
sfregio si doveva parlare di deturpamento, ed aveva ra
gione. Lo sfregio, che è il caratteristico segno che alcuni
criminali imprimono nel viso della persona, che vogliono offendere per togliere pregio a quel viso, per alterarlo
sensibilmente nella armonia dei lineamenti, agli effet i
penali ha bisogno di una congrua dimostrazione, intesa a
ricercare perchè quel segno in quella parte del viso viola
le linee estetiche ed espressive del volto, non bastando
la convinzione derivata e dalla perizia e dall' ispezione oculare dell'offeso ; ed in questo senso è costante la giu
risprudenza della Corte Suprema. Ma quando il viso, con
tutti i rimedi plastici, non può essere guardato senza una
certa ripugnanza, perchè la scienza e l'arte han potuto
operare e ricostruire soltanto, con quello che restava, la
punta del naso, che non c'era (come non c'era più buona
parte del setto), allora non si versa più nel caso della
semplice violazione dell'armonia dei lineamenti, ma di
mutilazione, più o meno accentuata, di quest'organo pro minente che è al centro del volto umano, ed è sufficiente
la constatazione di quello che manca all' integrità di tale
organo per avvertire che, pur restando nel campo giuri dico della lesione gravissima, si è usciti fuori dell' ipotesi dello sfregio, o, almeno, che questo è di una gravità tale
da generare un deturpamento del volto, rilevabile col
semplice rilievo di quello che al naso manca di essen
ziale.
Per questi motivi, rigetta il ricorso.
CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO. (Seconda seziona penale)
Udienza 26 gennaio 1938 ; Pres. Saltelli, Est. Eoma
no, P. M. Bruno (conci, diff.) — Ric. Massetti (Avv. Bb^sani).
{Sent, denunciata : App. Ancona 4 dicembre 1936)
Dibattimento penale — Rinvio a nuovo ruolo —
Celebrazione nel giorno fissato nella citazione —
Nullità — Omessa deduzione del difensore di uf
ficio — irrilevanza (Cod. proc. pen., art. 185 e 187).
E' nullo il dibattimento celebrato nel giorno fissato nella
citazione, dopo che il Presidente aveva disposto il
rinvio della causa a nuovo ruolo. (1) Nè la nullità può ritenersi sanata per non averla fatta
valere il difensore d'ufficio non avendo questi ele
menti per rilevarla.
La Corte : — ... Considerato che questo motivo è a
ogni altro pregiudiziale e fondamentale e deve essere ac
colto.
Risulta dagli atti il provvedimento con cui il Presi
dente del Tribunale aveva disposto il rinvio della causa a
nuovo ruolo per le ragioni indicate nel motivo e risulta
altresì che, nonostante il provvedimento di rinvio, la causa
ebbe inizio con un difensore di ufficio nel giorno fissato
con la citazione e non veniva rinviata nonostante, du
rante il giudizio, in tal modo iniziatosi, il difensore di
ufficio avesse chiesto al Tribunale il rinvio. Così essendo, non può non ritenersi la dedotta nullità, posto che, per effetto del provvedimento di rinvio della causa, veniva a
mancare la citazione per comparire in giudizio nel giorno
precedentemente stabilito. Nè il fatto che il ditensore di
ufficio non abbia fatto valere la nullità può, nel caso, avere rilevanza al fine di una sanatoria, dacché la man
canza di una citazione a comparire in un determinato
giorno poteva essere accertata dal difensore di fiducia
in base alla copia delle notificazioni all'imputato, quando, come nella fattispecie, dopo il provvedimento del Presi
dente del Tribunale, non vi era in atti la prova che al
provvedimento di rinvio non era stato dato corso, sicché
il difensore di ufficio non aveva ictu oculi elementi per rilevare la nullità.
Ne deriva, in conseguenza dell'accoglimento del ri
corso, che la causa deve essere rinviata e che, a termini
di legge, il Giudice di rinvio deve procedere alla rinnova
zione in toto del giudizio, ritenendolo e decidendolo, quin
di, in merito, inappellabilmente (art. 522, capov. 1°, cod.
penale). Per questi motivi, cassa e rinvia il giudizio inappel
labilmente alla Corte di appello di Bologna.
(1) Come è nullo se celebrato prima dell'ora di compari zione fissata nel decreto di citazione : 19 giugno 1931, Farisano
{Foro it., Eep. 1931, voce Contumacia pen., n. 8); od in giorno diverso da quello fissato nel decreto medesimo : 7 maggio 1934, Fetti {id., Eep. 1934, voce Citazione pen., nn. 4 e 5} ; maggio 1934, Caracciolo (id., Eep. 1935, voce cit., nn. 3-5) ; 23 maggio J.935, Barlucchi (id., Eep. 1936, voce cit., nn, 1 e 2).
CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO. (Turni seziona penai*-)
Udienza 8 marzo 1938; Pres. Lavagna, Est. Cantelli, P. M. Santoni (conci, conf.)
— Ricc. Biondi ed altri
(Aw. Maffuccini e Pergola ; per la parte civile Avv.
Persico).
(,Sent. ed ord. denunciata : App. Firenze 9 settembre
193 7)
Sequestro penale — Sequestro di beni mobili del
l'imputalo — Provvedimento del Presidente della
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191 PARTE SECONDA 192
Corte d'appello — Opposizione alla Corte, non
ricorso in Cassazione (Cod. proc. pen., art. 617, 613 e 631).
Legge — Legge rispetto al tempo Successione di
leggi penali — Legge piti favorevole all'imputato — Si deve avere riguardo al complesso delle
varie disposizioni applicate o applicabili —- Pena
accessoria più favorevole — Condanna passata in giudicato — Prescrizione (Cod. pen., art. 2,
91, 93 e 172; R. D. 28 maggio 1931, n. 601, arti coli 26 e 41).
Amnistia — Applicazione — Ricorso in Cassazione
contro la sentenza — Inammissibilità, (Cod. proo.
pen., art. 591 e 592). Ufficiale pubblico — Appaltatore delle imposte di
consumo — Direttore dell'ufficio -— Sono pub blici ufficiali (Cod. pen., art. 357).
Peculato — Distrazione di somme a profitto altrui — Sussistenza del reato (Cod. pen., art. 314).
Cassazione penale — Peculato — Giudizio circa la
coscienza dell'illeceitA delle distrazioni di somme — Incensurabilità, (Cod pen., art. 314; cod. proc.
pen., art. 524). Peculato — Riscossione delle imposte — Sottrazione
o distrazione delle somme riscosse — Buona fede — Fattispecie (Cod. pen., art. 314).
Imputabilità — Errore sull'interpretazione del co
di ce penale -— [%'on scusa (Cod. pen., art. 47). Tassa sul consumo — Appaltatore dell'esazione
Decadenza — Cauzioni degli abbonati — Depo sito nella Cassa comunale (Reg. 25 febbraio 1924, n. 540, art. 284).
Contro il provvedimento del Presidente della Corte d'ap
pello, che ordina il sequestro conservativo di beni
mobili dell'imputato è a questi conce ~sà l'opposizione avanti la Corte d'appello, e solo contro l'ordinanza
che ha deciso Vopposizione è ammesso il ricorso in
Cassazione. (1) La norma dell'art. 2 cod. pen., giusta la quale, essen
dovi diversità fra la legge dei tempo in cui fu com
messo il reato e le posteriori, debbonsi applicare le
disposizioni più favorevoli all'imputato, non auto
rizza il giudice ad applicare disposizioni frammen tarie delle singole leggi succedutesi nel tempo for mando ima terza legge. (2)
Per stabilire quale delle leggi sia più favorevole, si deve
avere riguardo al complesso delle varie disposizioni
applicate od applicabili al caso specifico e quello ri sultante più favorevole opplicare nella sua inte
rezza. (3) L'art. 26 delle norme per l'attuazione del codice penale
del 1930 deve essere inteso nel senso che se per un
determinato reato il nuovo codice no 'i commina, oltre
alla pena principale, una pena accessoria o ne com
mina una più favorevole, devesi applicare il huovo
codice anche se esiste condanna passata in giudicato anteriormente al 10 luglio 1931.
E non è possibile da esso dedurre che delle pene acces
sorie non si debba tenere conto nelV applicazione delle
disposizioni del codice abrogato sulla prescrizione.
L'imputato non può per nessun motivo impugnare la
sentenza che applica l'amnistia. (4) E' pubblico ufficiale l'appaltatore del dazio e delle im
poste di consumo (5), come anche il direttore dell'uf
ficio. (6)
(1) Sostanzialmente conforme: 24 maggio 1936, Pelle (Foro it., 1936, II, 228, con nota di richiami). Cfr. in dottrina: Tolo mei, Sul sequestro conservativo nel processo penale, in Scuola pos., 1936, II, 346: Pannain, In tema di sequestro conservativo penale, in Riv. pen , 1936, 1191.
(2-3) Giurisprudenza costante. Conforme: 1 dicembre 1933, Lisuzzo (Foro it., 1934, II, 257, con nota di richiami).
(4) Giurisprudenza costante. Conforme : 5 febbraio 1937, Fa nello (Foro it., 1937, II, 244, con nota di richiami). E vedi an che: 23 luglio 1936, Petricca (icZ., id., 11,289, connota dell'Avv. Persico).
Sussiste il peculato, anche se la distrazione delle somme
avvenga a profitto altrui.
E' insindacabile in Cassazione il giudizio del giudice di merito, in tema di peculato, circa la coscienza, da parte dell'imputato, dell'illeceità delle distra
zioni. (7) Tanto se la riscossione delle imposte è gestita dal Co
mune quanto se sia data in appalto, l'esattore non
può distrarre il denaro ricevuto in pagamento di tri
buti, perchè questo, dal momento in cui egli lo riceve,
appartiene alla pubblica amministrazione, e la sot
trazione o distrazione integra il reato di peculato. (8) Non può ritenersi in buona fede chi, per occultare la
distrazione del denaro, non fa figurare nei rendi
conti mensili le riscossioni effettuate e nelle bollette
Viadri, appositamente lasciate in bianco, fa apporre una data falsa.
Non esclude la punibilità l'errore sull'interpretazione del codice penale.
Se è discutibile che l'appaltatore dell' esazione delle im
poste di consumo sia tenuto a depositare nella Cassa
comunale le cauzioni degli abbonati, tale obbligo cer
tam nte egli ha quando sia stato dichiarato decaduto
per inadempimento dei suoi obblighi contrattuali.
La Corte : — La Ditta Comm. Giuseppe Rosa, eser
cente vari appalti per la riscossione prima dei dazi, e poi delle imposte di consumo in vari comuni, con contratti 5
giugno 1924 assunse anche l'appalto del Comune di Casel
lina e Torri, fusosi con quello di Scandicci. Morto, il 4
dicembre, il titolare della ditta, la gestione fu continuata
dalla vedova Margherita Ceccanari e dai figli Valeria in
Nardelli, Bianca, Luigi ed Alessandro, nominandosi que st'ultimo procuratore. Alla direzione dell'ufficio di Casel
lina e Torri fu fin dall'inizio preposto Becherini Rosa
lino. Nell'agosto 1927, il Rosa si associò nella gestione della Ditta Becherini Umberto, padre del Rosalino, no
minandolo procuratore generale, ma nel novembre dello
stesso anno gli revocò la procura ed il 1° aprile 1928 li
cenziò anche il figlio, che sostituì con Biondi Gustavo,
già alle dipendenze della ditta come ispettore dell'Ufficio
di Brindisi. Nella consegna dell'ufficio di Casellina e Torri, fatta da Becherini Rosalino al Biondi, fu constatato un
deficit di cassa di lire 18.604,55, risultante da rimesse
fatte alla ditta per ordine e con autorizzazione del procu ratore generale Becherini Umberto. Fu constatata altresì
la mancanza di depositi cauzionali dei contribuenti ammessi
al pagamento delle imposte in abbonamento per un importo di lire 33.693,60, che risultavano inviate alla ditta.
l'ino alla metà del 1933, essendo a Scandicci Podestà il Colonnello Mazzucchelli e Segretario comunale Petroz
zani Tullio, nulla apparì di irregolare nella gestione Rosa
Biondi. Ma nel novembre di quell'anno, per accertamenti del nuovo Podestà Marchese Antinori e del nuovo Se
gretario Innocenzi Giulio, venne a risultare un arretrato di lire 41.587, al netto dell'aggio per imposte del 1932,
(5) Conforme: 21 maggio 1930, Cilio (boro it., Eep. 1930, voce Ufficiale pubblico, n. 19); — contra: A. Catanzaro, 22 marzo 1930, Castagna (id., id., voce cit., n. 20); T. Catania, 11 marzo 1933, Composto (id., Eep. 1933, voce cit., n. 60); A. Catanzaro, 6 ottobre 1934, Malgeri, e T. Gerace Marina, 7 novembre 1933, Malgeri (id., Eep. 1934, voce cit.. nn. 29 e 30).
(6) Conformi: 5 luglio 1933, Morosini (h'oro it., 1934, 11,84, con nota di richiami) ; T. Trani, 20 dicembre 1933, Terlizzi c. Cogito, T. Nicosia, 10 febbraio 1934, Petrelli (id., Eep. 1934, voce Ufficiale pubblico, nn. 27 e 28) ; A. Caltanissetta, 6 ottobre 1936, Macaluso (id., Eep. 1936, voce cit., n. 9). E' pubblico uf ficiale anche il ricevitore del dazio : C., 26 febbraio 1934, Pal laro (id., Eep. 1934, voce cit., n. 26) ; 21 novembre 1934, Demetz (id., 1935, II, 141, con nota di richiami): A. Milano, 17 marzo 1936, Pighetti (id., Eep. 1936, voce Peculato, n. 12).
(7) Sostanzialmente conformi : 9 novembre 1932, Graziani (Foro it., Eep. 1933, voce Cassazione pen., n. 85); 28marzo 1934, Campiano (id., Eep. 1934, voce cit.. n. 41).
(8) Ed è stato ritenuto il peculato anche nel caso in cui un esattore, gl'incassi fatti per un determinato ente distrae per pa gamenti di tributi da lui dovuti ad altri enti : A. Catanzaro, 18 ottobre 1935, Ferrari (Foro it., Eep 1936, voce Peculato, nu mero 14),
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193 GIURISPRUDENZA PENALE
riscosse fin dai primi mesi del 1933 ed in parte anche
nel 1932. La ditta, diffidata al versamento con minaccia
di decadenza, versò nel dicembre 1933 l'arretrato, ma nel
l'agosto 1934 risultò ancora debitrice di lire 38.935,30
per imposte riscosse nel biennio 1933-34, e nell'ottobre
successivo di altri canoni riscossi per l'ammontare di lire
20.333,85, onde il Podestà propose al Prefetto di pronun ciare la decadenza coll'incameramento della cauzione. Però
anche questa volta la ditta riuscì a pagare e la decadenza
fu evitata.
Senonchè, nei primi del 1935, il Podestà ed il Segre tario comunale accertarono la differenza di data fra pa recchie bollette rilasciate ai contribuenti e le matrici, ed
accertarono altresì che altre bollette, in possesso dei con
tribuenti, erano state staccate da bollettari non depositati al Comune, onde ebbero la certezza che la ditta, per co
prire anteriori distrazioni, tratteneva parte delle riscos
sioni ed i relativi bollettari, facendo risultare dai rendi
conti mensili riscossioni per un importo minore a quello reale.
Denunziati i fatti alla Prefettura, fu ordinata un'in
chiesta che venne eseguita dal Rag. Catani, e fu nomi
nato un sorvegliante per la gestione dell'ufficio in persona
dell'ispettore Spannacini, delle Imposte di Consumo di Fi
renze, il quale accertò altri ammanchi riferentisi all'aprile
1935, per non essere state versate al Comune le imposte, in quel mese riscosse, ed accertò anche la mancanza di
lire 35.658,10, che occorrevano ad integrare l'ammontare
complessivo dei depositi cauzionali versati fino al 1° mag
gio 1935. Il Rosa, diffidato a reintegrare immediatamente
le cauzioni, ed a versare il saldo delle riscossioni del mese
di aprile, rispettivamente entro il 3 ed il 10 maggio, non
ottemperò a tale ingiunzione, sicché il Podestà di Scan
dicci, a 6 maggio stesso, lo dichiarò decaduto dall'appalto con riserva di ogni diritto, azione e ragione da parte del
Comune. A seguito di ciò, il Rosa denunciò al Procura
tore del Re di Firenze il Biondi, per peculato di lire
29.577,95, e per essersi altresì appropriato di due mandati
di lire 2640 ciascuno, emessi dal Comune di Scandicci a
favore della ditta, nonché di altre piccole somme.
Da parte sua la Prefettura fece denunzia dei fatti
accertati. Si procedette pertanto ad ampia istruzione, che
fu estesa al Rosa, accusato dal Biondi di avere cagionato il deficit per le continue richieste di denaro da lui fatte, ed al Becherini, accusato dal Biondi e dal Rosa dell'am
manco del 1928.
Ed altre responsabilità vennero in luce. Fu accertata
la distruzione di alcuni bollettari, che venne attribuita
al Biondi, al Rosa ed al di costui cognato Bardoni Do
menico.
Fu accertato che al Segretario comunale Petrozzani
Tullio fino al 1932 erano state corrisposte lire 1500 an
nue, perchè omettesse di visitare l'ufficio, e si sospettò che tale compenso questi avesse continuato a percepire nel 1933, in cui assunse la carica di vice Podestà. Altri
fatti e responsabilità furono accertati, dei quali si omette
di far cenno, non essendo oggetto del ricorso.
Il Tribunale di Firenze, con sentenza 23 dicembre
1936, dichiarò Becherini Rosalino e Umberto colpevoli di peculato continuato di lire 18.604,55, commesso dall'ago sto al marzo 1928, e di falsità ideologica aggravata e con
tinuata in atti pubblici (rendiconti mensili), e li condannò
ad anni cinque di reclusione ciascuno e a lire 500 di
multa, ed all'interdizione perpetua dai pubblici uffici :
dichiarò Biondi Gustavo colpevole di peculato e falso in
atti pubblici (bollette e matrici, e rendiconti mensili), nonché di truffa in danno di Martelli Francesco ed emis
sione di assegno a vuoto in danno di Arlandi Alfonso, e
lo condannò ad anni sei, mesi nove di reclusione ed a lire
3800 di multa, nonché all'interdizione perpetua dai pub blici uffici. Dichiarò Rosa Alessandro colpevole di pecu lato continuato, conglobando in tale reato il fatto dell'ap
propriazione dei depositi- cauzionali degli abbonati, ascrit
togli come malversazione. Lo dichiarò altresì colpevole di concorso nel falso continuato e nella truffa, commessi
dal Biondi e lo condannò ad anni sei e mesi otto di re
elusions, a lire 3300 di multa, nonché all'interdizione
perpetua dai pubblici uffici. Dichiarò interamente condo
nate, in virtù dei regi decreti l0, gennaio 1930, 4 novem bre 1932, e 25 settembre 1934, le pene inflitte a Beche rini Rosalino, e Umberto. Assolse per insufficienza di prove il Biondi ed il Rosa dalle imputazioni di falso e di corru zione attiva in danno del Petrozzani, e questi dall'imputa zione di corruzione passiva.
Avverso detta sentenza proposero appello tutti gli im
putati. Appellò anche il Procuratore del Re per l'elimi nazione della cicostanza della continuazione della truffa, in danno del Martelli, e per l'assoluzione del Biondi, del
Rosa, e del Petrozzani dall'addebito di corruzione. La Corte di appello di Firenze, con sentenza 9 set
tembre 1937, parzialmente riformando la sentenza appel lata, dichiarò estinti per amnistia i reati di truffa, ed emissione di assegno a vuoto, ascritti al Biondi ed il primo anche al Rosa, e pertanto determinò in anni sei la reclu sione ed in lire 2500 la multa, per il Rosa, ed in anni sei e mesi uno la reclusione ed in lire 2500 la multa, per il Biondi, dichiarando condonati per il regio decreto 15 febbraio 1937 due anni della reclusione e l'intera multa
per entrambi. Dichiarò che il falso ascritto ai Becherini, anziché il delitto di cui all'art. 475 cod. pen., costituiva
quello dell'art. 480, e dichiarò il reato estinto per amni
stia, riducendo pertanto la pena, d'altronde interamente
condonata, ad anni tre e mesi sei di reclusione e lire 500 di multa ciascuno. Confermò nel resto la sentenza appel lata e condannò gli appellati alle spese ed agli onorari
verso il Comune di Scandicci costituito parte civile.
Contro detta sentenza hanno proposto ricorso per cassa
zione il Biondi, il Rosa, il Petrozzani, ed i due Becherini.
Il Petrozzani non ha presentato i motivi dell'impugna zione.
Il Biondi ha dedotto: 1° Erronea applicazione della legge. Mancano gli
elementi subbiettivi ed obbiettivi del peculato. Manca il
dolo, e per quanto concerne il ricorrente, la stessa mate
rialità della distrazione. Egli era il direttore di una suc
cursale dell'azienda Rosa, e non ha fatto che rimettere
alla Casa centrale i fondi che questa gli chiedeva. Se il
Rosa non teneva in cassa i valori equivalenti, sua è la re
sponsabilità, non del ricorrente, che non mancò di fare
ciò che era nelle sue possibilità di subalterno, avendo con
pressanti lettere invitato il Rosa di reintegrare le somme
rimessegli Il Rosa ha dedotto come motivo principale :
Erronea applicazione degli art. 314 e 315 cod. pen. e
violazione dell'art. 47 stesso codice, in relazione alle norme
del regolamento generale daziario 25 febbraio 1924, n. 540, e specialmente a quelle contenute negli art. 284, 337, 342,
346, e 350. Motivazione difettosa e contradittoria. Il ri
corrente, nel consentire a tener sospese alcune quote di
canone di imposte, già riscosse e dovute al Comune, per far fronte al deficit dovuto agli ammanchi Becherini,
Duranti, e Biondi, era nell'àmbito di applicazione delle
norme contrattuali e di quelle della legge civile, perfet tamente applicabili, e di fatto applicate nella specie. La
Corte ha confuso le norme che disciplinano le gestioni daziarie direttamente tenute dai Comuni, regolate dagli art. da 226 a 302 del reg. 25 febbraio 1924, n. 540, con
quelle delle gestioni d'appalto, disciplinate dagli art. da
303 a 350 dello stesso regolamento. L'art. 284 da essa
invocato per le cauzioni prestate dagli esercenti abbonati
alle imposte, riguarda i gestori comunali che sono senza
dubbio dei depositari del denaro riscosso, e riguardo ai quali la legge esige il versamento delle cauzioni nella cassa del
Comune. Identica disposizione non esiste per le gestioni di appalto, nelle quali l'esattore è debitore di quantità e
non di specie, onde, confondendosi gli introiti della ge stione col suo patrimonio, non costituisce peculato un ri
tardato versamento, od un uso temporaneo delle somme
riscosse dai contribuenti. La riprova è che l'appaltatore,
perfino se già decaduto, ove si metta in regola, può es
sere dal Prefetto riabilitato (art. 350 reg. 25 febbraio 1924, n. 540, e 383 reg. 30 aprile 1936, n. 1118), Nel caso
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PARTE SECONDA
concreto poi il Rosa, pel capitolato d'oneri aveva l'obbligo di versare ogni quindici giorni, e a fine mese il venti
quattresimo del prodotto minimo garantito e di presentare
ogni fine mese, al Comune, il resoconto del mese scaduto, oltre l'eventuale eccedenza sul minimo garantito, per ri
tardato versamento del quale nessuna sanzione era commi
nata, mentre il ritardo di oltre tre giorni di un versamento
quindicinale e di oltre dieci giorni nella presentazione del
resoconto mensile, dava luogo alla decadenza. La Corte, senza valutare neppure di sfuggita dette norme, a,ferma
che la mora nulla ha che fare con l'uso del denaro d'im
poste, uso penalmente vietato, ma non si è domandata
fino a qual punto il Rosa poteva ritenere di assumere
soltanto responsabilità civile e cadere in errore scusabile, a norma dell'art. 47 cod. pen., avvalendosi delle clausole
contrattuali. Di un'altra importante tesi della difesa la
sentenza impugnata non si è occupata. Si era dedotto in
appello che avendo il Rosa sempre eseguito, salvo qualche trascurabile ritardo, i versamenti quindicinali e nei ter
mini assegnatigli, i pagamenti richiestigli con le due dif
fide del Podestà del 1933 e 1934, anche se un uso tem
poraneo vi era stato delle eccedenze, non poteva parlarsi di peculato. Anche su ciò la sentenza tace. La Corte poi addebita il vuoto di cassa di lire 41.115,15, accertato a 1° maggio 1935, oltre che al Biondi, anche al Rosa, af
fermando che questi non ignorava gli illeciti prelevamenti del 1935, perchè in una lettera del 9 aprile detto anno, chiedeva al Biondi di sistemargli una cambiale di lire sei
mila. Ma occorreva dimostrare che il Rosa avesse cono
scenza che una tale richiesta, tenuto conto del movimento
di cassa, non poteva essere consentita dagli introiti della
gestione. Ora dalla perizia Carrer risulta, che il Rosa nel pe
riodo 1928-1935 aveva incassato lire 28.015,27 in meno
degli utili di gestione che gli spettavano : circostanza di
cui la sentenza non ha tenuto alcun conto Il Rosa ha presentato i seguenti altri motivi ag
giunti : 1° Violazione ed erronea applicazione degli art. 314
e 315 cod. pen., in relazione agli art. 222 e 307 reg. gen. daziario 25 febbraio 1924, n. 540. I depositi cauzio nali degli abbonati vanno restituiti alla cessazione del contratto di abbonamento. Ora i contratti della Ditta Rosa con gli esercenti di Scandicci andavano a scadere poster riormente al decreto di decadenza, che ancora non è de
finitivo, pónendo contro di esso un ricorso al Consiglio di Stato, sicché erroneamente la Corte ha ritenuto il ri
corrente inadempiente all'obbligo del versamento dei depo siti cauzionali. Comunque, egli, per tale inadempienza non poteva essere chiamato a rispondere di peculato, es sendo l'importo totale delle cauzioni da lui non versate
coperto interamente dalla sua cauzione, ancora depositata presso il Comune.
2° Altra violazione degli art. 314 e 315 cod. pen., in relazione all'art. 47 stesso codice ed all'art. 85 del t. u. per la finanza locale. La Ditta Rosa, nel 1933 al 1934, fu dichiarata decaduta non ai sensi dell'art. 85 lett. c del citato t. u., cioè per continuate irregolarità o reiterati abusi verificatisi nella gestione, ma per efletto della facoltà, demandata al Podestà dal successivo art. 87, sicché il ricorrente aveva legittimo motivo di ritenere, sia pure er
roneamente, che il ritardo nel versamento dei canoni non costituisse reato.
3° Altra violazione dei medesimi art. 314 e 315 cod. pen., in relazione agli art. 43 e 10 stesso codice, e
475, n. 3, cod. proc. penale. La Corte ha omesso di pren dere in esame varie circostanze dedotte dal ricorrente nel
primo motivo di appello per l'esclusione sia dell'elemento
intenzionale, sia della sua pretesa correità col Biondi. 4° Altra violazione dei medesimi art. 314 e 316 cod.
pen., in relazione all'art. 50 stesso codice. Dagli atti di
causa, risulta in modo inoppugnabile che il ritardo dei versamenti del dippiù incassato oltre il minimo garantito era a piena conoscenza deH'airimiDiHtrazione comunale e da
questa liberamente consentito. Epperò, in applicazione
dell'art. 50 cod. pen., anche qualora esistessero tutti gli estremi del peculato, il ricorrente non sarebbe stato pu nibile
Becherini Rosalino ed Umberto hanno dedotto :
1° Violazione degli art. 4 e 5 delle preleggi in rela
zione con l'art. 91 del codice penale del 1889. La Corte
doveva dichiarare estinto per prescrizione il reato di pe
culato, avvenuto sotto l'impero del cessato codice, giusta il quale il tempo necessario a prescrivere doveva essere de
terminato in base alla pena applicata in concreto. E la
pena applicata ai ricorrenti per il suddetto delitto, essendo
stata di anni tre e mesi sei di reclusione, e lire 500 di
multa per ciascuno, si prescriveva in cinque anni, i quali,
per effetto degli atti interruttivi non potevano essere au
mentati più della metà. E' vero che ai ricorrenti era stata
inflitta anche la interdizione perpetua dai pubblici uffici,
per la cui prescrizione il codice del 1889 stabiliva il ter
mine di dieci anni ; ma avendo il nuovo codice abrogato la norma, secondo cui, per gli effetti di cui si tratta do
vevasi tener conto anche delle pene accessorie, detta pena non ostava alla estinzione del reato, ed erroneamente la Corte la tenne in calcolo nel computo del termine per la prescrizione.
2° Violazione delle stesse disposizioni di legge di cui al mezzo precedente, e particolarmente degli art. 41 e 48 delle disposizioni transitorie e di coordinamento per l'attuazione del nuovo codice. La Corte ha voluto lare
rigorosa applicazione del criterio dell'art. 2 cod. pen., secondo il quale una soltanto (la più favorevo'e) va appli cata delle leggi o corpi di legge, che si sono succedute nel tempo. Doveva però tenere anche presente gli art. 41
e 48 delle disposizioni transitorie e di coordinamento per l'attuazione del nuovo codice penale, particolarmente del l'art. 41 che riguarda la prescrizione, il quale espressa mente dichiara che per quanto riguarda la prescrizione, « quando le disposizioni del codice penale e quelle anteiiori sono diverse, si applicano le disposizioni più favorevoli al reo ». Ed avrebbe dovuto considerare che se tale prin cipio vale per la modificazione di una norma anteriore, a
maggior ragione va applicato quando questa, come nel caso
presente, è stata totalmente abrogata. 3° Violazione dell'art. 152 cod. proc. penale. Il ri
corso della prescrizione non è contestato dalla Corte d merito in rapporto alla pretesa falsità ai ricorrenti. Ma la Corte, in luogo di prendere atto della prescrizione e
dichiararla, ravvisa nella supposta falsità ideologica (ri conosciuta inconsistente alla stregua degli art. 276 del
codice abrogato e 479 del nuovo codice) il difetto di cui
all'art. 480 del codice attuale (falsità in certificato). Tale delitto corrisponde all'art. 290 del codice abrogato, ed è
evidente che nella specie non ricorrono gli estremi del reato ivi contemplato, come non ricorrono quelli dell'ar ticolo 480 del codice in vigore, sicché i ricorrenti dovevano essere assolti perchè il fatto non costituisce reato
5° Violazione degli art. 207 cod. pen. abrogato e 357 e 358 cod. pen. attuale, non potendosi attribuire la
qualità di pubblico ufficiale all'appaltatore daziario con retribuzione ad aggio, e tanto meno ai ricorrenti Beche rini Umberto, e Rosalino, il primo mandatario, ed il se
condo impiegato dell'appaltatore. Il Rosa ha ricorso per cassazione, anche contro la
ordinanza del Presidente della terza sezione della Corte di appello di Firenze del 9 settembre 1937, con la quale ad istanza del Procuratore generale presso la stessa Corte
fu, ai sensi dell'art. 189 cod. pen., disposto il sequestro delle somme disponibili, esistenti presso la Cassa depositi e prestiti a suo nome, per depositi cauzionali e relativi
interessi. . .
Pure inammissibile è il ricorso del Rosa, avverso l'or dinanza di sequestro. Contro il provvedimento del Presi dente della Corte di appello che ordina il sequestro con servativo di beni mobili dell'imputato, è a questi concessa
l'opposizione davanti la Corte di appello. E' contro l'or dinanza con la quale la Corte ha deciso sull'opposizione che il ricorso per Cassazione può essere proposto. A parte
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197 GUURISPKUDENZA PENALE 198
ciò, nessun motivo il ricorrente ha dedotto a sostegno dell'impugnazione, onde avvi un doppio motivo di inam missibilità.
Sul ricorso dei Becherini, il Supremo Collegio osserva che infondata è la doglianza per non avere la Corte di
appello dichiarato prescritto il delitto di peculato conti
nuato, ai ricorrenti contestato. Rettamente invero quel
Collegio ritenne che essendo stato agli imputati, oltre della reclusione e della multa, inflitta altresì l'interdizione
perpetua dai pubblici uffici, il termine per la prescrizione di detto reato, anche per il cessato codice, sotto il cui
impero fu consumato, era di dieci anni ; termine nè al
lora, e neppur oggi decorso, essendo la continuazione ces sata a fine marzo 1928.
Nè è possibile la commista applicazione che i ricor
renti vorrebbero, delle disposizioni in materia di prescri zione, del codice vecchio, e del nuovo.
Questa Suprema Corte, fin dalle prime sentenze emesse
dopo l'entrata in vigore del nuovo codice penale, ha avver tito che la norma dell'art. 2 di detto codice, giusta la
quale, essendovi diversità fra la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori, debbonsi applicare le disposizioni più favorevoli all'imputato, non autorizza il Giudice ad applicare disposizioni frammentarie delle sin
gole leggi succedutesi nel tempo, formando, una terza
legge. Per stabilire quale delle leggi sia più favorevole, de
vesi aver riguardo al complesso delle varie disposizioni ap plicate od applicabili al caso specifico, e quello risultante
più favorevole, applicare nella sua interezza. Ora i ricorrenti, siccome il nuovo codice penale, in
conseguenza del nuovo regime istituito per l'estensione delle pene accessorie, secondo il quale queste non si estin
guono se non con la riabilitazione, non parla all'art. 172, dove sono stabiliti i termini per la prescrizione dei reati, delle pene accessorie, vorrebbero che nel determinare il
tempo per la prescrizione del peculato continuato, loro
ascritto, non si tenesse conto alcuno della interdizione dai pubblici uffici, esclusa dalle previsioni dall'art. 172
testé ricordato, e che la determinazione ne venisse fatta in base alla pena detentiva (tre anni e mesi sei di reclu
sione) e pecuniaria (lire 500 di multa) loro inflitta, giusta l'interpretazione data dalla giurisprudenza all'art. 91 del
codice abrogato, secondo la quale il termine per la pre scrizione del reato va stabilito avendo riguardo alla pena
applicata in concreto e non a quella edittale. Applicando il
quale criterio, essendo dalla consumazione del reato decorsi
più di sette anni e mezzo, termine massimo stabilito dalla
legge (art. 91, n. 4, in correlazione con l'art. 93, capov. Is,
parte seconda, del codice abrogato) detto reato sarebbe pre scritto.
Ma questa commistione di disposizioni del vecchio e
nuovo codice non è lecita, nè tampoco è, come i ricorrenti inesattamente sostengono, consentita dalle norme per l'at tuazione del codice del 1930, da essi invocate.
L'art. 41 del regio decreto 28 maggio 1931, n. 601, non è che l'applicazione alla prescrizione del principio della legge più favorevole con l'aggiunta di alcune dispo sizioni transitorie per l'efficacia degli atti interruttivi
compiuti in base al codice abrogato. L'art. 26 estende le disposizioni del nuovo codice con
cernenti le pene accessorie anche alle condanne divenute
irrevocabili prima dell'attuazione del codice stesso, quando le predette disposizioni siano più favorevoli al condannato.
Tale norma non può essere intesa se non nel senso che
se per un determinato reato il nuovo codice non commina, oltre della pena principale, una pena accessoria o ne com
mina una più favorevole, devesi applicare il nuovo codice
anche se esiste condanna passata in giudicato anterior
mente al 1° luglio 1931. Non è possibile da codesta disposizione dedurre che
delle pene accessorie non debbasi tener conto nell'appli cazione delle disposizioni del codice abrogato sulla pre scrizione. Se ciò il legislatore avesse voluto, l'avrebbe
detto espressamente nello stesso articolo, ovvero all'arti
colo 41, col quale ha regolato gli effetti della legge più favorevole in materia di prescrizione.
Inconsistente è pertanto la proposta censura, avendo la Corte fatta esatta applicazione dei principi in materia di successione di leggi penali e delle disposizioni transi torie che si pretendono violate.
Circa l'altra doglianza degli stessi ricorrenti, per avere la Corte dichiarato che la falsità ideologica loro ascritta rivestiva i caratteri dell'art. 480 del nuovo codice penale, ed applicando tale disposizione come più favorevole, dichia rato estinto il reato per amnistia, osserva che il ricorso è inammissibile, non potendo l'imputato per nessun mo
tivo, giusta la giurisprudenza costante di questa Suprema Corte, impugnare la sentenza che applica l'amnistia.
Relativamente, infine, alla censura per avere i Giudici di merito attribuito al Rosa ed ai ricorrenti la qualità di
pubblici ufficiali, osserva che questa Suprema Corte, an
che sotto l'impero del passato codice, ha proclamato che
la funzione di chi provvede alla riscossione delle imposte è pubblica, e che la natura di tale funzione non muta
secondo che la riscossione avvenga col sistema dell'esa
zione diretta o dell'appalto. In conseguenza, con costante giurisprudenza, ha rite
nuto pubblico ufficiale l'appaltatore del dazio e delle im
poste di consumo, ed anche il direttore dell'ufficio, non
escludendo il rapporto di impiego, intercedente tra questi e l'appaltatore, l'esercizio di una pubblica funzione.
Di codesti precetti ha fatto retta applicazione la sen
tenza impugnata, ritenendo pubblici ufficiali il Rosa, che
era l'appaltatore della riscossione delle imposte di consumo
di Scandicci, il Becherini Umberto, che per parecchi mesi
lo sostituì quale suo mandatario generale, ed il Becherini
Rosalino, per il tempo che fu a capo del servizio. Sic
ché anche questa censura è infondata
Passando al ricorso del Biondi, osserva che inattendi
bile è il primo motivo. Il ricorrente fu chiamato a sosti
tuire Becherini Rosalino nella carica di direttore dell'Esat
toria di Scandicci.
Distraendo somme provenienti dalla riscossione della
imposte, che avrebbero dovuto essere versate al Comune,
egli, quando anche ciò abbia fatto per ordine del Rosa, commise peculato, sussistendo tale reato, come la sentenza
impugnata esattamente considera, anche se la distrazione
avvenga a profitto altrui.
In ordine al dolo, i Giudici di merito hanno ritenuto
che egli avesse coscienza piena della illeceità delle distra
zioni, e che di buona parte delle somme distratte si fosse
appropriato a profitto proprio, non del Rosa. Tale apprez zamento è insindacabile in questa sede
Il ricorso del Biondi pertanto va rigettato. Sui motivi principali ed aggiunti dedotti dal Rosa, il
Supremo Collegio osserva che il ricorrente fu ritenuto
colpevole : a) di avere distratto per usi personali somme
che dall'Esattoria di Scandicci erano state riscosse per
imposte di consumo: somme che solo in parte, ed in se
guito alla minaccia di essere dichiarate decadute dall'ap
palto, versò al Comune ; b) di avere altresì distratto de
positi cauzionali ricevuti dagli abbonati ; c) di avere, per occultare le distrazioni di cui alla lettera a) fatto dai
propri dipendenti apporre nelle matrici delle bollette di
riscossioni date diverse da quelle dell'effettuato incasso, e presentato al Comune rendiconti mensili con dati falsi.
Col motivo principale e col motivo secondo, terzo e
quarto della seconda serie di motivi aggiunti, il Rosa
si duole di essersi qualificati peculato i due ritardati ver
samenti nei quali, a causa delle malefatte dei suoi dipen
denti, Becherini, Durante e Biondi, egli incorse negli anni 1933 e 1934, senza considerare che trattavasi di
gestione in appalto, e che i versamenti furono eseguiti nel termine di mora, accordatogli dal Comune.
In verità, in passato, molto si discusse se l'appalta tore del dazio consumo fosse verso la pubblica ammini
strazione debitore di specie o di quantità, e conseguente mente se commettesse peculato usando transitoriamente
delle somme riscosse dai contribuenti. Ma questa Suprema
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Ì99 PARTE SECONDA 200
Corte con costante giurisprudenza, anche vigente il codice
del 1889, affermò che, sia la riscossione delle imposte
gestite direttamente dal Comune, sia data in appalto, non
possa l'esattore distrarre il denaro ricevuto in pagamento di tributi, perchè questo, dal momento in cui egli lo ri
ceve, appartiene alla pubblica amministrazione, e la sot
trazione e distrazione integra il reato di peculato. Rettamente pertanto la sentenza impugnata ha ritenuto
che le disposizioni del regolamento sul dazio consumo, e
dell'art. 10 del capitolato d'oneri, dettate pel caso di mora
in c.orrelazione del principio che l'esattore risponde del
pagamento del minimo garantito anche se non riscosso, non siano applicabili quando l'esattore ha fatto uso per
bisogni personali, sia pure temporaneamente e col propo sito di rimetterle in cassa appena possibile, di somme ri
scosse dai contribuenti, essendo tale uso vietato dalla
legge penale. Nè regge il rimprovero, mosso a detta sentenza, per
non avere esaminato, la responsabilità penale del ricor
rente anche dal punto di vista dell'elemento subbiettivo.
Si dice che, anche avuto riguardo al comportamento nei suoi confronti del Comune, il Rosa poteva giustamente
ritenere, ritardando i versamenti, di assumere soltanto
responsabilità civile, e non penale, e che il suo errore sia
scusabile a norma dell'art. 47 cod. penale. Ma i Giudici di merito hanno escluso la buona fede
del ricorrente, esattamente considerando che non può ri'
tenersi in buona fede chi per occultare la distrazione del
denaro, non fa figurare nei rendiconti mensili le riscossioni
effettuate, e nelle bollette madri, appositamente lasciate in bianco, fa apporre una data falsa.
Assurdo è poi nella specie parlare di errore scusabile. Esclude la punibilità l'errore su legge diversa dalla
penale, mentre nella specie l'errore, sarebbe, se mai, ca duto sull'interpretazione del codice penale
Col motivo principale e col primo della seconda serie di motivi aggiunti, il ricorrente sostiene che l'obbligo del versamento nella Cassa comunale delle cauzioni prestate dagli abbonati all'imposta di consumo, contenuto nell'ar ticolo 284 del regolamento 25 febbraio 1924, n. 540, ri
guarda gli esattori che gestiscono per conto del Comune l'azienda delle imposte di consumo, direttamente da que sto esercitata, non gli appaltatori, onde erroneamente egli è stato ritenuto colpevole di peculato per non essere stato in grado, dopo che fu dichiarato decaduto dall'appalto, di versare i depositi cauzionali, non avendo tale obbligo nep pure allora, perchè gli abbonamenti non erano ancora sca duti. E peraltro la pronunciata decadenza non è tuttora
definitiva, pendendo contro il decreto del Prefetto ricorso al Consiglio di Stato, e vi è comunque la sua cauzione che copre i depositi degli abbonati, ancora non restituiti.
Ora, se può essere discutibile se l'appaltatore sia du rante l'appalto tenuto a depositare nella Cassa comunale le cauzioni degli abbonati, dato che l'art. 284 è compreso nel caso « riscossioni dirette dei Comuni », non vi ha dub bio che tale obbligo egli abbia quando sia stato dichiarato decaduto per inadempimento dei suoi obblighi contrattuali.
Il Rosa, pertanto, dopo la dichiarazione di decadenza, avrebbe dovuto versare al Comune le somme ricevute da
gli abbonati, per depositi cauzionali. La pendenza del ri corso contro il decreto con cui questa era stata pronunziata, non lo esonera da tale obbligo, come non lo esonerava la cauzione da lui prestata, che doveva garantire tutti gli obblighi da lui contratti e non soltanto le cauzioni.
E poiché risulta dalla sentenza impugnata che le pre dette somme erano state da lui distratte, bene è stato ri tenuto anche per tale fatto colpevole di peculato
Tutti i ricorsi, pertanto, meno quello del Petrozzani, che devesi dichiarare inammissibile, vanno rigettati con la condanna dei ricorrenti in solido alle spese del proce dimento ed alla sanzione penale di cui all'art. 549 cod.
proc. penale. Per questi motivi, dichiara inammissibile il ricorso di
Petrozzani Tullio, e rigetta quelli di Biondi Gustavo, Rosa Alessandro, Becherini Rosalino, e Umberto, avverso
la sentenza della Corte di appello di Firenze, sezione fe
riale, del 9 settembre 1937 ; dichiara inammissibile il ri
corso del Rosa, avverso la ordinanza 9 settembre 1937
del Presidente della terza sezione della Corte di appello
suddetta, con la quale fu disposto il sequestro conserva
tivo delle somme esistenti per conto del ricorrente presso la Cassa depositi e prestiti, ecc.
RIVISTA DI GIURISPRUDENZA PENALE
Sentenza penale — Mancanza «li enunciazione del
fatto — Mancanza di motivazione — Nullità
(Cod. proc. pen., art. 474 e 475).
E' nulla la sentenza nella quale manchi la enuncia
zione del fatto e la motivazione sia costituita da una for
mula del tutto generica applicabile ad un'infinità di casi. (1)
Corte di Cassazione del Regno, terza sezione penale, 4
gennaio 1938; Pres. De Ficchy, Est. Carini, P. M. Tan
credi (conci, conf.) — Ric. Perego (Avv. Escobedo).
«
(Sent, denunciata : Pret. Milano 19 maggio 1937)
Difesa legittima ed eccesso di difesa — Errore
nella valutazione della necessità -— Reato col
poso (Cod. pen., art. 55, 582, 585 e 590).
L'errore nella valutazione della necessità di difendersi
reride colposa l'azione e quando il fatto è preveduto dalla
legge come reato colposo, devono applicarsi le disposizioni concernenti i reati colposi. (2)
Corte di Cassazione del Regno, seconda sezione penale, 1° aprile 1938 ; Pres. Gifuni, Est. Halasz, P. M. Tan
credi (conci, conf.) -— Ric. Melzi (Avv. Persico).
(Sent, denunciata : Trib. Milano 28 giugno 1937)
(1) Ofr. : 16 luglio 1937, Èlici (retro, col. 12, con nota di ri chiami).
L'attuale sentenza osserva : « . . . Manca nella sentenza la enunciazione del fatto.
« In essa infatti si dice solamente essere il Perego impu tato di - esercizio abusivo della sua professione di avvocato», ma nè nel capo di imputazione nè nel corpo della sentenza si indicano quali siano in concreto i fatti commessi dal Perego costituenti esercizio abusivo della professione.
« Manca altresì la motivazione, non potendo soddisfare al voto della legge la formula, del tutto generica ed applicabile ad una infinita di casi, essere il fatto (che non si sa qual'è) provato dalla denuncia della parte lesa e dalla lettura dei do cumenti allegati ».
(2)Conforme: 15 gennaio 1982, La Rocca (Foro il.. 1932, II, 153, con nota di richiami).
L'attuale sentenza osserva : « ... Ricorre per cassazione l'im
putato, deducendo, tra l'altro, l'improcedibilità dell'azione per mancanza di querela.
■ Il motivo devesi riconoscere che ha fondamento. • L'errore nella valutazione della necessità rende colposa
l'azione, e, quando il fatto è preveduto dalla legge come reato colposo, devono applicarsi le disposizioni concernenti i reati colposi. Nella specie, la malattia derivata alla persona offesa dalle lesioni subite, era guarita in trenta giorni, quindi si versa nell'ipotesi di cui all'ultima parte dell'art. 590 cod. penale.
« E poiché la condizione della punibilità manca, non avendo la parte lesa sporto querela, l'impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio ».
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