Udienza del 21 maggio 1879, Pres. Montagnini, Est....., P. M. Gambara (concl. conf.) —Ric. DellaCasaSource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.333/334-335/336Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084817 .
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333 GIURISPRUDENZA PENALE 334
citazione dell'appellante perl' udienza del 15 aprile 1879,
destinata per la discussione dell'appello; eia citazione
a comparire fu notificata il 24 marzo 1879 al Caliari
in persona propria;
« Attesoché nel frattempo, ossia il 5 aprile suddetto,
il Caliari venisse per altro furto arrestato, e dal car
cere di Verona,"ov'era detenuto, non fosse quindi, a
norma dell'art. 411 del Cod. di proc. pen., tradotto in
quello di Venezia; e nonostante l'impossibilità che lo
appellante potesse esser presente, perchè era detenuto,
tuttavia la Corte nel giorno stabilito per la discussione
procedette in sua contumacia e rigettò l'appello; « Attesoché il condannato abbia fatto decorrere il
tempo utile senza produrre ricorso per annullamento; « Attesoché sia manifesta la violazione della legge. « La presenza dell' imputato al dibattimento è con
dizione indispensabile dell'integrità e legittimità del
giudizio penale e parte sostanziale del diritto della di
fesa, neque enirn inaudita causa quemquam damnari
aequitatii ratio patitur. L. 1 Dig., de req. vel absen.
damnandis
« È bensì autorizzato il procedimento contumaciale
nei casi e nelle forme indicate dagli articoli 279, 347,
348, 388 proc. pen.; e nei casi previsti dagli articoli
629 e 630 dello stesso Cod. di proc. pen. si può pure
senza la presenza dell' imputato, procedere oltre al di
battimento; ma fuori di questi casi, il procedimento
senza l'intervento personale dell'imputato o del pro
curatore speciale, secondo le distinzioni dell'art. 271
della procedura penale, è radicalmente nullo.
« L'imputato non può dirsi contumace se non sia de
bitamente citato, se sia detenuto, e l'autorità, cui in
combe, non lo faccia accompagnare avanti il giudice,
o se altro ostacolo di forza maggiore gli abbia per av
ventura impedito di presentarsi in giudizio: epperò pro
cedendosi al dibattimento anco in assenza di lui, si com
mette un eccesso di potere e si violano i diritti della
difesa, e le forme sostanziali dell'orale giudizio;
« Per tali motivi, ecc ».
La Corte, per i motivi espressi nella requisitoria del
R. procuratore generale, cassa nello interesse della
legge, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO Udienza del 21 maggio 1879, Pres. Montagnini, Est.,
P. M. Gambara (conci, conf.) — Ric. Delli Casa.
Oltraggio — Presenza ilell'oltrag'g'iato — Apostro
l'azione «liretta (Cod. pen., art. 258).
Sentenza — Motivazione — Esistenza ilei fatto —
Estimazione giuridiea (Cod. pi'OC. peli., art. 323,
n. 3).
Quando le parole ingiuriose siano pronunziate in
presenza elei pubblico uffìziale allo scopo di dileg
giarlo, si ha senz'altro il reato d'oltraggio, quando anche l'ingiurialo non sia stato apostrofato diret
tamente. (1)
Allorché la sentenza abbia esaminato se le parole im
putate fossero oltraggiose, deve ritenersi che im
plicitamente siasi occupata del motivo di appello diretto a sostenere la mancanza di prova di essersi
pronunziate quelle parole. (2)
La Corte, ecc. — (Omissis). Sul secondo mezzo : —
Attesoché, giusta l'art. 258 Cod. pen., già cotanto illu
strato dalla giurisprudenza, basta che le parole oltrag
giose siano proferite in tali circostanze e modi, che si
debbano necessariamente riguardare personalmente ri
volte al pubblico ufficiale, e cosi lo colpiscano in di lui
cospetto, e sia quindi costretto a riceverle e subirle
nell' atto dell'esercizio delle sue funzioni, od a causa
del medesimo, senza che si richieda all' essenza del
reato, come pretenderebbe il ricorrente, che venga il
pubblico ufficiale direttamente apostrofato. Ora la stessa sentenza impugnata pone in sodo che
il ricorrente ebbe a pronunciare le oltraggiose parole in presenza del delegato di pubblica sicurezza, con tono
di voce alta abbastanza da poter essere intesa dalle
persone presenti, collo scopo di dileggiare.
E ne concluse pel concorso di queste circostanze
doversi ritenere l'ingiuria proferita in presenza del
pubblico funzionario, e diretta contro lo stesso, mentre
poi era fuori di questione che si trovava nell'esercizio
delle sue funzioni.
È adunque manifesta l'applicabilità dell'art. 258.
E quindi nemmeno per questa parte la denunciata
sentenza merita censura.
Questo mezzo adunque non ha fondamento (Omissis). Sul quarto mezzo : — Attesoché, per quanto sia vero
che l'impugnata sentenza lasci desiderare una più espli cita motivazione intorno allo specifico motivo d'appello dedotto dalla mancanza di prova che abbia il ricorrente
(1) L'elemento caratteristico del reato di oltraggio e che lo differenzia dalla diffamazione od ingiuria, di cui agli articoli 570, 572, 583 e 585
cod. pen., consiste nell'essere le parole oltraggiose o le imputazioni pronunziate alla presenza deY pubblico funzionario ed a lui dirette
personalmente. Se le parole furono pronunziate contro un pubblico ufficiale assente si ha il reato d'ingiuria e diffamazione, di cui nei ci tati articoli : Cass. Torino, 30 aprile 1866 (Monit. tribMilano, 1866,
pag. 541, e 20 luglio 1870 {Gazi, trib., Genova, XXII, pag. 281); Cas sazione Firenze, 9 novembre 1872 (Annali, 1872, pag. 362). La Cassa zione di Torino con la sentenza 29 gennaio 1875 (Gazz. trib., Genova,
XXVII, pag. 52) decise doversi ritenere il concorso di questo estremo della presenza dell'oltraggiato nel caso in cui le parole oltraggiose siano state proferite in vicinanza della caserma, e mentre ne usciva
l'agente della forza pubblica contro al quale eran dirette. Nella sen tenza che annotiamo non si fa questione della presenza dell'oltrag giato, ma della circostanza di non- essere egli stato apostrofato di
rettamente, e la decisione della suprema Corte ci sembra perfettamente giusta.
(2) Associandoci all'egregio Monitore dei Tribunali di Milano (1879, n. 25, pag. 592), dal quale togliamo il testo della sentenza, ci per mettiamo esprimere i nostri dubbi sull'esattezza del principio ritenuto dalla Cassazione di Torino. L'esser la Corte di mèrito passata alla estimazione giuridica delle parole oltraggiose non pare che possa far ritenere che necessariamente siasi prima occupata (come ne aveva
dovere) dello specifico motivo di appello relativo alla mancanza di
prova. Egli è evidente all'opposto che la Corte, anche decidendo se le parole erano ingiuriose, poteva ciò fare senza occuparsi di esami nare se in realtà le parole stesse furono o no pronunziate. Ed anche ammesso che se ne fosse occupata, non avrebbe dovuto esprimere i motivi pei quali riteneva che furono pronunziate1? Non doveva cioè
ragionare sull'esistenza della prova ?
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PARTE SECONDA
proferito le incriminate parole, ben ponderati però i
termini della medesima si rende palese che implicita
mente ebbe ad occuparsene, ed a ritenerne la sussi
stenza.
E ciò basta per togliere al mezzo ogni importanza.
E per fermo, risoluta la questione preliminare sulla
nullità della citazione, osservava il collegio di secondo
grado che nemmeno quanto al merito era fondato l'ap
pello, e passando così ad apprezzare il valore giuri
dico delle incriminate parole, implicitamente veniva a
rispondere all'obbietto della mancanza della prova delle
medesime.
Non starebbe nel processo logico giuridico del ra
gionamento che avesse avuto a diffondersi in cotesta
indagine d'estimazione, quando non avesse prima ri
conosciuta e ritenuta la materiale esistenza del sog
getto.
Anche questo mezzo perciò non sarebbe rilevante;
Per questi motivi, rigetta il ricorso, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 21 maggio 1879, Pres. Montagnini, Est. Ma
lagoli, P. M. Pozzi (Conci, conf.) — Ric. Pron.
Reato continuato — 4òiu<lizio di fatto (Cod. pen., ar
ticolo 106).
Competenza — Territorio — Dichiarazione ili uf
ficio (Cod. proc. pen., art. 14).
Il decidere se i fatti imputati costituiscano più reati
distinti, ovvero un solo reato continuato, dipende
da un apprezzamento di fatto incensurabile in sede
di Cassazione. (1) Il giudice ha obbligo di elevare d'ufficio la sola in
competenza assoluta, quella cioè per ragione di 'ma
teria, e non anche la incompetenza per territorio. (2)
La Corte, ecc. — Attesoché il decreto di citazione
del 3 gennaio 1879 rilasciato dal pretore di Bricherasio
a carico del ricorrente porta la imputazione nel se
guente tenore:
« Imputato di minaccie nei mesi di febbraio o marzo
e nella primavera ultima scorsa al signor Merlo Giu
seppe Tomaso di questo luogo, dicendo che voleva ca
potarlo e rompergli le gambe, o fargliele rompere, se
per avventura avesse dovuto perdere un suo credito
verso Chiabrando Serafino : minaccie queste state ripe
tute poco dopo in Pinerolo ». Reato previsto dall'ar
ticolo 686, n. 2, Cod. pen.
Attesoché una esposizione di questa natura manife
stamente racchiude due fatti di minaccie verbali, le une
emesse in Bricherasio, e le altre poco dopo in Pinerolo;
le quali ultime, dal momento che indicavano una ripe
tizione delle prime, non avevano d'uopo di maggior
dettaglio, come quelle che, dalla enunciazione abba
stanza ampia delle medesime, ritraevano quanto era
necessario a renderne completa la nozione, a senso del
n. 4 dell'art. 332 del Cod. di proc. pen.
E ad intorbidare cotesto concetto di duplice reato,
non avrebbe' valore l'argomento dedotto dalla espres
sione finale - reato previsto, ecc. - Imperocché trat
tandosi in entrambi i casi di una identica figura di
reato, e quindi dell'applicazione dello stesso testo di
(1) Conforme: Cass. Firenze, 29 maggio 1876 (Foro it., 1876, c. 408).
E quindi la questione sulla continuazions del reato, come questione di
fatto, deve risolversi dai giurati : Cass. Firenze, 21 aprile 1869, ric.
Panzi e Pieri (Annali, 1869, pag. 75) ; nò la questione rimane viziata
perchè dopo essersi domandato se i vari reati furono commessi con
atti esecutivi della .medesima risoluzione criminosa, siasi poi pure
espresso il concetto giuridico del doversi considerare quei reati come
un solo reato continuato ; stessa Corte, 2 marzo 1870, ric. Zecchi (Id.,
1870, pag. 62). (2) La Cass. di Napoli, con sentenza del 10 novembre 1874, ric. Ste
fanelli (Riv. pen., II, pag. 63), ritenne che l'imputato rinviato dalla Sezione di accusa innanzi alla Corte d'assise deve proporre l'eccezione di competenza per ragion di territorio nei cinque giorni dall' interro
gatorio, mentre l'eccezione di competenza per ragion di materia può proporla in qualunque stato della causa. I motivi di questa de cisione si riferiscono più alle tassative disposizioni del nostro cod. di
proc. pen. che al principio astratto e teoretico, dell'essere o no la com
petenza per territorio in materia penale così assoluta e di ordine pub blico come quella per materia. Infatti la suprema Corte osservò che « se non cade dubbio sulla facoltà del condannato dalle Corti di assise a dolersene, quando siasi contravvenuto alle regole di competenza sta bilite dolila legge, giusta l'art. 640, n. 2, sia certo altresì, per le san zioni degli art. 640, n. 5, e 457, che l'imputato inviato dalla Sezione di accusa davanti giudici incompetenti, debba per tal capo impugnarne
il pronunziato nei cinque giorni dallo interrogatorio sotto espressa pena di non esservi più ammesso »; e « che la parvenza di antinomia tra le due disposizioni non può essere eliminata, se non ritenendosi con
templata dall'art. 640 la incompetenza assoluta o per ragion di materia, mentre invece nell'art. 640 è la eccezione presa nel suo più ampio significato ». E la Corte così continua : « vero è che tutte le regole giurisdizionali in materia penale sono d'ordine pubblico; però essendo evidentemente più grave il perturbamento di questo, allorché si violi la competenza per ragion di materia, bene ha la legge statuito che il vizio non rimanga coverto dal silenzio delle parti, e possa nel caso di condanna la incompetenza dedursi nella dimanda di cassazione; e per lo contrario nuoccia il silenzio, quando si tratti d'incompetenza ratio ne loci o personae ».
Quale che sia quindi l'opinione che voglia seguirsi in lege condenda e dirimpetto ai principi del diritto, certo si è che volendo risolvere la
questione di fronte alla legislazione vigente, non si può non tener conto dei motivi speciali risultanti dalle disposizioni degli art. 640 e 460, proc. pen., esaminati dalla suprema Corte di Napoli. Come mai può supporsi che la legge che ci governa abbia considerato la incompe tenza per territorio come di ordine assoluto, e tale da doversi elevare
di ufficio e da potersi dedurre la prima volta in Cassazione, se in ma teria criminale, cioè nella parte più importante dei fatti punibili, espres samente ha considerato quella incompetenza come sanabile col silenzio, e non deducibile dopo il giudizio? Si badi poi che diciamo doversi, cioè esser obbligo di elevare l'incompetenza; poiché quanto al potersi ele
varla, anche nel caso di rinunzia delle parti, è tutt'altra questione, la quale così in Francia come presso di noi è stata risoluta afferma tivamente.
Il Saluto (Commenti, ecc., 2a ediz., voi. 1°, pag. 165 e seg.) e i
signori Borsani e Casorati (Cod. proc. pen. commentato, vol I, §§ 316 e 350) opinano che anche l'incompetenza per ragione di territorio sia assoluta al pari di quella per materia; ma non pare che abbiano te nuto presenti le disposizioni accennate di sopra. Sulla stessa questione non sono concordi in Francia nè la dottrina, nè la giurisprudenza; ed a proposito di quest'ultima basterà riscontrare le contraddittorie sen tenze della Cass. francese citate da Rolland de Villargues (Les Codes criminels, art. 141), e specialmente quelle, in perfetta antitesi tra loro, del 4 novembre 1853 e 3 maggio. 1861 relative alla facoltà di elevare la eccezione per la prima volta in sede di Cassazione.
(Avv. Vincenzo Romano).
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