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PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || Adunanza plenaria; decisione 26 febbraio 1980, n. 7;...

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Adunanza plenaria; decisione 26 febbraio 1980, n. 7; Pres. Levi Sandri, Est. Petriccione; Commissariato del Governo nella Regione Lazio, Pres. Cons. ministri (Avv. dello Stato Siconolfi) c. Giambartolomei (Avv. Sorrentino). Conferma T.A.R. Lazio, Sez. I, 21 dicembre 1977, n. 1064 Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1980), pp. 235/236-237/238 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171159 . Accessed: 28/06/2014 18:47 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.96 on Sat, 28 Jun 2014 18:47:27 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Adunanza plenaria; decisione 26 febbraio 1980, n. 7; Pres. Levi Sandri, Est. Petriccione;Commissariato del Governo nella Regione Lazio, Pres. Cons. ministri (Avv. dello StatoSiconolfi) c. Giambartolomei (Avv. Sorrentino). Conferma T.A.R. Lazio, Sez. I, 21 dicembre1977, n. 1064Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1980),pp. 235/236-237/238Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171159 .

Accessed: 28/06/2014 18:47

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PARTE TERZA

vare in tutto o in parte gli effetti dell'atto comunicato, che è

quanto dire almeno tutti gli atti a destinatario determinato.

È noto invece che la categoria dell'atto recettizio ha assunto

autonomia concettuale e proprio rilievo giuridico appunto per

questa peculiare incorporazione dell'atto nella comunicazione, talora persino materialmente indistinguibili, talché gli effetti si

producono non già dall'atto dopo la comunicazione, ma dall'atto

comunicato che prima non esisteva o non aveva rilevanza giu ridica.

La caratterizzazione giuridica dell'una e dell'altra ipotesi de

riva dalle rispettive conseguenze, che l'ordinamento collega al

l'una o all'altra riguardo alla validità dell'atto costitutivo degli effetti giuridici, oltre che alla sua esistenza. Nella fattispecie

complessa, invero, si hanno atti distinti con autonoma rispet tiva esistenza e con validità senza alcuna reciproca influenza.

Nell'atto recettizio, invece, che è fattispecie unitaria sia pure a

formazione progressiva, l'atto è uno solo svolgentesi in momenti

ed atteggiamenti plurimi, ciascuno dei quali è rilevante sulla sua

validità, cosicché la illegittimità della comunicazione è illegitti mità dell'atto nella sua unitaria interezza.

Se, pertanto, è prescritto che un atto amministrativo, recettizio

per la disciplina che ne risulta dalla legge o per propria intrin

seca natura, sia adottato entro un certo termine, esso deve es

sere non solo emanato entro tale termine, ma anche comunicato, costituendo la tardività della comunicazione vizio di legittimità,

per violazione di legge, dell'intero atto. Nel caso in esame il ca

rattere recettizio del provvedimento di annullamento dei provve dimenti comunali di autorizzazione edilizia deriva sia dal suo

specifico oggetto sia dalla disciplina legislativa che lo riguarda. Un provvedimento del genere, invero, incide intanto nella

sfera giuridica di soggetti privati, limitandone l'esercizio di di

ritti soggettivi che il provvedimento annullato aveva consentito, e quindi la sua concreta operatività immediata è subordinata alla

formale cognizione di esso da parte idi colui che subisce la

restrizione. In casi del genere il carattere recettizio è stato già ammesso dalla giurisprudenza e non si può disconoscere il fon

damento logico di una simile sistemazione concettuale, oltre che

la funzione pratica di essa.

La disciplina desumibile dal quarto e quinto comma dell'art.

27 legge 17 agosto 1942 n. 1150, nel testo sostituito dall'art. 7

legge 6 agosto 1967 n. 765, è del tutto coerente a tale carattere

già nella terminologia adoperata, per la quale il provvedimento è « emesso » e non solamente « adottato », volendosi, sia pure non intenzionalmente (e perciò tanto più significativamente),

configurare una sua esternazione indirizzata. Essa trova poi ri

scontro nell'anticipazione delle conseguenze dell'annullamento ri

guardo all'attività oggetto dell'atto da annullare mercé il prov vedimento cautelare della sospensione dei lavori, il quale, espri mendosi in un ordine di astensione da quell'attività, si profila come un tipico atto recettizio improduttivo del suo effetto tipico, se non percepito dal destinatario. Stabilisce invero la norma in

esame che l'ordine di sospensione cessa di avere efficacia se, entro sei mesi dalla sua notificazione, non sia stato emesso il

decreto di annullamento; ciò vuol dire che, tramutandosi l'effi cacia della sospensione dei lavori nella efficacia del provvedi mento di annullamento dell'autorizzazione degli stessi, senza

soluzioni di continuità, e consistendo l'efficacia della sospensione niente altro che nell'obbligo di astensione dell'attività edilizia

autorizzata, se vi fosse spazio fra provvedimento di annullamento

adottato e sua comunicazione ai destinatari, cui prima esso fosse

ignoto, costoro non potrebbero ritenersi nel tempo intermedio

gravati da tale obbligo e quindi non vi sarebbe l'immediata con

versione dell'una efficacia nell'altra contrariamente alla portata intera della cautela prevista dalla legge. L'esigenza implicita in

una simile disciplina, non contraddetta neppure da eventualità

casuali di non coincidenza della scadenza della sospensione con

quella del termine per l'annullamento, è la contestualità di que st'ultimo con la sua comunicazione entro il termine prescritto, la cui inosservanza in tanto si risolve in vizio della sua legitti

mità, in quanto la comunicazione ne sia elemento o requisito di

esistenza, mentre la stessa inosservanza non avrebbe altre con

seguenze che di lasciare in vita un atto valido definitivamente

senza effetti, ove mai la comunicazione fosse un atto distinto, la

cui invalidità non si riflettesse su quella dell'atto comunicato.

Il provvedimento di annullamento impugnato, in quanto non

comunicato ai destinatari entro il termine prescritto dall'art. 27, 4° comma, legge 17 agosto 1942 n. 1150, modificato dall'art. 7

legge 6 agosto 1967 n. 765, è dunque illegittimo per violazione

di tale norma, ed il ricorso risulta fondato in base alla relativa

censura dedotta col primo motivo, senza necessità di esame delle

altre censure.

Per questi motivi, ecc.

CONSIGLIO DI STATO; Adunanza plenaria; decisione 26 feb braio 1980, n. 7; Pres. Levi Sandri, Est. Petriccione; Commis sariato del Governo nella Regione Lazio, Pres. Cons, ministri

(Avv. dello Stato Siconolfi) c. Giambartolomei (Avv. Sorren

tino). Conferma T.A.R. Lazio, Sez. I, 21 dicembre 1977, n. 1064.

Consiglio di Stato e tribunali amministrativi — Dipendente di ente locale comandato presso la segreteria del tribunale ammini strativo regionale — Indennità di missione — Limiti (Legge 10 febbraio 1953 n. 62, costituzione e funzionamento degli or

gani regionali, art. 65; d. pres. 10 gennaio 1957 n. 3, statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 12; legge 6 di

cembre 1971 n. 1034, istituzione dei tribunali amministrativi re

gionali, art. 18, 53; legge 18 dicembre 1973 n. 836, trattamento

economico di missione e di trasferimento dei dipendenti statali, art. 3).

Spetta l'indennità di missione al dipendente di ente locale co

mandato presso la segreteria di tribunale amministrativo re

gionale, avente sede in un comune diverso da quello del

l'ente di appartenenza, anche se esso vi abbia successivamente

trasferito la propria residenza. (1)

L'Adunanza, ecc. — L'appello dell'avvocatura generale dello

Stato è infondato.

Il dott. Giambarfolomei, impiegato del comune di Palestrina

addetto agli uffici di segreteria del T.A.R. per il Lazio, è tito

lare — contemporaneamente — del diritto patrimoniale a perce pire l'indennità di missione di cui alla legge n. 836/1973 e dello

status di impiegato comandato.

Come ha già chiarito la IV sezione di questo consesso con

la decisone 11 aprile 1978, n. 296 (Foro it., 1978, III, 646), l'art. 53 legge 6 dicembre 1971 n. 1034 ha inteso attribuire a tutti

gli impiegati assegnati al T.A.R. in sede diversa da quella del

l'amministrazione di appartenenza il diritto a conseguire l'in

dennità di missione. Né, come ha ritenuto in un primo tempo il T.A.R. per il Lazio, si tratta di una applicazione cronologica ai sensi dell'art. 12 disp. sulla legge in generale. Si è invece nel

campo di una applicazione diretta del precetto contenuto nel

2° comma dell'art. 53 citato. Una corretta interpretazione di tale

norma, infatti, porta a ritenere che il legislatore ha voluto sta

bilire un trattamento uniforme per tutto il personale di segre teria interessato (salvo la miglior posizione concessa ai segretari generali dei T.A.R. per i primi sei mesi).

L'elemento comune, che è alla base della concessione di un

siffatto ius singulare, è l'anomalia di un rapporto di servizio

prestato presso un ufficio privo di personale proprio, costretto

ad avvalersi di elementi incardinati organicamente in una am

ministrazione che ha la sua sede in luogo diverso dalla sede

del T.A.R.

Né l'istituto è nuovo per il nostro ordinamento. L'art. 65 legge 10 febbraio 1953 n. 62 disciplinava una fattispecie pressoché identica. Nel disporre che le regioni dovevano provvedere alla

prima costituzione dei propri uffici esclusivamente con personale comandato dagli enti locali e dallo Stato, stabiliva che « il co

mando in sede non comporta alcuna indennità ». Per pacifica interpretazione, l'indennità corrisposta è stata quella stabilita

dalla legge sulla indennità di missione, salvo il carattere conti nuativo. Ma esiste ancora un altro precedente legislativo sostan zialmente analogo. L'art. 8 d. 1.1. 7 giugno 1945 n. 320 conce deva una indennità commisurata a quella di missione al personale dello Stato appartenente ai ruoli centrali, quando era destinato in servizio in uffici periferici. Anche tale indennità era conti

nuativa, salvo a ridursi a 2/3 dopo un anno. Di essa rimangono ancora residui nelle leggi in materia di missioni.

Nei tre casi citati la ratio è sempre la medesima: un incen

tivo economico per fare accettare all'impiegato una posizione precaria ed incerta (che può avere anche riflessi indiretti nega tivi sulla sua carriera nel caso di ritorno in servizio nel ruolo

(1) La questione era stata rimessa all'adunanza plenaria da Sez. IV, ord. 11 luglio 1978, n. 711, Foro it., 1979, III, 251, con nota di ri chiami.

In relazione all'indennità di missione al personale distaccato in posizione di comando presso le segreterie dei tribunali amministrativi regionali, nel senso che tale indennità spetta anche dopo i primi sei mesi di missione continuativa nella stessa località, Cons. Stato, Sez. IV, 11 luglio 1978, n. 296, id., 1978, III, 646, con nota di richiami, ai quali adde, sempre nello stesso senso, ma in relazione al soprav venuto art. 1 legge 26 luglio 1978 n. 417, T.A.R. Lazio, Sez. I, 3 set tembre e 10 ottobre 1979, nn. 581 e 755, Trib. amm. reg., 1979, I, 3117 e 3371, nonché T.A.R. Sicilia, Sez. Catania, 3 marzo 1979, n.

26, ibid., 1878.

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

organico di origine) ed una riparazione economica per maggiori

spese e per disagi legalmente presunti. Ma oltre al diritto a percepire l'indennità di missione in base

all'art. 53 legge n. 1034/1971, il Giambartolomei ha anche lo

status di impiegato comunale, comandato a prestar servizio

presso una amministrazione dello Stato (art. 10, penultimo com

ma). Questo status, che nella fattispecie ha profili peculiari con

sistenti nella durata indeterminata e nell'esclusione di una espres sione di volontà da parte dell'interessato per il suo conferimento,

comporta tra l'altro che il Giambartolomei non ha altra sede di

servizio che quella di destinazione, cioè Roma (circ. della presi denza del Consiglio dei ministri n. 82638 del 22 dicembre 1973).

In conseguenza, in applicazione di un principio generale del

pubblico impiego chiaramente enunciato nell'art. 12 t. u. 10 gen naio 1957 n. 3, ir predetto dipendente comunale ha anche l'ob

bligo di « risiedere nel luogo ove ha sede l'ufficio cui è desti

nato ».

Il termine risiedere è usato nel citato art. 12 nel suo signi ficato tecnico-giuridico di « avere la dimora abituale » (art. 43

cod. civile). Ha, cioè, il medesimo significato della espressione usata nell'art. 3 legge n. 836/1973, quando stabilisce che l'in

dennità non è dovuta per le missioni compiute « nelle località

di abituale dimora ».

È, quindi, evidente che non possono trovare applicazione con

temporaneamente l'art. 53 legge n. 1034/1971 (che concede il

diritto all'indennità di missione), l'art. 12 t. u. n. 3/1957 (che

impone al dipendente la dimora abituale in Roma) e l'art. 3

legge 836/1973 (che esclude l'indennità per le missioni nella lo

calità di abituale dimora). Nel contrasto, quest'ultima norma deve cedere, poiché vani

ficherebbe alla radice il diritto all'indennità concessa. Essa, è,

quindi, inapplicabile. Per completezza è bene chiarire che è del tutto ininfluente

sulla questione in esame la residenza anagrafica, sulla quale si

sofferma l'amministrazione.

In relazione al disposto dell'art. 2 legge n. 1228/1954 e del

l'art. 11 d. pres. n. 136/1958, chiunque fissa la dimora abituale

in un comune è tenuto a richiedere la relativa iscrizione anagra fica entro venti giorni (salvo le eccezioni stabilite).

Ma l'adempimento — o l'inadempimento — di questo ob

bligo amministrativo non ha alcuna rilevanza, sia ai fini del do

vere sostanziale di tutti gli impiegati addetti alla segreteria del

T.A.R. di risiedere in Roma, sia ai fini dell'applicazione del

l'art. 3 legge n. 836/1.973. Come si è già detto, queste norme tengono solo conto dell'ef

fettività della dimora abituale, secondo concezioni simili a quel le analiticamente approfondite dalla dottrina e dalla giurispru denza in occasione delle controversie per un tributo comunale

oggi abrogato: l'imposta di famiglia. Per le ragioni suesposte l'appello dell'avvocatura generale deve

essere respinto e respinta si deve intendere la domanda di so

spensione della sentenza appellata. Sussistono, però, giuste ra

gioni per disporre l'integrale compensazione delle spese ed ono

rari di giudizio. Per questi motivi, ecc.

CONSIGLIO DI STATO; Sezione VI; decisione 12 febbraio

1980, n. 159; Pres. Laschena, Est. Noccelli; Comune di Ter

racina (Aw. Colacino) c. Soc. Stemar {Aw. M. Nigro, Ra

naldi, Sciacca). Conferma T.A.R. Lazio, Sez. II, 23 maggio 1979, n. 351.

Edilizia e urbanistica — Cava — Difetto di concessione di costru

zione — Provvedimenti cautelativi e repressivi — Illegittimità

(Legge 28 gennaio 1977 n. 10, norme per la edificabilità dei suo

li, art. 1, 4, 13, 15; d. pres. 24 luglio 1977 n. 616, attuazione

della delega di cui all'art. 1 legge 22 luglio 1975 n. 382, art.

62, 80).

Sono illegittimi i provvedimenti cautelativi e repressivi nei con

fronti dell'attività di coltivazione di una cava, adottati dal sin

daco sul presupposto che per l'esercizio di tale attività sia ne

cessaria la concessione di costruzione (nella motivazione è pre cisato che è la legislazione regionale, per il Lazio ancora non

emanata, che deve disciplinare l'attività estrattiva per armoniz

zarla con le esigenze urbanistiche). (1)

(1) La soluzione accolta dal Consiglio di Stato, sulla base della normativa della legge 28 gennaio 1977 n. 10, è quella che era

dominante nel diritto pre-vigente: v. la nota di Montanari alla sentenza del T.A.R. Emilia-Romagna 27 novembre 1975, n. 554, Foro

La Sezione, ecc. — Diritto — La sezione è chiamata a pro nunciarsi sul complesso problema se le attività cosiddette estrat

tive cadano o meno sotto la disciplina urbanistica e se, quindi, sia o meno necessaria per l'apertura e coltivazione di cava (per tale sola attività, con esclusione degli impianti ed altre opere edi

lizie in senso proprio) la concessione prevista dall'art. 1 legge n. 10/77.

Prima dell'entrata in vigore di quest'ultima legge la questione era stata risolta in senso prevalentemente negativo dalla giurispru denza (cfr., ad es., Sez. V 22 giugno 1964, n. 574, Foro it., Rep. 1964, voce Piano regolatore, nn. 438, 453), soprattutto dopo la in

terpretazione riduttiva che della materia « urbanistica » aveva da

to la Corte costtiuzionale con la sentenza n. 141 del 1972 (id.,

1972, I, 3348) (si vedano: Sez. V 17 aprile 1973, n. 406, id.,

Rep. 1973, voce Edilizia e urbanistica, n. 312; T.A.R. Toscana 14

novembre 1974, n. 149, id., Rep. 1975, voce Miniera, n. 20; 23

aprile 1975, n. 134; T.A.R. Piemonte 10 dicembre 1975, n. 356,

id., Rep. 1976, voce cit., n. 11; T.A.R. Marche 20 maggio 1975, n. 50, id., Rep. 1975, voce cit., n. 22; 7 novembre 1975, n. 135,

id., Rep. 1976, voce Edilizia e urbanistica, nn. 333, 574; T.A.R.

Veneto 10 febbraio 1976, n. 108, id., Rep. 1976, voci Edilizia e

urbanistica, n. 113, Miniera, n. 10, Veneto, n. 13; la decisione

Sez. VI 29 aprile 1975, n. 135, id., 1976, I, 57, pur riconoscendo

che il giudizio sulla compatibilità delle attività estrattive con gli strumenti urbanistici spettasse al comune, limitò tuttavia la por tata di questa affermazione alle « opere » eventualmente necessa

rie per l'esercizio dell'impresa mineraria). L'unico precedente con

trario, costituito da T.A.R. Emilia-Romagna 27 novembre 1975, n.

554 (id., 1977, III, 107), è stato tuttavia seguito da numerose pro nunce successivamente all'entrata in vigore della legge n. 10/77

(T.A.R. Toscana 22 marzo 1978, n. 105; T.A.R. Veneto 24 otto

bre 1978, n. 879; 28 febbraio 1979, n. 1; T.A.R. Lombardia, Sez.

Brescia, 9 febbraio 1979, nn. 54 e 55, id., 1979, III, 535; Pret.

Pavia 16 giugno 1978; Pret. Salò 6 marzo 1979, id., 1979, II, 463).

I) - La tesi prevalentemente seguita dalla più recente giurispru denza degli organi di primo grado della giurisdizione ordinaria e

amministrativa si basa essenzialmente sulla portata asseritamente

innovativa dela legge n. 10/77, che avrebbe concluso un lungo

processo evolutivo della legislazione tendente a realizzare una

graduale « socializzazione della proprietà delle aree » e quindi a comporre, in una visione pianificata e unitaria dell'uso di

tutte le risorse del territorio, la molteplicità degli interessi ine

renti alle esigenze di vita delle comunità di base.

La tesi, per quanto suggestiva e confortata da argomenti anche

d'ordine testuale tutt'altro che irrilevanti, non può tuttavia con

dividersi.

II) - Si può o meno convenire che i postulati sociologici e po litici che sottendono a questa visione, per cosi' dire, integrata e

globale (altri usa il termine di panurbanesimo) della molteplicità di interessi inerenti alla gestione e al governo del territorio; è an

che probabile che vi sia uno sviluppo, nella concezione socio

economica dell'urbs (la città-regione, come da taluno è stata de

finita), tendente a focalizzare nella sede cittadina il centro pro

pulsore di tutte le attività esplicantisi nell'ambito territoriale del

la regione, e quindi a individuarvi anche il luogo dove si com

pongono, armonizzandosi, la globalità degli interessi e dei biso

it„ 1977, III, 107, che, però, con presa di posizione isolata, già al

lora aveva richiesto la licenza edilizia per la coltivazione di una cava, in base ad una disposizione di un regolamento edilizio, considerata

meramente esplicativa di quanto già desumibile dalla legislazione ur

banistica. Comunque, nella nota suddetta era richiamata Cons. Stato, Sez. V, 29 aprile 1975, n. 135, id., 1976, III, 57, con nota di Pia, un obiter dictum della cui motivazione avrebbe già adombrato la so

luzione della necessità della licenza edilizia. Soluzione che è stata generalmente accolta dai tribunali ammini

strativi regionali, dopo l'entrata in vigore della legge n. 10 del 1977:

T.A.R. Lombardia, Sez. Brescia, 9 febbraio 1979, nn. 54 e 55, id.,

1979, III, 535, con nota di richiami di precedenti in tale senso, ai

quali adde, successivamente, nel medesimo senso, T.A.R. Piemonte

27 giugno 1979, n. 329, Trib. amm. reg., 1979, I, 2541; T.A.R. Emilia

Romagna, Sez. Bologna, 5 aprile 1979, n. 161, ibid., 1710; T.A.R. Ve

neto 28 febbraio 1979, n. 31, ibid., 1200; T.A.R. Sardegna 8 novem

bre 1978, n. 391 (in relazione ai bacini di estrazione del cloruro di

sodio), ibid., 357; T.A.R. Veneto 24 ottobre 1978, n. 879, id., 1978,

I, 4542. T.A.R. Toscana 7 giugno 1978, n. 270, ibid., 3403, ha ri

chiesto la concessione edilizia per opere collegate funzionalmente

alla coltivazione di una cava, nella specie una strada.

£ la presa di posizione della decisione ora riportata, e della confer

mata sentenza T.A.R. Lazio, Sez. II, 23 maggio 1979, n. 351, che

perciò appare adesso isolata; ma il divario è molto meno ampio di

quel che possa apparire a prima vista: la opposta giurisprudenza dominante dei tribunali amministrativi regionali si basa largamente sulla legislazione regionale integrativa di quella statale, che appunto mancava nella regione nel cui territorio è sita la cava in questione.

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