Adunanza plenaria; decisione 1° aprile 1980, n. 10; Pres. Imperatrice, Est. Berruti; Carrubba(Avv. Paone) c. Associazione naz. famiglie dei caduti e dispersi in guerra (Avv. M. S. Giannini),Serafini (Avv. F. G. Scoca)Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1980),pp. 443/444-447/448Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171249 .
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PARTE TERZA
Cass., Sez. un., 17 maggio 1979, n. 2805, id., Rep. 1979, voce
cit., n. 1320), la giurisprudenza del Consiglio di Stato appare so
stanzialmente consolidata nel senso opposto per quel che con
cerne l'ipotesi ex art. 2116 cod. civ. (da ultimo, Sez. V 21 aprile
1978, n. 471, id., Rep. 1978, voce cit., n. 1418); ed è — come
appunto rileva l'ordinanza di rimessione — contrastante per
quanto riguarda invece quella di cui al detto art. 13, essendosi, nei suoi più recenti svolgimenti, espressa per la giurisdizione am
ministrativa con la dee. 20 dicembre 1974, n. 638 della sezione
quinta (id., Rep. 1974, voce cit., n. 773), ed avendola invece
negata con la dee. 29 marzo 1977, n. 347 della sezione sesta (id.,
Rep. 1977, voce cit., nn. 1458, 1476). Siffatto contrasto, che nasce dal dubbio se le questioni in
esame siano attinenti a diritti patrimoniali conseguenziali ovvero
ineriscano anch'esse direttamente al rapporto di pubblico im
piego, viene sostanzialmente imputato alle ancora irrisolte contro
versie sulla natura, risarcitoria o meno, delle suddette domande, e in particolare di quella di cui all'art. 13, essendo comunemente
accettata l'opinione che ogni domanda di risarcimento di danni
in una qualunque guisa connessi a un atto o comportamento il
legittimo dell'amministrazione dia luogo, senza eccezione alcuna, a una questione inerente a diritti patrimoniali conseguenziali, e
quindi alla giurisdizione del giudice ordinario.
L'adunanza plenaria ritiene, però, che non abbiano fonda
mento le perplessità sulla sussistenza, nel caso in esame, della
giurisdizione del giudice amministrativo; e che debba quindi es
sere condiviso, per le ragioni che seguono, l'orientamento del
giudice dei conflitti.
In tal senso va, in primo luogo, rilevato che è lecito dubitare
della natura propriamente risarcitoria del rimedio previsto dal
l'art. 13. Infatti, questa disposizione, per il caso che sia stato
omesso, e non sia più possibile per sopravvenuta prescrizione, il versamento dei contributi previdenziali, riconosce al lavora
tore il diritto alla costituzione di una rendita vitalizia pari alla
pensione, o quota di pensione, che gli sarebbe spettata compu tando i contributi omessi; e però non contempla affatto un cor
rispondente obbligo del datore di lavoro, ma soltanto una mera
facoltà, per altro esercitabile in via successiva anche dallo stesso
lavoratore, di costituire presso l'I.n.p.s. la relativa « riserva ma
tematica ».
Il che appunto depone per l'ipotesi di un rimedio inteso a
prevenire piuttosto, e non già a risarcire, il danno derivante
dall'omesso versamento dei contributi: come altresì sembra con
fermare la circostanza che, solo quando il datore di lavoro si
sia astenuto dall'esercitare la suddetta facoltà, e della stessa si
sia avvalso invece il lavoratore, insorge in capo a quest'ultimo
quel che l'art. 13 definisce «diritto al risarcimento del danno», e che però è, in realtà, soltanto diritto alla reintegrazione degli esborsi effettuati (Cass. 18 novembre 1975, n. 3876, id., Rep. 1976, voce Previdenza sociale, n. 303).
Non senza dire, infine, che la facoltà in questione è eserci
tabile, dal datore di lavoro o dallo stesso lavoratore, anche
prima della cessazione del rapporto, quando, cioè, il danno con
seguente all'omesso versamento dei contributi può anche non essersi ancora concretamente verificato: e ciò in virtù del mede
simo principio che in via alternativa consente pure al lavora tore di chiedere, nell'ambito della previsione dell'art. 2116 cod.
civ., la preventiva condanna generica, cioè del pari ancora in
costanza dfil rapporto, del datore di lavoro al « risarcimento », con possibilità di iscrivere ipoteca giudiziaria (Cass. 14 gennaio 1977, n. 202, id., Rep. 1977, voce cit., n. 313).
Il che per l'appunto conferma, da altro punto di vista, i dubbi
sulla natura risarcitoria del rimedio previsto dall'art. 13, e sem
bra anzi coinvolgervi anche quello di cui all'art. 2116.
F, però, ai fini che qui rilevano, conta non tanto stabilire se
i rimedi in questione abbiano o meno contenuto risarcitorio,
quanto piuttosto individuare esattamente il rapporto in cui le
questioni aventi ad oggetto tali rimedi si pongono con l'accer
tata illegittimità dell'omesso versamento dei contributi, non es
sendo — ad avviso dell'adunanza plenaria — la natura risarci toria della domanda ragione di necessaria insorgenza di una
questione patrimoniale conseguenziale. È comune e fondata opinione che siano questioni inerenti a
diritti patrimoniali conseguenziali quelle nelle quali la pretesa che si fa valere non trae la propria causa giuridica dal rapporto dedotto innanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, ma rinviene in esso soltanto un mero presupposto di
fatto, dipendendo invece la lesione lamentata da una ulteriore e
autonoma ragione di illiceità.
Ed è noto come la giurisprudenza abbia ritenuto riferibile tale
concetto soprattutto alle domande di danni da svalutazione mo
netaria o di interessi moratori sugli assegni non corrisposti per effetto di licenziamento illegittimo, sull'esatto presupposto della
loro attinenza non ad effetti propri, ma soltanto a conseguenze « ulteriori » della restitutio in integrum.
Da qui, però, trae forse origine la tendenza, agevolata anche
dal fatto che le suddette ipotesi coprono in concreto quasi tutta
l'area interessata dal fenomeno, a enunciare per l'appunto il
principio che, anche al di fuori di quel presupposto, ogni do
manda di risarcimento vada per ciò solo qualificata come que stione inerente a diritti patrimoniali conseguenziali, e debba quin di essere riservata alla giurisdizione del giudice ordinario: la ten
denza, insomma, a identificare l'ubi consistam del fenomeno in
esame nel contenuto risarcitorio del petitum, e non più nell'auto
nomia della causa petendi rispetto al rapporto dedotto innanzi
al giudice amministrativo.
Ma evidentemente diverso da quelli sopra ricordati è invece
il caso che si verifica allorché del diritto, di cui il giudice am
ministrativo abbia accertato la lesione, si chieda non il rsarci
mento per « ulteriori » danni, bensì' la stessa reintegrazione per
equivalente, essendone invece, o essendone divenuto, impossibile il ripristino mediante restituzione specifica.
Nel qual caso, però, non ha più alcun fondamento logico ri
tenere esclusa la giurisdizione del giudice amministrativo per il
solo fatto che sia stata esercitata un'azione di risarcimento, una
volta che questa sia stata proposta come necessitata alterna
tiva a una domanda della cui appartenenza a tale giurisdizione viceversa non si discute.
Ed è precisamente siffatta particolare manifestazione del fe
nomeno in esame a verificarsi nella materia qui controversa.
'Infatti, è fuori dubbio che il diritto del dipendente alla costi
tuzione, a cura sua stessa o dell'amministrazione, della rendita
ex art. 13 — operando come suo necessario presupposto la so
pravvenuta impossibilità del versamento dei contributi omessi —
viene comunque, anche, cioè, a volerne ammettere la natura ri
sarcitoria, a porsi, rispetto all'accertata illegittimità della omis
sione, in quel rapporto di diretta e immediata attinenza nel quale incontestabilmente si troverebbe il diritto dello stesso dipendente a veder condannata l'amministrazione al versamento effettivo dei
contributi, ove ciò non fosse già precluso dalla prescrizione:
questione, quest'ultima, della cui appartenenza alla giurisdizione del giudice amministrativo viceversa non si discute (da ultimo:
Sez. VI 5 giugno 1979, n. 430, id., Rep. 1979, voce Impiegato dello Stato, n. 1309).
In conclusione, sussiste quindi la giurisdizione del Consiglio di Stato sulla domanda del sig. Focà; e può, pertanto, passarsi all'esame del merito. (Omissis)
Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO; Adunanza plenaria; decisione 1° aprile 1980, n. 10; Pres. Imperatrice, Est. Berruti; Carrubba (Avv.
Paone) c. Associazione naz. famiglie dei caduti e dispersi in
guerra (Avv. M. S. Giannini), Serafini (Avv. F. G. Scoca).
Giustizia amministrativa — Decisione del Consiglio di Stato im
pugnata per cassazione — Ricorso per l'esecuzione — Inam
missibilità (R.d. 26 giugno 1924 m. 1054, t. u. sul Consiglio di Stato, art. 27, n. 4; legge 6 dicembre 1971 n. 1034, istitu
zione dei tribunali amministrativi regionali, art. 37).
È inammissibile il ricorso per l'esecuzione di una decisione del
Consiglio di Stato la quale non sia ancora passata in giudicato,
perché pende ricorso per cassazione nei confronti di essa. (1)
(1) La decisione dell'Adunanza plenaria 7 luglio 1978, n. 22, della
quale è stata chiesta l'esecuzione, è riportata in Foro it., 1978, III, 454, con nota di richiami.
L'adunanza plenaria conferma il meditato capovolgimento della
propria precedente giurisprudenza, attuato col precedente richiamato in motivazione: decisione 23 marzo 1979, n. 12, id., 1979, III, 307, con nota di richiami; anche nella pronuncia che ora si riporta le ar gomentazioni sono formulate in generale, e dunque valgono per ogni caso di decisione non ancora passata in giudicato per pendenza del l'impugnazione, ivi comprese le sentenze dei tribunali amministrativi regionali.
La giurisprudenza successiva delle sezioni singole del Consiglio di Stato si è uniformata all'orientamento assunto dall'adunanza plena ria, non solo per la soluzione data al problema, ma anche per l'im postazione di esso in termini cosi generali, da abbracciare la (negata) esperibilità del ricorso per l'esecuzione del giudicato tanto delle de cisioni del Consiglio di Stato stesso impugnate per cassazione, quanto delle sentenze dei tribunali amministrativi regionali appellate: Sez. V 29 febbraio e 14 marzo 1980, nn. 247 e 272, Cons. Stato, 1980, I, 190 e 302, nonché 19 ottobre 1979, n. 608, id., 1979, I, 1382; Sez. IV 30 ottobre 1979, n. 887, ibid., 1351; nello stesso senso v. anche
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
L'Adunanza, ecc. — Il ricorso, con il quale il ricorrente pre tende che sia dichiarato l'obbligo dell'Associazione nazionale fa
miglie dei caduti e dispersi in guerra di conformarsi alla decisione
n. 22/1978, pronunziata dall'adunanza plenaria delle sezioni giu risdizionali del Consiglio di Stato il 10 aprile 1978 (Foro it., 1978,
III, 454), deve ritenersi, in via pregiudiziale, inammissibile.
Il ricorso risulta, infatti, proposto in pendenza dell'impugna zione esperita dalla parte controinteressata soccombente avverso
la stessa decisione, per asseriti difetti di giurisdizione, ai sensi
dell'art. 362, 1° comma, cod. proc. civile.
In conformità dell'orientamento giurisprudenziale affermato da
questo consesso con la recente decisione 23 marzo 1979, n. 12
(id., 1979, III, 307), all'ammissibilità del giudizio di ottemperanza,
quale risulta disciplinato dall'art. 27, n. 4, t. u. delle leggi sul
Consiglio di Stato, di cui al r. d. 26 giugno 1924 n. 1054 e dal
l'art. 37 legge 6 dicembre 1971 n. 1034, istitutiva dei tribunali
amministrativi regionali, osta nella specie la mancata acquisizione dell'autorità di cosa giudicata da parte della decisione in oggetto.
Delle norme sopra indicate deve, invero, confermarsi l'in
terpretazione, già enunciata da questa adunanza e volta ad
attribuire rilevanza essenziale all'autorità di cosa giudicata, ac
quisita dalla decisione, della cui ottemperanza si controverta, come condizione del ricorso proposto a questo fine. Al riguar do è stato posto in luce dalla giurisprudenza di questo con
siglio che, in base all'esplicito univoco riferimento al giudicato nel contesto di dette norme ed in connessione con Je finalità
dell'istituto, al dettato legislativo deve riconoscersi il signifi cato di decisione cui aderisce il carattere formale di immuta
bilità, nei limiti in cui tale effetto deriva dalla circostanza che
nei confronti della decisione non siano ulteriormente esperibili o siano già esaurite le impugnazioni.
A tal fine deve ritenersi, infatti, passata in giudicato la de
cisione non più soggetta ad appello, né a ricorso per cassazione
per motivi attinenti alla giurisdizione, né a revocazione, ai
sensi dell'art. 395, nn. 4 e 5, cod. proc. oiv., in conformità del
principio generale, che, sebbene enunciato nell'art. 324 del co
dice di rito civile, si riconosce, tuttavia, essere suscettibile di
applicazione anche nel sistema della giustizia amministrativa, nei limiti connessi alla speciale disciplina dei mezzi suddetti
di impugnazione, ammessi rispettivamente contro le decisioni
dei tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di" Stato
in sede giurisdizionale.
L'interpretazione intesa ad attribuire al termine « giudicato »
nel processo amministrativo l'improprio significato, che .peral tro risulterebbe del tutto eccezionale nel linguaggio legislativo e nell'uso giurisprudenziale, di pronuncia meramente conclusiva
del giudizio o di un grado di esso, relativamente a singoli capi o all'intera domanda del ricorrente, ed ancorché non definitiva, non appare accettabile. Sul piano letterale e logico-sistematico non può ammettersi infatti, che con identica locuzione siasi
fatto riferimento, in comma diversi dello stesso art. 37 legge 6 dicembre 1971 n. 1034, a nozioni differenziate del giudicato, a seconda che concerna la sentenza emanata dall'autorità giu diziaria ordinaria (primo comma) o Ja decisione degli organi di
giurisdizione amministrativa, oggetto del terzo comma di detta norma. Differenziazione che, deve aggiungersi, è pure in con
trasto con la tradizione esegetica formatasi con riguardo a
disposizioni precedentemente in vigore.
Al giudicato, inteso come decisione divenuta nei sensi pre detti inoppugnabile, ha riferimento significativo l'art. 27, n. 4, t. u. delle leggi sul Consiglio di Stato, norma fondamentale la
quale, espressamente dettata per il giudizio di ottemperanza
degli obblighi derivanti a carico della pubblica amministrazione
dal « giudicato dei tribunali che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico », è stata ritenuta dalla giurispru denza suscettibile di applicazione analogica alle fattispecie di
inottemperanza alle decisioni del giudice amministrativo, in ba
se all'accertamento del comune requisito del passaggio in giu dicato, indistintamente cioè per tutte ile pronunzie giurisdizio nali civili ed amministrative a fronte delle quali fosse riscon
trata lìanaloga situazione anomala di mancato adempimento dell'amministrazione alle concrete statuizioni del giudice. Né l'in
terprete può, dal contesto di tale procedimento interpretativo, desumere una diversa accezione del giudicato amministrativo, in
considerazione della norma, che attribuisce immediata efficacia
Cons, giust. amm. sic. 13 febbraio 1980, n. 10, id., 1980, I, 223. Viceversa, nel senso della esperibilità del ricorso per l'esecuzione del giudicato nei confronti delle sentenze dei tribunali amministrativi regionali appellate, T.A.R. Lazio, Sez. II, 22 novembre 1978, n. 913, Foro it., Rep. 1979, voce Giustizia amministrativa, n. 961; T.A.R. Calabria, Sez. Reggio Calabria, 13 marzo 1979, n. 30, ibid., n. 962.
esecutiva alla decisione di primo grado (art. 33 citata legge isti
tutiva dei tribunali amministrativi regionali). Esecutività e autorità del giudicato costituiscono aspetti diversi
dell'efficacia della decisione, preordinati a situazioni giuridiche
svolgentisi in ambiti aventi presupposti e finalità differenziati.
L'efficacia esecutiva (ove non ne sia disposta la sospensione con
provvedimento del giudice d'appello, in pendenza del procedi mento di gravame, in quanto ammesso), nel duplice profilo della
diretta modificazione delle situazioni giuridiche sostanziali che
hanno formato oggetto di controversia e sulle quali ipso iure in
cide la decisione di annullamento, senza che occorrano ulteriori
provvedimenti attuativi in sede amministrativa, nonché nel senso
della idoneità della stessa decisione a legittimare gli atti che la
pubblica amministrazione si determini ad adottare (adeguata mente, peraltro, alle esigenze di carattere pubblico che possano
sopravvenire a precisare il contenuto concreto del dovere di
esecuzione), non postula il passaggio in giudicato della decisione, ma è espressione immediata della imperatività propria dell'atto
di esplicazione della potestà giurisdizionale. Alla stregua di tali
premesse deve intendersi il significato della disposizione dell'art.
88 del regolamento di procedura davanti alle sezioni giurisdizio nali del Consiglio di Stato (di cui al r. d. 17 agosto 1907 n. 642), nella parte in cui stabilisce che « l'esecuzione delle decisioni si
fa in via amministrativa », dopo che esse siano state comunicate
alle « autorità cui riguardano per mezzo del ministero dal quale
queste dipendono ed a cui debbono essere tosto trasmesse dalla
segreteria « dell'organo giudicante ». Disposizione in base alla
quale l'esecuzione della decisione amministrativa non è subordi
nata al passaggio in giudicato della decisione stessa, ed è chiara
mente distinta dall'emanazione in sede giurisdizionale di prov vedimenti determinativi dell'obbligo di ottemperanza, nei sensi
preveduti dal ricordato art. 27, n. 4, citato t. u. n. 1054 e dal
l'art. 37 legge n. 1034 del 1971. Analogamente, del resto, la di
stinzione concettuale fra esecuzione della decisione e vincolo di
ottemperanza emerge dalla diversa sedes materiae dell'articola
zione delle disposizioni, che rispettivamente concernono tali isti
tuti, nella stessa legge istitutiva dei tribunali amministrativi re
gionali: l'efficacia esecutiva della decisione di primo grado è pre vista, invero, nel contesto delle norme recanti la disciplina del
ricorso in appello (art. 33 segg.), in connessione col procedimento di sospensiva davanti al Consiglio di Stato eventualmente pro mosso su istanza di parte; i ricorsi diretti ad ottenere l'adempi mento dell'obbligo dell'autorità amministrativa di conformarsi,
per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato sono autonoma
mente regolati, invece, nell'art. 37, che segue, in ossequio ad un
apprezzabile criterio sistematico, la compiuta disciplina delle im
pugnazioni — cui è, ripetesi, condizionata la formazione della
cosa giudicata. Tale effetto della decisione giurisdizionale si rea
lizza, infatti, con la preclusione, nei limiti inerenti al sistema
del processo amministrativo, all'esercizio delle impugnazioni, ai
sensi del succitato art. 324 cod. proc. civile. Soltanto l'autorità
del giudicato, conseguente alla relativa immutabilità della deci
sione, genera il particolare vincolo d'ottemperanza a carico del
l'amministrazione, in forza del quale questa è tenuta a porre in
essere gli atti ed i comportamenti necessari per l'adeguamento della situazione di fatto, prodottasi in conseguenza di precedenti atti impugnati, alle statuizioni contenute nella decisione. Tale
vincolo, in quanto incide su posizioni di interesse individuale, l'amministrazione può essere chiamata ad osservare col giudizio
d'ottemperanza, ad istanza dei soggetti legittimati dall'autorità del
giudicato a pretenderne l'adempimento.
Come ha rilevato la precedente decisione n. 12/1979, l'area dell'efficacia del giudicato appare, pertanto, in limiti variamente
stabiliti dall'ordinamento vigente per diversi tipi di atti ammi
nistrativi impugnabili, maggiore che non l'ambito dell'esecuti
vità della decisione, finché questo risulti soggetto ad impugna zione. Giusta il combinato disposto degli art. 33 e 37 citata legge n. 1034 del 1971, non sussiste coincidenza fra l'ambito dell'ese
cutività delle decisioni e quello del giudizio d'ottemperanza.
E ciò in 'quanto, in coerenza ed a completamento della fun
zione del giudice amministrativo, il giudizio di ottemperanza
può condurre all'esercizio di poteri sostitutivi delle attribuzioni
istituzionali degli organi amministrativi, in via diretta o per mez
zo di funzionario ad acta, mediante l'adozione degli atti dovuti
dall'amministrazione, ovvero mediante la specificazione degli atti
e dei comportamenti che questo dovrà assumere in conformità
del giudicato. Donde l'esigenza che l'assetto amministrativo conseguente al
l'adempimento del vincolo d'ottemperanza sia assistito dalla re
lativa certezza delle situazioni giuridiche connesse alla forma
zione del giudicato formale.
Soltanto in presenza di tale condizione la ratio delle disposi
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PARTE TERZA
zioni sopracitate consente che sia ammesso l'intervento del giu dice amministrativo nella dinamica dell'azione amministrativa.
Alla stregua dei principi esposti, non configurandosi rispetto alla decisione in oggetto la situazione giuridica di inoppugna bilità, in pendenza del ricorso per cassazione, il ricorso in esa
me devesi dichiarare inammissibile.
La difficoltà di interpretazione delle norme di leggi in materia
giustificano la compensazione integrale delle spese giudiziali fra
le parti costituite.
Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO; Sezione VI; ordinanza 15 gennaio
1980, n. 10; Pres. Daniele, Rei. Rosini; Russo e altri (Avv.
Capacciou, D'Amelio) c. Min. pubblica istruzione, Università
degli studi di Pisa.
Istruzione pubblica — Università — Ricercatori dipendenti dal
C. N. R. — Assegno temporaneo — Incaricati di insegnamen to interni — Spettanza dell'assegno pensionabile — Rimessio
ne della questione all'adunanza plenaria (D. 1. 1" ottobre 1973
n. 580, misure urgenti per l'università, art. 12; legge 30 no
vembre 1973 n. 766, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 1° ottobre 1973 n. 580, art. unico; legge 15 novembre
1973 n. 732, provvidenze a favore del personale dipendente da enti pubblici non economici, art. unico).
Istruzione pubblica — Università — Incaricati interni — Inden
nità di ricerca scientifica — Spettanza — Assegno speciale —
Spettanza — Rimessione delle questioni all'adunanza plenaria
(Legge 18 marzo 1958 n. 311, stato giuridico ed economico dei
professori universitari, art. 21; legge 26 gennaio 1962 n. 16,
provvidenze a favore del personale insegnante delle università
e degli istituti di istruzione superiore e del personale scienti
fico degli osservatori astronomici, art. 22; d. 1. 1° ottobre 1973
n. 580, art. 12; legge 30 novembre 1973 n. 766, art. unico).
Impiegato dello Stato e pubblico — Stipendi e assegni arretrati — Decorrenza degli interessi — Rivalutazione — Giurisdizione
ordinaria o amministrativa — Rimessione delle questioni al
l'adunanza plenaria.
È opportuno rimettere all'adunanza plenaria la questione se ai
ricercatori dipendenti dal Consiglio nazionale delle ricerche, ai
quali è attribuito l'assegno temporaneo annuo, che siano an
che incaricati universitari interni, spetti l'assegno pensionabile
previsto per i docenti universitari (in subordine, è rimessa al
l'adunanza plenaria anche la questione della spettanza dell'as
segno pensionabile almeno nella misura eccedente quella del
l'assegno temporaneo). (1) È opportuno rimettere all'adunanza plenaria la questione se agli
incaricati universitari interni, ai quali non sia stato attribuito
l'assegno pensionabile, seguiti a spettare l'indennità di ricerca
scientifica. (2) È opportuno rimettere all'adunanza plenaria la questione se agli
incaricati universitari interni spetti l'assegno speciale. (3)
(1) In senso negativo si è espressa l'appellata sentenza del T.A.R. Toscana 23 giugno 1976, n. 371, Foro it., Rep. 1977, voce Istruzione pubblica, n. 845.
Corte cost. 6 dicembre 1979, n. 141, id., 1980, I, 7, con nota di richiami, emessa su ordinanza di rinvio 13 luglio 1978 del T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, id., 1979, III, 572, con nota di richiami, ha dichiarato fondata la questione di costituzionalità dell'art. 12 d. 1. 1° ottobre 1973 n. 580, convertito con modificazioni nella legge 30 no vembre 1973 n. 766, in quanto prevede, con riferimento ai professori incaricati interni, il divieto di cumulo dell'assegno annuo pensiona bile con i trattamenti economici onnicomprensivi ad essi spettanti in virtù di un diverso rapporto di impiego.
(2) La questione della sopravvivenza dell'assegno c. d. di ricerca scientifica, dopo l'entrata in vigore dell'art. 12 del d. 1. n. 580 del 1973, che ha previsto l'assegno speciale non pensionabile attribuito ai docenti universitari che non svolgono attività professionale o di con sulenza professionale con un reddito superiore ai due milioni annui, è stata risolta in senso negativo, oltre che dalla sentenza appellata, anche dal Consiglio di Stato in sede consultiva: Comm. spec. 27 giu gno 1977, n. 5/2330/76, Foro it., Rep. 1979, voce Istruzione pub blica, n. 319; e in senso positivo da Corte conti, Sez. contr., 16 marzo 1978, n. 861, id., Rep. 1978, voce cit., n. 333, e 25 settem bre 1975, n. 628, id., Rep. 1976, voce cit., n. 175; nonché da T.A.R. Liguria 24 gennaio 1980, n. 30, Trib. amm. reg., 1980, I, 1036.
(3) L'adunanza plenaria si è già espressa in senso positivo sulla que stione, su diverse ordinanze di rimessione, con decisioni 6 maggio 1980, n. 14 e 10 giugno 1980, n. 21, in questo fascicolo, III, 433, con nota di richiami; queste due decisioni hanno considerato soprat tutto il profilo nella non assimilabilità del reddito da lavoro subor
È opportuno rimettere all'adunanza plenaria la questione del mo
mento dal quale cominci ad essere produttivo di interessi il
credito vantato dal pubblico dipendente verso l'amministra
zione, e la questione della sussistenza della giurisdizione del
giudice ordinario oppure di quello amministrativo sulla relativa
domanda. (4)
dinato che l'incaricato universitario interno trae dal diverso rapporto di impiego, col reddito da attività professionale o di consulenza pro fessionale, che, se superiore ai due milioni annui, preclude ai do centi universitari, compresi i professori di ruolo e gli incaricati esterni, l'attribuzione dell'assegno speciale in questione.
Diversamente da quanto afferma il corrispondente passo della mo
tivazione, appare per lo meno dubbio che sia stata la sentenza della Corte cost. 17 luglio 1975, n. 219, Foro it., 1975, I, 1881, con nota di richiami, la quale ha esteso il trattamento economico della diri
genza ai professori universitari di ruolo all'ultima classe di stipen dio, considerando in essa assorbito l'assegno pensionabile previsto dall'art. 12 d. 1. n. 580 del 1973, ad aver considerato assorbito per implicito anche l'assegno speciale previsto dalla medesima norma:
questa ulteriore conseguenza non sembra deducibile da tale sen tenza della Corte costituzionale, ma piuttosto affermata innovativa mente da Cons. Stato, Sez. VI, 19 dicembre 1975, n. 695, id., 1976, III, 249, con osservazioni di A. Romano.
(4) Nella giurisprudenza amministrativa si sono avute di recente alcune affermazioni secondo le quali gli interessi dovuti dall'ammi nistrazione sulle somme delle quali è debitrice, specie in base a rap porti di pubblico impiego, iniziano a decorrere anche prima che il decreto sia certo, liquido ed esigibile: cfr. T.A.R. Lazio, Sez. II, 25 ottobre 1978, n. 843, Foro it., 1979, III, 539, con nota di ri
chiami, che ha affermato che gli interessi corrispettivi sulle mag giori somme che il giudice amministrativo dichiara dovute al pub blico dipendente, decorrono dalla data di maturazione dei rispettivi crediti; e Cons. Stato, Sez. IV, 30 maggio 1978, n. 497, id., 1979, III, 211, parimenti con nota di richiami, che ha affermato che al
l'impiegato pubblico spettano gli interessi corrispettivi sulla retribu zione non tempestivamente corrisposta, dal giorno nel quale essa è è stata determinata, anche se la relativa decorrenza ha fatto oggetto di controversie, e non siano intervenuti ancora l'impegno e l'ordinativo di spesa; cfr. anche Sez. V 2 marzo 1979, n. 113, id., Rep. 1979, voce Impiegato dello Stato, n. 837; T.A.R. Veneto 14 dicembre 1978, n. 1080, ibid., n. 840. In senso più rigoroso, T.A.R. Campania 13
giugno 1979, n. 281, Trib. amm. reg., 1979, I, 2887; Cons, giust. amm. sic. 10 ottobre 1978, n. 193, Foro it., Rep. 1979, voce Conta bilità dello Stato, n. 33; T.A.R. Abruzzo, Sez. Pescara, 27 settem bre 1978, n. 178, ibid., n. 34; cfr. anche Cons. Stato, Sez. VI, 26
luglio 1979, n. 606, ibid., voce Impiegato dello Stato, n. 838.
Per altri riferimenti, v. la giurisprudenza della Cassazione, la quale ha affermato che l'amministrazione dello Stato, conduttrice di un immobile destinato a sede di pubblici uffici, la quale non dimostri che il ritardo nel pagamento dei canoni sia stato determinato dalla necessità di compiere un atto del procedimento di formazione del titolo di spesa, è tenuta a corrispondere al locatore gli interessi sulle somme dovute per canoni scaduti, dalla data della costituzione in mora: sent. 17 gennaio 1980, n. 384, id., 1980, I, 958, con nota di C. M. Barone; v. anche, ivi, sent. 12 marzo 1980, n. 1656, che ha affermato che le aziende municipalizzate, non rientrano tra gli enti
pubblici cui si applicano le norme del regolamento sulla contabilità generale dello Stato, devono corrispondere, sulle somme versate ai
propri dipendenti per indennità di anzianità, gli interessi a decor rere dalla data di cessazione dal rapporto, nonostante la mancata emissione dal mandato di pagamento; mentre una soluzione opposta, sempre a proposito degli interessi sulle somme dovute al pubblico dipendente a titolo di indennità di cessazione del rapporto, è stata data da Cass. 3 marzo 1979, n. 1345, id., 1980, I, 196, con nota di richiami, in riferimento al personale delle dogane, perché al relativo fondo di previdenza è applicabile la normativa sulla contabilità dello Stato, secondo la quale i debiti pecuniari divengono liquidi ed esi gibili soltanto dopo l'emissione del regolare ordinamento di spesa.
Per quel che riguarda la questione di giurisdizione, a parte le pronunce che si riferiscono genericamente agli interessi dovuti dal l'amministrazione, affermando in proposito la giurisdizione del giu dice amministrativo (T.A.R. Veneto 14 dicembre 1978, n. 1080, id., Rep. 1979, voce cit., n. 841), o quella del giudice ordinario (Cons. Stato, Sez. VI, 28 gennaio 1977, n. 45, id., Rep. 1977, voce Giusti zia amministrativa, n. 83; T.A.R. Veneto 13 aprile 1976, n. 329, ibid., n. 84; nel senso che se il credito principale deriva da un rapporto di pubblico impiego, il giudice ordinario eventualmente competente do vrebbe essere individuato nel pretore quale giudice del lavoro, Cass. 20 novembre 1979, n. 6055, id., Rep. 1979, voce Impiegato dello Stato, n. 92), il filone principiale della giurisprudenza si riferisce spe cificamente agli interessi moratori, affermando in proposito la giuris dizione del giudice ordinario: Cons. Stato, Sez. VI, 28 marzo 1980, n. 398, Cons. Stato, 1980, I, 353; 30 ottobre 1979, n. 758, id., 1979, I, 1491; Sez. V 26 ottobre 1979, n. 629, ibid., 1387; T.A.R. Campania 13 giugno 1979, n. 281, Trib. amm. reg., 1979, I, 2887; Cons. Stato, Sez. VI, 31 ottobre 1978, n. 1111, Foro it., Rep. 1979, voce cit., n. 846; T.A.R. Abruzzo, Sez. L'Aquila, 7 giugno 1978, n. 313, ibid., n. 847; Cons. Stato, Sez. VI, 6 dicembre 1977, n. 901, id., Rep. 1978, voce Giustizia amministrativa, n. 72; Sez. V 11 novembre 1977, n. 1004, ibid., voce Impiegato dello Stato, n. 946; 12 maggio 1978, n.
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