adunanza plenaria; decisione 5 agosto 1993, n. 10; Pres. Crisci, Est. Baccarini; Menchise e altri(Avv. Laudadio, Ciola, Scotto) c. Regione Basilicata, Prefetto di Potenza, Min. interno (Avv.dello Stato Zotta) e altri. Conferma Tar Basilicata 7 novembre 1991, n. 322Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1994),pp. 5/6-19/20Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188286 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
procedimento disciplinare ed al tipo di adesione (per durata e
cessazione) imputabile al medesimo. Ma questi argomenti non
valgono a superare la considerazione che quel comportamento era ormai da tempo cessato ed era stato ritenuto privo di riflessi
sulle funzioni giudiziarie svolte.
L'incompletezza delle valutazioni compiute si desume ancor
più dalla coniderazione conclusiva del giudizio dato. Vi si chia
risce che il fatto disciplinarmente sanzionato viene preso in esa
me «per la sua idoneità a produrre effetti negativi sullo svolgi mento di funzioni future». Questa idoneità si era però manife
stata o era stata smentita con le funzioni giudiziarie assegnate nel giugno 1981 e sempre poi esercitate. Quindi, il giudizio da
esprimere aveva trovato, prima di ogni previsione di futuri ac
cadimenti, i suoi elementi non astratti o probabilistici, ma con
creti, nella attività dello scrutinato e nel suo profilo, per come
si era integralmente atteggiato negli oltre sei anni successivi alla
negativa vicenda occorsa.
E dunque, accanto alla rilevanza sfavorevole del comporta mento riprovato, doveva farsi l'esame del successivo periodo trascorso e, per giungere al giudizio di non idoneità ad essere
ulteriormente valutato, dovevano esprimersi le ragioni per le quali la ponderazione di questi altri elementi — pur essi consistenti
nell'esercizio di funzioni giudiziarie, e quindi possibili indici di autonomia e di indipendenza — faceva cadere, se positiva, o
consolidava, se negativa, la conclusione qui contestata.
Dalle considerazioni esposte appare che il primo giudice non
è da seguire sul punto dell'affermazione che, dal contesto della
motivazione, il Csm ha «inequivocabilmente» ritenuto la preva lenza degli aspetti negativi della figura del ricorrente sugli aspetti
positivi, definiti «in massima parte riferibili al periodo successi
vo». Invero, è proprio nella motivazione del giudizio di non
idoneità che va rilevata l'inosservanza dei principi desumibili
dall'art. 1 1. n. 831 del 1973 e sopra accennati, riguardanti l'esi
genza di una esauriente valutazione di tutti gli elementi offerti
dalla legge, e di quelli comunque ritenuti degni di rilievo, e la
conseguente puntuale esposizione delle ragioni del giudizio, com
prese quelle relative al carattere recessivo di altri elementi, pure
previsti dalla legge, e di segno positivo. 5. - Nei termini precisati deve annullarsi il provvedimento
amministrativo — che si è conformato alla valutazione censura
ta — in riforma della sentenza appellata.
1
CONSIGLIO DI STATO; adunanza plenaria; decisione 5 ago
sto 1993, n. 10; Pres. Crisci, Est. Baccarini; Menchise e
altri (Avv. Laudadio, Ciola, Scotto) c. Regione Basilicata,
Prefetto di Potenza, Min. interno (Avv. dello Stato Zotta) e altri. Conferma Tar Basilicata 7 novembre 1991, n. 322.
Atto amministrativo — Protocollo di autorità amministrativa — Data di ricezione di un atto — Contestazione — Querela
di falso — Necessità (R.d. 17 agosto 1907 n. 642, regolamen
to per la procedura dinanzi al Consiglio di Stato in sede giu
risdizionale, art. 41). Comune e provincia — Elezione del sindaco e della giunta —
Deliberazione consiliare — Invio al comitato regionale di con
trollo — Annullamento — Termine (L. 8 giugno 1990 n. 142,
ordinamento delle autonomie locali, art. 34, 46, 47).
Comune e provincia — Consigliere comunale — Dimissioni —
Efficacia immediata (R.d. 3 marzo 1934 n. 383, t.u. della
legge comunale e provinciale, art. 10; d.p.r. 10 gennaio 1957
n. 3, statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 124; d.p.r.
16 maggio 1960 n. 570, t.u. delle leggi per la composizione
e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali, art.
81; 1. 8 giugno 1990 n. 142, art. 32, 34, 36, 37 bis, 39, 64; 1. 25 marzo 1993 n. 81, elezione diretta del sindaco, del presi
dente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio
provinciale, art. 20, 22).
Il Foro Italiano — 1994.
Nel giudizio amministrativo è incontestabile la data di ricezione
di un atto (nella specie, deliberazione del consiglio comunale
di elezione del sindaco e della giunta), da parte di un'ammini
strazione (nella specie, comitato regionale di controllo), la quale risulti dal protocollo, se nei confronti di questo non venga
proposta querela di falso. (1) La deliberazione consiliare di elezione del sindaco e della giunta
diventa esecutiva entro tre giorni dalla ricezione dal comitato
regionale di controllo, e non più annullabile da questo, a me
li) Non constano precedenti negli esatti termini. La pronuncia si in serisce in quell'indirizzo che, al di là delle soluzioni apparentemente variegate, muove dalla qualificazione come atto pubblico del registro di protocollo delle pubbliche amministrazioni — qualificazione, come si dirà subito, propria della esperienza giurisprudenziale penalistica —
per ammettere deroghe alla sua efficacia probatoria privilegiata solo in ipotesi di espressa disposizione normativa statuente il contrario. Le sentenze più significative si registrano in tema di controlli in riferimen to alla prassi dei c.d. protocolli aperti degli organi tutori, consistente nel protocollare ex post le delibere in arrivo in funzione della data in cui siede l'organo di controllo, al fine di consentire il formale rispetto del termine entro il quale va effettuato l'esame della deliberazione.
Cosi, Tar Sicilia, sede Catania, sez. II, 1° aprile 1992, n. 205, Foro
it., Rep. 1992, voce Sicilia, n. 119 e Trga Trento 20 febbraio 1989, n. 33, id., Rep. 1989, voce Trentino-Alto Adige, n. 115, i quali, a pro posito del momento della ricezione dell'atto da controllare, hanno attri buito esclusiva rilevanza alla data dell'avviso di ricevimento o della ri cevuta a mani rilasciata dall'organo tutorio. Nella specie vi era discor danza tra tale data e le annotazioni del protocollo in arrivo, da addebitarsi — secondo prassi censurata come diffusa e deplorevole dal Tar sicilia no — proprio all'anzidetto ritardo nella protocollazione da parte del
l'organo tutorio. A detta conclusione, tuttavia, si è pervenuti in forza di apposite norme di legge le quali — in entrambi i casi — prevedevano modalità alternative di decorrenza del dies a quo per il controllo, a seconda della forma seguita per l'invio della deliberazione (consegna a mano, lettera raccomandata, posta ordinaria), da coordinare con nor me regolamentari prescrittive, viceversa, della decorrenza del termine dalla data della registrazione a protocollo, da effettuarsi, però — con trariamente a quanto avvenuto nella specie —, «immediatamente».
Nel senso della tipicità delle modalità di ricezione degli atti soggetti a controllo e della registrazione a protocollo come dies a quo per la decorrenza del termine in questione, Cons, giust. amm. sic. 26 marzo
1991, n. 100, id., Rep. 1991, voce Sicilia, n. 53 e Giust. amm. sic.,
1991, 140, con nota critica di G. Virga, in fattispecie di consegna della deliberazione a mani di dipendente della commissione di controllo ad detto agli impianti di riscaldamento, nonché Cons, giust. amm. sic.
18 dicembre 1987, n. 282, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 32. In
generale, sulla necessità di inoltrare le comunicazioni presso la sede del
l'ente destinatario e sulla protocollazione «in arrivo» quale unico mez zo per precostituire la prova della loro ricezione, Tar Veneto, sez. I, 18 gennaio 1988, n. 1, id., Rep. 1989, voce Atto amministrativo, n. 95.
Diversa l'ipotesi in cui l'amministrazione attribuisca certezza esclusi va al servizio postale, come quando, in materia di gare o procedure concorsuali, prescriva che la domanda di partecipazione sia inoltrata a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, dimostrando cosi
di intendere di affiancare, al fine di assicurare certezza, organo estra
neo alla amministrazione procedente (l'ufficio postale) a quello presen te al suo interno (l'ufficio protocollo). Sul punto, Tar Emilia-Romagna, sez. II, 8 gennaio 1990, n. 9, id., Rep. 1990, voce Contratti della p.a., n. 32. Analogamente, in fattispecie nella quale oggetto del contendere
non era la data risultante dal protocollo, ma il fatto stesso della ricezio
ne, Tar Lazio, sez. I, 23 novembre 1990, n. 1150, id., Rep. 1991, voce
Concorso a pubblico impiego, n. 82, il quale, in presenza di clausola
di bando che considerava tempestiva la domanda trasmessa a mezzo
di raccomandata con avviso di ricevimento, ha ritenuto che l'ammini
strazione assumesse a suo carico il rischio di tardiva ricezione, rimanen
do, però, a carico dell'interessato il rischio del recapito effettivo. In
assenza di avviso di ricevimento e in caso di omessa registrazione della domanda nel protocollo in arrivo, si ha presunzione di mancata ricezio
ne superabile solo a mezzo della querela di falso.
A diversa qualificazione del registro di protocollo sembrerebbe ispi rarsi Cons. Stato, sez. II, 21 febbraio 1990, n. 686/89, id., Rep. 1992, voce Impiegato dello Stato, n. 1075, il quale ha ritenuto superabile a
mezzo di semplice prova contraria la data del protocollo, non ritenendo
tuttavia sufficiente, nella specie, il timbro postale apposto su lettera
ordinaria essendo erronea la presunzione che il recapito avvenga in gior nata. Contra, nel senso della presunzione inversa, Comm. trib. centrale
12 novembre 1991, n. 7491, ibid., voce Tributi locali, n. 160.
È soprattutto il giudice penale ad indagare sulla natura e rilevanza
giuridica del protocollo, concludendo per la sua fede privilegiata. In
tal senso, oltre alle pronunce richiamate in motivazione, Cass., 7
marzo 1985, Gambino, id., Rep. 1985, voce Falsità in atti, n. 5, in
riferimento alla annotazione da parte dell'Inps della data di arrivo di
domanda di pensione, nonché, per la giurisprudenza di merito, App. Bari 5 febbraio 1987, id., Rep. 1988, voce cit., n. 22. In quella sede,
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PARTE TERZA
no che non chieda, per una sola volta, chiarimenti o elementi
integrativi di giudizio. (2) Le dimissioni dei consiglieri comunali sono immediatamente ef
ficaci senza che sia necessaria la loro presa d'atto da parte del consiglio, e diventano irretrattabili con la loro documen
tazione. (3)
II
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA TOSCANA; sezione I; sentenza 26 marzo 1993, n. 249; Pres.
ed est. Berruti; Pratesi ed altri (Avv. Predieri, Bianchi) c. Min. interno ed altro (Avv. dello Stato Andronio).
Comune e provincia — Consigliere comunale — Dimissioni —
Efficacia — Limiti (R.d. 3 marzo 1934 n. 383, art. 10; d.p.r. 10 gennaio 157 n. 3, art. 124; d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570,
peraltro, la qualificazione del registro di protocollo come atto pubblico appare fatalmente influenzata dalla interpretazione corrente della fatti specie incriminatrice. Significativa in tal senso Cass. 25 settembre 1980, Califfo, id., Rep. 1982, voce cit., n. 13, secondo la quale elemento caratterizzante l'atto pubblico, ai fini della tutela prevista dall'art. 476
c.p., non è tanto la particolare intensità della sua efficacia probatoria, quanto l'appartenenza del fatto attestato alla sfera di attività diretta mente compiuta dal pubblico ufficiale o caduta sotto la sua immediata percezione. In questa luce sono qualificabili atti pubblici anche atti me ramente interni, destinati a documentare «fatti inerenti all'attività da lui [pubblico ufficiale] svolta ed alla regolarità delle operazioni ammini strative alle quali egli è addetto»: nella specie il registro protocollo delle licenze edilizie. In generale, sulla maggior ampiezza della nozione pena listica di atto pubblico, da ultimo, Grande, Falsità in atti, voce del
Digesto pen., Torino, 1991, V, 52, spec. 57; in senso critico, Antolisei, Manuale di diritto penale, 10a ed. a cura di L. Conti, parte speciale, Milano, 1991, II, 99, nota 76.
Per la dottrina pubblicistica, M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1993, II, 948, 975, considera il registro di protocollo come
quello avente minore rilevanza nella categoria dei registri, dal momento che svolge funzione di mero acclaramento del fatto dell'arrivo o della
partenza di un documento. In quanto tale, esso non determina certezze legali (ovvero l'obbligo per i consociati di assumere come certo ciò che è enunciato nell'atto di certezza), ma solo certezze notiziali. Secondo l'autore, l'attribuzione di certezza legale è coperta da riserva di legge in considerazione della eccezionalità della sua efficacia. In assenza di espressa norma di legge — e ciò in specie per gli acclaramenti — la certezza creata è meramente notiziale e dunque non sottoposta al parti colare regime di verificazione rappresentato dalla querela di falso. Nel senso della non vincolatività per il giudice amministrativo della effica cia riconosciuta agli atti pubblici dall'art. 2700 c.c., Picozza, Processo amministrativo (normativa), voce dell'Enciclopedia del diritto, Milano, 1988, XXVI, 494, secondo il quale argomento a contrario della libertà del sistema delle prove nel processo amministrativo è proprio la possibi lità per il giudice, prescindendo dalla querela di falso, di «desumere aliunde elementi di prova, anche in via indiziaria, capaci di smentire quanto viceversa affermato nell'atto pubblico». Sul punto, in termini, Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 1984, n. 321, Foro it., Rep. 1984, voce Giustizia amministrativa, n. 611, il quale, peraltro, ha espresso l'anzi detto principio a proposito di deliberazione di commissione per l'inqua dramento del personale in riferimento a fatti (mansioni svolte dai di pendenti) suscettibili di vario apprezzamento. Per un accenno alla pro blematica della certezza della data di ricezione degli atti in materia di controlli amministrativi, Staderini, Diritto degli enti locali, Padova, 1991, 377.
Per la casistica degli atti tradizionalmente ritenuti dal giudice ammi nistrativo assistiti da fede privilegiata, Cassarino, Il processo ammini strativo, Milano, 1987, II, 259 s., e, da ultimo, sui limiti della fede privilegiata dei verbali di accertamento amministrativi, Cass., sez. un., 25 novembre 1992, n. 12545, Foro it., 1993, I, 2225, con nota di Travi, I verbali amministrativi come mezzo di prova nei giudizi civili di oppo sizione a sanzione pecuniaria, nonché Cass. 11 dicembre 1992, n. 13122, ibid., 2890, con osservazioni di Farnararo, a proposito delle relazioni di medici e assistenti sociali al tribunale per i minorenni.
Sulla querela di falso, Verde, Querela di falso, voce dell'Enciclope dia giuridica Treccani, Roma, 1991, XXV, e, per il processo ammini strativo, Frisina, Osservazioni in tema di incidente di falso nel proces so amministrativo, in Giur. merito, 1984, 1302.
(2) Con la statuizione di cui alla seconda massima, l'adunanza plena ria conferma Tar Basilicata 7 novembre 1991, n. 322, Foro it., 1993, III, 251, pur disponendone la correzione della motivazione. Si tratta della prima autorevole soluzione ai problemi interpretativi posti dal l'art. 34, 7° comma, 1. 8 giugno 1990 n. 142, peraltro tutti superati dalla successiva 1. 25 marzo 1993 n. 81 sulla elezione diretta del sindaco e del presidente della giunta provinciale, la quale ha completamente sostituito il vecchio art. 34 qui applicato dall'adunanza plenaria.
Il Foro Italiano — 1994.
art. 81; 1. 8 giugno 1990 n. 142, art. 32, 34, 36, 37 bis, 39,
64; 1. 25 marzo 1993 n. 81, art. 20, 22).
Le dimissioni dei consiglieri comunali, che devono essere comu
nicate al sindaco quale presidente del collegio consiliare, pro ducono effetti solo dalla presa d'atto da parte dell'assemblea
e sono revocabili sino a tale momento. (4)
I
Diritto. — 1. - Va esaminato con priorità, in quanto relativo
ad un vizio attinente alla formazione dell'atto impugnato, il
quarto motivo di appello (erroneamente rubricato come quinto nell'atto introduttivo del giudizio) con cui si deduce che la deli
bera consiliare di nomina del sindaco e della giunta era divenu
ta esecutiva, per decorso del termine di controllo, alla data del
la richiesta di chiarimenti da parte del Coreco e che quest'ulti
Una prima questione consiste nel dies a quo di decorrenza del termi ne di tre giorni per effettuare il controllo. L'adunanza plenaria legge in senso antiletterale l'art. 34, 7° comma, in quanto ritiene che il termi ne in questione debba decorrere non dall'invio, bensì dalla ricezione da parte dell'organo tutorio. Ciò in base al disposto dell'art. 46 della stessa 1. 142/90 — assunto ad archetipo della disciplina in materia di controlli — rispetto al quale, dunque, l'art. 34, 7° comma, è norma
speciale esclusivamente in ordine alla diversa ampiezza del termine. Nello stesso senso si erano espressi i primi commentatori della 1. 142/90 i quali parevano unanimi nel riconoscere che, per garantire la stessa sus sistenza del termine, fosse necessario far coincidere la sua decorrenza con la ricezione della deliberazione da parte dell'organo di controllo
(in tal senso, Italia-Bassani, Le autonomie locali, Milano, 1990, 550; Marzanati, L'organizzazione di governo del comune, Milano, 1990, 152, nota 162). Anzi, secondo altri, diversamente opinando, dovrebbe dubitarsi della legittimità costituzionale della norma in rassegna, in quanto non idonea a garantire l'esame dell'atto da parte dell'organo tutorio
(Staderini, op. cit., 272). Distinta questione è quella della natura preventiva o successiva del
controllo di legittimità in esame, ovvero degli effetti da ricollegare alla scadenza del termine di tre giorni, se di consumazione della potestà di controllo, oppure di mera esecutività provvisoria della deliberazione, fatto salvo l'eventuale annullamento tutorio. In quest'ultimo senso si erano espressi, oltre alla sentenza Tar Basilicata oggetto di gravame, alcuni commentatori, ancorché in termini almeno in parte dubitativi
(Marzanati, op. loc. cit.; Vandelli, Ordinamento delle autonomie lo cali, Bologna, 1990, 200). L'intervento del comitato regionale di con trollo avverrebbe nell'ordinario termine di venti giorni dalla ricezione dell'atto su una deliberazione che, però, entro tre giorni dal suo invio sarebbe già divenuta esecutiva. Ben sarebbe possibile, successivamente al decorso del termine «breve», la interruzione del termine «lungo» a
seguito di richiesta di chiarimenti, cosi come non vi sarebbe dubbio in ordine all'obbligo del comitato di controllo di comunicare l'eventua le provvedimento di annullamento al comune (ovvero alla provincia). Detta ricostruzione ha il pregio di non costringere all'interpretazione antiletterale della espressione «entro tre giorni dall'invio». Parte della dottrina, però, evidenzia la singolarità di un istituto siffatto. Non si tratterebbe in senso proprio di controllo successivo, bensì in qualche modo «misto», dal momento che la deliberazione non è immediatamen te esecutiva ma lo diviene entro tre giorni dall'inoltro della deliberazio ne, il che appare, se non altro, difficilmente conciliabile con le esigenze di celerità cui si ispirava la previsione di un termine di soli tre giorni (Italla-Bassani, op. cit., 551). La pronuncia in rassegna, anche in que sto caso, muove dalla premessa che il paradigma normativo dell'art. 34, 7° comma, vada rinvenuto nell'art. 46 della legge di riforma. Nel sistema da questa delineato, l'unico controllo previsto è quello preven tivo di legittimità. Questo va esercitato nel termine ordinario di venti giorni (art. 46) o nel termine eccezionale di tre giorni (art. 34). È erro neo, dunque, ritenere la deliberazione di nomina dell'esecutivo efficace non appena decorso il termine di tre giorni, con salvezza delle successi ve — ordinarie — misure di controllo. Da ciò la correzione della moti vazione della sentenza appellata.
Detta impostazione conduce a dare risposta affermativa alla ulteriore questione della possibile richiesta di chiarimenti e conseguenziale inter ruzione del termine di controllo, vista come regola autonoma rispetto a quella statuente la durata del termine stesso. Sul punto, in senso con trario Vandelli, op. cit., 200. In effetti, la richiesta di chiarimenti po trebbe prestarsi alla elusione del termine di decadenza posto dall'art. 34, 2° comma, qualora l'organo tutorio richieda elementi integrativi. Il termine di esecutività, infatti, ricomincia a decorrere, a norma del l'art. 46, 4° comma, dal momento della ricezione degli atti richiesti. Poiché è prassi piuttosto diffusa presso gli organi tutori quella per cui la mera presentazione di esposto risulta sufficiente motivo di richiesta di elementi integrativi, il ritardo da parte dell'amministrazione nel for nire detti elementi sarebbe sufficiente — salvo ulteriori interpretazioni
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 10
ma era illegittima perché proveniva dal presidente dell'organo anziché dal collegio.
Il motivo è infondato. Dalla documentazione acquisita agli atti risulta che le deliberazioni del consiglio comunale di Genza no di Lucania 17 gennaio 1991, nn. 4, 5, 6 e 7, recanti rispetti vamente presa d'atto delle dimissioni del consigliere Rocco Di
Bono, surroga del medesimo con il primo dei non eletti Anto
nio Bruscella, presa d'atto delle dimissioni del sindaco Nicola
Menchise ed elezione del nuovo sindaco previa approvazione del documento programmatico, erano state protocollate in arri
vo presso la sezione di Melfi del Coreco il 21 gennaio successivo
ed erano state oggetto da parte del Coreco medesimo di richie sta di chiarimenti, prima, il 23 gennaio e di annullamento, poi, il 7 febbraio.
Riguardo al controllo delle deliberazioni di nomina del sinda
co e della giunta, l'art. 34, 7° comma, 1. 8 giugno 1990 n. 142
dispone che esse diventano esecutive entro tre giorni dall'invio
all'organo regionale di controllo ove non intervenga l'annulla mento per vizio di legittimità.
Si osserva innanzitutto l'improprietà in cui è incorso il legi slatore, nell'aver usato, per indicare il dies a quo del termine
per il controllo, l'espressione: «invio». È evidente che il breve
lasso di tre giorni accordato al Coreco per l'esercizio del con
trollo non può decorrere che dal momento in cui le delibere
pervengono nella disponibilità dell'organo; sicché, per esigenze di ragionevolezza, l'espressione deve essere intesa come un invio
adeguatrici della norma — a procrastinare nel tempo la esecutività della deliberazione e, dunque, la effettiva costituzione dell'esecutivo.
(3-4) La motivazione dell'ordinanza sez. V 8 settembre 1992, n. 766, Foro it., Rep. 1992, voce Comune e provincia, n. 379, che ha rimesso la questione all'adunanza plenaria, si legge in Cons. Stato, 1992, I, 1088. In questo caso, a differenza di quanto segnalato per il principio di cui alla seconda massima, il contrasto insorto in giurisprudenza viene sanato dall'adunanza plenaria in vigenza della norma oggetto di inter
pretazione, ma quasi in limine alla emanazione di quella che, nella dire zione indicata da palazzo Spada, ha recentemente (ri)disciplinato l'isti tuto. Si tratta dell'art. 32 bis 1. 142/90, introdotto dall'art. 7, 1° com
ma, 1. 15 ottobre 1993 n. 415 che testualmente recita: «Le dimissioni dalla carica di consigliere sono presentate dal consigliere medesimo ai
rispettivi consigli. Esse sono irrevocabili, non necessitano di presa d'at to e diventano efficaci una volta adottata dal consiglio la relativa surro
gazione che deve avvenire entro venti giorni dalla data di presentazione delle dimissioni».
Il precedente contrasto era insorto all'indomani dell'entrata in vigore della 1. 142/90. Poiché l'art. 64 della legge di riforma ha abrogato l'art. 10 r.d. 3 marzo 1934 n. 383, nonché l'art. 158 r.d. 12 febbraio 1911 n. 297 sono venuti meno i fondamenti normativi dell'istituto della c.d.
presa d'atto delle dimissioni. Mentre la seconda norma attribuiva espres samente ai consigli — ovvero alle giunte in quanto le sessioni dei primi non fossero aperte — la competenza a prendere atto delle rinunce pre sentate dai rispettivi membri, precisando che le medesime non possono più essere ritirate dopo che ne sia stato preso atto, il successivo art. 10 disponeva, in termini molto più generali, che l'accettazione delle dimissioni da un determinato ufficio spetta alla medesima autorità che ha proceduto alla nomina [sulla diversa natura delle due disposizioni — ricognitiva la prima («presa d'atto»), ma negoziale la seconda («ac cettazione») — Galateria, Gli organi collegiali amministrativi, Mila
no, 1969, 107]. La questione assume particolare rilievo — ed è questa la fattispecie dove più di frequente è stata sollevata — in ipotesi di dimissioni «a catena» tali da provocare cioè la perdita della metà dei
consiglieri (art. 39, n. 2, 1. 142/90). Evidentemente diverse sono le con
seguenze a seconda che il superamento della soglia predetta operi sulla scorta della mera presentazione delle dimissioni, o in forza del loro
«perfezionamento» a seguito della presa d'atto. Nel senso della immediata efficacia delle dimissioni all'atto della loro
presentazione, oltre alla citata sentenza del Tar Basilicata oggetto di
gravame, si veda Tar Liguria, sez. II, 11 maggio 1992, n. 144, Foro
it., 1993, III, 250, con nota che richiama il precedente in sede consulti
va Cons. Stato, sez. I, 10 luglio 1991, n. 1560, id., Rep. 1992, voce
cit., n. 353, e, da ultimo, Tar Lombardia, sez. Brescia, 25 febbraio
1993, n. 81, Trib. amm. reg., 1993, I, 1291. Cosi pure si esprimeva,
per quanto in termini ovviamente non assertivi, l'ordinanza del Consi
glio di Stato di rimessione all'adunanza plenaria, alla quale si rimanda
per la sintetica esposizione degli argomenti interpretativi utilizzati dai
due distinti indirizzi. Sempre nel senso della efficacia immediata delle
dimissioni, va segnalata, nel regime previgente, Tar Lombardia 11 di
cembre 1974, n. 63, Foro it., Rep. 1975, voce cit., n. 76. Nel senso della necessità della formale presa d'atto, secondo la ripor
tata sentenza del Tar Toscana, Cons. Stato, sez. V, 22 novembre 1991, n. 1346, id., Rep. 1992, voce cit., n. 377; Tar Veneto, sez. I, 9 febbraio
1993, n. 199, Trib. amm. reg., 1993, I, 1323.
11 Foro Italiano — 1994.
che raggiunga il suo scopo, ossia, in sostanza, come un invio
cui corrisponda la ricezione dell'atto da parte del destinatario. Ciò posto, i problemi interpretativi nella presente fattispecie
sono essenzialmente tre e si ricollegano: a) al fatto che gli appellanti hanno prodotto la dichiarazione
di un funzionario in servizio presso il Coreco, a mente della
quale i provvedimenti comunali in questione sarebbero in realtà
ivi pervenuti alle ore 12,30 del precedente sabato 19 gennaio e sarebbero stati protocollati soltanto il lunedi 21 per impedi menti di carattere organizzativo, onde gli appellanti deducono
la tardività della stessa richiesta di chiarimenti del 23 gennaio, nonché del successivo atto negativo di controllo del 7 febbraio;
ti) al fatto che l'art. 34, 7° comma, 1. 142/90, ricollegando l'esecutività dell'atto soggetto a controllo al decorso del termine
di tre giorni senza che ne sia intervenuto l'annullamento, preve derebbe in tal caso la consumazione del potere di controllo, rendendo inammissibile la richiesta di chiarimenti;
c) al fatto che comunque, nella specie, la richiesta di chiari menti sarebbe illegittima perché proveniente dal presidente del
l'organo anziché dal collegio.
Quanto ad a), si osserva che il protocollo delle pubbliche am
ministrazioni è un atto pubblico di fede privilegiata (cfr. Cass., sez. V, 15 giugno 1990, n. 8816, Licciardello; 6 ottobre 1987,
Anzini, Foro it., Rep. 1988, voce Falsità in atti, n. 21; 17 otto
bre 1980, n. 10526, Galiffo; sez. Ili 21 settembre 1966, n. 1571,
Crinzi, id., Rep. 1967, voce cit., n. 34) avente ad oggetto, tra
l'altro, la data di ricezione dei singoli atti.
Nella specie, gli appellanti non hanno né proposto querela di falso nei confronti delle predette risultanze del protocollo del Coreco, né chiesto termine per proporla, ai sensi dell'art.
41 reg. Cons. Stato (r.d. 17 agosto 1907 n. 642), sicché la loro
pretesa di far accertare una situazione di fatto contrastante con
le risultanze di un atto pubblico fidefaciente è priva di fonda
mento, a nulla potendo rilevare la documentazione prodotta.
Quanto a b), la sentenza appellata ha interpretato l'art. 34, 7° comma, 1. 142/90 nel senso che il decorso del termine di
tre giorni senza annullamento farebbe acquisire all'atto effica
cia, fermo restando il potere di controllo ed il normale svolgi mento del relativo procedimento.
È da osservare in contrario che per gli atti amministrativi
soggetti a controllo degli enti locali l'attributo della esecutività, che qui viene in discussione, è ricollegato dalle norme all'esito
positivo, per decorso del termine o per esame favorevole, del
controllo, che è preventivo (cfr. art. 46, commi 1°, 5° e 8°, 1. 142/90), ovvero, nei casi di provvedimenti non soggetti a con
trollo, al decorso di un termine dal compimento di misure di
pubblicità (art. 47, 2° comma), mentre l'esecuzione anticipata
dell'atto, nei casi di urgenza e salvo l'esperimento del controllo, è per tradizione ricondotta alla immediata eseguibilità (cfr. art.
97 t.u. 3 marzo 1934 n. 358, sub art. 3 1. 9 giugno 1947 n.
530; adesso, art. 47, 3° comma, I. 142/90). Siccome l'art. 34, 7° comma, 1. 142/90, in questione, dispone
che le deliberazioni di nomina del sindaco, del presidente della
provincia e della giunta diventano esecutive entro tre giorni dal
l'invio all'organo regionale di controllo ove non intervenga l'an
nullamento per vizio di legittimità, l'ipotesi interpretativa del
Tar, che coniuga esecutività dell'atto e salvezza delle misure
di controllo, contrasta con il dato normativo.
Il vero è che il paradigma normativo dell'art. 34, 7° comma, della legge più volte citata corrisponde a quello del 1° comma
dell'art. 46 della stessa legge, recante la disciplina del procedi mento di controllo preventivo di legittimità degli atti e del bi
lancio.
Tale 1° comma dispone che le deliberazioni indicate dall'art.
45 diventano esecutive se nel termine di venti giorni dalla rice
zione delle stesse il comitato regionale di controllo non abbia
adottato un provvedimento di annullamento, dandone nel me
desimo termine comunicazione all'ente interessato.
Il 4° comma, peraltro, dispone che il termine è interrotto
per una sola volta se prima della sua scadenza il comitato regio nale di controllo chieda chiarimenti o elementi integrativi di giu dizio all'ente deliberante e che in tal caso il termine per l'annul
lamento riprende a decorrere dal momento della ricezione degli atti richiesti.
La disciplina dei termini del procedimento di controllo è da
ta, quindi, con un duplice precetto: regola primaria del termine
ordinario (1° comma) e regola secondaria dell'interruzione del
termine (4° comma).
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PARTE TERZA
Ora, la disposizione dell'art. 34, 7° comma, cit., deroga alla
regola del termine ordinario, modificandone la durata, per le
deliberazioni di nomina del sindaco, del presidente della provin cia e della giunta, da venti giorni a tre.
Il fatto che essa nulla disponga in ordine all'interruzione del termine per chiarimenti o elementi integrativi di giudizio non vuol dire che questa non sia ammessa: accelerazione del proce dimento non equivale necessariamente, infatti, a soppressione della fase istruttoria eventuale, soppressione che, fra l'altro, po trebbe porre dubbi di legittimità costituzionale in riferimento
agli art. 3 e 97 Cost.
Il fatto si spiega, invece, con ciò, che quella dell'interruzione del termine è una regola secondaria autonoma, che non si trova in rapporto di dipendenza necessaria con l'elemento della rego la primaria (la durata del termine del controllo) oggetto di de
roga: non essendo compresa né esplicitamente né implicitamen te nell'ambito della deroga, essa spiega la sua normale operati vità, senza necessità di richiamo, nell'ambito del procedimento di controllo che, per tutto quel che non attiene alla deroga, resta quello ordinario.
Allo stesso modo, nessuno dubita che la mera previsione di un termine differenziato (quaranta giorni) per il controllo del bilancio preventivo e del conto consuntivo (8° comma dell'art. 46 cit.) non alteri, nel resto, la tipicità del procedimento e non escluda l'interrompibilità del termine per chiarimenti ed elementi
integrativi di giudizio. Si tratta, del resto, di una regola corrispondente ad evidenti
esgenze di effettività del controllo, che solo una esclusione nor mativa esplicita varrebbe a derogare.
Dal combinato-disposto degli art. 34, 7° comma, e 46, 1° e 4° comma, 1. 142/90 si desume, quindi, che le deliberazioni di nomina del sindaco, del presidente della provincia e della
giunta sono soggette ad un termine di tre giorni entro il quale possono essere annullate dall'organo regionale di controllo, al l'inutile decorso del quale diventano esecutive; peraltro, il ter mine può essere interrotto per una sola volta dal comitato re
gionale di controllo mediante richiesta di chiarimenti o di ele menti integrativi di giudizio, e, in tal caso, riprende a decorrere dal momento della ricezione degli atti richiesti.
Nella specie, l'atto di nomina del sindaco e della giunta sog getto a controllo non era divenuto esecutivo in quanto, prima della scadenza del termine di tre giorni decorrente, per quanto prima detto, dal 21 gennaio, detto termine era stato interrotto dal Coreco con l'atto di richiesta di chiarimenti del 23 gennaio.
In tal senso va corretta la motivazione della sentenza appellata. Quanto a c), gli appellanti hanno reiterato le doglianze circa
l'esercizio monocratico anziché collegiale del potere del Coreco di richiedere chiarimenti, doglianze che però il Tar aveva giu stamente disatteso rilevando che il presidente si era limitato a comunicare la richiesta di chiarimenti deliberata collegialmente, sicché la censura non ha pregio.
2.1. - Con il primo motivo gli appellanti deducono che erro neamente l'organo di controllo ed il Tar che ha respinto il ri corso di primo grado hanno ritenuto avere il consiglio comuna le di Genzano di Lucania perduto la metà dei propri componen ti, in quanto le dimissioni dei consiglieri comunali non sono immediatamente efficaci ma richiedono la presa d'atto del con
siglio che, nella specie, aveva surrogato l'unico consigliere delle cui dimissioni aveva preso atto, a nulla rilevando che, in data successiva al primo, altri nove consiglieri avessero rassegnato le dimissioni.
Il motivo è infondato.
L'ordinanza di rimessione, dopo aver rilevato che sul punto della perdurante vigenza della presa d'atto delle dimissioni dei
consiglieri comunali si sono avute contrastanti pronunce, esen dosi data al quesito risposta affermativa da sez. V 22 novembre 1991, n. 1346 {id., Rep. 1992, voce Comune e provincia, n.
377) e risposta negativa da sez. I 10 luglio 1991, n. 1560/91
(ibid., n. 353), sottolinea le ragioni storiche dell'istituto, legate a vicende ordinamentali oggi superate e mette in dubbio che l'accettazione delle dimissioni costituisca un principio generale dell'ordinamento.
Al riguardo, va osservato che nel pubblico impiego il fatto che l'estinzione del rapporto per volontà del dipendente non sia automatica ma richieda il concorso di un atto di accettazio ne dell'amministrazione, coessenziale all'interesse pubblico, in considerazione della rilevanza organizzatoria che quell'estinzio ne esplica sulla struttura burocratica e dell'esigenza che l'ammi nistrazione non risenta conseuenze pregiudizievoli dall'improv
II Foro Italiano — 1994.
visa cessazione del rapporto. Essa deve, cioè, avere la possibili tà, entro i limiti dello spatium deliberandi dell'accettazione, di adottare le opportune misure organizzative — e, per esigenze di pubblico interesse può anche, in vario modo, ritardare —
o perfino rifiutare — l'accettazione, restando comunque il di
pendente tenuto a proseguire medio tempore nell'adempimento dei doveri d'ufficio.
Sotto questo profilo l'accettazione delle dimissioni appare spe culare all'atto di nomina: come il rapporto di pubblico impiego si costituisce, di norma, non consensualmente, ma con atto uni laterale dell'amministrazione, recedendo il comportamento ade sivo del nominato da elemento costitutivo a mera condizione di efficacia, cosi la manifestazione di volontà abdicativa del pub blico dipendente non è sufficiente di per sé a determinare l'ef fetto estintivo del rapporto.
Del resto, anche nel rapporto di lavoro privato il recesso del
prestatore di lavoro, pur attuandosi con un atto unilaterale re cettizio idoneo a determinare l'estinzione del rapporto di lavoro
indipendentemente dalla volontà del datore di lavoro, è purtut tavia sottoposto alla condizione di liceità del preavviso, in man canza del quale il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'in dennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe
spettata per il periodo di preavviso (art. 2118 c.c.). Ecco, quindi, che l'accettazione delle dimissioni, prevista in
via generale per gli impiegati civili dello Stato (art. 124 t.u. 10 gennaio 1957 n. 3), è contemplata specificamente per gli uf ficiali (art. 43 1. 10 aprile 1954 n. 113) ed i sottufficiali (art. 34 1. 31 luglio 1954 n. 599) dell'esercito, della marina e dell'ae
ronautica, per il personale insegnante della scuola (art. 110 d.p.r. 31 maggio 1974 n. 417), per gli operai dello Stato (art. 53 1. 5 marzo 1961 n. 90), per i dipendenti degli enti pubblici substa tali (art. 12, lett. a, 1. 20 marzo 1975 n. 70), per il personale del servizio sanitario nazionale (art. 54 d.p.r. 24 dicembre 1979 n. 761).
Nel rapporto di servizio onorario l'accettazione delle dimis sioni è prevista espressamente per i giudici costituzionali (art. 17 del regolamento generale 20 gennaio 1966 della Corte costi
tuzionale), mentre danno luogo a pronuncia di decadenza dal l'ufficio le dimissioni dei magistrati onorari che esercitano le funzioni di giudice di pace (art. 9, 1° e 3° comma, 1. 21 novem bre 1991 n. 374).
Per quanto riguarda le cariche elettive, ed in particolare quel la di membro del parlamento, l'accettazione delle dimissioni, pur nel silenzio dei regolamenti parlamentari, vige nella prassi.
Le dimissioni dei membri del parlamento, a quanto consta, sono sempre oggetto di voto da parte dell'assemblea, con o sen sa discussione, con o senza previa dichiarazione di voto, a me no che siano presentate per incompatibilità, nel qual caso sono accettate senza discussione né votazione.
L'assemblea, per prassi, respinge in prima istanza le dimissio
ni, salvo ad accoglierle in una successiva seduta, se vengono reiterate.
Tanto tutto ciò è vero, che laddove invece è prevalente, in relazione all'esercizio dello ius ad officium costituzionalmente garantito, l'esigenza di una sollecita efficacia delle dimissioni, come in materia di rimozione di cause di ineleggibilità, l'ordi
namento, con una valutazione legale tipica, equipara all'accet tazione delle dimissioni l'effettiva astensione da ogni atto ine rente all'ufficio rivestito preceduta dalla formale presentazione delle dimissioni: sic et simpliciter, come in materia di elezioni della camera dei deputati (art. 7, 3° comma, d.p.r. 30 marzo 1957 n. 361), ovvero dopo la scadenza del termine di cinque giorni senza che sia stato adottato il provvedimento dell'ammi
nistrazione, come in materia di elezioni amministrative (art. 2, 3° e 5° comma, 1. 23 aprile 1981 n. 154).
Da questo articolato quadro normativo, appare conseguente ritenere che l'efficacia non automatica delle dimissioni dei tito lari di pubbliche cariche e di pubblici uffici, costituisce una re gola diffusa, anche se giustificata da ragioni differenziate.
2.2. - 11 problema, dunque, si risolve nello stabilire se la 1. 142/90 abbia inteso o meno disporre una deroga alla regola generale in relazione alle dimissioni dei consiglieri comunali.
Al quesito va data risposta affermativa. Va in primo luogo rilevato che la presa d'atto delle dimissio
ni dei consiglieri si pone, dal punto di vista funzionale, per i comuni con oltre 5.000 abitanti (tra i quali rientra il comune di Genzano di Lucania il funzionamento del cui consiglio è qui controverso) in termini diversi che, per qualsiasi amministrazio ne pubblica, l'accettazione delle dimissioni dei propri dipendenti.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
In quest'ultima evenienza, infatti, il venir meno della presta zione lavorativa dei singoli dipendenti, specialmente quando que sti siano preposti ad uffici di direzione o di coordinamento, determina nella struttura burocratica problemi organizzativi non
predeterminabili a priori, la cui soluzione è rimessa all'apprez zamento discrezionale dell'amministrazione.
Nel primo caso, invece, le vicende modificative nella compo sizione del consiglio comunale sono disciplinate direttamente dalla
legge, la quale da un lato pone la regola della surrogazione del
consigliere venuto meno per qualsiasi causa con il candidato
che nella medesima lista segue immediatamente l'ultimo eletto
(art. 81 t.u. 16 maggio 1960 n. 570; art. 22 1. 25 marzo 1993
n. 81), dall'altro indica la soglia di depauperamento — metà
dei consiglieri — raggiunta la quale il Consiglio non può rinno
varsi per surrogazione, ma va sciolto, e vanno indette nuove
elezioni (art. 39, 1° comma, lett. b, n. 2, 1. 142/90). I provvedimenti conseguenziali, quindi, sono fissati dalla leg
ge in maniera vincolata.
A ciò si aggiunga la considerazione che l'accettazione del man
dato amministrativo elettivo non crea vincoli giuridici ma dà
luogo ad un impegno fiduciario che può sempre essere rinunzia
to attraverso un'autonoma dichiarazione di volontà (sez. V 28
aprile 1950, n. 528, id., Rep. 1950, voce Elezioni amministrati ve, n. 21). Se ciò è vero anche per i membri del parlamento, va però rilevato che si è qua in un campo diverso da quello
amministrativo, dove la prassi parlamentare opera al di fuori
dalle normali regole vigenti entro la pubblica amministrazione.
Dal punto di vista giuridico, quindi, la presa d'atto delle di
missioni dei consiglieri comunali è priva, rispetto al tipo gene
rale, dei profili teleologici e dei contenuti discrezionali suoi tipi
ci, restandone escluso il potere di respingere o di differire in
senso proprio le dimissioni.
Essa tende piuttosto ad atteggiarsi come atto dovuto e, infat
ti, forse non a caso, l'art. 158 r.d. 12 febbraio 1911 n. 297,
che la prevedeva, usava l'enunicato di «presa d'atto».
In verità, volendosi interrogare sul ruolo dell'istituto, a parte le funzioni storicamente superate collegate alla rinnovazione par
ziale annuale dei consigli comunali nel periodo anteriore al 1915
(messe in evidenza dall'ordinanza di rimessione), ed il rigetto
«di cortesia» delle prime dimissioni, il terreno elettivo su cui
si è essenzialmente radicata la presa d'atto delle dimissioni dei
consiglieri comunali è stato tradizionalmente quello politico. Dimissioni determinate da motivi politici hanno trovato nel
passaggio obbligato della presa d'atto, fino al cui compimento
erano retrattabili, un momento di partecipazione generale, uno
strumento di denuncia e di pressione, un veicolo di dibattito
e di mediazione politica. In qualche caso, peraltro, della presa d'atto delle dimissioni
si è fatto un uso distorto, per procrastinare le surrogazioni o
per frazionarle artificiosamente e cosi eludere il principio del
l'integrale rinnovo del consiglio comunale.
La 1. 142/90 ha abrogato, com'è noto, l'art. 158 r.d. 12 feb
braio 1911 n. 297, che prevedeva la presa d'atto delle dimissioni
e l'art. 10 r.d. 3 marzo 1934 n. 383, che riaffermava, sotto
il profilo della competenza dell'organo, il principio dell'accetta
zione delle dimissioni (art. 64, 1° comma, lett. a, e c, 1. 142/90).
Vero è che quando una disposizione è espressione di un prin
cipio generale la sua abrogazione non impedisce, di per sé, che
una data fattispecie resti regolata da quel prinicpio, ma è altresì
vero che l'abrogazione di quella disposizione può costituire il
sintomo della volontà del legislatore di derogare implicitamente a quel principio in casi e/o tempi determinati.
Nella specie, il fatto che gli atti normativi in questione (r.d.
297/11 e r.d. 383/34) siano stati abrogati non integralmente ma con salvezza di alcune disposizioni, tra le quali non sono
comprese quelle concernenti l'accettazione delle dimissioni, è un
primo sintomo dell'intenzione del legislatore non tanto e non
solo di abrogare certe disposizioni, ma di non volere in maniera
specifica la regolamentazione di cui quelle disposizioni erano
fonte.
In secondo luogo, la volontà derogatoria del legislatore sem
bra potersi desumere dal disegno ordinamentale globale degli
organi di governo dell'ente.
L'immediata efficacia delle dimissioni è disposta testualmen te per il sindaco e per la giunta, la cui elezione deve avvenire
entro sessanta giorni dalla data di presentazione delle dimissioni
(art. 34, 2° comma, e 39, 1° comma, lett. b, n. 1,1. n. 142, cit.).
Questa disposizione è indicativa degli scopi di celerità che il
legislatore ha inteso imprimere al funzionamento degli organi
Il Foro Italiano — 1994.
di governo dell'ente locale.
Se, come accennato, l'elezione del sindaco e della giunta deve
essere compiuta dal consiglio entro il termine perentorio di ses
santa giorni dalla proclamazione degli eletti o dalla vacanza co
munque verificatasi, si precisa che, in caso di dimissioni, il ter
mine decorre dalla data di presentazione delle stesse.
La finalità acceleratoria si realizza con l'imposizione di un
termine per provvedere e la tassatività del termine viene garan tita sancendone la decorrenza dalla data della presentazione delle
dimissioni. In caso contrario, si farebbe decorrere il dies a quo del termi
ne dal comportamento, discrezionalmente differribile, dell'or
gano medesimo nei cui confronti il termine è fissato.
Più in generale, il momento iniziale dei termini imposti al
consiglio per finalità acceleratone è certo e indispensabile da
parte del consiglio medesimo.
Cosi è per le nomine esterne, che devono essere effettuate
entro quarantacinque giorni dalla elezione della giunta — sotto
posta a sua volta al termine di sessanta giorni — o entro i ter
mini di scadenza del precedente incarico o comunque entro i
sessanta giorni dalla prima iscrizione all'ordine del giorno (art.
32, 2° comma, lett. n, e 36, 5° comma, 1. n. 142, cit.).
Cosi è per l'approvazione del bilancio che, trascorsi i termini
di legge, deve essere effettuata entro il termine non superiore a venti giorni assegnato dall'organo regionale di controllo (art.
39, 2° comma, 1. n. 142, cit.).
Ma, se il legislatore ha voluto rendere indisponibile dall'orga
no il momento iniziale dei termini imposti sotto comminatoria
di poteri sostitutivi o di scioglimento dell'organo medesimo, sta
bilendo anche che, in caso di dimissioni del sindaco e della giunta, il termine per la nuova elezione decorre dalla presentazione del
le dimissioni, è conseguente dedurne che, per analoghe ragioni,
anche la fattispecie dissolutoria delle dimissioni di almeno la
metà dei consiglieri è sottratta alla disponibilità del consiglio
sub specie di presa d'atto, e che tali dimissioni sono immediata
mente efficaci, e quindi irretrattabili, con la loro presentazione. In un quadro di accentuato efficientismo, infatti, il numero
delle dimissioni o è inferiore alla metà dei consiglieri — e allora
si può provvedere alle conseguenti surrogazioni — o è pari o
superiore alla metà dei consiglieri — e allora vuol dire che il
consiglio non è in grado di assicurare il proprio normale fun
zionamento e va sciolto, senza che al medesimo sia dato di in
terferire su 11'a/! o sul quando della fattispecie dissolutoria.
Il legislatore ha inteso non soltanto garantire la stabilità del
l'esecutivo — si veda in tal senso la mozione di sfiducia costrut
tiva — ma, più in generale, sottoporre a controllo pubblico l'i
doneità funzionale del consiglio comunale, cui compete di de
terminare l'indirizzo ed il controllo politico-amministrativo, a
compiere entro termini tassativi gli atti fondamentali della vita
dell'ente (elezione del sindaco e della giunta, approvazione del
bilancio), nonché l'integrità strutturale minima del medesimo
(oltre metà dei consiglieri) compatibile con il mantenimento in
vita dell'organo. Finalità acceleratone correlate al principio di cui all'art. 97
Cost, e che vengono attuate mediante automatismi procedimen
tali, dai quali esula ogni possibile momento di discrezionalità. Anche quando, come ai sensi dell'art. 37 bis, 3° comma, 1.
142/90, sub art. 20 1. 25 marzo 1993 n. 81, recante elezione
diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio
comunale e del consiglio provinciale, le dimissioni del sindaco,
che ai sensi del 1° comma comportano la decadenza della giun
ta e lo scioglimento del consiglio, diventano irrevocabili e pro
ducono gli effetti di cui al 1° comma non immediatamente, ma
trascorso il termine di venti giorni dalla loro presentazione al
consiglio, si tratta di un differente automatismo procedimenta
le, ma la presa d'atto è fuori gioco. Sembra chiaro che il legislatore ha inteso, in vista del supe
riore interesse al buon funzionamento dell'ente, espungere dal
costume quell'uso strumentale «d'annuncio» delle dimissioni,
correlato alla presa d'atto ed alla conseguente retrattabilità del
le stesse a tempo indeterminato, che era divenuto elemento co
stitutivo della prassi, o sua stratificazione.
È appena il caso di avvertire che, avendo le dimissioni la strut
tura della dichiarazione recettizia, esse restano retrattabili nel
l'intervallo tra la loro documentazione e la loro presentazione.
Né giova agli appellanti lamentare che in situazioni, come
quella presente, di lievissimo divario di consistenza numerica
tra maggioranza ed opposizione, le dimissioni di un solo consi
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PARTE TERZA
gliere della maggioranza potrebbero agevolmente consentire al la minoranza di provocare, mediante dimissioni in massa, lo
scioglimento del consiglio comunale. Potrebbe, infatti, verifi carsi il caso opposto, di dimissioni plurime dei consiglieri della maggioranza. È qui la legge che, a prescindere dai possibili casi
concreti, ricollega al fatto obiettivo delle dimissioni di almeno la metà dei consiglieri la conseguenza dello scioglimento del con
siglio comunale senza potersi procedere alle surrogazioni: quel lo lamentato, quindi, è un inconveniente applicativo, di segno contrario ad altri inconvenienti che il legislatore ha inteso scon
giurare, quali il permanere di un organo devitalizzato dal venir meno della volontà di partecipazione della metà e oltre dei suoi
membri, attraverso presa d'atto delle varie dimissioni fraziona te nel tempo, e surrogazioni preordinate alla conservazione di una compagine ormai compromessa. Del resto, come è noto, addurre un inconveniente derivante dall'applicazione di una nor
ma, non è utile alla sua disapplicazione. In base ai suesposti principi di diritto risulta che nei provve
dimenti di controllo del Coreco è fondato il motivo con cui si rileva essersi verificate le dimissioni della metà dei cosiglieri ed essere conseguentemente illegittime le deliberazioni control late (di presa d'atto delle dimissioni e di surroga di un consiglie re; di presa d'atto delle dimissioni del sindaco e di elezione del sindaco e della giunta).
3. - Atteso che i provvedimenti di controllo erano basati su
più motivi autonomi e che quello, testé esaminato, concernente la presa d'atto delle dimissioni, è fondato, restano assorbiti il
secondo, il terzo ed il quinto motivo, giacché in ogni caso i
provvedimenti impugnati non ne resterebbero vulnerati. Per le suesposte considerazioni, l'appello va respinto.
II
Diritto. — I ricorsi in epigrafe, congiuntamente chiamati in
pubblica udienza, vanno riuniti affinché siano contestualmente decisi, in considerazione pregiudiziale della connessione che essi
palesano sotto l'aspetto della pertinenza degli atti, con gli stessi ricorsi rispettivamente dedotti in impugnazione ad una stessa
complessa fattispecie di controllo sull'organo consiliare del co mune di Serravalle Pistoiese; fattispecie avente base normativa nelle disposizioni dell'art. 39 1. 8 giugno 1990 n. 142.
Ed invero, agli stessi presupposti di fatto hanno riferimento immediato sia il provvedimento prefettizio di sospensione del consiglio comunale di Serravalle Pistoiese e di conseguenziale nomina del commissario per la provvisoria amministrazione dello stesso comune, sia il decreto presidenziale di scioglimento, su
proposta del ministro dell'interno, dell'organo rappresentativo anzidetto (in applicazione rispettivamente del 7° e 1° comma del citato art. 39). In via mediata o derivata agli stessi fatti, d'altra parte, assunti quale causa di disfunzione degli organi locali, e ricondotto l'ulteriore provvedimento prefettizio di con vocazione dei comizi elettorali per la nuova formazione degli organi predetti (ai sensi del 4° comma della stessa predetta nor ma della legge sulle autonomie locali).
Dalla sequenza prowedimentale in esame risulta, invero, il chiaro intento delle autorità amministrative di esercitare i poteri rispettivamente loro attribuiti dall'art. 39 della legge sulle auto nomie locali, con riferimento alla fattispecie di disfunzioni del
l'organo consiliare del comune di Serravalle Pistoiese: fattispe cie ravvisata con riferimento alle supposte dimissioni di almeno la metà dei componenti il consiglio comunale in conseguenza delle dimissioni presentate dapprima dal consigliere Stefano Ago stini e successivamente dei nove consiglieri appartenenti ad al tro omogeneo gruppo politico.
L'applicabilità delle disposizioni legittimanti l'esercizio dei po teri di controllo, sugli organi (secondo la intitolazione del capo XI della stessa legge) mediante lo scioglimento e la sospensione dell'organo predetto e l'attribuzione di poteri sostitutivi ad un commissario prefettizio per la provvisoria amministrazione del l'ente, e, però, in concreto, resa controversa in relazione agli effetti, in primo luogo, dell'intervenuta revoca delle dimissioni dell'Agostini, comunicate in data anteriore all'emanazione del provvedimento prefettizio di sospensione e comunque prima che il consiglio comunale ponesse all'ordine del giorno l'esame e la deliberazione sulla surrogazione del dimissionario ai sensi del 2° comma dell'art. 31 (se ed in quanto l'inizio di tale procedura dovesse comportare la previa presa d'atto della cessazione della carica elettiva). Sotto diverso profilo di fatto (logicamente sot
II Foro Italiano — 1994.
toordinato al precedente punto di contestazione) è d'altra parte censurato l'esercizio dei poteri anzidetti non già in presenza di contestuali e contemporanee dimissioni di almeno la metà dei
consiglieri componenti il consiglio comunale, bensì' di dimissio ni succedutesi nel tempo (e presumibilmente non esercitate se condo una comune linea politico-motivatoria), in guisa da ren dere possibile il verificarsi del ritiro di alcuno di tali atti di dimissioni ovvero l'attivazione del procedimento di surrogazio ne. Siffatte ipotesi avrebbero invero l'effetto di impedire il pro dursi della fattispecie prevista dall'art. 39, lett. b), n. 2, 1. n. 142 del 1990, risultando in ogni caso ricostituito il quorum fun zionale del consiglio predetto.
Si precisa che nel caso in esame le dimissioni del consigliere Agostini e quelle successive dell'intero gruppo Pds (di nove con
siglieri) non sarebbero state occasionate da unico disegno politi co, di tal che, anche sotto questo ulteriore aspetto, in conformi tà con la tesi comunicata dal ministero dell'interno in data 7
giugno 1990, n. 1/102/12771, recante chiarimenti sul nuovo or dinamento delle autonomie locali, mancherebbe un fondamen tale presupposto per l'intervento di controllo dell'autorità am ministrativa centrale.
La censura prospettata è ad avviso del collegio fondata sotto il primo dei profili dedotti, assumendosi come rilevante la revo ca delle dimissioni dalla carica elettiva, comunicata tempestiva mente dal dimissionario consigliere comunale Agostini, in quanto causa della ricostituzione del numero legale e pertanto dalla fun zionalità del consiglio del comune di Serravalle Pistoiese.
La configurazione della revoca delle dimissioni nel caso in
esame, che non è controverso in fatto essere stata esercitata nei limiti di corretta applicazione dell'istituto e cioè anterior mente alla «presa d'atto» che l'organo destinatario dell'atto di dimissioni (e della relativa revoca) avrebbe dovuto esternare nelle forme deliberative proprie, costituisce oggetto di soluzioni con trastanti nella giurisprudenza. Gli argomenti di diversi rilievi ed indole addotti a sostegno della tesi negativa non si ritengo no, però, dal collegio convincenti (sul punto cfr. l'ord. n. 1346 in data 22 novembre 1991 con la quale la sez. V del Cons. Stato ha rimesso la soluzione della quesione all'ad. plen. Foro it., Rep. 1992, voce Comune e provincia, n. 378).
Tali argomenti, si sostanziano, sul piano della esegesi, nella osservazione che, per effetto dell'art. 64 1° comma, della legge sulle autonomie locali sono state abrogate, fra le altre numero se, le norme dell'art. 10 t.u. della legge com. e prov. del 1934 e l'art. 158 r.d. 12 febbraio 1911 n. 297 (recante il «regolamen to per l'esecuzione del testo unico della legge comunale e pro vinciale, con riferimento all'allora vigente t.u. 21 maggio 1908 n. 269 e successivamente applicate nella vigenza dei testi unici 4 febbraio 1915 n. 148 e 3 marzo 1934 n. 383): disposizioni cui è stata ricondotta l'enunciazione positiva della regola circa la possibilità del ritiro delle dimissioni dei consiglieri comunali sino alla «presa d'atto» deliberata dal consiglio comunale. Dal che risulterebbe abolito, si assume, l'istituto stesso della revoca, con la connessa disciplina della «presa d'atto» da parte dell'as semblea consiliare. L'estromissione dal vigente sistema positivo della «presa d'atto» quale atto attributivo di piena efficacia alle dimissioni, ne implicherebbe sul piano logico-giuridico (ed in apparente coerenza con la tesi che le dimissioni siano efficaci fin dalla non meglio definita loro «presentazione») la irrevoca bilità.
Ma trattasi di proposizioni che eccedono, ad avviso del colle gio, dal quadro normativo risultando dall'integrazione delle di sposizioni di legge e dal regolamento attuativo sopra ricordate: le une e le altre considerate nella prospettiva che esse avessero nell'ordinamento positivo la funzione di compiuta disciplina della materia e non, come sembra esegeticamente più corretto, il me ro significato di «rilevanza» della revoca e della presa d'atto delle dimissioni da cariche elettive, sul presupposto che il fon damento degli istituti in questione debba essere ricercato nella logica stessa del sistema e nei principi generali che da esso sono desumibili.
Quanto alle disposizioni del ricordato regolamento, deve os servarsi che esse figuravano nel contesto di norme dirette a di sciplinare, con forza di fonte secondaria, e con riguardo al regi me delle competenze rispettivamente attribuite al consiglio ed alla giunta comunale, la sostituzione di quest'ultimo nell'eserci zio di competenze proprie del primo.
In tale contesto esse precisavano che spettasse soltanto al con siglio comunale la presa d'atto delle dimissioni di un proprio componente: e ciò nell'intento di escludere espressamente che
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
il relativo potere ricognitivo potesse essere esercitato dalla giun ta in via sostitutiva e di urgenza.
Le norme regolamentari in esame non recano, quindi, la di
sciplina sostanziale delle dimissioni, delineandone la configura zione istituzionale con riferimento alla perfezione ed efficacia dell'atto ed all'eventuale ius poenitendi a favore del dimissiona rio, ma più limitatamente recano puntuali disposizioni esplicati ve dei criteri di riparto delle competenze fra gli organi collegiali dell'amministrazione comunale, nel rispetto, peraltro, del prin cipio generale dell'ordinamento che vuole rimessa allo stesso consesso rappresentativo ogni determinazione riguardante il giusto titolo di partecipazione dei propri membri ed ogni atto inciden te sul relativo status, con esclusione di procedure che comporti no, per urgenza o per altra contingenza, la devoluzione ad altro
organo sostitutivo. In questi stessi sensi va testualmente letto l'art. 10 t.u. legge com. e prov. del 1934, per il quale «la di chiarazione della decadenza e dell'accettazione delle dimissioni da un determinato ufficio spetta alla medesima autorità che ha
proceduto alla nomina», in quanto disposizione volta essenzial mente a dirimere questioni di competenza, in ordine all'accerta mento di situazioni incidenti sulla funzionalità degli enti, garan tendone, per quanto di ragione, l'autonomia, a fronte di inge renza di diverse autorità, delle valutazioni degli effetti degli atti
predetti. Chiaritane la funzione in tale più contenuto significato, ben
si comprendono le ragioni della abrogazione delle disposizioni anzidette ad opera del legislatore del 1990, sul riflesso che il diverso disegno delle attribuzioni degli organi degli enti locali, ed in paricolare del consiglio comunale e della giunta, tracciato nella nuova 1. n. 142 ha reso incompatibile ogni difforme ante riore normativa sul riparto delle competenze degli organi rap presentativi degli enti locali ed in ispecie in materia di limiti dell'esercizio dei poteri sostitutivi in caso d'urgenza (non più di norma consentiti dall'art. 32, 3° comma, delle leggi sulle au tonomie locali).
Posto che, dunque, il regime giuridico delle dimissioni da ca riche elettive costituisce dato ordinamentale che non aveva nel
vigore delle precedenti leggi comunali e provinciali sedes mate riae in disposizioni delle quali l'art. 64 1. n. 142 del 1990 ha sancito l'abrogazione (nei limiti accennati), può ritenersi che dalla successione nel tempo delle normative predette non sia stato modificato il principio, di generale portata, per cui le dimissio ni di un funzionario, in ispecie elettivo, costituiscono atto abdi cativo dall'ufficio, avente natura ricettizia e diretto a produrre effetti dal momento in cui esso perviene a conoscenza legale del soggetto od organo cui è destinato, perché esso operi, se condo regola di certezza, quale presupposto giuridico di ulterio ri atti e provvedimenti di altrui competenza. E poiché l'eserci zio di tale competenza è legittimato dalla verificazione dell'esi stenza e dall'efficacia dell'atto di dimissioni del funzionario, nella relativa «presa d'atto» si identifica il momento procedi mentale necessario perché potesse legittimamente e con congruo grado di certezza promuoversi dall'organo competente ogni con
seguente fase del procedimento, in particolare di surrogazione, cosi come previsto dalla legge elettorale del 1960 n. 580.
Una attenta analisi del giusto procedimento, inteso concreta mente quale coordinazione di atti preordinati al conseguimento degli effetti ricollegati dall'ordinamento alla fattispecie, consen te di precisare: che la fattispecie appunto delle dimissioni dal l'ufficio o carica elettiva locale non si realizza con la mera di chiarazione di volontà del soggetto di dismettere ogni posizione attiva e passiva giuridicamente connessa con il munus, ma ri chiede formale comunicazione all'organo, nei cui confronti l'at to medesimo è destinato a svolgere gli effetti tipici; che all'uopo la comunicazione va diretta al sindaco nella sua qualità di presi dente del collegio consiliare, spettando al sindaco stesso pro muovere, nei modi del procedimento assembleare, la delibera zione che, pur nel suo contenuto dichiarativo (come è ritenuto
dalla communis opinio) determina il verificarsi degli effetti del le dimissioni, non solo in quanto essa opera come condizione
della cessazione dalla carica del dimissionario, ma altresì come
presupposto degli adempimenti surrogatori, e quale fattore di
produzione di situazioni ulteriori di natura politico amministrativa, e di integrazione o reintegrazione della piena funzionalità rappresentativa dell'organo collegiale.
Il che non senza avvertire che le dimissioni plurime presenta te da almeno la metà dei consiglieri, precludendo la funzionali
tà del consiglio, impongono l'avvio del diverso procedimento
Il Foro Italiano — 1994.
di controllo sostitutivo di competenza prefettizia, ai sensi del l'art. 31, 1° e 6° comma, 1. n. 142 del 1990.
L'attivazione delle rispettive attribuzioni non può in ogni ca so non avere base di legittimazione che nella oggettiva rilevanza
assunta, alla stregua di congrui atti o momenti procedimentali, dalle vicende incidenti sulla composizione dell'assemblea con siliare.
Nelle more della fase procedimentale di «presa d'atto», deve
ammettersi, quale corollario concettuale della pendenza dell'ef ficacia delle dimissioni, la loro revocabilità da parte del sogget to che ne è autore, non disconoscendosi il valore politico ammi nistrativo della revoca delle dimissioni nell'ambito delle autono mie locali.
Il contrario assunto che nell'ordinamento introdotto con la 1. n. 142 del 1990 le dimissioni sono da considerare senz'altro
perfette ed efficaci per il solo fatto della presentazione (e conse
guentemente irrevocabili), è ad avviso del collegio da non con
dividere, apparendo tale assunto fondato su mera petitio princi pi, posto che nella sua annunciazione si prescinde interamente dal definire sul piano concettuale la situazione giuridica della
presentazione e dal precisarne i criteri e le modalità attraverso i quali l'esternazione della volontà del dimissionario assuma og gettiva consistenza formale e idoneità causale alla produzione degli effetti ad essa ricollegati dall'ordinamento.
L'affermazione che l'atto di dimissioni acquisti efficacia, in ragione della indiscussa qualificazione ricettizia, solo allorché esso sia portato a conoscenza dell'ente, ciò verificandosi pre suntivamente, alla stregua dei principi di diritto privato di cui
agli art. 1334 e 1335 c.c., nel momento in cui il relativo docu mento pervenga al comune (cosi Tar Basilicata, 7 novembre 1991, n. 322, id., 1993, III, 251, nonché, con riguardo a precedente testo unico, Tar Lombardia 11 dicembre 1974, n. 63, id., Rep. 1975, voce cit., n. 76), è da ritenere eccessivamente lata ed in sufficiente a cogliere i profili procedimentali e funzionali della ricezione in quanto rivolti a fornire precisazioni in ordine alle
modalità, atti ed adempimenti, cui l'ordinamento affida la fun zione di certezza richiesta al fine della determinazione della de correnza degli effetti della necessaria comunicazione dell'atto di dimissioni. Valga al riguardo quanto sopra esposto circa la necessità che il destinatario dell'atto ricettizio sia correttamente
individuato nell'ambito dell'apparato organico dell'ente, in ra
gione, della competenza all'emanazione degli atti ulteriori e con
seguenti, per chiarire come non possano trasporsi nella materia in esame disposizioni di diritto privato che, a tutela dell'affida mento tra soggetti contraenti, utilizzano il principio della pre sunzione di conoscenza dell'atto oggetto di comunicazione per il solo fatto che tale atto è posto, mediante la trasmissione, nella sfera giuridica di disponibilità del destinatario.
Le considerazioni d'altra parte che con riferimento alla mate ria in esame sono state autorevolmente enunciate, quali ragioni idonee a suffragare la tesi della abrogazione della «presa d'at to» consiliare con l'esigenza di salvaguardia della stabilità e del la continuità del governo dell'ente locale, onde prevenirne le
crisi e comunque risolverle in tempi brevi (Cons. Stato, sez.
I, 10 luglio 1991, n. 1560, id., Rep. 1992, voce cit., n. 353) involgono gli aspetti politici del tema, con riguardo ad esigenze sicuramente avvertite in sede politico-legislativa di formazione della nuova legge sulle autonomie locali. Le considerazioni stes
se, peraltro, non offrono sul piano tecnico-giuridico giustifica zione per escludere l'intervento dello stesso organo consiliare
(di norma inteso quale prerogativa concessa all'autonomia del
l'ente) dalla sequenza dei doverosi comportamenti sollecitati dalle dimissioni del componente dell'organo stesso.
Gli asseriti strumenti di controllo e rinnovazione degli organi elettivi locali, appunto perché subordinati alla rigorosa osser
vanza di termini perentori, esigono altrettanto certa e rigorosa verificazione delle situazioni di fatto e di diritto legittimanti l'e
sercizio dei relativi poteri: tanto più nelle ipotesi in cui, in rela
zione alle situazioni stesse, deve configurarsi il delicato equili brio fra principi fondamentali dell'ordinamento: la più ampia
garanzia delle autonomie, nel quadro dei valori, garantiti dagli art. 5 e 128 Cost., dell'autogoverno delle comunità locali, a
fronte della funzionalità amministrativa e della sollecitudine nella
cura degli interessi delle comunità medesime.
Né è da ritenere che la presa d'atto possa di per sé introdurre
nel sistema un elemento ostruzionistico o dilatorio, tale da im
plicare, fuori di ipotesi meramente patologico-politiche impedi mento all'esercizio del controllo previsto dalla legge.
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PARTE TERZA
Nella misura in cui la considerazione dei fini politici perse
guiti dal legislatore rifluiscono nella ricerca della ratio legis, può d'altronde osservarsi come la presa d'atto consiliare e la previa
possibilità di revoca delle dimissioni non contrastino con lo spi rito della legge, laddove la dialettica degli interessi locali si evolva
nel principio dell'autogoverno locale offrendo rimedi a situa
zioni occasionali da dimissioni individuali, meno onerosi per le collettività che non i controlli di cui al capo XI della legge in esame.
Ritenuto, pertanto, che nella controversa fattispecie in ogget
to, in pendenza di convocazione del consiglio comunale di Ser
ravalle Pistoiese perché deliberasse in punto a presa d'atto delle
dimissioni del consigliere Agostini, questi ha revocato le dimis
sioni con lettera al sindaco in data 14 luglio 1992 (con numero
di protocollo in arrivo 9755), devono ritenersi fondati i connes
si ricorsi avverso i provvedimenti in epigrafe, dei quali deve
disporsi l'annullamento, sotto l'assorbente profilo della viola
zione di legge, in ragione della non verificazione dell'ipotesi di
cui all'art. 39, 1° comma, lett. b), n. 2, 1. n. 142 del 1990, di dimissioni di almeno la metà dei consiglieri componenti il
consiglio comunale del comune di Serravalle Pistoiese.
Non hanno rilievo, infatti, nella situazione determinatasi con
la revoca delle dimissioni tempestivamente comunicata dall'A
gostini, le dimissioni uno actu presentate dal gruppo di mino
ranza in data successiva e comunque inoperanti alla data della
revoca di cui sopra per difetto di legale presa d'atto.
Deve ritenersi, pertanto, la non realizzazione nella specie, delle
condizioni previste dalla legge per l'emanazione a) del decreto
prefettizio di sospensione del consiglio predetto e di nomina
del commissario prefettizio per la provvisoria amministrazione
del comune; ti) del decreto del capo dello Stato recante lo scio
glimento del consesso stesso, nonché c) del decreto di convoca
zione dei comizi elettorali per la rinnovazione dell'organo eletti
vo locale.
Donde l'illegittimità degli stessi provvedimenti oggetto dei ri
corsi riuniti, dei quali devesi pronunziare l'accoglimento, preci sandosi che per quanto riguarda il provvedimento di cui al pun to c) deve ritenersi sussistente il vizio da illegittimità derivata
dalla invalidazione del decreto di scioglimento del consiglio in
questione. L'annullamento degli atti impugnati comporta la soccomben
za delle amministrazioni resistenti.
CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; decisione 19 luglio 1993, n. 720; Pres. Pezzana, Est. De Lipsis; Min. finanze (Avv. dello Stato Giacobbe) c. Golino e nei confronti della Siae
(Avv. Nicolai). Dichiara inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione.
Spettacoli e trattenimenti pubblici (imposta sugli) — Contenzio so — Difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 640, imposta sugli spettacoli, art. 39).
Non appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo — ma a quella del giudice ordinario — le controversie in te
ma di imposta sugli spettacoli che attengano alla legittima investitura degli organi accertatori. (1)
(1) Non si rivengono precedenti in termini nella giurisprudenza del
Consiglio di Stato; v., in senso contrario, Tar Piemonte, sez. I, 22 lu
glio 1988, n. 357, Foro it., Rep. 1989, voce Spettacoli e trattenimenti
pubblici (imposta sugli), n. 3, riformata dalla decisione in epigrafe. In
dottrina, nel senso della giurisdizione del giudice ordinario sulle contro versie in tema di imposta sugli spettacoli, v. F. Picciamdda, Spettacoli (imposta sugli), voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1990, XLIII, 453; A.E. Granelli, Spettacoli (imposta sugli), voce del Novissimo di
gesto, appendice, Torino, 1987, VII, 510; in generale, sull'imposta de qua, v. A. Pezzinga, Imposta sugli spettacoli, Padova, 1986. Sul difet to di giurisdizione delle commissioni tributarie sulle controversie in ma teria di Iva applicata e riscossa sulla stessa base imponibile dell'imposta sugli spettacoli (controversie che sono soggette alla stessa disciplina di
quelle relative all'imposta sugli spettacoli), v. Comm. trib. centrale 7
Il Foro Italiano — 1994.
Diritto. — Preliminare ed assorbente è l'esame della dedotta
eccezione di difetto di giurisdizione del giudice adito, ripropo sta dall'appellante amministrazione anche in questa fase del giu
dizio, sul rilievo che, nella subiecta materia, dovrebbe ravvisarsi
ai sensi della vigente normativa la competenza dell'autorità giu diziaria ordinaria, trattandosi di controversia avente ad oggetto violazioni finanziarie accertate dall'intendente di finanza nel set
tore dell'imposta sul valore aggiunto, riscossa unitariamente al
l'imposta sugli spettacoli. Giova al riguardo evidenziare che la predetta imposta sugli
spettacoli — dovuta, a titolo di tributo speciale, su tutti i pro venti ritratti dagli spettacoli organizzati dalle apposite imprese — è commisurata su di una base imponibile identica a quella dell'Iva dovuta sui medesimi proventi e, al pari di questa, è
aprile 1987, n. 2964, Foro it., Rep. 1987, voce Tributi in genere, n. 746 (in argomento, v. anche A. Messina, L'Iva sugli spettacoli: osser vazioni in ordine al contenzioso, in Tributi, 1984, fase. 12, 51).
Che le controversie concernenti i tributi non ricompresi nell'elenco di cui all'art. 1 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636 rientrino nella giurisdizio ne del giudice ordinario è cosa fin troppo ovvia, su cui non mette conto discutere o portare giurisprudenza a conforto; altra (e meno semplice) questione è quella relativa alla possibilità di adire in tale materia (an che) il giudice amministrativo. Nessun dubbio in linea di principio su tale possibilità, essendo il giudice ordinario giudice dei diritti e potendo invece verificarsi in capo al contribuente la lesione di un interesse legit timo; molti invece i dubbi allorquando si cerca di delimitare quest'ulti mo ambito (sul punto, v. C. Anelli, / tribunali amministrativi e il con tenzioso tributario, in Giur. merito, 1987, 1354).
Normalmente si ritiene che situazioni giuridiche soggettive riconduci bili al genus dell'interesse legittimo siano configurabili nel procedimen to di istituzione e di regolamentazione dei tributi locali (che rappresen tano, quantomeno in termini statistici, la maggior parte dei tributi le cui controversie sono trattate al di fuori delle aule delle commissioni
tributarie): sulla giurisdizione del Tar e del Consiglio di Stato in tale
ambito, v., explurimis, Cass. 11 maggio 1987, n. 4308, Foro it., Rep. 1988, voce Tributi locali, n. 56; 14 luglio 1986, n. 4542, id., Rep. 1986, voce Bonifica, n. 14; 23 ottobre 1984, n. 5374, id., Rep. 1985, voce Tributi locali, n. 64; 23 ottobre 1984, n. 5375, id., Rep. 1984, voce
cit., n. 353; nonché Tar Veneto, sez. II, 14 aprile 1992, n. 299, id., Rep. 1992, voce cit., n. 49; Tar Valle d'Aosta 31 marzo 1992, n. 36, ibid., n. 50; Tar Lazio, sez. Latina, 8 ottobre 1990, n. 832, id., Rep. 1991, voce cit., n. 51; Trga Trentino-Alto Adige, sez. Bolzano, 25 set tembre 1990, n. 319, ibid., n. 54; 11 luglio 1990, n. 272, ibid., n. 52; Tar Lombardia, sez. Brescia, 1° marzo 1990, n. 178, id., Rep. 1990, voce cit., n. 50; sulla immediata lesività delle deliberazioni con cui il comune determina la misura della tassa per la raccolta dei rifiuti solidi
urbani, v. Cons. Stato, sez. V, 19 marzo 1991, n. 305, id., Rep. 1991, voce Giustizia amministrativa, n. 211, ove si afferma che le stesse deb
bono, a pena di decadenza, essere immediatamente impugnate dal con
tribuente; conf. Tar Lombardia, sez. Brescia, 1° marzo 1990, n. 178, cit. Si dubita poi se al di fuori del procedimento di istituzione e di regola
mentazione del tributo possa darsi un intervento del giudice ammini strativo: problema che si risolve in quello della configurabilità di inte ressi legittimi del contribuente nella fase di accertamento e di liquida zione del tributo.
Tale problema è, in punto di teoria, comune tanto ai tributi esclusi
quanto a quelli compresi nell'elenco di cui all'art. 1 d.p.r. 636/72, an che se per questi ultimi appare normalmente privo di pratica rilevanza, attese, da un lato, la natura esclusiva del giudizio innanzi alle commis sioni tributarie (v. Cass. 24 febbraio 1987, n. 1948, id., 1987, I, 1426, con nota di Albenzio), dall'altro, la espressa previsione legislativa di
inoppugnabilità di atti antecedenti a quelli sanzionatori o impositivi (av viso di accertamento, avviso di liquidazione, ingiunzione, ecc.: art. 16
d.p.r. 636/72). Ciò spiega perché la questione della configurabilità di interessi legittimi nella fase di accertamento del tributo sia dalla giuris prudenza affrontata solo sporadicamente. V. comunque, in tema, nel senso di escludere che a fronte dell'attività di programmazione interna dei controlli sui contribuenti esperibili annualmente dall'amministrazio ne finanziaria allo scopo di combattere l'evasione fiscale sia configura bile un interesse legittimo (in quanto nessun contribuente può vantare una pretesa giuridica a rimanere estraneo agli eventuali controlli del
l'amministrazione), Tar Lazio, sez. I, 20 dicembre 1991, n. 2176, id., Rep. 1992, voce Tributi in genere, n. 794. Nega, sia pure con una poco lineare motivazione, che possano ravvisarsi interessi legittimi in capo ad un professionista e ad una associazione di professionisti che insorga no contro l'atto con cui la guardia di finanza, nel quadro di indagini relative all'evasione dell'Iva, ha chiesto a clienti del primo informazioni circa l'incarico conferito, l'onorario corrisposto e l'emissione di fattu
ra, Tar Veneto, sez. I, 13 dicembre 1988, n. 1010, id., 1990, III, 207, con nota di richiami (la decisione è annotata anche da Toppan e For
tuna, in Rass. trib., 1989, II, 71; La Guardia, ibid., 320; D'Alessan
dro, in Rass. imp., 1989, 715; Dì Giovanni, in Giur. merito, 1989, 976);
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