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PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || adunanza plenaria; decisione 4 dicembre 1989, n. 17;...

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Page 1: PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || adunanza plenaria; decisione 4 dicembre 1989, n. 17; Pres. Crisci, Est. Santoro; Provveditorato agli studi de L'Aquila, Min. pubblica

adunanza plenaria; decisione 4 dicembre 1989, n. 17; Pres. Crisci, Est. Santoro; Provveditoratoagli studi de L'Aquila, Min. pubblica istruzione (Avv. dello Stato Bruno) c. Martinelli. AnnullaTar Abruzzo 7 dicembre 1982, n. 628Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1990),pp. 73/74-81/82Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23182974 .

Accessed: 24/06/2014 20:30

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

I

CONSIGLIO DI STATO; adunanza plenaria; decisione 4 dicem

bre 1989, n. 17; Pres. Crisci, Est. Santoro; Provveditorato

agli studi de L'Aquila, Min. pubblica istruzione (Aw. dello

Stato Bruno) c. Martinelli. Annulla Tar Abruzzo 7 dicembre

1982, n. 628.

CONSIGLIO DI STATO;

Giustizia amministrativa — Ricorso gerarchico — Decisione tar

diva — Legittimità

— Effetti (D.p.r. 24 novembre 1971 n. 1199,

semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi ammini

strativi, art. 6; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione dei tribu

nali amministrativi regionali, art. 20).

Nel ricorso giurisdizionale proposto contro il provvedimento ori

ginario, dopo l'infruttuoso esperimento del ricorso gerarchico, la decisione tardiva di rigetto di questo non determina la cessa

zione della materia del contendere, e rende ammissibile la pro

posizione di motivi aggiunti, se adduce nuovi motivi a sostegno del dispositivo. (1)

La decisione tardiva dì accoglimento del ricorso gerarchico, se

è totalmente satisfattiva dell'interesse del ricorrente, determina

la cessazione della materia del contendere nel giudizio intentato

contro il provvedimento originario, e comunque è impugnabile dal controinteressato, ma non per tardività. (2)

II

CONSIGLIO DI STATO; adunanza plenaria; decisione 24 no

vembre 1989, n. 16; Pres. Crisci, Est. Baccarini; Virzì (Aw.

Lanzinger, Ramadori) c. Min. trasporti (Aw. dello Stato

Bruno).;- *.: - , , r

Giustizia amministrativa — Ricorso gerarchico — Decisione tar

diva — Legittimità — limiti (D.p.r. 24 novembre 1971 n. 1199,

art. 6; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, art. 20).

Il ricorso giurisdizionale che il ricorrente in sede gerarchica abbia

proposto contro il provvedimento originario, entro il termine

decorrente dalla scadenza dell'infruttuoso periodo di novanta

giorni, determina l'improcedibilità del gravame ammini

strativo. (3) La decisione di accoglimento del ricorso gerarchico, che l'ammi

nistrazione abbia adottato dopo che il ricorrente aveva impu

gnato in sede giurisdizionale il provvedimento originario (e non

solo dopo la scadenza del periodo di novanta giorni dalla pro

posizione del gravame amministrativo>), determina la cessazione

della materia del contendere nel ricorso giurisdizionale, ma è

a sua volta impugnabile dal controinteressato per tardività. (4)

La decisione tardiva di rigetto del ricorso gerarchico, che inter

venga quando il ricorrente aveva già impugnato il provvedi

mento originario in sede giurisdizionale, in quanto atto non

confermativo, ma ad effetto confermativo del provvedimento

originario, nel giudizio cosi instaurato non ha effetti pregiudi

zievoli per il ricorrente, il quale non ha neppure l'onere di im

pugnarlo. (5) La decisione di rigetto del ricorso gerarchico, che sia stata adot

tata non solo dopo il novantesimo giorno dalla proposizione, ma anche dopo la scadenza del termine da questo decorrente

per il ricorso giurisdizionale contro il provvedimento origina

rio, è impugnabile dal ricorrente al giudice amministrativo, an

che se non aveva tempestivamente impugnato in questa sede. (6)

È ammissibile il ricorso proposto in sede giurisdizionale dal ricor

rente in sede gerarchica contro la decisione di rigetto del grava

me amministrativo che sia stata adottata non solo dopo il no

vantesimo giorno dalla sua proposizione, ma anche dopo la

scadenza da questo decorrente per il ricorso giurisdizionale con

tro il provvedimento originario, anche in difetto di tempestiva

impugnazione, il)

(1-7) La decisione n. 1689 ha origine dall'ordinanza di rimessione sez.

VI 22 luglio 1988, n. 950, Foro it., 1988, III, 556; e la n. 17/89 da

sez. VI 20 novembre 1986; n. 860, id., 1987, III, 187, con note di richia

mi, in base alle quali è possibile ricostruire le linee del precedente orienta

mento che queste decisioni considerano insoddisfacente, e rispetto al qua le si presentano come innovative; orientamento, peraltro, consolidato in

Il Foro Italiano — 1990 — Parte II 1-3.

I

Diritto. — 1. - L'insegnante Marisa De Luca aveva impugnato, con ricorso gerarchico presentato il 13 ottobre 1980 al ministero

della pubblica istruzione, il trasferimento della sua collega Carla

Martinelli.

Il ricorso gerarchico era stato accolto con decreto ministeriale

3 gennaio 1981, comunicato alle due insegnanti il 26 dello stesso

mese, ed il provveditore agli studi de L'Aquila aveva adottato

i conseguenti provvedimenti di trasferimento nei confronti delle

due insegnanti. Era allora insorta dinanzi al Tar l'insegnante Martinelli denun

ciando: a) la tardività della decisione gerarchica, comunicata do

po il novantesimo giorno dalla presentazione del ricorso; b) il

difetto di motivazione.

Il Tar aveva accolto il primo motivo.

Con l'appello in esame il ministero della p.i. ha chiesto il rigetto del ricorso dell'insegnante Martinelli, in riforma della sentenza ap

pellata. La VI sezione di questo consiglio rimette ora la causa all'adu

nanza plenaria ritenendo, difformemente dalla decisione di questa adunanza 7 febbraio 1978, n. 4 (Foro it., 1978, III, 338) e da altre

decisioni che a questa si sono conformate, che: dopo la formazione

del cosiddetto silenzio rigetto l'utorità gerarchica non perda il po tere di decidere; la decisione gerarchica tardiva (tale essendo anche

quella soltanto tardivamente comunicata), sia di accoglimento che

di rigetto, debba considerarsi esistente anche se invalida; la deci

sione tardiva di rigetto non possa considerarsi meramente confer

mativa del rigetto tacito formatosi allo scadere del novantesimo gior no dalla presentazione del ricorso, in quanto contenente nuovi

motivi.

2. - Il tormentato problema della decisione gerarchica tardiva,

com'è noto, ha ricevuto nel tempo, nella giurisprudenza del Consi

glio di Stato ed in particolare di questa adunanza plenaria, diverse

soluzioni sia sotto l'aspetto della sua ammissibilità che della sua na

tura ed efficacia.

Fino al 1960 era prevalsa, pur con qualche decisione difforme (ad

esempio Cons. Stato, sez. VI, 17 febbraio 1953, n. 37, id., Rep.

1953, voce Giustizia amministrativa, n. 59 e Cons, giust. amm. sic.

17 luglio 1953, n. 145, ibid., voce Impiegato comunale, n. 145, che

riconducvano il decorso del termine ad una presunzione di rigetto del ricorso gerarchico, superabile da una diversa esplicita manife

stazione di volontà della pubblica amministrazione), la configura zione del silenzio rigetto come decisione tacita, formatasi la quale l'autorità gerarchica perdeva il potere di definire esplicitamente il

gravame. Da questa premessa la giurisprudenza tuttavia non sempre aveva

tratto la conseguenza, pure prevalentemente condivisa (cfr. Cons.

Stato, sez. V, 2 aprile 1955, n. 562, id., 1956, III, 63; 16luglio 1955, n. 945, id., Rep. 1955, voce Spese spedalità, n. 46; 17 dicembre 1955,

n. 1467, ibid., voce Atto amministrativo, n. 9; 12 aprile 1957, n.

214, id., Rep. 1957, voce Giustizia amministrativa, n. 96; sez. VI

10 maggio 1955, n. 336, id., Rep. 1955, voce Ricorso gerarchico, n. 2; 30 aprile 1958, n. 289, id., Rep. 1958, voce Giustizia ammini

strativa, n. 223), dell'inutilità o inefficacia o nullità della decisione

esplicita tardiva del ricorso gerarchico. Si era infatti avvertita l'opportunità di non precludere all'ammi

nistrazione la possibilità di offrire spontaneamente al privato l'in

dubbio vantaggio di una pronuncia esplicita, in luogo dell'unica tu

tela, altrimenti concessagli, del ricorso giurisdizionale o straordi

nario, proponibile soltanto per difetto di motivazione del

silenzio-rigetto. In questa ottica si era anche sostenuto, talora argomentando

dal carattere «presuntivo» della decisione silenziosa tacita (esi stente cioè fino «a prova contraria» e, quindi, fino al soprag

in giurisprudenza a partire da ad. plen. 7 febbraio 1978, n. 4, riportata con la successiva decisione della medesima adunanza plenaria 14 aprile

1978, n. 15, id., 1978, III, 337, con osservazioni di Garrone (annotata, id., 1979, III, 392, da Miguarese Tamburino); per altri riferimenti, v.

ad. plen. 27 gennaio 1978, n. 2, ibid., 368, con nota di Antoniucci,

e, in relazione al silenzio-rifiuto, le decisioni 10 e 17 marzo 1978, nn.

10 e 12, ibid., 351, con nota di richiami. Per la dottrina, estremamente numerosa sul tema, v., da ultimo, A.M. San

dulli, Manuale, 1989, 1233 ss.; sul problema dei rapporti tra decisione ge rarchica e provvedimento originario, v., in particolare, Mazzarolli, L'atto

definitivo, in Studi Guicciardi; sui problemi ricostruttivi del valore del silen

zio, Travi, Silenzio-assenso ed esercizio della funzione amministrativa, 1985.

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PARTE TERZA

giungere di una pronuncia esplicita), che anche dopo la forma

zione della decisione tacita di rigetto ed anche in pendenza dell'e

ventuale impugnazione giurisdizionale o straordinaria contro la

stessa, l'autorità sovraordinata potesse pronunciarsi esplicitamente sul gravame, per accoglierlo o per respingerlo (Cons. Stato, sez.

VI, 18 ottobre 1955, n. 646, id., Rep. 1955, voce cit., n. 420

e 9 gennaio 1957, n. 4, id., 1957, III, 68). Naturalmente secondo questo orientamento giurisprudenziale,

il sopravvenire della decisione esplicita determinava la cessazione

della materia del contendere nel giudizio eventualmente instaura

to a seguito della formazione del silenzio-rigetto (Cons. Stato, sez. VI, 2 aprile 1958, n. 193, id., Rep. 1958, voce cit., n. 63).

La decisione di questa adunanza plenaria 3 maggio 1960, n.

8 (id., 1961, III, 41) optò definitivamente per l'ammissibilità del la decisione tardiva, il cui sopraggiungere (o la cui comunicazio

ne, in caso di delibera adottata prima della formazione del silenzio

rigetto, ma comunicata dopo) avrebbe determinato la cessazione

della materia del contendere nel giudizio già instaurato contro

il silenzio rigetto, nonché l'onere degli interessati di adire nuova

mente la sede giurisdizionale avverso la decisione sopravvenuta.

Sopraggiunta la nuova disciplina del silenzio rigetto con la leg

ge istitutiva dei Tar 6 dicembre 1971 n. 1034 (art. 20), con il

d.p.r. 24 novembre 1971 n. 1199 (art. 6) e con il d.p.r. 30 giugno 1972 n. 748 (art. 3), la giurisprudenza in un primo tempo (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 17 aprile 1973, n. 455, id.,

Rep. 1973, voce cit., n. 234), ha ritenuto la decisione tardiva

(o meglio tardivamente comunicata) inutiliter data (tamquam non

esset), come tale inesistente o inefficace. Talora (cfr., ad es., Cons.

Stato, sez. V, 10 giugno 1977, n. 568, id., Rep. 1977, voce cit., n. 81 la) questa conseguenza è stata ritenuta limitata alle sole de

cisioni gerarchiche tardive di rigetto, mentre quelle di accogli mneto avrebbero dterminato la sopravvenuta cessazione della ma

teria del contendere nel ricorso proposto a seguito del silenzio

rigetto. È quindi sopraggiunta la decisione di questa adunanza plenaria

n. 4 del 7 febbraio 1978 che, fondandosi sul disposto dell'art.

6 d.p.r. 1199 del 1971, piuttosto che su quello dell'art. 20 1. 1034

del 1971, ha ritenuto tra l'altro: formatosi il silenzio rigetto (da intendersi non come rifiuto di decisione, ma come vera e propria decisione reiettiva tacita), l'autorità gerarchica perde il potere de

cisionale (anche sulle censure di merito, la cui tutela giurisdizionale non è garantita dall'art. 24 Cost.); pertanto, l'eventuale pronun cia esplicita di rigetto deve considerarsi atto confermativo della

decisione tacita già intervenuta, inidoneo come tale a riaprire il

termine di impugnativa giurisdizionale tranne che per eventuali

altri effetti lesivi, mentre la sua impugnazione, nell'ipotesi che

sia stato già esperito il ricorso giurisdizionale contro il silenzio

rigetto, sarebbe superflua, venendosi a sovrapporre a tale ricor

so; viceversa, se l'amministrazione emetta tardivamente una deci

sione esplicita di accoglimento, questa, pur essendo illegittima, se è pienamente satisfattiva degli interessi del ricorrente, fa cessa

re la materia del contendere nel ricorso giurisdizionale da lui pro

posto, ove non ci siano controinteressati che l'abbiano impugna to nei termini; l'autorità decidente, infine, se è titolare di poteri di intervento d'ufficio nella materia, può esercitarli anche dopo la formazione del silenzio-rigetto (con effetti analoghi alla deci

sione tardiva di accoglimento).

Questa decisione è stata seguita dalla quasi totalità delle pro nunce successive.

3. - Nel riprendere in esame la complessa problematica, nuova

mente prospettata dall'ordinanza di rimessione della sezione VI

(id., 1987, III, 187), l'adunanza plenaria ritiene di dover limitare

la propria indagine all'unico e più importante degli aspetti della stessa rilevanti nella controversia di cui al presente giudizio, quel lo cioè della tardività della (comunicazione della) decisione gerar chica e delle relative conseguenze in ordine alla tutela giuris dizionale dell'interessato.

L'adunanza plenaria al riguardo ritiene che, a distanza di un

decennio, sia opportuno rimeditare il richiamato orientamento se condo cui l'amministrazione perderebbe il potere di decidere una volta scaduti i novanta giorni senza che essa abbia comunicato all'interessato la decisione gerarchica sul ricorso amministrativo da questi presentato.

La decisione di questa adunanza n. 4 del 1978 cit. sembra ave re fondato il suo convincimento soprattutto sul dato letterale.

Dal disposto dell'art. 6 d.p.r. 1199, del quale sarebbe da esclu dere un'abrogazione implicita ad opera del praticamente coevo

Il Foro Italiano — 1990.

(ma formalmente successivo) art. 20 1. 1034 del 1971 (cosi la dee.

4/78 cit.), e che stabilisce, a differenza di quest'ultimo, che «de

corso il termine di novanta giorni..., il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti...», sarebbe derivata l'impossibilità di configura re la permanenza in capo all'amministrazione del potere di deci

dere il ricorso oltre i novanta giorni, dato che ormai si è formata

una decisione tacita di rigetto, sicché ne sarebbe altrimenti conse

guita una violazione del ne bis in idem.

Senonché l'accennato dato letterale relativo alla reiezione taci

ta del ricorso gerarchico (che, peraltro, scompare nel già citato

art. 20 1. n. 1034 del 1971), non sembra cosi sicuramente determi

nante ai fini che interessano.

Nell'ottica dell'accennata prospettazione non si riesce infatti

a spiegare perché lo stesso art. 6 soggiunga anche, subito dopo l'inciso sopra riportato, «e contro il provvedimento impugnato è esperibile il ricorso... giurisdizionale... o straordinario». Se è

il provvedimento già impugnato in sede gerarchica a dover essere

nuovamente impugnato in sede giurisdizionale o straordinaria dopo la formazione della c.d. decisione tacita di rigetto, e se non vi

è onere di impugnare anche quest'ultima nelle medesime sedi, ciò significa che la c.d. decisione reiettiva tacita del ricorso gerar chico non si sovrappone all'atto impugnato in sede amministrativa.

Al di là dell'espressione usata (che richiama pedissequamente formule note), l'inutile decorso del termine per l'adozione e la

comunicazione di una determinazione esplicita sul gravame gerar

chico, sembra non faccia sorgere un atto tacito dal contenuto

negativo presunto ex lege, ma piuttosto costituisca un limite di

legge oltre il quale, al dichiarato fine acceleratorio dei procedi

menti, l'interessato non è tenuto ad attendere l'esito del ricorso

amministrativo da lui stesso promosso, e può senz'altro adire il

giudice per tutelarsi in sede di legittimità contro l'atto ammini

strativo lesivo della sua sfera.

Resta cosi esclusa, tra l'altro, la possibilità di ipotizzare una

violazione del ne bis in idem derivante dall'eventuale sopraggiun

gere, dopo la scadenza dei novanta giorni, della decisione ge rarchica.

L'art. 6 d.p.r. 1199, dunque, nel disciplinare le conseguenze dello scadere del termine di novanta giorni per la comunicazione

della decisione gerarchica, anziché ipotizzare un caso di «silenzio

rigetto» in senso stretto (come potrebbe far pensare la lettura

di una parte della disposizione, isolatamente considerata) deve

ricondursi ad una misura processuale, dettata nell'interesse del

ricorrente in via gerarchica, atta a consentirgli un'immediata tu

tela in sede giurisdizionale o straordinaria (sia pure limitata a

motivi di sola legittimità), contro l'atto non definitivo impugnato senza risultato in sede amministrativa. Ed è appena il caso di

ricordare che la menzione del fittizio rigetto del ricorso in sede

gerarchica va probabilmente ricollegata alla tradizione secondo

cui il ricorso giurisdizionale è ammesso solo in presenza di atti

definitivi. 4. - In relazione all'orientamento sottoposto a revisione, si pro

spettano, del resto, vari inconvenienti pratici ed alcune difficoltà

teoriche, messi in luce dall'ordinanza di rimessione e da quella della VI sezione n. 950 del 22 luglio 1988 (id., 1988, III, 556).

È noto innanzitutto che la mancata impugnazione giurisdizionale del provvedimento di primo grado entro sessanta giorni o straor

dinaria entro centoventi giorni, decorrenti entrambi dal novante

simo giorno successivo alla inutile presentazione del ricorso ge

rarchico, determina, secondo la giurisprudenza conformatasi alla

decisione di questa adunanza n. 4 del 1978 cit., l'inammissibilità

del ricorso stesso, giurisdizionale o straordinario, perché ritenuto

rivolto contro atto confermativo (la pretesa decisione tacita di

rigetto) di precedente provvedimento (quello di primo grado) non

tempestivamente impugnato. Senonché occorre considerare, da un lato, che i ricorsi gerar

chici possono presentarsi — cosi come più spesso avviene nella

pratica — senza ministero di procuratore, dall'altro, che il legis latore delegato del 1971 ha inteso non soltanto semplificare, nel l'interesse dell'amministrazione, il procedimento per la presenta zione e la decisione dei ricorsi amministrativi, ma anche preveni re — per una migliore tutela del diritto di difesa del cittadino contro gli atti della pubblica amministrazione — gli errori nelle formalità del rito in cui possano incorrere coloro che si avvalga no di tali strumenti senza l'assistenza di un professionista legale (efr., in tale senso, l'art. 1, 3° comma, d.p.r. 1199, che nell'im

porre alla pubblica amministrazione l'obbligo di dichiarare, nei

provvedimenti non definitivi, il termine e l'organo, cui il ricorso

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

amministrativo va presentato, ha certamente inteso eliminare ogni dubbio sulla definitività del provvedimento e, quindi, uno dei

più insidiosi tranelli in cui poteva incorrere chi adisse la via ge

rarchica). Ora è inconcepibile che, in un sistema chiaramente ispirato ad

una sempre più marcata parità tra cittadino ed amministrazione, il solo fatto di avere optato per la previa via gerarchica, nel lode

vole intento di tentare la composizione della lite ad opera della

stessa amministrazione, determini per il ricorrente il rischio ele

vato — nella vana attesa della decisione gerarchica — di non

fare attenzione al decorso del termine per impugnare, coincidente

con lo scadere del novantesimo giorno e di precludersi cosi ogni altra possibilità di tutela.

Cosi come sembra non appropriato, sul piano della tecnica in

terpretativa, ricondurre alla nozione di «atto confermativo» la

c.d. decisione esplicita di rigetto del ricorso, comunicata dopo 10 scadere del novantesimo giorno, nonostante essa rechi, a diffe

renza ovviamente della c.d. decisione tacita confermata, per la

prima volta una motivazione ed un esame reale delle doglianze. 5. - Riconosciuta all'autorità gerarchica la potestà di decidere

11 ricorso amministrativo (e di comunicarne la decisione) anche

dopo il novantesimo giorno dalla sua presentazione, quando il

ricorrente non abbia ritenuto di impugnare in via giurisdizionale entro sessanta giorni dalla scadenza di detto termine l'atto ogget to del gravame gerarchico, va rilevato che l'esercizio dell'azione

giurisdizionale amministrativa esplica determinati effetti limitati

vi o preclusivi rispetto ai poteri ulteriori dell'amministrazione, a suo tempo adita in via gerarchica.

Precisato che, esperito il ricorso giurisdizionale, diviene irrile

vante ogni considerazione di merito a conferma dell'atto ammini

strativo, va osservato che la decisione di rigetto del ricorso gerar

chico, eventualmente sopravvenuta, non è idonea a determinare

la cessazione della materia del contendere, nel giudizio instaurato

dopo lo scadere del novantesimo giorno, avverso il provvedimen to di primo grado.

Può al riguardo distinguersi, a seconda che la decisione tardiva

di rigetto contenga o meno nuovi motivi, di legittimità o di meri

to, a sostegno del suo dispositivo, rispetto a quelli addotti nel

provvedimento di primo grado. Mentre la prima ipotesi comporta un quid novi rispetto al prov

vedimento di primo grado, che abilita il ricorrente in sede giuris dizionale o straordinaria alia presentazione di motivi aggiunti, la seconda equivale ad una mera conferma del provvedimento

medesimo, inidonea come tale ad avere rilevanza alcuna nel

giudizio. Se, viceversa, la decisione è di accoglimento, il venire meno

ex tunc del provvedimento impugnato, con effetto totalmente sa

tisfattivo dell'interesse del ricorrente, non può che determinare

la cessazione della materia del contendere sul ricorso giurisdizionale o straordinario instaurato ai sensi dell'art. 6 d.p.r. 1199.

Tutto ciò nel caso in cui non esistano controinteressati.

Quando, come nella fattispecie, il controinteressato esiste, la

decisione tardiva di accoglimento del ricórso, non dovendosi con

siderare illegittima o inutiliter data, lede il controinteressato stes

so (che nel frattempo si è giovato dell'atto amministrativo a lui

favorevole) ed è quindi da lui impugnabile in sede giurisdizionale o straordinaria, nei termini di decadenza decorrenti secondo i co

muni principi. La decisione di accoglimento, adottata e comuni

cata oltre il novantesimo giorno, non potrà, peraltro, considerar

si illegittima, secondo quanto detto nei numeri che precedono, unicamente per la sua tardività.

Se infine (ma l'ipotesi sembra di scuola) la decisione gerarchica

sopragginga dopo che si sia formato il giudicato (o l'inoppugna bilità del decreto decisorio del ricorso straordinario), nel giudizio che sia stato proposto dopo il novantesimo giorno, ai sensi del

l'art. 6 cit., contro il provvedimento di primo grado, allora l'e

ventuale conflitto tra giudicato amministrativo e decisione ammi

nistrativa deve risolversi ovviamente col riconoscere la prevalenza dei primo sulla seconda, in ossequo ai principi generali, secondo

cui la pronuncia giurisdizionale prevale, per la forza del giudica

to, sulla decisione amministrativa (cfr., a proposito della preva lenza della sentenza del giudice ordinario sul d.p.r. decisorio di

ricorso straordinario, Cons. Stato, ad. gen., 29 aprile 1971, n.

45/71). 6. - Le suesposte considerazioni conducono, all'accoglimento

del primo motivo dell'appello dell'amministrazione.

Il Tar nella sentenza appellata aveva infatti annullato la deci

sione gerarchica impugnata (il d.m. n. 1 del 3 gennaio 1981) sol

tanto per essere stata questa comunicata all'interessata oltre il

Il Foro Italiano — 1990.

novantesimo giorno dalla presentazione del ricorso amministrati

vo, assorbendo l'altra censura, peraltro, non riproposta in questa

sede). Poiché il vizio di legittimità riscontrato dal Tar non sussiste,

in totale riforma della sentenza appellata si deve ora respingere il ricorso di primo grado dell'insegnante Martinelli notificato il

17 marzo 1981.

Diritto. — 1. - Il ministero dei trasporti resistente ha eccepito l'irricevibilità del ricorso in quanto proposto contro la decisione

reiettiva del ricorso gerarchico adottata successivamente alla for

mazione del silenzio-rigetto per decorso del termine di novanta

giorni di cui all'art. 6 d.p.r. 24 novembre 1971 n. 1199, e precisa mente il 4 novembre 1987 in relazione al ricorso proposto il 29

giugno 1987.

L'articolata motivazione dell'ordinanza di rimessione della VI

sezione induce ad una ulteriore riflessione sul tema del silenzio

rigetto e delle sue implicazioni processuali. 2. - Sotto il vigore dell'art. 5 t.u. legge com. e prov. 3 marzo

1934 n. 383 che, com'è noto, prevedeva il silenzio-rigetto conse

guente a diffida, cosi consentendone l'impugnazione giuris

dizionale, i diversi orientamenti manifestatisi al riguardo, e in

particolare in ordine ai problemi della decisione esplicita soprav venuta del ricorso gerarchico, erano stati composti dall'adunanza

plenaria con la sentenza 3 maggio 1960, n. 8 (Foro it., 1961,

III, 41). Quest'ultima, nell'ottica di una ricostruzione sistematica dell'i

stituto, muoveva dall'esatta considerazione che il silenzio non è

un atto, ma un comportamento al quale la legge attribuisce certi

effetti, sostanziali e processuali, indipendentemente dal reale con

tenuto di volontà ed anche da qualsiasi contenuto di volontà.

Ne deduceva che l'autorità amministrativa conservava, pur do

po la formazione del silenzio-rigetto, il potere di decidere il ricor

so gerarchico e che la decisione esplicita sopravvenuta faceva ve

nir meno l'oggetto del ricorso giurisdizionale e, se ancora lesiva, onerava l'interessato ad un nuovo ricorso giurisdizionale.

Pur traendo queste conclusioni, strettamente conseguenziali al

regime giuridico allora vigente, la sentenza dava atto, come da

già remota giurisprudenza, della travagliata posizione processuale del ricorrente contro il silenzio-rigetto, nei confronti del quale la reitzione tardiva del ricorso gerarchico produceva l'effetto di

paralizzare l'azione giudiziale in corso e di determinare l'insor

genza dell'onere di un nuovo giudizio avente ad oggetto, questa

volta, la decisione gerarchica. Tale dibattito era destinato ad avere una significativa svolta

negli anni '70, caratterizzati, com'è noto, da un'intensa stagione di riforme.

L'art. 4 1. 18 marzo 1968 n. 249 sub art. 6 1. 28 ottobre 1970

n. 775 aveva conferito ai governo una delega legislativa per disci

plinare i singoli procedimenti amministrativi, finalizzata alla sem

plificazione ed allo snellimento delle procedure, tra l'altro me

diante l'eliminazione di tutti gli adempimenti non essenziali per

un'adeguata valutazione del pubblico interesse o per la consisten

te tutela degli interessi dei cittadini.

In dichiarata attuazione di tale delega, veniva emanato il d.p.r. 24 novembre 1971 r.. 1199, recante «semplificazione dei procedi menti in materia di ricorsi amministrativi», il cui art. 6 ridiscipli nava l'istituto del silenzio-rigetto disponendo che «decorso il ter

mine di novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso

senza che l'organo adito abbia comunicato la decisione, il ricorso

si intende respinto a tutti gli effetti e contro il provvedimento

impugnato è esperibile il ricorso all'autorità giurisdizionale com

petente o quello straordinario al presidente della repubblica». Sulla materia interveniva, in rapida successione, la 1. 6 dicem

bre 1971 ri. 1034, recante «istituzione dei tribunali amministrativi

regionali», con l'art. 20, che aboliva il presupposto processuale della definitività del provvedimento impugnato, sancendo il prin

cipio della facoltatività del ricorso gerarchico. Perdurando nel vigore della nuova disciplina i dubbi in ordine

all'ammissibilità ed alle conseguenze della decisione «tardiva» del

ricorso gerarchico, l'adunanza plenaria, cui la questione era stata

devoluta, si pronunciava con la sentenza 7 febbraio 1978, n. 4

(id., 1978, III, 338). Con tale sentenza essa, muovendo dal dato testuale secondo

il quale «il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti», afferma

va i seguenti principi: a) il silenzio in esame costituisce non un

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PARTE TERZA

rifiuto della decisione, ma una vera e propria decisione di rigetto;

b) tale decisione, consumando il relativo potere, è irrevocabile;

c) la decisione esplicita emanata dopo i novanta giorni, ancorché

illegittima, non è giuridicamente inesistente né inefficace; d) la

decisione esplicita di rigetto emanata dopo i novanta giorni è me

ramente confermativa di quella tacita e, in quanto tale, non ria

pre i termini per il ricorso giurisdizionale, non fa sorgere l'onere

di una nuova impugnazione da parte di colui che ricorre contro

il silenzio-rigetto, né determina in tale giudizio la cessazione della

materia del contendere; e) la decisione esplicita di accoglimento emanata dopo i novanta giorni, qualora non vi siano controinte

ressati, si consolida per mancanza di soggetti legittimati all'impu

gnazione e, in caso di giudizio già pendente, fa cessare la materia

del contendere; qualora vi siano controinteressati, può essere da

questi fondatamente impugnata per tardività, in mancanza di che

diventa inoppugnabile. Veniva in tal modo definitivamente recepita, alla luce della nuova

disciplina, l'antica istanza, di elevata civiltà giuridica, di chi ten deva al rafforzamento della tutela giurisdizionale del ricorrente

contro il silenzio-rigetto. Costui era messo al riparo da decisioni tardive di rigetto, tali

da determinare la cessazione della materia del contendere e l'one

re d'instaurazione di un nuovo giudizio, che potevano indurre

l'autorità amministrativa nella tentazione di tattiche defatigatorie e rendere estremamente difficile la tutela giurisdizionale dei dirit

ti e degli interessi legittimi. 3. - Senonché, il presupposto logico-giuridico della costruzio

ne, e cioè l'equiparazione ope legis: silenzio-decisione di rigetto ed i suoi corollari, comportavano per il ricorrente alcuni inconve

nienti, evidenziatisi nel dibattito sussegunte e recepiti dall'ordi

nanza di rimessione: a) onere di immediata impugnazione in giu dizio del provvedimento oggetto del ricorso gerarchico nel termi

ne perentorio di sessanta giorni dalla scadenza del novantesimo

giorno dalla presentazione del ricorso gerarchico medesimo, a pe na di immediata e definitiva perdita della tutela giurisdizionale relativa all'oggetto; b) privazione, in seguito alla formazione del

silenzio-rigetto, della tutela di merito, di regola non invocabile

in sede giurisdizionale; c) caducabilità della decisione di accogli mento su ricorso dei controinteressati per il solo fatto della sua

comunicazione oltre i novanta giorni dalla presentazione del ri

corso gerarchico.

Queste circostanze, la cui rilevanza è di tutta evidenza nell'in

terpretazione di una normativa preordinata, come si è visto, alla

«consistente tutela degli interessi dei cittadini» e si è sufficiente

mente manifestata nell'esperienza giurisprudenziale di quest'ulti mo decennio, inducono ad un riesame complessivo del delicato

problema. 4. - In prima approssimazione, l'argomento testuale («il ricor

so si intende respinto a tutti gli effetti»), dal quale si è desunta

l'equiparazione del silenzio ad una decisione di rigetto, non ap

pare determinante.

Ed invero, va considerato che, se al legislatore compete disci

plinare i singoli istituti, spetta all'interprete fornirne la qualifica zione giuridica.

E l'interprete non può non rilevare che la stessa disposizione in esame, a specificazione di quanto già enunciato, prosegue di

sponendo che «contro il provvedimento impugnato è esperibile il ricorso all'autorità giurisdizionale competente o quello straor dinario al presidente della repubblica».

Per l'appunto, l'immutazione dell'oggetto del ricorso giuris dizionale (o straordinario) successivo al silenzio appare il quid

proprium della novella del 1971.

La formula normativa: «il ricorso si intende respinto a tutti

gli effetti», malgrado l'apparente perentorietà, è tralaticiamente

mutuata dall'art. 5 t.u. legge com. e prov. 1934, sotto il cui vigo re era prevalsa, come si è visto, la qualificazione del silenzio co

me comportamento e non possiede la valenza semantica che le si attribuisce.

Va altresì osservato che il d.p.r. 24 novembre 1971 n. 1199

non è ben coordinato con la quasi coeva 1. 6 dicembre 1971 n.

1034 e si inserisce in un tessuto normativo ancora permeato del

regime della definitività del provvedimento amministrativo di cui

invece, ai limitati fini della giurisdizione, l'art. 20 di questa legge avrebbe fatto giustizia: in tale direzione appare orientata la for

mula normativa, giacché il «rigetto a tutti gli effetti» si risolve

nell'impugnabilità in giudizio ( o in sede straordinaria) di un atto altrimenti non definitivo.

Peraltro, la tesi dell'equiparazione della fattispecie silenziosa

alla decisione di rigetto non si armonizza con il fatto che oggetto

Il Foro Italiano — 1990.

del ricorso giurisdizionale (o straordinario) non è il silenzio, co

me ritenuto sotto il vigore della norma precedente, ma il provve dimento (di base) impugnato con ricorso gerarchico.

Il silenzio ha nella specie, quindi, il valore legale tipico non

di decisione di rigetto, ma di rifiuto di annullamento, il cui con

cretarsi costituisce presupposto processuale per la proposizione del ricorso giurisdizionale o straordinario contro l'unico atto ef

fettivamente emanato dall'amministrazione.

Appare fermo un primo dato: il nucleo forte della riforma del

silenzio-rigetto del 1971 non è nelle modalità procedimentali (si lenzio per mero decorso dei termini anziché conseguente a diffi

da), ma nell'oggetto del ricorso giurisdizionale (o straordinario)

susseguente, che è costituito ormai direttamente dal provvedimento

impugnato in sede gerarchica. 5. - Ciò posto, mancando sostanzialmente nella fattispecie si

lenziosa una decisione gerarchica e sfuggendo la sua stessa for

mazione all'impulso di parte (diffida), appare conseguente affer

mare che il decorso del breve termine di legge (novanta giorni)

per la formazione del silenzio-rigetto non ha effetti sostanziali, non concreta cioè alcun provvedimento amministrativo fittizio:

il che, non senza notevoli contraddizioni, chiuderebbe definitiva

mente, prescindendo dalla volontà del privato, quel procedimen to contenzioso che il medesimo ha instaurato, per lo più, per sua libera scelta (cfr. art. 20 1. 1034/71).

Esso ha invece effetti processuali, in quanto abilita il ricorrente

gerarchico all'immediata proposizione del ricorso giurisdizionale

(o straordinario) contro il provvedimento di base, consentendo

gli, in piena autonomia, in mancanza di una sollecita decisione, un commodus discessus dal ricorso gerarchico. Del resto, il ricor

so gerarchico, se è un rimedio facoltativo in relazione al ricorso

giurisdizionale, il quale è proponibile anche contro provvedimen ti non definitivi, è ancora necessario per chi voglia invece sceglie re la strada del ricorso straordinario: di qui l'importanza di uno

strumento di rapida formazione della definitività del provvedi mento amministrativo.

Ne consegue che, formatosi il silenzio: a) l'autorità investita

del ricorso gerarchico, in mancanza- di effetti di tipo consumati

vo, non perde per ciò solo la potestà di decidere (salve, ovvia

mente, le eventuali responsabilità connesse all'eccessivo ritardo);

b) il privato ha la scelta tra ricorrere in sede giurisdizionale o

straordinaria nei termini di decadenza, immediatamente contro

il provvedimento di base, ai sensi dell'art. 6 cit., o successiva

mente contro l'eventuale decisione gerarchica, ove lesiva, in base

alle norme generali. Egli, ove abbia lasciato scadere i termini di

impugnazione, di cui all'art. 6 cit., non pertanto sarà esposto sine die al rischio della perdurante inerzia dell'autorità decidente,

giacché in tal caso soccorreranno i rimedi normali contro il silenzio

rifiuto della pubblica amministrazione (laddove finora l'inoppu

gnabilità della ritenuta decisione silenziosa era irrimediabile); c) i controinteressati sono legittimati ad impugnare l'eventuale deci

sione gerarchica di accoglimento che, per quanto già detto, non

è inficiata dal fatto di essere adottata o comunicata oltre i novan ta giorni dalla presentazione del ricorso gerarchico.

6. - Le conclusioni fin qui raggiunte consentono una prima messa a punto.

Il recupero della qualificazione «comportamentale» del silen

zio, già recepita dalla sentenza n. 8 del 1960, in luogo di quella «attizia», posta a fondamento della n. 4 del 1978, oltre ad essere conforme alla ratio legis nel contesto normativo vigente, ed ai

principi generali, consente la costruzione di un sistema nel quale il rafforzamento della tutela delle situazioni soggettive del priva to è piena ed integrale, in armonia con gli orientamenti costitu

zionali. Infatti, per il ricorrente gerarchico, soggetto non necessaria

mente dotato di capacità tecnico-professionale, il rapido accesso

alla giurisdizione o al ricorso straordinario non diventa un onere

(cioè un comportamento imposto a pena di decadenza), ma rima

ne una facoltà, liberamente esercitatole in alternativa al prosegui mento del procedimento contenzioso fino alla decisione ammini

strativa.

Resta conseguentemente integra, pertanto, la possibilità di chie

dere e di ottenere la tutela di merito, e la decisione gerarchica di accoglimento rimane inattaccabile dai controinteressati per il

mero motivo formale della «tardività».

7. - Come già detto al punto 5, formatosi il silenzio, il ricor rente gerarchico può scegliere tra il ricorso immediato contro il

provvedimento di base e quello, successivo, contro la decisione

di reiezione.

Questa seconda eventualità non dà luogo a particolari proble

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

mi, giacché in tal caso il procedimento giurisdizionale inizia là

dove il procedimento contenzioso termina, senza possibilità di in

terferenze.

Il nodo centrale è costituito, invece, dalla prima eventualità

e cioè da quella del ricorso giurisdizionale (o straordinario) im

mediato dopo la formazione del silenzio ex art. 6 1. 1034, giacché in tal caso il procedimento giurisdizionale viene ad innestarsi su

quello contenzioso pendente, ponendo il problema della loro in

terazione.

Al riguardo, una prima questione attiene all'effetto del ricorso

giurisdizionale sul procedimento contenzioso.

La regola di giudizio sembra desumibile dall'art. 20, 2° com

ma, 1. 1034/71, secondo il quale: «Se siano interessate più perso

ne, il ricorso al tribunale amministrativo regionale proposto da

un interessato esclude il ricorso gerarchico di tutti gli altri. Gli

interessati, che abbiano già proposto o propongano ricorso ge

rarchico, devono essere informati a cura dell'amministrazione del

l'avvenuta presentazione del ricorso al tribunale amministrativo

regionale. Entro trenta giorni da tale comunicazione essi, se il

loro ricorso gerarchico era stato presentato in termine, possono ricorrere al tribunale amministrativo regionale».

Tale disposizione, ancorché letteralmente formulata per disci

plinare le impugnazioni in sedi diverse di una pluralità di interes

sati, è espressione di un principio generale (cui è riconducibile

anche, nel ricorso straordinrio, l'opposizione dei controinteressa

ti ex art. 11 d.p.r. 24 novembre 1971 n. 1199) di prevalenza della

funzione giurisdizionale su quell'amministrativa, della quale quella

giustiziale è una specie. Detta prevalenza, nel caso di simultanea

pendenza, si attua, in presenza di una pluralità di soggetti inte

ressati, mediante la trasponibilità del rimedio giustiziale in sede

giurisdizionale e, nel caso di unico soggetto, nell'improcedibilità del rimedio amministrativo (in tale ultimo senso già ad. plen. 27 gennaio 1978, n. 2, id., 1978, III, 368 e 3 febbraio 1978, n. 3, id., Rep. 1978, voce Requisizione, n. 3).

Infatti, la proponibilità immediata del ricorso giurisdizionale dopo la formazione del silenzio ex art. 6 è ininfluente sul rappor to tra i due procedimenti e non esprime, di per sé, alcuna deroga al generale principio della prevalenza della funzione giurisdizionale su quell'amministrativa.

Tale principio, congiunto a quelli, altrettanto generali, di non

contraddizione e di economia dei mezzi giuridici, esclude che due

procedimenti di tipo contenzioso aventi il medesimo oggetto, l'u

no giurisdizionale e l'altro amministrativo, possano concorrere, e postula invece che il secondo, istituzionalmente subordinato,

si arresti quando la controversia è stata portata al livello del primo. Non è, quindi, che la scadenza del termine di novanta giorni

concluda il procedimento contenzioso con una reiezione implicita

(che dovrebbe essa formare oggetto di impugnazione in sede giuris

dizionale), ma piuttosto è vero che il trasferimento in sede giuris dizionale della controversia concernente l'atto amministrativo ori

ginariamente lesivo rende inutile e improcedibile il rimedio am

ministrativo.

Questo assetto è conforme, del resto, ad un principio di ragio

ne, giacché la procedibilità del ricorso gerarchico oltre i novanta

giorni dalla sua presentazione in assenza del ricorso giurisdizionale e la sua alternativa improcedibilità per pendenza di giudizio si

adeguano coerentemente a specificare opzioni del ricorrente circa

la maniera ritenuta più opportuna di tutelare le proprie situazioni

soggettive. Ciò detto, la questione reciproca, che attiene agli effetti del

procedimento contenzioso su quello giurisdizionale, è in gran parte

già risolta.

Infatti, l'obbligo per l'autorità decidente di dichiarare impro cedibile il ricorso gerarchico in presenza di un ricorso giuris dizionale contro il medesimo atto relega nella patologia del prov vedimento amministrativo le ipotesi di decisioni di merito.

Peraltro, l'eventuale decisione amministrativa di accoglimento, facendo venir meno l'oggetto del giudizio, non potrebbe non de

terminare la cessazione della materia del contendere ai sensi del

l'art. 23, ultimo comma, 1. 1034/71. Ciò, tuttavia, se mancano

dei contxointeressati, giacché questi, se esistenti, sarebbero legitti mati ad impugnare una decisione gerarchica ormai non più con

sentita. Va comunque ricordato che, nell'esercizio del generale

potere di autotutela, l'autorità competente può in ogni momento

disporre, nel concorso dei presupposti di legge, l'annullamento

d'ufficio del provvedimento impugnato in sede giurisdizionale. La decisione di rigetto in pendenza di giudizio, che costituisce

Il Foro Italiano — 1990.

il nodo storico tradizionale dell'istituto, non può ormai più pre

giudicare il ricorrente.

Ciò non soltanto perché l'autorità amministrativa adita in via

gerarchica è tenuta ad una declaratoria d'improcedibilità, ma per l'assorbente ragione che il legislatore, in maniera conseguente, ha spostato l'oggetto del ricorso giurisdizionale dal silenzio sul

ricorso gerarchico, cosi da rendere il giudizio indifferente alle vi

cende del procedimento contenzioso.

Tale evento è descritto dalla sentenza n. 4 del 1978 in termini

di «sovrapposizione» della sentenza alla decisione di rigetto, e

dall'ordinanza di rimessione all'adunanza plenaria in termini di

«inopponibilità» della decisione di rigetto al ricorrente in sede

giurisdizionale (o straordinaria). Qualunque formula descrittiva si impieghi, il fatto è che dal

punto di vista dell'oggetto del giudizio la decisione gerarchica di rigetto si correla non più al silenzio, determinandone la cessa

zione, bensì al provvedimento impugnato, nei confronti del quale essa si atteggia, in termini sostanziali, non come conferma in sen

so tecnico, ma come atto ad effetto confermativo, cioè non come

rinnovazione del provvedimento precedente, ma come accertamento

della sua validità.

La diversità tra le due fattispecie è manifesta.

La conferma, reiterazione della stessa funzione di amministra

zione attiva già esercitata, concreta una rinnovazione sostanziale, di tipo orizzontale, della ponderazione di interessi e della volontà

della regolamentazione già attuata con il provvedimento di primo

grado, suscettibile di arrecare un'autonoma parallela lesione alla

sfera giuridica dell'interessato e, pertanto, comporta un ulteriore

onere di impugnazione. L'atto ad effetto confermativo realizza, invece, un accertamen

to ad oggetto limitato, di tipo verticale, conseguente ad esercizio

di funzione giustiziale, circa la validità del precedente provvedi mento al quale accede: in tal caso, la tutela giurisdizionale ha

ad oggetto, ancorché per il tramite della decisione gerarchica di

riesame, le stesse situazioni soggettive sostanziali, attinenti cioè

a beni della vita, lese dall'atto originario, oltre, eventualmente,

agli interessi procedimentali strumentali correlati al gravame am

ministrativo.

Pertanto, qualora l'interessato, a ciò abilitato, abbia già de

dotto in giudizio (o in sede di ricorso straordinario) le situazioni

soggettive lese dal provvedimento (di amministrazione attiva) di

base, l'eventuale decisione gerarchica di rigetto in funzione di

accertamento, non possedendo un'autonoma lesività ma renden

do definitiva la lesione originaria, non soltanto non immuta l'og

getto del giudizio (o del ricorso straordinario), che è costituito non dal silenzio ma dall'atto di base, ma non determina nemme

no l'onere di una sua ulteriore impugnazione, essendo istituzio

nalmente inidonea a pregiudicare in alcun modo la decisione del

la causa pendente. Non cosi, ovviamente, qualora il ricorrente, avendo atteso la

pronuncia della decisione gerarchica, ottenga, sia pure dopo no

vanta giorni, un provvedimento esplicito di rigetto. In tal caso, se non ritenga di impugnare detto provvedimento in sede giuris dizionale (o straordinaria), la decisione di rigetto diviene inoppu

gnabile, con i conseguenti effetti preclusivi ed estintivi delle situa

zioni soggettive incise dal provvedimento di base.

8. - Applicando i sueposti principi di diritto al caso di specie, ne consegue che, formatosi per decorso del termine il silenzio

ex art. 6 1. 1034 sul ricorso gerarchico presentato al ministero

dei trasporti, il Virzì aveva non l'onere bensì la facoltà di pro

porre immediato ricorso giurisdizionale, in alternativa a quella, discrezionalmente esercitabile, di attendere la pronuncia della de

cisione gerarchica.

Quest'ultima, se negativa, come nella specie, non era mera

mente confermativa del silenzio, semplice fatto di legittimazione

processuale. Il presente ricorso, proposto nei termini contro la decisione

di rigetto, è quindi tempestivo e l'eccezione di irricevibilità for

mulata dal ministero resistente va respinta. (Omissis)

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