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PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || adunanza plenaria; decisione 28 settembre 1987, n. 23;...

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adunanza plenaria; decisione 28 settembre 1987, n. 23; Pres. Crisci, Est. Luce; Boldrini (Avv. Stoppani, Li Calzi, D'Arienzo, Lucifredi) c. Marchese (Avv. Germano, Raggi), Cooperativa edilizia mutualità agricola forestale-Maf e altri; Boldrini c. Cooperativa edilizia Maf e altri. Annulla T.A.R. Liguria 26 aprile 1984, nn. 249 e 250 Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1988), pp. 193/194-197/198 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179298 . Accessed: 28/06/2014 12:25 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.116 on Sat, 28 Jun 2014 12:25:33 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || adunanza plenaria; decisione 28 settembre 1987, n. 23; Pres. Crisci, Est. Luce; Boldrini (Avv. Stoppani, Li Calzi, D'Arienzo, Lucifredi)

adunanza plenaria; decisione 28 settembre 1987, n. 23; Pres. Crisci, Est. Luce; Boldrini (Avv.Stoppani, Li Calzi, D'Arienzo, Lucifredi) c. Marchese (Avv. Germano, Raggi), Cooperativaedilizia mutualità agricola forestale-Maf e altri; Boldrini c. Cooperativa edilizia Maf e altri.Annulla T.A.R. Liguria 26 aprile 1984, nn. 249 e 250Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1988),pp. 193/194-197/198Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179298 .

Accessed: 28/06/2014 12:25

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

la decadenza». A sostegno di tale motivo di ricorso è dedotta

la circostanza che il curatore fallimentare, prima di cedere la tito larità alla dott. Spina, aveva già venduto «tutta la merce inventa

riata, compresi i medicinali ed i prodotti galenici» ad altro soggetto. Il collegio osserva che la disposizione invocata è sostanzialmente

inequivoca, ma resta tuttavia da chiarire che cosa s'intenda, nel

suo contesto, con «azienda commerciale». Senza dubbio il legis latore del 1968 ha voluto evitare il trasferimento della mera tito

larità, intesa come titolo giuridico-amministrativo; ma non preci sa il contenuto minimo della connessa azienda commerciale. Nel

caso in esame, è certo che sono stati trasferiti, insieme alla titola

rità, anche alcuni elementi dell'azienda commerciale, fra i quali l'avviamento e soprattutto la disponibilità dei locali; elemento,

quest'ultimo, di interesse primario per l'acquirente dott. Dorotea

Spina, la quale in sostanza non si prefiggeva altro scopo che quello di subentrare nel diritto di esercitare la farmacia proprio in quei

locali, e non in altri.

inoltre si può ritenere accertato che il trasferimento alla dott.

Spina abbia compreso anche le attrezzature e, in genere, tutta

la dotazione fissa della farmacia: questa circostanza, invero, è

stata affermata più volte dall'interessata nei suoi scritti difensivi

e non è stata efficacemente contestata; d'altra parte, la documen

tazione esibita dal dott. Contaldi concerne la vendita ad altro

soggetto della merce, compresi i medicinali, e non anche delle

attrezzature e della dotazione non qualificabile come «merce».

In tale situazione, pare al collegio che non si possa negare che

con la titolarità sia stata ceduta anche l'«azienda». Va inoltre

considerato che l'art. 12, cit., persegue verosimilmente lo scopo di evitare che si verifichino soluzioni di continuità nella erogazio ne del servizio farmaceutico; soluzioni di continuità altrimenti pos sibili nel caso di un farmacista che abbia acquistato la titolarità, ma sia sfornito di tutto il materiale necessario. Volendosi ammet

tere che, sotto questo profilo, l'autorità sanitaria disponga di una

certa discrezionalità nel valutare la sufficienza dell'«azienda» tras

ferita col titolo, si dovrà riconoscere anche che nella fattispecie l'assenza dei medicinali non dava luogo ad inconvenienti; infatti,

in quella particolarissima situazione di fatto, la cessionaria dispo neva di tutta la merce della sua originaria farmacia, non essendo

tenuta a cederla ad un nuovo titolare della farmacia stessa, giac ché questa veniva definitivamente chiusa come soprannumeraria

rispetto alla pianta organica. Anche questo motivo di ricorso e di appello incidentale va dun

que respinto. 7. - Con un altro motivo di ricorso il dott. Contaldi ha lamen

tato la violazione delle norme relative all'obbligo del riassorbi

mento delle farmacie in soprannumero rispetto alla pianta organica. Il collegio osserva che il soprannumero, e il relativo riassorbi

mento, sono disciplinati dalle disposizioni transitorie contenute

nell'art. 380 t.u. del 1934. Il 1° comma del'art. 380 disponeva che si procedesse, entro il 31 marzo 1935, alla formazione delle

piante organiche delle farmacie. Il 2° comma dispone: «Le far

macie risultanti in soprannumero alla pianta organica saranno

gradatamente assorbite nella pianta stessa con l'accrescimento della

popolazione o per effetto di chiusura di farmacie che vengano dichiarate decadute».

Come si vede, il soprannumero è una situazione che consiste

nella eccedenza del numero delle farmacie esistenti rispetto a quello

previsto in pianta organica; non sono previsti criteri per stabilire

una sorta di graduatoria ai fini della scelta delle farmacie da sop

primere. Dandosi una situazione di soprannumero, ciascuna far

macia è virtualmente soprannumeraria nel senso che la prima di

esse che si renderà vacante sarà soppressa, e cosi via fino a che

il numero delle farmacie esistenti non venga a coincidere con quello della pianta organica.

Nel caso in esame, è incontroverso che vi era una situazione

di soprannumero nella sede farmaceutica n. 65, poiché in questa vi erano due farmacie: quella già della dott. Spina e quella già

del dott. Parrella, poi fallito. Nessuna regola stabiliva quale delle

due fosse destinata alla soppressione, se non nel senso che sareb

be stata soppressa la prima delle due che si rendesse vacante.

Ciò posto, non si può parlare di violazione delle regole sulla

soppressione delle farmacie soprannumerarie, dato che in ogni

caso si deve fare riferimento alle diverse e distinte regole che pre

siedono all'acquisto e alla perdita della titolarità delle farmacie.

Il Foro Italiano — 1988.

Se il trasferimento della titolarità dal fallito Parrella ad un al

tro farmacista era possibile, e, come si è visto, lo era, il fatto

che vi fosse una situazione di soprannumero era irrilevante. In

questa prospettiva, il ricorrente dott. Contaldi non avrebbe potu to opporsi neppure a che la farmacia già Parrella fosse rilevata

da un terzo, e che pertanto si perpetuasse la situazione di sopran numero nella sede n. 65. 11 fatto che la farmacia Parrella sia

stata rilevata, invece, dalla dott. Spina, con la conseguente chiu

sura della sua originaria farmacia, ha determinato l'eliminazione

del soprannumero, in adempimento dell'art. 380 t.u. leggi sanita

rie e non già in violazione di esso.

Anche questo motivo va dunque respinto. 8. - Con l'ultimo motivo del ricorso in primo grado, ripropo

sto mediante appello incidentale, il dott. Contaldi ha denunciato

il fatto che mediante il passaggio di titolarità della farmacia ex

Parrella la dott. Spina ha ottenuto, in buona sostanza, il risultato

di spostare il proprio esercizio dalla propria originaria ubicazione

ai locali già del dott. Parrella; questo spostamento di ubicazione

non sarebbe stato altrimenti consentito, poiché l'esercizio ex Par

rella è posto, rispetto a quello del dott. Contaldi, a distanza infe

riore al minimo legale. Donde, secondo il ricorrente, una violazione

delle norme in materia di distanze.

La censura è infondata. Anche in questo caso, ciò che conta

è che la cessione fosse consentita dall'ordinamento. Se lo era, il cessionario della farmacia ex Parrella, chiunque egli fosse, era

legittimato ad esercitare nei locali del suo dante causa; le regole in materia di distanze non interferiscono con quelle che legittima no la cessione. Nella presente vicenda, le sezioni unite della Corte

di cassazione hanno affermato che lo stato di fatto della distan

za, in relazione alla situazione di soprannumero, costituiva in ca

po al dott. Contaldi un interesse legittimo ad opporsi ad un evento

che, come la cessione contestata, vanificava la prospettiva della

chiusura di quella farmacia. Ma altro è riconoscere al dott. Con

taldi, in ragione della distanza, un titolo ad invocare il controllo

del giudice sulla legittimità della cessione, e altro è dire se la

distanza rilevi o non rilevi in ordine alla legittimità della cessione; ed a questa domanda si dà risposta negativa.

9. - Conclusivamente, la sentenza del T.A.R. dev'essere rifor

mata, in accoglimento dell'appello principale ed in rigetto di quello

incidentale; e deve essere respinto il ricorso proposto in primo

grado dal dott. Contaldi.

CONSIGLIO DI STATO; adunanza plenaria; decisione 28 set

tembre 1987, n. 23; Pres. Crisci, Est. Luce; Boldrini (Avv.

Stoppani, Li Calzi, D'Arienzo, Lucifredi) c. Marchese (Avv.

Germano, Raggi), Cooperativa edilizia mutualità agricola forestale-Maf e altri; Boldrini c. Cooperativa edilizia Maf e

altri. Annulla T.A.R. Liguria 26 aprile 1984, nn. 249 e 250.

Edilizia popolare ed economica — Commissione regionale di vi

gilanza — Decisione — Ricorso alla commissione centrale —

Silenzio — Ricorso al tribunale amministrativo regionale —

Inammissibilità (L. 28 aprile 1938 n. 1165, t.u. sull'edilizia po

polare ed economica, art. 131, 133; d.p.r. 23 maggio 1968 n.

655, norme concernenti la disciplina delle assegnazioni degli

alloggi economici e popolari, art. 19; d.p.r. 24 novembre 1971

n. 1199, semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi

amministrativi, art. 6; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione

dei tribunali amministrativi regionali, art. 20).

È inammissibile il ricorso al tribunale amministrativo regionale

proposto contro la decisione della commissione regionale di vi

gilanza per l'edilizia economica e popolare, già impugnata da

vanti alla commissione centrale, anche dopo che questa abbia

mantenuto il silenzio per più di novanta giorni. (1)

(1) L'ordinanza di rimessione della sez. IV 13 aprile 1987, n. 217, è

riportata in extenso in Cons. Stato, 1987, 1, 505; e le annullate sentenze

del T.A.R. Liguria sono riassunte in Foro it., Rep. 1985, voce Edilizia

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PARTE TERZA

Diritto. — La questione, di carattere preliminare, per la cui

soluzione la controversia è stata devoluta alla cognizione dell'a

dunanza plenaria, attiene all'applicabilità, ai ricorsi alla commis

sione centrale di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica, del regime previsto dall'art. 6 d.p.r. 1199/71, per la formazione

del silenzio rigetto.

Rispettivamente, con il primo e con il secondo motivo di impu

gnazione, nei ricorsi nn. 739/85 e 740/85, la Boldrini Maria Te

resa censura, infatti, le sentenze del T.A.R., per avere, le stesse, ritenuto ammissibili gli originari ricorsi della Marchese Maria e

della cooperativa Maf, sul presupposto che, nel ricorso di secon

do grado, dalle stesse proposto alla commissione centrale di vigi lanza per l'edilizia popolare ed economica, si era formato il silenzio

rigetto, sia pure a seguito del decorso di un termine diverso da

quello previsto dall'art. 6 d.p.r. 1191/71.

popolare, nn. 85, 86, 174, e voce Ricorsi amministrativi, n. 7, nonché

voce Giustizia amministrativa, n. 190.

Punti di riferimento obbligati della questione sono la decisione dell'a dunanza plenaria 11 luglio 1983, n. 18, id., 1984, III, 135, con nota di

richiami, che ha negato l'applicabilità delle regole stabilite per la forma zione del silenzio-rigetto sul ricorso gerarchico dall'art. 6 d.p.r. 1199/71, al ricorso proposto alla commissione regionale di vigilanza per l'edilizia

economica e popolare, su controversie in tema di ammissione di nuovo socio e di opzione per l'assegnazione di un alloggio; e la giurisprudenza consolidata che attribuisce a tale articolo valore di norma generale, appli cabile a tutti i casi di ricorso gerarchico anche improprio: v. i richiami

nella nota suddetta, ai quali adde le due sentenze ora annullate, i prece denti citati nella decisione ora riportata, e, con riferimento specifico ai ricorsi gerarchici impropri previsti dalla legislazione delle province di Trento e di Bolzano, sez. VI 7 luglio 1986, n. 497, id., Rep. 1986, voce Ricorsi

amministrativi, n. 6, nonché sez. V 11 febbraio 1985, n. 93, id., Rep. 1985, voce cit., n. 8.

La tesi della inapplicabilità di tale articolo, viceversa, ai ricorsi alle commissioni di vigilanza per l'edilizia economica e popolare, era già stata affermata dalle due sentenze del T.À.R. Liguria ora annullate, nonché dalla sentenza del T.A.R. Lazio, sez. I, 18 giugno 1980, n. 711, confer mata con diversa motivazione da ad. plen. 18/83, cit., argomentando, in particolare, con l'opportunità che le commissioni si pronuncino sui ricorsi di loro competenza, e con la eccessiva ristrettezza dei tempi che sarebbero imposti dall'art. 6 d.p.r. 1199/71: la conclusione di tali senten

ze, peraltro, è stata nel senso della applicabilità della normativa specifica prevista dalla legislazione sull'edilizia economica e popolare.

Molto più radicale è stata l'impostazione della decisione dell'adunanza

plenaria: essa ha sostenuto che la normativa generale sul silenzio-rigetto non è applicabile ai ricorsi amministrativi che non siano di tipo impugna torio (di un provvedimento amministrativo), come quello di cui era allora controversia. La decisione, così, ha utilizzato l'elaborazione dottrinale che ha distinto, dai normali ricorsi amministrativi di impugnazione di un provvedimento, i ricorsi amministrativi di tipo non impugnatorio, ne ha individuato i casi, e ha rilevato l'inapplicabilità ad essi della normati va dettata in genere per i ricorsi del primo tipo dal d.p.r. 1199/71 (v., in particolare, A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo14, 1150, 1191, 1207); e ha influenzato la giurisprudenza successiva (v., tra le altre, T.A.R. Lombardia, sez. I, 6 giugno 1986, n. 492, Trib. amm. reg., 1986, I, 2799; e, soprattutto, Cons, giust. amm. sic. 2 giugno 1987, n. 149, Cons. Stato, 1987, I, 970, che, senza cogliere le sottigliezze dell'ordinan za di rimessione della sez. IV 217/87, ha senz'altro applicato anche ai ricorsi alla commissione centrale la regola che l'adunanza plenaria 18/83 aveva fatto valere per i ricorsi alle commissioni regionali, sia pure con la motivazione generale sopra accennata, di per sé valida anche per que sta diversa ipotesi.

L'ordinanza di rimessione, pur richiamando il precedente dell'adunan za plenaria 18/83, motivata in relazione ai ricorsi non impugnatori, ha ritenuto il principio da essa affermato non applicabile ai ricorsi alla com missione centrale, considerati come «impugnatori», in relazione alle deci sioni della commissione provinciale; e poiché ha ritenuto non persuasiva la tesi intermedia del T.A.R. Liguria (nonché, come si è visto, del T.A.R.

Lazio), ha preferito interpellare di nuovo l'adunanza plenaria. La quale (come aveva già fatto il Cons, giust. amm. sic.), ha esteso la regola del suo precedente, anche all'ipotesi del ricorso alla commissione centrale, pur se formulato formalmente contro la decisione della commissione pro vinciale; questo il passo decisivo: il ricorso alla commissione centrale ha

«...sostanzialmente, anch'esso, natura non impugnatoria, stante che il suo vero oggetto è costituito, com'era per la commissione regionale, dalla soluzione di controversie insorte tra soggetti privati, sia pure con la me diazione interposta dalla decisione della commissione regionale stessa e col rispetto dei limiti, correlati all'effetto devolutivo, scaturenti dai moti vi del proposto gravame».

Il Foro Italiano — 1988.

Assume, al riguardo, l'appellante che i ricorsi alle commissioni

di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica (regionali e cen

trale) non sono dei ricorsi gerarchici strido sertsu, assolvendo,

piuttosto, alla funzione di proporre ai competenti organi ammi

nistrativi dello Stato la risoluzione di controversie insorte tra pri

vati, ai quali, solo subordinatamente a tale risoluzione, è data

la possibilità di proporre l'azione giurisdizionale (da ritenere, quin

di, condizionata) avanti al giudice amministrativo.

La censura è fondata e come tale va accolta. Successivamente

alla introduzione della nuova disciplina sul silenzio rigetto, quale contenuta nella norma di cui al richiamato art. 6 d.p.r. 24 no

vembre 1971 n. 1199, si è andato consolidando, nella giurispru denza di questo Consiglio di Stato, l'orientamento secondo cui

alla nuova normativa doveva riconoscersi, tendenzialmente, un'ap

plicazione di portata generale (ad. plen. n. 4 del 7 febbraio 1978, Foro it., Rep. 1978, voce Giustizia amministrativa, n. 23).

Anzi, più particolarmente, si è finito col ritenere che la nuova

regolamentazione del silenzio rigetto, anche sotto il profilo della

sua configurabilità, quale presupposto processuale dell'azione di

nanzi al giudice amministrativo (art. 20 1. 6 dicembre 1971, n.

1034), avesse carattere generalissimo e si estendesse a tutti i tipi di ricorso gerarchico, compreso quello improprio (sez. IV n. 424

del 27 giugno 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 332); ed in tale

prospettiva veniva stabilito che, conseguentemente, la predetta di

sciplina era applicabile anche ai ricorsi (qualificati, appunto ge rarchici impropri) proposti avanti la commissione centrale di

vigilanza per l'edilizia popolare ed economica (sez. IV n. 216 del

21 marzo 1978, id., Rep. 1978, voce cit., n. 438, e n. 298 del

24 aprile 1979, id., Rep. 1979, voce Edilizia popolare, n. 215). Peraltro, nella stessa giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, era stato anche espresso l'avviso (cui l'adunanza plenaria ritiene

di aderire) secondo cui la commissione di vigilanza per l'edilizia

popolare ed economica (nel caso esaminato non era considerato

il decentramento della materia, realizzato con l'istruzione delle

commissioni regionali) non era configurata, dall'art. 131 t.u. 28

aprile 1938 n. 1165, come organo gerarchicamente sovraordinato

agli organi delle cooperative edilizie e come tale destinatario di

ricorsi gerarchici avverso provvedimenti dei suddetti organi delle

cooperative stesse; essendo queste delle persone giuridiche priva

te, estranee, come tali, alla p.a., nel cui solo ambito il ricorso

gerarchico, proprio o improprio, può trovare i suoi presupposti,

soggettivi ed oggettivi, cosi come gli atti che ne possono formare

l'oggetto.

Trattavasi, piuttosto, di un organo dello Stato preposto alla

vigilanza, appunto, delle cooperative edilizie ed alla preliminare

risoluzione, in via amministrativa, delle controversie attinenti la

vita delle stesse e le posizioni reciproche dei soci, risoluzione che

per legge costituiva il necessario presupposto per la eventuale,

successiva, trasposizione della controversia in sede giurisdizionale. Il ricorso alla commissione di vigilanza anzidetta aveva, quin

di, la funzione, non già di devolvere l'esame della legittimità del

l'atto amministrativo di un organo pubblico ad un organo

gerarchicamente superiore o comunque sovraordinato, bensì di

proporre all'organo amministrativo dello Stato competente per

legge la risoluzione, in via amministrativa, di una controversia

insorta tra soggetti privati, ai quali, solo subordinatamente a tale

risoluzione, poteva essere consentita l'azione giurisdizionale avanti

al Consiglio di Stato.

Conseguiva, altresì', da tale disciplina, che dinanzi al giudice

amministrativo, controversie del genere erano deducibili, non già mediante l'impugnazione diretta delle deliberazioni degli organi delle cooperative, sia pure preventivamente ed inutilmente sotto

poste all'esame della commissione di vigilanza, ma attraverso l'im

pugnazione delle decisioni di quest'ultima sulle stesse, ovvero del

silenzio rifiuto, opportunamente eccitato nelle prescritte forme

(sez. IV n. 1319 del 19 dicembre 1975, id., Rep. 1975, voce Giu stizia amministrativa, n. 800).

Considerazioni, quelle svolte, perfettamente conformi all'orien

tamento giurisprudenziale della Corte di cassazione, secondo cui

in tema di cooperative edilizie a contributo statale la cognizione delle controversie attinenti alla prenotazione ed all'assegnazione

degli alloggi, alla posizione e qualità di socio od aspirante socio

e quelle tra socio e socio, ovvero tra socio e cooperativa (in quanto

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

riguardino i rapporti sociali) spetta, in primo grado, alla commis

sione regionale di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica

e, in secondo grado, alla commissione centrale di vigilanza, le

cui decisioni sono, a loro volta, impugnabili avanti al Consiglio di Stato, investito di giurisdizione, esclusiva, di sola legittimità;

regime (quello indicato) che fa capo all'art. 131 r.d. 28 aprile 1938 n. 1165 e successive modificazioni ed integrazioni, che non

è suscettibile di deroga convenzionale neppure in forza di clauso

la statutaria, e che trova applicazione anche nel caso di contro

versie concernenti l'esclusione di alcuni soci per difetto dei requisiti di ammissione stabiliti dalla legge o dallo statuto (sez. un. n.

4360 del 4 luglio 1981, id., 1981, I, 1860). Alle indicate considerazioni si deve, poi, aggiungere l'ulteriore

rilievo che questa adunanza plenaria ha già, esplicitamente, escluso

l'applicabilità della normativa relativa al silenzio rigetto di cui

all'art. 6 d.p.r. 24 novembre 1971 n. 1199 ai ricorsi alle commis

sioni regionali di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica, osservando che l'art. 19 d.p.r. 23 maggio 1964 n. 655 ha attribui

to alle istituite commissioni regionali di vigilanza per l'edilizia

popolare ed economica la competenza a decidere ricorsi ammini

strativi di due tipi: 1) ricorsi concernenti controversie insorte tra

il ricorrente e la p.a., in conseguenza della emanazione in sede

amministrativa di un atto autoritativo ritenuto lesivo di interessi, ricorsi che hanno carattere impugnatorio e sono inquadrabili nel

la categoria dei ricorsi gerarchici c.d. impropri; 2) ricorsi concer

nenti controversie insorte (generalmente in materia di diritti) tra

due o più soggetti contendenti in un campo che tocca gli interessi

(di assistenza sociale) della p.a., i quali si avvicinano ai ricorsi

gerarchici impropri, per il fatto di essere indirizzati ad organi in posizione di terzietà, ma se ne distinguono perché non sono

impugnatori di un atto amministrativo e possono, quindi, sfocia

re anche in una pronuncia dichiarativa.

È stato, altresì, rilevato che l'art. 19 anzidetto dispone, inoltre, che le decisioni delle commissioni regionali sui ricorsi (impugna

tori) di cui alla lett. a) sono definitive; e che, invece, contro le

decisioni dei ricorsi (non impugnatori) e le altre deliberazioni di

cui alla lett. b) è ammesso ricorso (definito, erroneamente, gerar chico improprio) alla commissione centrale di vigilanza per l'edi

lizia popolare ed economica, la quale ultima, peraltro, può essere

chiamata anche a decidere direttamente ricorsi non impugnatori, in via di avocazione (qualora le commissioni regionali omettano

o ritardino l'esercizio dei poteri previsti dagli art. 131, n. 2, e

133 t.u. n. 1165 del 1938). È stato, quindi, considerato che il d.p.r. 24 novembre 1971

n. 1199, sulla semplificazione dei procedimenti in materia dei ri

corsi amministrativi, si occupa solo di quelli di tipo impugnato rio. In particolare, nell'art. 1,1° comma, si riferisce al ricorso

gerarchico proprio (contro gli atti amministrativi non definitivi...),

conferendogli il carattere di rimedio di ordine generale; il 2° com

ma si riferisce al ricorso gerarchico improprio (contro gli atti am

ministrativi dei ministeri, gli enti pubblici o di organi collegiali...) ammettendolo nei casi, nei limiti e con le modalità previste dalla

legge e dagli ordinamenti dei singoli enti. Nessuna attenzione vie

ne, invece, rivolta ai ricorsi amministrativi di tipo non impugna

torio, ai quali, dunque, le regole fissate per il ricorso gerarchico non si applicano, neppure in via suppletiva. Se ne faceva deriva

re, pertanto, il rilievo che la disciplina del silenzio rigetto, intro

dotta con l'art. 6 d.p.r. 24 novembre 1971 n. 1199, non era

riferibile ai ricorsi non impugnatori di atti amministrativi, rimessi

alla decisione delle commissioni regionali (o alla comissione cen

trale, per avocazione) di vigilanza per l'edilizia popolare ed eco

nomica con l'art. 19, 2° comma, lett. b), e 4° comma, d.p.r. 23 maggio 1964 n. 655; ricorsi ai quali continuavano ad applicar si soltanto le regole procedimentali previste dall'ordinamento di

settore (ad. plen. n. 18 dell' 11 luglio 1983, id., 1984, III, 135).

Tenuto, ora, conto di tutto quanto detto in merito alla natura

(amministrativa) ed alle funzioni (giustiziali amministrative) as

solte dalle commissioni di vigilanza per l'edilizia popolare ed eco

nomica, ritiene il collegio che alla medesima, indicata, soluzione,

enunciata per i ricorsi alle commissioni regionali, debba pervenir

si anche per il successivo, eventuale, ricorso alla commissione cen

trale, proposto a norma del richiamato art. 19 d.p.r. 23 maggio

1964 n. 655, avverso le decisioni delle commissioni regionali anzi

dette: costituendo le commissioni di vigilanza (regionali e centra

Il Foro Italiano — 1988.

le) per l'edilizia popolare ed economica un complesso organizza torio unitario preposto, tra l'altro, alla risoluzione, con attività

amministrativa di tipo giustiziale, suscettibile di riesame, in sede

di seconda istanza, di controversie tra soggetti privati di tipo non

impugnatorio di atti amministrativi. Per il che si deve ritenere

che anche il ricorso alla commissione centrale, trattandosi di ri

medio di secondo grado, che comporta un ulteriore svolgimento della funzione giustiziale anzidetta e che implica un riesame di

quanto deciso dalla commissione regionale, assume la stessa fi

sionomia e lo stesso carattere del ricorso proposto alla commis

sione regionale avendo, altresì, sostanzialmente, anch'esso, natura

non impugnatoria, stante che il suo vero oggetto è costituito, com'«era per la commissione regionale», dalla soluzione di con

troversie insorte tra soggetti privati, sia pure con la mediazione

interposta dalla decisione della commissione regionale stessa e col

rispetto dei limiti, correlati all'effetto devolutivo, scaturenti dai

motivi del proposto gravame.

Soluzione, quella indicata, la quale appare preferibile anche

perché aderente allo spirito dell'orientamento della Cassazione (sez. un. n. 6370 del 25 novembre 1982, id., Rep. 1982, voce Edilìzia

popolare, n. 164, e n. 5606 del 6 novembre 1984, id., Rep. 1984, voce cit., n. 80) relativo al carattere condizionato della giurisdi zione esclusiva nella materia del giudice amministrativo, tenuto

inoltre conto del contributo di competenza e di esperienza che

può e deve essere offerto dalla commissione centrale di vigilanza, la quale sarebbe pressoché impossibilitata ad operare, se dovesse

ritenersi applicabile il termine di cui all'art. 6 d.p.r. 1191/71, in merito alle controversie tra soggetti privati in materia di coo

perative soggette a contributo statale.

Poiché, pertanto, nel caso in esame, la commissione centrale

di vigilanza era stata investita dalla Marchese e dalla cooperativa Maf di un ricorso di tipo non impugnatorio, in quanto afferente

a contrasti tra soci in merito alla assegnazione degli alloggi, si

deve ritenere che, non operando l'istituto del silenzio rigetto, co

me disciplinato dal richiamato art. 6 d.p.r. 1199/71, era precluso alle ricorrenti, nella perdurante pendenza del ricorso amministra

tivo, la proposizione del ricorso giurisdizionale al T.A.R.

Ricorso al T.A.R., quindi, che va dichiarato inammissibile, at

teso che, per la sua proposizione, occorreva la definizione del

procedimento avanti alla commissione centrale di vigilanza, even

tualmente sollecitata a provvedere anche a mezzo dello strumento

del silenzio rifiuto.

In tali sensi, pertanto, vanno riformate le impugnate sentenze, restando assorbiti tutti gli altri motivi degli appelli (principali ed

incidentali).

CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; decisione 16 giugno 1987, n. 361; Pres. Pezzana, Est. Martore lli; Anas (Avv. dello Stato

Tallarida) c. Margueret (Avv. Santilli, Menghini). Annulla

T.A.R. Valle d'Aosta 28 febbraio 1986, n. 22.

Giustizia amministrativa — Circolazione stradale — Divieto di

sosta — Ricorso — Interesse tutelabile — Fattispecie. Circolazione stradale — Divieto di sosta — Legittimità — Fatti

specie (D.p.r. 15 giugno 1959 n. 393, t.u. delle norme sulla

circolazione stradale, art. 3).

// proprietario di un ristorante con discoteca localizzato in fregio al tratto di strada statale sul quale l'Anas ha imposto il divieto

di sosta per esigenze di sicurezza del traffico, ha interesse tute

labile a impugnare il relativo provvedimento. (1)

(1) Negli esatti termini non constano precedenti editi.

In tema di legittimazione del proprietario di un bene immobile, o del

l'esercente attività economica all'interno di questo ad impugnare quei prov vedimenti che determinano una modificazione dell'assetto della zona di

territorio entro cui è localizzato l'immobile o è svolta l'attività economi

ca, sussiste, quanto meno a far data dalla decisione di Cons. Stato, ad.

plen., 19 ottobre 1979, n. 24, Foro it., 1980, III, 1, con osservazioni

di A. Romano, un consolidato indirizzo giurisprudenziale a favore del

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