adunanza plenaria; decisione 28 settembre 1987, n. 23; Pres. Crisci, Est. Luce; Boldrini (Avv.Stoppani, Li Calzi, D'Arienzo, Lucifredi) c. Marchese (Avv. Germano, Raggi), Cooperativaedilizia mutualità agricola forestale-Maf e altri; Boldrini c. Cooperativa edilizia Maf e altri.Annulla T.A.R. Liguria 26 aprile 1984, nn. 249 e 250Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1988),pp. 193/194-197/198Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179298 .
Accessed: 28/06/2014 12:25
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 46.243.173.116 on Sat, 28 Jun 2014 12:25:33 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
la decadenza». A sostegno di tale motivo di ricorso è dedotta
la circostanza che il curatore fallimentare, prima di cedere la tito larità alla dott. Spina, aveva già venduto «tutta la merce inventa
riata, compresi i medicinali ed i prodotti galenici» ad altro soggetto. Il collegio osserva che la disposizione invocata è sostanzialmente
inequivoca, ma resta tuttavia da chiarire che cosa s'intenda, nel
suo contesto, con «azienda commerciale». Senza dubbio il legis latore del 1968 ha voluto evitare il trasferimento della mera tito
larità, intesa come titolo giuridico-amministrativo; ma non preci sa il contenuto minimo della connessa azienda commerciale. Nel
caso in esame, è certo che sono stati trasferiti, insieme alla titola
rità, anche alcuni elementi dell'azienda commerciale, fra i quali l'avviamento e soprattutto la disponibilità dei locali; elemento,
quest'ultimo, di interesse primario per l'acquirente dott. Dorotea
Spina, la quale in sostanza non si prefiggeva altro scopo che quello di subentrare nel diritto di esercitare la farmacia proprio in quei
locali, e non in altri.
inoltre si può ritenere accertato che il trasferimento alla dott.
Spina abbia compreso anche le attrezzature e, in genere, tutta
la dotazione fissa della farmacia: questa circostanza, invero, è
stata affermata più volte dall'interessata nei suoi scritti difensivi
e non è stata efficacemente contestata; d'altra parte, la documen
tazione esibita dal dott. Contaldi concerne la vendita ad altro
soggetto della merce, compresi i medicinali, e non anche delle
attrezzature e della dotazione non qualificabile come «merce».
In tale situazione, pare al collegio che non si possa negare che
con la titolarità sia stata ceduta anche l'«azienda». Va inoltre
considerato che l'art. 12, cit., persegue verosimilmente lo scopo di evitare che si verifichino soluzioni di continuità nella erogazio ne del servizio farmaceutico; soluzioni di continuità altrimenti pos sibili nel caso di un farmacista che abbia acquistato la titolarità, ma sia sfornito di tutto il materiale necessario. Volendosi ammet
tere che, sotto questo profilo, l'autorità sanitaria disponga di una
certa discrezionalità nel valutare la sufficienza dell'«azienda» tras
ferita col titolo, si dovrà riconoscere anche che nella fattispecie l'assenza dei medicinali non dava luogo ad inconvenienti; infatti,
in quella particolarissima situazione di fatto, la cessionaria dispo neva di tutta la merce della sua originaria farmacia, non essendo
tenuta a cederla ad un nuovo titolare della farmacia stessa, giac ché questa veniva definitivamente chiusa come soprannumeraria
rispetto alla pianta organica. Anche questo motivo di ricorso e di appello incidentale va dun
que respinto. 7. - Con un altro motivo di ricorso il dott. Contaldi ha lamen
tato la violazione delle norme relative all'obbligo del riassorbi
mento delle farmacie in soprannumero rispetto alla pianta organica. Il collegio osserva che il soprannumero, e il relativo riassorbi
mento, sono disciplinati dalle disposizioni transitorie contenute
nell'art. 380 t.u. del 1934. Il 1° comma del'art. 380 disponeva che si procedesse, entro il 31 marzo 1935, alla formazione delle
piante organiche delle farmacie. Il 2° comma dispone: «Le far
macie risultanti in soprannumero alla pianta organica saranno
gradatamente assorbite nella pianta stessa con l'accrescimento della
popolazione o per effetto di chiusura di farmacie che vengano dichiarate decadute».
Come si vede, il soprannumero è una situazione che consiste
nella eccedenza del numero delle farmacie esistenti rispetto a quello
previsto in pianta organica; non sono previsti criteri per stabilire
una sorta di graduatoria ai fini della scelta delle farmacie da sop
primere. Dandosi una situazione di soprannumero, ciascuna far
macia è virtualmente soprannumeraria nel senso che la prima di
esse che si renderà vacante sarà soppressa, e cosi via fino a che
il numero delle farmacie esistenti non venga a coincidere con quello della pianta organica.
Nel caso in esame, è incontroverso che vi era una situazione
di soprannumero nella sede farmaceutica n. 65, poiché in questa vi erano due farmacie: quella già della dott. Spina e quella già
del dott. Parrella, poi fallito. Nessuna regola stabiliva quale delle
due fosse destinata alla soppressione, se non nel senso che sareb
be stata soppressa la prima delle due che si rendesse vacante.
Ciò posto, non si può parlare di violazione delle regole sulla
soppressione delle farmacie soprannumerarie, dato che in ogni
caso si deve fare riferimento alle diverse e distinte regole che pre
siedono all'acquisto e alla perdita della titolarità delle farmacie.
Il Foro Italiano — 1988.
Se il trasferimento della titolarità dal fallito Parrella ad un al
tro farmacista era possibile, e, come si è visto, lo era, il fatto
che vi fosse una situazione di soprannumero era irrilevante. In
questa prospettiva, il ricorrente dott. Contaldi non avrebbe potu to opporsi neppure a che la farmacia già Parrella fosse rilevata
da un terzo, e che pertanto si perpetuasse la situazione di sopran numero nella sede n. 65. 11 fatto che la farmacia Parrella sia
stata rilevata, invece, dalla dott. Spina, con la conseguente chiu
sura della sua originaria farmacia, ha determinato l'eliminazione
del soprannumero, in adempimento dell'art. 380 t.u. leggi sanita
rie e non già in violazione di esso.
Anche questo motivo va dunque respinto. 8. - Con l'ultimo motivo del ricorso in primo grado, ripropo
sto mediante appello incidentale, il dott. Contaldi ha denunciato
il fatto che mediante il passaggio di titolarità della farmacia ex
Parrella la dott. Spina ha ottenuto, in buona sostanza, il risultato
di spostare il proprio esercizio dalla propria originaria ubicazione
ai locali già del dott. Parrella; questo spostamento di ubicazione
non sarebbe stato altrimenti consentito, poiché l'esercizio ex Par
rella è posto, rispetto a quello del dott. Contaldi, a distanza infe
riore al minimo legale. Donde, secondo il ricorrente, una violazione
delle norme in materia di distanze.
La censura è infondata. Anche in questo caso, ciò che conta
è che la cessione fosse consentita dall'ordinamento. Se lo era, il cessionario della farmacia ex Parrella, chiunque egli fosse, era
legittimato ad esercitare nei locali del suo dante causa; le regole in materia di distanze non interferiscono con quelle che legittima no la cessione. Nella presente vicenda, le sezioni unite della Corte
di cassazione hanno affermato che lo stato di fatto della distan
za, in relazione alla situazione di soprannumero, costituiva in ca
po al dott. Contaldi un interesse legittimo ad opporsi ad un evento
che, come la cessione contestata, vanificava la prospettiva della
chiusura di quella farmacia. Ma altro è riconoscere al dott. Con
taldi, in ragione della distanza, un titolo ad invocare il controllo
del giudice sulla legittimità della cessione, e altro è dire se la
distanza rilevi o non rilevi in ordine alla legittimità della cessione; ed a questa domanda si dà risposta negativa.
9. - Conclusivamente, la sentenza del T.A.R. dev'essere rifor
mata, in accoglimento dell'appello principale ed in rigetto di quello
incidentale; e deve essere respinto il ricorso proposto in primo
grado dal dott. Contaldi.
CONSIGLIO DI STATO; adunanza plenaria; decisione 28 set
tembre 1987, n. 23; Pres. Crisci, Est. Luce; Boldrini (Avv.
Stoppani, Li Calzi, D'Arienzo, Lucifredi) c. Marchese (Avv.
Germano, Raggi), Cooperativa edilizia mutualità agricola forestale-Maf e altri; Boldrini c. Cooperativa edilizia Maf e
altri. Annulla T.A.R. Liguria 26 aprile 1984, nn. 249 e 250.
Edilizia popolare ed economica — Commissione regionale di vi
gilanza — Decisione — Ricorso alla commissione centrale —
Silenzio — Ricorso al tribunale amministrativo regionale —
Inammissibilità (L. 28 aprile 1938 n. 1165, t.u. sull'edilizia po
polare ed economica, art. 131, 133; d.p.r. 23 maggio 1968 n.
655, norme concernenti la disciplina delle assegnazioni degli
alloggi economici e popolari, art. 19; d.p.r. 24 novembre 1971
n. 1199, semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi
amministrativi, art. 6; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione
dei tribunali amministrativi regionali, art. 20).
È inammissibile il ricorso al tribunale amministrativo regionale
proposto contro la decisione della commissione regionale di vi
gilanza per l'edilizia economica e popolare, già impugnata da
vanti alla commissione centrale, anche dopo che questa abbia
mantenuto il silenzio per più di novanta giorni. (1)
(1) L'ordinanza di rimessione della sez. IV 13 aprile 1987, n. 217, è
riportata in extenso in Cons. Stato, 1987, 1, 505; e le annullate sentenze
del T.A.R. Liguria sono riassunte in Foro it., Rep. 1985, voce Edilizia
This content downloaded from 46.243.173.116 on Sat, 28 Jun 2014 12:25:33 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE TERZA
Diritto. — La questione, di carattere preliminare, per la cui
soluzione la controversia è stata devoluta alla cognizione dell'a
dunanza plenaria, attiene all'applicabilità, ai ricorsi alla commis
sione centrale di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica, del regime previsto dall'art. 6 d.p.r. 1199/71, per la formazione
del silenzio rigetto.
Rispettivamente, con il primo e con il secondo motivo di impu
gnazione, nei ricorsi nn. 739/85 e 740/85, la Boldrini Maria Te
resa censura, infatti, le sentenze del T.A.R., per avere, le stesse, ritenuto ammissibili gli originari ricorsi della Marchese Maria e
della cooperativa Maf, sul presupposto che, nel ricorso di secon
do grado, dalle stesse proposto alla commissione centrale di vigi lanza per l'edilizia popolare ed economica, si era formato il silenzio
rigetto, sia pure a seguito del decorso di un termine diverso da
quello previsto dall'art. 6 d.p.r. 1191/71.
popolare, nn. 85, 86, 174, e voce Ricorsi amministrativi, n. 7, nonché
voce Giustizia amministrativa, n. 190.
Punti di riferimento obbligati della questione sono la decisione dell'a dunanza plenaria 11 luglio 1983, n. 18, id., 1984, III, 135, con nota di
richiami, che ha negato l'applicabilità delle regole stabilite per la forma zione del silenzio-rigetto sul ricorso gerarchico dall'art. 6 d.p.r. 1199/71, al ricorso proposto alla commissione regionale di vigilanza per l'edilizia
economica e popolare, su controversie in tema di ammissione di nuovo socio e di opzione per l'assegnazione di un alloggio; e la giurisprudenza consolidata che attribuisce a tale articolo valore di norma generale, appli cabile a tutti i casi di ricorso gerarchico anche improprio: v. i richiami
nella nota suddetta, ai quali adde le due sentenze ora annullate, i prece denti citati nella decisione ora riportata, e, con riferimento specifico ai ricorsi gerarchici impropri previsti dalla legislazione delle province di Trento e di Bolzano, sez. VI 7 luglio 1986, n. 497, id., Rep. 1986, voce Ricorsi
amministrativi, n. 6, nonché sez. V 11 febbraio 1985, n. 93, id., Rep. 1985, voce cit., n. 8.
La tesi della inapplicabilità di tale articolo, viceversa, ai ricorsi alle commissioni di vigilanza per l'edilizia economica e popolare, era già stata affermata dalle due sentenze del T.À.R. Liguria ora annullate, nonché dalla sentenza del T.A.R. Lazio, sez. I, 18 giugno 1980, n. 711, confer mata con diversa motivazione da ad. plen. 18/83, cit., argomentando, in particolare, con l'opportunità che le commissioni si pronuncino sui ricorsi di loro competenza, e con la eccessiva ristrettezza dei tempi che sarebbero imposti dall'art. 6 d.p.r. 1199/71: la conclusione di tali senten
ze, peraltro, è stata nel senso della applicabilità della normativa specifica prevista dalla legislazione sull'edilizia economica e popolare.
Molto più radicale è stata l'impostazione della decisione dell'adunanza
plenaria: essa ha sostenuto che la normativa generale sul silenzio-rigetto non è applicabile ai ricorsi amministrativi che non siano di tipo impugna torio (di un provvedimento amministrativo), come quello di cui era allora controversia. La decisione, così, ha utilizzato l'elaborazione dottrinale che ha distinto, dai normali ricorsi amministrativi di impugnazione di un provvedimento, i ricorsi amministrativi di tipo non impugnatorio, ne ha individuato i casi, e ha rilevato l'inapplicabilità ad essi della normati va dettata in genere per i ricorsi del primo tipo dal d.p.r. 1199/71 (v., in particolare, A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo14, 1150, 1191, 1207); e ha influenzato la giurisprudenza successiva (v., tra le altre, T.A.R. Lombardia, sez. I, 6 giugno 1986, n. 492, Trib. amm. reg., 1986, I, 2799; e, soprattutto, Cons, giust. amm. sic. 2 giugno 1987, n. 149, Cons. Stato, 1987, I, 970, che, senza cogliere le sottigliezze dell'ordinan za di rimessione della sez. IV 217/87, ha senz'altro applicato anche ai ricorsi alla commissione centrale la regola che l'adunanza plenaria 18/83 aveva fatto valere per i ricorsi alle commissioni regionali, sia pure con la motivazione generale sopra accennata, di per sé valida anche per que sta diversa ipotesi.
L'ordinanza di rimessione, pur richiamando il precedente dell'adunan za plenaria 18/83, motivata in relazione ai ricorsi non impugnatori, ha ritenuto il principio da essa affermato non applicabile ai ricorsi alla com missione centrale, considerati come «impugnatori», in relazione alle deci sioni della commissione provinciale; e poiché ha ritenuto non persuasiva la tesi intermedia del T.A.R. Liguria (nonché, come si è visto, del T.A.R.
Lazio), ha preferito interpellare di nuovo l'adunanza plenaria. La quale (come aveva già fatto il Cons, giust. amm. sic.), ha esteso la regola del suo precedente, anche all'ipotesi del ricorso alla commissione centrale, pur se formulato formalmente contro la decisione della commissione pro vinciale; questo il passo decisivo: il ricorso alla commissione centrale ha
«...sostanzialmente, anch'esso, natura non impugnatoria, stante che il suo vero oggetto è costituito, com'era per la commissione regionale, dalla soluzione di controversie insorte tra soggetti privati, sia pure con la me diazione interposta dalla decisione della commissione regionale stessa e col rispetto dei limiti, correlati all'effetto devolutivo, scaturenti dai moti vi del proposto gravame».
Il Foro Italiano — 1988.
Assume, al riguardo, l'appellante che i ricorsi alle commissioni
di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica (regionali e cen
trale) non sono dei ricorsi gerarchici strido sertsu, assolvendo,
piuttosto, alla funzione di proporre ai competenti organi ammi
nistrativi dello Stato la risoluzione di controversie insorte tra pri
vati, ai quali, solo subordinatamente a tale risoluzione, è data
la possibilità di proporre l'azione giurisdizionale (da ritenere, quin
di, condizionata) avanti al giudice amministrativo.
La censura è fondata e come tale va accolta. Successivamente
alla introduzione della nuova disciplina sul silenzio rigetto, quale contenuta nella norma di cui al richiamato art. 6 d.p.r. 24 no
vembre 1971 n. 1199, si è andato consolidando, nella giurispru denza di questo Consiglio di Stato, l'orientamento secondo cui
alla nuova normativa doveva riconoscersi, tendenzialmente, un'ap
plicazione di portata generale (ad. plen. n. 4 del 7 febbraio 1978, Foro it., Rep. 1978, voce Giustizia amministrativa, n. 23).
Anzi, più particolarmente, si è finito col ritenere che la nuova
regolamentazione del silenzio rigetto, anche sotto il profilo della
sua configurabilità, quale presupposto processuale dell'azione di
nanzi al giudice amministrativo (art. 20 1. 6 dicembre 1971, n.
1034), avesse carattere generalissimo e si estendesse a tutti i tipi di ricorso gerarchico, compreso quello improprio (sez. IV n. 424
del 27 giugno 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 332); ed in tale
prospettiva veniva stabilito che, conseguentemente, la predetta di
sciplina era applicabile anche ai ricorsi (qualificati, appunto ge rarchici impropri) proposti avanti la commissione centrale di
vigilanza per l'edilizia popolare ed economica (sez. IV n. 216 del
21 marzo 1978, id., Rep. 1978, voce cit., n. 438, e n. 298 del
24 aprile 1979, id., Rep. 1979, voce Edilizia popolare, n. 215). Peraltro, nella stessa giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, era stato anche espresso l'avviso (cui l'adunanza plenaria ritiene
di aderire) secondo cui la commissione di vigilanza per l'edilizia
popolare ed economica (nel caso esaminato non era considerato
il decentramento della materia, realizzato con l'istruzione delle
commissioni regionali) non era configurata, dall'art. 131 t.u. 28
aprile 1938 n. 1165, come organo gerarchicamente sovraordinato
agli organi delle cooperative edilizie e come tale destinatario di
ricorsi gerarchici avverso provvedimenti dei suddetti organi delle
cooperative stesse; essendo queste delle persone giuridiche priva
te, estranee, come tali, alla p.a., nel cui solo ambito il ricorso
gerarchico, proprio o improprio, può trovare i suoi presupposti,
soggettivi ed oggettivi, cosi come gli atti che ne possono formare
l'oggetto.
Trattavasi, piuttosto, di un organo dello Stato preposto alla
vigilanza, appunto, delle cooperative edilizie ed alla preliminare
risoluzione, in via amministrativa, delle controversie attinenti la
vita delle stesse e le posizioni reciproche dei soci, risoluzione che
per legge costituiva il necessario presupposto per la eventuale,
successiva, trasposizione della controversia in sede giurisdizionale. Il ricorso alla commissione di vigilanza anzidetta aveva, quin
di, la funzione, non già di devolvere l'esame della legittimità del
l'atto amministrativo di un organo pubblico ad un organo
gerarchicamente superiore o comunque sovraordinato, bensì di
proporre all'organo amministrativo dello Stato competente per
legge la risoluzione, in via amministrativa, di una controversia
insorta tra soggetti privati, ai quali, solo subordinatamente a tale
risoluzione, poteva essere consentita l'azione giurisdizionale avanti
al Consiglio di Stato.
Conseguiva, altresì', da tale disciplina, che dinanzi al giudice
amministrativo, controversie del genere erano deducibili, non già mediante l'impugnazione diretta delle deliberazioni degli organi delle cooperative, sia pure preventivamente ed inutilmente sotto
poste all'esame della commissione di vigilanza, ma attraverso l'im
pugnazione delle decisioni di quest'ultima sulle stesse, ovvero del
silenzio rifiuto, opportunamente eccitato nelle prescritte forme
(sez. IV n. 1319 del 19 dicembre 1975, id., Rep. 1975, voce Giu stizia amministrativa, n. 800).
Considerazioni, quelle svolte, perfettamente conformi all'orien
tamento giurisprudenziale della Corte di cassazione, secondo cui
in tema di cooperative edilizie a contributo statale la cognizione delle controversie attinenti alla prenotazione ed all'assegnazione
degli alloggi, alla posizione e qualità di socio od aspirante socio
e quelle tra socio e socio, ovvero tra socio e cooperativa (in quanto
This content downloaded from 46.243.173.116 on Sat, 28 Jun 2014 12:25:33 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
riguardino i rapporti sociali) spetta, in primo grado, alla commis
sione regionale di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica
e, in secondo grado, alla commissione centrale di vigilanza, le
cui decisioni sono, a loro volta, impugnabili avanti al Consiglio di Stato, investito di giurisdizione, esclusiva, di sola legittimità;
regime (quello indicato) che fa capo all'art. 131 r.d. 28 aprile 1938 n. 1165 e successive modificazioni ed integrazioni, che non
è suscettibile di deroga convenzionale neppure in forza di clauso
la statutaria, e che trova applicazione anche nel caso di contro
versie concernenti l'esclusione di alcuni soci per difetto dei requisiti di ammissione stabiliti dalla legge o dallo statuto (sez. un. n.
4360 del 4 luglio 1981, id., 1981, I, 1860). Alle indicate considerazioni si deve, poi, aggiungere l'ulteriore
rilievo che questa adunanza plenaria ha già, esplicitamente, escluso
l'applicabilità della normativa relativa al silenzio rigetto di cui
all'art. 6 d.p.r. 24 novembre 1971 n. 1199 ai ricorsi alle commis
sioni regionali di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica, osservando che l'art. 19 d.p.r. 23 maggio 1964 n. 655 ha attribui
to alle istituite commissioni regionali di vigilanza per l'edilizia
popolare ed economica la competenza a decidere ricorsi ammini
strativi di due tipi: 1) ricorsi concernenti controversie insorte tra
il ricorrente e la p.a., in conseguenza della emanazione in sede
amministrativa di un atto autoritativo ritenuto lesivo di interessi, ricorsi che hanno carattere impugnatorio e sono inquadrabili nel
la categoria dei ricorsi gerarchici c.d. impropri; 2) ricorsi concer
nenti controversie insorte (generalmente in materia di diritti) tra
due o più soggetti contendenti in un campo che tocca gli interessi
(di assistenza sociale) della p.a., i quali si avvicinano ai ricorsi
gerarchici impropri, per il fatto di essere indirizzati ad organi in posizione di terzietà, ma se ne distinguono perché non sono
impugnatori di un atto amministrativo e possono, quindi, sfocia
re anche in una pronuncia dichiarativa.
È stato, altresì, rilevato che l'art. 19 anzidetto dispone, inoltre, che le decisioni delle commissioni regionali sui ricorsi (impugna
tori) di cui alla lett. a) sono definitive; e che, invece, contro le
decisioni dei ricorsi (non impugnatori) e le altre deliberazioni di
cui alla lett. b) è ammesso ricorso (definito, erroneamente, gerar chico improprio) alla commissione centrale di vigilanza per l'edi
lizia popolare ed economica, la quale ultima, peraltro, può essere
chiamata anche a decidere direttamente ricorsi non impugnatori, in via di avocazione (qualora le commissioni regionali omettano
o ritardino l'esercizio dei poteri previsti dagli art. 131, n. 2, e
133 t.u. n. 1165 del 1938). È stato, quindi, considerato che il d.p.r. 24 novembre 1971
n. 1199, sulla semplificazione dei procedimenti in materia dei ri
corsi amministrativi, si occupa solo di quelli di tipo impugnato rio. In particolare, nell'art. 1,1° comma, si riferisce al ricorso
gerarchico proprio (contro gli atti amministrativi non definitivi...),
conferendogli il carattere di rimedio di ordine generale; il 2° com
ma si riferisce al ricorso gerarchico improprio (contro gli atti am
ministrativi dei ministeri, gli enti pubblici o di organi collegiali...) ammettendolo nei casi, nei limiti e con le modalità previste dalla
legge e dagli ordinamenti dei singoli enti. Nessuna attenzione vie
ne, invece, rivolta ai ricorsi amministrativi di tipo non impugna
torio, ai quali, dunque, le regole fissate per il ricorso gerarchico non si applicano, neppure in via suppletiva. Se ne faceva deriva
re, pertanto, il rilievo che la disciplina del silenzio rigetto, intro
dotta con l'art. 6 d.p.r. 24 novembre 1971 n. 1199, non era
riferibile ai ricorsi non impugnatori di atti amministrativi, rimessi
alla decisione delle commissioni regionali (o alla comissione cen
trale, per avocazione) di vigilanza per l'edilizia popolare ed eco
nomica con l'art. 19, 2° comma, lett. b), e 4° comma, d.p.r. 23 maggio 1964 n. 655; ricorsi ai quali continuavano ad applicar si soltanto le regole procedimentali previste dall'ordinamento di
settore (ad. plen. n. 18 dell' 11 luglio 1983, id., 1984, III, 135).
Tenuto, ora, conto di tutto quanto detto in merito alla natura
(amministrativa) ed alle funzioni (giustiziali amministrative) as
solte dalle commissioni di vigilanza per l'edilizia popolare ed eco
nomica, ritiene il collegio che alla medesima, indicata, soluzione,
enunciata per i ricorsi alle commissioni regionali, debba pervenir
si anche per il successivo, eventuale, ricorso alla commissione cen
trale, proposto a norma del richiamato art. 19 d.p.r. 23 maggio
1964 n. 655, avverso le decisioni delle commissioni regionali anzi
dette: costituendo le commissioni di vigilanza (regionali e centra
Il Foro Italiano — 1988.
le) per l'edilizia popolare ed economica un complesso organizza torio unitario preposto, tra l'altro, alla risoluzione, con attività
amministrativa di tipo giustiziale, suscettibile di riesame, in sede
di seconda istanza, di controversie tra soggetti privati di tipo non
impugnatorio di atti amministrativi. Per il che si deve ritenere
che anche il ricorso alla commissione centrale, trattandosi di ri
medio di secondo grado, che comporta un ulteriore svolgimento della funzione giustiziale anzidetta e che implica un riesame di
quanto deciso dalla commissione regionale, assume la stessa fi
sionomia e lo stesso carattere del ricorso proposto alla commis
sione regionale avendo, altresì, sostanzialmente, anch'esso, natura
non impugnatoria, stante che il suo vero oggetto è costituito, com'«era per la commissione regionale», dalla soluzione di con
troversie insorte tra soggetti privati, sia pure con la mediazione
interposta dalla decisione della commissione regionale stessa e col
rispetto dei limiti, correlati all'effetto devolutivo, scaturenti dai
motivi del proposto gravame.
Soluzione, quella indicata, la quale appare preferibile anche
perché aderente allo spirito dell'orientamento della Cassazione (sez. un. n. 6370 del 25 novembre 1982, id., Rep. 1982, voce Edilìzia
popolare, n. 164, e n. 5606 del 6 novembre 1984, id., Rep. 1984, voce cit., n. 80) relativo al carattere condizionato della giurisdi zione esclusiva nella materia del giudice amministrativo, tenuto
inoltre conto del contributo di competenza e di esperienza che
può e deve essere offerto dalla commissione centrale di vigilanza, la quale sarebbe pressoché impossibilitata ad operare, se dovesse
ritenersi applicabile il termine di cui all'art. 6 d.p.r. 1191/71, in merito alle controversie tra soggetti privati in materia di coo
perative soggette a contributo statale.
Poiché, pertanto, nel caso in esame, la commissione centrale
di vigilanza era stata investita dalla Marchese e dalla cooperativa Maf di un ricorso di tipo non impugnatorio, in quanto afferente
a contrasti tra soci in merito alla assegnazione degli alloggi, si
deve ritenere che, non operando l'istituto del silenzio rigetto, co
me disciplinato dal richiamato art. 6 d.p.r. 1199/71, era precluso alle ricorrenti, nella perdurante pendenza del ricorso amministra
tivo, la proposizione del ricorso giurisdizionale al T.A.R.
Ricorso al T.A.R., quindi, che va dichiarato inammissibile, at
teso che, per la sua proposizione, occorreva la definizione del
procedimento avanti alla commissione centrale di vigilanza, even
tualmente sollecitata a provvedere anche a mezzo dello strumento
del silenzio rifiuto.
In tali sensi, pertanto, vanno riformate le impugnate sentenze, restando assorbiti tutti gli altri motivi degli appelli (principali ed
incidentali).
CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; decisione 16 giugno 1987, n. 361; Pres. Pezzana, Est. Martore lli; Anas (Avv. dello Stato
Tallarida) c. Margueret (Avv. Santilli, Menghini). Annulla
T.A.R. Valle d'Aosta 28 febbraio 1986, n. 22.
Giustizia amministrativa — Circolazione stradale — Divieto di
sosta — Ricorso — Interesse tutelabile — Fattispecie. Circolazione stradale — Divieto di sosta — Legittimità — Fatti
specie (D.p.r. 15 giugno 1959 n. 393, t.u. delle norme sulla
circolazione stradale, art. 3).
// proprietario di un ristorante con discoteca localizzato in fregio al tratto di strada statale sul quale l'Anas ha imposto il divieto
di sosta per esigenze di sicurezza del traffico, ha interesse tute
labile a impugnare il relativo provvedimento. (1)
(1) Negli esatti termini non constano precedenti editi.
In tema di legittimazione del proprietario di un bene immobile, o del
l'esercente attività economica all'interno di questo ad impugnare quei prov vedimenti che determinano una modificazione dell'assetto della zona di
territorio entro cui è localizzato l'immobile o è svolta l'attività economi
ca, sussiste, quanto meno a far data dalla decisione di Cons. Stato, ad.
plen., 19 ottobre 1979, n. 24, Foro it., 1980, III, 1, con osservazioni
di A. Romano, un consolidato indirizzo giurisprudenziale a favore del
This content downloaded from 46.243.173.116 on Sat, 28 Jun 2014 12:25:33 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions