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PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || decisione 1° ottobre 1993, n. 339; Pres. Scarcella,...

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decisione 1° ottobre 1993, n. 339; Pres. Scarcella, Est. Giacchetti; Lazzara (Avv. Mobilia, Amata) c. Enpas (Avv. dello Stato Di Maggio). Annulla Tar Sicilia, sede Catania, sez. I, 29 settembre 1988, n. 1120 Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1994), pp. 135/136-137/138 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23188310 . Accessed: 28/06/2014 10:17 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.50 on Sat, 28 Jun 2014 10:17:34 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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decisione 1° ottobre 1993, n. 339; Pres. Scarcella, Est. Giacchetti; Lazzara (Avv. Mobilia, Amata)c. Enpas (Avv. dello Stato Di Maggio). Annulla Tar Sicilia, sede Catania, sez. I, 29 settembre1988, n. 1120Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1994),pp. 135/136-137/138Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188310 .

Accessed: 28/06/2014 10:17

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PARTE TERZA

pone per gli interessi in termini sostanzialmente non diversi ri

spetto a tutti gli altri pubblici dipendenti, ai quali è consentito,

invece, di avvalersi del beneficio di cui all'art. 16 d. leg. 503/93.

4. - Per le suesposte considerazioni appare non manifesta

mente infondata, sotto i profili accennati, la questione di costi

tuzionalità, in rapporto all'art. 3 Cost., dell'art. 1, 2° comma,

d.l. 15 novembre 1993 n. 460, nella parte in cui esclude l'appli

cabilità dell'art. 16 d. leg. 30 dicembre 1992 n. 503 nei confron

ti dei professori universitari ordinari. La questione è altresì rilevante ai fini del presente giudizio,

atteso che la norma in questione è, allo stato, di per sé preclusi

va della pretesa azionata dai ricorrenti con il ricorso in esame.

E pertanto — mentre con separata ordinanza viene accolta

la domanda incidentale di sospensione, in via provvisoria e tem

poranea fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l'incidente

di costituzionalità (sul punto, cfr., nel senso dell'ammissibilità,

Corte costituzionale, sent. 444/90, Foro it., 1991,1, 721 e 367/91,

id., 1992, I, 1326) —, va disposta, ai sensi dell'art. 23 1. 11

marzo 1953 n. 87, la sospensione del giudizio e la trasmissione

degli atti alla Corte costituzionale, per la decisione sulla detta

questione di costituzionalità.

IV

Diritto. — Rilevato, che i giudizi cautelari proposti dal prof.

Andrea Turinese, nei confronti dei provvedimenti indicati in epi

grafe (rivolti ad ottenere il riconoscimento della facoltà di per

manere in servizio oltre il limite di età per un biennio, ai sensi

dell'art. 3, lett. b, legge delega 23 ottobre 1992 n. 421 e dell'art.

16 d.l. 30 dicembre 1992 n. 503), possono essere riuniti e decisi,

anche ai fini cautelari, con unica pronuncia;

che entrambi i provvedimenti sono suscettibili di arrecare un

danno grave ed irreparabile al ricorrente, in quanto essi, so

stanzialmente, precludono all'interessato in modo definitivo di

avvalersi del beneficio previsto dalla legge di delega, e ribadito,

negli stessi termini dal decreto delegato, a far tempo dall'entra

ta in vigore della 1. n. 421 del 1992;

che, all'epoca dell'entrata in vigore della medesima legge, sus

sistevano in punto di fatto gli estremi perché il Turinese potesse

avvalersi della facoltà introdotta dalla normativa sopra indicata;

che, pertanto, in applicazione delle disposizioni della legge

di delega e del decreto delegato, le domande cautelari proposte

dal ricorrente meritano, allo stato, di essere accolte, con un

provvedimento che, sospendendo l'efficacia dei provvedimenti

impugnati, riconosca al Turinese in via cautelare il titolo ad

avvalersi della facoltà di permanere in servizio per un biennio

oltre i limiti di età; Considerato tuttavia, che le norme invocate dal ricorrente,

puntualmente applicate da questo tribunale, appaiono seriamente

censurabili sotto il profilo della loro legittimità costituzionale, per i profili che, d'ufficio, vengono di seguito indicati;

Ritenuto che la proposizione normativa di cui all'art. 3, lett.

b), 1. 23 ottobre 1992 n. 421, ribadita dall'art. 16 d. leg. 30

dicembre 1992 n. 503, nella sua enunciazione testuale si rileva

schematica ed elittica, in quanto rivolta a disciplinare unitaria

mente una complessa ed articolata materia, regolata dall'ordi

namento con modalità in parte generali ed in parte speciali,

in relazione alle diverse tipologie di rapporti di impiego pubbli

co, nel quale taluni settori hanno sempre avuto una separata

e distinta disciplina relativamente alla data di collocamento a

riposo (magistrati, docenti universitari);

che, rispetto a questa complessa realtà normativa, si rivela

superficiale e generica la dizione onnicomprensiva contenuta nelle

norme sopra citate, di «dipendenti civili dello Stato e degi enti

pubblici non economici», espressione impiegata dalla normati

va pregressa per individuare i destinatari del diritto al tratta

mento di quiescenza, ma mai per disciplinare il limite massimo

di età per la cessazione dal servizio;

che, nella fissazione del limite massimo di età per il colloca

mento a riposo, appare del tutto irragionevole privilegiare, sulle

oggettive esigenze organizzative della pubblica amministrazio

ne, le opzioni dei singoli dipendenti in funzione di propri ed esclusivi interessi personali, evidentemente collegati al livello ed

alla natura del posto occupato, nonché all'esplicazione di fun

zioni, apicali e non, nei diversi settori dell'ordinamento;

che la proposizione normativa di cui all'art. 3, lett. b), 1.

Il Foro Italiano — 1994.

n. 421 del 1992 costituisce una disposizione puntuale e specifi

ca, suscettibile quindi di immediata efficacia normativa, incom

patibile con il carattere programmatorio dell'articolato nel qua

le è inserita, tanto che, in sede di attuazione della delega, il

governo non ha potuto (in assenza di qualsiasi principio o crite

rio direttivo, che pure avrebbe dovuto, per obbligo costituzio

nale, essere enunciato), che trascrivere la medesima proposizio

ne nell'art. 16 d.l. n. 503 del 1992;

che la soluzione adottata dalla legge di delega di protrarre

di un biennio il collocamento a riposo dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici, mentre si rivela so

tanzialmente ininfluente e poco incisiva ai fini del contenimento

della spesa previdenziale, appare altresì discriminatoria nei con

fronti degli altri dipendenti pubblici e privati, ai quali non viene riconosciuta analoga facoltà, in contrasto con la conclamata vo

lontà del legislatore, desumibile dagli art. 2 e 3 della medesima

legge di delega, di rendere omogenei sia i rapporti di lavoro

pubblici e privati, sia i relativi trattamenti pensionistici;

che la medesima soluzione è oggettivamente in rotta di colli

sione con le politiche occupazionali volte ad assicurare ai giova

ni l'accesso al mondo del lavoro (come dimostrano i provvedi

menti di cui al d.l. n. 1 del 5 gennaio 1993 — «fondo per l'in

cremento ed il sostegno dell'occupazione» — n. 26 del 1°

febbraio 1993 — «interventi urgenti in materia di occupazione» — n. 31 del 12 febbraio 1993 — «interventi urgenti a salvaguar

dia dei livelli occupazionali»), in quanto il congelamento per

un biennio della provvista di nuovo personale preclude a un

gran numero di giovani l'accesso ad una delle fonti più rilevan

ti, specie in alcune zone del paese e in una fase di acuta reces

sione economica, di occupazione e lavoro;

che, d'altra parte, il prolungamento indiscriminato del limite

massimo di età impedisce il fisiologico ricambio della pubblica amministrazione, oggi più che mai necessario per avviare un

serio rinnovamento, senza contare che esso contrasta con i più

elementari principi delle scienze dell'organizzazione aziendale ed

amministrativa;

che, pertanto, le disposizioni più volte richiamate ed applica

te nel caso in esame da questo tribunale si rivelano costituzio

nalmente illegittime per contrasto con i principi di ragionevolez

za, di eguaglianza e di buon andamento della pubblica ammini

strazione e, quindi, con gli art. 3 e 97 Cost., nonché, per il

profilo sopra indicato, con l'art. 76 della Carta costituzionale.

CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA

REGIONE SICILIANA; decisione 1° ottobre 1993, n. 339; Pres. Scarcella, Est. Giacchetti; Lazzara (Aw. Mobilia,

Amata) c. Enpas (Aw. dello Stato Dì Maggio). Annulla Tar

Sicilia, sede Catania, sez. I, 29 settembre 1988, n. 1120.

CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA

REGIONE SICILIANA; decisione 1° ottobre 1993, n. 339;

Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Indennità di buo

nuscita — Computo della indennità integrativa speciale — Mo

dalità (L. 27 maggio 1959 n. 324, miglioramenti economici

al personale statale in attività e in quiescenza, art. 1; 1. 14

dicembre 1973 n. 829, riforma dell'opera di previdenza del

personale dell'azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato,

art. 14; d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1032, approvazione del

t.u. delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei

dipendenti civili e militari dello Stato, art. 3, 38; 1. 20 marzo 1975 n. 70, disposizioni sul riordino degli enti pubblici e del

rapporto di lavoro del personale dipendente, art. 13, 26; 1.

17 maggio 1985 n. 210, istituzione dell'ente Ferrovie dello

Stato, art. 21; 1. 29 gennaio 1994 n. 87, norme relative al

computo dell'indennità integrativa speciale nella determina

zione della buonuscita dei pubblici dipendenti, art. 1).

Dopo la sentenza della Corte costituzionale 19 maggio 1993,

n. 243, il giudice amministrativo adito da un dipendente pub

blico collocato a riposo con la domanda che l'indennità di

buonuscita spettantegli venga liquidata computandovi l'inden

nità integrativa speciale precedentemente non calcolabile, de

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

ve limitarsi a dichiarare il suo generico diritto al riguardo,

che però, al momento, ha la consistenza di una semplice aspet

tativa, in quanto potrà essere esercitato in concreto solo dopo

che il legislatore avrà determinato le misure, i modi e i tempi

di tale computo, oppure, in caso di sua inerzia, dopo le ulte

riori pronunce che la corte stessa avrà adottato. (1)

Diritto. — Deduce l'appellante che la liquidazione della sua

indennità di buonuscita da parte dell'Enpas avrebbe dovuto av

venire computando nella base retributiva utile anche l'indennità

integrativa speciale. La pretesa è fondata, nei limiti che seguono.

La Corte costituzionale, con sent. 19 maggio 1993, n. 243

(Foro it., 1993, I, 1729) ha affermato:

1) che l'esclusione in toto dell'indennità integrativa speciale

dal calcolo del trattamento di fine rapporto produce sostanziali

e ingiustificabili sperequazioni ed impedisce il pieno rispetto dei

principi costituzionali della proporzionalità e sufficienza della

retribuzione, anche differita, del lavoro dipendente;

2) che pertanto le norme legislative dalle quali consegue tale

esclusione — e cioè i combinati disposti dell'art. 1, 3° comma,

lett. b), e c), 1. 27 maggio 1959 n. 324 con gli art. 3 e 38 d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1032, con gli art. 13 e 26 1. 20 marzo

1975 n. 70 e con gli art. 14 1. 14 dicembre 1973 n. 829 e 21

1. 17 maggio 1985 n. 210 — sono costituzionalmente illegittime

per contrasto con gli art. 3 e 36 Cost., con conseguente diritto

— in capo ai soggetti interessati — ad un adeguato computo

dell'indennità integrativa speciale nei rispettivi trattamenti di fi

ne rapporto;

3) che spetta peraltro al legislatore determinare la misura, i

modi e i tempi di detto computo, rendendo cosi in concreto

realizzabile il diritto suddetto;

4) che nel caso in cui il legislatore resti inerte o disattenda

i principi enunciati dalla corte stessa, questa si riserva di adot

tare, se nuovamente investita dal problema, «le decisioni più

appropriate», e cioè — parrebbe — una pronunzia additiva.

(1) La questione della computabilità della indennità integrativa spe

ciale nella determinazione dell'indennità di buonuscita spettante a vaste

categorie di pubblici dipendenti, ha dato luogo ad una serie infinita

di pronunce: talvolta, sotto il profilo interpretativo, ossia di una appli

cazione anche ad essi delle norme che prevedevano tale computabilità a favore di altre e più ristrette categorie di impiegati pubblici; e molto

più spesso, sotto il profilo della costituzionalità di questa disparità di

trattamento. La Corte costituzionale, in numerose sentenze e ordinan

ze, aveva sempre respinto tale questione, pur moltiplicando le sollecita

zioni al legislatore per un suo intervento perequativo. Fino alla senten

za 19 maggio 1993, n. 243, Foro it., 1993, I, 1729, con nota di R.

Perna, che, di fronte alla perdurante inerzia legislativa, la ha accolta,

sia pure con qualche limitazione, e in modo assai articolato.

Il dispositivo della sentenza presenta notevoli particolarità tecniche,

puntualmente colte, anche con riferimenti comparatistici, dalla nota di

R. Romboli, ibid. La corte, infatti, pur avendo dichiarato l'incostitu

zionalità della normativa che escludeva per determinate categorie di pub

blici dipendenti il computo della indennità integrativa speciale dall'in

dennità di buonuscita, non è arrivata ad affermarne sic et simpliciter

la sua immediata e totale computabilità: lo impedivano sia le troppo

pesanti conseguenze che ne sarebbero derivate di colpo a carico della

già ampiamente dissestata finanza pubblica, che le nuove sperequazioni

che ne sarebbero sorte, sotto profili che è inutile qui riprendere, e con

siderate eliminabili solo da un intervento ricostruttivo del legislatore.

Al quale la corte non si è sentita sostituirsi; ma per il quale ha dettato

rigidi criteri cui esso deve attenersi; e con disposizioni la cui emanazio

ne ha reso ora non più dilazionabili, adottando stavolta, come si è det

to, un dispositivo di accoglimento e non di rigetto. La decisione ora riportata fotografa la situazione giuridica nella qua

le si sono trovati gli interessati, dopo la non satisfattiva sentenza di

accoglimento della corte, e prima che ad essa dia riscontro il legislatore.

Il Cons, giust. amm. sic. ha poi confermato tale pronuncia con le suc

cessive decisioni 29 ottobre e 30 novembre 1993, nn. 399 e 453, Cons.

Stato, 1993, I, 1335 e 1537, secondo un orientamento sostanzialmente

condiviso pure dal Consiglio di Stato: sez. VI 23 novembre 1993, n.

937, ibid., 1525.

Adesso il quadro normativo si è completato: il legislatore è interve

nuto con la 1. 29 gennaio 1994 n. 87 (Le leggi, 1994, I, 489), norme

relative al computo dell'indennità integrativa speciale nella determina

zione della buonuscita dei pubblici dipendenti; prevedendo, tra l'altro,

che tale indennità sia calcolata per il 30% per i dipendenti degli enti

di cui alla 1. 70/75, e per il 60% per gli altri, nonché disponendo il

prelievo di un contributo previdenziale obbligatorio.

Il Foro Italiano — 1994.

In base a tale quadro normativo, definito nei principi ma

non anche nella sua puntuale disciplina, il collegio deve limitar

si a dichiarare il generico diritto dell'appellante a conseguire

dall'ente mutualistico — attualmente l'Inpdap, ai sensi dell'art.

1 d.l. 19 aprile 1993 n. 110 — la chiesta riliquidazione dell'in

dennità di buonuscita; deve altresì dichiarare che tale diritto

ha allo stato la consistenza di una semplice aspettativa, in quanto

potrà essere in concreto esercitato solo dopo che si avvererà

la condizione sospensiva del previsto intervento del legislatore

ovvero delle ulteriori più appropriate decisioni della Corte co

stituzionale.

CORTE DEI CONTI; sezione controllo enti; determinazione 20

aprile 1992, n. 12; Pres. Coltelli, Est. Cevoli; Corte dei

conti c. Istituto centrale per il credito a medio termine.

CORTE DEI CONTI; s

Banca, credito e risparmio — Mediocredito centrale — Trasfor

mazione in s.p.a. — Non conformità a legge (L. 25 luglio

1952 n. 949, provvedimenti per lo sviluppo dell'economia e

l'incremento dell'occupazione, art. 17; 1. 30 luglio 1990 n.

218, disposizioni in materia di ristrutturazione e integrazione

patrimoniale degli istituti di credito di diritto pubblico, art.

1; d. leg. 20 novembre 1990 n. 356, disposizioni per la ristrut

turazione e per la disciplina del gruppo creditizio, art. 4).

Non è conforme a legge la delibera di trasformazione in società

per azioni adottata dal consiglio di amministrazione dell'Isti

tuto centrale per il credito a medio termine (Mediocredito cen

trale) poiché il fondo di dotazione non ha composizione asso

ciativa. (1) Non è conforme a legge la delibera di trasformazione in società

per azioni adottata dal consiglio di amministrazione dell'Isti

tuto centrale per il credito a medio termine (Mediocredito cen

trale) poiché ne risultano alterate le funzioni in materia di

attività agevolativa disciplinate dalla legge, che devono conti

nuare ad essere regolate nei modi previsti dalla legge. (2)

(1-2) La questione della trasformazione in s.p.a. del Mediocredito

centrale, sollevata dalla Corte dei conti con la determinazione in epigra

fe, inviata al parlamento (atti parlamentari, XI legislatura, doc. XV bis,

n. 31) cui si rinvia per il testo completo del provvedimento, è stata

definitivamente risolta (unitamente alla questione della trasformazione

dell'Artigiancassa) dalla 1. 26 novembre 1993 n. 489, proroga del termi

ne di cui all'art. 7 1. 30 luglio 1990 n. 218, recante disposizioni per

la ristrutturazione e la integrazione del patrimonio degli istituti di credi

to di diritto pubblico, nonché altre norme sugli istituti medesimi (Le

leggi, 1993, I, 3028). Mentre, infatti, il comma 1 dell'art. 2 1. 489/93,

fissa in via generale al 30 giugno 1994 il termine per la trasformazione

in s.p.a. degli enti creditizi pubblici, del cui fondo di dotazione o capi

tale lo Stato detiene la titolarità o anche la maggioranza relativa, il

comma 2 dell'art. 2 rinvia ad un decreto del ministro del tesoro la

determinazione delle modalità per il versamento alle nuove s.p.a. delle

disponibilità di pertinenza del patrimonio degli enti creditizi pubblici

originari, esistenti presso la tesoreria dello Stato. Tale norma si è resa

necessaria in quanto i fondi di dotazione del Mediocredito centrale e

dell'Artigiancassa sono giacenti presso la tesoreria dello Stato.

Quanto al nuovo assetto delle future s.p.a., il comma 3 dell'art. 2

1. 489/93 dispone che le società per azioni derivanti dalla trasformazio

ne del Mediocredito centrale e dell'Artigiancassa debbano mantenere

nell'oggetto sociale le finalità degli enti originari. Il mantenimento di

tali finalità viene perseguito altresì mediante l'obbligo, imposto per leg

ge al Mediocredito, di operare nell'interesse esclusivo delle piccole e

medie imprese, con l'eccezione delle operazioni riguardanti le esporta

zioni e la cooperazione economica internazionale (e all'Artigiancassa

nell'interesse esclusivo delle imprese artigiane). L'art. 3 della legge contiene la disciplina della successione nei rappor

ti giuridici tra i due istituti e le società per azioni derivanti dalla trasfor

mazione. Scopo principale della disciplina è quello di consentire un as

setto dei rapporti tra le amministrazioni pubbliche e le società derivanti

dalla trasformazione degli istituti che mantenga almeno transitoriamen

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