ordinanza 21 giugno 1980; Pres. Di Salvo; Fabbri c. Ufficio imposte dirette di RomaSource: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1980),pp. 421/422-423/424Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171239 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Quale che sia, però, la natura della convenzione, se atto uni
laterale del privato costituente presupposto di un provvedimento amministrativo ovvero contratto sostitutivo di provvedimento, e
pur riconoscendo che, di regola, l'attività amministrativa costitui
sca attuazione del potere giuridico esercitato per il conseguimen to degli interessi pubblici, è comunque da dire che in ogni caso
anche la pubblica amministrazione sia sempre tenuta all'osservan
za dei principi generali della correttezza e della buona fede
tanto che è ravvisabile una sua responsabilità pre-contrattuale se
nelle trattative e nelle relazioni con i terzi abbia compiuto azioni
o sia incorsa in omissioni contrastanti con detti principi (Cass., Sez. un., 11 gennaio 1977, n. 93, id., Rep. 1977, voce Contratti
della p. a., n. 20). Lo stesso atto amministrativo è, del resto, in
terpretabile normalmente secondo le regole di ermeneutica det
tate per i contratti in generale con la conseguenza che non è pos sibile limitarsi, in tale operazione, al senso letterale delle espres sioni essendo necessario indagare anche sulla intenzione dell'au
torità che ha emesso l'atto e tenere conto del suo comportamento successivo.
In breve si può dire, nel caso di specie, che con la stipula zione della polizza cauzionale la società istante abbia soddisfat
to, nel senso richiesto dall'amministrazione, la residua unica con
dizione per il rilascio della concessione (vedi nota del 5 settembre
1977) per il che, in quel momento, è sorta nella ricorrente una
ragionevole aspettativa in ordine alla lineare conclusione della
procedura concessoria. È a riguardo noto che il principio dell'affi
damento che risponde ad un criterio generale cui si ispira il le
gislatore, operi anche nei confronti della pubblica ammi
nistrazione (Cass. n. 2500 del 23 giugno 1975, id., Rep.
1975, voce cit., n. 31), sempre che, naturalmente, sussi sta una incolpevole aspettativa del terzo di fronte ad una
situazione ragionevolmente attendibile anche se non confor
me a realtà. In definitiva creare delle apparenze o lasciare
che esse si formino significa causare delle situazioni che vanno
valutate a vantaggio di chi, in buona fede, si deve affidare a ciò
che sembra credibile. Ove del resto si consideri che lo stesso sindaco di Bari nel provvedimento di che alla nota dell'I 1 apri le 1978, che è un atto di diniego di concessione con i benefici
di cui all'art. 18, 2° comma, legge n. 10 del 1977 e quindi, sotto
tale profilo, ritualmente è stato impugnato dalla S.i.c. in quanto immediatamente e gravemente lesivo delle proprie ragioni, am
mette che era già stato autorizzato il rilascio delle concessioni, sia pure subordinato al parere dell'avvocatura comunale, appare convincente il dedotto vizio di eccesso di potere prospettato nel
secondo motivo di ricorso in relazione al principio dell'affida
mento.
Ed infatti l'istanza di concessione con il beneficio dell'esonero
del costo di costruzione che, come si dice, rappresenta una forma
di partecipazione dell'interessato agli oneri che derivano alla col
lettività dall'attività edilizia, è stata, per quel che sopra si è pre
cisato, regolarmente presentata ai sensi dell'art. 18, 3° comma, della legge in esame e quindi, con la stipula della cauzione (14 febbraio 1978), si è del tutto consumato ogni potere di iniziativa
e di intervento del rapporto privato, che, per l'effetto, ragionevol mente da quel momento in poi poteva confidarsi nella sollecita
definizione della pratica. D'altronde se è certamente da riaffermare un potere discre
zionale della pubblica amministrazione in soggetta materia, è, pe raltro, pacifico che sia sempre necessaria la puntuale rigorosa mo
tivazione dei provvedimenti che incidono negativamente sulle si
tuazioni giuridiche dei privati, e ciò, tanto più, in quei casi in cui
proprio dal tempestivo intervento o meno della pubblica autorità
possa o non conseguire un vantaggio per il privato.
In sostanza non sembra al collegio che sia consentito alla
pubblica amministrazione di far decorrere i termini pre visti dalla legge per la fruizione di una disposizione tran
sitoria di favore ove sia già conclusa e perfezionata, per
quel che riguarda le aspettative dell'interessato, la procedu ra relativa, dovendo infatti l'amministrazione « comunque » scio
gliere, in parte sua, ogni eventuale riserva sulla istanza me desima nell'arco temporale fissato dalla legge. In caso contra rio l'applicazione del beneficio sarebbe infatti rimessa non già all'iniziativa ed alla sollecitudine dell'interessato, per il quale si
configura un onere di presentazione e di documentazione, bensì alla minore o maggiore efficienza degli apparati burocratici co munali o, quel che è peggio, alla volontà degli amministratori. Sintomatico è, nel caso in esame, che entro il termine annuale, il sindaco, pur dando atto che è stato autorizzato il rilascio, chiede al proprio ufficio legale se sia o meno da accogliere la istanza della S.i.c. e l'avvocatura, correttamente, risponde che il termine annuale è di decadenza e tassativo. Il problema, peraltro, è evi
dentemente di natura diversa in quanto non è in discussione la
natura, perentoria o ordinatoria, del termine stesso bensì se sia
legittimo che l'amministrazione per risolvere i propri dubbi ed incertezze interpretativi possa di fatto vanificare un beneficio
previsto dalla legge, non provvedendo, entro l'anno, sulla istan za di concessione agevolata, quando, si è innanzi precisato, aveva già per tempo tutti gli elementi necessari per pronunciarsi.
È significativo in proposito che, appunto in relazione alla fat
tispecie di che all'art. 18 legge n. 10, la dottrina ritenga non ap plicabile la procedura del silenzio-rifiuto in quanto l'amministra zione è vincolata, in base alla norma, non soltanto a provvedere ma a provvedere anche in un ben determinato termine, trascorso il quale l'istanza si dovrà ritenere rigettata.
Il mero richiamo al decorso del termine annuale non costitui sce pertanto una valida motivazione per la reiezione dell'istanza di concessione agevolata, in ordine alla quale, si ripete, sussi steva un ragionevole affidamento della società ricorrente. Ne con
segue che, per tale assorbente motivo, l'atto in questione va an nullato relativamente alle istanze del 4 e 18 marzo 1977 mentre
per quanto concerne quella del 25 maggio 1977 è cessata la ma teria del contendere, come da espressa compiuta dichiarazione delle parti.
Per questi motivi, ecc.
COMMISSIONE TRIBUTARIA DI I GRADO DI ROMA; COMMISSIONE TRIBUTARIA DI I GRADO DI ROMA; or dinanza 21 giugno 1980; Pres. Di Salvo; Fabbri c. Ufficio im
poste dirette di Roma.
Reddito delle persone fisiche (imposta sul) — Reddito imponibile — Detrazioni — Interessi — Mutui fondiari — Limite mas simo — Questione non manifestamente infondata di costitu zionalità (Cost., art. 3, 47, 53; d. pres. 29 settembre 1973 n. 597, istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fi
siche, art. 10; legge 13 aprile 1977 n. 114, modificazioni alla
disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, art. 5). Reddito delle persone fisiche (imposta sul) <— Reddito imponibile
— Detrazioni — Interessi passivi — Introduzione di limite massimo — Retroattività — Questione non manifestamente in fondata di costituzionalità (Cost., art. 25, 53; legge 13 aprile 1977 >n. 114, art. 5, 23).
Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame alla Corte costituzionale) la questione di costituzionalità dell'art. 10 d. pres. 29 settembre 1973 n. 597, come modificato dall'art. 5
legge 13 aprile 1977 n. 114, in quanto un limite massimo per la de traibilità degli interessi passivi su mutui fondiari rende non com mensurabile l'imposizione rispetto alla effettiva capacità con tributiva, ostacola la formazione del risparmio, e introduce un trattamento per le persone fisiche discriminato rispetto a quello previsto per i redditi di impresa e per il reddito delle persone giuridiche, in riferimento agli art. 3, 47 e 53 Cost. (1)
Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame alla Corte costituzionale) la questione di costituzionalità dell'art. 23 legge 13 aprile 1977 n. 114, in quanto attribuisce efficacia re troattiva all'art. 5 della stessa legge, che modifica l'art. 10 d. pres. 29 settembre 1973 n. 597, introducendo un limite per la detra zione degli interessi passivi su mutui fondiari, in riferimento agli art. 25 e 53 Cost. (2)
(1-2) La commissione solleva questione di costituzionalità dell'art. 10 d. pres. 29 settembre 1973 n. 597, cosi come modificato dall'art. 5 legge 13 aprile 1977 n. 114, in quanto sembra violare il principio della capacità contributiva, nonché della stessa norma modificatrice, in quanto dotata di effetto retroattivo.
Le questioni sollevato hanno il carattere della novità. Sulla legge n. 114/1977 può consultarsi Rinaldi, Oneri deducibili
e retroattività della legge n. 114/1977, in Bollettino trib., 1978, 810. Sul principio del rapporto tra prelievo fiscale e capacità contribu
tiva, ai sensi dell'art. 53 Cost., v., da ultimo, Corte cost. 8 novembre 1979, n. 126, Foro it., 1979, I, 2808, con nota critica di Gagliardi, l.n.v.i.m., principio nominalistico e capacità contributiva. Sui limiti della possibile retroattività delle leggi fiscali v. Corte cost. 23 maggio 1966, n. 44, id., 1966, I, 986, che nel caso ritenne la norma retroat tiva confliggente con l'anzidetto art. 53 Cost.
In senso critico in merito a questo orientamento, cfr. Schiavello, Sulla retroattività delle leggi tributarie, in Riv. dir. fin., 1966, 1, 587.
L'impossibilità di far richiamo all'art. 25 Cost, per negare la legit timità di norme fiscali retroattive è espressamente affermato da Corte cost. 9 marzo 1959, n. 9, Foro it., 1959, I, 313.
Sull'argomento v. Manzoni, Sul problema della costituzionalità del
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PARTE TERZA
La Commissione, ecc. — Fatto. — Con ricorso in data 12 di cembre 1977, Evandro Fabbri esponeva: che nell'autoliquidare l'imposta sul reddito delle persone fisiche per l'anno 1976, non
aveva detratto dal reddito degli immobili gli interessi sui mutui
nell'intera misura corrisposta; che aveva poi intimato all'ammini
strazione finanziaria, nei modi e nelle forme prescritte dall'art. 16 d. pres. 636/1972, il rimborso delle somme indebitamente cor
risposte; che l'amministrazione non aveva dato alcun riscontro alla richiesta; chiedeva, pertanto, la condanna dell'amministra
zione al rimborso di tali somme ed al pagamento degli interessi.
Con successiva memoria in data 8 maggio il ricorrente eccepiva
l'illegittimità costituzionale: a) dell'art. 5 legge 13 aprile 1977 n.
114 (che ha modificato il comma c dell'art. 10 d. pres. 597/1973) il quale limita le deduzioni degli interessi sui mutui ipotecari a
lire tre milioni, con riferimento agli art. 53 e 47 Cost.; b) del
l'art. 23 della citata legge n. 114 del 1977, il quale attribuisce
effetto retroattivo alla innovazione legislativa introdotta con il
precedente art. 5.
L'ufficio con deduzioni in data 15 maggio 1980 chiedeva il ri
getto del ricorso ritenendo infondati i motivi esposti dal ricor
rente.
Diritto. — L'esame del merito del ricorso presuppone la riso
luzione della prospettata questione di legittimità costituzionale, la quale non appare manifestamente infondata sotto i profili de
nunciati.
Invero, il divieto di detrarre dal reddito delle persone fisiche
gli interessi passivi sui mutui ipotecari eccedenti il limite di tre
milioni, determina nel soggetto passivo del debito d'imposta un
carico tributario eccedente la sua capacità contributiva.
Gli interessi passivi, infatti, riducono l'ammontare del reddito
del contribuente per cui il reddito assoggettabile ad imposta è
sempre stato quello risultante dalla deduzione di tali interessi
passivi; la norma denunciata, considerando reddito tassabile con
l'imposta progressiva, anche le somme eccedenti il limite di tre
milioni, assoggetta a tributo somme che in realtà, per chi le cor
risponde, rappresentano un costo; ciò determina un contrasto
con il principio fondamentale contenuto nell'art. 67 d. pres. del
1973, secondo cui la stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei con
fronti di soggetti diversi.
Tali motivi inducono a ritenere che la norma denunciata si
ponga in contrasto con l'art. 53 Cost, perché l'imposta, che in
base ad essa risulta dovuta, è superiore alla capacità contributiva
del debitore.
Anche la denunciata violazione dell'art. 47 Cost., secondo cui
la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue for
me, non appare manifestamente infondata. L'accensione di un
mutuo per l'acquisto di un immobile costituisce una forma di ri
sparmio rivolto alla creazione di un patrimonio. La Corte costi
tuzionale dovrà quindi valutare la legittimità costituzionale del
l'assoggettamento a tributo, come se fosse un reddito, del costo
che esso determina (gli interessi).
La questione di costituzionalità dell'art. 5 della legge citata
sembra porsi anche con riferimento all'art. 3 Cost., in quanto la
stessa materia (deducibilità degli interessi passivi), per effetto
della modifica da esso introdotta, trova una disciplina diversa
per le persone fisiche, rispetto a quella prevista dall'art. 58 d.
pres. n. 597/1973, per i redditi d'impresa, e dall'art. 5 d. pres. n. 598/1973, per i redditi delle persone giuridiche; in questi casi è assoggettato ad imposta solo il reddito complessivo, che
è costituito dagli utili netti conseguiti nel periodo d'imposta,
depurati, quindi, dei costi e degli oneri (art. 6). Tale diversità di trattamento non sembra trovare razionale giu
stificazione non potendo influire la qualità del soggetto passivo sulla natura delle componenti attive e passive del reddito.
La commissione ritiene infine non manifestamente infondata
la questione di costituzionalità dell'art. 23 legge 13 aprile 1977
n. 114, che attribuisce effetto retroattivo, con decorrenza dal 1°
gennaio 1976, al predetto limite di deducibilità degli interessi in
trodotto con il precedente art. 5. È principio fondamentale del
l'ordinamento giuridico che « la legge non dispone che per l'av
venire e che essa non ha effetto retroattivo» (art. 11 preleggi;
le leggi tributarie retroattive, in Riv. dir. fin., 1963, I, 518 (particolar mente il punto 3).
A seguito dell'art. 1 legge 24 aprile 1980 n. 146 {Le leggi, 1980, I, 441) (che ha ulteriormente modificato il testo dell'art. 10 d. pres. n. 597/1973 sostituito dall'art. 5 legge n. 114/1977) tra gli oneri de
ducibili, sostenuti dal 1° gennaio 1980, rientrano, adesso, gli inte ressi passivi ed oneri accessori pagati in dipendenza di mutui garan titi da ipoteca su immobili per i quali la deduzione è ammessa per un importo complessivamente non superiore a quattro milioni di lire, salvo quanto stabilito dal quarto comma dell'art. 58.
art. 73 Cost.). Il divieto di leggi retroattive è espressamente pre visto dalla Costituzione (art. 25, 2° comma) per quelle di natura
penale. In materia tributaria, secondo la giurisprudenza della Corte co
stituzionale (n. 9 del 1959, Foro it., 1959, I, 313) la legge retro attiva non viola per se stessa il principio della capacità contri
butiva; tuttavia, tale illegittimità sussiste quando sia violato qual che specifico precetto costituzionale (Corte cost. n. 118 del 1957,
id., 1957, I, 1133; n. 81 del 1958, id., 1959, I, 6); ha preci sato quindi (n. 44 del 1966, id., 1966, I, 986) e n. 45 del
1964, id., 1964, I, 1528) che « quando la legge assuma a
presupposto un fatto o una situazione passati — non più esistenti, perciò, al momento in cui essa entra in vigore —
ovvero innovi, estendendo i suoi effetti al passato, gli elementi dai quali la prestazione trae i suoi caratteri essenziali, il rap porto che deve sussistere tra imposizione e capacità contributiva
può risultare spezzato e il precetto costituzionale (« in ragione della capacità contributiva ») violato.
Nella fattispecie in esame l'imposta retroattiva incide sulla
capacità contributiva del contribuente e, mentre per il futuro
egli può evitare di fare nuovi acquisti di immobili con mutuo, ovvero può alienare gli immobili gravati, nessun negozio giuri dico può stipulare per evitare l'onere tributario eccedente la sua
capacità contributiva ed adattare la sua posizione alla disciplina legislativa sopravvenuta.
L'estensione ai periodi d'imposta passati della più onerosa di
sciplina sulla detrazione degli interessi passivi dei mutui, sem bra concretizzare, pertanto quella violazione del precetto costi tuzionale che la corte ha riscontrato nelle fattispecie esaminate con le sentenze n. 118 del 1957, n. 81 del 1958, n. 44 del 1966, ti. 45 del 1964.
Per questi motivi, ecc.
Rivista di giurisprudenza amministrativa Giustizia amministrativa — Militare — Sanzione disciplinare —
Impugnabilità — Fattispecie. Militare — Sanzione disciplinare — Partecipazione a pubblico
dibattito — Illegittimità.
È ammissibile il ricorso contro il provvedimento con il quale viene inflitta ad un militare la sanzione di dieci giorni di sala di
punizione di rigore, perché si tratta di sanzione disciplinare di
stato, che deve essere trascritta nei documenti personali. (1) È illegittima la sanzione disciplinare inflitta ad un militare in
servizio permanente effettivo, per aver partecipato alla riunione
di un sodalizio vietato dall'ordinamento in vigore (nella specie, movimento dei sottufficiali democratici dell'aeronautica), se in realtà si trattava di pubblico dibattito, solo organizzato da tale
sodalizio, e al quale avevano partecipato anche rappresentanti sindacali e autorità regionali. (2)
Consiglio di Stato; Sezione IV; decisione 27 novembre 1979, n. 1106; Pres. Mezzanotte, Est. Petriccione; Min. difesa (Avv. dello
Stato Ciardulli) c. Melatti (Avv. Borella, Lorenzoni). Conferma T.A.R. Veneto 26 ottobre 1976, n. 782.
(1) In termini, Cons. Stato, Sez. IV, 14 dicembre 1979, n. 1160, Cons. Stato, 1979, I, 1790, resa su di una controversia originata dalla medesima vicenda. La giurisprudenza più recente ammette l'impugna zione delle sanzioni anche non di stato, purché influiscano sul suc cessivo sviluppo di carriera: T.A.R. Emilia-Romagna 30 dicembre 1977, n. 603, Foro it., 1979, III, 498, con nota di richiami; questa sentenza, però, sembra affermare che tutte le sanzioni non di stato sono comunque impugnabili. Nel senso della giurisprudenza preva lente, adde ai richiami ivi riportati Cons. Stato, Sez. Ili, 1° dicem bre 1976, n. 511/74, id., Rep. 1979, voce Ricorsi amministrativi, n. 71.
(2) In termini, la già ricordata decisione di Cons. Stato, Sez. IV, 14 dicembre 1979, n. 1160. Per altri riferimenti, Cons. Stato, Sez. IV, 16 dicembre 1975, n. 1239, Foro it., 1976, III, 253, che ha rico nosciuto legittimo il provvedimento con il quale viene disposta la cessazione dalla ferma volontaria di un agente di pubblica sicurezza
per aver partecipato ad un'adunata non autorizzata, anche se a carico di altri partecipanti alla riunione siano state adottate determinazioni di diversa gravità. La Corte europea per i diritti dell'uomo 8 giugno 1976, id., 1977, IV, 1, ha ritenuto che non contrasta con la Conven zione europea dei diritti dell'uomo la norma (nella specie, del codice
penale militare olandese) che disciplina la libertà di espressione dei militari in modo diverso e più limitato rispetto ai civili.
In dottrina, Boldetti-Paganetto, Norme di principio sulla disci
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