sentenza 19 aprile 1988, n. 47; Pres. Meale, Est. Orlando; Previati (Avv. Minotti) c. Comitatoregionale di controllo sugli atti degli enti locali del MoliseSource: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1990),pp. 67/68-71/72Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23182972 .
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PARTE TERZA
fondata, gli ulteriori motivi dedotti e sviluppati nel suo contesto. Il collegio ritiene, peraltro, opportuno osservare, in via conclu
siva ed incidenter tantum, che sembra potersi escludere, allo sta
to e sulla base della produzione documentale esibita in giudizio, che il provvedimento da annullare sia viziato da profili di svia
mento di potere, e che la sua adozione sia suggerita dall'esclusivo fine di colpire la capacità imprenditoriale dell'impresa ricorrente.
È del pari innegabile che il bene alla cui garanzia l'autorità
locale ha inteso provvedere è attualmente privo di concreta prote zione, pur nella vigenza di norme di legge che ne prevedono i
mezzi di tutela e pur essendo stato già approvato per il triennio
1984-1986, il piano nazionale della pesca (d.m. 14 agosto 1985). È lasciata dunque all'iniziativa dell'amministrazione intimata l'op
portunità di promuovere i debiti interventi, disciplinati nella spe cie dall'art. 4, 4° comma, lett. d), intesi ad assicurare l'adozione, da parte dell'autorità competente, dei provvedimenti che garanti scano, nel rispetto delle forme e delle procedure previste dalle
leggi vigenti, la realizzazione del fine di conservazione e di gestio ne delle risorse biologiche del mare, indubbiamente degno della
massima considerazione.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL MO
LISE; sentenza 19 aprile 1988, n. 47; Pres. Meale, Est. Or
lando; Previati (Avv. Minotti) c. Comitato regionale di con
trollo sugli atti degli enti locali del Molise.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL MO
LISE; sentenza 19 aprile 1988, n. 47; Pres. Meale, Est. Or
Impiegato dello Stato e pubblico — Retribuzione tardivamente
corrisposta — Rivalutazione e interessi — Prescrizione — Pa
gamento — Annullamento da parte dell'organo di controllo — Legittimità (Cod. civ., art. 2934, 2937, 2938).
È legittima la deliberazione con cui il competente comitato regio nale di controllo annulla il provvedimento con cui una unità
sanitaria locale dispone in favore di un proprio dipendente il
pagamento della rivalutazione monetaria, con i relativi interes
si, di spettanze retributive, tra l'altro, tardivamente corrispo ste, nel presupposto che tali crediti accessori, in quanto concer nenti un credito principale soddisfatto più di cinque anni pri ma, dovevano ritenersi prescritti. (1)
(1) 1. - La sentenza ribadisce l'affermazione secondo cui le parti del credito di lavoro, relative al maggior danno per svalutazione e interessi, pur costituendo un elemento dello stesso credito, divengono autonome e sono soggette alla prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2948 c.c. Sul punto, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 maggio 1988, n. 561, Foro it., Rep. 1988, voce Impiegato dello Stato, n. 711; Tar Lombardia, sez. I, 18 febbraio 1987, n. 68, ibid., n. 768. Il rilevato termine prescrizionale, peraltro, in conformità a Corte cost. 7 aprile 1981, n. 50, id., 1981, I, 1224 e 3016 (ove è riportato il testo della circolare 7 ottobre 1981, n. 73 del ministro del tesoro, sulla prescrizione biennale delle rate di stipen dio e di pensione e degli altri assegni dovuti dallo Stato), si applica nella
liquidazione di stipendi, pensioni, ed altri emolumenti in genere, degli impiegati pubblici: Cons. Stato, sez. V, 22 febbraio 1988, n. 83, id., Rep. 1988, voce cit., n. 712; 12 maggio 1987, n. 277, id., Rep. 1987, voce cit., n. 739; sez. VI 15 aprile 1987, n. 266, ibid., n. 737; Tar Lazio, sez. III, 11 giugno 1988, n. 752, id., Rep. 1988, voce cit., n. 896; contra, Tar Sicilia, sez. II, 28 novembre 1987, n. 798, ibid., n. 622, secondo cui il credito relativo al compenso per lavoro straordinario si prescrive in dieci anni, a differenza di quello per mancato godimento delle ferie e dei riposi settimanali e festivi, prescrivibili in cinque anni. Nel senso, invece, che le competenze dovute si prescrivono in dieci anni allorché esse, pur discendendo direttamente dalla legge, non possano riconoscersi senza che l'amministrazione abbia accertato la sussistenza delle condizio ni richieste per la loro attribuzione, mentre si prescrivono in cinque anni, allorché le competenze dovute siano direttamente determinate dalla legge anche nel quantum, senza necessità per l'amministrazione di effettuare
operazioni di verifica, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15 aprile 1989, n. 436,
Il Foro Italiano — 1990.
Diritto. — 1. - Con l'unico, complesso motivo di gravame il
ricorrente pone, in sostanza, una duplice questione: — la prima, di fondo, relativa alla sussistenza o meno del po
tere stesso dell'organo di controllo di sindacare in sede di riscon
tro di legittimità la mancata eccezione da parte dell'amministra
zione controllata di prescrizione del credito del ricorrente relativo
a somme dovute per rivalutazione monetaria ed interessi connessi
con un credito, concernente emolumenti retributivi, in preceden za tardivamente soddisfatto;
— la seconda, attinente la sussistenza o meno del presupposto
oggettivo dell'esercizio di detto potere, costituito dall'essersi veri
ficata o meno la prescrizione estintiva del suddetto credito ac
cessorio.
2. - Quanto alla prima delle due questioni, ritiene il collegio che essa debba avere soluzione positiva.
Invero, non può disconoscersi che, nella gestione delle proprie
risorse, anche numerarie (ed a prescindere dalla classificazione
giuridica di tali beni), la pubblica amministrazione è in via gene rale tenuta ad una rigorosa osservanza di rigide e dettagliate nor
me di contabilità, essendo pur sempre dette risorse correlate e
soggette a vincoli di destinazione (che, in ultima analisi, vengono
precisati ed imposti attraverso lo stanziamento nei vari capitoli di bilancio).
Va da sé, quindi, che in ogni vicenda attinente l'impiego di
pubblico danaro (cosi nelle varie fasi di erogazione di una spesa, come anche nell'attività — come quella che ricorre nella fattispe cie — diretta ad «evitare» una spesa che non risulti «dovuta»), la pubblica amministrazione non gode — anche ove agisse iure
privatorum (ma non ne ricorre il caso) — di quell'ampio e quasi illimitato spazio di libertà riconosciuto ai soggetti privati.
Ciò premesso, va altresì' tenuto presente che l'art. 2937 c.c., nel mentre riconosce la possibilità per l'interessato di rinunciare
alla prescrizione in un momento successivo al decorso del relativo
termine (come facoltà alternativa al proprio esclusivo diritto di
farla valere: cfr. art. 2938), precisa che «non può rinunciare alla
prescrizione chi non può disporre validamente del diritto».
Nei sensi e nei limiti indicati con le precedenti osservazioni,
pertanto, la pubblica amministrazione, una volta verificatasi la
prescrizione di un proprio debito, non ha alcun potere dispositi vo che possa liberamente esplicarsi in ordine all'interesse, di cui
è divenuta titolare, di opporre o meno la prescrizione. Essa è, invece, tenuta ad eccepirla, prescindendo necessaria
mente da ogni valutazione di ordine etico (o, quanto meno —
ma sussistono non pochi dubbi al riguardo — a fornire una spe
cifica, e giuridicamente fondata, motivazione che si appalesi ido
nea a superare i vincoli normativi cui soggiace la gestione di cui
si è detto): in caso contrario, verrebbe meno la giustificazione stessa della spesa concernente appunto il pagamento del debito
prescritto, il quale risulterebbe non più giuridicamente «dovuto».
Cons. Stato, 1989, I, 506; sez. IV 5 maggio 1987, n. 261, Foro it., Rep. 1987, voce eit., n. 735; sez. V 18 maggio 1984, n. 371, id., Rep. 1984, voce cit., n. 667.
Il diritto all'indennità dei membri del governo, legati allo Stato da un
rapporto di servizio onorario, si prescrive in cinque anni: Corte conti, sez. con»., 28 novembre 1985, n. 1599, id., 1987, III, 237, con nota di richiami.
Circa l'onere di provare, ai fini della prescrizione, l'avvenuto decorso del tempo, cfr. Cass. 11 novembre 1986, n. 6616 e 17 aprile 1986, n.
2736, id., 1988, I, 1271, con osservazioni di F. Baldari. II. - La sentenza, inoltre, afferma il dovere dell'amministrazione pub
blica di eccepire la prescrizione, comportando la rinuncia (tacita) ad ecce
pirla un vizio di legittimità (e non di merito) dell'operato dell'ammini strazione stessa. Quanto alla prima delle due questioni, peraltro, tra loro strettamente connesse, concernente l'obbligo di eccepire la prescrizione, cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 maggio 1978, n. 502, id., Rep. 1978, voce
cit., n. 937; Tar Sicilia, sede Catania, sez. I, 13 aprile 1987, n. 609, id., Rep. 1987, voce cit., n. 740; contra, Tar Sicilia, sez. II, 13 novembre
1986, n. 310, ibid., n. 741. In ordine alla seconda questione, viceversa, non constano precedenti in termini. Cfr., ad ogni modo, Tar Sicilia, sez.
II, 13 novembre 1986, n. 310, cit., la quale afferma non essere di per sé illegittimo il provvedimento con il quale l'amministrazione disponga di corrispondere ai propri dipendenti somme per crediti già prescritti.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Acclarato che l'attività diretta ad eccepire la prescrizione di
un proprio debito risulta, per l'amministrazione, del tutto dovuta
in quanto, sia pure indirettamente ed implicitamente, imposta dalla
legge, ne deriva che la violazione di tale obbligo comporta un
vizio di legittimità (e non di merito, come sostiene il ricorrente)
dell'operato dell'amministrazione stessa: come tale, il vizio è ri
scontrabile dall'organo di controllo in sede di legittimità, né det
to organo viene in alcun modo a sostituirsi alla parte (pubblica
amministrazione) cui, esclusivamente, spetta opporre la relativa
eccezione, limitandosi l'organo stesso a censurare il comporta mento omissivo illegittimamente tenuto dalla stessa amministra
zione (per una fattispecie in cui il Consiglio di Stato ha implicita mente ritenuto sussistere l'esaminato potere dell'organo di con
trollo, cfr. sez. V 5 maggio 1978, n. 502, Foro it., Rep. 1978,
voce Impiegato dello Stato, n. 337).
Ritiene, pertanto, il collegio che l'impugnato atto negativo di
controllo debba essere dichiarato esente dal denunciato vizio di
violazione di legge ed eccesso di potere, sotto il profilo testé con
siderato della mancata eccezione di prescrizione.
Risulta, peraltro, ultroneo e superfluo disquisire sulla legittimi tà dell'ulteriore profilo di motivazione dell'atto impugnato — se
l'inerzia della pubblica amministrazione possa essere o meno con
figurabile come atto di liberalità (cosi definita dall'organo di con
trollo) — dal momento che l'atto stesso è autonomamente e suf
ficientemente sorretto dal motivo, sinora esaminato, concernente
l'impossibilità giuridica della rinuncia (anche implicita) alla pre scrizione.
3. - Soluzione positiva deve darsi anche alla seconda delle que stioni all'inizio prospettate, in ordine alla circostanza se in con
creto il particolare credito vantato dal ricorrente dovesse o meno
ritenersi prescritto al momento dell'adozione del provvedimento annullato con l'atto negativo di controllo impugnato.
Al riguardo vanno svolte le seguenti osservazioni:
A) In primo luogo, il ricorrente richiama l'orientamento giuris
prudenziale secondo il quale rivalutazione monetaria ed interessi
costituiscono «parte integrante della stessa retribuzione dovuta
per le prestazioni effettuate» (cfr. Cass., sez. un., 27 giugno 1981
n. 4184, id., Rep. 1981 voce cit., n. 881), un di più che si sostan zia «nella quantificazione di valori ontologicamente e funzional
mente coincidenti con i momenti originari del diritto alla retribu
zione» (cfr. Tar Molise 5 marzo 1984, n. 230), onde la relativa
pretesa non costituisce diritto patrimoniale conseguenziale; «se
cosi è», conclude il ricorrente, «ci troviamo di fronte all'inscindi
bilità dell'unico debito pecuniario e come correttamente non è
stata sollevata la prescrizione, peraltro, mai maturata, per la li
quidazione degli emolumenti arretrati nella voce 'base' ... al
trettanto correttamente deve essere tenuta sotto silenzio, ed an
che perché comunque non è maturata, in riferimento alla liquida zione delle somme per maggior danno da svalutazione monetaria
e per gli interessi relativi all'accertato e riconosciuto debito, in
parte posto in pagamento». La deduzione, nonostante l'esattezza delle premesse giuris
prudenziali, non appare condivisibile.
Il concetto dell'inscindibilità o, se si vuole, della connaturazio
ne del credito per rivalutazione ed interessi al credito di lavoro,
è stato elaborato ai fini dell'affermazione della giurisdizione del
giudice amministrativo, della proponibilità della relativa doman
da in ogni stato e grado del giudizio ed anche della riconoscibilità
ex officio del diritto da parte del giudice.
Orbene, prescindendo dall'osservazione che, in definitiva, i cre
diti particolari di cui trattasi, anche perché «eventuali», costitui
scono «profili monetari accessori» del credito di lavoro (cfr. Tar
Lombardia, Milano, 22 ottobre 1983, n. 1427), ed anche a voler
totalmente accogliere la tesi dell'assoluta «inscindibilità» di quel
le «parti» con il tutto, sostenuta dal ricorrente, va comunque
chiarito che tale concetto non può, né è stato mai in giurisprudenza
usato per immutare il regime prescrittivo del credito accessorio,
ovvero della «parte» non soddisfatta dell'unico credito, che ne
occupa (cfr. Tar Lombardia cit., che, per converso, implicita mente dichiara la prescrittibilità di siffatti crediti).
E sarebbe davvero aberrante la conseguenza che il ricorrente
sembra voler trarre sul piano logico: dalla circostanza di fatto
Il Foro Italiano — 1990.
che un credito (sorte) sia stato solo «parzialmente» soddisfatto
entro i termini originari di prescrizione (ovvero senza che questa venisse eccepita) dovrebbe ricavarsi la «imprescrittibilità» della
sua ulteriore «parte» (rata, accessorio, ecc.) insoluta. Siffatta so
luzione costituirebbe palese ed inammissibile violazione del prin
cipio generale, solennemente affermato dall'art. 2934 c.c. per cui
ogni diritto si estingue per prescrizione con le sole, tassative ecce
zioni indicate esclusivamente dalla legge (cfr. 2° comma dello stesso
articolo). In conclusione, quindi, come le «rate» insolute di uno stesso
credito divengono autonome, pur facendo parte di un tutto uni
co, e sono per se stesse prescrittibili in relazione all'inerzia del
titolare del relativo diritto, cosi lo sono — come di norma (ripe
tesi) ogni diritto — anche le «parti» del credito di lavoro, relative
al maggior danno per svalutazione e interessi e ad esso «connatu
rate», attesa l'assenza di qualsiasi norma che ne preveda l'impre
scrittibilità, né potendosi esse definire indisponibili ai sensi e per
gli effetti del 2° comma del citato art. 2934 c.c.
B) In secondo luogo, nel caso di specie, il pagamento disposto dalla Usi di Campobasso e ritenuto illegittimo dal Coreco, con
cerneva importi di rivalutazione monetaria ed interessi legali rela
tivi ad emolumenti arretrati, maturati nel 1969 ed effettivamente
liquidati ed erogati il 17 febbraio 1977. Da questa data (relativa alla liquidazione e non della matura
zione del credito, seguendo una ipotesi più favorevole per il ri
corrente) inizia a decorrere il termine di prescrizione che, secon
do l'ormai prevalente giurisprudenza amministrativa, formatasi
a seguito della nota sentenza della Corte costituzionale 7 aprile
1981, n. 50 (id., 1981, I, 1224) deve essere ritenuto quinquennale, come previsto dall'art. 2948 c.c., applicabile agli stipendi, pen sioni ed altri emolumenti dovuti dallo Stato e dagli altri enti pub blici ai propri dipendenti (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V,
12 maggio 1987, n. 277, id., Rep. 1987, voce cit., n. 733; Tar
Catania, sez. I, 20 novembre 1986 n. 982 e 13 aprile 1987, n.
609; Tar Lombardia, cit.). Per completezza, va aggiunto che l'as
similabilità dei crediti che ne occupano a quelli relativi a stipendi,
pensioni ed emolumenti, ai fini dell'individuazione dell'esatto re
gime prescrittivo, risulta del tutto giustificata e pacifica, sia che
si segua la teoria dell'accessorietà che quella dell'inscindibilità dei
suddetti crediti.
Pertanto, alla data dell'istanza 27 gennaio 1983, essendo tras
corsi quasi sei anni dalla data del pagamento degli emolumenti
cui si riferivano la rivalutazione monetaria e gli interessi legali in questione, non vi è alcun dubbio che gli stessi fossero già am
piamente prescritti.
C) Deve essere, inoltre, rilevato che, nonostante l'espressa ri
serva formulata nell'atto introduttivo, il ricorrente ha omesso di
fornire il benché minimo principio di prova in ordine agli asseriti
atti interruttivi della prescrizione (le «ripetute richieste»), prece denti l'istanza del 27 gennaio 1983, che ha poi determinato l'e
missione del provvedimento di liquidazione annullato.
Certamente, il comportamento inerte tenuto dall'amministra
zione fino al tardivo pagamento, effettuato a termini di prescri
zione ormai scaduti, non può andare esente da censura in quanto non corrispondente «ai principi di correttezza e buona fede, cui
qualsiasi debitore deve uniformare la sua condotta»; censura questa
già contenuta nella precedente sentenza n. 230 del 1984 resa da
questo tribunale tra le stesse parti, nella quale, peraltro, si stig
matizzava l'operato del Coreco, che aveva annullato il pagamen to spontaneo da parte della Usi di Campobasso di una somma
a titolo di rivalutazione ed interessi relativi ad altri emolumenti
liquidati nel 1982. Pur rilevandosi che l'Usi intimata non pare nella fattispecie
odierna aver fatto tesoro di quelle giuste esortazioni, non può
tale atteggiamento essere giuridicamente sanzionato, attesa la cor
rispondente inerzia — rilevante, questa si, ai sensi del già citato
art. 2934 c.c. — mantenuta dal ricorrente, titolare del relativo
diritto, cui incombeva l'onere di porre in essere idonei atti inter
ruttivi della prescrizione (ovvero di darne prova in giudizio).
D) La diversità delle fattispecie, da ultimo rilevata, nonché l'ac
certata «doverosità» dell'eccezione di prescrizione da parte della
Usi e della conseguente legittimità dell'effettuato controllo da parte
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PARTE TERZA
del Coreco conducono, infine, a ritenere inconferente il residuo
profilo di censura, concernente un asserito atteggiamento vessa
torio o persecutorio dello stesso Coreco nei confronti del ricorrente.
4. - Pertanto, essendo stata verificata l'infondatezza di tutte
le censure dedotte, il ricorso deve essere respinto.
COMMISSIONE TRIBUTARIA DI II GRADO DI ROMA; se zione IV; decisione 18 maggio 1989; Pres. Bonelli, Est. Mon
giardo; Centro di servizio imposte dirette di Roma c. Boccia.
COMMISSIONE TRIBUTARIA DI II GRADO DI ROMA;
Redditi (imposte sui) — Oneri deducibili — Contributi non ob bligatori alla cassa di assistenza sanitaria della Banca d'Italia — Natura previdenziale — Deducibilità (D.p.r. 29 settembre
1973 n. 597, istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle
persone fisiche, art. 10, 48; 1. 13 aprile 1977 n. 114, modifica
zioni alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisi
che, art. 5).
In materia di imposta sul reddito delle persone fisiche, sono de
ducibili i contributi non obbligatori versati dal dipendente alla
cassa di assistenza sanitaria della Banca d'Italia, in quanto aventi
natura previdenziale. (1)
(1) La controversia riguarda la deducibilità dei contributi volontari versati alla cassa di assistenza sanitaria della Banca d'Italia (Caspie) dai dipen denti della banca stessa.
In base all'art. 48 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, non concorrono a formare reddito di lavoro dipendente i contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro ad enti o casse aventi esclusivamente fine previden ziale o assistenziale in conformità a disposizioni di legge, di contratto collettivo o di accordi aziendali, ancorché commisurati alle retribuzioni.
La Commissione di secondo grado di Roma si pronuncia sul punto in contestazione confermando la decisione di primo grado di Roma (dee. 22 ottobre 1986, inedita): la Caspie, a norma del proprio atto costitutivo, è un organismo avente fine assistenziale o previdenziale, pertanto, natura
previdenziale deve essere attribuita anche ai contributi versati dai lavora tori allo scopo di porre riparo a quei disagi che siano diretta conseguenza di eventi patologici. In secondo luogo tali contributi, in quanto volontari, hanno natura non obbligatoria e vanno assimilati ai contributi previden ziali non obbligatori per legge che l'art. 10 d.p.r. 29 settembre 1973 n.
597, lett. t), cosi come modificato dall'art. 5 1. 13 aprile 1977 n. 114, ha ritenuto deducibili sia pure entro i limiti di un tetto finanziario pari a due milioni di lire.
In senso conforme, in aggiunta all'appellata decisione di primo grado, altri contributi non obbligatori sono stati riconosciuti dalle commissioni come aventi natura previdenziale, e quindi deducibili: cfr. Comm. trib. I grado Torino 7 ottobre 1986, foro it., Rep. 1987, voce Reddito delle
persone fisiche (imposta), n. 207, relativamente alla contribuzione Fasi
(fondo assistenza sanitario integrativo); Comm. trib. 1 grado Roma, sez. III, 21 maggio 1986, pres. Zema, rei. Agnino, inedita, in merito ai contri buti versati alla cassa autonoma di previdenza e assistenza integrativa dei giornalisti; Comm. trib. II grado Vercelli 28 novembre 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 180, che assimila i premi delle assicurazioni malattie ai contributi previdenziali deducibili per legge; Comm. trib. centrale 11 marzo 1982, n. 2436, id., Rep. 1982, voce cit., n. 179, con riferimento ai contributi previdenziali versati dal notaio alla cassa del notariato.
In senso contrario alla suddetta deducibilità, Comm. trib. I grado Bol zano 1° ottobre 1981, ibid., n. 177, in relazione ai versamenti mensili
previsti nel «programma volontario di previdenza» della soc. Cofina, ai fini della costituzione di una rendita vitalizia: tali versamenti sono stati considerati assimilabili ad un'operazione di risparmio del pari di quelle effettuate presso un istituto bancario.
Sulla legittimità costituzionale dell'art. 10, lett. i) e l), d.p.r. 29 settem bre 1973 n. 597 nella parte in cui non consente, ai fini Irpef, la deducibi lità dei contributi versati per l'assistenza sanitaria privata mentre lo sono
quelli versati al servizio sanitario nazionale, in riferimento agli art. 3 e 32 Cost., v. Corte cost., ord. 10 marzo 1988, n. 290, id., 1988, I, 2454, che ha ritenuto inammissibili le questioni sollevate da Comm. trib. I gra do Milano 2 aprile 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 207 e da Comm. trib. I grado Genova 14 marzo 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 201. Le suddette rimessioni si fondavano sul raffronto fra la disciplina pubbli
li. Foro Italiano — 1990.
Il centro di servizio, con il proposto appello, sostiene che il
contributo Caspie, avendo natura prettamente assistenziale, non
rientra nelle previsioni della lett. / dell'art. 10 d.p.r. 597/73 come
modificato dalla 1. 114/77, art. 5, il quale richiede, quale presup
posto per la deducibilità, la natura previdenziale dei contributi
facoltativi.
L'appello è infondato e, come tale, non merita accoglimento. A parere di questa commissione, e come già esattamente indivi
duato dai giudici di primo grado, i contributi di malattia versati
dal contribuente alla cassa mutua della Banca d'Italia (Caspie), sono deducibili dal reddito complessivo dei dipendenti della ban
ca stessa, e ciò sia in forza della specifica norma prevista dall'art.
48, 2° comma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, sia in virtù del
disposto dell'art. 10 citato d.p.r. come modificato dall'art. 5 1.
114/77. Infatti il richiamato art. 48, 2° comma, recita: «non con
corrono a formare il reddito di lavoro dipendente i contributi
versati dal datore di lavoro e dal lavoratore ad enti o casse aventi
esclusivamente fine previdenziale o assistenziale in ottemperanza a disposizioni di legge, di contratti collettivi o di accordi azienda
li ancorché commisurati alla retribuzione».
Orbene, non vi è dubbio che la Caspie, in forza del suo atto
costitutivo (art. 2) sia un organismo avente fine previdenziale o
assistenziale, e di conseguenza alle somme trattenute ai dipenden ti della Banca d'Italia e versate alla Caspie va riconosciuta la
natura di contributi previdenziali non obbligatori per legge con
il conseguente diritto a godere della deducibilità fiscale ai sensi
dell'art. 10, lett. /, d.p.r. 597/73 e successive modifiche. Infatti
le somme versate dagli iscritti per fruire (in via integrativa) delle
prestazioni previste dalla Caspie per il caso di malattia, infortuni
ed interventi chirurgici, si configurano come contributi, in quan to facenti carico agli iscritti, in applicazione di un concetto di
mutualità di gruppo e conformemente ad apposite norme statuta
rie e regolamentari. La categoria degli aderenti è soggettivamente caratterizzata dalla qualità di dipendenti o pensionati della Banca
d'Italia; i contributi hanno poi carattere previdenziale, in quanto la loro funzione è finalizzata a fronteggiare situazioni di disagio connesse all'insorgenza di eventi patologici. La circostanza, infi
ne, di derivare da una libera scelta dei singoli interessati, li quali fica poi come contributi previdenziali non obligatori per legge, cosi come richiamato dall'art. 10, lett. I, d.p.r. 597/73. Ora, se
è vero che in base al nuovo testo dell'art. 10 in esame sono dedu
cibili i contributi previdenziali ed assistenziali obbligatori, mentre
alla lett. I ritiene non deducibili i premi per assicurazioni contro
le malattie, è altresì' vero che ha ritenuto deducibili anche i con
tributi previdenziali non obbligatori per legge, sia pure fissando
un tetto finanziario. Proprio in relazione a tale nuovo testo l'uf
ficio appellante sostiene l'indeducibilità dei contributi in questio ne in quanto aventi, a suo dire, carattere assistenziale.
Ma tale tesi non può essere condivisa dal momento che i con
tributi de quibus hanno natura sostanzialmente previdenziale, co
me ampiamente esposto. A parte tale rilievo, non vi è dubbio che l'assistenza per le
malattie in genere attiene alla «mutualità» ed alla «prevenzione», connotati indiscutibili della previdenza, la quale consiste nella pre
disposizione di strumenti diretti a coprire eventuali future necessità.
cistica dell'assistenza sanitaria e quella privatistica dell'assicurazione ma lattie. La corte ha negato la possibilità di alcuna parificazione fra le due
materie, al fine di non invadere la sfera di discrezionalità della pubblica amministrazione.
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