sentenza 24 maggio 1989, n. 117; Pres. Di Giuseppe, Est. Daniele; Artico ed altri (Avv. Villa) c.Regione Marche ed altro (Avv. Jorio)Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1990),pp. 149/150-151/152Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23182988 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Inoltre, la giurisprudenza della corte medesima in tema di con
trollo sui presupposti condizionanti la corretta instaurazione del
giudizio di costituzionalità, con particolare riguardo ai requisiti di rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione, e le pronunce disponenti la restituzione degli atti al giudice de
quo per un nuovo esame della rilevanza nell'ipotesi di sopravve nienze normative suscettibili di rendere ininfluente la decisione
della corte, attestano che il giudice delle leggi è il solo competen te a promuovere la riattivazione del giudizio sospeso.
L'assoluta ed esaustiva ampiezza dei poteri attribuiti alla corte
nella condotta e per la definizione del giudizio di costituzionalità risponde all'esigenza di attribuire a quel carattere di autonomia
rispetto al giudizio a quo che è plasticamente espresso nel dispo sto dell'art. 22 delle norme integrative già citate, in forza del
quale: «Le norme sulla sospensione, interruzione ed estinzione
del processo non si applicano ai giudizi davanti alla Corte costi
tuzionale, neppure nel caso in cui, per qualsiasi causa, sia venuto
a cessare il giudizio rimasto sospeso davanti all'autorità giuris
dizionale, che ha promosso il giudizio di legittimità costituziona
le». E ciò perché il giudizio di legittimità della legge rappresenta la garanzia della legittimità costituzionale e si svolge quindi nel
l'interesse generale (Corte cost. n. 52 del 1986, id., 1986, I, 857).
Consegue da quanto si è detto che la revoca dell'ordinanza
con la quale si è rimessa la questione alla corte, presupponendo, nella specie, una valutazione di manifesta infondatezza per so
pravvenuta sentenza costituzionale di rigetto sulla stessa questio
ne, oltre a conferire rilevanza all'interesse della parte del giudizio a quo, che, come si è detto, deve restare estraneo alle sorti del
procedimento incidentale si risolverebbe nell'inammissibile sottra
zione alla corte di una competenza che le è attribuita in modo
esclusivo.
E se è vero che, nel quadro della progressiva accentuazione
del carattere di concretezza del giudizio costituzionale, della qua le sono manifestazione evidente i penetranti controlli svolti dalla
corte sul requisito della rilevanza, potrebbe auspicarsi che anche
la valutazione della non manifesta infondatezza della questione sia aperta ad interventi di verifica ad opera del giudice a quo, ove l'originario dubbio di incostituzionalità possa rivelarsi non
più attuale in virtù di decisioni sopravvenute, è però altrettanto
vero che, in ossequio ai tratti fondamentali del sistema vigente,
sopra ricordati, non può non attendersi che sia la Corte costitu
zionale a compiere nuovi passi sulla via della valorizzazione del
l'economia processuale riconsegnando al giudice del merito quel le vertenze che abbiano dato luogo a questioni palesemente pre
giudicate.
non potrebbero non valere anche per il caso che ci occupa, sembra infat
ti, nell'ipotesi sub c, che con la decisione di rimettere una questione all'e
same della corte si pongano le condizioni necessarie e sufficienti affinché
la stessa possa ribadire, ma anche ribaltare, la propria decisione di infon datezza intervenuta dopo l'ordinanza di rinvio e affinché le parti del pro cesso a quo possano legittimamente chiedere di esporre le loro ragioni
perché un simile ribaltamento si verifichi. Il giudice quindi non può, revocando la propria ordinanza, impedire
alla corte di tornare sulla questione o alle parti di far sentire le loro
ragioni in proposito, dal momento che una modifica della posizione espressa con la precedente pronuncia di rigetto, per quanto difficilissima, non può considerarsi giuridicamente impossibile.
Il momento particolare che vive attualmente la nostra giustizia costitu
zionale, caratterizzato da tempi brevissimi nella decisione delle questioni, fa si che, a differenza di quanto avveniva alcuni anni or sono quando un'eccezione poteva essere decisa dieci anni dopo l'emanazione del prov vedimento di rimessione, oggi deve ritenersi meno sentita l'esigenza di
riconoscere al giudice il potere di revocare l'ordinanza di rinvio, dal mo
mento che i tempi di attesa, specie se rapportati a quelli normali della
nostra giustizia ordinaria, saranno comunque assai brevi. Una simile esi
genza, quando c'è, sembra più dipendere oggi dai ritardi dei giudici nel
rimettere l'ordinanza e gli atti processuali alla corte, come nel caso del
Tar Lazio per il quale, al momento della presentazione dell'istanza di
revoca, risultava che, dopo oltre un anno e mezzo dalla data della pro nuncia di rinvio, essa non era ancora stata trasmessa alla Corte costitu
zionale. In tali situazioni pare evidente come, ai fini di economia processuale
e di tutela degli interessi presenti nel giudizio principale, non sia necessa
ria la previsione di un potere di revoca dell'ordinanza di rinvio, quanto un più sollecito adempimento dell'obbligo di trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale. Roberto Romboli
Il Foro Italiano — 1990.
Roberto Romboli
Nelle accennate tendenze evolutive del giudizio costituzionale
non si rinviene alcuno spazio che consenta al giudice del merito
di riappropriarsi del processo «del quale, ricorrendone i presup
posti» è abilitato soltanto a spogliarsi per permettere alla Corte
costituzionale di svolgere il suo ruolo istituzionale.
Deve infine rilevarsi che non può condividersi l'allegazione di un preteso sopravvenuto difetto di interesse al giudizio di legitti mità per essersi la corte già pronunciata con decisione di rigetto, nei sensi di cui in motivazione, su identica questione rimessa da
altro giudice. L'argomentazione contrasta con l'esigenza, già ri
cordata, che il giudizio incidentale di costituzionalità resti insen
sibile alle vicissitudini delle posizioni processuali sul giudizio de quo (art. 22 delle norme integrative), e con l'attribuzione esplici ta alla corte dell'accertamento circa la manifesta infondatezza della
questione (art. 29 1. n. 87 del 1953). Senza dire che la tesi potrebbe presentare, in astratto, un qual
che fondamento ove la corte avesse adottato una sentenza di ac
coglimento, in tal modo eliminando erga omnes la norma da ap
plicare nel giudizio de quo, ma non è proponibile rispetto alla
sentenza di rigetto, sia pure di tipo interpretativo e, quindi, su
scettibile di arrecare, ove il giudice del merito ritenga di attener
visi, un qualche beneficio alla parte, poiché in questo caso persi ste la possibilità (e perciò l'interesse) che il nuovo giudizio della corte sia definito con decisione di accoglimento, e cioè in modo
pienamente satisfattivo delle ragioni dedotte nella lite; — che, il secondo quesito, concernente la possibilità che il giu
dice a quo revochi l'ordinanza di remissione alla corte, quanto meno nei casi in cui l'ordinanza stessa, pur ritualmente notificata
e comunicata, e il fascicolo del processo, non siano stati mate
rialmente inviati alla corte, va risolto in senso negativo. L'art. 23, 2° comma, della 1. n. 87 del 1953 stabilisce che, quan
do la questione di legittimità della norma da applicare sia ritenuta
rilevante e non manifestamente infondata, il giudizio non può pro
seguire, e impone al giudice di tradurre la relativa delibazione nel
l'ordinanza che dispone la trasmissione degli atti alla corte e la so
spensione del processo. La pubblicazione di questa decisione segna il momento in cui il giudice si spoglia del procedimento perdendo il potere di adottare nuovi provvedimenti prima che la corte si sia
pronunciata sulla questione di cui è stata investita.
L'osservanza degli adempimenti disposti dall'ordinanza (notifi
cazioni, comunicazioni, trasmissione degli atti alla corte), se con
diziona l'effettiva instaurazione del giudizio incidentale di legitti mità costituzionale, risulta però ininfluente rispetto alla preclusio ne che si è ormai verificata per il giudice remittente di riappropriarsi del processo, perché questa situazione non dipende dall'inizio del
giudizio davanti alla corte, ma dal divieto di giudicare applicando una norma ritenuta rilevante e di dubbia legittimità costituzionale;
— che, per le suesposte ragioni, l'istanza non può trovare ac
coglimento.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LE MARCHE; sentenza 24 maggio 1989, n. 117; Pres. Di Giusep
pe, Est. Daniele; Artico ed altri (Aw. Villa) c. Regione Mar
che ed altro (Avv. Jorio).
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LE MARCHE; sentenza 24 maggio 1989, n. 117; Pres. Di Giusep
Caccia — Calendario venatario — Posticipata apertura e antici
pata chiusura della stagione venatoria — Poteri della regione — Limiti (L. 27 dicembre 1977 n. 968, principi generali e di sposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la discipli na della caccia, art. 11, 12; 1. reg. Marche 29 marzo 1983 n.
8, norme per la protezione e la tutela della fauna e per la disci
plina della caccia, art. 29).
Le regioni non hanno un potere latamente discrezionale di ridu
zione della stagione venatoria, fissata dal legislatore statale in
modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, ma possono intervenire in senso riduttivo solo qualora si verifichino le cir
costanze di cui all'art. 12 l. 968/87 (importanti e motivate ra
gioni connesse alla consistenza faunistica o per sopravvenute
particolari condizioni ambientali, stagionali o climatiche o per malattie o altre calamità), le quali debbono esser fatte consta
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PARTE TERZA
tare nel provvedimento deliberativo ed essere adeguatamente motivate. (1)
Diritto. — Il primo motivo del ricorso, volto a contestare la
legittimità dell'atto presupposto (verbale della riunione sulla for
mazione del calendario venatorio tenutosi in data 26 maggio 1988
presso la sede della giunta regionale) e quindi, in via derivata, della deliberazione n. 4322 del 18 luglio 1988, è infondato.
Come esattamente eccepito dalla resistente amministrazione, non
essendo previsto dalla vigente normativa (1. 968/77 e 1. reg. Mar
che 8/83) alcun tipo di procedimento amministrativo in vista del
la formazione del calendario venatorio, nessun parere doveva es
sere emesso da parte delle amministrazioni provinciali; nondime
no, al fine di acquisire dati di fatto ed elementi di valutazione utili per addivenire all'adozione del provvedimento, la regione ha provveduto all'audizione sia delle amministrazioni provinciali
(a cui sono demandate le funzioni amministrative in materia di
caccia, per delega disposta con 1. reg. 9/83) sia delle associazioni
venatorie regionali. Trattandosi, peraltro, di audizione informale, costituente un
momento amministrativo da parte di soggetti interessati, non po teva certo pretendersi in quella sede il rispetto dei principi in ma
teria di convocazione e di funzionamento degli organi collegiali amministrativi; per cui nessuna rilevanza assume l'assenza di al
cune amministrazioni provinciali, o il difetto di legittimazione di
alcuni dei partecipanti alla riunione, essendo gli enti e le associa
zioni interessate liberi di intervenire o meno a tale sedute, e di
formulare le loro osservazioni senza alcuna particolare modalità
procedimentale. La doglianza in esame deve, pertanto, essere disattesa.
Fondate sono invece le ulteriori censure di violazione dell'art.
11 1. 27 dicembre 1977 n. 968 e dell'art. 29 1. reg. Marche 29
marzo 1983 n. 8, nonché di eccesso di potere sotto vari profili dedotte dai ricorrenti con il secondo motivo.
Ed invero, la 1. 27 dicembre 1977 n. 968 (recante principi gene rali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la
disciplina della caccia) all'art. 11 detta l'elenco delle specie cac
ciabili e stabilisce per ciascuna i periodi di caccia. Stabilisce, inol tre, che possono essere disposte variazioni delle specie cacciabili
con decreto del presidente del consiglio dei ministri, sentito l'isti
tuto nazionale di biologia della selvaggina. Il successivo art. 12 stabilisce che le regioni possono vietare
o ridurre la caccia a determinate specie di selvaggina di cui al
l'art. 11, per periodi prestabiliti, per importanti e motivate ragio ni connesse alla consistenza faunistica o per sopravvenute parti colari condizioni ambientali, stagionali o climatiche o per malat
tie o altre calamità.
Da tali disposizioni è agevole constatare che — come afferma to dal Consiglio di Stato con la recente decisione della sez. VI
in data 29 novembre 1988, n. 1306 — le regioni non hanno un
potere latamente discrezionale di riduzione della stagione venato
ria, la cui durata è stabilita dalla legge, ma possono intervenire
in senso riduttivo solo qualora si verifichino le circostanze di cui
al citato art. 12 1. n. 968/77. In altre parole, essendo la materia dell'attività venatoria disci
plinata dal legislatore statale in modo omogeneo su tutto il terri
torio nazionale, il potere di ridurre o vietare la caccia, per perio di prestabiliti, a determinate specie di selvaggina ha carattere ec cezionale e derogatorio, potendo la regione esercitarla soltanto in presenza delle particolari ragioni e circostanze previste dal pre detto art. 12, e comportando il suo esercizio non solo la necessità
(1) Nella specie, il Tar Marche ha annullato la deliberazione della giunta regionale con cui era stato approvato il calendario venatorio 1988/89 che
posticipava l'apertura della caccia dall'8 agosto al 18 settembre 1988 ed
anticipava la chiusura al 9 marzo 1989, rilevando come, mentre l'art. 12 1. 968/77 fa riferimento a «determinate specie di selvaggina», la ridu zione del periodo di caccia era stata predisposta in maniera generalizzata ed inoltre senza un'idonea motivazione ed un'adeguata istruttoria.
In ordine ai limiti che le regioni incontrano nell'approvazione del ca lendario venatorio, con riferimento a quanto stabilito dagli art. 11 e 12 1. 968/77, v., da ultimo, Pret. Bologna, ord. 1° marzo 1989, Foro it., 1989, I, 3252, con nota di richiami, secondo cui il potere riconosciuto alle regioni dall'art. 12 1. 968/77 di apportare, con propri atti, variazioni all'elenco delle specie cacciabili di cui all'art. 11 stessa legge, deve inten dersi nel senso che le regioni possono solo impedire l'inseguimento e la cattura di singole specie animali nella salvaguardia della loro vita e liber tà, non anche del loro riposo o della loro quiete.
Circa l'analogo problema (determinazione delle specie cacciabili) con
riguardo alle regioni a statuto speciale, v., da ultimo, Corte cost. 27 otto bre 1988, n. 1002, ibid., 3074, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 1990.
di far constatare nel provvedimento deliberativo le concrete si
tuazioni di emergenza atte a giustificare la posticipata apertura o l'anticipata chiusura della stagione venatoria, ma anche l'esi
genza di motivare adeguatamente la restrizione temporale in rela
zione all'effettiva compromissione del patrimonio faunistico deri
vante da tali statuizioni (cfr., in termini, Tar Abruzzo 30 maggio
1988, n. 272). E tali principi valgono anche per la regione Marche, la quale
si è adeguata pressoché totalmente, con la richiamata 1. reg. 29
marzo 1983 n. 8, alle disposizioni della normativa statale, stabi
lendo in particolare, al 2° comma dell'art. 29, che, «nel rispetto delle norme di cui alla presente legge, la giunta regionale approva il calendario venatorio, tenendo conto dello stato della fauna sel
vatica e dell'andamento delle colture agricole, nonché delle parti colari condizioni ambientali, stagionali climatiche e sanitarie».
Ciò premesso, risulta evidente l'illegittimità del provvedimento
impugnato, nei limiti di quanto dedotto dai ricorrenti.
In primo luogo, rileva il collegio che il provvedimento stesso
stabilisce una generalizzata (e cioè per tutte le specie cacciabili)
apertura della caccia al 18 settembre e la sua chiusura al 9 marzo, in palese violazione dell'art. 12 1. 27 dicembre 1977 n. 968, in
base al quale le regioni possono vietare o ridurre la caccia per
periodi prestabiliti a «determinate specie di selvaggina», essendo
qiundi esplicitamente esclusa la possibilità di posticipare l'apertu ra della stagione venatoria in maniera generalizzata per tutte le
specie cacciabili, e di stabilirne la chiusura prima del 10 marzo, termine finale fissato con il d.p.c.m. 20 dicembre 1979, adottato
in esecuzione di obblighi internazionali.
In secondo luogo, la determinazione regionale di ridurre la du
rata della stagione venatoria appare priva di idonea motivazione, ed adottata in assenza di un'adeguata istruttoria.
La statuizione riduttiva è infatti motivata, in maniera del tutto
generica ed apodittica, sulla base dell'«esigua consistenza nume
rica» di alcune specie, della «modesta entità dei capi di coturni
ce» ed in generale dello «stato deficitario della fauna selvatica, in particolare di quella migratoria».
Ognuno vede come tali affermazioni, per la loro estrema gene
ricità, non possono ritenersi idonee a dar conto di uno stato defi
citario della consistenza faunistica, tale da giustificare la procra stinazione generalizzata della data di apertura legislativamente pre vista, e come le affermazioni stesse non siano sorrette da adeguati accertamenti ed idonea istruttoria, non fornendosi chiarimenti spe cifici e dati certi (a seguito di rilevamenti effettuati) circa la scar sità della consistenza delle singole specie cacciabili.
Tanto più che, in presenza di una normativa che consente la
possibilità di ridurre la durata della caccia per «determinate spe cie» di selvaggina, era necessario un accertamento specifico in
ordine ad ognuna delle specie per le quali si riduceva il periodo di caccia, e non ci si poteva quindi limitare a rilevare lo stato
notoriamente deficitario della fauna selvatica, in particolare di
quella migratoria. Né possono costituire una valida motivazione le ulteriori argo
mentazioni addotte nella deliberazione de qua, secondo le quali
l'apertura della caccia al 18 settembre viene giustificata sull'as sunto che le regioni limitrofe hanno adottato analoghi provvedi menti, per cui l'apertura della caccia al 18 agosto determinerebbe
un massiccio concentramento di cacciatori provenienti dalle vici
ne regioni ed un conseguente irreparabile danno al patrimonio faunistico, nonché pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica.
A prescindere dalla considerazione che tali affermazioni solo in parte rispondono al vero, giacché nelle regioni Abruzzo, Moli
se e Lazio la data di apertura è stata fissata al 18 agosto 1988, osserva il collegio che le affermazioni stesse non sono pertinenti al fine di giustificare la riduzione della stagione venatoria, che
può essere disposta esclusivamente con riferimento alle condizio
ni previste dalla vigente normativa.
Le superiori considerazioni evidenziano l'illegittimità del prov vedimento impugnato sotto i profili testé esposti, stante la non
causa di un'deguata motivazione, nel senso sopra precisato, circa
le particolari esigenze locali, connesse alla consistenza faunistica, che giustificavano il ricorso al potere, di carattere eccezionale,
previsto dall'art. 12, 1° comma, 1. 968/77.
In conclusione, il ricorso deve essere accolto parzialmente, con
conseguente annullamento della deliberazione n. 4322/88 della
giunta regionale delle Marche, limitatamente alla parte con la quale viene disposta la fissazione della data di apertura della stagione venatoria 1988/89 al 18 settembre 1988 e la sua chiusura al 9
marzo 1989.
L'impugnazione del verbale della riunione tenutasi in data 26
maggio 1988 presso la giunta regionale deve invece essere respinta.
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