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PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || sentenza 24 maggio 1989, n. 117; Pres. Di Giuseppe,...

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sentenza 24 maggio 1989, n. 117; Pres. Di Giuseppe, Est. Daniele; Artico ed altri (Avv. Villa) c. Regione Marche ed altro (Avv. Jorio) Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1990), pp. 149/150-151/152 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23182988 . Accessed: 24/06/2014 20:18 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.78.105 on Tue, 24 Jun 2014 20:19:00 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 24 maggio 1989, n. 117; Pres. Di Giuseppe, Est. Daniele; Artico ed altri (Avv. Villa) c.Regione Marche ed altro (Avv. Jorio)Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1990),pp. 149/150-151/152Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23182988 .

Accessed: 24/06/2014 20:18

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

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Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

Inoltre, la giurisprudenza della corte medesima in tema di con

trollo sui presupposti condizionanti la corretta instaurazione del

giudizio di costituzionalità, con particolare riguardo ai requisiti di rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione, e le pronunce disponenti la restituzione degli atti al giudice de

quo per un nuovo esame della rilevanza nell'ipotesi di sopravve nienze normative suscettibili di rendere ininfluente la decisione

della corte, attestano che il giudice delle leggi è il solo competen te a promuovere la riattivazione del giudizio sospeso.

L'assoluta ed esaustiva ampiezza dei poteri attribuiti alla corte

nella condotta e per la definizione del giudizio di costituzionalità risponde all'esigenza di attribuire a quel carattere di autonomia

rispetto al giudizio a quo che è plasticamente espresso nel dispo sto dell'art. 22 delle norme integrative già citate, in forza del

quale: «Le norme sulla sospensione, interruzione ed estinzione

del processo non si applicano ai giudizi davanti alla Corte costi

tuzionale, neppure nel caso in cui, per qualsiasi causa, sia venuto

a cessare il giudizio rimasto sospeso davanti all'autorità giuris

dizionale, che ha promosso il giudizio di legittimità costituziona

le». E ciò perché il giudizio di legittimità della legge rappresenta la garanzia della legittimità costituzionale e si svolge quindi nel

l'interesse generale (Corte cost. n. 52 del 1986, id., 1986, I, 857).

Consegue da quanto si è detto che la revoca dell'ordinanza

con la quale si è rimessa la questione alla corte, presupponendo, nella specie, una valutazione di manifesta infondatezza per so

pravvenuta sentenza costituzionale di rigetto sulla stessa questio

ne, oltre a conferire rilevanza all'interesse della parte del giudizio a quo, che, come si è detto, deve restare estraneo alle sorti del

procedimento incidentale si risolverebbe nell'inammissibile sottra

zione alla corte di una competenza che le è attribuita in modo

esclusivo.

E se è vero che, nel quadro della progressiva accentuazione

del carattere di concretezza del giudizio costituzionale, della qua le sono manifestazione evidente i penetranti controlli svolti dalla

corte sul requisito della rilevanza, potrebbe auspicarsi che anche

la valutazione della non manifesta infondatezza della questione sia aperta ad interventi di verifica ad opera del giudice a quo, ove l'originario dubbio di incostituzionalità possa rivelarsi non

più attuale in virtù di decisioni sopravvenute, è però altrettanto

vero che, in ossequio ai tratti fondamentali del sistema vigente,

sopra ricordati, non può non attendersi che sia la Corte costitu

zionale a compiere nuovi passi sulla via della valorizzazione del

l'economia processuale riconsegnando al giudice del merito quel le vertenze che abbiano dato luogo a questioni palesemente pre

giudicate.

non potrebbero non valere anche per il caso che ci occupa, sembra infat

ti, nell'ipotesi sub c, che con la decisione di rimettere una questione all'e

same della corte si pongano le condizioni necessarie e sufficienti affinché

la stessa possa ribadire, ma anche ribaltare, la propria decisione di infon datezza intervenuta dopo l'ordinanza di rinvio e affinché le parti del pro cesso a quo possano legittimamente chiedere di esporre le loro ragioni

perché un simile ribaltamento si verifichi. Il giudice quindi non può, revocando la propria ordinanza, impedire

alla corte di tornare sulla questione o alle parti di far sentire le loro

ragioni in proposito, dal momento che una modifica della posizione espressa con la precedente pronuncia di rigetto, per quanto difficilissima, non può considerarsi giuridicamente impossibile.

Il momento particolare che vive attualmente la nostra giustizia costitu

zionale, caratterizzato da tempi brevissimi nella decisione delle questioni, fa si che, a differenza di quanto avveniva alcuni anni or sono quando un'eccezione poteva essere decisa dieci anni dopo l'emanazione del prov vedimento di rimessione, oggi deve ritenersi meno sentita l'esigenza di

riconoscere al giudice il potere di revocare l'ordinanza di rinvio, dal mo

mento che i tempi di attesa, specie se rapportati a quelli normali della

nostra giustizia ordinaria, saranno comunque assai brevi. Una simile esi

genza, quando c'è, sembra più dipendere oggi dai ritardi dei giudici nel

rimettere l'ordinanza e gli atti processuali alla corte, come nel caso del

Tar Lazio per il quale, al momento della presentazione dell'istanza di

revoca, risultava che, dopo oltre un anno e mezzo dalla data della pro nuncia di rinvio, essa non era ancora stata trasmessa alla Corte costitu

zionale. In tali situazioni pare evidente come, ai fini di economia processuale

e di tutela degli interessi presenti nel giudizio principale, non sia necessa

ria la previsione di un potere di revoca dell'ordinanza di rinvio, quanto un più sollecito adempimento dell'obbligo di trasmissione degli atti alla

Corte costituzionale. Roberto Romboli

Il Foro Italiano — 1990.

Roberto Romboli

Nelle accennate tendenze evolutive del giudizio costituzionale

non si rinviene alcuno spazio che consenta al giudice del merito

di riappropriarsi del processo «del quale, ricorrendone i presup

posti» è abilitato soltanto a spogliarsi per permettere alla Corte

costituzionale di svolgere il suo ruolo istituzionale.

Deve infine rilevarsi che non può condividersi l'allegazione di un preteso sopravvenuto difetto di interesse al giudizio di legitti mità per essersi la corte già pronunciata con decisione di rigetto, nei sensi di cui in motivazione, su identica questione rimessa da

altro giudice. L'argomentazione contrasta con l'esigenza, già ri

cordata, che il giudizio incidentale di costituzionalità resti insen

sibile alle vicissitudini delle posizioni processuali sul giudizio de quo (art. 22 delle norme integrative), e con l'attribuzione esplici ta alla corte dell'accertamento circa la manifesta infondatezza della

questione (art. 29 1. n. 87 del 1953). Senza dire che la tesi potrebbe presentare, in astratto, un qual

che fondamento ove la corte avesse adottato una sentenza di ac

coglimento, in tal modo eliminando erga omnes la norma da ap

plicare nel giudizio de quo, ma non è proponibile rispetto alla

sentenza di rigetto, sia pure di tipo interpretativo e, quindi, su

scettibile di arrecare, ove il giudice del merito ritenga di attener

visi, un qualche beneficio alla parte, poiché in questo caso persi ste la possibilità (e perciò l'interesse) che il nuovo giudizio della corte sia definito con decisione di accoglimento, e cioè in modo

pienamente satisfattivo delle ragioni dedotte nella lite; — che, il secondo quesito, concernente la possibilità che il giu

dice a quo revochi l'ordinanza di remissione alla corte, quanto meno nei casi in cui l'ordinanza stessa, pur ritualmente notificata

e comunicata, e il fascicolo del processo, non siano stati mate

rialmente inviati alla corte, va risolto in senso negativo. L'art. 23, 2° comma, della 1. n. 87 del 1953 stabilisce che, quan

do la questione di legittimità della norma da applicare sia ritenuta

rilevante e non manifestamente infondata, il giudizio non può pro

seguire, e impone al giudice di tradurre la relativa delibazione nel

l'ordinanza che dispone la trasmissione degli atti alla corte e la so

spensione del processo. La pubblicazione di questa decisione segna il momento in cui il giudice si spoglia del procedimento perdendo il potere di adottare nuovi provvedimenti prima che la corte si sia

pronunciata sulla questione di cui è stata investita.

L'osservanza degli adempimenti disposti dall'ordinanza (notifi

cazioni, comunicazioni, trasmissione degli atti alla corte), se con

diziona l'effettiva instaurazione del giudizio incidentale di legitti mità costituzionale, risulta però ininfluente rispetto alla preclusio ne che si è ormai verificata per il giudice remittente di riappropriarsi del processo, perché questa situazione non dipende dall'inizio del

giudizio davanti alla corte, ma dal divieto di giudicare applicando una norma ritenuta rilevante e di dubbia legittimità costituzionale;

— che, per le suesposte ragioni, l'istanza non può trovare ac

coglimento.

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LE MARCHE; sentenza 24 maggio 1989, n. 117; Pres. Di Giusep

pe, Est. Daniele; Artico ed altri (Aw. Villa) c. Regione Mar

che ed altro (Avv. Jorio).

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LE MARCHE; sentenza 24 maggio 1989, n. 117; Pres. Di Giusep

Caccia — Calendario venatario — Posticipata apertura e antici

pata chiusura della stagione venatoria — Poteri della regione — Limiti (L. 27 dicembre 1977 n. 968, principi generali e di sposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la discipli na della caccia, art. 11, 12; 1. reg. Marche 29 marzo 1983 n.

8, norme per la protezione e la tutela della fauna e per la disci

plina della caccia, art. 29).

Le regioni non hanno un potere latamente discrezionale di ridu

zione della stagione venatoria, fissata dal legislatore statale in

modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, ma possono intervenire in senso riduttivo solo qualora si verifichino le cir

costanze di cui all'art. 12 l. 968/87 (importanti e motivate ra

gioni connesse alla consistenza faunistica o per sopravvenute

particolari condizioni ambientali, stagionali o climatiche o per malattie o altre calamità), le quali debbono esser fatte consta

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PARTE TERZA

tare nel provvedimento deliberativo ed essere adeguatamente motivate. (1)

Diritto. — Il primo motivo del ricorso, volto a contestare la

legittimità dell'atto presupposto (verbale della riunione sulla for

mazione del calendario venatorio tenutosi in data 26 maggio 1988

presso la sede della giunta regionale) e quindi, in via derivata, della deliberazione n. 4322 del 18 luglio 1988, è infondato.

Come esattamente eccepito dalla resistente amministrazione, non

essendo previsto dalla vigente normativa (1. 968/77 e 1. reg. Mar

che 8/83) alcun tipo di procedimento amministrativo in vista del

la formazione del calendario venatorio, nessun parere doveva es

sere emesso da parte delle amministrazioni provinciali; nondime

no, al fine di acquisire dati di fatto ed elementi di valutazione utili per addivenire all'adozione del provvedimento, la regione ha provveduto all'audizione sia delle amministrazioni provinciali

(a cui sono demandate le funzioni amministrative in materia di

caccia, per delega disposta con 1. reg. 9/83) sia delle associazioni

venatorie regionali. Trattandosi, peraltro, di audizione informale, costituente un

momento amministrativo da parte di soggetti interessati, non po teva certo pretendersi in quella sede il rispetto dei principi in ma

teria di convocazione e di funzionamento degli organi collegiali amministrativi; per cui nessuna rilevanza assume l'assenza di al

cune amministrazioni provinciali, o il difetto di legittimazione di

alcuni dei partecipanti alla riunione, essendo gli enti e le associa

zioni interessate liberi di intervenire o meno a tale sedute, e di

formulare le loro osservazioni senza alcuna particolare modalità

procedimentale. La doglianza in esame deve, pertanto, essere disattesa.

Fondate sono invece le ulteriori censure di violazione dell'art.

11 1. 27 dicembre 1977 n. 968 e dell'art. 29 1. reg. Marche 29

marzo 1983 n. 8, nonché di eccesso di potere sotto vari profili dedotte dai ricorrenti con il secondo motivo.

Ed invero, la 1. 27 dicembre 1977 n. 968 (recante principi gene rali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la

disciplina della caccia) all'art. 11 detta l'elenco delle specie cac

ciabili e stabilisce per ciascuna i periodi di caccia. Stabilisce, inol tre, che possono essere disposte variazioni delle specie cacciabili

con decreto del presidente del consiglio dei ministri, sentito l'isti

tuto nazionale di biologia della selvaggina. Il successivo art. 12 stabilisce che le regioni possono vietare

o ridurre la caccia a determinate specie di selvaggina di cui al

l'art. 11, per periodi prestabiliti, per importanti e motivate ragio ni connesse alla consistenza faunistica o per sopravvenute parti colari condizioni ambientali, stagionali o climatiche o per malat

tie o altre calamità.

Da tali disposizioni è agevole constatare che — come afferma to dal Consiglio di Stato con la recente decisione della sez. VI

in data 29 novembre 1988, n. 1306 — le regioni non hanno un

potere latamente discrezionale di riduzione della stagione venato

ria, la cui durata è stabilita dalla legge, ma possono intervenire

in senso riduttivo solo qualora si verifichino le circostanze di cui

al citato art. 12 1. n. 968/77. In altre parole, essendo la materia dell'attività venatoria disci

plinata dal legislatore statale in modo omogeneo su tutto il terri

torio nazionale, il potere di ridurre o vietare la caccia, per perio di prestabiliti, a determinate specie di selvaggina ha carattere ec cezionale e derogatorio, potendo la regione esercitarla soltanto in presenza delle particolari ragioni e circostanze previste dal pre detto art. 12, e comportando il suo esercizio non solo la necessità

(1) Nella specie, il Tar Marche ha annullato la deliberazione della giunta regionale con cui era stato approvato il calendario venatorio 1988/89 che

posticipava l'apertura della caccia dall'8 agosto al 18 settembre 1988 ed

anticipava la chiusura al 9 marzo 1989, rilevando come, mentre l'art. 12 1. 968/77 fa riferimento a «determinate specie di selvaggina», la ridu zione del periodo di caccia era stata predisposta in maniera generalizzata ed inoltre senza un'idonea motivazione ed un'adeguata istruttoria.

In ordine ai limiti che le regioni incontrano nell'approvazione del ca lendario venatorio, con riferimento a quanto stabilito dagli art. 11 e 12 1. 968/77, v., da ultimo, Pret. Bologna, ord. 1° marzo 1989, Foro it., 1989, I, 3252, con nota di richiami, secondo cui il potere riconosciuto alle regioni dall'art. 12 1. 968/77 di apportare, con propri atti, variazioni all'elenco delle specie cacciabili di cui all'art. 11 stessa legge, deve inten dersi nel senso che le regioni possono solo impedire l'inseguimento e la cattura di singole specie animali nella salvaguardia della loro vita e liber tà, non anche del loro riposo o della loro quiete.

Circa l'analogo problema (determinazione delle specie cacciabili) con

riguardo alle regioni a statuto speciale, v., da ultimo, Corte cost. 27 otto bre 1988, n. 1002, ibid., 3074, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 1990.

di far constatare nel provvedimento deliberativo le concrete si

tuazioni di emergenza atte a giustificare la posticipata apertura o l'anticipata chiusura della stagione venatoria, ma anche l'esi

genza di motivare adeguatamente la restrizione temporale in rela

zione all'effettiva compromissione del patrimonio faunistico deri

vante da tali statuizioni (cfr., in termini, Tar Abruzzo 30 maggio

1988, n. 272). E tali principi valgono anche per la regione Marche, la quale

si è adeguata pressoché totalmente, con la richiamata 1. reg. 29

marzo 1983 n. 8, alle disposizioni della normativa statale, stabi

lendo in particolare, al 2° comma dell'art. 29, che, «nel rispetto delle norme di cui alla presente legge, la giunta regionale approva il calendario venatorio, tenendo conto dello stato della fauna sel

vatica e dell'andamento delle colture agricole, nonché delle parti colari condizioni ambientali, stagionali climatiche e sanitarie».

Ciò premesso, risulta evidente l'illegittimità del provvedimento

impugnato, nei limiti di quanto dedotto dai ricorrenti.

In primo luogo, rileva il collegio che il provvedimento stesso

stabilisce una generalizzata (e cioè per tutte le specie cacciabili)

apertura della caccia al 18 settembre e la sua chiusura al 9 marzo, in palese violazione dell'art. 12 1. 27 dicembre 1977 n. 968, in

base al quale le regioni possono vietare o ridurre la caccia per

periodi prestabiliti a «determinate specie di selvaggina», essendo

qiundi esplicitamente esclusa la possibilità di posticipare l'apertu ra della stagione venatoria in maniera generalizzata per tutte le

specie cacciabili, e di stabilirne la chiusura prima del 10 marzo, termine finale fissato con il d.p.c.m. 20 dicembre 1979, adottato

in esecuzione di obblighi internazionali.

In secondo luogo, la determinazione regionale di ridurre la du

rata della stagione venatoria appare priva di idonea motivazione, ed adottata in assenza di un'adeguata istruttoria.

La statuizione riduttiva è infatti motivata, in maniera del tutto

generica ed apodittica, sulla base dell'«esigua consistenza nume

rica» di alcune specie, della «modesta entità dei capi di coturni

ce» ed in generale dello «stato deficitario della fauna selvatica, in particolare di quella migratoria».

Ognuno vede come tali affermazioni, per la loro estrema gene

ricità, non possono ritenersi idonee a dar conto di uno stato defi

citario della consistenza faunistica, tale da giustificare la procra stinazione generalizzata della data di apertura legislativamente pre vista, e come le affermazioni stesse non siano sorrette da adeguati accertamenti ed idonea istruttoria, non fornendosi chiarimenti spe cifici e dati certi (a seguito di rilevamenti effettuati) circa la scar sità della consistenza delle singole specie cacciabili.

Tanto più che, in presenza di una normativa che consente la

possibilità di ridurre la durata della caccia per «determinate spe cie» di selvaggina, era necessario un accertamento specifico in

ordine ad ognuna delle specie per le quali si riduceva il periodo di caccia, e non ci si poteva quindi limitare a rilevare lo stato

notoriamente deficitario della fauna selvatica, in particolare di

quella migratoria. Né possono costituire una valida motivazione le ulteriori argo

mentazioni addotte nella deliberazione de qua, secondo le quali

l'apertura della caccia al 18 settembre viene giustificata sull'as sunto che le regioni limitrofe hanno adottato analoghi provvedi menti, per cui l'apertura della caccia al 18 agosto determinerebbe

un massiccio concentramento di cacciatori provenienti dalle vici

ne regioni ed un conseguente irreparabile danno al patrimonio faunistico, nonché pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica.

A prescindere dalla considerazione che tali affermazioni solo in parte rispondono al vero, giacché nelle regioni Abruzzo, Moli

se e Lazio la data di apertura è stata fissata al 18 agosto 1988, osserva il collegio che le affermazioni stesse non sono pertinenti al fine di giustificare la riduzione della stagione venatoria, che

può essere disposta esclusivamente con riferimento alle condizio

ni previste dalla vigente normativa.

Le superiori considerazioni evidenziano l'illegittimità del prov vedimento impugnato sotto i profili testé esposti, stante la non

causa di un'deguata motivazione, nel senso sopra precisato, circa

le particolari esigenze locali, connesse alla consistenza faunistica, che giustificavano il ricorso al potere, di carattere eccezionale,

previsto dall'art. 12, 1° comma, 1. 968/77.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto parzialmente, con

conseguente annullamento della deliberazione n. 4322/88 della

giunta regionale delle Marche, limitatamente alla parte con la quale viene disposta la fissazione della data di apertura della stagione venatoria 1988/89 al 18 settembre 1988 e la sua chiusura al 9

marzo 1989.

L'impugnazione del verbale della riunione tenutasi in data 26

maggio 1988 presso la giunta regionale deve invece essere respinta.

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