sentenza 5 febbraio 1980, n. 2; Pres. Tamburrino, Est. T. Alibrandi; E.n.el. (Avv. Mazzullo) c.Min. lavori pubblici (Avv. dello Stato Albisinni) e Consorzio per l'acquedotto del PeschieraSource: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1980),pp. 301/302-305/306Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171180 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
È illegittima la licenza edilizia, se il parere della commissione edilizia sia stato espresso successivamente al suo rilascio
(nella specie, la licenza edilizia è stata individuata nell'accerta mento della conformità al piano regolatore e alle norme vi
genti di un'opera comunale, operato dal consiglio comunale nella deliberazione di approvazione del progetto esecutivo del
capitolato di appalto e della spesa dell'opera stessa). (2)
La Sezione, ecc. — 1. - I primi tre motivi dell'appello, che
possono esaminarsi congiuntamente, non hanno pregio. Non vi è dubbio che la licenza edilizia (ora concessione), in
clusa nella sfera di attribuzioni del sindaco, racchiude una du
plicità di statuizioni poiché si risolve, da un lato, in un accerta mento autoritativo della conformità dell'opera progettata sia alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici (piani regolatori, program mi di fabbricazione, piani di lottizzazione), sia alle norme legisla tive e regolamentari di disciplina dell'attività edificatoria; dall'altro, in una pronunzia di assenso, emessa nei confronti di un soggetto distinto dal comune.
Alla stregua delle leggi 17 agosto 1942 n. 1150 e 6 agosto 1967 n. 765 — che esonerano da siffatta licenza unicamente le amministrazioni dello Stato, contemplando all'uopo un apposito provvedimento sostitutivo di verifica di competenza del ministe ro dei lavori pubblici (art. 29 legge n. 1150 e 10, T comma, legge n. 765) — anche i manufatti eseguibili dai comuni sono sottoposti alla licenza in parola. In quest'ultima ipotesi, si intende, la de terminazione del sindaco ha solo il contenuto di atto di accerta
mento, data la impossibilità logica di configurare un atto di as senso quando non esiste diversificazione tra il soggetto da cui
proviene l'assenso medesimo e il soggetto beneficiario di esso.
Nella specie, la deliberazione del consiglio comunale di Adria 26 aprile 1972, n. 120, impugnata dinanzi al T.A.R. del Veneto, reca, in dispositivo, oltre all'approvazione del progetto esecutivo dei lavori di costruzione di un edificio in via Mazzini, da adibire a sede della locale pretura, del capitolato speciale di appalto e della spesa complessiva del fabbricato, ammontante a lire
150.000.000, la esplicita dichiarazione che detto progetto è stato redatto « in conformità alle disposizioni del piano regolatore e delle norme vigenti ».
È evidente, quindi, alla luce delle svolte considerazioni che il citato atto consiliare comprende, in base all'univoco significato delle sue clausole, una licenza edilizia e che correttamente il pri mo giudice ha riconosciuto tale circostanza.
La conclusione ora indicata rende manifesta l'infondatezza del la censura di tardività del ricorso di primo grado dei signori Puozzo, dedotta dal comune di Adria col secondo motivo del
l'appello.
Infatti, tanto l'avvenuta pubblicazione nell'albo pretorio in
costruite dal comune è necessaria la licenza edilizia; in senso con trario, v. Cons. Stato, Sez. IV, 11 aprile 1978, n. 289, Foro it., Rep. 1978, voce Edilizia e urbanistica, n. 370; T.A.R. Piemonte 16 ottobre 1974, n. 56, id., Rep. 1975, voce cit., n. 652. In dottrina, Pifferi, in Amm. it., 1976, 696; Piccardi, in Riv. amm., 1971, 919. Per altri riferimenti, sullo stesso problema in relazione ad opere di competenza statale, T.A.R. Lombardia, Sez. Brescia, 23 novembre 1979, n. 377, e T.A.R. 'Lazio, Sez. I, 28 febbraio 1979, n. 185, Foro it., 1980, III, 135, con nota di richiami.
(2) Nel senso della illegittimità della licenza edilizia rilasciata senza il previo parere della commissione edilizia, Cons. Stato, Sez. V, 31 marzo 1978, n. 370, Foro it., Rep. 1978, voce Edilizia e urbanistica, n. 412; 14 dicembre 1973, n. 1142, id., Rep. 1973, voce cit., n. 343; Sez. IV 9 novembre 1972, n. 1028, id., Rep. 1972, voce cit., n. 336, però con attenuazione del principio, in relazione alla particolare di
sciplina del regolamento comunale; Sez. V 28 novembre 1969, n. 1335, id., Rep. 1969, voce Piano regolatore, n. 379, per implicito, perché afferma che del parere della commissione edilizia deve essere fatta menzione nella licenza; Cons, giust. amm. sic. 12 luglio 1969, n. 184, ibid., n. 375; Sez. V 21 giugno 1966, n. 907, id., Rep. 1966, voce
cit., n. 320, nonché 2 aprile 1966, n. 537, id., 1966, III, 313, con nota di richiami.
In generale, nel senso che l'audizione successiva all'emanazione del
provvedimento del parere obbligatorio non ha effetto sanante, Cons.
Stato, Sez. V, 2 maggio 1975, n. 589, id., Rep. 1975, voce Atto am
ministrativo, n. 93; Cons, giust. amm. sic. 13 marzo 1970, n. 90, id.,
Rep. 1970, voce cit., n. 27; Sez. IV 2 luglio 1969, n. 313, id., 1969, III, 395, con nota di richiami, ma in una fattispecie nella quale per l'esclusione dell'effetto sanante è stata considerata causa prevalente la precedente proposizione del ricorso; Sez. Ili 24 maggio 1967, n. 700, id., Rep. 1969, voce cit., n. 21; Sez. V 13 maggio 1968, n. 289
{id., 1968, III, 382, con nota di richiami sui vari aspetti del pro
blema), che, in relazione ad una autorizzazione rilasciata tardiva
mente, ha affermato che l'effetto sanante deve essere escluso quando sia presumibile che l'inversione delle fasi del procedimento abbia
snaturato la funzione propria dell'atto presupposto, influendo sulle
circostanze nelle quali esso deve essere adottato.
data 27 aprile 1972 della deliberazione n. 120, quanto l'avvenuto esame della medesima senza rilievi da parte del comitato regio nale di controllo nella seduta del 28 successivo sono del tutto ir rilevanti ai fini della tempestività dell'anzidetto gravame, pro posto contro la deliberazione stessa, nella parte contenente la licenza di costruzione.
Al riguardo basta osservare che i provvedimenti di quest'ulti mo tipo non sono soggetti a controllo e che l'affissione di essi nell'albo pretorio non fa decorrere i termini per l'impugnativa (art. 10, 8° comma, legge 765/1967). Non risulta, d'altra parte, in alcun modo dagli elementi probatori del giudizio che gli inte ressati abbiano avuto piena conoscenza dell'atto impugnato oltre sessanta giorni utili prima del 31 ottobre 1974, data di notifica zione dell'originario ricorso.
La riscontrata natura di licenza edilizia, propria di una par te della deliberazione consiliare n. 120, e la ritenuta necessità della licenza in argomento per le opere realizzabili dai comuni
dimostrano, poi, la infondatezza anche del primo e del terzo mez
zo di gravame, con i quali l'appellante ha contestato l'esattezza,
rispettivamente sotto tali profili, della sentenza del tribunale. 2. - Il quarto motivo di appello è ugualmente sfornito di
pregio. L'art. 220 r. d. 27 luglio 1934 n. 1265 prevede come obbliga
tori nel procedimento di rilascio della licenza per l'esecuzione di
fabbricati « i pareri » della commissione edilizia comunale e del
l'ufficiale sanitario
La pronunzia del primo di detti organi, consistendo in un atto
di consulenza, cioè in una forma di collaborazione all'attività de
cisionale del sindaco, deve intervenire per la sua stessa natura
prima che l'attività medesima venga posta in essere, con la
conseguenza che il mancato rispetto di simile anteriorità cronolo
gica comporta, irrimediabilmente, senza possibilità di sanatoria
la invalidità del provvedimento finale.
Nel caso in esame, alla stregua di quanto ha affermato l'appel
lante, il parere della commissione edilizia è stato espresso sol
tanto il 6 apri'e 1973, ossia dopo l'emanazione — mediante la
deliberazione 26 aprile 1972, n. 120 — della necessaria licenza di
costruzione.
Sussiste, pertanto, il vizio di legittimità accertato dal tribunale.
La circostanza, poi, che il « parere » dell'ufficiale sanitario si
risolve in un nullaosta dal punto di vista igienico-sanitario e,
quindi, possa essere dato, con efficacia sanante, anche dopo l'ado
zione del provvedimento di licenza (vedi Sez. V 22 giugno 1971,
n, 600, Foro it., Rep. 1971, voce Edilizia e urbanistica, n. 399) —
cosi come si assume avvenuto nella specie — non è idonea a
determinare la riforma dell'impugnata sentenza dato che l'annulla
mento disposto con questa poggia sulla rilevazione del vizio ora
indicato, di carattere assorbente, dell'omessa audizione preventi va della commissione edilizia.
3. - Va pure disattesa la richiesta subordinata di riforma par ziale dell'anzidetta decisione in quanto l'illegittimità della licenza
contenuta nella deliberazione n. 120 si estende a tutte le
statuizioni di quest'ultima strettamente connesse con la licenza
medesima (approvazione del progetto esecutivo dei lavori; appro vazione del capitolato speciale di appalto; approvazione della
spesa complessiva) oppure condizionate all'esistenza di essa (scelta del sistema di licitazione privata da esperire per l'appalto dei
lavori; destinazione del costruendo edificio a sede della pretura; autorizzazione al sindaco a presentare la domanda di contributo
statale). 4. - La infondatezza dei motivi di gravame fin qui esaminati
impone la reiezione dell'appello ed esclude la possibilità di ogni
pronunzia sui restanti motivi, che attengono a censure corretta
mente dichiarate assorbite dal tribunale. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE; TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE; sen
tenza 5 febbraio 1980, n. 2; Pres. Tamburrino, Est. T. Ali
brandi; E.n.el. (Aw. Mazzullo) c. Min. lavori pubblici (Avv.
dello Stato Albisinni) e Consorzio per l'acquedotto del Pe
schiera.
Acque pubbliche e private — Concessione di parte di acqua pub blica spettante ad altro utente — Controversia sull'ammontare
del compenso determinato dalla pubblica amministrazione —
Giurisdizione ordinaria (R. d. 11 dicembre 1933 n. 1775, t. u.
sulle acque e gli impianti elettrici, art. 47; legge 20 marzo 1865
n. 2248, ali. E, sul contenzioso amministrativo, art. 4).
Le controversie relative all'ammontare del compenso liquidato dal
la pubblica amministrazione in favore del primo utente ai sensi
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PARTE TERZA
dell'art. 47 t. u. 11 dicembre 1933 n. 1775, quando ad un nuovo
utente viene concesso di derivare ed utilizzare parte dell'acqua
già concessa, hanno ad oggetto un diritto soggettivo e spettano,
pertanto, alla giurisdizione del giudice ordinario (tribunale re
gionale delle acque pubbliche). (1)
11 Tribunale, ecc. — L'eccezione di difetto di giurisdizione è fondata.
Per una esatta impostazione della questione occorre, invero,
premettere che nella specie la domanda deU'E.n.el. ricorrente si
concretizza esclusivamente nel lamentare l'inadeguatezza quanti tativa del compenso determinato per la sottensione concessa a fa
vore del « Consorzio acquedotto del Peschiera ». L'E.n.el., cioè, non deduce vizi di legittimità, in ipotesi idonei a determinare
l'invalidità del decreto di sottensione, salvo che nella parte rela
tiva alla liquidazione del compenso: ed articola, infatti, le sue
censure in una serie di contestazioni di fatto in ordine a circo
stanze come la determinazione del valore della produzione di
energia che andrebbe perduta per effetto della sottensione.
In rapporto a siffatta prospettazione l'eccezione di diletto di
(1) La sentenza ribalta un indirizzo giurisprudenziale che appa riva consolidato: cfr. Trib. sup. acque 19 dicembre 1973, n. 38, e 2 marzo 1974, n. 3, Foro it., Rep. 1974, voce Acque pubbliche, nn. 70, 71 (la seconda è menzionata in motivazione), secondo le quali la misura del compenso dovuto dal nuovo concessionario al prece dente utente, ai sensi dell'art. 47, 2° comma, t. u. 11 dicembre 1933 n. 1775, è stabilita dalla pubblica amministrazione nell'esercizio di un potere discrezionale, di fronte al quale la posizione del destina tario del compenso si configura come interesse legittimo, tutelabile davanti al Tribunale superiore delle acque in sede di legittimità.
In dottrina dubita della discrezionalità del potere di determina zione del quantum spettante all'utente sacrificato Miccoli, Le acque pubbliche, 1958, 204.
Nella diversa ipotesi di omessa determinazione del compenso la sentenza che si riporta afferma (exttra decisum ma non propriamente in obiter, essendo l'affermazione compiuta nel dar ragione — e al
fine, almeno putativamente, di dar ragione — della soluzione accolta) di condividere l'indirizzo giurisprudenziale espresso da Trib. sup. acque 24 ottobre 1960, n. 30, Foro it., Rep. 1960, voce cit., n. 139, e ribadito da Trib. sup. acque 7 dicembre 1976, n. 24, id., Rep. 1977, voce cit., n. 68 (entrambe menzionate in motivazione), nel presup posto che in tal caso sarebbe in questione la completezza della fat
tispecie normativa, e quindi la legittimità del provvedimento cosi emesso.
Sulla illegittimità del provvedimento di concessione ex art. 47 emesso senza fissazione del compenso v. pure Trib. sup. acque 10
maggio 1977, n. 13, id., Rep. 1977, voce cit., n. 57, e 16 dicembre
1976, n. 25, ibid., n. 58, che implicitamente proseguono lo stesso indirizzo.
Sulla differenza fra le ipotesi contemplate dagli art. 45 e 47 t. u. 11 dicembre 1933 n. 1775, cfr. Trib. acque Roma 1° giugno 1967, id., Rep. 1968, voce cit., n. 31; Trib. sup. acque 20 dicembre 1966, n. 43, id., Rep. 1967, voce cit., n. 41; Cass. 25 maggio 1965, n. 1029, id., 1965, I, 1921, la quale afferma che, mentre l'art. 45 riguarda il caso in cui una nuova utilizzazione di rilevante interesse sia in con trasto con le utilizzazioni di minore importanza precedentemente con cesse (per cui si fa luogo alla sostituzione della concessione di minore
importanza per far posto alla nuova), la disposizione contenuta nel l'art. 47 prevede il caso non di contrasto, ma di possibilità di coesi stenza della nuova utilizzazione con altra precedentemente concessa, sempre che quest'ultima non alteri l'economia e le finalità di quelle preesistenti.
In dottrina consulta Castelli Avolio, Commento alle leggi sulle
acque e sugli impianti elettrici, 1936, 404 ss., 410 ss.; Gilardoni, Acque pubbliche ed impianti elettrici, 1936, II, 317 ss., 332 ss.
In ordine all'osservazione, contenuta nella sentenza riportata, circa la non esattezza dell'equazione: inesistenza di un potere discrezio nale = esistenza di un diritto soggettivo, cfr. Cass. 10 ottobre 1955,
2994, Foro it., 1955, I, 1291; e più recentemente Cons. Stato, Sez.
IV, 28 settembre 1973, id., 'Rep. 1973, voce Giurisdizione civile, n. 88. Sul punto, in dottrina, M. Nigro, Giustizia amministrativa,
1979; A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativou, 1978, 883-885.
Per l'indirizzo in materia di espropriazione, secondo cui spetta all'autorità giudiziaria ordinaria conoscere delle controversie sulla misura dell'indennità, trattandosi di diritti soggettivi, mentre spetta al giudice amministrativo conoscere delle impugnative relative alla
legittimità formale dell'atto, cfr. Cass. 26 ottobre 1972, n. 3277, Foro
it., Rep. 1972, voce Espropriazione per p. i., n. 27. Ma non è vero che, come sbrigativamente afferma la sentenza ri
portata, la cognizione dell'azione diretta a far valere l'omessa de terminazione dell'indennità sia ritenuta spettare al giudice ammini strativo: al contrario quell'indirizzo afferma che, essendo in tal caso in questione un presupposto che condiziona la possibilità di legit timo esercizio del potere e quindi la sua stessa esistenza, si verifichi lesione di un diritto soggettivo perfetto, devoluta al giudice ordi nario (cosi Cass. 18 marzo 1972, n. 817, id., Rep. 1972, voce cit., n. 69; T.A.R. Piemonte 18 novembre 1975, n. 320, id., 1976, 111,
113, con ampia nota di richiami).
giurisdizione viene sollevata dal ministero resistente sotto il pro filo che le attività di determinazione del compenso — lungi dal
l'essere espressione di un potere discrezionale dell'amministrazio
ne — sono rigidamente vincolate all'accertamento di determinati
fatti ed alla ponderazione, sotto aspetti esclusivamente tecnici, di quelle risultanze; sicché, in sostanza, la posizione soggettiva fatta valere dal ricorrente non si configurerebbe come interesse le
gittimo ma avrebbe vera e propria consistenza di diritto sog
gettivo. Siffatta tesi non può essere condivisa, anche se il collegio è
ben consapevole che numerosi propri precedenti si sono espressi nel senso di ritenere che l'indennizzo spettante per la sotten
sione delle acque pubbliche ex art. 47, 2° comma, del t. u. rien
tra nell'apprezzamento discrezionale della pubblica amministra
zione sicché le controversie correlative apparterrebbero alla giu risdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche in sede
di giurisdizione amministrativa (in questo senso, Trib. sup. acque 7 dicembre 1976, n. 24, Foro it., Rep. 1977, voce Acque, n. 68; 2 marzo 1974, n. 3, id., Rep. 1974, voce cit., n. 71; 24 ottobre 1960, n. 30, id., Rep. 1960, voce cit., n. 139): ma, riesaminata a fondo
la questione, un mutamento di giurisprudenza sembra imporsi ne
cessariamente.
È intanto utile sottolineare che le due più recenti decisioni
(e, cioè, la n. 3 del 1974 e la n. 24 del 1976) si limitano a ri
portarsi alle conclusioni affermate con la decisione del 1960, alla
quale unicamente ci si deve riferire come necessario termine di
raffronto delle tesi contrapposte.
La decisione n. 30 del 1960, dal canto suo, è stata emessa in
relazione ad una fattispecie alquanto particolare, e cioè ad un
caso di decreto di sottensione nel quale veniva negato qualsiasi
compenso per l'acqua sottesa. 11 rilievo è importante perché com
porta uno spostamento di ottica nella valutazione del problema in discussione, al punto che la totale mancanza di compenso fi
nisce con il coinvolgere non più interessi meramente patrimo niali di quantificazione del compenso, bensì la stessa sussistenza
di un presupposto del decreto di sottenzione ed impinge, cosi,
per questa strada, sulla vera e propria completezza della fattispe cie normativa e, quindi, sulla legittimità del provvedimento emes
so, non in presenza di tutti i presupposti di legge. In questo or
dine di idee le affermazioni della sentenza n. 30 del 1960 sono
ancora oggi in gran parte condividibili: e, cosi, in particolare, laddove si afferma che, nel caso a suo tempo sottoposto all'esa
me del tribunale, il ricorrente non faceva valere un suo preteso diritto all'equivalente pecuniario dell'onere impostogli, ma dedu
ceva in giudizio il ben diverso interesse a che la parziale sotten
sione ex art. 47, 2° comma, venisse disposta ed attuata nei modi
ed alle condizioni prescritte dalla legge. Sicché del tutto corretta
mente il tribunale in quella stessa sede poteva fare analogamente riferimento alla materia della espropriazione per pubblica utilità, dove le opposizioni alla determinazione delle indennità vanno por tate innanzi all'autorità ordinaria, ma la deduzione, come vizio
del decreto di esproprio, della mancata preventiva offerta o de
terminazione dell'indennità stessa rientra nella normale compe tenza di legittimità della giurisdizione amministrativa.
Peraltro, la stessa fondatezza di questa impostazione della de
cisione del 1960 — che deve essere ribadita in questa sede —
comporta che, allorquando si faccia questione (come nella specie
odierna) non già dell'assoluta inesistenza del compenso bensì dei
limiti quantitativi del suo ammontare, il problema debba essere
affrontato in maniera del tutto diversa.
Sembra, intanto, di tutta evidenza che nella previsione del
2° comma dell'art. 47 risulti un ampio margine di discrezionalità
amministrativa, ma limitatamente alla ponderazione di quegli in
teressi ed al compimento di quelle scelte che la norma, nella
sua ineliminabile latitudine, rimette all'apprezzamento dell'ammi
nistrazione: e cosi', in particolare, nello stabilire i requisiti perché
possa ritenersi verificata la previsione normativa che « manchi
il modo di soddisfare altrimenti il nuovo richiedente e la nuova
concessione non alteri l'economia e la finalità di quelle pree sistenti ».
Ma allorquando questo momento di indubbia discrezionalità
si sia attuato (e consumato nell'attuazione), per la determina
zione del compenso che il nuovo utente deve corrispondere a
quelli preesistenti non sembrano più ipotizzabili momenti pro
priamente decisionali, sibbene operazioni meramente tecniche, e
quindi sottratte a scelte discrezionali ma tutt'al più soggette a
certi margini di opinabilità, che sono ineliminabili da ogni ap
prezzamento tecnico senza che ciò comporti un atto di volizione
in senso proprio. La determinazione del compenso, in altri termi
ni, è la risultante di accertamenti e di apprezzamenti tecnici, che — quantunque opinabili sul piano della corretta applicazione della tecnica utilizzata — trovano un limite vincolante nelle re
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
gole di quella tecnica e non hanno, quindi, nulla a che vedere con la potestà di comparare in sede di scelte amministrative i vari interessi coinvolti nella fattispecie. Conclusivamente, l'atti vità di determinazione del compenso deve, dunque, ritenersi nien te affatto discrezionale.
Ciò potrebbe, tuttavia, rivelarsi non ancora decisivo al fine di individuare l'esatta consistenza della posizione giuridica sogget tiva fatta valere dall'utente sotteso, se è vero, come è fuori discus
sione, che nella giurisprudenza più avvertita (e più recente) la discriminazione ' fra interesse legittimo e diritto soggettivo viene correlata non soltanto e non tanto alla natura discrezionale o vincolata dell'attività amministrativa che incide su quella posi zione, quanto soprattutto sulla natura dell'interesse (se pubblico o
privato) tutelato dalla normativa che disciplina la singola fattispe cie. Ora, nel caso in esame, non sembra dubbio che la previsione del compenso di cui all'art. 47 t. u. nei limiti in cui è chiara mente finalizzata a ristorare l'utente sotteso della perdita del
l'acqua sottrattagli, tuteli un interesse tipicamente patrimoniale ed essenzialmente privato. È poi del tutto secondario, e perciò non rilevante in questa sede, se il compenso debba avere natura
integralmente risarcitoria e meramente indennitaria; giacché, in
dipendentemente dalla correlativa qualificazione, sta di fatto che in ogni caso trattasi di una pretesa patrimoniale che corrisponde alla soddisfazione di un interesse privato.
Reputa, quindi, conclusivamente il collegio che nella specie debba essere esclusa la giurisdizione del tribunale intestato rien trando la vertenza nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria.
Per questi motivi, ecc.
I
CORTE DEI CONTI; CORTE DEI CONTI; Sezione I; decisione 18 gennaio 1980, n.
8; Pres. Borzellino, Est. P. Gallucci; Proc. gen. c. Principe, Monaco, Casalengo (Avv. Casini, Sorrentino), Di Jorio (Avv.
Moscarini).
Responsabilità contabile e amministrativa — Direttori generali del ministero poste e telecomunicazioni — Utenze telefoniche
gratuite poste a disposizione dalla concessionaria S.i.p. — Omes so riparto con altre amministrazioni — Responsabilità per l'ag
gravio di spesa pubblica — Esclusione.
Non incorrono in responsabilità amministrativa i direttori gene rali del ministero delle poste e telecomunicazioni per non avere
messo a disposizione di altre amministrazioni dello Stato parte delle 7.500 utenze telefoniche domiciliari gratuitamente fornite al ministero dalla concessionaria S.i.p. in base alla convenzione
approvata con d. pres. 28 aprile 1972 n. 803, sotto il profdo che, ove le suddette utenze fossero state razionalmente distri
buite tra le varie amministrazioni, ed in particolare assegnate a soggetti ai quali sono state attribuite utenze domiciliari a ca
rico del bilancio statale (ministri, sottosegretari, capi e vice
capi di gabinetto, direttori generali), anziché essere assegnate ai soli dipendenti del ministero delle poste e delle telecomunica
zioni, si sarebbe realizzato un considerevole risparmio nella
spesa pubblica per uso del telefono (la sezione giurisdizionale, tra l'altro, ha ritenuto prive di riscontro negli atti le deduzioni
svolte in udienza dal procuratore generale circa l'immotivata
concessione di utenze gratuite a dipendenti del ministero). {1)
(1-2) La sezione giudicante ha scisso in due pronunce ciò che era stato oggetto di prospettazione unitaria da parte dell'ufficio del pro curatore generale: il danno erariale consistente, da un lato, nel co sto delle telefonate private che (senza alcuna limitazione e senza alcun controllo) sono state fatte dal proprio domicilio da membri del governo e funzionari fruenti di un'utenza a carico dello Stato; dall'altro, nel costo delle telefonate di interesse pubblico la cui spe sa non sarebbe stata sopportata dallo Stato se fossero state meglio utilizzate le utenze gratuite fornite dalla S.i.p. (e destinate ad esclu sivo beneficio piccolo-corporativo dei dipendenti dell'amministrazio ne concedente, quasi che si trattasse di una prebenda da gestire e
ripartire privatamente). Non può non colpire, oltretutto, la precipi tazione dimostrata nell'assolvere i due direttori generali, quando la stessa sezione aveva rilevato che le deduzioni svolte in udienza dal
procuratore generale circa l'immotivata concessione di utenze gra tuite a dipendenti del ministero delle poste e telecomunicazioni (fi no, sembra, ad uscieri e commessi, il che può apparire conforme al principio costituzionale di uguaglianza a chi non sappia leggere l'art. 3 Cost., ma certo non appare conforme al principio di buona amministrazione contenuto nell'art. 97) non trovavano, allo stato, ri scontro — ma neppure smentita — negli atti di causa, e dunque rendevano opportuna un'integrazione dell'istruttoria, in luogo del giù
II
CORTE DEI CONTI; Sezione I; ordinanza 18 gennaio 1980, n.
1; Pres. Borzellino, Rei. P. Gallucci; Proc. gen. c. Principe, Monaco, Casalengo (Avv. Casini, Sorrentino), Di Jorio (Avv. Moscarini).
Responsabilità contabile e amministrativa — Installazione di uten ze telefoniche a carico dello Stato nelle private abitazioni di membri del governo e funzionari — Responsabilità dei provve ditori generali dello Stato — Necessità di ulteriori indagini.
Nel giudizio di responsabilità amministrativa contro i provvedi tori generali dello Stato per l'onere (di lire 405 milioni nel
triennio 1974-76) derivante dall'installazione, da essi consen
tita, di utenze telefoniche a carico del bilancio statale presso il
privato domicilio di ministri, sottosegretari, capi e vicecapi di
gabinetto, direttori generali di ministeri, senza la determina
zione di alcun limite nell'uso del telefono, la sezione giurisdi zionale, rilevato che la materia è disciplinata da direttive della
presidenza del Consiglio dei ministri impartite con circolari
8 novembre 1946 n. 75437 e 30 aprile 1947 n. 103387, le quali
per le sole utenze al domicilio dei direttori generali prevedono, oltre che la preventiva valutazione dell'onere finanziario in re
lazione alle possibilità di bilancio, la necessità di esplicita mo
tivazione circa le esigenze di servizio che giustificano la con
cessione di simili utenze, manda al procuratore generale di
acquisire, ove esistano, le motivate autorizzazioni alle utenze
in favore dei direttori generali. (2)
dicato. In un giudizio dominato dal c. d. potere sindacatorio del
giudice (per cui la sezione ha ritenuto suo compito « mandare » al
procuratore generale di svolgere determinate attività istruttorie) non
può troncarsi con un non liquet il discorso del procuratore generale circa lo « sperpero » delle utenze telefoniche gratuite (che, cosi co me sono elargite, concretano altresì un inammissibile privilegio per una categoria di dipendenti pubblici, simile a quello dei dipendenti dell'E.n.el. esentati dal pagare la bolletta della luce).
Se un rilievo va fatto alla prospettazione del procuratore generale è che, propriamente parlando, non una « parte » delle 7.500 utenze telefoniche domiciliari gratuitamente fornite dalla S.i.p. doveva es sere messa a disposizione delle « altre » amministrazioni dello Stato, ma tutte queste utenze dovevano essere unitariamente gestite (non dai direttori generali del ministero delle poste e telecomunicazioni, ma dai provveditori generali dello Stato) e distribuite tra tutte le amministrazioni dello Stato (compreso il ministero delle poste e te
lecomunicazioni) secondo le esigenze di interesse pubblico proprie di ciascuna.
Più sostanzioso il rilievo da muovere alla decisione assolutoria, motivata con riferimento al testo della convenzione con la S.i.p., in
terpretata ed applicata come se fosse un testo normativo: e non nel
rapporto fra amministrazione dello Stato e società concessionaria, bensì, con assurdità palese, nella valutazione della legittimità am
ministrativa del comportamento dei funzionari statali (i direttori ge nerali del ministero delle poste e telecomunicazioni) nella attribuzio ne delle utenze gratuite. Deriverebbe dalla convenzione, secondo la
sezione, la legittimità dell'attribuzione delle utenze al personale del ministero delle poste e telecomunicazioni, e ad esso soltanto: al pun to che sarebbe illegittimo, e fonte di responsabilità amministrativa, destinare tali utenze, « sia pure a fine di pubblica utilità, ad altre amministrazioni », poiché in questo modo si incorrerebbe « in col
pevole violazione degli obblighi pattizi assunti dallo Stato nei con fronti della società concessionaria ». Quid eius refert, direbbe chi ha dimestichezza col linguaggio dell'antica Roma (diversamente si
esprimerebbe, ma con identità di significato, chi avesse dimestichezza soltanto col linguaggio della Roma odierna), e quali lesioni del pro prio interesse contrattuale avrebbe da lamentare la S.i.p., se lo Stato utilizzasse nell'interesse pubblico le utenze gratuitamente concesse? È inutile soggiungere che l'approvazione della convenzione con d.
pres. non la « normativizza », ma appunto semplicemente l'approva come convenzione.
Quanto alla concessione di utenze telefoniche a carico del bilan cio dello Stato ai numerosi personaggi (e per l'importo) risultanti dalle massime, i termini del « mandato » affidato dalla sezione giu dicante al procuratore generale lasciano intendere che essa ritiene idonea fonte di disciplina (di che tipo?) le circolari della presidenza del Consiglio dei ministri. In proposito il procuratore generale aveva dedotto che non è ammissibile, in linea generale, che circolari esi mano categorie di cittadini dal pagamento di una tassa, prevista dal
vigente codice postale, sicché le concessioni in questione sono radi calmente illegittime; che, in ogni caso, la mancata determinazione di
un « tetto » per le telefonate di interesse pubblico compiute dai be- „ neficiari configurerebbe un profilo di eccesso di potere; che, se si considerano « d'ufficio » tutte le telefonate fatte dalla propria abi
tazione dai membri del governo o dai funzionari che beneficiano dell'utenza telefonica a carico dello Stato, costoro hanno « l'ufficio in casa », con il che non si concilia la circostanza che la S.i.p. ap plichi in questi casi la tariffa B, che è quella per uso privato, anzi ché la tariffa C, che è quella per uso di ufficio (in base all'art. 50 della convenzione, che a questo proposito ha ragione di essere ri
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