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PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || sentenza 5 febbraio 1980, n. 2; Pres. Tamburrino, Est....

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sentenza 5 febbraio 1980, n. 2; Pres. Tamburrino, Est. T. Alibrandi; E.n.el. (Avv. Mazzullo) c. Min. lavori pubblici (Avv. dello Stato Albisinni) e Consorzio per l'acquedotto del Peschiera Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1980), pp. 301/302-305/306 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171180 . Accessed: 28/06/2014 12:20 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.116 on Sat, 28 Jun 2014 12:20:41 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || sentenza 5 febbraio 1980, n. 2; Pres. Tamburrino, Est. T. Alibrandi; E.n.el. (Avv. Mazzullo) c. Min. lavori pubblici (Avv. dello Stato

sentenza 5 febbraio 1980, n. 2; Pres. Tamburrino, Est. T. Alibrandi; E.n.el. (Avv. Mazzullo) c.Min. lavori pubblici (Avv. dello Stato Albisinni) e Consorzio per l'acquedotto del PeschieraSource: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1980),pp. 301/302-305/306Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171180 .

Accessed: 28/06/2014 12:20

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

È illegittima la licenza edilizia, se il parere della commissione edilizia sia stato espresso successivamente al suo rilascio

(nella specie, la licenza edilizia è stata individuata nell'accerta mento della conformità al piano regolatore e alle norme vi

genti di un'opera comunale, operato dal consiglio comunale nella deliberazione di approvazione del progetto esecutivo del

capitolato di appalto e della spesa dell'opera stessa). (2)

La Sezione, ecc. — 1. - I primi tre motivi dell'appello, che

possono esaminarsi congiuntamente, non hanno pregio. Non vi è dubbio che la licenza edilizia (ora concessione), in

clusa nella sfera di attribuzioni del sindaco, racchiude una du

plicità di statuizioni poiché si risolve, da un lato, in un accerta mento autoritativo della conformità dell'opera progettata sia alle

prescrizioni degli strumenti urbanistici (piani regolatori, program mi di fabbricazione, piani di lottizzazione), sia alle norme legisla tive e regolamentari di disciplina dell'attività edificatoria; dall'altro, in una pronunzia di assenso, emessa nei confronti di un soggetto distinto dal comune.

Alla stregua delle leggi 17 agosto 1942 n. 1150 e 6 agosto 1967 n. 765 — che esonerano da siffatta licenza unicamente le amministrazioni dello Stato, contemplando all'uopo un apposito provvedimento sostitutivo di verifica di competenza del ministe ro dei lavori pubblici (art. 29 legge n. 1150 e 10, T comma, legge n. 765) — anche i manufatti eseguibili dai comuni sono sottoposti alla licenza in parola. In quest'ultima ipotesi, si intende, la de terminazione del sindaco ha solo il contenuto di atto di accerta

mento, data la impossibilità logica di configurare un atto di as senso quando non esiste diversificazione tra il soggetto da cui

proviene l'assenso medesimo e il soggetto beneficiario di esso.

Nella specie, la deliberazione del consiglio comunale di Adria 26 aprile 1972, n. 120, impugnata dinanzi al T.A.R. del Veneto, reca, in dispositivo, oltre all'approvazione del progetto esecutivo dei lavori di costruzione di un edificio in via Mazzini, da adibire a sede della locale pretura, del capitolato speciale di appalto e della spesa complessiva del fabbricato, ammontante a lire

150.000.000, la esplicita dichiarazione che detto progetto è stato redatto « in conformità alle disposizioni del piano regolatore e delle norme vigenti ».

È evidente, quindi, alla luce delle svolte considerazioni che il citato atto consiliare comprende, in base all'univoco significato delle sue clausole, una licenza edilizia e che correttamente il pri mo giudice ha riconosciuto tale circostanza.

La conclusione ora indicata rende manifesta l'infondatezza del la censura di tardività del ricorso di primo grado dei signori Puozzo, dedotta dal comune di Adria col secondo motivo del

l'appello.

Infatti, tanto l'avvenuta pubblicazione nell'albo pretorio in

costruite dal comune è necessaria la licenza edilizia; in senso con trario, v. Cons. Stato, Sez. IV, 11 aprile 1978, n. 289, Foro it., Rep. 1978, voce Edilizia e urbanistica, n. 370; T.A.R. Piemonte 16 ottobre 1974, n. 56, id., Rep. 1975, voce cit., n. 652. In dottrina, Pifferi, in Amm. it., 1976, 696; Piccardi, in Riv. amm., 1971, 919. Per altri riferimenti, sullo stesso problema in relazione ad opere di competenza statale, T.A.R. Lombardia, Sez. Brescia, 23 novembre 1979, n. 377, e T.A.R. 'Lazio, Sez. I, 28 febbraio 1979, n. 185, Foro it., 1980, III, 135, con nota di richiami.

(2) Nel senso della illegittimità della licenza edilizia rilasciata senza il previo parere della commissione edilizia, Cons. Stato, Sez. V, 31 marzo 1978, n. 370, Foro it., Rep. 1978, voce Edilizia e urbanistica, n. 412; 14 dicembre 1973, n. 1142, id., Rep. 1973, voce cit., n. 343; Sez. IV 9 novembre 1972, n. 1028, id., Rep. 1972, voce cit., n. 336, però con attenuazione del principio, in relazione alla particolare di

sciplina del regolamento comunale; Sez. V 28 novembre 1969, n. 1335, id., Rep. 1969, voce Piano regolatore, n. 379, per implicito, perché afferma che del parere della commissione edilizia deve essere fatta menzione nella licenza; Cons, giust. amm. sic. 12 luglio 1969, n. 184, ibid., n. 375; Sez. V 21 giugno 1966, n. 907, id., Rep. 1966, voce

cit., n. 320, nonché 2 aprile 1966, n. 537, id., 1966, III, 313, con nota di richiami.

In generale, nel senso che l'audizione successiva all'emanazione del

provvedimento del parere obbligatorio non ha effetto sanante, Cons.

Stato, Sez. V, 2 maggio 1975, n. 589, id., Rep. 1975, voce Atto am

ministrativo, n. 93; Cons, giust. amm. sic. 13 marzo 1970, n. 90, id.,

Rep. 1970, voce cit., n. 27; Sez. IV 2 luglio 1969, n. 313, id., 1969, III, 395, con nota di richiami, ma in una fattispecie nella quale per l'esclusione dell'effetto sanante è stata considerata causa prevalente la precedente proposizione del ricorso; Sez. Ili 24 maggio 1967, n. 700, id., Rep. 1969, voce cit., n. 21; Sez. V 13 maggio 1968, n. 289

{id., 1968, III, 382, con nota di richiami sui vari aspetti del pro

blema), che, in relazione ad una autorizzazione rilasciata tardiva

mente, ha affermato che l'effetto sanante deve essere escluso quando sia presumibile che l'inversione delle fasi del procedimento abbia

snaturato la funzione propria dell'atto presupposto, influendo sulle

circostanze nelle quali esso deve essere adottato.

data 27 aprile 1972 della deliberazione n. 120, quanto l'avvenuto esame della medesima senza rilievi da parte del comitato regio nale di controllo nella seduta del 28 successivo sono del tutto ir rilevanti ai fini della tempestività dell'anzidetto gravame, pro posto contro la deliberazione stessa, nella parte contenente la licenza di costruzione.

Al riguardo basta osservare che i provvedimenti di quest'ulti mo tipo non sono soggetti a controllo e che l'affissione di essi nell'albo pretorio non fa decorrere i termini per l'impugnativa (art. 10, 8° comma, legge 765/1967). Non risulta, d'altra parte, in alcun modo dagli elementi probatori del giudizio che gli inte ressati abbiano avuto piena conoscenza dell'atto impugnato oltre sessanta giorni utili prima del 31 ottobre 1974, data di notifica zione dell'originario ricorso.

La riscontrata natura di licenza edilizia, propria di una par te della deliberazione consiliare n. 120, e la ritenuta necessità della licenza in argomento per le opere realizzabili dai comuni

dimostrano, poi, la infondatezza anche del primo e del terzo mez

zo di gravame, con i quali l'appellante ha contestato l'esattezza,

rispettivamente sotto tali profili, della sentenza del tribunale. 2. - Il quarto motivo di appello è ugualmente sfornito di

pregio. L'art. 220 r. d. 27 luglio 1934 n. 1265 prevede come obbliga

tori nel procedimento di rilascio della licenza per l'esecuzione di

fabbricati « i pareri » della commissione edilizia comunale e del

l'ufficiale sanitario

La pronunzia del primo di detti organi, consistendo in un atto

di consulenza, cioè in una forma di collaborazione all'attività de

cisionale del sindaco, deve intervenire per la sua stessa natura

prima che l'attività medesima venga posta in essere, con la

conseguenza che il mancato rispetto di simile anteriorità cronolo

gica comporta, irrimediabilmente, senza possibilità di sanatoria

la invalidità del provvedimento finale.

Nel caso in esame, alla stregua di quanto ha affermato l'appel

lante, il parere della commissione edilizia è stato espresso sol

tanto il 6 apri'e 1973, ossia dopo l'emanazione — mediante la

deliberazione 26 aprile 1972, n. 120 — della necessaria licenza di

costruzione.

Sussiste, pertanto, il vizio di legittimità accertato dal tribunale.

La circostanza, poi, che il « parere » dell'ufficiale sanitario si

risolve in un nullaosta dal punto di vista igienico-sanitario e,

quindi, possa essere dato, con efficacia sanante, anche dopo l'ado

zione del provvedimento di licenza (vedi Sez. V 22 giugno 1971,

n, 600, Foro it., Rep. 1971, voce Edilizia e urbanistica, n. 399) —

cosi come si assume avvenuto nella specie — non è idonea a

determinare la riforma dell'impugnata sentenza dato che l'annulla

mento disposto con questa poggia sulla rilevazione del vizio ora

indicato, di carattere assorbente, dell'omessa audizione preventi va della commissione edilizia.

3. - Va pure disattesa la richiesta subordinata di riforma par ziale dell'anzidetta decisione in quanto l'illegittimità della licenza

contenuta nella deliberazione n. 120 si estende a tutte le

statuizioni di quest'ultima strettamente connesse con la licenza

medesima (approvazione del progetto esecutivo dei lavori; appro vazione del capitolato speciale di appalto; approvazione della

spesa complessiva) oppure condizionate all'esistenza di essa (scelta del sistema di licitazione privata da esperire per l'appalto dei

lavori; destinazione del costruendo edificio a sede della pretura; autorizzazione al sindaco a presentare la domanda di contributo

statale). 4. - La infondatezza dei motivi di gravame fin qui esaminati

impone la reiezione dell'appello ed esclude la possibilità di ogni

pronunzia sui restanti motivi, che attengono a censure corretta

mente dichiarate assorbite dal tribunale. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE; TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE; sen

tenza 5 febbraio 1980, n. 2; Pres. Tamburrino, Est. T. Ali

brandi; E.n.el. (Aw. Mazzullo) c. Min. lavori pubblici (Avv.

dello Stato Albisinni) e Consorzio per l'acquedotto del Pe

schiera.

Acque pubbliche e private — Concessione di parte di acqua pub blica spettante ad altro utente — Controversia sull'ammontare

del compenso determinato dalla pubblica amministrazione —

Giurisdizione ordinaria (R. d. 11 dicembre 1933 n. 1775, t. u.

sulle acque e gli impianti elettrici, art. 47; legge 20 marzo 1865

n. 2248, ali. E, sul contenzioso amministrativo, art. 4).

Le controversie relative all'ammontare del compenso liquidato dal

la pubblica amministrazione in favore del primo utente ai sensi

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PARTE TERZA

dell'art. 47 t. u. 11 dicembre 1933 n. 1775, quando ad un nuovo

utente viene concesso di derivare ed utilizzare parte dell'acqua

già concessa, hanno ad oggetto un diritto soggettivo e spettano,

pertanto, alla giurisdizione del giudice ordinario (tribunale re

gionale delle acque pubbliche). (1)

11 Tribunale, ecc. — L'eccezione di difetto di giurisdizione è fondata.

Per una esatta impostazione della questione occorre, invero,

premettere che nella specie la domanda deU'E.n.el. ricorrente si

concretizza esclusivamente nel lamentare l'inadeguatezza quanti tativa del compenso determinato per la sottensione concessa a fa

vore del « Consorzio acquedotto del Peschiera ». L'E.n.el., cioè, non deduce vizi di legittimità, in ipotesi idonei a determinare

l'invalidità del decreto di sottensione, salvo che nella parte rela

tiva alla liquidazione del compenso: ed articola, infatti, le sue

censure in una serie di contestazioni di fatto in ordine a circo

stanze come la determinazione del valore della produzione di

energia che andrebbe perduta per effetto della sottensione.

In rapporto a siffatta prospettazione l'eccezione di diletto di

(1) La sentenza ribalta un indirizzo giurisprudenziale che appa riva consolidato: cfr. Trib. sup. acque 19 dicembre 1973, n. 38, e 2 marzo 1974, n. 3, Foro it., Rep. 1974, voce Acque pubbliche, nn. 70, 71 (la seconda è menzionata in motivazione), secondo le quali la misura del compenso dovuto dal nuovo concessionario al prece dente utente, ai sensi dell'art. 47, 2° comma, t. u. 11 dicembre 1933 n. 1775, è stabilita dalla pubblica amministrazione nell'esercizio di un potere discrezionale, di fronte al quale la posizione del destina tario del compenso si configura come interesse legittimo, tutelabile davanti al Tribunale superiore delle acque in sede di legittimità.

In dottrina dubita della discrezionalità del potere di determina zione del quantum spettante all'utente sacrificato Miccoli, Le acque pubbliche, 1958, 204.

Nella diversa ipotesi di omessa determinazione del compenso la sentenza che si riporta afferma (exttra decisum ma non propriamente in obiter, essendo l'affermazione compiuta nel dar ragione — e al

fine, almeno putativamente, di dar ragione — della soluzione accolta) di condividere l'indirizzo giurisprudenziale espresso da Trib. sup. acque 24 ottobre 1960, n. 30, Foro it., Rep. 1960, voce cit., n. 139, e ribadito da Trib. sup. acque 7 dicembre 1976, n. 24, id., Rep. 1977, voce cit., n. 68 (entrambe menzionate in motivazione), nel presup posto che in tal caso sarebbe in questione la completezza della fat

tispecie normativa, e quindi la legittimità del provvedimento cosi emesso.

Sulla illegittimità del provvedimento di concessione ex art. 47 emesso senza fissazione del compenso v. pure Trib. sup. acque 10

maggio 1977, n. 13, id., Rep. 1977, voce cit., n. 57, e 16 dicembre

1976, n. 25, ibid., n. 58, che implicitamente proseguono lo stesso indirizzo.

Sulla differenza fra le ipotesi contemplate dagli art. 45 e 47 t. u. 11 dicembre 1933 n. 1775, cfr. Trib. acque Roma 1° giugno 1967, id., Rep. 1968, voce cit., n. 31; Trib. sup. acque 20 dicembre 1966, n. 43, id., Rep. 1967, voce cit., n. 41; Cass. 25 maggio 1965, n. 1029, id., 1965, I, 1921, la quale afferma che, mentre l'art. 45 riguarda il caso in cui una nuova utilizzazione di rilevante interesse sia in con trasto con le utilizzazioni di minore importanza precedentemente con cesse (per cui si fa luogo alla sostituzione della concessione di minore

importanza per far posto alla nuova), la disposizione contenuta nel l'art. 47 prevede il caso non di contrasto, ma di possibilità di coesi stenza della nuova utilizzazione con altra precedentemente concessa, sempre che quest'ultima non alteri l'economia e le finalità di quelle preesistenti.

In dottrina consulta Castelli Avolio, Commento alle leggi sulle

acque e sugli impianti elettrici, 1936, 404 ss., 410 ss.; Gilardoni, Acque pubbliche ed impianti elettrici, 1936, II, 317 ss., 332 ss.

In ordine all'osservazione, contenuta nella sentenza riportata, circa la non esattezza dell'equazione: inesistenza di un potere discrezio nale = esistenza di un diritto soggettivo, cfr. Cass. 10 ottobre 1955,

2994, Foro it., 1955, I, 1291; e più recentemente Cons. Stato, Sez.

IV, 28 settembre 1973, id., 'Rep. 1973, voce Giurisdizione civile, n. 88. Sul punto, in dottrina, M. Nigro, Giustizia amministrativa,

1979; A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativou, 1978, 883-885.

Per l'indirizzo in materia di espropriazione, secondo cui spetta all'autorità giudiziaria ordinaria conoscere delle controversie sulla misura dell'indennità, trattandosi di diritti soggettivi, mentre spetta al giudice amministrativo conoscere delle impugnative relative alla

legittimità formale dell'atto, cfr. Cass. 26 ottobre 1972, n. 3277, Foro

it., Rep. 1972, voce Espropriazione per p. i., n. 27. Ma non è vero che, come sbrigativamente afferma la sentenza ri

portata, la cognizione dell'azione diretta a far valere l'omessa de terminazione dell'indennità sia ritenuta spettare al giudice ammini strativo: al contrario quell'indirizzo afferma che, essendo in tal caso in questione un presupposto che condiziona la possibilità di legit timo esercizio del potere e quindi la sua stessa esistenza, si verifichi lesione di un diritto soggettivo perfetto, devoluta al giudice ordi nario (cosi Cass. 18 marzo 1972, n. 817, id., Rep. 1972, voce cit., n. 69; T.A.R. Piemonte 18 novembre 1975, n. 320, id., 1976, 111,

113, con ampia nota di richiami).

giurisdizione viene sollevata dal ministero resistente sotto il pro filo che le attività di determinazione del compenso — lungi dal

l'essere espressione di un potere discrezionale dell'amministrazio

ne — sono rigidamente vincolate all'accertamento di determinati

fatti ed alla ponderazione, sotto aspetti esclusivamente tecnici, di quelle risultanze; sicché, in sostanza, la posizione soggettiva fatta valere dal ricorrente non si configurerebbe come interesse le

gittimo ma avrebbe vera e propria consistenza di diritto sog

gettivo. Siffatta tesi non può essere condivisa, anche se il collegio è

ben consapevole che numerosi propri precedenti si sono espressi nel senso di ritenere che l'indennizzo spettante per la sotten

sione delle acque pubbliche ex art. 47, 2° comma, del t. u. rien

tra nell'apprezzamento discrezionale della pubblica amministra

zione sicché le controversie correlative apparterrebbero alla giu risdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche in sede

di giurisdizione amministrativa (in questo senso, Trib. sup. acque 7 dicembre 1976, n. 24, Foro it., Rep. 1977, voce Acque, n. 68; 2 marzo 1974, n. 3, id., Rep. 1974, voce cit., n. 71; 24 ottobre 1960, n. 30, id., Rep. 1960, voce cit., n. 139): ma, riesaminata a fondo

la questione, un mutamento di giurisprudenza sembra imporsi ne

cessariamente.

È intanto utile sottolineare che le due più recenti decisioni

(e, cioè, la n. 3 del 1974 e la n. 24 del 1976) si limitano a ri

portarsi alle conclusioni affermate con la decisione del 1960, alla

quale unicamente ci si deve riferire come necessario termine di

raffronto delle tesi contrapposte.

La decisione n. 30 del 1960, dal canto suo, è stata emessa in

relazione ad una fattispecie alquanto particolare, e cioè ad un

caso di decreto di sottensione nel quale veniva negato qualsiasi

compenso per l'acqua sottesa. 11 rilievo è importante perché com

porta uno spostamento di ottica nella valutazione del problema in discussione, al punto che la totale mancanza di compenso fi

nisce con il coinvolgere non più interessi meramente patrimo niali di quantificazione del compenso, bensì la stessa sussistenza

di un presupposto del decreto di sottenzione ed impinge, cosi,

per questa strada, sulla vera e propria completezza della fattispe cie normativa e, quindi, sulla legittimità del provvedimento emes

so, non in presenza di tutti i presupposti di legge. In questo or

dine di idee le affermazioni della sentenza n. 30 del 1960 sono

ancora oggi in gran parte condividibili: e, cosi, in particolare, laddove si afferma che, nel caso a suo tempo sottoposto all'esa

me del tribunale, il ricorrente non faceva valere un suo preteso diritto all'equivalente pecuniario dell'onere impostogli, ma dedu

ceva in giudizio il ben diverso interesse a che la parziale sotten

sione ex art. 47, 2° comma, venisse disposta ed attuata nei modi

ed alle condizioni prescritte dalla legge. Sicché del tutto corretta

mente il tribunale in quella stessa sede poteva fare analogamente riferimento alla materia della espropriazione per pubblica utilità, dove le opposizioni alla determinazione delle indennità vanno por tate innanzi all'autorità ordinaria, ma la deduzione, come vizio

del decreto di esproprio, della mancata preventiva offerta o de

terminazione dell'indennità stessa rientra nella normale compe tenza di legittimità della giurisdizione amministrativa.

Peraltro, la stessa fondatezza di questa impostazione della de

cisione del 1960 — che deve essere ribadita in questa sede —

comporta che, allorquando si faccia questione (come nella specie

odierna) non già dell'assoluta inesistenza del compenso bensì dei

limiti quantitativi del suo ammontare, il problema debba essere

affrontato in maniera del tutto diversa.

Sembra, intanto, di tutta evidenza che nella previsione del

2° comma dell'art. 47 risulti un ampio margine di discrezionalità

amministrativa, ma limitatamente alla ponderazione di quegli in

teressi ed al compimento di quelle scelte che la norma, nella

sua ineliminabile latitudine, rimette all'apprezzamento dell'ammi

nistrazione: e cosi', in particolare, nello stabilire i requisiti perché

possa ritenersi verificata la previsione normativa che « manchi

il modo di soddisfare altrimenti il nuovo richiedente e la nuova

concessione non alteri l'economia e la finalità di quelle pree sistenti ».

Ma allorquando questo momento di indubbia discrezionalità

si sia attuato (e consumato nell'attuazione), per la determina

zione del compenso che il nuovo utente deve corrispondere a

quelli preesistenti non sembrano più ipotizzabili momenti pro

priamente decisionali, sibbene operazioni meramente tecniche, e

quindi sottratte a scelte discrezionali ma tutt'al più soggette a

certi margini di opinabilità, che sono ineliminabili da ogni ap

prezzamento tecnico senza che ciò comporti un atto di volizione

in senso proprio. La determinazione del compenso, in altri termi

ni, è la risultante di accertamenti e di apprezzamenti tecnici, che — quantunque opinabili sul piano della corretta applicazione della tecnica utilizzata — trovano un limite vincolante nelle re

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

gole di quella tecnica e non hanno, quindi, nulla a che vedere con la potestà di comparare in sede di scelte amministrative i vari interessi coinvolti nella fattispecie. Conclusivamente, l'atti vità di determinazione del compenso deve, dunque, ritenersi nien te affatto discrezionale.

Ciò potrebbe, tuttavia, rivelarsi non ancora decisivo al fine di individuare l'esatta consistenza della posizione giuridica sogget tiva fatta valere dall'utente sotteso, se è vero, come è fuori discus

sione, che nella giurisprudenza più avvertita (e più recente) la discriminazione ' fra interesse legittimo e diritto soggettivo viene correlata non soltanto e non tanto alla natura discrezionale o vincolata dell'attività amministrativa che incide su quella posi zione, quanto soprattutto sulla natura dell'interesse (se pubblico o

privato) tutelato dalla normativa che disciplina la singola fattispe cie. Ora, nel caso in esame, non sembra dubbio che la previsione del compenso di cui all'art. 47 t. u. nei limiti in cui è chiara mente finalizzata a ristorare l'utente sotteso della perdita del

l'acqua sottrattagli, tuteli un interesse tipicamente patrimoniale ed essenzialmente privato. È poi del tutto secondario, e perciò non rilevante in questa sede, se il compenso debba avere natura

integralmente risarcitoria e meramente indennitaria; giacché, in

dipendentemente dalla correlativa qualificazione, sta di fatto che in ogni caso trattasi di una pretesa patrimoniale che corrisponde alla soddisfazione di un interesse privato.

Reputa, quindi, conclusivamente il collegio che nella specie debba essere esclusa la giurisdizione del tribunale intestato rien trando la vertenza nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria.

Per questi motivi, ecc.

I

CORTE DEI CONTI; CORTE DEI CONTI; Sezione I; decisione 18 gennaio 1980, n.

8; Pres. Borzellino, Est. P. Gallucci; Proc. gen. c. Principe, Monaco, Casalengo (Avv. Casini, Sorrentino), Di Jorio (Avv.

Moscarini).

Responsabilità contabile e amministrativa — Direttori generali del ministero poste e telecomunicazioni — Utenze telefoniche

gratuite poste a disposizione dalla concessionaria S.i.p. — Omes so riparto con altre amministrazioni — Responsabilità per l'ag

gravio di spesa pubblica — Esclusione.

Non incorrono in responsabilità amministrativa i direttori gene rali del ministero delle poste e telecomunicazioni per non avere

messo a disposizione di altre amministrazioni dello Stato parte delle 7.500 utenze telefoniche domiciliari gratuitamente fornite al ministero dalla concessionaria S.i.p. in base alla convenzione

approvata con d. pres. 28 aprile 1972 n. 803, sotto il profdo che, ove le suddette utenze fossero state razionalmente distri

buite tra le varie amministrazioni, ed in particolare assegnate a soggetti ai quali sono state attribuite utenze domiciliari a ca

rico del bilancio statale (ministri, sottosegretari, capi e vice

capi di gabinetto, direttori generali), anziché essere assegnate ai soli dipendenti del ministero delle poste e delle telecomunica

zioni, si sarebbe realizzato un considerevole risparmio nella

spesa pubblica per uso del telefono (la sezione giurisdizionale, tra l'altro, ha ritenuto prive di riscontro negli atti le deduzioni

svolte in udienza dal procuratore generale circa l'immotivata

concessione di utenze gratuite a dipendenti del ministero). {1)

(1-2) La sezione giudicante ha scisso in due pronunce ciò che era stato oggetto di prospettazione unitaria da parte dell'ufficio del pro curatore generale: il danno erariale consistente, da un lato, nel co sto delle telefonate private che (senza alcuna limitazione e senza alcun controllo) sono state fatte dal proprio domicilio da membri del governo e funzionari fruenti di un'utenza a carico dello Stato; dall'altro, nel costo delle telefonate di interesse pubblico la cui spe sa non sarebbe stata sopportata dallo Stato se fossero state meglio utilizzate le utenze gratuite fornite dalla S.i.p. (e destinate ad esclu sivo beneficio piccolo-corporativo dei dipendenti dell'amministrazio ne concedente, quasi che si trattasse di una prebenda da gestire e

ripartire privatamente). Non può non colpire, oltretutto, la precipi tazione dimostrata nell'assolvere i due direttori generali, quando la stessa sezione aveva rilevato che le deduzioni svolte in udienza dal

procuratore generale circa l'immotivata concessione di utenze gra tuite a dipendenti del ministero delle poste e telecomunicazioni (fi no, sembra, ad uscieri e commessi, il che può apparire conforme al principio costituzionale di uguaglianza a chi non sappia leggere l'art. 3 Cost., ma certo non appare conforme al principio di buona amministrazione contenuto nell'art. 97) non trovavano, allo stato, ri scontro — ma neppure smentita — negli atti di causa, e dunque rendevano opportuna un'integrazione dell'istruttoria, in luogo del giù

II

CORTE DEI CONTI; Sezione I; ordinanza 18 gennaio 1980, n.

1; Pres. Borzellino, Rei. P. Gallucci; Proc. gen. c. Principe, Monaco, Casalengo (Avv. Casini, Sorrentino), Di Jorio (Avv. Moscarini).

Responsabilità contabile e amministrativa — Installazione di uten ze telefoniche a carico dello Stato nelle private abitazioni di membri del governo e funzionari — Responsabilità dei provve ditori generali dello Stato — Necessità di ulteriori indagini.

Nel giudizio di responsabilità amministrativa contro i provvedi tori generali dello Stato per l'onere (di lire 405 milioni nel

triennio 1974-76) derivante dall'installazione, da essi consen

tita, di utenze telefoniche a carico del bilancio statale presso il

privato domicilio di ministri, sottosegretari, capi e vicecapi di

gabinetto, direttori generali di ministeri, senza la determina

zione di alcun limite nell'uso del telefono, la sezione giurisdi zionale, rilevato che la materia è disciplinata da direttive della

presidenza del Consiglio dei ministri impartite con circolari

8 novembre 1946 n. 75437 e 30 aprile 1947 n. 103387, le quali

per le sole utenze al domicilio dei direttori generali prevedono, oltre che la preventiva valutazione dell'onere finanziario in re

lazione alle possibilità di bilancio, la necessità di esplicita mo

tivazione circa le esigenze di servizio che giustificano la con

cessione di simili utenze, manda al procuratore generale di

acquisire, ove esistano, le motivate autorizzazioni alle utenze

in favore dei direttori generali. (2)

dicato. In un giudizio dominato dal c. d. potere sindacatorio del

giudice (per cui la sezione ha ritenuto suo compito « mandare » al

procuratore generale di svolgere determinate attività istruttorie) non

può troncarsi con un non liquet il discorso del procuratore generale circa lo « sperpero » delle utenze telefoniche gratuite (che, cosi co me sono elargite, concretano altresì un inammissibile privilegio per una categoria di dipendenti pubblici, simile a quello dei dipendenti dell'E.n.el. esentati dal pagare la bolletta della luce).

Se un rilievo va fatto alla prospettazione del procuratore generale è che, propriamente parlando, non una « parte » delle 7.500 utenze telefoniche domiciliari gratuitamente fornite dalla S.i.p. doveva es sere messa a disposizione delle « altre » amministrazioni dello Stato, ma tutte queste utenze dovevano essere unitariamente gestite (non dai direttori generali del ministero delle poste e telecomunicazioni, ma dai provveditori generali dello Stato) e distribuite tra tutte le amministrazioni dello Stato (compreso il ministero delle poste e te

lecomunicazioni) secondo le esigenze di interesse pubblico proprie di ciascuna.

Più sostanzioso il rilievo da muovere alla decisione assolutoria, motivata con riferimento al testo della convenzione con la S.i.p., in

terpretata ed applicata come se fosse un testo normativo: e non nel

rapporto fra amministrazione dello Stato e società concessionaria, bensì, con assurdità palese, nella valutazione della legittimità am

ministrativa del comportamento dei funzionari statali (i direttori ge nerali del ministero delle poste e telecomunicazioni) nella attribuzio ne delle utenze gratuite. Deriverebbe dalla convenzione, secondo la

sezione, la legittimità dell'attribuzione delle utenze al personale del ministero delle poste e telecomunicazioni, e ad esso soltanto: al pun to che sarebbe illegittimo, e fonte di responsabilità amministrativa, destinare tali utenze, « sia pure a fine di pubblica utilità, ad altre amministrazioni », poiché in questo modo si incorrerebbe « in col

pevole violazione degli obblighi pattizi assunti dallo Stato nei con fronti della società concessionaria ». Quid eius refert, direbbe chi ha dimestichezza col linguaggio dell'antica Roma (diversamente si

esprimerebbe, ma con identità di significato, chi avesse dimestichezza soltanto col linguaggio della Roma odierna), e quali lesioni del pro prio interesse contrattuale avrebbe da lamentare la S.i.p., se lo Stato utilizzasse nell'interesse pubblico le utenze gratuitamente concesse? È inutile soggiungere che l'approvazione della convenzione con d.

pres. non la « normativizza », ma appunto semplicemente l'approva come convenzione.

Quanto alla concessione di utenze telefoniche a carico del bilan cio dello Stato ai numerosi personaggi (e per l'importo) risultanti dalle massime, i termini del « mandato » affidato dalla sezione giu dicante al procuratore generale lasciano intendere che essa ritiene idonea fonte di disciplina (di che tipo?) le circolari della presidenza del Consiglio dei ministri. In proposito il procuratore generale aveva dedotto che non è ammissibile, in linea generale, che circolari esi mano categorie di cittadini dal pagamento di una tassa, prevista dal

vigente codice postale, sicché le concessioni in questione sono radi calmente illegittime; che, in ogni caso, la mancata determinazione di

un « tetto » per le telefonate di interesse pubblico compiute dai be- „ neficiari configurerebbe un profilo di eccesso di potere; che, se si considerano « d'ufficio » tutte le telefonate fatte dalla propria abi

tazione dai membri del governo o dai funzionari che beneficiano dell'utenza telefonica a carico dello Stato, costoro hanno « l'ufficio in casa », con il che non si concilia la circostanza che la S.i.p. ap plichi in questi casi la tariffa B, che è quella per uso privato, anzi ché la tariffa C, che è quella per uso di ufficio (in base all'art. 50 della convenzione, che a questo proposito ha ragione di essere ri

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