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PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || sezione di Brescia; sentenza 31 luglio 1991, n. 532;...

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Page 1: PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || sezione di Brescia; sentenza 31 luglio 1991, n. 532; Pres. Ingrassia, Est. Depiero; Soc. Sagidep (Avv. Arria, Codignola) c. Coreco di

sezione di Brescia; sentenza 31 luglio 1991, n. 532; Pres. Ingrassia, Est. Depiero; Soc. Sagidep(Avv. Arria, Codignola) c. Coreco di Mantova (Avv. dello Stato De Bellis) ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1992),pp. 61/62-65/66Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187416 .

Accessed: 25/06/2014 00:42

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

Ad avviso dell'amministrazione, dal criterio indicato dall'uf

ficio di controllo conseguiva una non piena valutazione dell'ef

fettivo servizio, dal momento che veniva in tal modo computa ta la sola anzianità maturata nelle qualifiche funzionali, trascu

rando quella di servizio effettivo prestato nelle corrispondenti

qualifiche del precedente ordinamento.

A sostegno di questa tesi il ministero del tesoro ha puntato essenzialmente sulla considerazione che l'assetto recato dalla 1.

11 luglio 1980 n. 312 non avrebbe inciso sulle situazioni giuridi che preesistenti, risultando i nuovi inquadramenti del tutto au

tomatici e derivanti dalle qualifiche rivestite nel precedente or

dinamento. Da ciò conseguirebbe — sempre ad avviso dell'am

ministrazione — che in sede di quantificazione di un beneficio

economico, volto al recupero di anzianità pregresse, non risul

terebbe in armonia con la ratio della norma la mancata valuta

zione di una parte di servizio effettivo prestato con svolgimento di funzioni del tutto identiche.

In aggiunta a questo argomento è stato fatto presente che

la 1. n. 869 del 1982, nel fare riferimento alla qualifica di prove

nienza, ha certamente tenuto presente che per la nomina a pri mo dirigente era richiesto dall'ordinamento allora vigente (art. 22 d.p.r. 30 giugno 1972 n. 748) il possesso di una qualifica non inferiore a quella di direttore di sezione.

L'assunto dell'amministrazione, articolato nei suesposti ter

mini, non può essere condiviso.

Questa sezione in altre occasioni (deliberazioni n. 1825 del

15 ottobre 1987, Foro it., Rep. 1988, voce Impiegato dello Sta

to, n. 692, e n. 2016 del 10 novembre 1988, id., Rep. 1989, voce Pensione, n. 73) ha osservato che la disposizione di cui

all'art. 4, 1° comma, 1. n. 869 del 1982 — puntuale nella sua

formulazione letterale — per la sua stessa natura di norma che

prevede un incremento stipendiale «esclude ogni possibilità di

estensiva esegesi, il cui risultato stravolgerebbe il significato del

la norma».

Si tratta in sostanza di una disposizione nella quale risultano

chiaramente individuati i suoi destinatari (dirigenti generali, di rigenti superiori e primi dirigenti, questi ultimi espressamente menzionati nel 2° comma dell'art. 4 1. n. 869 del 1982), nonché

la componente essenziale dell'incremento economico accordato

rispetto allo stipendio iniziale della nuova qualifica conferita,

rappresentata dall'anzianità di servizio effettivo prestato nella

qualifica di provenienza. Preliminarmente c'è da dire che la tesi dell'amministrazione

di far rivivere le qualifiche dell'ordinamento precedente a quel lo introdotto con la 1. n. 312 del 1980 non trova alcun aggancio normativo ed urta contro una realtà difficilmente superabile co

stituita dal fatto che la qualifica rivestita dagli interessati all'at

to della nomina nella dirigenza è quella e solo quella (ottava

qualifica funzionale) del nuovo ordinamento.

Quanto alle motivazioni addotte a giustificazione di una più

ampia valutazione dell'anzianità pregressa, mentre non si han

no difficoltà a riconoscere che nel passaggio dal precedente al

nuovo ordinamento si è verificata, in attesa della determinazio

ne dei nuovi profili professionali e per le esclusive esigenze di

superare difficoltà correlate all'espletamento delle funzioni, una

sovrapposizione fra precedenti a nuove qualifiche; però risulta

decisiva la considerazione che il nuovo assetto, pur muovendo

ovviamente, come ne danno ampiamente atto le disposizioni rac

chiuse nell'art. 4 1. n. 312 del 1980, dalle situazioni giuridiche

preesistenti, ha fortemente rinnovato il rapporto di pubblico im

piego, che da un assetto per carriere, articolate in una plurità di qualifiche distinte non per la diversità delle attribuzioni ma

per il nomen, è passato — come ha avuto occasione di osserva

re questa sezione con la deliberazione n. 2100 del 16 marzo

1989 — ad un ordinamento fondato su qualifiche funzionali, nelle quali sono stati inseriti i profili professionali identificati sulla base di specializzazioni.

In questa prospettiva l'inquadramento nelle nuove qualifiche funzionali non ha costituito un momento del tutto formale, un

fatto, cioè, puramente terminologico, ma un sostanziale muta

mento, avvenuto per gradi ma sempre con effetti dall'inquadra mento iniziale nelle nuove qualifiche; cosi che qualsiasi riferi

mento alle qualifiche del precedente ordinamento risulta ormai

del tutto superato. Una conferma, sul piano interpretativo, che la «qualifica di

provenienza» sia soltanto e sempre quella del nuovo ordina

mento è stata offerta dallo stesso legislatore che con interpreta

li. Foro Italiano — 1992.

zione autentica (art. 4, 1° comma, d.l. 28 gennaio 1986 n. 9

convertito con modificazione nella 1. 24 marzo 1986 n. 78) ha

riportato l'espressione qualifica superiore» contenuta nell'art.

4, 4° comma, della più volte citata 1. n. 312 del 1980, nell'am

bito delle qualifiche funzionali del nuovo ordinamento.

Osserva, inoltre, la sezione che, ove si volesse dare rilevanza, ai fini che qui interessano, alle equiparazioni fra precedenti e

nuove qualifiche, non potrebbe ignorarsi che, per effetto del

l'applicazione dell'art. 4, 8° comma, 1. n. 312 del 1980, tutti

i dipendenti della ex carriera direttiva sono stati inquadrati nel

la ottava qualifica funzionale con decorrenza dalla data di pri mo inquadramento; situazione questa che condurrebbe a dover

valutare — andando al di là di quanto operato dall'amministra

zione del tesoro — tutta l'anzianità di effettivo servizio prestato nella carriera direttiva del precedente ordinamento.

Quanto al secondo argomento secondo il quale il sistema di

accesso alla dirigenza, vigente all'atto di entrata in vigore della

1. n. 869 del 1982, offrirebbe un aggancio normativo a fonda

mento delle maggiori valutazioni effettuate, è sufficiente notare

che qui non rileva il requisito occorrente per accesso alla diri

genza, ma la qualifica di provenienza (che può essere anche

superiore a quella minima a tal fine richiesta) prescindendo da

complessive anzianità di carriera. In altri termini, anche nell'e

venienza che non fossero intervenute nuove norme (1. 10 luglio 1984 n. 301) a regolare l'accesso alla dirigenza, il recupero di

anzianità consentito ai fini della determinazione dello stipendio di primo dirigente non potrebbe effettuarsi se non con riferi

mento alla qualifica funzionale nella quale il dipendente risulta

inquadrato. Per le considerazioni che precedono i provvedimenti risultano

non conformi a legge.

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA; sezione di Brescia; sentenza 31 luglio 1991,

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA; sezione di Brescia; sentenza 31 luglio 1991, n. 532; Pres. Ingrassia, Est. Depiero; Soc. Sagidep (Aw.

Arria, Codignola) c. Coreco di Mantova (Aw. dello Stato

De Bellis) ed altri.

Comune e provincia — Deliberazione comunale — Affidamen

to di servizio — Assessore — Interesse indiretto — Nullità — Fattispecie (R.d. 4 febbraio 1915 n. 148, t.u. della legge comunale e provinciale, art. 290).

Legittimamente il comitato regionale di controllo annulla la de

liberazione con la quale l'amministrazione comunale affida, all'esito di pubblica gara, il servizio di manutenzione e con

duzione degli impianti comunali di depurazione a società in

nome collettivo fra i cui soci figuri la moglie, ancorché in

regime di separazione dei beni, di un assessore della medesi

ma amministrazione, che pur si era astenuto dal prendere parte alla deliberazione, sussistendo l'interesse personale indiretto

che vieta ai consiglieri, ai sensi dell'art. 290, 2° comma, r.d.

4 febbraio 1915 n. 148, di «prendere parte in servizi, esazioni

di diritti, somministranze o appalti di opere nell'interesse dei

corpi cui appartengono». (1)

(1) Importante applicazione dei principi di cui all'art. 290 r.d. 148/15 in fattispecie nella quale la semplice astensione del consigliere comunale

interessato alla deliberazione non è stata ritenuta sufficiente per rispet tare l'interesse all'imparzialità e trasparenza dell'azione della pubblica amministrazione che costituisce la ratio della norma applicata («Con la prescrizione di cui all'art. 290 r.d. 4 febbraio 1915 n. 148, si è inteso

precludere la partecipazione degli amministratori alle delibere in tutti i casi in cui la loro particolare posizione in relazione all'oggetto della deliberazione in discussione possa far ragionevolmente supporre un eser

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PARTE TERZA

Fatto. — La ricorrente società rappresenta di aver partecipa to ad una gara — indetta dal comune di Roncoferraro — per l'affidamento del servizio di manutenzione e conduzione degli

impianti comunali di depurazione, e di essere risultata vincitrice.

Il Coreco, tuttavia, annullava il provvedimento comunale di

aggiudicazione, sul presupposto dell'esistenza di un interesse per sonale (indiretto) dell'assessore Melotto (che, pure, non aveva

partecipato alla formazione del suddetto atto) nella questione di cui trattasi, posto che lo stesso è marito di tale Marina Mut

ti, socia della Sagidep. Contro la determinazione del Coreco agisce la società, dedu

cendone l'illegittimità per: 1) violazione dell'art. 290 r.d. 4 feb

braio 1915 n. 148 e art. 3 1. 23 aprile 1981 n. 154; 2) eccesso

di potere per contraddittorietà ed illogicità; 3) ingiustizia ma

nifesta.

Afferma l'istante che nessun interesse — neppure indiretto — vanta il Melotto nell'affare in oggetto, poiché — sotto il

profilo strettamente patrimoniale — lo stesso si trova, rispetto

alla moglie, in separazione di beni.

Secondariamente, l'art. 290 t.u. risulta superato dalla 1. 154/81,

che stabilisce il divieto a ricoprire la carica di consigliere (nella

specie) comunale a colui che sia titolare, amministratore o di

pendente con specifici poteri, di aziende che operano in servizi

di esazione diritti, o attuano somministrazioni o appalti in fa

vore dell'ente ove il soggetto opera. L'assessore Melotto, tuttavia, non si trova in alcuna delle sud

dette situazioni, e la di lui moglie si limita ad essere socia della

Sagidep. Il Coreco, quindi, ha errato nell'applicare le norme, in quan

to il problema risulta perfettamente inquadrabile nella fatispe

cie prevista dall'art. 290 t.u., in base al quale, al soggetto che

si trovi nelle situazioni ivi descritte non può essere chiesto che

di astenersi dal prendere parte alle relative deliberazioni, cosa

che il Melotto ha fatto. (Omissis)

cizio non imparziale e disinteressato delle funzioni»: Tar Puglia 13 maggio 1982, n. 237, Foro it., Rep. 1984, voce Comune, n. 142; «si è inteso

tutelare il prestigio della pubblica amministrazione e presidiare la pre sunzione di imparzialità degli atti amministrativi, che potrebbero risul

tare compromessi dall'inframettenza di interessi privati nella gestione

degli interessi pubblici»: Tar Lazio, sez. II, 23 febbraio 1983, n. 147,

id., 1984, III, 83, con nota di richiami di R. Ferrara); in altre occasio

ni la giurisprudenza amministrativa, nell'applicare le prescrizioni del

l'art. 290 (e di quelle simili contenute nell'art. 279 t.u. 383/34) ha fer

mato la sua attenzione al momento "dell'astensione dalla partecipazione alla votazione (arrivando fino ad aggiungervi l'obbligo di allontamento

dalla seduta) da parte del consigliere interessato, senza ulteriormente

verificare il profilo messo in risalto dal tribunale bresciano: in giuri

sprudenza è pacifico che l'obbligo di astensione e di «non partecipazio ne» ex art. 290 «comprende ogni situazione di conflitto o di contrasto

di situazioni personali che comporti una tensione della volontà verso una qualsiasi utilità che si possa ricavare dal contribuire all'adozione di una deliberazione, estendendosi anche alle utilità solamente psicolo

giche» (Tar Emilia-Romagna, sez. II, 24 gennaio 1989, n. 36, id., Rep. 1989, voce cit., n. 185) e «ricorre ogni qualvolta vi sia una correlazione immediata e diretta fra situazioni del consigliere e oggetto della delibe razione» (Cons. Stato, sez. IV, 2 aprile 1988, n. 290, id., Rep. 1988, voce cit., n. 147) e «prescinde da ogni apprezzamento circa l'idoneità

della misura dell'interesse a determinare o escludere la situazione di

incompatibilità» (Cons. Stato, sez. IV, 13 ottobre 1983, n. 713, id.,

Rep. 1983, voce cit., n. 113), mentre è stato ritenuto che l'art. 290

non opera allorché si tratti di realizzare opere di natura infrastrutturale e obbligatoria (quale la rete fognante: Tar Piemonte, sez. II, 22 maggio 1989, n. 389, id., Rep. 1990, voce Opere pubbliche, n. 148) o di adotta re provvedimenti normativi o di carattere generale (quale il piano rego latore generale: Tar Campania, sez. II, 11 aprile 1988, n. 145, id., Rep. 1988, voce Comune, n. 148; e il programma di fabbricazione: Cons.

Stato, sez. IV, 28 ottobre 1986, n. 682, id., Rep. 1986, voce cit., n.

166; ma non per le varianti del p.r.g. o del p.d.f.: Cons. Stato, ad.

plen., 9 marzo 1983, n. 1, id., 1983, III, 161, con nota di richiami). Sulle cause di incompatibilità ai fini della eleggibilità secondo la 1.

154/81 (la cui applicabilità nella specie è stata esclusa dal tribunale bre

sciano), v., da ultimo, Corte cost. 17 ottobre 1991, n. 388, id., 1991,

I, 2957; App. Napoli 2 febbraio 1991 e Trib. Belluno 15 novembre

1990, ibid., 3218, con note di richiami; sulla nuova disciplina del con trollo degli atti dei comuni e delle province ai sensi della 1. 142/90, v. Cons. Stato, sez. I, parte 17 ottobre 1990, n. 1423, id., 1991, III, 118.

Il Foro Italiano — 1992.

Diritto. — Il ricorso non appare fondato, e va, pertanto, re

spinto. Ciò consente al collegio di superare l'eccezione di inam

missibilità sollevata dal resistente Coreco.

In sede di sommaria delibazione, il tribunale aveva ritenuto

sussistere elementi di fumus boni iuris nella censura di falsa

applicazione dell'art. 290 t.u. 148/15, posto che l'assessore Me

lotto, che indubitabilmente ha un interesse, ancorché indiretto, all'affare di cui trattasi, si era astenuto di prendere parte alla

deliberazione annullata dal Coreco.

Ad un successivo approfondimento, tuttavia, l'argomento si

è rivelato inconsistente.

Innanzitutto, va precisato che gli ambiti di applicazione del

l'art. 290 t.u. e dell'art. 3 1. 23 aprile 1981 n. 154, sono diversi.

Il secondo, infatti, enuncia i casi di incompatibilità con la

carica di consigliere degli enti locali di colui che si trovi in de

terminate situazioni tassativamente indicate.

Consegue all'esistenza di tali incompatibilità che il soggetto che si trova nelle situazioni ivi descritte sarà ineleggibile (ove il fatto preesista) ovvero dovrà essere dichiarato decaduto (se si verifichi successivamente alla nomina).

L'art. 29 t.u. ha, invece, finalità diverse, concernendo l'ob

bligo degli amministratori pubblici di astenersi dal prendere parte a determinati atti, e il loro dovere di essere in posizione di ter

zietà (e, quindi, di non avere interessi diretti o indiretti) rispetto ad atti dell'ente di contenuto economico, pena l'illegittimità del

provvedimento adottato in violazione del precetto normativo.

È volto, cioè, ad assicurare comunque la trasparenza ed impar

zialità dell'azione amministrativa.

Si è, dunque, nella specie, al di fuori dell'ambito di operativi tà della 1. 154/81, che è volto ad impedire che sorgano situazio

ni soggettive incompatibili. L'art. 3, n. 2, infatti, si occupa di colui che come titolare,

amministratore o dipendente con poteri di rappresentanza ha

parte (direttamente e non) in servizi, esazione di diritti, sommi

nistrazioni o appalti in favore dell'ente ove è consigliere. Non è questo, pacificamente, il caso di cui trattasi. Il Melot

to non si trova in alcuna delle indicate situazioni, per cui —

nei suoi confronti — non scatta l'incompatibilità ex art. 3 1.

154/81.

La fattispecie in oggetto è, invece, totalmente regolata dal

l'art. 290 t.u.

Questa disposizione si compone di due parti distinte: il 1°

comma, che sancisce l'obbligo di astensione da certi tipi di deli

berazioni, e il 2°, che fa espresso divieto di partecipare a deter

minate attività.

Quanto al primo aspetto, si può osservare che, a salvaguar dia della legittimità degli atti degli organi collegiali, è prescritto che i consiglieri debbano astenersi dal prendere parte alle deli

berazioni che riguardano «liti o contabilità proprie o dei propri

congiunti verso i corpi cui appartengono» o «interessi propri, o interessi, liti e contabilità dei propri congiunti e affini, ...o

conferimenti di impieghi ai medesimi».

Nel nostro caso, va precisato — il dato non è controverso — che l'assessore Melotto si è astenuto dalla votazione.

Ad avviso del collegio, tuttavia, ciò, ancorché necessario, non

appare sufficiente, ai fini della legittimità del provvedimento de quo.

Infatti, il 2° comma dell'art. 290 dà una diversa e ulteriore

prescrizione, con cui si fa divieto ai consiglieri di prendere parte — direttamente o indirettamente — in «servizi, esazioni di di

ritti, somministranze o appalti di opere nell'interesse dei corpi cui appartengono».

In queste particolari situazioni, non basta astenersi dal pren dere parte alla deliberazione, bensì bisogna essere in posizione di terzietà rispetto ad attività (aventi risvolti patrimoniali) rese

da altri soggetti in favore dell'ente.

Il 2° comma dell'art. 290 t.u., è una chiara specificazione del primo: il generico interesse di cui ivi si parla (e che determi

na l'obbligo di astenersi), diviene specifico perché riferito a si

tuazioni e particolari attività di rilevanza economica, normati

vamente determinate.

In questi casi (e per la tutela, come notato, della trasparenza dell'azione amministrativa) la mera astensione dal voto appare strumento insufficiente a garantire le finalità che la norma vuo

le perseguire.

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

Per salvaguardare la struttura pubblica da possibili abusi e

collusioni, si è stabilito essere illegittimo (questo è — ovviamen

te — il senso della norma) l'affidamento di un «servizio, esa

zione, somministranza o appalto» ogni volta che si possa rite

nere che il consigliere (pur astenutosi dalla deliberazione) vi

«prenda parte direttamente o indirettamente».

Orbene, la moglie dell'assessore Melotto è socia della s.n.c.

Sagidep. Il problema è, quindi, vedere se sussista l'interesse indiretto

rilevato dal Coreco, in presenza di una forma societaria, essen

do pacifica la sua esistenza ove, ad esempio, si trattasse di ditta

individuale di cui fosse titolare la Mutti Marina, moglie del

Melotto.

Ritiene il collegio che, anche se il servizio di manutenzione

e conduzione degli impianti comunali di depurazione è stato

affidato ad una società (che è ovviamente entità diversa dai sin

goli soci), tuttavia l'interesse indiretto dell'assessore sussiste, a

nulla rilevando il fatto i coniugi Melotto si trovano in regime di separazione dei beni.

Ciò che conta, invece, è il tipo di società di cui trattasi, es

sendo del tutto intuitivo che l'unica forma societaria ove la «per sonalità» dei soci può essere del tutto priva di rilevanza (a me

no che gli stessi non siano anche amministratori o sindaci, ov

vero soci di maggioranza) è la s.p.a. Nel caso in oggetto trattasi, invece, di società in nome collet

tivo, ove tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente

delle obbligazioni, ed è formata di soli tre soggetti, di cui uno, la Mutti Marina, è, per l'appunto, coniuge del Melotto.

Pertanto, appare palese la non terzietà del ricorrente rispetto

all'assegnazione del servizio, anche alla luce del criterio esposto al 1° comma dell'art. 290 t.u. (che può ritenersi di portata ge

nerale), che individua l'interesse che obbliga all'astensione co

me quello che appartiene al soggetto medesimo (e che il 2° com

ma definisce «diretto»), ovvero ai suoi congiunti o affini fino

al quarto grado civile» (interesse indiretto).

Conclusivamente, il collegio ritiene che, nel caso di specie, sussista l'interesse indiretto cui la norma ricollega il divieto di

«prender parte in servizi, esazioni, somministranze e appalti», sia per l'esistenza del vincolo di coniugio tra le parti interessate, sia per l'irrilevanza della forma societaria con cui l'attività vie

ne svolta.

Il ricorso va, quindi, respinto.

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'EMILIA-ROMAGNA; sede di Bologna; sezione II; senten

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'EMILIA-ROMAGNA; sede di Bologna; sezione II; senten

za 19 luglio 1991, n. 403; Pres. ed est. Sinagra; Ferretti (Avv.

Stefani) c. Commissione esaminatrice degli esami di Stato

per l'abilitazione all'esercizio della professione di dottore com

mercialista.

Professioni intellettuali — Dottore commercialista — Esame di

Stato — Provvedimento di non ammissione alle prove orali — Correzione degli elaborati non collegiale e non verbalizza

ta — Illegittimità — Sostituzione della commissione esamina

trice — Necessità (D.m. 9 settembre 1957, approvazione del

regolamento sugli esami di Stato di abilitazione all'esercizio

delle professioni, art. 10).

Deve essere annullato il provvedimento di non ammissione alle

prove orali dell'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio

della professione di dottore commercialista emesso dopo una

correzione degli elaborati scritti eseguita non collegialmente ma dai singoli commissari, in sedi diverse da quella legale

e senza verbalizzazione alcuna; deve, altresì, essere disposto che la nuova valutazione delle prove scritte e le successive

operazioni concorsuali siano effettuate da altra commissione

di esami che l'amministrazione dovrà all'uopo nominare. (1)

(1) Nella sua prima parte la massima riflette posizioni consolidate

nella giurisprudenza amministrativa circa la necessità del rispetto della

collegialità della commissione nella valutazione delle prove dei candida

li Foro Italiano — 1992.

Fatto. — Il dottor Aldo Ferretti ha partecipato alla sessione

autunnale 1990 degli esami di Stato per l'abilitazione all'eserci

zio della professione di dottore commercialista.

Nella prima prova scritta, quella di ragioneria e tecnica, ri

portava la votazione di 30/60, nella seconda prova scritta, quel la di diritto commerciale, riportava la votazione di 24/60.

Poiché per l'ammissione alle prove orali la legge richiede un

minimo di 36/60 in ciascuna delle prove scritte il candidato,

oggi ricorrente, non veniva ammesso a sostenere la prova orale.

Avverso il provvedimento-giudizio di non ammissione alla pro va orale e perciò di non abilitazione, il candidato propone ri

corso giurisdizionale a questo Tar, deducendo nell'atto impu

gnato i seguenti aspetti di illegittimità: (omissis) Diritto. — La decisione della causa sta tutta nella lettura del

verbale della commissione esaminatrice del 2 febbraio 1991, in

dicato come verbale VI.

Esso fornisce la dimostrazione evidente dell'illegittimità del

procedimento seguito dalla commissione nella valutazione delle

prove scritte: questa operazione del procedimento è stata com

piuta «nel periodo dal 10 dicembre 1990 al 31 gennaio 1991», «con riunioni alle quali hanno partecipato più commissari e con

la facoltà per i singoli di prendere visione e formarsi un primo orientamento sui compiti».

Non viene detto precisamente in quali sedute, e in quali date, sia avvenuto questo esame; quanti e quali commissari abbiano

partecipato ad ogni singola riunione e quanti e quali commissa

ri siano stati invece assenti. E va aggiunto che della concessa

«facoltà» qualche commissario — o alcuni commissari — po trebbero anche non essersi avvalsi.

Quanto si legge in questo verbale ha una sola possibile, uni

voca spiegazione: non v'è stata alcuna riunione collegiale con

la presenza di tutti i commissari — come è tassativamente e

inderogabilmente prescritto dalla legge — ma i singoli commis

sari — in ordine sparso, verosimilmente in sedi diverse da quel la legale (quella universitaria), anche in sedi private, hanno, cia

scuno per proprio conto, esaminato gruppi di temi o hanno

proceduto — ma per gli effetti giuridici è la stessa cosa — con

modalità e in maniere diverse (ad esempio, fotocopie dei temi), tutte ovviamente irregolari e illegittime.

È quei commissari che non esaminarono i temi ovvero quel determinato gruppo di temi, hanno poi avuto «facoltà» di «pren derne visione» (!)•

In aperta violazione dunque della norma che prevede e impo ne che tutte le operazioni della commissione, dalla riunione pre liminare a quella conclusiva, abbiano svolgimento collegiale, il

che significa presenza e partecipazione di tutti i commissari, e si tengano unicamente nella sede legale della commissione, la commissione di esami di Stato ha invece proceduto attraver

so valutazioni individuali, in sedi non identificabili, presumibil mente diverse da quella ufficiale della commissione. Ma la con

seguenza giuridica negativa sarebbe la stessa, anche se queste cosiffatte correzioni e valutazioni fossero avvenute nella sede

ufficiale.

ti, nonostante la legittimità di una suddivisione in sottocommisioni del la commissione per le operazioni di correzione e primo esame degli ela borati (Cons. Stato, sez. VI, 5 luglio 1985, n. 392, Foro it., Rep. 1985, voce Istruzione pubblica, n. 287; 14 gennaio 1989, n. 5, id., 1990, III, 16; 11 ottobre 1989, n. 1336, id., Rep. 1989, voce Concorso a pubblico

impiego, n. 87; 18 novembre 1980, n. 1098, id., Rep. 1981, voce cit., n. 65; sez. V 7 novembre 1990, n. 762, id., 1991, III, 403, con nota di richiami), e circa la necessità di verbalizzazione tempestiva delle ope razioni della commissione d'esame (Corte conti, sez. contr., 22 luglio

1980, n. 1091, id., Rep. 1981, voce cit., n. 66; Tar Sicilia, sede Catania, sez. II, 3 luglio 1990, n. 512, id., Rep. 1990, voce cit., n. Ili); nella

seconda parte della massima si rinvengono, invece, statuizioni inusuali

per provvedimenti di annullamento parziale delle operazioni di commis

sioni esaminatrici, laddove la necessità di sostituire la commissione nel

la successiva attività da svolgere in esecuzione di una pronunzia giuri sdizionale di annullamento delle operazioni concorsuali è stata espressa mente esclusa in altre occasioni (cfr. Tar Lazio, sez. I, 18 novembre

1981, n. 961, id., Rep. 1982, voce cit., n. 48): evidentemente, nel caso

di specie, le irregolarità delle operazioni concorsuali si sono presentate al giudizio del tribunale con tale gravità da consigliare l'adozione della

pronunzia in epigrafe. Per ogni riferimento sulle procedure dei concorsi a pubblico impiego,

v. la nota a Cons. Stato 762/90, cit.

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