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PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || sezione di Latina; sentenza 17 febbraio 1990, n. 93;...

Date post: 27-Jan-2017
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sezione di Latina; sentenza 17 febbraio 1990, n. 93; Pres. Michelotti, Est. Onorato; Cerasoli (Avv. Faggella) c. Comune di S. Felice Circeo (Avv. Catenacci) Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1991), pp. 95/96-101/102 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23183160 . Accessed: 24/06/2014 21:46 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.248.111 on Tue, 24 Jun 2014 21:46:26 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione di Latina; sentenza 17 febbraio 1990, n. 93; Pres. Michelotti, Est. Onorato; Cerasoli(Avv. Faggella) c. Comune di S. Felice Circeo (Avv. Catenacci)Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1991),pp. 95/96-101/102Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183160 .

Accessed: 24/06/2014 21:46

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PARTE TERZA

realizzate dagli enti istituzionalmente competenti: dalla disposi zione può al più evincersi che la concessione in deroga in favore

di privati per opere di interesse pubblico non può essere gratui

ta, ma non può certo arguirsi che la stessa concessione non

possa essere rilasciata.

Nella fattispecie per cui è causa neppure possono insorgere dubbi circa la rilevanza pubblica degli interessi che ineriscono

all'opera di cui trattasi: la struttura è destinata a manifestazioni

sportive ed artistico-culturali, che rispondono a sentite esigenze sociali della collettività; l'art. 60 d.p.r. 616/77, del resto, riser

va proprio ai comuni le funzioni amministrative in materia di

promozione delle attività sportive e ricreative; inoltre, la con

venzione 30 luglio 1985 n. 6984 riserva la struttura medesima

all'uso esclusivo da parte del comune di Milano in periodi de

terminati dell'anno, secondo quanto incontestatamente affermato

in memoria dalla ricorrente.

Osserva ancora il collegio che non paiono neppure condivisi

bili le preoccupazioni evidenziate dalle parti resistenti, circa la

possibilità che l'istituto della concessione in deroga — ove non

ristretto nei limiti risultanti dall'atto impugnato — si presti a

divenire strumento di abusi: l'art. 41 quater 1. n. 1150 cit. e

l'art. 3 1. n. 1357 pure cit. hanno infatti introdotto idonee ga ranzie e cautele sul piano dei presupposti per l'esercizio del po tere (necessaria previsione nello strumento urbanistico; rilevan

za dell'intervento ai fini dell'interesse pubblico) e sul piano pro cedurale (atto di assenso sindacale preceduto da deliberazione

del consiglio comunale e da nulla osta della regione). Per quan to attiene, invece, all'inapplicabilità della deroga in relazione

al manufatto de quo, con riguardo al contrasto con le norme

che prevedono il previo necessario inserimento nel p.p.a., le

relative argomentazioni svolte in causa dall'interveniente non

sono assunte nell'atto impugnato quale specifico motivo di an

nullamento del nulla osta regionale, e, pertanto, non possono essere esaminate, in quanto esulanti dall'oggetto del giudizio.

Per la stessa ragione non possono trovare ingresso i restanti

rilievi di illegittimità del medesimo nulla osta, sollevati sempre dall'interveniente negli atti di causa: per vero la non riconduci

bilità degli stessi rilievi all'atto tutorio impugnato è sostanzial

mente ammesso dallo stesso interveniente.

Per le esposte ragioni il ricorso è fondato e va accolto, con

l'annullamento conseguente del provvedimento impugnato.

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA ZIO; sezione di Latina; sentenza 17 febbraio 1990, n. 93; Pres.

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA ZIO; sezione di Latina; sentenza 17 febbraio 1990, n. 93; Pres.

Michelotti, Est. Onorato; Cerasoli (Aw. Faggella) c. Co

mune di S. Felice Circeo (Aw. Catenacci).

Edilizia e urbanistica — Costruzione abusiva — Sentenza pena le di condanna — Ordine di demolizione — Atto meramente

esecutivo del sindaco — Dlegittimità (Cod. pen., art. 20; cod.

proc. pen. del 1988, art. 533; cod. proc. pen. 1930, art. 472; 1. 28 febbraio 1985 n. 47, norme in materia di controllo del

l'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria

delle opere edilizie, art. 4, 7, 13, 20).

È illegittimo l'atto con cui il sindaco dispone che venga posta in essere la demolizione ordinata da sentenza penale di con

danna per il reato di costruzione abusiva, ritenendosi mero

esecutore della sentenza e non già titolare di un autonomo

potere amministrativo. (1)

(1) Non si è ancora formata una giurisprudenza del giudice ammini

strativo, relativamente al ruolo che compete al sindaco, dopo che una sentenza penale di condanna abbia accertato la sussistenza del reato di costruzione abusiva, disponendo la sua demolizione, secondo la pre visione dell'art. 7, ultimo comma, 1. 47/85.

Viceversa, è già consistente la giurisprudenza della Cassazione penale che tenta di definire la natura dell'ordine di demolizione contenuto nel

II Foro Italiano — 1991.

Diritto. — 1. - Il ricorso in esame ha per oggetto l'atto con

il quale il sindaco di S. Felice Circeo, considerato che la senten

za del pretore divenuta irrevocabile di condanna del ricorrente

per il reato di cui all'art. 20 1. 28 febbraio 1985 n. 47 gli dà mandato di eseguire la demolizione delle opere abusive, dispone affinché la stessa venga posta in essere.

La parte ricorrente col primo motivo denuncia la violazione

del principio dell'inderogabilità della «funzione» del sindaco di controllo sugli abusi edilizi, in quanto, nella fattispecie, tale

organo si sarebbe determinato ad agire ritenendo di essere un

mero esecutore della pronuncia del magistrato penale e non già titolare di un autonomo potere amministrativo.

2. - La censura in sostanza propone un'interpretazione del

l'art. 7, ultimo comma, 1. 28 febbraio 1985 n. 47 che comporta il riconoscimento della permanenza nel sindaco, anche dopo la

sentenza penale di condanna contenente l'ordine di demolizio

ne, della potestà amministrativa di cui, ai sensi dell'art. 4 della

stessa legge, è ordinariamente titolare, con conseguente impu

gnabilità davanti al giudice degli interessi dei relativi atti per i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere.

A tale tesi si contrappone quella espressa nel noto parere del

la prima sezione del consiglio di Stato 16 ottobre 1987, n. 1599

(Foro it., Rep. 1989, voce Giustizia amministrativa, n. 167, di

vulgato dal ministero dell'interno con la circolare 24 febbraio

1988, n. 15100/7877), secondo cui, invece, l'«autorità ammini

strativa coinvolta nell'esecuzione della sentenza del giudice pe nale che abbia disposto anche la demolizione di un immobile

abusivo, non è chiamata all'esplicazione di un'attività ammini

strativa, ma è invece investita di una mera funzione di carattere

esecutivo».

Da ciò la conclusione che gli eventuali vizi di legittimità dei provvedimenti adottati dal sindaco in esecuzione dello iussum

del giudice penale non potrebbero essere fatti valere con ricorso

rivolto al giudice amministrativo.

3. - Sembra al collegio che la riferita autorevole interpreta zione del Consiglio di Stato — nel caso in esame fatta propria dal sindaco di S. Felice Circeo — meriti un'attenta riconsidera

zione da condursi tenendo conto, non solo del tenore letterale

della norma, ma anche di tutti gli altri strumenti ermeneutici

di cui il giudice dispone (storico, logico, sistematico, teleologi

co, razionale). Nella fattispecie, inoltre, la peculiarità stessa della norma, che

arricchisce con un nuovo strumento il- precedente sistema san

zionatone ed introduce una, prima non conosciuta, competen za alla «demolizione» del giudice penale, sembra suggerire al

l'interprete la necessità di soffermare la sua attenzione, più che

la sentenza suddetta. L'affermazione di partenza è che col richiamato art. 7, ultimo comma, il legislatore ha voluto prevedere una funzione di supplenza da parte del giudice penale, rispetto all'autorità ammini

strativa, nel caso di inerzia di questo: sez. Ili 20 febbraio 1990, Paladi

no, Settimana giur., 1990, III, 327; 8 aprile 1988, Gregori, Foro it.,

Rep. 1989, voce Edilizia e urbanistica, n. 732, che conclude nel senso che la misura è revocabile dallo stesso giudice che l'ha disposta, se e in quanto risulti incompatibile con un provvedimento che avesse adot

tato, o adottasse la competente autorità amministrativa. La diffidenza nei confronti dell'inerzia dell'amministrazione arriva a far affermare alla Cassazione che il giudice penale deve disporre la demolizione della costruzione accertata abusiva, anche quando l'amministrazione l'abbia

già intimata dal canto suo, ma essa non sia stata eseguita (sez. VI 10 febbraio 1990, Mocci, Settimana giur., 1990, III, 330); e, nell'ipotesi di un'acquisizione automatica al patrimonio del comune (in ordine alla

quale, e alle incertezze in proposito, v. Tar Abruzzo, sez. Pescara, 15

gennaio 1990, n. 19, che segue, con nota di richiami), anche quando non sia ancora intervenuta la deliberazione consiliare di dichiarazione della sussistenza di rilevanti interessi pubblici (sez. VI 22 settembre 1989, Di Stefano, Cons. Stato, 1990, II, 720), o l'amministrazione sia rimasta inerte nei confronti dell'impossessamento del bene (sent. 13 aprile 1988, Palomba, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 731).

Questa giurisprudenza della Cassazione penale va inquadrata nella tesi che in essa ha prevalso, della natura amministrativa dell'ordine di demolizione impartito dal giudice penale (nel senso che questo, vicever

sa, costituisca una pena accessoria, sent. 23 settembre 1987, Lofonso, ibid., n. 735; 27 giugno 1988, Serafino, ibid., n. 727; 24 maggio 1988, Melis, ibid., n. 728; 22 aprile 1988, Palmas, ibid., n. 730; 22 aprile 1988, Medda, id., 1990, II, 506, con osservazioni di Giorgio (ai prece denti ivi richiamati, adde, sez. VI 13 giugno 1989, Fanzini, Cons. Sta

to, 1990, II, 326).

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

sulla qualificazione formale dell'atto di tale giudice (che, da

tal punto di vista, è comunque una «sentenza») nella ricerca

dell'effettiva «natura» del «potere» in tal modo conferito, in

aggiunta a quello «di accertamento dell'esistenza dell'abuso»

e «di condanna» dei responsabili. 4. - Per la verità, la lettera della norma, sulla quale sembra

basarsi il già mentovato parere del Consiglio di Stato, con l'e

spressione «il giudice con la sentenza di condanna per il rea

to .. . ordina la demolizione delle opere stesse, se ancora non

sia stata altrimenti eseguita», non contiene elementi sufficienti

per dare una sicura risposta al quesito sopra formulato.

In particolare, l'espressione usata dal legislatore non chiari

sce se con tale suo «ordine» il magistrato penale continui ad

esercitare la sua funzione ordinaria di organo giurisdizionale

preposto all'accertamento della responsabilità per fatti descritti

dalla legge come reati ed all'irrogazione delle relative sanzioni,

ovvero ponga in essere un'attività amministrativa, ovvero anco

ra diventi titolare di una funzione diversa dalle prime due.

La soluzione fatta propria del Consiglio di Stato avrebbe cer

tamente il pregio di consentire la reductio ad unum delle due

statuizioni (comminatoria della pena ed ordine di demolizione) che debbono coesistere nella sentenza, ma condurrebbe anche

inevitabilmente all'affermazione che il nuovo «ordine» costitui

sca un'ulteriore manifestazione del potere «punitivo» e che l'or

dine stesso altro non sia se non la comminatoria di una «pena

accessoria».

È invero noto che, in applicazione degli art. 472 ss. c.p.p. 1930 e degli art. 533 ss. del nuovo c.p.p., il contenuto della

sentenza penale è ordinariamente costituito, oltre che dalla pro

nuncia di proscioglimento o di condanna con conseguente irro

gazione della pena, solo dalle eventuali statuizioni in relazione

alle spese di giudizio, al risarcimento del danno, all'applicazio ne della misura di sicurezza ed alla rimozione della falsità di

documenti.

La configurazione della demolizione per ordine del giudice

come una «pena accessoria» subito, tuttavia, suscita una serie

di perplessità. 4 a. - Seguendo tale tesi, tutta l'attività da porre in essere

dopo la condanna penale per eseguire concretamente la demoli

zione dovrebbe essere configurata come «esecutiva» di una pe

na, per quanto accessoria, e di conseguenza sarebbe sottratta

al controllo di qualsiasi altra autorità che non sia quella giuris

dizionale penale. Ne deriverebbe, in particolare, che anche gli atti repressivi

compiuti, come nella fattispecie, dal sindaco a seguito dell'ordi

ne del giudice risulterebbero impugnabili esclusivamente dinan

zi al giudice dell'esecuzione penale, senza che sia neppure ipo

tizzabile il ricorso alla giurisdizione amministrativa e tantome

no civile, alla quale ultima invece si fa cenno nelle conclusioni

del parere più volte citato.

Non vi è chi non veda come ciò renderebbe estremamente

arduo per il soggetto privato evitare che si risolvano a suo dan

no i, pur sempre possibili, vizi di legittimità propri dei provve dimenti amministrativi (per esempio, eccesso di potere per erro

re nei presupposti, incompetenza, ecc.) o anche di far valere

circostanze sopravvenute, che altrimenti avrebbero sicuramente

l'effetto di scongiurare la demolizione (quale, per esempio, l'av

venuto rilascio della concessione edilizia in sanatoria ex art. 13

1. 28 febbraio 1985 n. 47). Ab. — La descritta ricostruzione della voluntas legis sembra,

inoltre, porsi in contraddizione con il sistema delineato dall'art.

20 c.p., secondo il quale le «pene accessorie conseguono di di

ritto alla condanna come effetti penali di essa».

Nel caso di demolizione prevista dall'art. 7, ultimo comma,

1. n. 47 del 1985, la pena accessoria, per espressa previsione

normativa, si avrebbe, invece, solo se con la «condanna» con

corrono le due ulteriori condizioni costituite dall'espressa «com

minatoria» da parte del giudice e dell'«accertamento» da parte

di quest'ultimo dell'attuale esistenza dell'immobile.

Tutto ciò per non dire che le pene accessorie configurate dal

codice penale (interdizione da pubblici uffici, interdizione da una professione o da un'arte, interdizione legale, perdita della

capacità di testare e della patria potestà, ecc.) o sono «autoese

cutive» o hanno uno specifico organo dell'esecuzione a priori

Il Foro Italiano — 1991.

individuato dalla legge, come per esempio, il cancelliere per la

pubblicazione della sentenza (art. 36 c.p.). Nel caso della pena accessoria «demolizione» il giudice pena

le dovrebbe, invece, di volta in volta e con la più ampia discre

zionalità, stabilire egli stesso chi debba eseguire il suo ordine

assumendo in proprio anche il costo, in quanto, in mancanza

di una previsione al riguardo, non sarebbe neppure possibile

disporre la ripetizione delle spese a carico del reo.

È invero noto che, ai sensi dell'art. 1 c.p., «nessuno può es

sere punito» «con pene che non siano stabilite» «dalla legge». 4 c. - Sul piano sostanziale, poi, l'accoglimento della tesi che

con la norma in questione si sia voluto privare l'autorità ammi

nistrativa del suo potere sanzionatorio per concentrare tutte le

competenze in materia del giudice penale, comporterebbe anche

la constatazione che, in tal modo, il legislatore abbia anche vo

luto assicurare, almeno per tale aspetto, al soggetto penalmente condannato per abusivismo edilizio un trattamento più favore

vole di quello riservato agli altri soggetti che, pur essendo in

corsi in analoga responsabilità, prima del processo penale siano

stati perseguiti, come pure previsto dalla legge, dall'autorità am

ministrativa.

Ed infatti, mentre il soggetto penalmente condannato prima dell'intervento dell'amministrazione subirebbe la sola demoli

zione (della quale non pagherebbe neppure le spese), quello or

dinariamente perseguito dal sindaco, ai sensi del 3° e del 5°

comma dello stesso art. 7 1. n. 47 del 1985, si vede privato anche dell'area e sopporta il costo della demolizione.

Non occorrono parole per dimostrare come una siffatta di

sparità di trattamento farebbe sorgere seri dubbi sulla costitu

zionalità della norma che la introducesse, al contempo in con

trasto con il principio affermato dall'art. 3 Cost, ed apparente mente illogica.

4 d. - Ma vi è di più: la stessa 1. n. 47 nell'art. 13 prevede la cosiddetta «sanatoria ordinaria», la possibilità cioè per l'au

tore di chiedere ed ottenere, pur dopo l'accertamento dell'abu

so, la concessione edilizia.

È evidente che, sempre seguendo la tesi che configura l'ordi

ne in questione come espressione del generale potere repressivo

del giudice penale, tale possibilità sarebbe negata al soggetto

che abbia già subito la condanna penale passata in giudicato,

in quanto, pur in presenza del fatto sopravvenuto della doman

da ed eventualmente della concessione, il giudicato contenente

l'ormai irrevocabile iussum della «demolizione» dovrebbe co

munque essere eseguito. 4 e. - Né può sottacersi che la pena accessoria nel caso de

quo dovrebbe applicarsi anche in relazione a tutti gli abusi cui

si riferisce il nuovo sistema sanzionatorio e, quindi, anche a

quelli commessi anteriormente all'entrata in vigore della 1. 28

febbraio 1985 n. 47, se non «sanati» (in relazione a tali abusi,

l'art. 40, 1° comma, rende applicabile il capo I della legge) o

non «sanabili» perché commessi dopo il 1° ottobre 1983 (data

indicata dall'art. 31). La norma che ciò effettivamente prevedesse risulterebbe, tut

tavia, sicuramente incostituzionale, in quanto sarebbe applica bile anche per fatti avvenuti prima della sua entrata in vigore

e ciò in palese contrasto con il principio di irretroattività della

legge penale affermato dall'art. 25, 2° comma, Cost.

4 g. - Sul piano sistematico apparirebbe poi quantomeno sin

golare che il legislatore abbia voluto dare alla sanzione «demo

lizione» una duplice configurazione: quella della misura «puni

tiva», per il caso che sia applicata dal giudice penale, e quella

della misura «ripristinatoria», se, invece, venga disposta dal

l'autorità amministrativa.

5. - Ad avviso del collegio, ad altrettanto gravi perplessità

dà luogo l'altra tesi interpretativa secondo la quale, disponendo

la «demolizione», il giudice penale adotterebbe un «provvedi

mento» amministrativo.

Gli inconvenienti derivanti da una siffatta ricostruzione della

voluntas legis, ripresa dalla giurisprudenza relativa all'analoga

norma della legislazione antisismica (cfr. Cass., sez. Ili, 9 no

vembre 1978, n. 13581) ed anch'essa autorevolmente sostenuta

in dottrina, appaiono ancora più evidenti.

5 a. - In primo luogo ne risulterebbe modificato il principio

«della divisione dei poteri», in quanto si affiderebbe ad un or

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PARTE TERZA

gano della giurisdizione la cura diretta, anche se inspiegabil mente parziale, di particolari interessi pubblici.

Eppure è noto che, per dottrina e giurisprudenza concordi,

pur mancando nella Costituzione una norma che riservi la fun

zione amministrativa degli organi appartenenti al «potere» ese

cutivo, esiste quantomeno una presunzione di competenza in

favore di tale potere per l'adozione di tutti gli atti occorrenti

alla concreta cura di specifici pubblici interessi, con la conse

guenza che la presunzione stessa può subire deroghe solo se

introdotte da esplicite disposizioni in tal senso. Ciò comporta un limite all'attività dell'interprete che, nell'e

sercizio della sua attività, non può, a meno che non si imbatta

in sicuri elementi testuali che lo consentano, proporre un signi ficato che comporti una deroga all'ordinaria divisione del potere.

Di tali sicuri elementi testuali invece non vi è traccia nella

norma oggetto di esame, ove non si fa alcun cenno alla volontà

di sostituire il sindaco con il giudice ovvero di privare il primo delle sue funzioni.

5 b. - Ma vi è di più: l'eventuale potere amministrativo del

giudice penale consistente nel disporre la demolizione di immo

bili si imbatterebbe inevitabilmente negli interessi legittimi dei soggetti incisi di una siffatta determinazione.

Per tali interessi, ai sensi degli art. 24 e 113 Cost., dovrebbe

essere comunque consentita una qualche forma di tutela giuris dizionale da identificarsi necessariamente nel ricorso alla magi stratura amministrativa.

Si tratterebbe, tuttavia, di una soluzione per lo meno singola

re, in quanto un giudice sarebbe chiamato a sindacare su atti

emessi per ordine di un altro giudice, peraltro con diversa giuris dizione.

5 c. - Sul piano sostanziale l'equiparazione ordine di demoli

zione del giudice penale - provvedimento amministrativo dareb

be luogo ad inconvenienti simili a quelli descritti in relazione

alla tesi che invece configura l'ordine stesso come strumento

applicativo della pena. Anche in questo caso, infatti, sarebbe impedito al contrav

ventore della legislazione edilizio-urbanistica di avvalersi della facoltà di chiedere la concessione edilizia in sanatoria ex art.

13 1. n. 47 (ancorché, per ipotesi, abbia commesso delle mere

irregolarità formali) e si consentirebbe l'applicazione di una san

zione inspiegabilmente meno gravosa di quella ordinariamente

irrogata. Il provvedimento in questione sarebbe poi adottato dal giudi

ce senza che sia posto in atto il garantistico procedimento deli

neato dal medesimo art. 7 1. n. 47, e, in particolare, senza che

il responsabile abbia ricevuto l'«ingiunzione» alla demolizione

con assegnazione del termine per rimuovere spontaneamente l'abuso.

5 d. - Non può essere, infine, sottaciuto che la soluzione «prov vedimentale» avrebbe il per molti versi singolare effetto di so

stituire solo formalmente il giudice al sindaco, in quanto il pri mo, come avvenuto nella fattispcie, per l'esecuzione dovrebbe

poi rivolgersi al secondo.

6. - Una volta escluso che l'«ordine di demolizione» contenu

to nella sentenza di condanna costituisca lo strumento per l'ap

plicazione di una nuova «pena» ovvero un provvedimento am

ministrativo, non sembra siano praticabili altre soluzioni erme

neutiche se non quella che configura tale atto come l'espressione di un «potere monitorio» nei confronti dell'amministrazione, normativamente conferito al giudice penale al fine di assicurare

l'effettivo collegamento fra i due diversi e paralleli poteri san

zionatori già previsti dalla legge. Tale soluzione riceve conforto nella lettura sistematica del

l'intera 1. n. 47 e dei lavori preparatori, e risulta aderente, oltre

che ai principi costituzionali sopraricordati, allo scopo che ap

parentemente il legislatore si era prefisso di raggiungere con la

norma.

Già la 1. 28 gennaio 1977 n. 10, al fine di meglio prevenire e comunque reprimere l'abusivismo edilizio, prevedeva due di

verse e coesistenti sanzioni, l'una ripristinatoria erogata dal po tere amministrativo (sindaco) e l'altra punitiva applicata dal po tere giurisdizionale.

La 1. n. 47 del 1985 ha conservato i due poteri in materia, ma ha voluto anche assicurare che effettivamente entrambi sia

no esercitati, con conseguente applicazione nei confronti dei re

II Foro Italiano — 1991.

sponsabili degli abusi sia delle pene previste per il reato delle

misure ripristinatorie necessarie per confermare la situazione di

fatto a quella di diritto.

Di qui l'introduzione di due disposizioni rivolte a far si che i due «poteri» (giudiziario ed amministrativo) chiamati ad inter venire in materia svolgono un'azione coordinata, in particolare

pongano in essere l'uno nei confronti dell'altro degli atti di ini

ziativa eteronoma.

La prima di tali disposizioni è contenuta nell'art. 4, ultimo comma, che, come si apprende dalla sua lettura, prevede l'ob

bligo degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria (in via ordi naria appartenenti al corpo dei vigili urbani) di dare notizia

del presunto abuso, non solo al sindaco, ma anche all'autorità

giudiziaria. Tale disposizione comporta, pertanto, che entrambi i poteri

siano subito e contemporaneamente informati sicché, il sindaco

possa provvedere alla verifica delle opere entro i successivi tren

ta giorni ed il giudice, ormai in possesso della notizia criminis,

proceda all'avvio dell'istruttoria.

La seconda di tali disposizioni è costituita invece dall'art. 7, ultimo comma, secondo il quale il giudice penale, una volta

concluso il suo procedimento e, in particolare, dopo avere ac

certato che effettivamente si è verificato un abuso, non può e non deve più limitarsi a pronunciare la condanna ma deve

altresì verificare che gli effetti del reato siano stati eliminati

a cura dell'autorità a ciò istituzionalmente preposta. Se tale condizione, per un qualsiasi motivo, non si è ancora

verificata, non può più disinteressarsi del problema e deve, in

vece, «ricordare» al sindaco la necessità che sia compiuto anche

quanto di sua competenza. Tale attività propulsiva non viene però questa volta esercitata

attraverso una mera informativa, che potrebbe non sortire ri

sultati cosi come evidentemente già avvenuto per il rapporto dei vigili previsto dall'art. 4 e, pertanto, secondo la stessa nor

ma, dopo la sentenza assume la veste dell'«ordine», vale a dire

della formale intimazione all'adempimento di un obbligo giuri dico già esistente.

Tale «ordine» chiude cosi il collegamento tra i due «procedi menti» e, al contempo, diviene a sua volta premessa per l'aper tura di un nuovo e pur necessario procedimento penale, questa volta a carico del sindaco, almeno apparentemente, responsabi le dei reati di omissione di atti di ufficio (art. 328 c.p.) e di inosservanza dei provvedimenti dell'autorità (art. 650 c.p.), per non aver adempiuto all'obbligo di vigilanza e repressione posto dall'art. 4 della legge e non aver prestato osservanza all'intima

zione del giudice. La soluzione sopra riferita sembra sfuggire ai rilievi più so

pra espressi in relazione alle altre due ed ha il pregio di conser

vare anche in favore del condannato sia il procedimento garan tistico delineato dai precedenti commi dell'art. 7, sia la possibi lità di usufruire, ricorrendone le condizioni, della norma

contenuta nell'art. 13.

Ma ciò che più conta, in tal modo l'amministrazione, pur

dopo la condanna del reo, conserva in toto il suo potere e, in particolare, può ancora disporre l'ablazione dell'area di sedi

me che, sulla base di ogni altra soluzione ermeneutica, sarebbe

solo per tale evenienza inspiegabilmente soppressa. La tesi sin qui sostenuta sembra resistere anche all'eventuale

obiezione di ordine testuale basata sulla circostanza che la nor

ma si limita a dire: «il giudice ordina la demolizione». È invero noto che con tale espressione (cfr. art. 15, 3° com

ma, 1. 28 gennaio 1977 n. 10) il legislatore è solito riferirsi ad un atto avente natura monitoria, sostanzialmente equivalente alla «diffida» di cui all'art. 32, 3° comma, 1. 17 agosto 1942 n. 1150 e propedeutico a qualsiasi tipo di effettivo intervento

d'ufficio, ancorché diverso (per esempio, sanzione pecuniaria) o più grave (per esempio, ablazione dell'area) rispetto alla sem

plice demolizione.

7. - Le considerazioni sin qui svolte confermano che, col prov vedimento impugnato, il sindaco di S. Felice Circeo è incorso

nel vizio di legittimità denunciato, in quanto ha erroneamente

ritenuto di dover agire quale mero esecutore della sentenza e

non già quale organo ordinariamente preposto alla vigilanza sulle

costruzioni.

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

8. - Tanto basta per l'accoglimento del ricorso e l'annulla

mento del provvedimento impugnato, con salvezza ovviamente

dei successivi provvedimenti che l'autorità amministrativa do

vrà adottare.

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'A BRUZZO; sezione di Pescara; sentenza 15 gennaio 1990, n.

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'A BRUZZO; sezione di Pescara; sentenza 15 gennaio 1990, n.

19; Pres. Pardi, Est. Nazzaro; Agliaro (Aw. Di Tizio, Cer

ceo) c. Comune di Torrevecchia Teatina (Aw. Di Benedetto).

Edilizia e urbanistica — Costruzione abusiva — Ingiunzione di

demolizione — Inottemperanza — Acquisizione al patrimo nio comunale — Effetto «ope legis» (L. 28 febbraio 1985

n. 47, norme in materia di controllo dell'attività urbanistico

edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie, art.

7).

La costruzione abusiva non tempestivamente demolita entro il

termine di novanta giorni dalla relativa ingiunzione, deve ri

tenersi acquisita ope legis al patrimonio del comune, senza

che sia necessario un atto di carattere provvedimentale che

la disponga, e indipendentemente dall'atto di accertamento

dell'inottemperanza a tale ingiunzione, che è rilevante ai soli

effetti della possibilità dell'immissione nel possesso, e della trascrizione del passaggio di proprietà nei registri immo

biliari. (1)

(1) Nella prima giurisprudenza che si sta formando sull'istituto del

l'acquisizione al patrimonio comunale della costruzione abusiva, in se

guito all'inottemperanza all'ingiunzione della sua demolizione, cosi co

me è delineato dall'art. 7 1. 47/85, ossia con profili innovativi rispetto a quanto era disposto dall'art. 15 1. 10/77, emergono aspetti contrad

dittori. La sentenza riportata condivide la tesi che tale acquisizione è auto

matica, secondo l'interpretazione più aderente alla lettera della norma

che ora la prevede («. . . il bene e l'area di sedime . . sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune»), con la conseguen za che il successivo atto di constatazione dell'inottemperanza suddetta,

pur necessario per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei

registri immobiliari del mutamento di proprietà, rispetto a tale effetto

giuridico precedentemente e automaticamente verificatosi avrebbe ca

rattere di puro accertamento; questa tesi era già stata sostenuta da Tar

Lombardia, sez. II, 26 ottobre 1987, n. 373, Foro it., Rep. 1988, voce

Edilizia e urbanistica, n. 601, richiamata in motivazione, che arriva

ad affermare che un'eventuale ottemperanza tardiva, che intervenisse

nel periodo di tempo tra la scadenza del termine previsto per il suo

compimento dalla legge, e l'atto dichiarativo della sua verificazione, non solo sarebbe irrilevante, ma potrebbe perfino configurare una re

sponsabilità per intervento su cosa (ormai) altrui. In motivazione, è

richiamata anche Tar Lombardia, sez. II, 9 giugno 1987, n. 184, ibid., n. 600, che contiene affermazioni analoghe alle precedenti, o con esse

perfettamente coerenti, in particolare sul carattere di mero accertamen

to dell'atto che constata detta inottemperanza; ma che, ciò nonostante,

ne ammette l'impugnabilità in sede giurisdizionale; l'incrinatura della

coerenza logica della ricostruzione non è qui grave, giacché con tale

impugnazione si potrebbero denunciare solo vizi formali e procedurali inerenti alla fase di impossessamento del bene da parte del comune,

non attinenti, cioè, all'effetto di trasferimento di proprietà, a parte ogni difficoltà di una loro più precisa definizione; ma l'automaticità dell'ac

quisizione già appare meno limpida in Tar Basilicata 30 luglio 1987,

n. 165, ibid., n. 598, che subordina l'acquisizione stessa all'accertamen

to da parte dell'amministrazione che l'inottemperanza sia stata volonta

ria; e, soprattutto, l'incrinatura rilevata diventa più evidente in Tar Li

guria 11 maggio 1987, n. 288, ibid., n. 592, che non solo afferma la

giurisdizione del giudice amministrativo sull'impugnazione dell'atto di

accertamento dell'inottemperanza, ma lo qualifica come di accertamen

to costitutivo, in quanto tale incidente su posizioni di interesse legitti

mo; e in Tar Lombardia, sez. II, 27 ottobre 1988, n. 351, che ammette

l'impugnabilità di tale atto per vizi propri, innanzitutto concernenti la

sussistenza o meno dell'inottemperanza (id., Rep. 1989, voce cit., n.

745), in presenza dei quali esso sarebbe illecito, in quanto incidente

sul diritto soggettivo di proprietà (ibid., n. 747); finché si arriva alla

Il Foro Italiano — 1991.

Diritto. — (Omissis). Ulteriore motivo dedotto è quello affe

rente le modalità di realizzazione dell'acquisizione, che ad avvi

so del ricorrente presuppone una presa d'atto dell'inottempe

ranza separata e distinta dal provvedimento di acquisizione, al

fine di consentire un'opposizione da parte dell'intimato.

La censura, pur dovendosi apprezzare i lodevoli sforzi difen

sivi e l'abilità ermeneutica in essi profusa, non regge alla lettura

della norma di legge (art. 7), che prevede l'acquisizione del be

ne e dell'area in sedime per la semplice non demolizione nel

termine di novanta giorni dall'ingiunzione e l'accertamento del

l'inottemperanza ha lo scopo primario di costituire il titolo per

l'immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immo

biliari. È evidente che la procedura prevede un solo atto e l'ac

quisizione è un fatto che avviene ope legis per il semplice tra

scorrere del termine prestabilito, mentre l'accertamento costi

tuisce un onere per l'amministrazione per perfezionare

documentalmente il mutamento di possesso e dare legale pub

blicità allo stesso (Tar Lombardia, sez. II, 26 ottobre 1987, n.

373, Foro it., Rep. 1988, voce Edilizia e urbanistica, n. 601;

n. 184 del 9 giugno 1987, ibid., n. 600). Ciò, peraltro, non esclude che l'interessato possa far valere

tutte le sue doglianze ed opposizioni proprio in sede di conte

stazione dell'atto di accertamento notificatogli, che potrà essere

revocato ed annullato, anche in sede di autotutela, lasciando

cosi in sospeso gli effetti acquisitivi previsti dalla legge e non

collegati ad uno specifico e separato atto amministrativo del

l'autorità, cosi come ipotizzato dalla difesa di parte ricorrente.

L'eccezione di illegittimità costituzionale, posta quale subor

dinata, appare priva di pregio atteso che essa si basa sulla com

parazione tra il rigorismo del nuovo sistema rispetto a quello

vigente in precedenza e sull'eccesso di discrezionalità riservata

al comune.

Orbene, è vero che l'art. 44 Cost, tutela la piccola e media

proprietà e che gli art. 41 e 42 fanno salva la libera iniziativa

economica, ponendo limiti alla potestà di esproprio, ma va con

siderato che nella specie si discute di attività illecite le quali

non possono trovare alcuna protezione costituzionale (salvo il

diritto di difesa) e rientra nella discrezionalità del legislatore

predisporre un sistema legislativo idoneo ad arginare e a sco

raggiare il fenomeno dell'abusivismo in materia edilizia, che ha

assunto aspetti di vera e propria criminalità economica.

È del pari del tutto fuori logica invocare una violazione degli

art. 97 e 111 Cost., in merito all'inesistenza di una motivazione

sull'interesse pubblico negli atti adottati dal comune, o dell'art.

3 Cost., per mancanza di una graduazione dello strumento san

zionatorio, in quanto, come detto, si è in presenza di un'attività

contra legem che è stata valutata unitariamente in sede di di

screzionalità legislativa per preminenti ragioni di prevenzione,

che non possono considerasi irragionevoli, ed anzi appaiono fi

nalizzate a contrastare la non certa edificante prassi del «fatto

compiuto» che si sovrappone allo stesso principio di legitti

mità. Va da sé che in un ordo iuris del tutto diversificato da quello

preesistente, i momenti della «vincolatività» prevalgono su quelli

della «discrezionalità», ma ciò, lungi dal minare la tutela del

soggetto privato, ne rafforza la sua posizione «di diritto» nei

confronti dell'ente locale, tenuto al rigoroso rispetto della legge.

franca affermazione di Tar Campania, sez. Salerno, 7 novembre 1988,

n. 301, ibid., n. 757, secondo la quale l'espressione legislativa sopra

riportata, relativa al carattere «di diritto» dell'acquisizione per inottem

peranza all'ingiunzione di demolizione, andrebbe interpretata solo nel

senso che essa concreta un atto dovuto, con la conseguenza che sarebbe

da tale atto che dovrebbe essere fatto derivare l'effetto di trasferimento

della proprietà. Per i profili di incostituzionalità della normazione applicata, cui fa

riferimento la motivazione, cfr., nel senso della manifesta infondatezza

delle relative questioni, in particolare per pretesa violazione degli art.

3 e 42 Cost., Tar Lazio, sez. II, 14 ottobre 1988, n. 1247, ibid., n.

760 e Tar Campania, sez. I, 5 marzo 1990, n. 174, Trib. amm. reg.,

1990, I, 2215.

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