sezione di Latina; sentenza 17 febbraio 1990, n. 93; Pres. Michelotti, Est. Onorato; Cerasoli(Avv. Faggella) c. Comune di S. Felice Circeo (Avv. Catenacci)Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1991),pp. 95/96-101/102Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183160 .
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PARTE TERZA
realizzate dagli enti istituzionalmente competenti: dalla disposi zione può al più evincersi che la concessione in deroga in favore
di privati per opere di interesse pubblico non può essere gratui
ta, ma non può certo arguirsi che la stessa concessione non
possa essere rilasciata.
Nella fattispecie per cui è causa neppure possono insorgere dubbi circa la rilevanza pubblica degli interessi che ineriscono
all'opera di cui trattasi: la struttura è destinata a manifestazioni
sportive ed artistico-culturali, che rispondono a sentite esigenze sociali della collettività; l'art. 60 d.p.r. 616/77, del resto, riser
va proprio ai comuni le funzioni amministrative in materia di
promozione delle attività sportive e ricreative; inoltre, la con
venzione 30 luglio 1985 n. 6984 riserva la struttura medesima
all'uso esclusivo da parte del comune di Milano in periodi de
terminati dell'anno, secondo quanto incontestatamente affermato
in memoria dalla ricorrente.
Osserva ancora il collegio che non paiono neppure condivisi
bili le preoccupazioni evidenziate dalle parti resistenti, circa la
possibilità che l'istituto della concessione in deroga — ove non
ristretto nei limiti risultanti dall'atto impugnato — si presti a
divenire strumento di abusi: l'art. 41 quater 1. n. 1150 cit. e
l'art. 3 1. n. 1357 pure cit. hanno infatti introdotto idonee ga ranzie e cautele sul piano dei presupposti per l'esercizio del po tere (necessaria previsione nello strumento urbanistico; rilevan
za dell'intervento ai fini dell'interesse pubblico) e sul piano pro cedurale (atto di assenso sindacale preceduto da deliberazione
del consiglio comunale e da nulla osta della regione). Per quan to attiene, invece, all'inapplicabilità della deroga in relazione
al manufatto de quo, con riguardo al contrasto con le norme
che prevedono il previo necessario inserimento nel p.p.a., le
relative argomentazioni svolte in causa dall'interveniente non
sono assunte nell'atto impugnato quale specifico motivo di an
nullamento del nulla osta regionale, e, pertanto, non possono essere esaminate, in quanto esulanti dall'oggetto del giudizio.
Per la stessa ragione non possono trovare ingresso i restanti
rilievi di illegittimità del medesimo nulla osta, sollevati sempre dall'interveniente negli atti di causa: per vero la non riconduci
bilità degli stessi rilievi all'atto tutorio impugnato è sostanzial
mente ammesso dallo stesso interveniente.
Per le esposte ragioni il ricorso è fondato e va accolto, con
l'annullamento conseguente del provvedimento impugnato.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA ZIO; sezione di Latina; sentenza 17 febbraio 1990, n. 93; Pres.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA ZIO; sezione di Latina; sentenza 17 febbraio 1990, n. 93; Pres.
Michelotti, Est. Onorato; Cerasoli (Aw. Faggella) c. Co
mune di S. Felice Circeo (Aw. Catenacci).
Edilizia e urbanistica — Costruzione abusiva — Sentenza pena le di condanna — Ordine di demolizione — Atto meramente
esecutivo del sindaco — Dlegittimità (Cod. pen., art. 20; cod.
proc. pen. del 1988, art. 533; cod. proc. pen. 1930, art. 472; 1. 28 febbraio 1985 n. 47, norme in materia di controllo del
l'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria
delle opere edilizie, art. 4, 7, 13, 20).
È illegittimo l'atto con cui il sindaco dispone che venga posta in essere la demolizione ordinata da sentenza penale di con
danna per il reato di costruzione abusiva, ritenendosi mero
esecutore della sentenza e non già titolare di un autonomo
potere amministrativo. (1)
(1) Non si è ancora formata una giurisprudenza del giudice ammini
strativo, relativamente al ruolo che compete al sindaco, dopo che una sentenza penale di condanna abbia accertato la sussistenza del reato di costruzione abusiva, disponendo la sua demolizione, secondo la pre visione dell'art. 7, ultimo comma, 1. 47/85.
Viceversa, è già consistente la giurisprudenza della Cassazione penale che tenta di definire la natura dell'ordine di demolizione contenuto nel
II Foro Italiano — 1991.
Diritto. — 1. - Il ricorso in esame ha per oggetto l'atto con
il quale il sindaco di S. Felice Circeo, considerato che la senten
za del pretore divenuta irrevocabile di condanna del ricorrente
per il reato di cui all'art. 20 1. 28 febbraio 1985 n. 47 gli dà mandato di eseguire la demolizione delle opere abusive, dispone affinché la stessa venga posta in essere.
La parte ricorrente col primo motivo denuncia la violazione
del principio dell'inderogabilità della «funzione» del sindaco di controllo sugli abusi edilizi, in quanto, nella fattispecie, tale
organo si sarebbe determinato ad agire ritenendo di essere un
mero esecutore della pronuncia del magistrato penale e non già titolare di un autonomo potere amministrativo.
2. - La censura in sostanza propone un'interpretazione del
l'art. 7, ultimo comma, 1. 28 febbraio 1985 n. 47 che comporta il riconoscimento della permanenza nel sindaco, anche dopo la
sentenza penale di condanna contenente l'ordine di demolizio
ne, della potestà amministrativa di cui, ai sensi dell'art. 4 della
stessa legge, è ordinariamente titolare, con conseguente impu
gnabilità davanti al giudice degli interessi dei relativi atti per i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere.
A tale tesi si contrappone quella espressa nel noto parere del
la prima sezione del consiglio di Stato 16 ottobre 1987, n. 1599
(Foro it., Rep. 1989, voce Giustizia amministrativa, n. 167, di
vulgato dal ministero dell'interno con la circolare 24 febbraio
1988, n. 15100/7877), secondo cui, invece, l'«autorità ammini
strativa coinvolta nell'esecuzione della sentenza del giudice pe nale che abbia disposto anche la demolizione di un immobile
abusivo, non è chiamata all'esplicazione di un'attività ammini
strativa, ma è invece investita di una mera funzione di carattere
esecutivo».
Da ciò la conclusione che gli eventuali vizi di legittimità dei provvedimenti adottati dal sindaco in esecuzione dello iussum
del giudice penale non potrebbero essere fatti valere con ricorso
rivolto al giudice amministrativo.
3. - Sembra al collegio che la riferita autorevole interpreta zione del Consiglio di Stato — nel caso in esame fatta propria dal sindaco di S. Felice Circeo — meriti un'attenta riconsidera
zione da condursi tenendo conto, non solo del tenore letterale
della norma, ma anche di tutti gli altri strumenti ermeneutici
di cui il giudice dispone (storico, logico, sistematico, teleologi
co, razionale). Nella fattispecie, inoltre, la peculiarità stessa della norma, che
arricchisce con un nuovo strumento il- precedente sistema san
zionatone ed introduce una, prima non conosciuta, competen za alla «demolizione» del giudice penale, sembra suggerire al
l'interprete la necessità di soffermare la sua attenzione, più che
la sentenza suddetta. L'affermazione di partenza è che col richiamato art. 7, ultimo comma, il legislatore ha voluto prevedere una funzione di supplenza da parte del giudice penale, rispetto all'autorità ammini
strativa, nel caso di inerzia di questo: sez. Ili 20 febbraio 1990, Paladi
no, Settimana giur., 1990, III, 327; 8 aprile 1988, Gregori, Foro it.,
Rep. 1989, voce Edilizia e urbanistica, n. 732, che conclude nel senso che la misura è revocabile dallo stesso giudice che l'ha disposta, se e in quanto risulti incompatibile con un provvedimento che avesse adot
tato, o adottasse la competente autorità amministrativa. La diffidenza nei confronti dell'inerzia dell'amministrazione arriva a far affermare alla Cassazione che il giudice penale deve disporre la demolizione della costruzione accertata abusiva, anche quando l'amministrazione l'abbia
già intimata dal canto suo, ma essa non sia stata eseguita (sez. VI 10 febbraio 1990, Mocci, Settimana giur., 1990, III, 330); e, nell'ipotesi di un'acquisizione automatica al patrimonio del comune (in ordine alla
quale, e alle incertezze in proposito, v. Tar Abruzzo, sez. Pescara, 15
gennaio 1990, n. 19, che segue, con nota di richiami), anche quando non sia ancora intervenuta la deliberazione consiliare di dichiarazione della sussistenza di rilevanti interessi pubblici (sez. VI 22 settembre 1989, Di Stefano, Cons. Stato, 1990, II, 720), o l'amministrazione sia rimasta inerte nei confronti dell'impossessamento del bene (sent. 13 aprile 1988, Palomba, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 731).
Questa giurisprudenza della Cassazione penale va inquadrata nella tesi che in essa ha prevalso, della natura amministrativa dell'ordine di demolizione impartito dal giudice penale (nel senso che questo, vicever
sa, costituisca una pena accessoria, sent. 23 settembre 1987, Lofonso, ibid., n. 735; 27 giugno 1988, Serafino, ibid., n. 727; 24 maggio 1988, Melis, ibid., n. 728; 22 aprile 1988, Palmas, ibid., n. 730; 22 aprile 1988, Medda, id., 1990, II, 506, con osservazioni di Giorgio (ai prece denti ivi richiamati, adde, sez. VI 13 giugno 1989, Fanzini, Cons. Sta
to, 1990, II, 326).
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
sulla qualificazione formale dell'atto di tale giudice (che, da
tal punto di vista, è comunque una «sentenza») nella ricerca
dell'effettiva «natura» del «potere» in tal modo conferito, in
aggiunta a quello «di accertamento dell'esistenza dell'abuso»
e «di condanna» dei responsabili. 4. - Per la verità, la lettera della norma, sulla quale sembra
basarsi il già mentovato parere del Consiglio di Stato, con l'e
spressione «il giudice con la sentenza di condanna per il rea
to .. . ordina la demolizione delle opere stesse, se ancora non
sia stata altrimenti eseguita», non contiene elementi sufficienti
per dare una sicura risposta al quesito sopra formulato.
In particolare, l'espressione usata dal legislatore non chiari
sce se con tale suo «ordine» il magistrato penale continui ad
esercitare la sua funzione ordinaria di organo giurisdizionale
preposto all'accertamento della responsabilità per fatti descritti
dalla legge come reati ed all'irrogazione delle relative sanzioni,
ovvero ponga in essere un'attività amministrativa, ovvero anco
ra diventi titolare di una funzione diversa dalle prime due.
La soluzione fatta propria del Consiglio di Stato avrebbe cer
tamente il pregio di consentire la reductio ad unum delle due
statuizioni (comminatoria della pena ed ordine di demolizione) che debbono coesistere nella sentenza, ma condurrebbe anche
inevitabilmente all'affermazione che il nuovo «ordine» costitui
sca un'ulteriore manifestazione del potere «punitivo» e che l'or
dine stesso altro non sia se non la comminatoria di una «pena
accessoria».
È invero noto che, in applicazione degli art. 472 ss. c.p.p. 1930 e degli art. 533 ss. del nuovo c.p.p., il contenuto della
sentenza penale è ordinariamente costituito, oltre che dalla pro
nuncia di proscioglimento o di condanna con conseguente irro
gazione della pena, solo dalle eventuali statuizioni in relazione
alle spese di giudizio, al risarcimento del danno, all'applicazio ne della misura di sicurezza ed alla rimozione della falsità di
documenti.
La configurazione della demolizione per ordine del giudice
come una «pena accessoria» subito, tuttavia, suscita una serie
di perplessità. 4 a. - Seguendo tale tesi, tutta l'attività da porre in essere
dopo la condanna penale per eseguire concretamente la demoli
zione dovrebbe essere configurata come «esecutiva» di una pe
na, per quanto accessoria, e di conseguenza sarebbe sottratta
al controllo di qualsiasi altra autorità che non sia quella giuris
dizionale penale. Ne deriverebbe, in particolare, che anche gli atti repressivi
compiuti, come nella fattispecie, dal sindaco a seguito dell'ordi
ne del giudice risulterebbero impugnabili esclusivamente dinan
zi al giudice dell'esecuzione penale, senza che sia neppure ipo
tizzabile il ricorso alla giurisdizione amministrativa e tantome
no civile, alla quale ultima invece si fa cenno nelle conclusioni
del parere più volte citato.
Non vi è chi non veda come ciò renderebbe estremamente
arduo per il soggetto privato evitare che si risolvano a suo dan
no i, pur sempre possibili, vizi di legittimità propri dei provve dimenti amministrativi (per esempio, eccesso di potere per erro
re nei presupposti, incompetenza, ecc.) o anche di far valere
circostanze sopravvenute, che altrimenti avrebbero sicuramente
l'effetto di scongiurare la demolizione (quale, per esempio, l'av
venuto rilascio della concessione edilizia in sanatoria ex art. 13
1. 28 febbraio 1985 n. 47). Ab. — La descritta ricostruzione della voluntas legis sembra,
inoltre, porsi in contraddizione con il sistema delineato dall'art.
20 c.p., secondo il quale le «pene accessorie conseguono di di
ritto alla condanna come effetti penali di essa».
Nel caso di demolizione prevista dall'art. 7, ultimo comma,
1. n. 47 del 1985, la pena accessoria, per espressa previsione
normativa, si avrebbe, invece, solo se con la «condanna» con
corrono le due ulteriori condizioni costituite dall'espressa «com
minatoria» da parte del giudice e dell'«accertamento» da parte
di quest'ultimo dell'attuale esistenza dell'immobile.
Tutto ciò per non dire che le pene accessorie configurate dal
codice penale (interdizione da pubblici uffici, interdizione da una professione o da un'arte, interdizione legale, perdita della
capacità di testare e della patria potestà, ecc.) o sono «autoese
cutive» o hanno uno specifico organo dell'esecuzione a priori
Il Foro Italiano — 1991.
individuato dalla legge, come per esempio, il cancelliere per la
pubblicazione della sentenza (art. 36 c.p.). Nel caso della pena accessoria «demolizione» il giudice pena
le dovrebbe, invece, di volta in volta e con la più ampia discre
zionalità, stabilire egli stesso chi debba eseguire il suo ordine
assumendo in proprio anche il costo, in quanto, in mancanza
di una previsione al riguardo, non sarebbe neppure possibile
disporre la ripetizione delle spese a carico del reo.
È invero noto che, ai sensi dell'art. 1 c.p., «nessuno può es
sere punito» «con pene che non siano stabilite» «dalla legge». 4 c. - Sul piano sostanziale, poi, l'accoglimento della tesi che
con la norma in questione si sia voluto privare l'autorità ammi
nistrativa del suo potere sanzionatorio per concentrare tutte le
competenze in materia del giudice penale, comporterebbe anche
la constatazione che, in tal modo, il legislatore abbia anche vo
luto assicurare, almeno per tale aspetto, al soggetto penalmente condannato per abusivismo edilizio un trattamento più favore
vole di quello riservato agli altri soggetti che, pur essendo in
corsi in analoga responsabilità, prima del processo penale siano
stati perseguiti, come pure previsto dalla legge, dall'autorità am
ministrativa.
Ed infatti, mentre il soggetto penalmente condannato prima dell'intervento dell'amministrazione subirebbe la sola demoli
zione (della quale non pagherebbe neppure le spese), quello or
dinariamente perseguito dal sindaco, ai sensi del 3° e del 5°
comma dello stesso art. 7 1. n. 47 del 1985, si vede privato anche dell'area e sopporta il costo della demolizione.
Non occorrono parole per dimostrare come una siffatta di
sparità di trattamento farebbe sorgere seri dubbi sulla costitu
zionalità della norma che la introducesse, al contempo in con
trasto con il principio affermato dall'art. 3 Cost, ed apparente mente illogica.
4 d. - Ma vi è di più: la stessa 1. n. 47 nell'art. 13 prevede la cosiddetta «sanatoria ordinaria», la possibilità cioè per l'au
tore di chiedere ed ottenere, pur dopo l'accertamento dell'abu
so, la concessione edilizia.
È evidente che, sempre seguendo la tesi che configura l'ordi
ne in questione come espressione del generale potere repressivo
del giudice penale, tale possibilità sarebbe negata al soggetto
che abbia già subito la condanna penale passata in giudicato,
in quanto, pur in presenza del fatto sopravvenuto della doman
da ed eventualmente della concessione, il giudicato contenente
l'ormai irrevocabile iussum della «demolizione» dovrebbe co
munque essere eseguito. 4 e. - Né può sottacersi che la pena accessoria nel caso de
quo dovrebbe applicarsi anche in relazione a tutti gli abusi cui
si riferisce il nuovo sistema sanzionatorio e, quindi, anche a
quelli commessi anteriormente all'entrata in vigore della 1. 28
febbraio 1985 n. 47, se non «sanati» (in relazione a tali abusi,
l'art. 40, 1° comma, rende applicabile il capo I della legge) o
non «sanabili» perché commessi dopo il 1° ottobre 1983 (data
indicata dall'art. 31). La norma che ciò effettivamente prevedesse risulterebbe, tut
tavia, sicuramente incostituzionale, in quanto sarebbe applica bile anche per fatti avvenuti prima della sua entrata in vigore
e ciò in palese contrasto con il principio di irretroattività della
legge penale affermato dall'art. 25, 2° comma, Cost.
4 g. - Sul piano sistematico apparirebbe poi quantomeno sin
golare che il legislatore abbia voluto dare alla sanzione «demo
lizione» una duplice configurazione: quella della misura «puni
tiva», per il caso che sia applicata dal giudice penale, e quella
della misura «ripristinatoria», se, invece, venga disposta dal
l'autorità amministrativa.
5. - Ad avviso del collegio, ad altrettanto gravi perplessità
dà luogo l'altra tesi interpretativa secondo la quale, disponendo
la «demolizione», il giudice penale adotterebbe un «provvedi
mento» amministrativo.
Gli inconvenienti derivanti da una siffatta ricostruzione della
voluntas legis, ripresa dalla giurisprudenza relativa all'analoga
norma della legislazione antisismica (cfr. Cass., sez. Ili, 9 no
vembre 1978, n. 13581) ed anch'essa autorevolmente sostenuta
in dottrina, appaiono ancora più evidenti.
5 a. - In primo luogo ne risulterebbe modificato il principio
«della divisione dei poteri», in quanto si affiderebbe ad un or
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PARTE TERZA
gano della giurisdizione la cura diretta, anche se inspiegabil mente parziale, di particolari interessi pubblici.
Eppure è noto che, per dottrina e giurisprudenza concordi,
pur mancando nella Costituzione una norma che riservi la fun
zione amministrativa degli organi appartenenti al «potere» ese
cutivo, esiste quantomeno una presunzione di competenza in
favore di tale potere per l'adozione di tutti gli atti occorrenti
alla concreta cura di specifici pubblici interessi, con la conse
guenza che la presunzione stessa può subire deroghe solo se
introdotte da esplicite disposizioni in tal senso. Ciò comporta un limite all'attività dell'interprete che, nell'e
sercizio della sua attività, non può, a meno che non si imbatta
in sicuri elementi testuali che lo consentano, proporre un signi ficato che comporti una deroga all'ordinaria divisione del potere.
Di tali sicuri elementi testuali invece non vi è traccia nella
norma oggetto di esame, ove non si fa alcun cenno alla volontà
di sostituire il sindaco con il giudice ovvero di privare il primo delle sue funzioni.
5 b. - Ma vi è di più: l'eventuale potere amministrativo del
giudice penale consistente nel disporre la demolizione di immo
bili si imbatterebbe inevitabilmente negli interessi legittimi dei soggetti incisi di una siffatta determinazione.
Per tali interessi, ai sensi degli art. 24 e 113 Cost., dovrebbe
essere comunque consentita una qualche forma di tutela giuris dizionale da identificarsi necessariamente nel ricorso alla magi stratura amministrativa.
Si tratterebbe, tuttavia, di una soluzione per lo meno singola
re, in quanto un giudice sarebbe chiamato a sindacare su atti
emessi per ordine di un altro giudice, peraltro con diversa giuris dizione.
5 c. - Sul piano sostanziale l'equiparazione ordine di demoli
zione del giudice penale - provvedimento amministrativo dareb
be luogo ad inconvenienti simili a quelli descritti in relazione
alla tesi che invece configura l'ordine stesso come strumento
applicativo della pena. Anche in questo caso, infatti, sarebbe impedito al contrav
ventore della legislazione edilizio-urbanistica di avvalersi della facoltà di chiedere la concessione edilizia in sanatoria ex art.
13 1. n. 47 (ancorché, per ipotesi, abbia commesso delle mere
irregolarità formali) e si consentirebbe l'applicazione di una san
zione inspiegabilmente meno gravosa di quella ordinariamente
irrogata. Il provvedimento in questione sarebbe poi adottato dal giudi
ce senza che sia posto in atto il garantistico procedimento deli
neato dal medesimo art. 7 1. n. 47, e, in particolare, senza che
il responsabile abbia ricevuto l'«ingiunzione» alla demolizione
con assegnazione del termine per rimuovere spontaneamente l'abuso.
5 d. - Non può essere, infine, sottaciuto che la soluzione «prov vedimentale» avrebbe il per molti versi singolare effetto di so
stituire solo formalmente il giudice al sindaco, in quanto il pri mo, come avvenuto nella fattispcie, per l'esecuzione dovrebbe
poi rivolgersi al secondo.
6. - Una volta escluso che l'«ordine di demolizione» contenu
to nella sentenza di condanna costituisca lo strumento per l'ap
plicazione di una nuova «pena» ovvero un provvedimento am
ministrativo, non sembra siano praticabili altre soluzioni erme
neutiche se non quella che configura tale atto come l'espressione di un «potere monitorio» nei confronti dell'amministrazione, normativamente conferito al giudice penale al fine di assicurare
l'effettivo collegamento fra i due diversi e paralleli poteri san
zionatori già previsti dalla legge. Tale soluzione riceve conforto nella lettura sistematica del
l'intera 1. n. 47 e dei lavori preparatori, e risulta aderente, oltre
che ai principi costituzionali sopraricordati, allo scopo che ap
parentemente il legislatore si era prefisso di raggiungere con la
norma.
Già la 1. 28 gennaio 1977 n. 10, al fine di meglio prevenire e comunque reprimere l'abusivismo edilizio, prevedeva due di
verse e coesistenti sanzioni, l'una ripristinatoria erogata dal po tere amministrativo (sindaco) e l'altra punitiva applicata dal po tere giurisdizionale.
La 1. n. 47 del 1985 ha conservato i due poteri in materia, ma ha voluto anche assicurare che effettivamente entrambi sia
no esercitati, con conseguente applicazione nei confronti dei re
II Foro Italiano — 1991.
sponsabili degli abusi sia delle pene previste per il reato delle
misure ripristinatorie necessarie per confermare la situazione di
fatto a quella di diritto.
Di qui l'introduzione di due disposizioni rivolte a far si che i due «poteri» (giudiziario ed amministrativo) chiamati ad inter venire in materia svolgono un'azione coordinata, in particolare
pongano in essere l'uno nei confronti dell'altro degli atti di ini
ziativa eteronoma.
La prima di tali disposizioni è contenuta nell'art. 4, ultimo comma, che, come si apprende dalla sua lettura, prevede l'ob
bligo degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria (in via ordi naria appartenenti al corpo dei vigili urbani) di dare notizia
del presunto abuso, non solo al sindaco, ma anche all'autorità
giudiziaria. Tale disposizione comporta, pertanto, che entrambi i poteri
siano subito e contemporaneamente informati sicché, il sindaco
possa provvedere alla verifica delle opere entro i successivi tren
ta giorni ed il giudice, ormai in possesso della notizia criminis,
proceda all'avvio dell'istruttoria.
La seconda di tali disposizioni è costituita invece dall'art. 7, ultimo comma, secondo il quale il giudice penale, una volta
concluso il suo procedimento e, in particolare, dopo avere ac
certato che effettivamente si è verificato un abuso, non può e non deve più limitarsi a pronunciare la condanna ma deve
altresì verificare che gli effetti del reato siano stati eliminati
a cura dell'autorità a ciò istituzionalmente preposta. Se tale condizione, per un qualsiasi motivo, non si è ancora
verificata, non può più disinteressarsi del problema e deve, in
vece, «ricordare» al sindaco la necessità che sia compiuto anche
quanto di sua competenza. Tale attività propulsiva non viene però questa volta esercitata
attraverso una mera informativa, che potrebbe non sortire ri
sultati cosi come evidentemente già avvenuto per il rapporto dei vigili previsto dall'art. 4 e, pertanto, secondo la stessa nor
ma, dopo la sentenza assume la veste dell'«ordine», vale a dire
della formale intimazione all'adempimento di un obbligo giuri dico già esistente.
Tale «ordine» chiude cosi il collegamento tra i due «procedi menti» e, al contempo, diviene a sua volta premessa per l'aper tura di un nuovo e pur necessario procedimento penale, questa volta a carico del sindaco, almeno apparentemente, responsabi le dei reati di omissione di atti di ufficio (art. 328 c.p.) e di inosservanza dei provvedimenti dell'autorità (art. 650 c.p.), per non aver adempiuto all'obbligo di vigilanza e repressione posto dall'art. 4 della legge e non aver prestato osservanza all'intima
zione del giudice. La soluzione sopra riferita sembra sfuggire ai rilievi più so
pra espressi in relazione alle altre due ed ha il pregio di conser
vare anche in favore del condannato sia il procedimento garan tistico delineato dai precedenti commi dell'art. 7, sia la possibi lità di usufruire, ricorrendone le condizioni, della norma
contenuta nell'art. 13.
Ma ciò che più conta, in tal modo l'amministrazione, pur
dopo la condanna del reo, conserva in toto il suo potere e, in particolare, può ancora disporre l'ablazione dell'area di sedi
me che, sulla base di ogni altra soluzione ermeneutica, sarebbe
solo per tale evenienza inspiegabilmente soppressa. La tesi sin qui sostenuta sembra resistere anche all'eventuale
obiezione di ordine testuale basata sulla circostanza che la nor
ma si limita a dire: «il giudice ordina la demolizione». È invero noto che con tale espressione (cfr. art. 15, 3° com
ma, 1. 28 gennaio 1977 n. 10) il legislatore è solito riferirsi ad un atto avente natura monitoria, sostanzialmente equivalente alla «diffida» di cui all'art. 32, 3° comma, 1. 17 agosto 1942 n. 1150 e propedeutico a qualsiasi tipo di effettivo intervento
d'ufficio, ancorché diverso (per esempio, sanzione pecuniaria) o più grave (per esempio, ablazione dell'area) rispetto alla sem
plice demolizione.
7. - Le considerazioni sin qui svolte confermano che, col prov vedimento impugnato, il sindaco di S. Felice Circeo è incorso
nel vizio di legittimità denunciato, in quanto ha erroneamente
ritenuto di dover agire quale mero esecutore della sentenza e
non già quale organo ordinariamente preposto alla vigilanza sulle
costruzioni.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
8. - Tanto basta per l'accoglimento del ricorso e l'annulla
mento del provvedimento impugnato, con salvezza ovviamente
dei successivi provvedimenti che l'autorità amministrativa do
vrà adottare.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'A BRUZZO; sezione di Pescara; sentenza 15 gennaio 1990, n.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'A BRUZZO; sezione di Pescara; sentenza 15 gennaio 1990, n.
19; Pres. Pardi, Est. Nazzaro; Agliaro (Aw. Di Tizio, Cer
ceo) c. Comune di Torrevecchia Teatina (Aw. Di Benedetto).
Edilizia e urbanistica — Costruzione abusiva — Ingiunzione di
demolizione — Inottemperanza — Acquisizione al patrimo nio comunale — Effetto «ope legis» (L. 28 febbraio 1985
n. 47, norme in materia di controllo dell'attività urbanistico
edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie, art.
7).
La costruzione abusiva non tempestivamente demolita entro il
termine di novanta giorni dalla relativa ingiunzione, deve ri
tenersi acquisita ope legis al patrimonio del comune, senza
che sia necessario un atto di carattere provvedimentale che
la disponga, e indipendentemente dall'atto di accertamento
dell'inottemperanza a tale ingiunzione, che è rilevante ai soli
effetti della possibilità dell'immissione nel possesso, e della trascrizione del passaggio di proprietà nei registri immo
biliari. (1)
(1) Nella prima giurisprudenza che si sta formando sull'istituto del
l'acquisizione al patrimonio comunale della costruzione abusiva, in se
guito all'inottemperanza all'ingiunzione della sua demolizione, cosi co
me è delineato dall'art. 7 1. 47/85, ossia con profili innovativi rispetto a quanto era disposto dall'art. 15 1. 10/77, emergono aspetti contrad
dittori. La sentenza riportata condivide la tesi che tale acquisizione è auto
matica, secondo l'interpretazione più aderente alla lettera della norma
che ora la prevede («. . . il bene e l'area di sedime . . sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune»), con la conseguen za che il successivo atto di constatazione dell'inottemperanza suddetta,
pur necessario per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei
registri immobiliari del mutamento di proprietà, rispetto a tale effetto
giuridico precedentemente e automaticamente verificatosi avrebbe ca
rattere di puro accertamento; questa tesi era già stata sostenuta da Tar
Lombardia, sez. II, 26 ottobre 1987, n. 373, Foro it., Rep. 1988, voce
Edilizia e urbanistica, n. 601, richiamata in motivazione, che arriva
ad affermare che un'eventuale ottemperanza tardiva, che intervenisse
nel periodo di tempo tra la scadenza del termine previsto per il suo
compimento dalla legge, e l'atto dichiarativo della sua verificazione, non solo sarebbe irrilevante, ma potrebbe perfino configurare una re
sponsabilità per intervento su cosa (ormai) altrui. In motivazione, è
richiamata anche Tar Lombardia, sez. II, 9 giugno 1987, n. 184, ibid., n. 600, che contiene affermazioni analoghe alle precedenti, o con esse
perfettamente coerenti, in particolare sul carattere di mero accertamen
to dell'atto che constata detta inottemperanza; ma che, ciò nonostante,
ne ammette l'impugnabilità in sede giurisdizionale; l'incrinatura della
coerenza logica della ricostruzione non è qui grave, giacché con tale
impugnazione si potrebbero denunciare solo vizi formali e procedurali inerenti alla fase di impossessamento del bene da parte del comune,
non attinenti, cioè, all'effetto di trasferimento di proprietà, a parte ogni difficoltà di una loro più precisa definizione; ma l'automaticità dell'ac
quisizione già appare meno limpida in Tar Basilicata 30 luglio 1987,
n. 165, ibid., n. 598, che subordina l'acquisizione stessa all'accertamen
to da parte dell'amministrazione che l'inottemperanza sia stata volonta
ria; e, soprattutto, l'incrinatura rilevata diventa più evidente in Tar Li
guria 11 maggio 1987, n. 288, ibid., n. 592, che non solo afferma la
giurisdizione del giudice amministrativo sull'impugnazione dell'atto di
accertamento dell'inottemperanza, ma lo qualifica come di accertamen
to costitutivo, in quanto tale incidente su posizioni di interesse legitti
mo; e in Tar Lombardia, sez. II, 27 ottobre 1988, n. 351, che ammette
l'impugnabilità di tale atto per vizi propri, innanzitutto concernenti la
sussistenza o meno dell'inottemperanza (id., Rep. 1989, voce cit., n.
745), in presenza dei quali esso sarebbe illecito, in quanto incidente
sul diritto soggettivo di proprietà (ibid., n. 747); finché si arriva alla
Il Foro Italiano — 1991.
Diritto. — (Omissis). Ulteriore motivo dedotto è quello affe
rente le modalità di realizzazione dell'acquisizione, che ad avvi
so del ricorrente presuppone una presa d'atto dell'inottempe
ranza separata e distinta dal provvedimento di acquisizione, al
fine di consentire un'opposizione da parte dell'intimato.
La censura, pur dovendosi apprezzare i lodevoli sforzi difen
sivi e l'abilità ermeneutica in essi profusa, non regge alla lettura
della norma di legge (art. 7), che prevede l'acquisizione del be
ne e dell'area in sedime per la semplice non demolizione nel
termine di novanta giorni dall'ingiunzione e l'accertamento del
l'inottemperanza ha lo scopo primario di costituire il titolo per
l'immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immo
biliari. È evidente che la procedura prevede un solo atto e l'ac
quisizione è un fatto che avviene ope legis per il semplice tra
scorrere del termine prestabilito, mentre l'accertamento costi
tuisce un onere per l'amministrazione per perfezionare
documentalmente il mutamento di possesso e dare legale pub
blicità allo stesso (Tar Lombardia, sez. II, 26 ottobre 1987, n.
373, Foro it., Rep. 1988, voce Edilizia e urbanistica, n. 601;
n. 184 del 9 giugno 1987, ibid., n. 600). Ciò, peraltro, non esclude che l'interessato possa far valere
tutte le sue doglianze ed opposizioni proprio in sede di conte
stazione dell'atto di accertamento notificatogli, che potrà essere
revocato ed annullato, anche in sede di autotutela, lasciando
cosi in sospeso gli effetti acquisitivi previsti dalla legge e non
collegati ad uno specifico e separato atto amministrativo del
l'autorità, cosi come ipotizzato dalla difesa di parte ricorrente.
L'eccezione di illegittimità costituzionale, posta quale subor
dinata, appare priva di pregio atteso che essa si basa sulla com
parazione tra il rigorismo del nuovo sistema rispetto a quello
vigente in precedenza e sull'eccesso di discrezionalità riservata
al comune.
Orbene, è vero che l'art. 44 Cost, tutela la piccola e media
proprietà e che gli art. 41 e 42 fanno salva la libera iniziativa
economica, ponendo limiti alla potestà di esproprio, ma va con
siderato che nella specie si discute di attività illecite le quali
non possono trovare alcuna protezione costituzionale (salvo il
diritto di difesa) e rientra nella discrezionalità del legislatore
predisporre un sistema legislativo idoneo ad arginare e a sco
raggiare il fenomeno dell'abusivismo in materia edilizia, che ha
assunto aspetti di vera e propria criminalità economica.
È del pari del tutto fuori logica invocare una violazione degli
art. 97 e 111 Cost., in merito all'inesistenza di una motivazione
sull'interesse pubblico negli atti adottati dal comune, o dell'art.
3 Cost., per mancanza di una graduazione dello strumento san
zionatorio, in quanto, come detto, si è in presenza di un'attività
contra legem che è stata valutata unitariamente in sede di di
screzionalità legislativa per preminenti ragioni di prevenzione,
che non possono considerasi irragionevoli, ed anzi appaiono fi
nalizzate a contrastare la non certa edificante prassi del «fatto
compiuto» che si sovrappone allo stesso principio di legitti
mità. Va da sé che in un ordo iuris del tutto diversificato da quello
preesistente, i momenti della «vincolatività» prevalgono su quelli
della «discrezionalità», ma ciò, lungi dal minare la tutela del
soggetto privato, ne rafforza la sua posizione «di diritto» nei
confronti dell'ente locale, tenuto al rigoroso rispetto della legge.
franca affermazione di Tar Campania, sez. Salerno, 7 novembre 1988,
n. 301, ibid., n. 757, secondo la quale l'espressione legislativa sopra
riportata, relativa al carattere «di diritto» dell'acquisizione per inottem
peranza all'ingiunzione di demolizione, andrebbe interpretata solo nel
senso che essa concreta un atto dovuto, con la conseguenza che sarebbe
da tale atto che dovrebbe essere fatto derivare l'effetto di trasferimento
della proprietà. Per i profili di incostituzionalità della normazione applicata, cui fa
riferimento la motivazione, cfr., nel senso della manifesta infondatezza
delle relative questioni, in particolare per pretesa violazione degli art.
3 e 42 Cost., Tar Lazio, sez. II, 14 ottobre 1988, n. 1247, ibid., n.
760 e Tar Campania, sez. I, 5 marzo 1990, n. 174, Trib. amm. reg.,
1990, I, 2215.
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