sezione I; decisione 28 luglio 1987, n. 123; Pres. Pietranera, Est. Minerva; Proc. gen. Corte contic. Di Zitti e altri (Avv. Lopardi, Correale, Scoca)Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1988),pp. 341/342-345/346Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179329 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
n. 1049; e Corte conti, sez. controllo, 13 maggio 1983, n. 1346,
id., Rep. 1984, voce cit., n. 961). La seconda questione posta nell'appello, e cioè la liquidità o
meno, sulle somme spettanti per assegno alimentare, di interessi
e svalutazione monetaria, merita ad avviso del collegio una rispo sta più articolata.
Sembra, infatti, che, conformemente alla costante giurispru denza sul punto di tutte e tre le sezioni giurisdizionali, e per ulti
mo alla decisione 442 del 17 ottobre 1985 della IV sezione (id.,
Rep. 1985, voce cit., nn. 654, 685), non possa non aderirsi alla
tesi seguita nella sentenza appellata, che ha ritenuto dovuti sulla
somma non tempestivamente pagata gli interessi corrispettivi. Non pacifica risulta, invece, la giurisprudenza di questo consi
glio in ordine alla rivalutabilità della somma dovuta a titolo di
assegno alimentare.
Infatti, con decisioni sez. VI 2 novembre 1983, n. 791 (id.,
Rep. 1984, voce cit., 240) e sez. IV 17 ottobre 1985, n. 442, cit., è stata negata la rivalutazione monetaria sull'assegno alimentare, in quanto non è dovuto a titolo di retribuzione, sebbene sia im
mediatamente collegato alla prestazione lavorativa.
Diverso avviso, favorevole alla rivalutazione dell'assegno ali
mentare, ha espresso invece la dec. sez. IV 23 ottobre 1984, n.
782, cit., che, richiamandosi alla giurisprudenza ormai consolida
ta in tema di rivalutazione degli elementi retributivi, ha afferma
to che l'assegno alimentare, avendo funzione di sostentamento
dell'impiegato sospeso dal servizio, non può non essere rivaluta
to, perché altrimenti si sarebbe indebitamente ridotto il valore
reale delle somme erogate. In tale senso è anche la recentissima decisione di questa sezione
n. 864/86 sulla base della considerazione che «la particolare na
tura dell'assegno in questione non consente di escludere la spet tanza dell'uno (interesse) e dell'altra (rivalutazione)».
La sezione ritiene, in conseguenza, che su quest'ultima questio ne si renda opportuno un ulteriore approfondimento e pertanto ravvisa gli estremi per un rinvio all'adunanza plenaria delle sezio
ni giurisdizionali.
CORTE DEI CONTI; sezione I; decisione 28 luglio 1987, n. 123;
Pres. Pietranera, Est. Minerva; Proc. gen. Corte conti c.
Di Zitti e altri (Aw. Lopardi, Correale, Scoca).
CORTE DEI CONTI;
Responsabilità contabile e amministrativa — Danno ambientale — Giudizio — Intervento di associazioni ambientalistiche —
Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 105, 167, 267; r.d. 13 ago
sto 1933 n. 1038, regolamento di procedura per il giudizio in
nanzi alla Corte dei conti, art. 26, 46, 47).
Responsabilità contabile e amministrativa — Costruzioni abusive
sanabili — Sanzioni pecuniarie — Omessa riscossione — Re
sponsabilità di amministratori comunali (R.d. 3 marzo 1934
n. 383, t.u. della legge comunale e provinciale, art. 254; 1. 28
febbraio 1985 n. 47, norme in materia di controllo dell'attività
urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere
edilizie, art. 7, 43).
È ammissibile l'intervento di «Italia nostra» e di altre associazio
ni ambientalistiche nel giudizio con cui il procuratore generale
faccia valere davanti alla Corte dei conti la responsabilità di
amministratori comunali per i danni da essi provocati all'am
biente. (1)
(1) La decisione è conforme al più largo orientamento giurisprudenzia le che ammette l'intervento del terzo innanzi alla Corte dei conti; cfr.,
infatti, per riferimenti, orientativamente: Corte conti, sez. I, 15 giugno
1985, n. 112, Foro it., Rep. 1986, voce Responsabilità contabile, nn. 568,
569; sez. II 16 gennaio 1984, n. 1, id., Rep. 1985, voce cit., nn. 324,
325; sez. I 11 maggio 1983, n. 77, id., Rep. 1984, voce cit., n. 216, ove si precisa che il c.d. intervento iussu iudicis presuppone la comunaza
della causa; sez. riun. 20 maggio 1983, n. 336/A, id., 1984, III, 75, con
annotazione di L. Verrienti, ove si evidenzia la tendenza di fondo della
magistratura contabile volta ad adattare i moduli processualcivilistici del
II Foro Italiano — 1988.
Gli amministratori comunali rispondono del danno causato al
l'ente per non aver provveduto alla riscossione di sanzioni pe cuniarie per costruzioni abusive, anche dopo che queste siano
diventate sanabili per effetto dell'entrata in vigore della legge sul c.d. condono edilizio. (2)
Diritto. — Preliminarmente va chiarita, anche in relazione alle
perplessità sollevate dalla difesa dei sindaci Argentieri, Del Fante
e Ronconi convenuti in giudizio dal procuratore generale, la na
tura dell'interesse che la parte attrice intende sia tutelato, se cioè
sia puramente finanziario attinendo alla mancata acquisizione di
entrate, in relazione alla omessa applicazione delle sanzioni pecu niarie previste dall'art. 41 1. 17 agosto 1942 n. 1150, cosi come
sostituito dall'art. 13 1. 6 agosto 1967 n. 765, oppure anche di
altra natura, pur restando nell'ambito di un interesse economica
mente valutabile quale è quello che attiene alla tutela del territorio.
a) Al riguardo, va ricordato che nella specie il procuratore ge nerale agisce in giudizio non solo per il risarcimento dei danni
derivanti dalla omessa applicazione delle sanzioni sopraindicate
(nei casi sub 2, sub 3 e parzialmente sub 5), ma anche (nei casi
sub 1, sub 4 e parzialmente sub 5) per i danni inferti al territorio
in relazione alla mancata demolizione di opere in contrasto con
gli strumenti urbanistici, dalla quale sarebbe derivato un danno
all'ambiente, danno che si presenta come «nocumento inferto ad
un bene pubblico che è pure utilità economicamente apprezzabile» Secondo la difesa, invece, in realtà tutte le ipotesi dedotte in
giudizio potrebbero ricondursi ad un'unica tipologia di illecito, e cioè alla omessa applicazione delle sanzioni pecuniarie, nel qual caso non verrebbe in applicazione la 1. n. 349 del 8 luglio 1986
l'istituto dell'intervento del terzo alle peculiarità del processo contabile
e di responsabilità amministrativa.
Per il resto, vi è, ovviamente, sullo sfondo, tutta la problematica relati
va al (contestato) riparto di giurisdizione operato dall'art. 18 1. 8 luglio 1986 n. 349, istitutiva del ministero dell'ambiente e recante norme in ma
teria di danno ambientale; cfr., infatti, in argomento, Corte cost. 30 di
cembre 1987, n. 641, id., 1988, I, 694, con nota di F. Giampietro, Il
danno all'ambiente innanzi alla Corte costituzionale, ove si dichiara in
fondata la questione di legittimità costituzionale relativa alla pretesa sot
trazione effettuata dal cit. art. 18 1. 349/86 alla giurisdizione del giudice contabile dei giudizi di responsabilità a carico dei dipendenti pubblici per i danni arrecati all'ambiente nell'esercizio delle proprie funzioni (Corte
cost., ord. 23 giugno 1988, n. 719, Gazzetta ufficiale, la s.s., 29 giugno
1988, n. 26, ha dichiarato manifestamente infondata analoga questione sollevata da Corte conti, sez. I, ord. 30 giugno 1987, id., 25 novembre
1987, n. 49), e, comunque, Corte conti, sez. I, ord. 28 luglio 1987, n.
80, Foro it., 1988, III, 152, con nota di A. Romano, ove la medesima
questione è riproposta forse in modo più argomentato e sottile.
(2) La decisione riaffronta il problema della responsabilità degli ammi
nistratori degli enti territoriali nel caso di comportamenti omissivi i quali abbiamo arrecato un pregiudizio economico all'erario. È noto, a questo
proposito, che si registra un marcato conflitto di orientamenti fra la Cor
te di cassazione e il giudice contabile in ordine all'individuazione della
magistratura avente giurisdizione su tali fatti illeciti. Cfr., infatti, in ar
gomento, sotto vari profili, Cass., sez. un., 9 dicembre 1986, n. 7291, e 21 novembre 1986, n. 6833, Foro it., 1987, I, 1807, con nota di A.
Romano, ove si afferma, rispettivamente, la giurisdizione del giudice or
dinario sulla responsabilità degli amministratori comunali per il fatto di
non aver depositato tempestivamente presso la cassa depositi e prestiti una somma prestabilita, determinando un'obbligazione risarcitoria in ca
po al comune, e sulla responsabilità del sindaco per avere questo stesso
tenuto un comportamento illegittimamente omissivo in ordine alla richie
sta del pagamento di indennità formulata da alcuni dipendenti; cfr. an
che, in relazione a differenti fattispecie, Cass., sez. un., 16 gennaio 1986,
n. 217, e 18 dicembre 1985, n. 6437, ibid., 1563, con nota di richiami,
ove analogamente si dichiara il difetto di giurisdizione della Corte dei conti.
Per l'affermazione, invece, della giurisdizione della magistratura conta
bile, cfr. Corte conti, sez. I, 13 gennaio 1987, n. 3 ibid., Ili, 337, con
nota di richiami, relativa alla responsabilità degli amministratori comu
nali per la negligente applicazione e riscossione dell'imposta sulla pubblicità. A ciò si aggiunga che periodicamente il giudice contabile investe la
Corte costituzionale delle questioni di costituzionalità relative agli art.
216 e 264 t.u. della legge com. e prov. 3 marzo 1934 n. 383, i quali
«sottraggono» alla giurisdizione contabile i giudizi relativi alle fattispecie
di responsabilità amministrative perpetrate dagli impiegati dei comuni,
delle province e dei consorzi: cfr., orientativamente, Corte conti, sez.
I, ord. 7 ottobre 1986, n. 226, ibid., 278, con nota di A. Romano.
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PARTE TERZA
e quindi diventerebbero irrilevanti le eccezioni di incostituzionali
tà sollevate dal procuratore generale, mentre risulterebbe ammis
sibile l'intervento in giudizio delle associazioni ambientalistiche. Il collegio non condivide l'assunto della difesa, se non in riferi
mento alle ipotesi sub 4 e sub 5.
Per quest'ultima risultando, dagli atti acquisiti in sede di istrut
toria esperita da questa sezione, che il titolare della licenza ha
adempiuto all'ordine del sindaco di ripristino della destinazione
a servizi del pianoterra in conformità delle prescrizioni di cui alla
licenza e che, con obbligazione assunta in atto notarile da trascri
vere nei registri immobiliari, si è impegnato per sé e per i suoi
danti causa a non alterare anche successivamente lo stato dei luo
ghi, risulta essere venuto meno in fatto il fondamento della con
testazione del danno ambientale, in disparte la considerazione che
certamente difformità dalla licenza del tipo considerato, per la
scarsa rilevanza delle infrazioni, non possono giammai sostanzia
re una ipotesi di tal genere.
Quanto alla contestazione sub 4 (licenza edilizia n. 577 del 5
giugno 1972), anche in questa non appare configurabile un dan
no ambientale, avendo l'amministrazione, con provvedimento a
firma del sindaco Argentieri Elio in data 4 agosto 1978, optato
per l'applicazione delle sanzioni pecuniarie di cui all'art. 41 (an che se poi il procedimento non risulta essere stato definito) e sia
perché nel caso si è in presenza di difformità di modesta entità
rispetto al progetto approvato (ampliamento della parte abitabile
del sottotetto e mutamento di destinazione al piano soffitta), con
licenza edilizia. Pertanto, sia l'ipotesi sub 5 che quella sub 4 sono assimilabili,
a giudizio della corte, a quelle classificate ai nn. 2 e 3, e quindi rientrano tutte nella previsione di cui all'art. 254 t.u. legge com.
e prov. approvato con r.d. 3 marzo 1934 n. 383, per cui è pacifi ca la competenza della Corte dei conti a giudicare in merito alle
eventuali responsabilità. Resta il caso (sub 1) relativo alla licenza n. 547 (variante n.
597) dell'8 maggio 1972 rilasciata alla ditta Sarovesi, rispetto alla
quale è, in effetti, configurabile in astratto una ipotesi di danno
ambientale per la gravità dell'abuso.
In questo caso, infatti, la stessa licenza risulta rilasciata in vio
lazione grave degli strumenti urbanistici e quindi era illegittima, in quanto alla data del rilascio l'area era destinata dal program ma di fabbricazione a zona E 1, verde agricolo inedificabile, tan
t'è che la giunta regionale dell'Abruzzo, contestati i fatti allo stesso
comune, con deliberazione n. 3562 in data 9 giugno 1975 annul
lava la licenza rilasciata in favore della Sarovesi.
Risultando cosi l'edificio realizzato in contrasto con il predetto strumento urbanistico, ai sensi e per gli effetti dell'art. 7 1. 6
agosto 1967 n. 765 ed essendo stato per di più rigettato il ricorso
presentato dalla società avverso il provvedimento regionale di an
nullamento (decisione del Consiglio di Stato n. 1548 del 15 di cembre 1978, Foro it., Rep. 1979, voce Edilizia e urbanistica, n. 425, confermativa della decisione del T.A.R. per l'Abruzzo
n. 172 del 26 maggio 1976) ad avviso del collegio la mancata
demolizione del manufatto realizzato in area inedificabile può so
stanziare, come assume la parte attrice, una ipotesi di danno am
bientale.
Nel caso de quo, pertanto, si verte in ipotesi di danno diversa
dalle altre evocate nell'atto di citazione e quindi si è fuori del
l'ambito di applicazione dell'art. 254 t.u.l.c.p. del 1934, dato che
oggetto della contestazione di parte attrice non è più l'omessa
riscossione di entrate derivanti dall'applicazione delle sanzioni pe
cuniarie, ma altra tipologia di danno, che l'indirizzo giurispru denziale venutosi a formare negli ultimi anni ha inquadrato come
una lesione economicamente valutabile (in relazione all'alterazio
ne del territorio, all'inquinamento prodottosi, al costo finanzia
rio derivante per la rimessa in pristino dei luoghi, per la depura zione delle acque, alla distruzione del verde, ecc.) procurato ad
un bene pubblico.
b) La configurabilità in astratto di una ipotesi di danno am
bientale in riferimento alla ipotesi sub 1 (concessione della licen
za n. 577 del 8 maggio 1972 alla Sarovesi) rende ammissibile l'in
tervento in giudizio dell'associazione Italia nostra, avendo la stessa interesse ad intervenire allo scopo di sostenere, come essa inten
de, le ragioni addotte dalla procura generale di questa corte, in
relazione ai fini perseguiti statutariamente.
Trattasi, infatti, di una associazione largamente rappresentati
li. Foro Italiano — 1988.
va, diffusa su tutto il territorio nazionale, che ha per scopo la
tutela del patrimonio artistico, culturale, archeologico e ambien
tale della nazione.
Ciò trova fondamento non solo nella norma di cui all'art. 105, 2° comma, c.p.c. che facoltativizza ad intervenire per sostenere
le ragioni di alcuna delle parti, chi è portatore di un proprio
interesse, ma anche nello stesso regolamento di procedura per i giudizi dinanzi alla Corte dei conti approvato con r.d. 13 agosto 1933 n. 1038 all'art. 47.
La difesa degi sindaci convenuti ha, peraltro, richiesto che la
corte voglia dichiarare inammissibile l'intervento in questione nel
caso individuato come danno ambientale in quanto il difetto di
giurisdizione di questo giudice conseguente alla entrata in vigore della 1. n. 349 precluderebbe l'esame stesso della richiesta di in
tervento.
L'assunto è infondato. La deliberazione sull'ammissibilità del
l'intervento, inerendo alla fase costitutiva del rapporto proces
suale, non può che precedere l'esame delle eccezioni di costituzio
nalità proposte avverso l'art. 18, 2° comma, 1. 8 luglio 1986 n. 349.
L'accertamento, poi, della tipologia di danno contestata nel
l'atto di citazione è funzionale alla individuazione dell'interesse
dell'associazione interveniente, il quale certo sussiste nell'ipotesi di danno ambientale in relazione ai fini perseguiti statutariamen
te, pacifico essendo ormai che (cfr. dee. n. 177 del 22 settembre
1977, id., Rep. 1978, voce Responsabilità contabile, n. 171, della
sezione II corte dei conti) la posizione processuale del p.g. non
esclude la configurabilità di interessi facenti capo ad altri sogget
ti, purché risultino convergenti con quelli che sono a fondamento
della domanda introduttiva del giudizio. Nella specie tanto più che, come sostenuto in udienza dall'av
vocato Di Battista, l'associazione intende far valere anche dinan
zi alla Corte costituzionale le proprie ragioni a non vedersi sot
trarre uno strumento di difesa dei propri interessi, che appaiono
più efficacemente tutelati, con lo strumento dell'intervento adesi
vo, quando titolare dell'azione di risarcimento è il pubblico mini
stero presso la corte e quindi un organo pubblico che agisce in
difesa dell'ordinamento e super partes. L'interesse del terzo alla salvaguardia di una posizione giuridi
ca che potrebbe essere lesa a seguito dei riflessi diretti o indiretti
della decisione non sembra al contrario sussistere nel caso di omes
sa applicazione delle sanzioni pecuniarie, inerendo la relativa con
troversia ad aspetti di rilevanza finanziaria non riconducibili ai
fini perseguiti dalle dette associazioni: devesi, pertanto, dichia
rarne la inammissibilità dell'intervento con riferimento ai casi de
dotti sub 2, 3, 4 e 5 dell'atto di citazione. La corte ritiene ammissibile, altresì, sempre limitatamente alla
fattispecie sub 1 dell'atto di citazione concretante ipotesi di dan
no ambientale, l'intervento delle altre associazioni costituitesi in udienza attraverso l'avv. Giovanni Di Battista e cioè del World
Wild Life Fund e della lega ambiente, ancorché l'atto di interven
to non sia stato, come previsto dall'art. 46 del citato regola mento di procedura, notificato alle parti, ma depositato in
udienza.
Ciò perché si ritiene equipollente il deposito dell'atto di inter
vento avvenuto in udienza, essendo tutte le parti costituite in giu dizio e rappresentate con la presenza in udienza dei rispettivi
patroni.
Quanto detto, trova conferma nell'art. 267 c.p.c. (che si appli ca nel procedimento dinanzi alla corte per effetto del rinvio dina
mico di cui all'art. 26 del regolamento di procedura), che prevede che per intervenire nel processo il terzo deve costituirsi presentan do in udienza una comparsa avente i requisiti di cui all'art. 167
c.p.c., il che nella specie è avvenuto.
Ciò premesso, poiché il danno che viene contestato dalla parte attrice a norma degli art. 260 t.u.l.c.p. 3 marzo 1934 n. 383 e
52 t.u. 12 luglio 1934 n. 1214 è stato portato alla cognizione di questo giudice — considerato (in riferimento alla fattispecie sub 1) che nelle more è intervenuta la 1. 8 luglio 1986 n. 349, istitutiva del ministero dell'ambiente, che ha introdotto alcune
norme che potrebbero avere inciso sulla giurisdizione di questa corte — anche in relazione alle eccezioni di incostituzionalità pro
poste dal pubblico ministero nella memoria depositata I'll aprile 1987, ritenuta la rilevanza della questione e la non manifesta in
fondatezza delle censure, occorre sospendere, per questa parte,
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
il giudizio, rimettendo gli atti alla Corte costituzionale, per il che
si provvede con separata ordinanza.
c) Nel presente giudizio è ravvisabile l'ipotesi di connessione
soggettiva fra più cause prevista dall'art. 104 c.p.c.
Infatti, in realtà, con un'unica domanda sono state proposte
più azioni intese ad ottenere il risarcimento dei danni in riferi
mento a ipotesi diverse.
Poiché per i fatti contestati sub 1, in cui sembra concretizzarsi,
come detto, una ipotesi di danno ambientale, gli atti devono esse
re rimessi alla Corte costituzionale per la soluzione della questio ne di giurisdizione, mentre per i fatti allegati sub 2, 3, 4 e 5
la cognizione di questo giudice non è da porsi in dubbio rientran
do gli stessi nell'ambito di previsione dell'art. 254 t.u.l.c.p. del
1934, il collegio ritiene necessario disporre la separazione delle
cause, a norma dell'art. 103 c.p.c., sia in relazione alla diversità
oggettiva delle contestazioni sia in quanto la continuazione della
trattazione nell'ambito di un simultaneus processus renderebbe
più gravoso il processo per uno dei convenuti, il Di Zitti, per
quanto si dirà il seguito. La separazione delle cause consente di scendere all'esame delle
domande presentate in riferimento ai nn. 2, 3, 4 e 5 dell'atto
di citazione. d) Scendendo al merito della causa, per le contestazioni sub
2, 3, 4 e 5, la sezione ritiene di dover esaminare sin d'ora la
posizione del sindaco Di Zitti, di cui la difesa ha chiesto l'assolu zione, convenuto dal procuratore generale in riferimento alle ipo tesi sub 2 e sub 4, che, come si è osservato, sono entrambe ricon
ducibili ad un unica fattispecie di danno, quello derivante da omes
sa applicazione delle sanzioni pecuniarie previste dall'art. 13 1.
6 agosto 1967 n. 765, che ha sostituito l'art. 41 della legge urba
nistica 17 agosto 1942 n. 1150.
A tale riguardo, va preliminarmente ossevato che, come l'i
struttoria ha chiarito, in tutti i casi di abuso contestati nell'atto
di citazione risultano presentate domande di sanatoria ai sensi
della 1. 28 febbraio 1985 n. 47. La parte attrice, pur contestando in radice che tale legge (sul
condono edilizio) possa avere influenza sul presente giudizio, nel
caso la domanda possa essere respinta per difetto di danno o
di colpa per effetto dell'applicazione della legge sul condono, in
via subordinata ha sollevato eccezione di incostituzionalità del
l'art. 43, 1° comma, della n. 47 per la parte in cui stabilisce
che «l'esistenza di provvedimenti sazionatori non ancora esegui
ti. . . non impedisce il conseguimento della sanatoria», dell'art.
44 della stessa legge e dell'art. 84 del d.l. 23 aprile 1985 n. 146,
comprese tutte le norme derivate, in relazione al dettato dell'art.
97, 1° comma, Cost.
Appare, quindi, pregiudiziale al merito l'esame della questione
concernente la rilevanza che eventualmente possa assumere la ri
cordata legge di sanatoria sul presente giudizio.
e) Ha sostenuto, al riguardo, la difesa dei convenuti che la
sopravvenuta legge sul condono avrebbe tolto il carattere di anti
giuridicità agli abusi commessi e per ciò stesso reso non più san zionabile il comportamento omissivo dei sindaci che non hanno
proceduto a suo tempo all'applicazione delle sanzioni pecuniarie
previste dalla legge urbanistica.
L'assunto della difesa è infondato. La legge sul condono edili
zio — determinata dalla situazione venutasi a creare a seguito
del dilagare di ampi fenomeni di abusivismo agevolati dal com
portamento omissivo degli strumenti urbanistici o non hanno re
presso sul nascere i fenomeni di abusivismo — preso atto della
impossibilità di una riduzione in pristino dei luoghi per la vastità
del fenomeno, ha inteso da una parte introdurre una disciplina
più rigorosa, anche prevedendo interventi sostitutivi da parte del
giudice ordinario (art. 7, ultimo comma), dall'altra dare la possi
bilità di ottenere, dietro pagamento di una oblazione, la conces
sione o autorizzazione in sanatòria; la legge, cioè, non ha tolto
il carattere di illiceità originario del comportamento del privato
e comunque ha agito nell'ambito del rapporto ente pubblico ter
ritoriale - proprietario dell'immobile. Non ha, cioè, interessato
i rapporti tra amministratori ed enti e soprattutto non ha fatto
venir meno la responsabilità degli amministratori che, pur aven
do optato per la scelta della non demolizione, poi hanno omesso
nei limiti di tempo coerenti a criteri di sana gestione di procedere
all'applicazione delle sanzioni pecuniarie previste dall'art. 41,
Il Foro Italiano — 1988.
trascurando di acquisire una entrata dovuta per legge ed il cui
ammontare era demandato ad un mero accertamento di natura
tecnica rimesso all'Ute.
Trattasi, insomma, di una ipotesi del tutto diversa da quelle
prese in esame dalla legge sul condono, in quanto la responsabili tà degli amministratori deriva, nella specie, dal non avere portato a termine procedure (anche di natura esecutiva) tendenti a fare
acquisire alle casse erariali proventi da sanzioni pecuniarie; in
tutti i casi (nn. 2, 3, 4 e 5 dell'atto di citazione) risulta iniziata la procedura prevista dalle norme, ma essa non è stata portata a termine, in disparte ogni valutazione sotto il profilo della sussi
stenza della colpa che viene risevata alla pronuncia definitiva.
Basti considerare in proposito che nei casi considerati, il sinda
co aveva optato per l'applicazione della sanzione, aveva richiesto
al competente Ute la indicazione del valore venale dell'opera abu
siva, cosi come previsto dall'art. 43, 2° comma, in taluni casi
non portando a compimento la procedura esecutiva (nn. 2, 3) ed in altri non emettendo il provvedimento applicativo della san
zione (nn. 4 e 5 dell'atto di citazione); da tale omissione è deriva
to un danno patrimoniale all'erario.
Ciò, peraltro, è reso ancor più ostensivo dalla stessa legge sul
condono, che, all'art. 43, 3° comma, ha posto il principio della
non ripetibilità delle somme già riscosse, rendendo così chiare
e definitive le conseguenze negative derivanti alla finanza pubbli ca dagli amministratori che non hanno usato la richiesta diligen za nell'assolvimento delle loro funzioni.
In mancanza di una espressa previsione normativa che esoneri
gli amministratori da responsabilità per avere trascurato di ri
scuotere i provvedimenti in questione, la legge sul condono non
ha rilevanza agli effetti del decidere e pertanto il collegio non
scende all'esame delle eccezioni di costituzionalità della legge, for
mulate dal procuratore generale solo in via subordinata alla sua
eventuale applicazione alla fattispecie (Omissis). Alla luce delle anzidette considerazioni il convenuto Di Zitti
va assolto dagli addebiti contestati.
La corte dovrebbe scendere all'esame delle singole responsabi lità in relazione alle ipotesi sub 2, 3, 4 e 5, che, come si è detto, sono tutte riconducibili alla omissione di riscossione delle sanzio
ni pecuniarie previste dalla legge urbanistica, contestata ai sinda
ci Argentieri, Del Fante e Ronconi.
Tuttavia, poiché la difesa dei predetti ha esibito in giudizio un atto di delega — provvisto di firma per accettazione dal quale risulta che a decorrere dal 13 ottobre 1983 — le funzioni in mate
ria di urbanistica e salvaguardia dell'ambiente sono state attribui
te dal sindaco Ronconi all'assessore Paolo Ermini e ha chiesto
a questo titolo la integrazione del contradittorio, ritenuta, altresì, la necessità di disporre per ulteriori acceramenti istruttori, con
separata ordinanza si dispone in merito.
I
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA TO
SCANA; sentenza 4 marzo 1988, n. 242; Pres. Berruti, Est.
Lazzeri; Cappellini (Avv. Passalacqua) c. Min. tesoro e altro.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA TO
SCANA; sentenza 4 marzo 1988, n. 242; Pres. Berruti, Est.
Impiegato dello Stato e pubblico — Magistrato ordinano — Trat
tamento economico — Indennità — Erogazione frazionata —
Percezione per l'intero — Diritto — Interessi e rivalutazione
(Disp. att. cod. proc. civ., art. 150; 1. 6 agosto 1984 n. 425,
disposizioni relative al trattamento economico dei magistrati,
art. 3, 4, 11).
I benefici stipendiali attribuiti ai magistrati ed equiparati dagli art. 3 e 4 l. 6 agosto 1984 n. 425 spettano per intero con le
decorrenze precisate nelle stesse norme, mentre il meccanismo
introdotto con il susseguente art. 11 assolve alla diversa funzio
ne di articolare nel tempo i soli termini adempitivi; pertanto,
l'amministrazione deve essere condannata al pagamento delle
differenze retributive spettanti al ricorrente, con rivalutazione
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