sezione I; sentenza 19 settembre 1991, n. 440; Pres. Berruti, Est. Nicolosi; Associazione italianaWwf (Avv. Stefani) c. Regione Toscana (Avv. Predieri) e Arcicaccia (Avv. Cadelo)Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1992),pp. 123/124-125/126Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187431 .
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PARTE TERZA
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA TOSCANA; sezione I; sentenza 19 settembre 1991, n. 440;
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA TOSCANA; sezione I; sentenza 19 settembre 1991, n. 440; Pres. Berruti, Est. Nicolosi; Associazione italiana Wwf (Aw.
Stefani) c. Regione Toscana (Avv. Predieri) e Arcicaccia
(Avv. Cadelo).
Regione — Toscana — Caccia — Parco naturale di Migliarino - San Rossore — Apertura all'esercizio venatorio nelle aree
interne al parco — Illegittimità (L. 27 dicembre 1977 n. 968,
principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela
della fauna e la disciplina della caccia, art. 20).
È illegittima — per contrasto con gli art. 20, 1 ° comma, lett.
b), /. 27 dicembre 1977 n. 968, 13, 2° comma, 20, 1° comma, l. reg. Toscana 13 dicembre 1979 n. 61 e 24, 4° comma, l.
reg. Toscana 29 giugno 1982 n. 52 — la delibera del consiglio
regionale della Toscana approvativa del piano territoriale, la
quale stabilisce l'implicita, ma univoca, apertura all'esercizio
venatorio per le aree inserite dal piano come interne al parco naturale di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli. (1)
Diritto. — Per una migliore comprensione in punto di fatto
e di diritto delle questioni poste all'esame del collegio, occorre
brevemente ripercorrere le tappe che hanno portato all'attuale
regolamentazione del parco su cui si appuntano, per la discipli na dell'attività venatoria in essa contenuta, le censure dedotte
in ricorso.
Com'è noto il parco naturale di Migliarino, S. Rossore e Mas
saciuccoli è stato istituito con l.reg. 13 dicembre 1979 n. 61
a tutela delle caratteristiche naturali, ambientali e storiche del
litorale ricompreso fra le province di Pisa e Lucca.
I confini del parco furono delimitati (art. 13) in una vasta
area (ben evidenziata nella cartografia allegata alla legge) all'in
terno della quale fu operata una suddivisione in tre distinte zo
ne, corrispondenti ad altrettati ambiti territoriali aventi partico lari configurazioni tipologiche. Le vere e proprie aree interne
erano quelle della zona 1 e 2, mentre la terza riguardava la
c.d. area esterna al parco, funzionalmente connessa al parco medesimo ed operante, quindi, come area di salvaguardia.
Siffatta delimitazione doveva ritenersi provvisoria, avendo il
1° comma del citato art. 13 della legge in questione demandato
(1) I. - Per l'illegittimità dell'art. 3 dello statuto del consorzio del
parco delle Groane, nella parte in cui poneva un divieto assoluto di caccia nel parco, rientrando questo tra i parchi naturali per i quali l'art. 5 1. reg. Lombardia 17 dicembre 1973 n. 58 non prevede tra i divieti istituiti per tale tipo di riserva quello inerente all'esercizio venatorio, v. Tar Lombardia, sez. Brescia, 3 febbraio 1981, n. 53, Foro it., 1982, III, 178.
Nel senso che la disciplina dei parchi nazionali, rientrante nella com
petenza regionale, non può spingersi fino al punto da rendere difforme da zona a zona la tutela dei beni la cui conservazione rappresenta un
aspetto essenziale della istituzione dei parchi stessi ed i divieti di caccia non possono essere stabiliti in modo da produrre una lesione indiretta dei limiti posti alla competenza regionale, relativamente alla protezione dei parchi naturali, v. Corte cost. 15 novembre 1988, n. 1029, id., Rep. 1989, voce Parchi nazionali, n. 6.
In ordine agli estremi integranti la violazione del divieto di esercizio venatorio nei parchi, di cui all'art. 20, lett. b, 1. 968/77 ed al significato del divieto stesso, v. Cass. 29 novembre 1988, n. 6456, ibid., voce Cac
cia, n. 28; Cons. Stato, sez VI, 7 luglio 1986, n. 486, id., Rep. 1986, voce Trentino-Alto Adige, n. 84; 16 maggio 1983, n. 353, id., Rep. 1983, voce Parchi nazionali, n. 13; 27 agosto 1982, n. 407, id., 1983, III, 136, con nota di richiami.
In dottrina, v. Pizzetti, La caccia nei parchi tra Stato, regione ed ente gestore, in Regioni, 1981, 801; Galletto, Disciplina urbanistica e attività venatoria nei parchi regionali, in Foro pad., 1981, II, 33.
II. - La 1. 11 febbraio 1992 n. 157 (norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) all'art. 21 (Divie ti) prevede che:
«È vietato a chiunque: (omissis); b) l'esercizio venatorio nei parchi nazionali, nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali confor memente alla legislazione nazionale in materia di parchi e riserve natu rali. Nei parchi naturali regionali costituiti anteriormente alla data di entrata in vigore della legge 6 dicembre 1991 n. 394, le regioni adegua no la propria legislazione al disposto dell'art. 22, 6° comma, della pre detta legge entro il 1° gennaio 1995, provvedendo nel frattempo all'e ventuale riperimetrazione dei parchi naturali regionali anche ai fini del
l'applicazione dell'art. 32, 3° comma, della legge medesima».
Il Foro Italiano — 1992.
ad un successivo piano territoriale l'individuazione definitiva delle
aree interne del parco per le esigenze di tutela di cui all'art.
1 della legge medesima.
Per quello che qui interessa, va osservato che il 2° comma
dell'art. 13 stesso statuiva il divieto dell'esercizio venatorio nel
le aree interne al parco in conformità al divieto imposto dal
l'art. 20, 1° comma, lett. b), 1. nazionale 27 dicembre 1977 n.
968 (secondo il cui disposto è vietato a chiunque l'esercizio ve
natorio nei parchi nazionali, parchi regionali, riserve naturali
ed altre zone protette), salvo quanto previsto dall'art. 36 1. n.
968 anzidetta per la tenuta presidenziale di S. Rossore.
La l.reg. 20 giugno 1982 n. 52, all'art. 24, confermava nella
sostanza tutte le disposizioni vigenti nei parchi già istituiti; e,
pertanto, la situazione era quella sopra delineata al momento
dell'adozione del provvedimento impugnato, che ha approvato il piano territoriale in attuazione del disposto dell'art. 13, 1°
comma, sopra rubricato.
La delibera del consiglio regionale contiene una compiuta re
golamentazione che si sviluppa — sotto l'aspetto della normati
va tecnica di attuazione — in quattro parti, oltre che una rela
zione generale ed una cartografia. Per quel che concerne l'individuazione delle aree del parco,
la delibera, abbandonando l'originaria suddivisione in zone, vi
ha provveduto con metodo indicativo-descrittivo per insiemi di
aree coincidenti con riguardo alle tenute, alle fattorie storica
mente esistenti ed ai comparti aventi caratteristiche geomorfo
logiche omogenee e paesaggisticamente consolidate in ordine ai
caratteri generali (art. 2, 3° comma); donde la delimitazione
riportata nelle cartografie è la risultante della sommatoria delle
tenute, fattorie e comparti indicati nel predetto comma dell'art.
2 della delibera approvativa, che opera a modifica della perime trazione del parco di cui all'allegato «A» della legge istitutiva
(art. 2, 4° comma). Dal contesto dell'elencazione di cui ai punti a-g del 3° com
ma anzidetto e dalle descrizioni puntuali e chiarificatrici della
relazione generale descritta allegata alla delibera medesima e fa
cente, quindi, parte sostanziale della stessa, emerge chiaramente
che anche le aree in precedenza esterne al parco (oltre le zone
1 e 2) fanno ora parte del territorio del parco medesimo (si veda in proposito planimetria allegata dall'associazione ricor
rente, sul punto non contestata dalla regione né dalFArcicaccia) e che, quindi, la delimitazione esterna del parco finisce per coin
cidere con il limite territoriale delle sue aree interne.
Ripercorsa in tal modo l'evoluzione della regolamentazione della disciplina delle aree del parco (ovviamente nella parte che
interessa il giudizio richiesto al collegio), occorre ora prendere
cognizione delle contestate disposizioni introdotte dal piano ter
ritoriale con l'art. 20, 1° comma (cui rinvia l'art. 2, 5° com
ma), per verificare la portata delle stesse nonché la loro confor
mità ai principi generali fissati in materia di esercizio venatorio dalle disposizioni normative — nazionali e regionali — surri
chiamate.
Partendo per ragioni sistematiche dall'art. 2, 5° comma, va
osservato che tale norma recita testualmente che «la classifica
zione delle aree esterne, che presentano connessione funzionale
con l'assetto del parco, secondo la perimetrazione individuata
nella cartografia di piano, ha effetto solo nel riferimento alle
attività venatorie, di cui al successivo art. 20». La seconda, che
«nelle aree di cui all'art. 2, 5° comma, classificate, limitata
mente agli effetti dell'attività venatoria, quali aree esterne al
parco, ma ad esso funzionalmente connesse, vige la disciplina dei regolamenti specifici di cui agli art. 13 e 14 l.reg. 17/80 e successive modificazioni». Tali ultimi articoli disciplinano l'i stituzione e la regolamentazione delle aree a regolamento speci fico nelle quali è consentito l'esercizio venatorio in modo limi
tato e controllato.
Una prima considerazione che sorge quasi istintiva porta ad
evidenziare una certa perplessità derivante dal susseguirsi di pro
posizioni non certo perspicue e coerenti.
Ed infatti il piano da un lato sopprime la distinzione fra zone
interne ed aree esterne per formulare una definizione d'insieme
che le ricomprende tutte come area interna al parco (almeno non sono indicate aree nuove come esterne, né la difesa della
regione ha dimostrato che la qualificazione di «aree esterne»
non riguarda le aree originariamente considerate tali) e dall'al
tro la riutilizza nella sua accezione originaria (come inequivoca
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
bilmente si desume dal riferimento alla connessione funzionale
di cui all'art. 13 della legge istitutiva) ai limitati fini delle attivi
tà venatorie. Inoltre, si applica alle aree cosi individuate come
«esterne» una disciplina regolamentare che è però tutta da pre
disporre ed approvare, essendo gli art. 13 e 14 1. reg. 17/80
norme programmatiche e di indirizzo.
Ne deriva un'estrema incertezza sotto l'aspetto interpretativo
(avvertita del resto dallo stesso consiglio di amministrazione del
parco: delibera n. 165 del 25 luglio 1990), non tanto, però, in
ordine alla possibilità di praticare la caccia nelle aree classifica
te esterne ai fini dell'esercizio venatorio — la quale appare l'u
nico dato certo, dato che diversamente non avrebbero alcun
senso gli art. 2 e 20 nella parte in questione: e secondo i princi
pi che regolano l'attività interpretativa la stessa deve privilegia re un risultato che conduca ad un significato logico rispetto ad un altro che non ne contenga alcuno — quanto alle modalità
ed ai limiti dell'esercizio dell'attività venatoria in assenza dei
regolamenti specifici. Con la conseguenza che non solo si dà
possibilità in via di principio alla pratica venatoria, ma se ne
rende in astratto libero l'esercizio sino all'istituzione delle aree
a regolamento specifico. Tanto basta per ritenere fondato il ricorso sotto gli assorben
ti profili dei vizi dedotti nei primi due motivi di ricorso (sul terzo motivo, peraltro, non vi sono dati oggettivi per la valuta
zione dell'estensione delle aree protette), posto che la disposi zione di cui al 5° comma dell'art. 2 e specialmente quella conte
nuta nel 1° comma dell'art. 20 della delibera approvativa del
piano territoriale si pongono in palese contrasto — per la impli
cita ma univoca apertura all'esercizio venatorio nelle aree dal
piano territoriale inserite come interne al parco — sia con la
normativa nazionale richiamata nell'art. 13 della legge istitutiva
del parco stesso, la quale operando come legge quadro delimita
nell'ambito dei suoi principi la competenza concorrente delle
regioni a statuto ordinario, sia con la stessa normativa (ribadita
con l'art. 24 1. 52/82) che la regione Toscana si è autoimposta
con la legge istitutiva del parco, che al 2° comma dell'art. 13
dinanzi citato vieta espressamente l'esercizio venatorio nelle aree
interne al parco. Per quanto sopra considerato, ogni altra questione assorbita,
il ricorso proposto dall'Associazone italiana per il Wwf è fon
dato e va accolto, con il coseguente annullamento della delibera
515 del 12 dicembre 1989 nella parte di cui al disposto dell'art.
20, 1° comma.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CAMPANIA; sezione I; sentenza 26 febbraio 1991, n. 23;
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CAMPANIA; sezione I; sentenza 26 febbraio 1991, n. 23;
Pres. Brignola, Est. Polito; Iaccarino (Avv. Palma) c. Min.
beni culturali.
Bellezze naturali (protezione delle) — Scadenza del termine del
31 dicembre 1986 — Mancata adozione del piano paesistico — Divieto di inedificabilità «ex lege» delle aree espressamen
te individuate — Decadenza — Effetti sul potere ministeriale
di annullamento delle autorizzazioni regionali (L. 8 agosto
1985 n. 431, conversione in legge, con modificazioni, del d.l.
27 giugno 1985 n. 312, recante disposizioni urgenti per la tu
tela delle zone di particolare interesse ambientale, art. 1 ter,
1 quinquies). Bellezze naturali (protezione delle) — Autorizzazione — Annul
lamento ministeriale — Atto non recettizio — Perentorietà
del termine.
Il divieto assoluto di edificazione fino all'adozione da parte del
le regioni dei piani paesistici opera nella sua assolutezza solo
fino al 31 dicembre 1986; peraltro, dopo la scadenza del ter
mine anzidetto, il regime di tutela rafforzata dei beni indivi duati dagli art. 1 ter e quinquies /. 8 agosto 1985 n. 431 com
porta che l'autorità statale può esercitare i suoi poteri sostitu
tivi non solo mediante l'adozione dello strumento di
pianificazione paesistica bensì anche con l'accertamento, in
Il Foro Italiano — 1992.
sede di esercizio del potere ministeriale di annullamento o di
modifica dell'autorizzazione, della compatibilità tra l'opera
autorizzata ed i valori paesaggistici ed ambientali insiti nei
beni tutelati. (1) Il potere ministeriale di annullamento delle autorizzazioni pae
saggistiche regionali va esercitato nei sessanta giorni dalla co
municazione dell'atto all'amministrazione statale; il termine
opera con riferimento all'adozione dell'atto mentre del tutto
ininfluente è la sua comunicazione all'interessato. (2)
Diritto. — Il ricorso è fondato.
L'annullamento dell'autorizzazione n. 73784 del 15 dicembre
1988, rilasciata dal sindaco di Pozzuoli ai sensi dell'art. 7 1.
29 giugno 1939 n. 1497, per la realizzazione da parte di Iaccari
no Paolo di un opificio industriale in località Monterusce'Jo,
disposto con decreto del ministro per i beni culturali ed ambien
tali del 13 febbraio 1989, trae fondamento dal rilevato contra
sto della stessa con divieto di determinare modificazioni del ter
ritorio e di eseguire ogni opera edilizia fino all'adozione e4?!
piano territoriale paesistico, previsto dal d.m. 28 marzo 1985
con riferimento anche alla zona interessata dall'intervento co
struttivo, oggetto di favorevole assenso e recuperato in via nor
mativa dal successivo art. 1 quinquies 1. 8 agosto 1985 n. 431.
Con la previsione da ultimo menzionata il legislatore ha in
trodotto una misura di salvaguardia di carattere generale intesa
ad impedire la compromissione dell'assetto di luoghi, comples sivamente individuati per il loro particolare valore ambientale
e paesaggistico nelle more dell'adozione dello strumento di pia
nificazione paesistica del territorio.
Il carattere di generalità ed astrattezza della misura interditti
va in questione porta ad escludere che essa possa essere assimi
lata, quanto alla possibilità di comprimere a tempo indetermi
(1) I. - Nella sentenza in epigrafe ed in altra coeva (Tar Campania 27 marzo 1991, n. 37, inedita), il Tar Campania ribadisce il proprio orientamento in materia di effetti caducatori del divieto di inedificabili
tà delle aree, individuate ai sensi degli art. 1 ter e 1 quinquies 1. 8
agosto 1985 n. 431, a seguito della scadenza del termine del 31 dicem
bre 1986 fissato dall'art. 1 bis alle regioni per l'adozione dei piani pae sistici.
La tesi espressa è ormai del tutto minoritaria e sostenuta solo dal
Tar campano. Sia la giurisprudenza, amministrativa ed ordinaria, che
la dottrina sono, invece, orientate su posizione diversa facendo discen
dere dalla scadenza del termine, fermo restando la validità del divieto, solo la conseguenza della possibilità per lo Stato di esercitare i poteri sostitutivi richiamati dall'art. 1 bis. Per riferimenti, v. Tar Lazio, sez.
I, 30 novembre 1989, n. 1729 e sez. II 20 settembre 1989, n. 1270, Foro it., 1991, III, 203, con ampia nota di richiami.
Nella sentenza in epigrafe il Tar Campania prospetta, peraltro, a so
stegno della propria tesi una nuova impostazione del problema: la deca
denza del vincolo di inedificabilità non pregiudicherebbe la tutela inte
rinale fissata nelle zone vincolate, fino all'approvazione dei piani paesi
stici, in quanto la compatibilità delle opere da autorizzare con i valori
paesaggistici, la cui tutela è rimessa alla pianificazione paesistica, ri
marrebbe comunque garantita dalla possibilità dello Stato di esercitare
la sua funzione sostitutiva attraverso l'esercizio del potere di annulla
mento delle autorizzazioni incompatibili con la preservazione di quei valori.
L'inedificabilità voluta dal legislatore è finalizzata, invece, alla reda
zione del piano paesistico che, nelle intenzioni, dovrebbe realizzare, nella
sua organicità «gestionale e dinamica», una tutela integrale e globale dei valori paesaggistici ed ambientali. Tale forma di tutela, quindi, si
pone in un momento anteriore e di più incisiva garanzia rispetto a quel lo della concreta gestione del vincolo che si attua nella fase del rilascio
della autorizzazione o del suo annullamento.
Del resto, appare dubbio che il ministero, come sostiene il Tar Cam
pania, possa, in sede di eventuale annullamento del provvedimento, pro
porre modifiche dell'autorizzazione sotto forma di prescrizioni o modi
fiche al progetto. II. - Sui piani paesistici, v. Corte cost. 13 luglio 1990, n. 327, ibid.,
I, 2010, con nota di Fuzio, Verso un ridimensionamento dei piani pae
sistici?, e Corte cost. 9 dicembre 1991, n. 437 che affrontano il diverso
modo con cui le regioni Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia hanno
affrontato l'obbligo di dotarsi di un piano paesistico o di un piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali.
(2) Principio ormai anch'esso dominante sia in dottrina che in giuris
prudenza. Per riferimenti, v. la nota di richiami a Tar Campania, sez.
I, 7 aprile 1989, n. 173, Foro it., 1991, III, 126 e Cons. Stato, sez.
VI, 16 luglio 1990, n. 728, ibid., 485.
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