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PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || Sezione I; sentenza 9 luglio 1980, n. 793; Pres....

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Sezione I; sentenza 9 luglio 1980, n. 793; Pres. Tozzi, Est. Ferrari; Albisinni (Avv. Salvini) c. Presidente della Repubblica, Pres. Cons. ministri (Avv. dello Stato D'Amato, Chiarotti), Manzari, Di Ciommo Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1980), pp. 465/466-475/476 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171259 . Accessed: 28/06/2014 16:19 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 78.24.221.28 on Sat, 28 Jun 2014 16:19:53 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || Sezione I; sentenza 9 luglio 1980, n. 793; Pres. Tozzi, Est. Ferrari; Albisinni (Avv. Salvini) c. Presidente della Repubblica, Pres. Cons.

Sezione I; sentenza 9 luglio 1980, n. 793; Pres. Tozzi, Est. Ferrari; Albisinni (Avv. Salvini) c.Presidente della Repubblica, Pres. Cons. ministri (Avv. dello Stato D'Amato, Chiarotti),Manzari, Di CiommoSource: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1980),pp. 465/466-475/476Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171259 .

Accessed: 28/06/2014 16:19

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

ed è predisposto in via generale per tutti i tipi di persone giu ridiche, sia perché soltanto eccezionalmente l'ordinamento richie

de che il riconoscimento di un ente pubblico venga direttamente

operato — trattandosi di ente di primaria importanza — con atto diverso da quello promanante dall'esecutivo, ossia con spe cifico provvedimento di natura legislativa.

Nel caso che ne occupa, ritiene il collegio che i caratteri della

soggettività giuridica pubblica del « Centro » emergano dal com

plesso delle finalità, prerogative, oneri e responsabilità che con

traddistinguono la sua vita e il suo funzionamento e che indubi

tabilmente lo collocano nell'ambito dell'apparato istituzionale della

pubblioa amministrazione.

Non è per vero senza significato che una piccola istituzione

culturale, sorta sin dal 1953 nella limitata sfera operativa del

conservatorio di musica « B. Marcello » di Venezia, abbia pro

gressivamente subito una trasformazione ed un ampliamento del

le proprie finalità che, originariamente riferite alla iniziativa delle « Vacanze musicali », ha annoverato in ordine di tempo i corsi

di studi per stranieri sulla musica italiana, la concessione di pre mi e borse di studio, la pubblicazione dell'« Opera Omnia » del

Monteverdi. Così come appaiono indicative le circostanze che

l'ente possa svolgere la propria attività e costituire succursali

o sezioni anche fuori della sua sede, in Italia ed all'estero; che

esso annoveri nel proprio consiglio d'amministrazione i rappre sentanti dei ministeri sovventori; che talune particolari inizia

tive didattiche — quale quella rivolta ai diplomati stranieri con

l'istituzione di veri e propri « corsi superiori di studi musica

li » — vengano obiettivamente a porsi come complementari, e

sotto certi aspetti sovraordinate, rispetto a quelle perseguite isti

tuzionalmente dallo Stato attraverso le strutture scolastiche dei

conservatori di musica, assumendo cosi un palese carattere au

siliare del settore statale della istruzione superiore.

Tali importanti e multiformi finalità, l'ingerenza dello Stato

nella vita amministrativa e l'apporto continuo ed assolutamente

prevalente di mezzi finanziari di natura pubblica costituiscono

nel loro insieme sintomi eloquenti della sostanziale natura pub blica dell'ente, malgrado manchino nell'atto di riconoscimento e

nello statuto espresse e formali qualificazioni in tal senso.

Passando, quindi, all'esame della eccezione di prescrizione del

l'azione di responsabilità sollevata dai convenuti, ritiene il col

legio che la stessa sia del tutto infondata e debba essere respin ta. Come espressamente precisato, infatti, dall'art. 19, 3° comma, t. u. 10 gennaio 1957 n. 3, l'azione di responsabilità promossa dal procuratore generale della Corte dei conti è sottoposta all'or

dinario termine decennale di prescrizione, che dall'epoca dei fatti

in causa e sino al momento delle notifiche dell'atto di citazione

non era ancora decorso.

Nel merito della responsabilità contestata dalla procura gene rale attrice, il collegio reputa meritevole di accogliere l'azione

promossa anche se ritiene di dover porre a carico dei convenuti

solo una parte del danno accertato — ai sensi degli art. 52, 2°

comma, t. u. 12 luglio 1934 n. 1214, 83, 1° comma, r. d. 18 no

vembre 1923 n. 2440 e 19 t. u. 10 gennaio 1957 n. 3 — in con

siderazione delle particolari circostanze soggettive che hanno ca

ratterizzato i fatti.

La difesa ha opposto in proposito la inapplicabilità alla fatti

specie dell'art. 23, 2° comma, legge 15 aprile 1961 n. 291, argo mentando che la natura privata del « -Centro » e la mancanza nei

confronti dello stesso di ogni potere di controllo e vigilanza da

parte dello Stato, anche a norma della legge 21 marzo 1958 n.

259, avrebbero consentito all'ente di corrispondere ai propri di

pendenti indennità di missione in misura e con criteri diversi

da quelli vigenti per il personale degli enti ed istituti di diritto

pubblico.

Ha inoltre dedotto la inesistenza di pubblici doveri violati — ai sensi dell'art. 82 r.d. 18 novembre 1923 n. 2440 e dell'art.

52 r. d. 12 luglio 1934 m. 1214 — sia a carico dell'Usigli che del

Fasano. Quanto al primo, ha sostenuto che lo statuto del « Cen

tro » non prevedeva alcuna forma di controllo da parte del pre sidente sui mandati di volta in volta emessi. Circa il secondo, ha

obiettato che mancava' nello stesso ogni veste giuridica per cu

rare la predisposizione degli atti contabili e per essere a cono

scenza della irregolarità dei criteri adottati nella liquidazione delle indennità di missione.

Va al riguardo puntualizzato — ad avviso del collegio — che

la sostanziale natura pubblica della istituzione in parola e della

gestione che alla stessa faceva capo imponevano agli organi re

sponsabili di attenersi alla normativa vigente per gli enti di di

II Foro Italiano — 1980 — Parte 111-12.

ritto pubblico in materia di spese per missioni, in conformità — oltre tutto — ad ovvi criteri di economicità e buona ammini

strazione ed attesa l'esigenza di non appesantire con erogazioni

superflue o indebite la non facile situazione finanziaria del « Centro ».

Tali doveri facevano capo innanzitutto all'Usigli che — quale

rappresentante legale dell'ente — aveva a termini di statuto (art.

8) la firma degli atti e provvedeva a tutta l'ordinaria amministra

zione. Egli era, pertanto, l'organo ordinatore della spesa cui spet tava il compito di assumere gli impegni e di disporre i paga menti, ai sensi dell'art. 81 r. d. 18 novembre 1923 n. 2440, non

ché di assicurarsi di volta in volta che questi ultimi fossero con

formi alle previsioni di legge e di bilancio.

11 non aver esercitato siffatto sindacato di legittimità in ordine

ai mandati che venivano sottoposti alla sua firma lo fa ritenere

responsabile, a titolo di colpa, del danno derivato all'ente dalla

illegittima liquidazione delle spese di missione.

La responsabilità dell'Usigli concorre, tuttavia, con quella con

testata al maestro Fasano, che — quale direttore del « Centro » —

aveva in base allo statuto (art. 9) lo specifico compito di pre

parare il programma ed il bilancio particolareggiato annuale, di

curare in genere tutti gli altri compiti e di dare esecuzione alle

deliberazioni del consiglio d'amministrazione. Il Fasano, quindi, è tenuto a rispondere, solidalmente con l'Usigli, della illegittima

liquidazione delle spese di cui è causa non solo perché di fatto

attendeva — come hanno specificamente rilevato gli inquirenti —

all'intera amministrazione del « Centro », predisponendo i titoli

di spesa e conservando presso di sé l'intera documentazione con

tabile, ma anche e soprattutto perché era legittimato a tali im

portanti e delicati compiti della normativa statutaria.

La rilevata responsabilità amministrativa va valutata, tuttavia, nei confronti dei due convenuti con riguardo all'elemento sogget tivo e alle circostanze che hanno caratterizzato i comportamenti

colposi. Nella determinazione concreta del quantum debeatur va te

nuto conto — ad avviso del collegio — del fatto che entrambi i

convenuti non disponevano di una approfondita e specifica com

petenza nelle discipline amministrative e nella complessa conge rie delle disposizioni di natura contabile.

Si ritiene, in forza di ciò, che l'Usigli e il Fasano debbano ri

sarcire in solido all'erario la somma di lire 500.000 oltre agli interessi legali, a far tempo dalle date di notifica dell'atto di ci

tazione, e alle spese di giudizio. Per questi motivi, ecc.

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA

ZIO; Sezione I; sentenza 9 luglio 1980, n. 793; Pres. Tozzi,

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA

ZIO; Sezione I; sentenza 9 luglio 1980, n. 793; Pres. Tozzi, Est. Ferrari; Albisinni (Avv. Salvini) c. Presidente della Re

pubblica, Pres. Cons, ministri (Avv. dello Stato D'Amato,

Chiarotti), Manzari, Di Ciommo.

Giustizia amministrativa — Nomina dell'avvocato generale dello

Stato — Ricorso — Ammissibilità — Carattere politico del

l'atto — Esclusione.

Giustizia amministrativa — Nomina dell'avvocato generale dello

Stato — Ricorso da parte di un vice-avvocato generale — Am

missibilità.

Avvocatura dello Stato — Avvocato generale — Nomina di sog

getto estraneo all'avvocatura — Previa valutazione negativa dei

requisiti attitudinali dei vice-avvocati generali — Legittimità —

Limiti (R. d. 30 ottobre 1933 n. 1611, t. u. delle leggi sulla rap

presentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento

dell'avvocatura dello Stato, art. 28, 30; legge 3 aprile 1979 n.

103, modifiche dell'ordinamento dell'avvocatura dello Stato).

Non sfugge al sindacato da parte del giudice amministrativo, per ché non ha carattere di atto politico, la nomina ad avvocato

generale dello Stato di un soggetto estraneo all'avvocatura del

lo Stato, sulla base della valutazione positiva dei suoi requisiti

attitudinali, conseguente alla valutazione negativa dei requisiti attitudinali dei vice-avvocati generali che altrimenti avrebbero

dovuto essere preferiti. (1)

(1-3) Non risultano precedenti. Il contenzioso relativo al rapporto di impiego degli avvocati dello

Stato, se si eccettuano le decisioni relative a diritti prettamente pa

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PARTE TERZA

E ammissibile il ricorso contro la nomina ad avvocato generale dello Stato di un soggetto estraneo all'avvocatura dello Stato, sulla base della valutazione positiva dei suoi requisiti attitudi

nali, conseguente alla valutazione negativa dei requisiti atti tudinali dei vice-avvocati generali che altrimenti avrebbero do vuto essere preferiti, che sia stato proposto da uno di questi vice-avvocati stessi. (2)

È legittima la nomina ad avvocato generale dello Stato di un

soggetto estraneo all'avvocatura dello Stato, sulla base della valutazione positiva dei suoi requisiti attitudinali, conseguente alla valutazione negativa dei requisiti attitudinali dei vice avvocati generali che altrimenti avrebbero dovuto essere pre feriti, solo se tali valutazioni si basino su una completa istrut toria e su una adeguata motivazione (nella specie, il provve dimento è stato considerato illegittimo, perché è stato preso in considerazione solo il curriculum dell'estraneo prescelto, men

tre non sono stati considerati i titoli professionali, culturali e

direttivi dei vice-avvocati generali, e non si è avuto un partico lare riguardo all'idoneità del vice-avvocato generale che ha eser citato interinalmente per più di tre anni le funzioni di avvocato

generale). (3)

Il Tribunale, ecc. — 1. - Agli effetti della definizione del ri

corso, con il quale viene contestata la legittimità del conferi

mento dell'ufficio di avvocato generale dello Stato a persona estranea all'istituto, è necessario partire dall'interpretazione de

gli atti impugnati, al fine di verificare quali sono stati gli inten

dimenti del governo e il potere di cui esso ha inteso fare uso

nel caso di specie. La proposta di nomina formulata dal presidente del consiglio,

ed integralmente recepita dal consiglio dei ministri, contiene due

proposizioni: nella prima si afferma che una scelta fra i vice av

vocati generali si è rilevata impossibile, essendo state riscon

trimoniali, appare assai scarso: di un qualche rilievo risultano solo due pronunce del Consiglio di Stato: Sez. IV 7 febbraio 1968, n. 63, Foro it., 1968, III, 194, con nota di richiami, relativa al prov vedimento di dispensa dal servizio di un avvocato dello Stato per difetto di operosità e di capacità; e Ad. gen. 23 novembre 1967, n. 1237, id., 1968, III, 521, con nota di G. Caianiello, che richiama

più remoti precedenti, relativo alla sistematica assegnazione ad un avvocato dello Stato solo di affari di scarsa importanza, e alla im

plicita valutazione negativa .cosi data della sua capacità e della sua attitudine ad esplicare le funzioni proprie della qualifica di sostituto avvocato generale.

La portata dell'affermazione della sentenza che si riporta, secondo la quale il presupposto della legittimità della nomina ad avvocato generale dello Stato di un soggetto estraneo all'avvocatura dello Sta to sarebbe costituito dalla previa valutazione negativa, sulla base di una completa istruttoria e di una adeguata motivazione, dei requi siti attitudinali di tutti i vice-avvocati generali, va considerata alla luce delle modifiche apportate alla carriera degli avvocati dello Stato dalla legge 3 aprile 1979 n. 103: tale carriera si articola ormai solo in tre qualifiche: avvocato generale dello Stato, avvocati dello Stato, procuratori dello Stato, con la soppressione di tutte le altre quali fiche, a cominciare da quella di vice-avvocato generale (art. 1); conseguentemente, la posizione in ruolo immediatamente inferiore a quella di avvocato generale dello Stato è diventata quella degli av vocati dello Stato pervenuti alla quarta ed ultima classe di stipen dio; ed è una posizione che, presumibilmente, sarà comune a molti avvocati dello Stato, giacché essa è attribuita, secondo il turno di anzianità e previo giudizio favorevole, agli avvocati dello Stato che abbiano una anzianità di otto anni nella terza classe, alla quale si può pervenire dopo dieci anni dalla nomina ad avvocato dello Stato; la competenza a disporre al riguardo è dell'avvocato generale dello Stato (art. 3), su parere del consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato (art. 23); le funzioni di vice-avvocato generale dello Stato sono diventate contenuto di un incarico, conferito a nove avvocati dello Stato che abbiano conseguito l'ultima classe di stipendio, con decreto del presidente del consiglio, previa deliberazione del con siglio dei ministri, su proposta motivata dell'avvocato generale dello Stato, sentito il consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato (art. 16).

È da rilevare, inoltre, che la sentenza che si riporta, dichiarati assorbiti i motivi di ricorso ulteriori rispetto a quello che ha portato all'annullamento dell'impugnato provvedimento di nomina, ha nega to rilevanza, e quindi ha lasciato impregiudicata la manifesta infon datezza della questione di costituzionalità dell'art. 30 r. d. 30 otto bre 1933 n. 1611, il quale appunto attribuisce al governo il potere di nominare avvocato generale dello Stato un soggetto estraneo al l'avvocatura dello Stato.

La vicenda, di larga notorietà, nella quale è intervenuta la ripor tata sentenza, si è conclusa col rinnovo dell'annullato provvedimento di nomina.

trate in tutti i detti soggetti carenze attitudinali; nella seconda

si aggiunge che il risultato negativo della prima indagine ha in

dotto il governo a ripiegare su una scelta esterna la quale, con

trariamente alla prima, ha dato esito positivo giacché ha con

sentito di individuare un soggetto (l'avv. Manzari) in possesso di quelle specifiche attitudini di cui i vice avvocati generali in carica avevano invece dimostrato di essere carenti.

Dall'articolazione della proposta e dalla motivazione risulta

pertanto in modo chiaro quale è stato il ragionamento seguito dall'amministrazione. Essa non ha dubitato che la scelta del nuo

vo avvocato generale dovesse essere eseguita dapprima fra i vice

avvocati generali, come dimostra la successione logica e crono

logica delle argomentazioni, e solo quando a conclusione della

preliminare indagine ha dovuto prendere atto che tale scelta

incontrava « insormontabili difficoltà », ha ripiegato su soluzione

esterna.

Tale conclusione consente già di disattendere, in punto di fatto, la tesi prospettata dalla difesa dell'amministrazione resistente, se

condo cui il governo si sarebbe avvalso della facoltà, che l'or

dinamento gli riconoscerebbe, di scegliere liberamente all'interno

o all'esterno dell'istituto. È vero invece, e la documentazione

in atti ne fornisce la prova irrefutabile, che la scelta esterna

è stata intesa dal governo solo in funzione surrogatoria di una

nomina interna che non ha potuto realizzare, a ciò opponendosi le riscontrate, insormontabili carenze attitudinali degli otto vice

avvocati generali in carica.

2. - L'interpretazione degli atti impugnati è illuminante anche

al fine di definire la natura giuridica degli stessi e, in partico lare, al fine di accertare se si tratta di atti politici, come ha sug

gerito sia pure in termini solo problematici la difesa dell'am

ministrazione, onde farne discendere il difetto di giurisdizione di questo tribunale e di legittimazione attiva del ricorrente.

In materia di atto politico la giurisprudenza insegna due cose:

innanzi tutto che la verifica va fatta caso per caso, secondo un

metodo che la dottrina, preoccupata di ricondurre tutta l'espe rienza giuridica in categorie ben definite, definisce empirico, ma

che invece riflette il bisogno del giudice di guardare (al di là

delle formule) i fatti .concreti e i moventi che ne sono alla

base; in secondo luogo che l'attribuzione dell'aggettivazione « po litico » ad un atto posto in essere dal governo deve essere con

siderata con estrema prudenza.

E ciò non per l'istintiva resistenza che il giudice amministra

tivo opporrebbe a qualsiasi tentativo inteso a ridurre l'ambito

del proprio sindacato (come potrebbe da qualche parte supporsi), ma per una diversa e più elevata ragione, che dovrebbe essere un dato presente nel patrimonio culturale di ognuno, e cioè che

l'atto politico (per definizione libero nella scelta dei fini e dei

mezzi) riduce lo status del cittadino, da membro partecipe di una collettività organizzata su basi democratiche, a quello di

suddito, e tale deminutio è consentita dal nostro ordinamento solo quando sono in gioco gli interessi « supremi » dello Stato

ovvero ricorrono « situazioni contingenti che possano turbare la vita del paese e il funzionamento dell'ordine interno ed inter nazionale » (Cass., Sez. un., 20 marzo 1956, n. 896, Foro it., 1956, I, 699; Cons. Stato, Sez. V, 20 febbraio 1954, n. 171, id., 1954, III, 65).

Al di fuori di queste ipotesi la pretesa dell'amministrazione di attribuire natura e finalità politiche ad un proprio atto non

può essere assecondata, giacché si traduce nell'inammissibile ten

tativo di incidere sulla sfera giuridica del cittadino al di fuori delle regale e delle garanzie fissate dall'ordinamento e di sfug gire al controllo giurisdizionale che, in presenza di un'attività

amministrativa, il giudice deve poter sempre svolgere con pie nezza di poteri e libertà di giudizio.

Utilizzando questi concetti per il caso di specie risulta evidente l'estrema fragilità del tentativo di dare agli atti impugnati na tura diversa da quella di normale atto amministrativo.

L'esigenza che il governo ha dovuto affrontare non impin geva negli interessi supremi dello Stato, al punto da condizio narne la vita e il funzionamento (tanto è vero che esso ha rite nuto di poter attendere tre anni prima di procedere alla nomina dell'avvocato generale), né gli poneva problemi di scelta di fini e di mezzi, gli uni e gli altri essendo già fissati dall'ordinamento.

Il fine era quello di coprire la qualifica apicale di un organi smo pubblico {l'avvocatura dello Stato) in conseguenza della cessazione dal servizio per pensionamento della persona fisica che di tale qualifica era investita. Il mezzo era quello che l'or dinamento indicava al governo, senza lasciargli spazio per va

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

lutazioni che fossero estranee all'esigenza di assicurare il buon

funzionamento di una pubblica amministrazione rimasta tempo raneamente senza capo, e cioè la ricerca di un soggetto (non im

porta in questo momento definire l'ambito entro il quale la ri

cerca doveva essere effettuata) che fosse in possesso di tali re

quisiti culturali e avesse maturato tali esperienze professionali da proporsi come soggetto-guida per l'intera categoria degli av vocati e procuratori dello Stato.

In considerazione dell'elevatezza dell'ufficio da conferire si può, al limite, ritenere che si tratti di atti di alta amministrazione, secondo una terminologia che una parte della dottrina ha mu

tuato dal linguaggio dei burocrati e alla quale si oppone la con

siderazione unitaria della funzione amministrativa e la sua in

tolleranza nei confronti di aggettivazioni che non possono avere

altro effetto oltre quello, proprio delle aggettivazioni, di limi

tarla.

Ed è in questo senso che, correttamente, l'ha inteso il governo: in primo luogo nella procedura di nomina, allorché ha espres samente dichiarato di aver adottato come parametro di valuta

zione, nella preliminare fase istruttoria, un canone di buona

amministrazione (i requisiti attitudinali) e non una esigenza po

litica, ed ha anche spiegato le ragioni per le quali la scelta ha

condotto ad un certo risultato; nella successiva fase contenziosa, allorché senza indugio si è adeguato all'ordinanza del giudice ed ha esibito nel processo tutti gli atti della procedura impu

gnata.

3. - Definita la natura degli atti impugnati e superato, di con

seguenza, l'ostacolo rappresentato dal controllo della giurisdi

zione, è necessario ora affrontare il problema della legittimazione del ricorrente alla proposizione del ricorso e verificare l'esistenza

di un interesse concreto dello stesso ad una pronuncia di annul

lamento.

Anche in questo caso soccorre l'interpretazione degli atti im

pugnati. Risulta da essi che il ricorrente, nella sua qualità di

vice avvocato generale, è stato esaminato agli effetti del confe

rimento dell'ufficio di avvocato generale, in quanto compreso nella cerchia di coloro fra i quali il governo ha ritenuto che la

scelta dovesse essere prioritariamente effettuata.

Egli si presenta pertanto come portatore di una posizione

giuridica differenziata che la stessa amministrazione gli ha ri

conosciuto (quella di candidato al conferimento dell'ufficio) e

che egli assume essere stata indebitamente lesa dall'ingiustificato

giudizio di inidoneità espresso nei suoi confronti dai provvedi menti impugnati.

È del pari evidente il suo interesse concreto ad ottenere una

decisione che dichiari l'illegittimità degli atti impugnati, giacché la conseguenziale pronuncia di annullamento del decreto di no

mina dell'avv. Manzari, al quale il governo è pervenuto avendo

preliminarmente constatato l'inidoneità sua e degli altri vice av

vocati generali, gli restituirebbe intatte e la posizione di candi

dato all'ufficio e le possibilità di ottenere quest'ultimo.

4. - Sgombrato il campo dalle questioni preliminari è ora pos sibile affrontare il merito del ricorso. Si è già detto in narrativa

che il ricorrente propone due tesi graduate: sostiene innanzi tut

to che la scelta del soggetto al quale conferire l'ufficio di avvo

cato generale deve necessariamente ricadere su persona che fac cia parte della carriera degli avvocati dello Stato e, conseguen

temente, contesta al governo il potere di effettuare una scelta

esterna (primo motivo); in via subordinata afferma che tale po tere di scelta esterna è meramente surrogatorio di una scelta in

terna che in un certo momento, per ragioni obiettive, si riveli

impossibile, impossibilità che peraltro l'amministrazione deve ac

certare e adeguatamente motivare (terzo motivo). La fondatezza dell'assunto del ricorrente deve essere verifi

cata esclusivamente sulla base di una interpretazione rigorosa della normativa che disciplina la materia.

Ed invero, il richiamo fatto da ambedue le parti in causa alle

modalità con le quali, prima dell'avvento del regime democra

tico, si è provveduto in concreto al conferimento dell'ufficio di

avvocato generale, al fine di ritrarne una conferma della validità

delle rispettive tesi, ha un valore assolutamente marginale. Se è

vero, infatti, che ogni fatto giuridico contribuisce a formare

l'esperienza giuridica di un popolo, non è men vero che esso

non si presenta mai disgiunto dal giudizio che l'accompagna. Si vuol dire, in altri termini, che l'arroganza di un determinato

regime o la pavidità del singolo, che non si ribella all'ingiu stizia, non sono elementi in grado di proporsi come chiave di

lettura di un complesso di norme, ma solo fatti di costume ca

paci di far comprendere le ragioni del formarsi di una realtà

giuridica in un certo momento storico, ma non di legittimarla né tanto meno di imporsi come guida per l'interprete, il quale deve operare esclusivamente sulla base degli strumenti conosci

tivi che l'ordinamento gli indica.

5. - Il r. d. 30 ottobre 1933 n. 1611 disponeva che al confe

rimento dell'ufficio di avvocato generale si potesse provvedere in due modi: attraverso la promozione del vice avvocato generale (art. 28) oppure attraverso la nomina (art. 30).

Che quest'ultimo articolo introducesse un sistema di scelta al

ternativo rispetto al primo, e non si limitasse soltanto a speci care il procedimento attraverso il quale doveva avvenire l'indi

viduazione e la valutazione del soggetto da promuovere, è di

mostrato dal fatto che ambedue le norme innanzi citate descri

vono una identica procedura per il conferimento dell'ufficio (la

proposta del capo del governo, la deliberazione del consiglio dei ministri, la decretazione del capo dello Stato). Di conseguen za non è possibile attribuire all'art. 30 il ruolo di norma inu

tilmente ripetitiva di quanto già dettagliatamente previsto dal

precedente art. 28.

Nello stesso tempo la lettura del r. d. n. 1611, nel suo com

plesso, offre sicure indicazioni sulla precisa intenzione del le

gislatore del 1933 di privilegiare una scelta non solo interna al

l'istituto, ma anche nel rispetto dei meriti acquisiti attraverso la progressione nella carriera.

La prima indicazione in questo senso è rappresentata dall'as

sunzione (per la prima volta operata) della qualifica di avvocato

generale nell'ambito della carriera degli avvocati dello Stato, come momento apicale della stessa. Si tratta di una innovazione

che l'interprete deve saper valutare in tutto il suo significato: la qualifica di avvocato generale non è solo il traguardo presti

gioso che il nuovo ordinamento offre al personale di carriera che ha più meritato, ma è soprattutto l'ufficio nel quale devono naturalmente proiettarsi e confluire le esperienze professionali di una intera categoria, con il suo tradizionale abito mentale e il suo bisogno di libertà di giudizio. Quindi non più un ufficio

giustapposto alla categoria degli avvocati dello Stato, con com

piti di direzione e di controllo in funzione di esigenze estranee alla categoria, ma naturale espressione di quest'ultima, nel suo

momento più alto.

La seconda indicazione è rappresentata proprio dal sistema della promozione, la cui previsione legislativa comporta quanto meno la legittima aspettativa del soggetto promovibile (il vice

avvocato generale) a veder valutata la sua attitudine a coprire l'ufficio superiore prima che il governo ripieghi su una scelta esterna.

Se ben si riflette, nell'ordinamento delineato dal r. d. n. 1611 il sistema della promozione non solo definisce il ruolo subordi nato e surrogatorio del sistema della nomina ma, in quanto li

mitato ai soli funzionari con qualifica di vice avvocato gene rale, fornisce anche la spiegazione logica della previsione di que st'ultima come strumento al quale fare ricorso per assicurare una direzione all'istituto non solo quando manchi il presuppo sto oggettivo per procedere alla promozione (manchi cioè un

vice avvocato generale), ma anche quando la valutazione di que sti abbia dato esito negativo.

È del tutto evidente, infatti, che la possibilità che l'ordina mento offre al vice avvocato generale di essere valutato per la

promozione non si converte in un diritto di questi ad essere in

ogni caso promosso, con la conseguenza che, quando la promo zione non può avvenire o perché manca il soggetto promovi bile o perché questi è stato ritenuto non idoneo, è possibile provvedere al conferimento dell'ufficio attraverso lo strumento della nomina, il quale consente di verificare sia fra le qualifiche inferiori a quella di vice avvocato generale che all'esterno del l'istituto l'esistenza di soggetti dotati di adeguati requisiti cultu rali e professionali.

6. - Ritiene il collegio che il sistema delineato dal r. d. n. 1611/ 33 — che, ripetesi, privilegia la scelta interna, ma contempora neamente tiene conto dell'esigenza di assicurare una direzione al

l'istituto, ove tale scelta si sia dimostrata obiettivamente impos sibile — non sia mutato a seguito dell'entrata in vigore della

legge 3 aprile 1979 n. 103 dal momento che non emergono dal

testo della nuova normativa indicazioni tali da far desumere

l'intenzione del legislatore di modificare il sistema precedente e,

quindi, di limitare la scelta dell'avvocato generale dello Stato solo all'interno dell'istituto (come assume il ricorrente) ovvero di affidarla alla completa discrezione del governo (come so

stiene invece l'amministrazione resistente).

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PARTE TERZA

Va precisato, a questo proposito, che il problema che si pone all'attenzione del collegio, e alla cui definizione hanno interesse

le parti in causa, è quello dell'ambito nel quale deve essere effet

tuata la scelta (i soli avvocati dello Stato ovvero chiunque ab

bia requisiti culturali e professionali adeguati all'ufficio da con

ferire), e non dello strumento attraverso il quale tale scelta può essere operata. Non rileva, pertanto, chiedersi in questa sede se

l'abolizione della qualifica di vice avvocato generale, ad opera

della legge n. 103, e la sua trasformazione in incarico abbiano

comportato o no l'inapplicabilità dello strumento della promozio ne (che all'esistenza di detta qualifica era collegato) e se attual

mente il governo dispone del solo strumento della nomina giac ché qualunque fosse la soluzione che si desse al quesito non mu

terebbe per ciò stesso la sostanza del problema, il quale con

cerne solo l'ambito della scelta e, quindi, i soggetti che possono essere considerati.

Non è dubbio, e in ciò può convenirsi con il ricorrente, che

una delle più significative innovazioni realizzate dalla legge n.

103 riguarda l'abolizione del potere, in passato riconosciuto al

governo (art. 31 r. d. n. 1611/33), di procedere a nomine per chiamata diretta per tutte le qualifiche inferiori a quella di av

vocato generale. Attualmente l'unico sistema di accesso alla car

riera degli avvocati e procuratori dello Stato è, infatti, il con

corso pubblico, riservato a soggetti in possesso di sparticolari re

quisiti culturali e professionali e strutturato in imodo tale da

costituire un sistema di verifica e di selezione che ha pochi equi valenti nel pubblico impiego.

Questa innovazione ha un duplice significato: di conferma del

l'autonomia dell'istituto nei confronti dell'amministrazione, in

coerenza con la sua natura di organo istituito dalla legge per la

difesa legale e la consulenza dello Stato nella sua unitarietà (au tonomia che l'avvocatura dello Stato ha sempre rivendicato e

che la dottrina concordemente le riconosce); di accentuazione

della sua professionalità (e professionalità non significa soltanto

saper fare il proprio mestiere, come sembra intendere la difesa

dell'amministrazione, ma poterlo anche fare in condizioni che

garantiscono piena libertà di giudizio).

Sembra invece piuttosto azzardata la pretesa di ricavare dal

l'abolizione della chiamata diretta, come strumento di accesso al

la carriera, il segno di una sicura intenzione del legislatore di

imporre in ogni caso una scelta interna per il conferimento del

l'ufficio di avvocato generale, e quindi anche nel caso in cui una

istruttoria serena, completa e scevra da implicazioni di carat

tere politico dimostri la mancanza all'interno dell'istituto di

elementi dotati dei necessari requisiti attitudinali. |È più ra

gionevole, invece, intendere detta innovazione come una ulte

riore riprova della volontà del legislatore di assicurare all'or

gano tecnico, a tutti i livelli, personale selezionato sulla base

di criteri obiettivi e predeterminati e quindi il segno di una pre ferenza che si proietta anche sulle modalità di scelta della per sona fisica alla quale conferire la qualifica di vertice, ma che non esclude per quest'ultima, in ipotesi particolari, il ricorso ad una ricerca che si spinga al di fuori dell'istituto.

Allo stesso modo, l'allargamento dell'ambito entro il quale il

governo può effettuare la scelta interna (tutti gli avvocati dello Stato alla quarta classe di stipendio, con una prioritaria conside razione per quelli investiti dell'incarico di vice avvocato gene rale), se di fatto è in grado di ridurre la necessità per il go verno di dover ripiegare su una scelta esterna, non è elemento

che, in linea di principio, vale ad escluderla.

Si tratta, in altri termini, soltanto di elementi che nel loro insieme confermano ed accentuano una linea di tendenza già presente nel vecchio ordinamento, ma che da soli non sono in

grado di esprimere un preciso divieto, assumendo il ruolo che nell'ordinamento giudiziario è affidato ad una norma espressa (art. 189 r. d. 30 gennaio 1941 n. 12).

7. - Allo stesso modo manca nella nuova legge qualsiasi indi cazione che autorizzi a concludere che il legislatore del 1979, anacronisticamente rinnegando una scelta consapevolmente ef fettuata cinquant'anni or sono, abbia inteso affidare la nomina dell'avvocato generale dello Stato alla completa ed insindacabile discrezionalità del governo. Né la difesa dell'amministrazione ha

saputo offrire all'attenzione del collegio valide argomentazioni in

questo senso.

Il richiamo alla « soppressione di qualsiasi carriera » nell'am bito dell'avvocatura dello Stato, che sarebbe stata operata dalla

legge n. 103, oltre <ad essere inesatto in punto di fatto ove si con siderino le modalità di passaggio dalla qualifica di procuratore

a quella di avvocato (art. 5) e il igiudizio favorevole che si ri

chiede per l'attribuzione delle classi di stipendio nell'ambito del

la qualifica di avvocato (art. 3), non è neppure pertinente giac ché agli effetti del problema che qui interessa risolvere (e cioè

l'ambito entro il quale deve essere effettuata la scelta dell'av

vocato generale) ciò che rileva non è il modo nel quale è strut

turato l'istituto dell'avvocatura dello Stato, ma il fatto che esso

esiste, e soprattutto che è organizzato in modo da richiedere nei

soggetti che vi operano sicure doti di professionalità, con la con

seguenza ovvia (dettata dal buon senso, prima che da argomen-, tazioni giuridiche) che dentro di esso va effettuata la ricerca

dell'elemento al quale affidare la qualifica di vertice, prima di

ripiegare su soluzioni esterne.

Del pari non si comprende quale ragionamento sottintenda

la frase, che pure si 'legge nella memoria difensiva dell'ammini

strazione, secondo cui la libera scelta governativa sarebbe giusti ficata dal fatto che all'avvocato generale spetta « l'apprestamento di linee strategiche generali che guardano oltre ai singoli epi sodi di difesa e di consulenza, per esigenze di coordinamento e

di superiore valutazione degli stessi interessi pubblici in gioco, di cui può farsi interprete chi risponde degli indirizzi assunti al

l'esterno dell'istituto verso una sede costituzionalmente compe tente ».

Se si è inteso dire che quello di avvocato generale è un uffi

cio di grande rilievo e che perciò non può essere conferito sulla

base di una semplice sommatoria di punteggi riferiti ai diversi

aspetti della personalità del candidato, come avviene nelle nor mali promozioni, ma presuppone una valutazione globale di

quest'ultima, non si può non essere d'accordo, anche se si

potrebbe rilevare che nessuno più di colui che è stato nel corso della sua carriera protagonista di « singoli episodi di difesa e di consulenza » è in grado di svolgere, sulla base dell'esperienza

acquisita al servizio dello Stato, attività di « coordinamento e di superiore valutazione degli interessi pubblici in gioco », o

quanto meno di svolgere in maniera più adeguata di chi non ha neppure esperienza di « singoli episodi di difesa e di con sulenza ».

Se invece la frase sottintende un altro discorso, che non si è ritenuto opportuno di esplicitare, e cioè che l'avvocato generale deve essere persona di fiducia e di gradimento del governo (o,

meglio ancora, delle forze politiche che lo sorreggono), allora

questo discorso diventa inaccettabile per un triplice ordine di

ragioni: a) innanzi tutto perché l'avvocato generale è avvocato dello Stato e di questi tutela gli interessi unitari, che non ne cessariamente si identificano con quelli dell'esecutivo; b) in se condo luogo perché nel nostro ordinamento è all'avvocato genera le che spetta svolgere compiti di consulenza nei confronti del

governo, con quella autonomia di giudizio che gli deriva innanzi

tutto dalla status di avvocato, e non al governo di dare direttive

sul modo con il quale tale consulenza « legale » deve essere svol

ta, allo stesso modo che non gli è consentita alcuna ingerenza sull'attività del giudice (e la migliore dottrina ha individuato

proprio nella costante ricerca della « giustizia » — fine primo dello Stato — l'elemento che avvicina la figura dell'avvocato dello Stato a quella del magistrato); c) in terzo luogo perché nel nostro ordinamento ogni organo ha una precisa collocazione e

svolge una precisa funzione, e l'esigenza del coordinamento e della direzione non può essere spinta fino al punto da determina re capovolgimento dei ruoli e, soprattutto, rinuncia alla funzione.

D'altro canto, e conclusivamente, proprio nei provvedimenti impugnati è la riprova che nel caso di specie il governo non si è affatto inteso libero di scegliere a sua discrezione, come

pretende la sua difesa, ma al contrario si è considerato obbligato a verificare l'esistenza di soggetti idonei innanzi tutto nell'ambito

dell'avvocatura dello Stato (come vuole la norma) ed ha ripie gato su una scelta esterna solo dopo aver espresso un giudizio di non idoneità nei confronti di tutti i vice avvocati generali in carica.

8. - Il problema si sposta quindi su un altro piano, e cioè sul la verifica della congruenza delle ragioni che il governo ha adot tato a giustificazione della sua scelta e che vengono investite dal ricorrente con una serie articolata di censure, volte a denunciare l'eccesso di potere compiuto in suo danno sotto il profilo del difetto di istruttoria e di motivazione, del travisamento dei fatti, della ingiustizia manifesta e dello sviamento.

Si legge nella proposta formulata dal presidente del consiglio che « una scelta ricadente sui vice avvocati generali incontra insormontabili difficoltà sotto vari profili attitudinali, come ri

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

sulta dal fatto stesso che tale soluzione non ha consentito per

lungo tempo di procedere alla nomina ». Si aggiunge che « avva

lendosi quindi della facoltà di una scelta esterna all'istituto, il

presidente del consiglio propone che sia nominato l'avv. Giusep

pe Manzari, il cui curriculum attesta le preclare, specifiche atti

tudini professionali del proposto, sia in dipendenza del servizio

reso presso l'avvocatura, sia con riguardo all'attività svolta come

presidente di sezione del Consiglio di Stato e nei delicati incari

chi giuridico-amministrativi affidatigli ».

Tale essendo il tenore testuale della proposta, va subito pre cisato che non può essere assecondato il tentativo effettuato

dalla difesa dell'amministrazione di evitare l'esame di merito

delle censure contro di essa dedotte in base alla considerazione

che nel nostro ordinamento non esisterebbe un obbligo generale di motivazione degli atti amministrativi, e in special modo di

quelli ampiamente discrezionali. È sufficiente infatti osservare

che nel caso di specie il governo ha esplicitato le ragioni della

sua scelta, correttamente ritenendo che in uno Stato di diritto

l'esercizio della funzione amministrativa, a qualsiasi livello esso

sia svolto, comporta sempre l'obbligo della motivazione quando incide negativamente su posizioni giuridiche altrui (nella specie,

quelle dei vice avvocati generali che il governo ha dichiarato

di voler prioritariamente valutare agli effetti del conferimento

dell'ufficio). Pertanto le considerazioni svolte dalla difesa dell'amministra

zione devono ritenersi non rilevanti e non pertinenti al caso di

specie. Del pari deve essere disatteso il tentativo della stessa difesa

di evitare il controllo giurisdizionale, questa volta sulla congruità della motivazione, in base alla considerazione che il documento — che peraltro la stessa amministrazione ha depositato in giudi zio come « copia conforme della proposta del presidente del

consiglio dei ministri » e la cui autenticità risulta attestata dalla

sottoscrizione del sottosegretario di Stato alla presidenza — ver

balizzerebbe solo in forma estremamente sintetica le diffuse e ar

ticolate argomentazioni che il capo del governo avrebbe oral

mente sottoposto all'attenzione del consiglio dei ministri.

Trattasi, anche in questo caso, di mera affermazione difensiva, non rilevante e non pertinente.

Può opporsi, in primo luogo, che il verbale non è mai la ri

produzione meccanica della discussione orale, ma è un docu

mento giuridico che riporta ciò che giuridicamente interessa.

Può aggiungersi che, essendo la verbalizzazione null'altro che

la forma scritta dell'atto orale da verbalizzare, ciò che non è

nel verbale non è neppure nell'atto. Può, nella pratica, verifi

carsi un problema di rispondenza e di fedeltà fra verbalizzazione

e atto verbalizzato, ma questa non è la situazione che ricorre nel

caso di specie dal momento che il verbale è stato approvato dal

consiglio dei ministri e la sua autenticità risulta attestata dalla

sottoscrizione del sottosegretario di Stato.

D'altro canto non si comprende quale risultato positivo può

ragionevolmente pretendere l'amministrazione di ricavare dalla

sua impostazione difensiva, quando anche sul piano della seman

tica è chiara la differenza che passa fra « sintesi », la quale espri me un dato positivo (cioè la capacità del verbalizzante di saper ricondurre ad unitarietà logica un insieme di elementi) e « in

completezza », della quale può essere giudice solo chi, successi

vamente alla verbalizzazione, approva il verbale.

Deve pertanto concludersi che la proposta presidenziale depo sitata in giudizio è un atto formale che esprime sinteticamente, ma compiutamente e chiaramente, le ragioni che hanno portato alla scelta impugnata.

Ripiegando su un assunto ancora più subordinato la difesa del l'amministrazione ha prospettato una propria interpretazione del

significato che, quanto meno, dovrebbe essere attribuito alle pa role adoperate nella formulazione della proposta: accennando

alle « insormontabili difficoltà sotto vari profili attitudinali », che

avrebbero impedito per lungo tempo una scelta fra i vice av

vocati generali, il presidente del consiglio non avrebbe inteso for

mulare un giudizio negativo sulle attitudini professionali dei

soggetti sopramenzionati, « il possesso delle quali non è in di

scussione"», ma soltanto riferirsi alla opportunità di ricorre alla

scelta esterna come mezzo per superare le divisioni interne con

seguenti all'emergere, in seno all'istituto, dii due auto-candida ture facenti capo ai due vice avvocati generali più anziani, la

cui rigida contrapposizione avrebbe di fatto impedito al governo per lungo tempo (circa un triennio) di procedere ad una scelta

interna.

Il collegio ritiene di non poter seguire l'amministrazione su

questa linea difensiva: innanzi tutto perché delle vicende sopra

riportate non esiste alcuna menzione negli atti impugnati, e

questi devono essere interpretati per ciò che riferiscono e non

per ciò che si intende ad essi attribuire; in secondo luogo per ché — senza che gli atti in questione offrano alcun riscontro

obiettivo — gratuitamente si attribuisce al governo una respon sabilità gravissima sul piano giuridico, e cioè quella di aver

omesso di esercitare la propria funzione in conseguenza dell'osta

colo rappresentato dalle concorrenti, personali aspirazioni di due

pubblici funzionari.

Allo stesso modo il collegio non ritiene di poter seguire nep

pure il ricorrente allorché, anche in questo caso senza alcun

riscontro obiettivo negli atti impugnati, imputa il ritardo nella

nomina dell'avvocato generale dello Stato alla resistenza op

posta dal precedente governo (convinto che la scelta interna fos

se l'unica legittima) alle pressioni esercitate da alcune forze po litiche in favore di una candidatura esterna e riconduce la no

mina deU'aw. Manzari, disposta dall'attuale governo, nella lo

gica della lottizzazione fra i partiti dei posti e delle cariche in

seno alla pubblica amministrazione.

Ambedue le versioni fornite dalle parti in causa non trovano

alcun riscontro negli atti del procedimento impugnato, gli unici

sui quali il collegio deve soffermare il proprio esame.

Questa conclusione non è espressiva del rifiuto da parte del

giudice amministrativo di verificare l'esistenza di una real

tà in ipotesi diversa da quella che emerge dagli atti di

causa, ma è, al contrario, precisa consapevolezza da parte di

questi del proprio ruolo e della propria funzione, oltre che del

l'esistenza di due sedi, la giudiziaria e la politica, ■ nelle quali il

governo può essere contemporaneamente chiamato a rispondere del proprio operato.

Il giudice amministrativo è il giudice naturale del governo nel

momento in cui questi svolge un'attività amministrativa volta al

conferimento di pubblici uffici, a tutti i livelli: in questo ambito

esso svolge il suo sindacato di legittimità con la pienezza dei po teri che la Costituzione gli assegna, poteri che conducendo al

l'annullamento dell'atto illegittimo risultano adeguati al fine che

a mezzo di essi l'ordinamento si prefigge di raggiungere (la ri

spondenza dell'azione amministrativa al pubblico interesse) e che

sono naturalmente destinati ad esercitare una incidenza crescente

nella vita del paese nella misura in cui cala di tono l'azione am

ministrativa e cresce, di conseguenza, la domanda di giustizia da parte dei cittadini.

L'esercizio di questi poteri non determina una indebita occu

pazione di spazi costituzionalmente riservati all'amministrazione, ma si traduce al contrario in una sollecitazione affinché essa, nei suddetti spazi, operi nel rispetto completo delle regole fis

sate dall'ordinamento, e in un costante controllo a che non si

verifichino pericolose deviazioni, sotto forma di illegittima com

pressione della sfera giuridica dei cittadini.

Nella qual cosa, in uno Stato di diritto quale è il nostro, si so

stanzia la funzione del giudice amministrativo.

9. - Ritiene pertanto il collegio che alla motivazione contenuta

negli atti impugnati non possa essere attribuito altro senso oltre

quello fatto palese dal significato proprio delle parole adoperate, secondo la loro connessione, e che pertanto il presidente del

consiglio, accennando alle « insormontabili difformità sotto vari

profili attitudinali » che incontrava una scelta ricadente sui vice

avvocati generali, ha inteso dire che nessuno di essi era in pos sesso di quelle « preclare, specifiche attitudini professionali » che

sono indispensabili per coprire, con il prestigio che deriva dalla

competenza, l'alto ufficio (attitudini che ha invece dichiarato di

aver riscontrato nel soggetto esterno, l'avv. Manzari).

Risulta cioè per tabulas che il metro che il governo ha dichia

rato di voler utilizzare per la scelta è stato quello che, secondo

un canone elementare di buona amministrazione, deve essere

adoperato allorché si tratta di conferire la direzione di un organo tecnico (quale è l'avvocatura dello Stato), e cioè il possesso in

misura superiore di « specifiche attitudini professionali ».

Tale essendo il criterio di valutazione al quale (correttamente) ha fatto ricorso il governo, è fondata la censura di eccesso di

potere dedotta dal ricorrente sotto il profilo della carenza di

istruttoria e della incongruità ed insufficienza della motivazione.

Per quanto attiene al primo profilo (carenza di istruttoria) la

difesa dell'amministrazione non ha fornito alcun elemento obiet

tivo in grado di contrastare l'affermazione del ricorrente secondo

cui il giudizio di inidoneità nei confronti suoi e degli altri vice

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PARTE TERZA

avvocati generali sarebbe stato espresso senza alcuna preliminare verifica dei titoli professionali, culturali e direttivi dagli stessi

posseduti. Né una smentita a tale affermazione può rinvenirsi

nella documentazione versata in atti a seguito di ordinanza pre

sidenziale, giacché dalla stessa risulta che isolo per l'avv. Man

zari è stato predisposto un curriculum, contenente una analitica

indicazione dei titoli posseduti, da sottoporre al vaglio del con

siglio dei ministri.

Non si tratta di interpretare una vicenda facendosi condizio

nare « da una logica burocratica dominata dal costante riferimento

a procedimenti di promozione », come la difesa dell'amministra

zione rimprovera al ricorrente, ma della legittima pretesa di

quest'ultimo — una volta che l'amministrazione si è corretta

mente avviata sulla via di una prioritaria ricerca nell'ambito del

l'istituto, cosi come prescritto dall'ordinamento — di ottenere che

la ricerca in questo ambito non sia soltanto un fatto formale, da concludersi con un apodittico giudizio di inidoneità nei con

fronti dèi soggetti esaminati, ma che sia svolta al contrario con

l'obiettività e l'imparzialità di cui l'amministrazione deve dar

prova in qualsiasi campo, e non soltanto quando procede alle

promozioni dei pubblici dipendenti.

Una volta attribuito alla censura del ricorrente il suo esatto

significato, è possibile trarre alcune conclusioni.

La prima di queste è che il titolare della proposta, in qualsiasi settore operi la pubblica amministrazione, non può esimersi dal

l'obbligo della . preventiva acquisizione degli elementi di cono

scenza da sottoporre al vaglio dell'organo collegiale competente alla decisione; allo stesso modo non è consentito a quest'ultimo di rinunciare al suo potere-dovere di conoscere i suddetti ele

menti prima di deliberare, senza svilire la sua funzione ad una

mera presa di atto di decisioni assunte in altra sede.

La seconda è che incorre in eccesso di potere l'autorità che,

dopo aver dichiarato di voler effettuare una scelta sulla base

di un criterio obiettivo, va alla ricerca degli elementi necessari

per formulare un giudizio positivo nei confronti di un determi nato soggetto ed esprime un giudizio negativo su altri senza aver

preventivamente verificato la sussistenza di fatti in grado di giu stificarlo. Nella specie la documentazione in atti dimostra che

gli adempimenti istruttori sono stati curati solo nei confronti

dell'avv. Manzari, attraverso la predisposizione di un analitico

curriculum, mentre nulla di simile è stato fatto nei riguardi dei

vice avvocati generali, onde consentire al consiglio dei ministri

di deliberare con cognizione di causa.

La terza considerazione è che, quando una scelta investe una serie di soggetti, l'istruttoria non può esimersi dal verificare se le posizioni facenti capo a ciascuno di questi non siano per ipo tesi diversificate, se cioè fra di essi non ci sia qualcuno nei con fronti del quale la preliminare verifica deve essere condotta in un'ottica diversa. Nella specie fra i funzionari considerati dal

governo in vista del conferimento dell'ufficio di avvocato gene rale dello Stato c'era il vice avvocato generale vicario, che tale

ufficio ha coperto interinalmente per non breve tempo (circa tre

anni) e che, pur non disponendo di quella pienezza di poteri che può conseguire solo dall'attribuzione formale della qualifica, ha assicurato all'istituto un funzionamento « senza alcun intral cio », cosi come lo stesso governo ha ufficialmente riconosciuto in sede parlamentare. Pertanto non è consentito all'amministra zione di accomunare in un generale giudizio di inidonfeità soggetti investiti di responsabilità cosi' diversificate e negare anche all'av vocato generale vicario l'attitudine all'ufficio senza aver preven tivamente acclarato l'esistenza di fatti specifici, maturatisi nel triennio dell'interinato e a lui imputabili, che configurino nella loro obiettiva consistenza e gravità un ostacolo « insormontabile »

alla nomina. Con ciò non si intende dire che il funzionario, che ha retto interinalmente un ufficio, ha diritto per ciò solo ad ot tenere l'investitura formale, ma semplicemente segnalare l'esi

genza, sul piano istruttorio, che l'amministrazione, che ne ha uti lizzato le prestazioni per un lungo periodo e senza corrispettivi né sul piano formale né su quello retributivo, nel momento in cui si accinge alla nomina del titolare dell'ufficio espliciti quanto meno le ragioni, che, nel pubblico interesse, inducono a valutare

negativamente la sua direzione.

Con riferimento al caso di specie, nell'ambito di questi fatti non assume alcun significato la spaccatura che, secondo la di fesa dell'amministrazione, si sarebbe verificata in seno all'istituto in conseguenza degli antagonismi fra opposte candidature.

Si tratta di fatti che innanzi tutto non hanno determinato al cun intralcio al regolare funzionamento dell'istituto, secondo la

dichiarazione dello stesso governo, e che in ogni caso occorre

rebbe dimostrare che sono imputabili al vice avvocato generale vicario e non piuttosto alla scarsa sollecitudine dimostrata dai

pubblici poteri nell'assicurare una stabile direzione all'istituto, alimentando in tal modo aspirazioni ed attese seppure contenute

in limiti fisiologici. La riscontrata fondatezza della censura di carenza di istrut

toria comporta una positiva definizione anche di quella volta a

denunciare l'incongruità e l'insufficienza della motivazione, che nella specie effettivamente si riduce ad una affermazione apodit tica la quale, senza alcun elemento di obiettivo riscontro, dà per dimostrato ciò che era invece necessario dimostrare e impedisce

pertanto al collegio di rendersi conto della realtà che vi è sottesa.

10. - L'accoglimento del ricorso, sulla base delle censure ora

definite, comportando l'annullamento giurisdizionale degli atti im

pugnati e ingenerando in capo all'amministrazione l'obbligo di

rinnovare la prioritaria valutazione dei vice avvocati generali sulla base di un'adeguata istruttoria, oltre a comportare l'assor

bimento di ogni altro motivo, rende irrilevante nel presente giu dizio la questione di legittimità costituzionale che il ricorrente

ha proposto nei confronti della norma (l'art. 30 r. d. 30 ottobre

1933 n. 1611) nella parte in cui autorizza il governo a procedere anche ad una nomina esterna, ove quella interna si riveli obiet

tivamente impossibile. 11. - Per le ragioni sopra esposte il ricorso deve essere accolto

e di conseguenza deve essere annullata la nomina dell'avv. Man

zari ad avvocato generale dello Stato. Non è luogo a pronunciare sulla sospensiva richiesta dal ricor

rente, atteso il carattere immediatamente esecutivo delle deci sioni di questo tribunale.

Per questi motivi, ecc.

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL FRIU

LI-VENEZIA GIULIA; sentenza 16 marzo 1978, n. 79; Pres.

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL FRIU

LI-VENEZIA GIULIA; sentenza 16 marzo 1978, n. 79; Pres.

ed est. Maffezzoni; Min. difesa (Avv. dello Stato De Carlo) c. Regione Friuli-Venezia Giulia (Avv. Pacia, Dabinovich), Comune di Tolmezzo.

Edilizia e urbanistica — Piano regolatore — Vincolo preordinato

all'espropriazione — Ricorso — Ammissibilità.

Edilizia e urbanistica — Piano regolatore — Vincolo di area —

Infrastrutture militari — Illegittimità (Legge 17 agosto 1942

n. 1150, legge urbanistica, art. 10; legge 6 agosto 1967 n. 765, modifiche e integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, art. 3).

È ammissibile il ricorso proposto contro la previsione di piano regolatore adottato e approvato, che imprime all'area del ri corrente una destinazione preordinata alla espropriazione (nella

specie, destinazione a parco pubblico e a edilizia scolastica di area sulla quale esistono infrastrutture militari). (1)

(1) Il principio affermato dalla massima trova ampio riscontro nella giurisprudenza, secondo la quale l'entrata in vigore di un piano regolatore generale, o di una sua variante, determina, per i proprie tari delle aree su cui ricadono le prescrizioni ed i vincoli posti dallo strumento urbanistico, l'immediato sorgere dell'onere di proporre impugnativa giurisdizionale: in questo senso, oltre alla decisione citata in motivazione, Cons. Stato, Sez. IV, 19 aprile 1977, n. 371, Foro it., Rep. 1977, voce Edilizia e urbanistica, n. 213, cfr., in ter mini generali, Sez. IV 27 febbraio e 11 maggio 1979, nn. 151 e 312, id., Rep. 1979, voce Giustizia amministrativa, nn. 219, 216; T.A.R. Liguria 24 maggio 1979, n. 241, ibid., n. 217; Cons. Stato, Sez. IV, 17 gennaio, 28 febbraio, 9 maggio, 26 luglio 1978, nn. 11, 155, 403, 758, id., Rep. 1978, voce cit., nn. 271-274; T.A.R. Lazio, Sez. I, 4 febbraio 1976, n. 60, id., Rep. 1976, voce cit., n. 272; T.A.R. Ve neto 10 febbraio 1976, n. 107, ibid., n. 273; T.A.R. Friuli-Venezia Giu lia 18 e 19 dicembre 1974. nn. 71 e 75, id., Rep. 1975, voce cit., nn. 1237, 1236; Cons. Stato, Sez. V, 19 ottobre 1973, n. 700, id., Rep. 1973, voce cit., n. 310; Sez. IV 6 marzo 1968, n. 133, id.. Rep. 1968, voce Piano regolatore, n. 148; Sez. V 7 aprile 1967, n. 233, id., Rep. 1967, voce cit., n. 146; Sez. IV 16 giugno 1965, n. 496, id.. 1965, III, 440, con nota di richiami, la quale, peraltro, ha ammesso che il piano regolatore di un comune, ancorché non impugnato al l'epoca della sua pubblicazione, possa formare oggetto di ricorso giurisdizionale nel momento in cui, costituendo il presupposto del provvedimento di diniego di una licenza edilizia, leda l'interesse del ricorrente.

Per quanto riguarda, in particolare, la destinazione di una parte

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