Sezione I; sentenza 9 luglio 1980, n. 793; Pres. Tozzi, Est. Ferrari; Albisinni (Avv. Salvini) c.Presidente della Repubblica, Pres. Cons. ministri (Avv. dello Stato D'Amato, Chiarotti),Manzari, Di CiommoSource: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1980),pp. 465/466-475/476Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171259 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
ed è predisposto in via generale per tutti i tipi di persone giu ridiche, sia perché soltanto eccezionalmente l'ordinamento richie
de che il riconoscimento di un ente pubblico venga direttamente
operato — trattandosi di ente di primaria importanza — con atto diverso da quello promanante dall'esecutivo, ossia con spe cifico provvedimento di natura legislativa.
Nel caso che ne occupa, ritiene il collegio che i caratteri della
soggettività giuridica pubblica del « Centro » emergano dal com
plesso delle finalità, prerogative, oneri e responsabilità che con
traddistinguono la sua vita e il suo funzionamento e che indubi
tabilmente lo collocano nell'ambito dell'apparato istituzionale della
pubblioa amministrazione.
Non è per vero senza significato che una piccola istituzione
culturale, sorta sin dal 1953 nella limitata sfera operativa del
conservatorio di musica « B. Marcello » di Venezia, abbia pro
gressivamente subito una trasformazione ed un ampliamento del
le proprie finalità che, originariamente riferite alla iniziativa delle « Vacanze musicali », ha annoverato in ordine di tempo i corsi
di studi per stranieri sulla musica italiana, la concessione di pre mi e borse di studio, la pubblicazione dell'« Opera Omnia » del
Monteverdi. Così come appaiono indicative le circostanze che
l'ente possa svolgere la propria attività e costituire succursali
o sezioni anche fuori della sua sede, in Italia ed all'estero; che
esso annoveri nel proprio consiglio d'amministrazione i rappre sentanti dei ministeri sovventori; che talune particolari inizia
tive didattiche — quale quella rivolta ai diplomati stranieri con
l'istituzione di veri e propri « corsi superiori di studi musica
li » — vengano obiettivamente a porsi come complementari, e
sotto certi aspetti sovraordinate, rispetto a quelle perseguite isti
tuzionalmente dallo Stato attraverso le strutture scolastiche dei
conservatori di musica, assumendo cosi un palese carattere au
siliare del settore statale della istruzione superiore.
Tali importanti e multiformi finalità, l'ingerenza dello Stato
nella vita amministrativa e l'apporto continuo ed assolutamente
prevalente di mezzi finanziari di natura pubblica costituiscono
nel loro insieme sintomi eloquenti della sostanziale natura pub blica dell'ente, malgrado manchino nell'atto di riconoscimento e
nello statuto espresse e formali qualificazioni in tal senso.
Passando, quindi, all'esame della eccezione di prescrizione del
l'azione di responsabilità sollevata dai convenuti, ritiene il col
legio che la stessa sia del tutto infondata e debba essere respin ta. Come espressamente precisato, infatti, dall'art. 19, 3° comma, t. u. 10 gennaio 1957 n. 3, l'azione di responsabilità promossa dal procuratore generale della Corte dei conti è sottoposta all'or
dinario termine decennale di prescrizione, che dall'epoca dei fatti
in causa e sino al momento delle notifiche dell'atto di citazione
non era ancora decorso.
Nel merito della responsabilità contestata dalla procura gene rale attrice, il collegio reputa meritevole di accogliere l'azione
promossa anche se ritiene di dover porre a carico dei convenuti
solo una parte del danno accertato — ai sensi degli art. 52, 2°
comma, t. u. 12 luglio 1934 n. 1214, 83, 1° comma, r. d. 18 no
vembre 1923 n. 2440 e 19 t. u. 10 gennaio 1957 n. 3 — in con
siderazione delle particolari circostanze soggettive che hanno ca
ratterizzato i fatti.
La difesa ha opposto in proposito la inapplicabilità alla fatti
specie dell'art. 23, 2° comma, legge 15 aprile 1961 n. 291, argo mentando che la natura privata del « -Centro » e la mancanza nei
confronti dello stesso di ogni potere di controllo e vigilanza da
parte dello Stato, anche a norma della legge 21 marzo 1958 n.
259, avrebbero consentito all'ente di corrispondere ai propri di
pendenti indennità di missione in misura e con criteri diversi
da quelli vigenti per il personale degli enti ed istituti di diritto
pubblico.
Ha inoltre dedotto la inesistenza di pubblici doveri violati — ai sensi dell'art. 82 r.d. 18 novembre 1923 n. 2440 e dell'art.
52 r. d. 12 luglio 1934 m. 1214 — sia a carico dell'Usigli che del
Fasano. Quanto al primo, ha sostenuto che lo statuto del « Cen
tro » non prevedeva alcuna forma di controllo da parte del pre sidente sui mandati di volta in volta emessi. Circa il secondo, ha
obiettato che mancava' nello stesso ogni veste giuridica per cu
rare la predisposizione degli atti contabili e per essere a cono
scenza della irregolarità dei criteri adottati nella liquidazione delle indennità di missione.
Va al riguardo puntualizzato — ad avviso del collegio — che
la sostanziale natura pubblica della istituzione in parola e della
gestione che alla stessa faceva capo imponevano agli organi re
sponsabili di attenersi alla normativa vigente per gli enti di di
II Foro Italiano — 1980 — Parte 111-12.
ritto pubblico in materia di spese per missioni, in conformità — oltre tutto — ad ovvi criteri di economicità e buona ammini
strazione ed attesa l'esigenza di non appesantire con erogazioni
superflue o indebite la non facile situazione finanziaria del « Centro ».
Tali doveri facevano capo innanzitutto all'Usigli che — quale
rappresentante legale dell'ente — aveva a termini di statuto (art.
8) la firma degli atti e provvedeva a tutta l'ordinaria amministra
zione. Egli era, pertanto, l'organo ordinatore della spesa cui spet tava il compito di assumere gli impegni e di disporre i paga menti, ai sensi dell'art. 81 r. d. 18 novembre 1923 n. 2440, non
ché di assicurarsi di volta in volta che questi ultimi fossero con
formi alle previsioni di legge e di bilancio.
11 non aver esercitato siffatto sindacato di legittimità in ordine
ai mandati che venivano sottoposti alla sua firma lo fa ritenere
responsabile, a titolo di colpa, del danno derivato all'ente dalla
illegittima liquidazione delle spese di missione.
La responsabilità dell'Usigli concorre, tuttavia, con quella con
testata al maestro Fasano, che — quale direttore del « Centro » —
aveva in base allo statuto (art. 9) lo specifico compito di pre
parare il programma ed il bilancio particolareggiato annuale, di
curare in genere tutti gli altri compiti e di dare esecuzione alle
deliberazioni del consiglio d'amministrazione. Il Fasano, quindi, è tenuto a rispondere, solidalmente con l'Usigli, della illegittima
liquidazione delle spese di cui è causa non solo perché di fatto
attendeva — come hanno specificamente rilevato gli inquirenti —
all'intera amministrazione del « Centro », predisponendo i titoli
di spesa e conservando presso di sé l'intera documentazione con
tabile, ma anche e soprattutto perché era legittimato a tali im
portanti e delicati compiti della normativa statutaria.
La rilevata responsabilità amministrativa va valutata, tuttavia, nei confronti dei due convenuti con riguardo all'elemento sogget tivo e alle circostanze che hanno caratterizzato i comportamenti
colposi. Nella determinazione concreta del quantum debeatur va te
nuto conto — ad avviso del collegio — del fatto che entrambi i
convenuti non disponevano di una approfondita e specifica com
petenza nelle discipline amministrative e nella complessa conge rie delle disposizioni di natura contabile.
Si ritiene, in forza di ciò, che l'Usigli e il Fasano debbano ri
sarcire in solido all'erario la somma di lire 500.000 oltre agli interessi legali, a far tempo dalle date di notifica dell'atto di ci
tazione, e alle spese di giudizio. Per questi motivi, ecc.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; Sezione I; sentenza 9 luglio 1980, n. 793; Pres. Tozzi,
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; Sezione I; sentenza 9 luglio 1980, n. 793; Pres. Tozzi, Est. Ferrari; Albisinni (Avv. Salvini) c. Presidente della Re
pubblica, Pres. Cons, ministri (Avv. dello Stato D'Amato,
Chiarotti), Manzari, Di Ciommo.
Giustizia amministrativa — Nomina dell'avvocato generale dello
Stato — Ricorso — Ammissibilità — Carattere politico del
l'atto — Esclusione.
Giustizia amministrativa — Nomina dell'avvocato generale dello
Stato — Ricorso da parte di un vice-avvocato generale — Am
missibilità.
Avvocatura dello Stato — Avvocato generale — Nomina di sog
getto estraneo all'avvocatura — Previa valutazione negativa dei
requisiti attitudinali dei vice-avvocati generali — Legittimità —
Limiti (R. d. 30 ottobre 1933 n. 1611, t. u. delle leggi sulla rap
presentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento
dell'avvocatura dello Stato, art. 28, 30; legge 3 aprile 1979 n.
103, modifiche dell'ordinamento dell'avvocatura dello Stato).
Non sfugge al sindacato da parte del giudice amministrativo, per ché non ha carattere di atto politico, la nomina ad avvocato
generale dello Stato di un soggetto estraneo all'avvocatura del
lo Stato, sulla base della valutazione positiva dei suoi requisiti
attitudinali, conseguente alla valutazione negativa dei requisiti attitudinali dei vice-avvocati generali che altrimenti avrebbero
dovuto essere preferiti. (1)
(1-3) Non risultano precedenti. Il contenzioso relativo al rapporto di impiego degli avvocati dello
Stato, se si eccettuano le decisioni relative a diritti prettamente pa
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PARTE TERZA
E ammissibile il ricorso contro la nomina ad avvocato generale dello Stato di un soggetto estraneo all'avvocatura dello Stato, sulla base della valutazione positiva dei suoi requisiti attitudi
nali, conseguente alla valutazione negativa dei requisiti atti tudinali dei vice-avvocati generali che altrimenti avrebbero do vuto essere preferiti, che sia stato proposto da uno di questi vice-avvocati stessi. (2)
È legittima la nomina ad avvocato generale dello Stato di un
soggetto estraneo all'avvocatura dello Stato, sulla base della valutazione positiva dei suoi requisiti attitudinali, conseguente alla valutazione negativa dei requisiti attitudinali dei vice avvocati generali che altrimenti avrebbero dovuto essere pre feriti, solo se tali valutazioni si basino su una completa istrut toria e su una adeguata motivazione (nella specie, il provve dimento è stato considerato illegittimo, perché è stato preso in considerazione solo il curriculum dell'estraneo prescelto, men
tre non sono stati considerati i titoli professionali, culturali e
direttivi dei vice-avvocati generali, e non si è avuto un partico lare riguardo all'idoneità del vice-avvocato generale che ha eser citato interinalmente per più di tre anni le funzioni di avvocato
generale). (3)
Il Tribunale, ecc. — 1. - Agli effetti della definizione del ri
corso, con il quale viene contestata la legittimità del conferi
mento dell'ufficio di avvocato generale dello Stato a persona estranea all'istituto, è necessario partire dall'interpretazione de
gli atti impugnati, al fine di verificare quali sono stati gli inten
dimenti del governo e il potere di cui esso ha inteso fare uso
nel caso di specie. La proposta di nomina formulata dal presidente del consiglio,
ed integralmente recepita dal consiglio dei ministri, contiene due
proposizioni: nella prima si afferma che una scelta fra i vice av
vocati generali si è rilevata impossibile, essendo state riscon
trimoniali, appare assai scarso: di un qualche rilievo risultano solo due pronunce del Consiglio di Stato: Sez. IV 7 febbraio 1968, n. 63, Foro it., 1968, III, 194, con nota di richiami, relativa al prov vedimento di dispensa dal servizio di un avvocato dello Stato per difetto di operosità e di capacità; e Ad. gen. 23 novembre 1967, n. 1237, id., 1968, III, 521, con nota di G. Caianiello, che richiama
più remoti precedenti, relativo alla sistematica assegnazione ad un avvocato dello Stato solo di affari di scarsa importanza, e alla im
plicita valutazione negativa .cosi data della sua capacità e della sua attitudine ad esplicare le funzioni proprie della qualifica di sostituto avvocato generale.
La portata dell'affermazione della sentenza che si riporta, secondo la quale il presupposto della legittimità della nomina ad avvocato generale dello Stato di un soggetto estraneo all'avvocatura dello Sta to sarebbe costituito dalla previa valutazione negativa, sulla base di una completa istruttoria e di una adeguata motivazione, dei requi siti attitudinali di tutti i vice-avvocati generali, va considerata alla luce delle modifiche apportate alla carriera degli avvocati dello Stato dalla legge 3 aprile 1979 n. 103: tale carriera si articola ormai solo in tre qualifiche: avvocato generale dello Stato, avvocati dello Stato, procuratori dello Stato, con la soppressione di tutte le altre quali fiche, a cominciare da quella di vice-avvocato generale (art. 1); conseguentemente, la posizione in ruolo immediatamente inferiore a quella di avvocato generale dello Stato è diventata quella degli av vocati dello Stato pervenuti alla quarta ed ultima classe di stipen dio; ed è una posizione che, presumibilmente, sarà comune a molti avvocati dello Stato, giacché essa è attribuita, secondo il turno di anzianità e previo giudizio favorevole, agli avvocati dello Stato che abbiano una anzianità di otto anni nella terza classe, alla quale si può pervenire dopo dieci anni dalla nomina ad avvocato dello Stato; la competenza a disporre al riguardo è dell'avvocato generale dello Stato (art. 3), su parere del consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato (art. 23); le funzioni di vice-avvocato generale dello Stato sono diventate contenuto di un incarico, conferito a nove avvocati dello Stato che abbiano conseguito l'ultima classe di stipendio, con decreto del presidente del consiglio, previa deliberazione del con siglio dei ministri, su proposta motivata dell'avvocato generale dello Stato, sentito il consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato (art. 16).
È da rilevare, inoltre, che la sentenza che si riporta, dichiarati assorbiti i motivi di ricorso ulteriori rispetto a quello che ha portato all'annullamento dell'impugnato provvedimento di nomina, ha nega to rilevanza, e quindi ha lasciato impregiudicata la manifesta infon datezza della questione di costituzionalità dell'art. 30 r. d. 30 otto bre 1933 n. 1611, il quale appunto attribuisce al governo il potere di nominare avvocato generale dello Stato un soggetto estraneo al l'avvocatura dello Stato.
La vicenda, di larga notorietà, nella quale è intervenuta la ripor tata sentenza, si è conclusa col rinnovo dell'annullato provvedimento di nomina.
trate in tutti i detti soggetti carenze attitudinali; nella seconda
si aggiunge che il risultato negativo della prima indagine ha in
dotto il governo a ripiegare su una scelta esterna la quale, con
trariamente alla prima, ha dato esito positivo giacché ha con
sentito di individuare un soggetto (l'avv. Manzari) in possesso di quelle specifiche attitudini di cui i vice avvocati generali in carica avevano invece dimostrato di essere carenti.
Dall'articolazione della proposta e dalla motivazione risulta
pertanto in modo chiaro quale è stato il ragionamento seguito dall'amministrazione. Essa non ha dubitato che la scelta del nuo
vo avvocato generale dovesse essere eseguita dapprima fra i vice
avvocati generali, come dimostra la successione logica e crono
logica delle argomentazioni, e solo quando a conclusione della
preliminare indagine ha dovuto prendere atto che tale scelta
incontrava « insormontabili difficoltà », ha ripiegato su soluzione
esterna.
Tale conclusione consente già di disattendere, in punto di fatto, la tesi prospettata dalla difesa dell'amministrazione resistente, se
condo cui il governo si sarebbe avvalso della facoltà, che l'or
dinamento gli riconoscerebbe, di scegliere liberamente all'interno
o all'esterno dell'istituto. È vero invece, e la documentazione
in atti ne fornisce la prova irrefutabile, che la scelta esterna
è stata intesa dal governo solo in funzione surrogatoria di una
nomina interna che non ha potuto realizzare, a ciò opponendosi le riscontrate, insormontabili carenze attitudinali degli otto vice
avvocati generali in carica.
2. - L'interpretazione degli atti impugnati è illuminante anche
al fine di definire la natura giuridica degli stessi e, in partico lare, al fine di accertare se si tratta di atti politici, come ha sug
gerito sia pure in termini solo problematici la difesa dell'am
ministrazione, onde farne discendere il difetto di giurisdizione di questo tribunale e di legittimazione attiva del ricorrente.
In materia di atto politico la giurisprudenza insegna due cose:
innanzi tutto che la verifica va fatta caso per caso, secondo un
metodo che la dottrina, preoccupata di ricondurre tutta l'espe rienza giuridica in categorie ben definite, definisce empirico, ma
che invece riflette il bisogno del giudice di guardare (al di là
delle formule) i fatti .concreti e i moventi che ne sono alla
base; in secondo luogo che l'attribuzione dell'aggettivazione « po litico » ad un atto posto in essere dal governo deve essere con
siderata con estrema prudenza.
E ciò non per l'istintiva resistenza che il giudice amministra
tivo opporrebbe a qualsiasi tentativo inteso a ridurre l'ambito
del proprio sindacato (come potrebbe da qualche parte supporsi), ma per una diversa e più elevata ragione, che dovrebbe essere un dato presente nel patrimonio culturale di ognuno, e cioè che
l'atto politico (per definizione libero nella scelta dei fini e dei
mezzi) riduce lo status del cittadino, da membro partecipe di una collettività organizzata su basi democratiche, a quello di
suddito, e tale deminutio è consentita dal nostro ordinamento solo quando sono in gioco gli interessi « supremi » dello Stato
ovvero ricorrono « situazioni contingenti che possano turbare la vita del paese e il funzionamento dell'ordine interno ed inter nazionale » (Cass., Sez. un., 20 marzo 1956, n. 896, Foro it., 1956, I, 699; Cons. Stato, Sez. V, 20 febbraio 1954, n. 171, id., 1954, III, 65).
Al di fuori di queste ipotesi la pretesa dell'amministrazione di attribuire natura e finalità politiche ad un proprio atto non
può essere assecondata, giacché si traduce nell'inammissibile ten
tativo di incidere sulla sfera giuridica del cittadino al di fuori delle regale e delle garanzie fissate dall'ordinamento e di sfug gire al controllo giurisdizionale che, in presenza di un'attività
amministrativa, il giudice deve poter sempre svolgere con pie nezza di poteri e libertà di giudizio.
Utilizzando questi concetti per il caso di specie risulta evidente l'estrema fragilità del tentativo di dare agli atti impugnati na tura diversa da quella di normale atto amministrativo.
L'esigenza che il governo ha dovuto affrontare non impin geva negli interessi supremi dello Stato, al punto da condizio narne la vita e il funzionamento (tanto è vero che esso ha rite nuto di poter attendere tre anni prima di procedere alla nomina dell'avvocato generale), né gli poneva problemi di scelta di fini e di mezzi, gli uni e gli altri essendo già fissati dall'ordinamento.
Il fine era quello di coprire la qualifica apicale di un organi smo pubblico {l'avvocatura dello Stato) in conseguenza della cessazione dal servizio per pensionamento della persona fisica che di tale qualifica era investita. Il mezzo era quello che l'or dinamento indicava al governo, senza lasciargli spazio per va
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
lutazioni che fossero estranee all'esigenza di assicurare il buon
funzionamento di una pubblica amministrazione rimasta tempo raneamente senza capo, e cioè la ricerca di un soggetto (non im
porta in questo momento definire l'ambito entro il quale la ri
cerca doveva essere effettuata) che fosse in possesso di tali re
quisiti culturali e avesse maturato tali esperienze professionali da proporsi come soggetto-guida per l'intera categoria degli av vocati e procuratori dello Stato.
In considerazione dell'elevatezza dell'ufficio da conferire si può, al limite, ritenere che si tratti di atti di alta amministrazione, secondo una terminologia che una parte della dottrina ha mu
tuato dal linguaggio dei burocrati e alla quale si oppone la con
siderazione unitaria della funzione amministrativa e la sua in
tolleranza nei confronti di aggettivazioni che non possono avere
altro effetto oltre quello, proprio delle aggettivazioni, di limi
tarla.
Ed è in questo senso che, correttamente, l'ha inteso il governo: in primo luogo nella procedura di nomina, allorché ha espres samente dichiarato di aver adottato come parametro di valuta
zione, nella preliminare fase istruttoria, un canone di buona
amministrazione (i requisiti attitudinali) e non una esigenza po
litica, ed ha anche spiegato le ragioni per le quali la scelta ha
condotto ad un certo risultato; nella successiva fase contenziosa, allorché senza indugio si è adeguato all'ordinanza del giudice ed ha esibito nel processo tutti gli atti della procedura impu
gnata.
3. - Definita la natura degli atti impugnati e superato, di con
seguenza, l'ostacolo rappresentato dal controllo della giurisdi
zione, è necessario ora affrontare il problema della legittimazione del ricorrente alla proposizione del ricorso e verificare l'esistenza
di un interesse concreto dello stesso ad una pronuncia di annul
lamento.
Anche in questo caso soccorre l'interpretazione degli atti im
pugnati. Risulta da essi che il ricorrente, nella sua qualità di
vice avvocato generale, è stato esaminato agli effetti del confe
rimento dell'ufficio di avvocato generale, in quanto compreso nella cerchia di coloro fra i quali il governo ha ritenuto che la
scelta dovesse essere prioritariamente effettuata.
Egli si presenta pertanto come portatore di una posizione
giuridica differenziata che la stessa amministrazione gli ha ri
conosciuto (quella di candidato al conferimento dell'ufficio) e
che egli assume essere stata indebitamente lesa dall'ingiustificato
giudizio di inidoneità espresso nei suoi confronti dai provvedi menti impugnati.
È del pari evidente il suo interesse concreto ad ottenere una
decisione che dichiari l'illegittimità degli atti impugnati, giacché la conseguenziale pronuncia di annullamento del decreto di no
mina dell'avv. Manzari, al quale il governo è pervenuto avendo
preliminarmente constatato l'inidoneità sua e degli altri vice av
vocati generali, gli restituirebbe intatte e la posizione di candi
dato all'ufficio e le possibilità di ottenere quest'ultimo.
4. - Sgombrato il campo dalle questioni preliminari è ora pos sibile affrontare il merito del ricorso. Si è già detto in narrativa
che il ricorrente propone due tesi graduate: sostiene innanzi tut
to che la scelta del soggetto al quale conferire l'ufficio di avvo
cato generale deve necessariamente ricadere su persona che fac cia parte della carriera degli avvocati dello Stato e, conseguen
temente, contesta al governo il potere di effettuare una scelta
esterna (primo motivo); in via subordinata afferma che tale po tere di scelta esterna è meramente surrogatorio di una scelta in
terna che in un certo momento, per ragioni obiettive, si riveli
impossibile, impossibilità che peraltro l'amministrazione deve ac
certare e adeguatamente motivare (terzo motivo). La fondatezza dell'assunto del ricorrente deve essere verifi
cata esclusivamente sulla base di una interpretazione rigorosa della normativa che disciplina la materia.
Ed invero, il richiamo fatto da ambedue le parti in causa alle
modalità con le quali, prima dell'avvento del regime democra
tico, si è provveduto in concreto al conferimento dell'ufficio di
avvocato generale, al fine di ritrarne una conferma della validità
delle rispettive tesi, ha un valore assolutamente marginale. Se è
vero, infatti, che ogni fatto giuridico contribuisce a formare
l'esperienza giuridica di un popolo, non è men vero che esso
non si presenta mai disgiunto dal giudizio che l'accompagna. Si vuol dire, in altri termini, che l'arroganza di un determinato
regime o la pavidità del singolo, che non si ribella all'ingiu stizia, non sono elementi in grado di proporsi come chiave di
lettura di un complesso di norme, ma solo fatti di costume ca
paci di far comprendere le ragioni del formarsi di una realtà
giuridica in un certo momento storico, ma non di legittimarla né tanto meno di imporsi come guida per l'interprete, il quale deve operare esclusivamente sulla base degli strumenti conosci
tivi che l'ordinamento gli indica.
5. - Il r. d. 30 ottobre 1933 n. 1611 disponeva che al confe
rimento dell'ufficio di avvocato generale si potesse provvedere in due modi: attraverso la promozione del vice avvocato generale (art. 28) oppure attraverso la nomina (art. 30).
Che quest'ultimo articolo introducesse un sistema di scelta al
ternativo rispetto al primo, e non si limitasse soltanto a speci care il procedimento attraverso il quale doveva avvenire l'indi
viduazione e la valutazione del soggetto da promuovere, è di
mostrato dal fatto che ambedue le norme innanzi citate descri
vono una identica procedura per il conferimento dell'ufficio (la
proposta del capo del governo, la deliberazione del consiglio dei ministri, la decretazione del capo dello Stato). Di conseguen za non è possibile attribuire all'art. 30 il ruolo di norma inu
tilmente ripetitiva di quanto già dettagliatamente previsto dal
precedente art. 28.
Nello stesso tempo la lettura del r. d. n. 1611, nel suo com
plesso, offre sicure indicazioni sulla precisa intenzione del le
gislatore del 1933 di privilegiare una scelta non solo interna al
l'istituto, ma anche nel rispetto dei meriti acquisiti attraverso la progressione nella carriera.
La prima indicazione in questo senso è rappresentata dall'as
sunzione (per la prima volta operata) della qualifica di avvocato
generale nell'ambito della carriera degli avvocati dello Stato, come momento apicale della stessa. Si tratta di una innovazione
che l'interprete deve saper valutare in tutto il suo significato: la qualifica di avvocato generale non è solo il traguardo presti
gioso che il nuovo ordinamento offre al personale di carriera che ha più meritato, ma è soprattutto l'ufficio nel quale devono naturalmente proiettarsi e confluire le esperienze professionali di una intera categoria, con il suo tradizionale abito mentale e il suo bisogno di libertà di giudizio. Quindi non più un ufficio
giustapposto alla categoria degli avvocati dello Stato, con com
piti di direzione e di controllo in funzione di esigenze estranee alla categoria, ma naturale espressione di quest'ultima, nel suo
momento più alto.
La seconda indicazione è rappresentata proprio dal sistema della promozione, la cui previsione legislativa comporta quanto meno la legittima aspettativa del soggetto promovibile (il vice
avvocato generale) a veder valutata la sua attitudine a coprire l'ufficio superiore prima che il governo ripieghi su una scelta esterna.
Se ben si riflette, nell'ordinamento delineato dal r. d. n. 1611 il sistema della promozione non solo definisce il ruolo subordi nato e surrogatorio del sistema della nomina ma, in quanto li
mitato ai soli funzionari con qualifica di vice avvocato gene rale, fornisce anche la spiegazione logica della previsione di que st'ultima come strumento al quale fare ricorso per assicurare una direzione all'istituto non solo quando manchi il presuppo sto oggettivo per procedere alla promozione (manchi cioè un
vice avvocato generale), ma anche quando la valutazione di que sti abbia dato esito negativo.
È del tutto evidente, infatti, che la possibilità che l'ordina mento offre al vice avvocato generale di essere valutato per la
promozione non si converte in un diritto di questi ad essere in
ogni caso promosso, con la conseguenza che, quando la promo zione non può avvenire o perché manca il soggetto promovi bile o perché questi è stato ritenuto non idoneo, è possibile provvedere al conferimento dell'ufficio attraverso lo strumento della nomina, il quale consente di verificare sia fra le qualifiche inferiori a quella di vice avvocato generale che all'esterno del l'istituto l'esistenza di soggetti dotati di adeguati requisiti cultu rali e professionali.
6. - Ritiene il collegio che il sistema delineato dal r. d. n. 1611/ 33 — che, ripetesi, privilegia la scelta interna, ma contempora neamente tiene conto dell'esigenza di assicurare una direzione al
l'istituto, ove tale scelta si sia dimostrata obiettivamente impos sibile — non sia mutato a seguito dell'entrata in vigore della
legge 3 aprile 1979 n. 103 dal momento che non emergono dal
testo della nuova normativa indicazioni tali da far desumere
l'intenzione del legislatore di modificare il sistema precedente e,
quindi, di limitare la scelta dell'avvocato generale dello Stato solo all'interno dell'istituto (come assume il ricorrente) ovvero di affidarla alla completa discrezione del governo (come so
stiene invece l'amministrazione resistente).
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PARTE TERZA
Va precisato, a questo proposito, che il problema che si pone all'attenzione del collegio, e alla cui definizione hanno interesse
le parti in causa, è quello dell'ambito nel quale deve essere effet
tuata la scelta (i soli avvocati dello Stato ovvero chiunque ab
bia requisiti culturali e professionali adeguati all'ufficio da con
ferire), e non dello strumento attraverso il quale tale scelta può essere operata. Non rileva, pertanto, chiedersi in questa sede se
l'abolizione della qualifica di vice avvocato generale, ad opera
della legge n. 103, e la sua trasformazione in incarico abbiano
comportato o no l'inapplicabilità dello strumento della promozio ne (che all'esistenza di detta qualifica era collegato) e se attual
mente il governo dispone del solo strumento della nomina giac ché qualunque fosse la soluzione che si desse al quesito non mu
terebbe per ciò stesso la sostanza del problema, il quale con
cerne solo l'ambito della scelta e, quindi, i soggetti che possono essere considerati.
Non è dubbio, e in ciò può convenirsi con il ricorrente, che
una delle più significative innovazioni realizzate dalla legge n.
103 riguarda l'abolizione del potere, in passato riconosciuto al
governo (art. 31 r. d. n. 1611/33), di procedere a nomine per chiamata diretta per tutte le qualifiche inferiori a quella di av
vocato generale. Attualmente l'unico sistema di accesso alla car
riera degli avvocati e procuratori dello Stato è, infatti, il con
corso pubblico, riservato a soggetti in possesso di sparticolari re
quisiti culturali e professionali e strutturato in imodo tale da
costituire un sistema di verifica e di selezione che ha pochi equi valenti nel pubblico impiego.
Questa innovazione ha un duplice significato: di conferma del
l'autonomia dell'istituto nei confronti dell'amministrazione, in
coerenza con la sua natura di organo istituito dalla legge per la
difesa legale e la consulenza dello Stato nella sua unitarietà (au tonomia che l'avvocatura dello Stato ha sempre rivendicato e
che la dottrina concordemente le riconosce); di accentuazione
della sua professionalità (e professionalità non significa soltanto
saper fare il proprio mestiere, come sembra intendere la difesa
dell'amministrazione, ma poterlo anche fare in condizioni che
garantiscono piena libertà di giudizio).
Sembra invece piuttosto azzardata la pretesa di ricavare dal
l'abolizione della chiamata diretta, come strumento di accesso al
la carriera, il segno di una sicura intenzione del legislatore di
imporre in ogni caso una scelta interna per il conferimento del
l'ufficio di avvocato generale, e quindi anche nel caso in cui una
istruttoria serena, completa e scevra da implicazioni di carat
tere politico dimostri la mancanza all'interno dell'istituto di
elementi dotati dei necessari requisiti attitudinali. |È più ra
gionevole, invece, intendere detta innovazione come una ulte
riore riprova della volontà del legislatore di assicurare all'or
gano tecnico, a tutti i livelli, personale selezionato sulla base
di criteri obiettivi e predeterminati e quindi il segno di una pre ferenza che si proietta anche sulle modalità di scelta della per sona fisica alla quale conferire la qualifica di vertice, ma che non esclude per quest'ultima, in ipotesi particolari, il ricorso ad una ricerca che si spinga al di fuori dell'istituto.
Allo stesso modo, l'allargamento dell'ambito entro il quale il
governo può effettuare la scelta interna (tutti gli avvocati dello Stato alla quarta classe di stipendio, con una prioritaria conside razione per quelli investiti dell'incarico di vice avvocato gene rale), se di fatto è in grado di ridurre la necessità per il go verno di dover ripiegare su una scelta esterna, non è elemento
che, in linea di principio, vale ad escluderla.
Si tratta, in altri termini, soltanto di elementi che nel loro insieme confermano ed accentuano una linea di tendenza già presente nel vecchio ordinamento, ma che da soli non sono in
grado di esprimere un preciso divieto, assumendo il ruolo che nell'ordinamento giudiziario è affidato ad una norma espressa (art. 189 r. d. 30 gennaio 1941 n. 12).
7. - Allo stesso modo manca nella nuova legge qualsiasi indi cazione che autorizzi a concludere che il legislatore del 1979, anacronisticamente rinnegando una scelta consapevolmente ef fettuata cinquant'anni or sono, abbia inteso affidare la nomina dell'avvocato generale dello Stato alla completa ed insindacabile discrezionalità del governo. Né la difesa dell'amministrazione ha
saputo offrire all'attenzione del collegio valide argomentazioni in
questo senso.
Il richiamo alla « soppressione di qualsiasi carriera » nell'am bito dell'avvocatura dello Stato, che sarebbe stata operata dalla
legge n. 103, oltre <ad essere inesatto in punto di fatto ove si con siderino le modalità di passaggio dalla qualifica di procuratore
a quella di avvocato (art. 5) e il igiudizio favorevole che si ri
chiede per l'attribuzione delle classi di stipendio nell'ambito del
la qualifica di avvocato (art. 3), non è neppure pertinente giac ché agli effetti del problema che qui interessa risolvere (e cioè
l'ambito entro il quale deve essere effettuata la scelta dell'av
vocato generale) ciò che rileva non è il modo nel quale è strut
turato l'istituto dell'avvocatura dello Stato, ma il fatto che esso
esiste, e soprattutto che è organizzato in modo da richiedere nei
soggetti che vi operano sicure doti di professionalità, con la con
seguenza ovvia (dettata dal buon senso, prima che da argomen-, tazioni giuridiche) che dentro di esso va effettuata la ricerca
dell'elemento al quale affidare la qualifica di vertice, prima di
ripiegare su soluzioni esterne.
Del pari non si comprende quale ragionamento sottintenda
la frase, che pure si 'legge nella memoria difensiva dell'ammini
strazione, secondo cui la libera scelta governativa sarebbe giusti ficata dal fatto che all'avvocato generale spetta « l'apprestamento di linee strategiche generali che guardano oltre ai singoli epi sodi di difesa e di consulenza, per esigenze di coordinamento e
di superiore valutazione degli stessi interessi pubblici in gioco, di cui può farsi interprete chi risponde degli indirizzi assunti al
l'esterno dell'istituto verso una sede costituzionalmente compe tente ».
Se si è inteso dire che quello di avvocato generale è un uffi
cio di grande rilievo e che perciò non può essere conferito sulla
base di una semplice sommatoria di punteggi riferiti ai diversi
aspetti della personalità del candidato, come avviene nelle nor mali promozioni, ma presuppone una valutazione globale di
quest'ultima, non si può non essere d'accordo, anche se si
potrebbe rilevare che nessuno più di colui che è stato nel corso della sua carriera protagonista di « singoli episodi di difesa e di consulenza » è in grado di svolgere, sulla base dell'esperienza
acquisita al servizio dello Stato, attività di « coordinamento e di superiore valutazione degli interessi pubblici in gioco », o
quanto meno di svolgere in maniera più adeguata di chi non ha neppure esperienza di « singoli episodi di difesa e di con sulenza ».
Se invece la frase sottintende un altro discorso, che non si è ritenuto opportuno di esplicitare, e cioè che l'avvocato generale deve essere persona di fiducia e di gradimento del governo (o,
meglio ancora, delle forze politiche che lo sorreggono), allora
questo discorso diventa inaccettabile per un triplice ordine di
ragioni: a) innanzi tutto perché l'avvocato generale è avvocato dello Stato e di questi tutela gli interessi unitari, che non ne cessariamente si identificano con quelli dell'esecutivo; b) in se condo luogo perché nel nostro ordinamento è all'avvocato genera le che spetta svolgere compiti di consulenza nei confronti del
governo, con quella autonomia di giudizio che gli deriva innanzi
tutto dalla status di avvocato, e non al governo di dare direttive
sul modo con il quale tale consulenza « legale » deve essere svol
ta, allo stesso modo che non gli è consentita alcuna ingerenza sull'attività del giudice (e la migliore dottrina ha individuato
proprio nella costante ricerca della « giustizia » — fine primo dello Stato — l'elemento che avvicina la figura dell'avvocato dello Stato a quella del magistrato); c) in terzo luogo perché nel nostro ordinamento ogni organo ha una precisa collocazione e
svolge una precisa funzione, e l'esigenza del coordinamento e della direzione non può essere spinta fino al punto da determina re capovolgimento dei ruoli e, soprattutto, rinuncia alla funzione.
D'altro canto, e conclusivamente, proprio nei provvedimenti impugnati è la riprova che nel caso di specie il governo non si è affatto inteso libero di scegliere a sua discrezione, come
pretende la sua difesa, ma al contrario si è considerato obbligato a verificare l'esistenza di soggetti idonei innanzi tutto nell'ambito
dell'avvocatura dello Stato (come vuole la norma) ed ha ripie gato su una scelta esterna solo dopo aver espresso un giudizio di non idoneità nei confronti di tutti i vice avvocati generali in carica.
8. - Il problema si sposta quindi su un altro piano, e cioè sul la verifica della congruenza delle ragioni che il governo ha adot tato a giustificazione della sua scelta e che vengono investite dal ricorrente con una serie articolata di censure, volte a denunciare l'eccesso di potere compiuto in suo danno sotto il profilo del difetto di istruttoria e di motivazione, del travisamento dei fatti, della ingiustizia manifesta e dello sviamento.
Si legge nella proposta formulata dal presidente del consiglio che « una scelta ricadente sui vice avvocati generali incontra insormontabili difficoltà sotto vari profili attitudinali, come ri
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
sulta dal fatto stesso che tale soluzione non ha consentito per
lungo tempo di procedere alla nomina ». Si aggiunge che « avva
lendosi quindi della facoltà di una scelta esterna all'istituto, il
presidente del consiglio propone che sia nominato l'avv. Giusep
pe Manzari, il cui curriculum attesta le preclare, specifiche atti
tudini professionali del proposto, sia in dipendenza del servizio
reso presso l'avvocatura, sia con riguardo all'attività svolta come
presidente di sezione del Consiglio di Stato e nei delicati incari
chi giuridico-amministrativi affidatigli ».
Tale essendo il tenore testuale della proposta, va subito pre cisato che non può essere assecondato il tentativo effettuato
dalla difesa dell'amministrazione di evitare l'esame di merito
delle censure contro di essa dedotte in base alla considerazione
che nel nostro ordinamento non esisterebbe un obbligo generale di motivazione degli atti amministrativi, e in special modo di
quelli ampiamente discrezionali. È sufficiente infatti osservare
che nel caso di specie il governo ha esplicitato le ragioni della
sua scelta, correttamente ritenendo che in uno Stato di diritto
l'esercizio della funzione amministrativa, a qualsiasi livello esso
sia svolto, comporta sempre l'obbligo della motivazione quando incide negativamente su posizioni giuridiche altrui (nella specie,
quelle dei vice avvocati generali che il governo ha dichiarato
di voler prioritariamente valutare agli effetti del conferimento
dell'ufficio). Pertanto le considerazioni svolte dalla difesa dell'amministra
zione devono ritenersi non rilevanti e non pertinenti al caso di
specie. Del pari deve essere disatteso il tentativo della stessa difesa
di evitare il controllo giurisdizionale, questa volta sulla congruità della motivazione, in base alla considerazione che il documento — che peraltro la stessa amministrazione ha depositato in giudi zio come « copia conforme della proposta del presidente del
consiglio dei ministri » e la cui autenticità risulta attestata dalla
sottoscrizione del sottosegretario di Stato alla presidenza — ver
balizzerebbe solo in forma estremamente sintetica le diffuse e ar
ticolate argomentazioni che il capo del governo avrebbe oral
mente sottoposto all'attenzione del consiglio dei ministri.
Trattasi, anche in questo caso, di mera affermazione difensiva, non rilevante e non pertinente.
Può opporsi, in primo luogo, che il verbale non è mai la ri
produzione meccanica della discussione orale, ma è un docu
mento giuridico che riporta ciò che giuridicamente interessa.
Può aggiungersi che, essendo la verbalizzazione null'altro che
la forma scritta dell'atto orale da verbalizzare, ciò che non è
nel verbale non è neppure nell'atto. Può, nella pratica, verifi
carsi un problema di rispondenza e di fedeltà fra verbalizzazione
e atto verbalizzato, ma questa non è la situazione che ricorre nel
caso di specie dal momento che il verbale è stato approvato dal
consiglio dei ministri e la sua autenticità risulta attestata dalla
sottoscrizione del sottosegretario di Stato.
D'altro canto non si comprende quale risultato positivo può
ragionevolmente pretendere l'amministrazione di ricavare dalla
sua impostazione difensiva, quando anche sul piano della seman
tica è chiara la differenza che passa fra « sintesi », la quale espri me un dato positivo (cioè la capacità del verbalizzante di saper ricondurre ad unitarietà logica un insieme di elementi) e « in
completezza », della quale può essere giudice solo chi, successi
vamente alla verbalizzazione, approva il verbale.
Deve pertanto concludersi che la proposta presidenziale depo sitata in giudizio è un atto formale che esprime sinteticamente, ma compiutamente e chiaramente, le ragioni che hanno portato alla scelta impugnata.
Ripiegando su un assunto ancora più subordinato la difesa del l'amministrazione ha prospettato una propria interpretazione del
significato che, quanto meno, dovrebbe essere attribuito alle pa role adoperate nella formulazione della proposta: accennando
alle « insormontabili difficoltà sotto vari profili attitudinali », che
avrebbero impedito per lungo tempo una scelta fra i vice av
vocati generali, il presidente del consiglio non avrebbe inteso for
mulare un giudizio negativo sulle attitudini professionali dei
soggetti sopramenzionati, « il possesso delle quali non è in di
scussione"», ma soltanto riferirsi alla opportunità di ricorre alla
scelta esterna come mezzo per superare le divisioni interne con
seguenti all'emergere, in seno all'istituto, dii due auto-candida ture facenti capo ai due vice avvocati generali più anziani, la
cui rigida contrapposizione avrebbe di fatto impedito al governo per lungo tempo (circa un triennio) di procedere ad una scelta
interna.
Il collegio ritiene di non poter seguire l'amministrazione su
questa linea difensiva: innanzi tutto perché delle vicende sopra
riportate non esiste alcuna menzione negli atti impugnati, e
questi devono essere interpretati per ciò che riferiscono e non
per ciò che si intende ad essi attribuire; in secondo luogo per ché — senza che gli atti in questione offrano alcun riscontro
obiettivo — gratuitamente si attribuisce al governo una respon sabilità gravissima sul piano giuridico, e cioè quella di aver
omesso di esercitare la propria funzione in conseguenza dell'osta
colo rappresentato dalle concorrenti, personali aspirazioni di due
pubblici funzionari.
Allo stesso modo il collegio non ritiene di poter seguire nep
pure il ricorrente allorché, anche in questo caso senza alcun
riscontro obiettivo negli atti impugnati, imputa il ritardo nella
nomina dell'avvocato generale dello Stato alla resistenza op
posta dal precedente governo (convinto che la scelta interna fos
se l'unica legittima) alle pressioni esercitate da alcune forze po litiche in favore di una candidatura esterna e riconduce la no
mina deU'aw. Manzari, disposta dall'attuale governo, nella lo
gica della lottizzazione fra i partiti dei posti e delle cariche in
seno alla pubblica amministrazione.
Ambedue le versioni fornite dalle parti in causa non trovano
alcun riscontro negli atti del procedimento impugnato, gli unici
sui quali il collegio deve soffermare il proprio esame.
Questa conclusione non è espressiva del rifiuto da parte del
giudice amministrativo di verificare l'esistenza di una real
tà in ipotesi diversa da quella che emerge dagli atti di
causa, ma è, al contrario, precisa consapevolezza da parte di
questi del proprio ruolo e della propria funzione, oltre che del
l'esistenza di due sedi, la giudiziaria e la politica, ■ nelle quali il
governo può essere contemporaneamente chiamato a rispondere del proprio operato.
Il giudice amministrativo è il giudice naturale del governo nel
momento in cui questi svolge un'attività amministrativa volta al
conferimento di pubblici uffici, a tutti i livelli: in questo ambito
esso svolge il suo sindacato di legittimità con la pienezza dei po teri che la Costituzione gli assegna, poteri che conducendo al
l'annullamento dell'atto illegittimo risultano adeguati al fine che
a mezzo di essi l'ordinamento si prefigge di raggiungere (la ri
spondenza dell'azione amministrativa al pubblico interesse) e che
sono naturalmente destinati ad esercitare una incidenza crescente
nella vita del paese nella misura in cui cala di tono l'azione am
ministrativa e cresce, di conseguenza, la domanda di giustizia da parte dei cittadini.
L'esercizio di questi poteri non determina una indebita occu
pazione di spazi costituzionalmente riservati all'amministrazione, ma si traduce al contrario in una sollecitazione affinché essa, nei suddetti spazi, operi nel rispetto completo delle regole fis
sate dall'ordinamento, e in un costante controllo a che non si
verifichino pericolose deviazioni, sotto forma di illegittima com
pressione della sfera giuridica dei cittadini.
Nella qual cosa, in uno Stato di diritto quale è il nostro, si so
stanzia la funzione del giudice amministrativo.
9. - Ritiene pertanto il collegio che alla motivazione contenuta
negli atti impugnati non possa essere attribuito altro senso oltre
quello fatto palese dal significato proprio delle parole adoperate, secondo la loro connessione, e che pertanto il presidente del
consiglio, accennando alle « insormontabili difformità sotto vari
profili attitudinali » che incontrava una scelta ricadente sui vice
avvocati generali, ha inteso dire che nessuno di essi era in pos sesso di quelle « preclare, specifiche attitudini professionali » che
sono indispensabili per coprire, con il prestigio che deriva dalla
competenza, l'alto ufficio (attitudini che ha invece dichiarato di
aver riscontrato nel soggetto esterno, l'avv. Manzari).
Risulta cioè per tabulas che il metro che il governo ha dichia
rato di voler utilizzare per la scelta è stato quello che, secondo
un canone elementare di buona amministrazione, deve essere
adoperato allorché si tratta di conferire la direzione di un organo tecnico (quale è l'avvocatura dello Stato), e cioè il possesso in
misura superiore di « specifiche attitudini professionali ».
Tale essendo il criterio di valutazione al quale (correttamente) ha fatto ricorso il governo, è fondata la censura di eccesso di
potere dedotta dal ricorrente sotto il profilo della carenza di
istruttoria e della incongruità ed insufficienza della motivazione.
Per quanto attiene al primo profilo (carenza di istruttoria) la
difesa dell'amministrazione non ha fornito alcun elemento obiet
tivo in grado di contrastare l'affermazione del ricorrente secondo
cui il giudizio di inidoneità nei confronti suoi e degli altri vice
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PARTE TERZA
avvocati generali sarebbe stato espresso senza alcuna preliminare verifica dei titoli professionali, culturali e direttivi dagli stessi
posseduti. Né una smentita a tale affermazione può rinvenirsi
nella documentazione versata in atti a seguito di ordinanza pre
sidenziale, giacché dalla stessa risulta che isolo per l'avv. Man
zari è stato predisposto un curriculum, contenente una analitica
indicazione dei titoli posseduti, da sottoporre al vaglio del con
siglio dei ministri.
Non si tratta di interpretare una vicenda facendosi condizio
nare « da una logica burocratica dominata dal costante riferimento
a procedimenti di promozione », come la difesa dell'amministra
zione rimprovera al ricorrente, ma della legittima pretesa di
quest'ultimo — una volta che l'amministrazione si è corretta
mente avviata sulla via di una prioritaria ricerca nell'ambito del
l'istituto, cosi come prescritto dall'ordinamento — di ottenere che
la ricerca in questo ambito non sia soltanto un fatto formale, da concludersi con un apodittico giudizio di inidoneità nei con
fronti dèi soggetti esaminati, ma che sia svolta al contrario con
l'obiettività e l'imparzialità di cui l'amministrazione deve dar
prova in qualsiasi campo, e non soltanto quando procede alle
promozioni dei pubblici dipendenti.
Una volta attribuito alla censura del ricorrente il suo esatto
significato, è possibile trarre alcune conclusioni.
La prima di queste è che il titolare della proposta, in qualsiasi settore operi la pubblica amministrazione, non può esimersi dal
l'obbligo della . preventiva acquisizione degli elementi di cono
scenza da sottoporre al vaglio dell'organo collegiale competente alla decisione; allo stesso modo non è consentito a quest'ultimo di rinunciare al suo potere-dovere di conoscere i suddetti ele
menti prima di deliberare, senza svilire la sua funzione ad una
mera presa di atto di decisioni assunte in altra sede.
La seconda è che incorre in eccesso di potere l'autorità che,
dopo aver dichiarato di voler effettuare una scelta sulla base
di un criterio obiettivo, va alla ricerca degli elementi necessari
per formulare un giudizio positivo nei confronti di un determi nato soggetto ed esprime un giudizio negativo su altri senza aver
preventivamente verificato la sussistenza di fatti in grado di giu stificarlo. Nella specie la documentazione in atti dimostra che
gli adempimenti istruttori sono stati curati solo nei confronti
dell'avv. Manzari, attraverso la predisposizione di un analitico
curriculum, mentre nulla di simile è stato fatto nei riguardi dei
vice avvocati generali, onde consentire al consiglio dei ministri
di deliberare con cognizione di causa.
La terza considerazione è che, quando una scelta investe una serie di soggetti, l'istruttoria non può esimersi dal verificare se le posizioni facenti capo a ciascuno di questi non siano per ipo tesi diversificate, se cioè fra di essi non ci sia qualcuno nei con fronti del quale la preliminare verifica deve essere condotta in un'ottica diversa. Nella specie fra i funzionari considerati dal
governo in vista del conferimento dell'ufficio di avvocato gene rale dello Stato c'era il vice avvocato generale vicario, che tale
ufficio ha coperto interinalmente per non breve tempo (circa tre
anni) e che, pur non disponendo di quella pienezza di poteri che può conseguire solo dall'attribuzione formale della qualifica, ha assicurato all'istituto un funzionamento « senza alcun intral cio », cosi come lo stesso governo ha ufficialmente riconosciuto in sede parlamentare. Pertanto non è consentito all'amministra zione di accomunare in un generale giudizio di inidonfeità soggetti investiti di responsabilità cosi' diversificate e negare anche all'av vocato generale vicario l'attitudine all'ufficio senza aver preven tivamente acclarato l'esistenza di fatti specifici, maturatisi nel triennio dell'interinato e a lui imputabili, che configurino nella loro obiettiva consistenza e gravità un ostacolo « insormontabile »
alla nomina. Con ciò non si intende dire che il funzionario, che ha retto interinalmente un ufficio, ha diritto per ciò solo ad ot tenere l'investitura formale, ma semplicemente segnalare l'esi
genza, sul piano istruttorio, che l'amministrazione, che ne ha uti lizzato le prestazioni per un lungo periodo e senza corrispettivi né sul piano formale né su quello retributivo, nel momento in cui si accinge alla nomina del titolare dell'ufficio espliciti quanto meno le ragioni, che, nel pubblico interesse, inducono a valutare
negativamente la sua direzione.
Con riferimento al caso di specie, nell'ambito di questi fatti non assume alcun significato la spaccatura che, secondo la di fesa dell'amministrazione, si sarebbe verificata in seno all'istituto in conseguenza degli antagonismi fra opposte candidature.
Si tratta di fatti che innanzi tutto non hanno determinato al cun intralcio al regolare funzionamento dell'istituto, secondo la
dichiarazione dello stesso governo, e che in ogni caso occorre
rebbe dimostrare che sono imputabili al vice avvocato generale vicario e non piuttosto alla scarsa sollecitudine dimostrata dai
pubblici poteri nell'assicurare una stabile direzione all'istituto, alimentando in tal modo aspirazioni ed attese seppure contenute
in limiti fisiologici. La riscontrata fondatezza della censura di carenza di istrut
toria comporta una positiva definizione anche di quella volta a
denunciare l'incongruità e l'insufficienza della motivazione, che nella specie effettivamente si riduce ad una affermazione apodit tica la quale, senza alcun elemento di obiettivo riscontro, dà per dimostrato ciò che era invece necessario dimostrare e impedisce
pertanto al collegio di rendersi conto della realtà che vi è sottesa.
10. - L'accoglimento del ricorso, sulla base delle censure ora
definite, comportando l'annullamento giurisdizionale degli atti im
pugnati e ingenerando in capo all'amministrazione l'obbligo di
rinnovare la prioritaria valutazione dei vice avvocati generali sulla base di un'adeguata istruttoria, oltre a comportare l'assor
bimento di ogni altro motivo, rende irrilevante nel presente giu dizio la questione di legittimità costituzionale che il ricorrente
ha proposto nei confronti della norma (l'art. 30 r. d. 30 ottobre
1933 n. 1611) nella parte in cui autorizza il governo a procedere anche ad una nomina esterna, ove quella interna si riveli obiet
tivamente impossibile. 11. - Per le ragioni sopra esposte il ricorso deve essere accolto
e di conseguenza deve essere annullata la nomina dell'avv. Man
zari ad avvocato generale dello Stato. Non è luogo a pronunciare sulla sospensiva richiesta dal ricor
rente, atteso il carattere immediatamente esecutivo delle deci sioni di questo tribunale.
Per questi motivi, ecc.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL FRIU
LI-VENEZIA GIULIA; sentenza 16 marzo 1978, n. 79; Pres.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL FRIU
LI-VENEZIA GIULIA; sentenza 16 marzo 1978, n. 79; Pres.
ed est. Maffezzoni; Min. difesa (Avv. dello Stato De Carlo) c. Regione Friuli-Venezia Giulia (Avv. Pacia, Dabinovich), Comune di Tolmezzo.
Edilizia e urbanistica — Piano regolatore — Vincolo preordinato
all'espropriazione — Ricorso — Ammissibilità.
Edilizia e urbanistica — Piano regolatore — Vincolo di area —
Infrastrutture militari — Illegittimità (Legge 17 agosto 1942
n. 1150, legge urbanistica, art. 10; legge 6 agosto 1967 n. 765, modifiche e integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, art. 3).
È ammissibile il ricorso proposto contro la previsione di piano regolatore adottato e approvato, che imprime all'area del ri corrente una destinazione preordinata alla espropriazione (nella
specie, destinazione a parco pubblico e a edilizia scolastica di area sulla quale esistono infrastrutture militari). (1)
(1) Il principio affermato dalla massima trova ampio riscontro nella giurisprudenza, secondo la quale l'entrata in vigore di un piano regolatore generale, o di una sua variante, determina, per i proprie tari delle aree su cui ricadono le prescrizioni ed i vincoli posti dallo strumento urbanistico, l'immediato sorgere dell'onere di proporre impugnativa giurisdizionale: in questo senso, oltre alla decisione citata in motivazione, Cons. Stato, Sez. IV, 19 aprile 1977, n. 371, Foro it., Rep. 1977, voce Edilizia e urbanistica, n. 213, cfr., in ter mini generali, Sez. IV 27 febbraio e 11 maggio 1979, nn. 151 e 312, id., Rep. 1979, voce Giustizia amministrativa, nn. 219, 216; T.A.R. Liguria 24 maggio 1979, n. 241, ibid., n. 217; Cons. Stato, Sez. IV, 17 gennaio, 28 febbraio, 9 maggio, 26 luglio 1978, nn. 11, 155, 403, 758, id., Rep. 1978, voce cit., nn. 271-274; T.A.R. Lazio, Sez. I, 4 febbraio 1976, n. 60, id., Rep. 1976, voce cit., n. 272; T.A.R. Ve neto 10 febbraio 1976, n. 107, ibid., n. 273; T.A.R. Friuli-Venezia Giu lia 18 e 19 dicembre 1974. nn. 71 e 75, id., Rep. 1975, voce cit., nn. 1237, 1236; Cons. Stato, Sez. V, 19 ottobre 1973, n. 700, id., Rep. 1973, voce cit., n. 310; Sez. IV 6 marzo 1968, n. 133, id.. Rep. 1968, voce Piano regolatore, n. 148; Sez. V 7 aprile 1967, n. 233, id., Rep. 1967, voce cit., n. 146; Sez. IV 16 giugno 1965, n. 496, id.. 1965, III, 440, con nota di richiami, la quale, peraltro, ha ammesso che il piano regolatore di un comune, ancorché non impugnato al l'epoca della sua pubblicazione, possa formare oggetto di ricorso giurisdizionale nel momento in cui, costituendo il presupposto del provvedimento di diniego di una licenza edilizia, leda l'interesse del ricorrente.
Per quanto riguarda, in particolare, la destinazione di una parte
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