sezione II; parere 13 maggio 1992, n. 598; quesito Min. marina mercantileSource: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1992),pp. 425/426-431/432Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187491 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
CONSIGLIO DI STATO; CONSIGLIO DI STATO; sezione II; parere 13 maggio 1992, n. 598; quesito Min. marina mercantile.
Comunità europee — Corte di giustizia — Efficacia delle sen
tenze nel diritto interno — Obbligo di attuazione — Destina
tari (Trattato Cee, art. 177). Comunità europee — Corte di giustizia — Sentenza sul lavoro
portuale — Assenza di riforma legislativa — Circolare attua
tiva — Ammissibilità (Cod. nav., art. 110, 111). Comunità europee — Corte di giustizia
— Sentenza sul lavoro
portuale — Effetti sulla normativa nazionale (Trattato Cee, art. 177; cod. nav., art. 110, 111).
Lavoro portuale — Compagnie e gruppi portuali — Trasforma zione in imprese nella forma societaria — Obbligo — Legitti mità (Cost., art. 41; cod. civ., art. 1322; cod. nav., art. 110,
111). Lavoro portuale — Organizzazione del lavoro — Commissione
consultiva.
Le sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee pro nunziate ai sensi dell'art. 177 del trattato Cee, pur non im
portando la caducazione della norma interna ritenuta incom
patibile, si traducono in un obbligo di attuazione della nor
mativa comunitaria rivolto a tutti i soggetti giuridicamente tenuti all'attuazione delle leggi ed in particolare alle autorità
giurisdizionali e amministrative. (1) In assenza e in attesa di una riforma legislativa della disciplina
del lavoro portuale ispirata ai principi comunitari, è legittima e doverosa, seppure insufficiente, un 'attuazione in via ammi
nistrativa, per mezzo di circolare del ministro per la marina
mercantile, dotato di competenza specifica in materia, che de
termini l'armonizzazione tra le norme interne ed il trattato Cee nella parte in cui la Corte di giustizia abbia accertato
il contrasto. (2) A seguito della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità
europee in data 10 dicembre 1991 si è determinata l'illegitti mità: dell'art. 110, ultimo comma, c. nav. che delinea una
situazione di monopolio; dell'art. Ili stesso codice che sanci sce l'obbligo per le imprese di avvalersi della compagnia per
l'esecuzione delle operazioni portuali; dell'art. 152 d.p.r. 15
febbraio 1952 n. 328 che prevede il possesso della cittadinan
za italiana per l'iscrizione nel registro dei lavoratori portuali. (3) La sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del
10 dicembre 1991 riverbera i suoi effetti anche sui primi tre
commi dell'art. Ili c. nav. nel senso che si porrebbe in con
trasto con la normativa comunitaria l'attuazione della norma
che si traducesse, con il rilascio di una o poche concessioni
ad imprese per l'esercizio di operazioni portuali, nella crea
zione di situazioni di monopolio in contrasto con i principi della libera iniziativa di mercato e della concorrenza tra le
imprese; a tal fine l'autorità ammministrativa dovrà rifarsi, con adeguata motivazione, nel rilascio o diniego delle conces
sioni (provvedimenti che, in prospettiva, è auspicabile venga no sostituiti da autorizzazioni) oltre che ai principi comunita
ri indicati, a criteri economici relativi al rapporto tra numero
di imprese ed esigenze del traffico portuale, fermo restando, in ogni caso, il diritto ali'autoproduzione di servizi da parte delle imprese che, nel caso di necessità di assunzione di perso
nale, dovranno indirizzarsi, con opportune procedure da sta
bilire, verso i soci delle compagnie portuali. (4) La trasformazione delle compagnie e gruppi portuali in imprese
nelle forme societarie previste dal codice civile da attuarsi, secondo la circolare 9 luglio 1992 del ministro per la marina
mercantile, entro la fine del 1992, non contrasta con i princi
pi di libertà d'iniziativa economica e di autonomia negoziale di cui agli art. 41 Cost, e 1322 c.c. (5)
È legittima la circolare 9 luglio 1992 del ministro per la marina
mercantile che — prescindendo da una valutazione discrezio
(1-6) Il parere che si riporta si riferisce alla circolare del ministro
per la marina mercantile 9 luglio 1992, n. 21, Le leggi, 1992, II, 449, relativa a Corte giust. 10 dicembre 1991, causa 179/90. Foro it., 1992,
IV, 225, con note di C. Brusco e F. Macario.
Sulle risposte date in sede giurisprudenziale ai problemi aperti da questa sentenza si vedano, in questo fascicolo, parte prima con nota di richia
mi e osservazioni di C. Brusco, le decisioni Trib. Genova 10 luglio
1992, Pret. Genova 12 agosto 1992, 20 luglio 1992, 22 giugno 1992, 19 giugno 1992, Pret. La Spezia 3 giugno 1992, Pret. Massa 28 maggio 1992: provvedimenti che affrontano la maggior parte dei problemi esa
minati nel parere.
Il Foro Italiano — 1992 — Parte III-16.
naie dell'autorità marittima locale — attribuisce all'autorità
marittima la facoltà di istituire una commissione paritetica tra le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale e le associazioni imprenditoriali aderenti
al comitato di coordinamento dell'utenza nazionale, presie duta dalla stessa autorità (il Consiglio di Stato auspica una
competenza specifica del ministero della marina mercantile, sotto il profilo di un'approvazione dei membri nominati). (6)
Premesso. — Il ministero della marina mercantile, con la re
lazione indicata in epigrafe, sottopone a questo consiglio dei
quesiti aventi ad oggetto le modalità di esecuzione, nell'ambito dell'ordinamento interno, della sentenza della Corte di giustizia della Comunità economica europea 10 dicembre 1991, causa
C-170/90 (Foro it., 1992, IV, 225). La Corte di giustizia, con la sentenza in esame, ha stabilito che:
a) «il combinato disposto dell'art. 90, n. 1, e degli art. 30, 48 e 86 del trattato Cee osta alla normativa di uno Stato mem bro che conferisca ad un'impresa stabilita in questo Stato il
diritto esclusivo delle operazioni portuali e le imponga di servir
si, per l'esecuzione di dette operazioni, di una compagnia por tuale composta esclusivamente di maestranze nazionali»;
b) «il combinato disposto degli art. 30, 48 e 86, e dell'art.
90 del trattato attribuisce ai singoli dei diritti che i giudici na
zionali devono tutelare»;
c) «l'art. 90, n. 2, del trattato deve essere interpretato nel
senso che un'impresa o compagnia portuale che rispettivamente fruisce dell'esclusiva dell'esercizio delle operazioni portuali per conto terzi o ha l'esclusiva per l'esecuzione di tali operazioni, non può essere considerata unicamente in base a tali caratteri
stiche, incaricata della gestione di servizi di interesse economico
generale ai sensi di detta disposizione». La sentenza della Corte di giustizia è stata pronunciata ai
sensi e per gli effetti dell'art. 177 del trattato, quale risoluzione
di una questione pregiudiziale di interpretazione normativa co
munitaria, sollevata dal Tribunale di Genova con ordinanza in
data 29 maggio 1990 (id., 1992, I, 1293) nel corso di un giudi zio civile risarcitorio.
Il ministero riferente ritiene che, per effetto della sentenza
in esame:
a) si è determinata l'illegittimità dell'art. 110, ultimo com
ma, c. nav., con la conseguente caduta del monopolio delle com
pagnie e dei gruppi portuali nell'esecuzione delle operazioni
portuali;
b) si è determinata l'illegittimità dell'art. Ili, ultimo comma
c. nav., che obbliga le imprese portuali concessionarie di avva
lersi, per l'esecuzione delle operazioni portuali, esclusivamente
delle maestranze costituite nelle compagnie o nei gruppi portuali;
c) l'art. Ili, commi 1°, 2° e 3°, conservano efficacia giuridi
ca, atteso che «la specifica riserva a favore delle maestranze
portuali è prevista, infatti, solo dall'art. 110 c. nav., mentre
nessuna esclusiva è contemplata nell'art. Illa favore delle im
prese portuali». Sul punto, il ministero precisa che il sistema delle imprese
concessionarie, ex art. Ili, commi 1°, 2° e 3°, e 69 c. nav., non contrasta con i principi di libera concorrenza enunciati, in materia, dalla Corte di giustizia, nel quadro della normativa
comunitaria.
L'attuale previsione normativa, incentrata sulla titolarità di
una concessione amministrativa, a contenuto autorizzativo e di
licenza commerciale, quale titolo di legittimazione all'esercizio
delle operazioni portuali, concreta l'esigenza di un effettivo con
trollo delle imprese operanti nell'area portuale. Sul punto, l'attuazione della sentenza della Corte di giustizia
10 dicembre 1991, causa C-170/90 dev'essere ispirata alla ratio
iuris di realizzare un sistema di libera concorrenza, evitando
situazioni di deregulation, causa di squilibri commerciali ed eco
nomici nel settore del commercio marittimo e portuale. Il ministero, nel generale contesto della puntuale applicazione
della normativa comunitaria, ritiene ammissibile l'«autoprodu
zione» consacrata, a livello legislativo, nell'art. 9 1. 10 ottobre
1990 n. 287, contenente «norme per la tutela della concorrenza
e del mercato».
L'amministrazione riferente, premesse le dedotte considera
zioni, pone a questo consiglio i seguenti quesiti relativi:
a) al modus procedendi dell'attuazione della sentenza nell'or
dinamento giuridico interno, con particolare riguardo alla pre
disposizione di una specifica riforma legislativa ovvero di un
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PARTE TERZA
intervento a livello amministrativo, con un atto amministrativo
in forma di circolare o di decreto;
b) ai limiti dell'attuazione amministrativa.
Il ministro della marina mercantile, quale ipotesi applicativa di un'attuazione amministrativa della sentenza, allega lo sche
ma di una circolare, articolata nei paragrafi: I. Pluralità di im
prese: 1) Imprese portuali. 2) Rilascio di nuove licenze per l'e
sercizio di impresa. 3) Trasformazione delle compagnie in im
prese. II. Organizzazione del lavoro: 1) Costi portuali. Com
missione paritetica. Vigilanza. Considerato. — I. - Sul piano pregiudiziale occorre esamina
re la quaestio iuris relativa alla valenza giuridica della sentenza
della Corte di giustizia 10 dicembre 1991, causa C-170/90.
La pronuncia, accertando in concreto un contrasto tra gli art.
30, 48 e 86 del trattato Cee e norme dell'ordinamento interno,
ha quale efficacia giuridica la «non applicazione» della norma
tiva interna contra ius.
La giurisprudenza della Corte costituzionale, in materia di
contrasto tra norma comunitaria e diritto interno, riconoscendo
la natura giuridica autonoma e distinta degli ordinamenti, si
è orientata nel senso dell'inapplicabilità degli istituti dell'abro
gazione e dell'individuazione costituzionale. Talché, le norme
dell'ordinamento comunitario, prevalendo sull'ordinamento in
terno confliggente, costituiscono oggetto di un'immediata ap
plicazione giurisdizionale. Le norme interne, in contrasto con
il diritto comunitario, previgenti o successive, devono essere di
sapplicate (conf. la fondamentale sentenza Corte cost. 8 giugno
1984, n. 170, id., 1984, I, 2062). L'orientamento giurisprudenziale costituzionale ha precisato
che, per effetto dell'art. 11 Cost., le norme dell'ordinamento
comunitario ricevono «diretta applicazione» nell'ambito dell'or
dinamento interno, pur rimanendo estranee al sistema delle fonti
del diritto ex art. 1 disp. sulla legge in generale. L'effetto giuridico della «diretta applicazione» non è la cadu
cazione della norma interna incompatibile, quanto la non appli cazione della norma interna nella fattispecie dedotta in giudizio (conf. Corte cost. 18 aprile 1991, n. 168, id., 1992, I, 660).
La giurisprudenza costituzionale ha stabilito che sono sogget te alla «diretta applicazione» le sentenze interpretative della Corte
di giustizia, pronunciate ai sensi e per gli effetti dell'art. 177
del trattato Cee (conf. Corte cost. 23 aprile 1985, n. 113, id.,
1985, I, 1600; 18 aprile 1991, n. 168, cit.). Sulla base dei principi enunciati dalla giurisprudenza costitu
zionale, la sentenza in esame, accertando una particolare situa
zione di contrasto tra il diritto comunitario e il diritto interno, ha efficacia giuridica diretta nell'ordinamento positivo.
Il valore giuridico della decisione della Corte di giustizia si traduce in una «non applicazione» delle norme interne contra stanti con il diritto comunitario.
II. - La diretta efficacia giuridica della sentenza comporta un obbligo d'immediata attuazione.
Sul punto, la giurisprudenza costituzionale ha stabilito, che
tutti i soggetti titolari nell'ambito dell'ordinamento del potere di dare esecuzione alle leggi ed agli atti aventi forza e valore di legge, sono giuridicamente tenuti a disapplicare le norme in
terne incompatibili con la normativa comunitaria.
L'obbligo di attuazione attiene sia all'autorità giurisdiziona
le, titolare del potere di dichiarazione del diritto, sia all'autorità
amministrativa, titolare del potere di esecuzione del diritto (conf. Corte cost. 11 luglio 1989, n. 389, id., 1991, I, 1076).
Il ministro della marina mercantile, dotato di una competen za amministrativa specifica in subiecta materia ai sensi del r.d.
30 marzo 1942 n. 327, del d.l.c.p.s. 13 luglio 1946 n. 26, del
d.l.c.p.s. 31 marzo 1947 n. 396 e degli atti normativi collegati, ha l'obbligo di procedere all'attuazione della sentenza in ogget
to, provvedendo alla «non applicazione» delle norme contra ius. III. - La sezione, in relazione al quesito indicato supra sub
a), attinente al modus procedendi di attuazione, ritiene giuridi camente opportuno uno specifico intervento legislativo di rifor
ma dell'intera materia, diretto a conformare il sistema con il
trattato Cee.
In merito, assume rilevanza la complessità e la delicatezza
dell'argomento, che implica una sostituzione delle norme inter
ne, caducate per effetto della decisione giurisdizionale comu
nitaria.
In astratto, l'intervento legislativo comporta una puntuale at
tuazione della normativa comunitaria, atteso che consente ai
conditores di ridefinire l'intera disciplina della materia, in con formità ai principi della libertà d'iniziativa economica e di mer
li. Foro Italiano — 1992.
cato, affermati, nella specie, dalla giurisprudenza comunitaria.
La definizione di una riforma legislativa ad hoc è la principa le forma di attuazione della sentenza della Corte di giustizia della Cee, prioritaria rispetto ad un'esecuzione amministrativa
in guisa di disapplicazione normativa.
In thema è intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza
11 luglio 1989, n. 389, cit., osservando che «poiché la disappli cazione è un modo di risoluzione delle antinomie normative,
che oltre a presupporre la contemporanea vigenza delle norme
reciprocamente contrastanti, non produce alcun effetto sull'esi
stenza delle stesse e, pertanto, non può essere causa di qualsivo
glia forma di estinzione o di modificazione delle disposizioni che ne siano oggetto, resta ferma l'esigenza che gli Stati mem
bri apportino le necessarie modificazioni o abrogazioni del pro
prio diritto interno al fine di depurarlo da eventuali incompati bilità o disarmonie con le prevalenti norme comunitarie. E se,
sul piano dell'ordinamento nazionale, tale esigenza si collega al principio della certezza del diritto, sul piano comunitario,
invece, rappresenta una garanzia cosi essenziale al principio del
la prevalenza del proprio diritto su quelli nazionali da costituire
l'oggetto di un preciso obbligo per gli Stati membri (v., in tal
senso, Corte giust. 25 ottobre 1979, causa 159/78, id., 1979,
IV, 389; 15 ottobre 1986, causa 168/85, id., Rep. 1987, voce
Comunità europee, nn. 186, 238; 2 marzo 1988, causa 104/86)».
Nondimeno, per effetti dei principi generali, in attesa dell'au
spicata riforma legislativa della materia, è legittima un'attua
zione amministrativa della sentenza, che consenta di eliminare
le situazioni di grave ed accertato contrasto con il diritto comu
nitario.
La giurisprudenza costituzionale enunciata sub II, considera
legittima l'attuazione amministrativa disposta dall'amministra
zione pubblica, titolare delle attribuzioni esecutive delle leggi. L'attuazione amministrativa della sentenza della Corte di giu
stizia in esame comporta la «non applicazione» della norma
interna in contrasto con il diritto comunitario (conf. Corte cost.
11 luglio 1989, n. 389, cit.). Sotto il profilo generale, la sezione condivide la scelta opera
ta dall'amministrazione, che ha predisposto una circolare inter
pretativa. Nelle more di un intervento legislativo, la circolare opera
un'immediata esecuzione della sentenza comunitaria, determi
nando un'armonizzazione delle norme di diritto interno con il
trattato Cee, oggetto di interpretazione ex art. 177.
La sezione, tuttavia, in ordine alla valenza dell'attuazione am
ministrativa, osserva che la giurisprudenza della Corte di giusti
zia, considera insufficiente esecuzione del diritto comunitario
l'adozione di atti amministrativi, circolari e prassi amministrati
ve. Sul punto, si sottolinea la natura giuridica modificabile e
revocabile ad nutum di tali atti, privi di adeguata pubblicità, in guisa da non realizzare un puntuale adempimento dell'obbli
go di esecuzione. Talché si riafferma la necessità di adottare
«disposizioni interne vincolanti aventi lo stesso valore giuridico di quelle che dovrebbero essere modificate» (conf. Corte giust. 3 marzo 1988, causa 116/86; 23 maggio 1985, causa 297/84; 22 giugno 1989, causa 103/88, id., Rep. 1989, voce cit., nn.
415-418; 13 marzo 1990, causa 339/87). IV. - In relazione agli effetti prodotti dalla sentenza sulle norme
di diritto interno, la sezione, concordando con l'avviso del mi
nistro della marina mercantile, ritiene che si è determinata l'ille
gittimità: a) dell'art. 110, ultimo comma, c. nav., che delinea una si
tuazione di monopolio in contrasto con gli art. 30, 48, 86 e
90, n. 1, del trattato Cee;
b) dell'art. Ili, ultimo comma, c. nav., che sancisce un ob
bligo a carico delle imprese per operazioni portuali in contrasto
con gli art. 30, 48, 86 e 90, n. 1, del trattato Cee;
c) dell'art. 152, n. 2, d.p.r. 15 febbraio 1952 n. 328, che
impone per l'iscrizione nei registri di cui all'art. 150 il possesso della cittadinanza italiana in contrasto con l'art. 48 del trattato
Cee.
La sezione esprime l'avviso che la sentenza in esame riverbe
ra i propri effetti anche sull'art. Ili, 1°, 2° e 3° comma, c. nav. Sul piano preliminare si ritiene che il sistema della concessio
ne amministrativa, quale presupposto di legittimazione per lo
svolgimento delle operazioni portuali, non contrasta, in astrat
to, con i principi della libera iniziativa economica e di mercato
previsti nella normativa comunitaria.
La concessione amministrativa ex art. Ili c. nav., con effica
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
eia giuridica di provvedimento d'autorizzazione e di licenza, in
centra la ratio iuris in un accertamento sul possesso dei requisiti
soggettivi ed oggettivi dell'impresa, funzionali allo svolgimento delle operazioni portuali.
Nel contempo, il sistema della concessione consente al capo del compartimento marittimo di disciplinare l'attività delle im
prese portuali, in guisa da realizzare un regolare rapporto tra
domanda di mercato e soggetti operativi.
Nondimeno, la sezione considera che la disciplina ammini
strativa dell'attività imprenditoriale prevista dall'art. Ili c. nav.
è da attuare in conformità ai principi della normativa comu
nitaria. In subiecta materia, il regime della concessione amministrati
va non deve tradursi nella realizzazione di fatto di illegittime situazioni di monopolio, per effetto di un uso distorto del pote re amministrativo, atteso il rilascio di un unico o di un numero
ridotto di provvedimenti autorizzativi.
Sub specie iuris, l'attuazione delle norme comunitarie com
porta l'adozione di una pluralità di concessioni, in guisa da ga rantire il libero mercato e un sistema di effettiva concorrenza
imprenditoriale. Il rilascio della concessione presuppone una rigorosa ponde
razione dei criteri indicati nell'art. Ili, 2° comma, c. nav.
Sul punto, l'autorità amministrativa è tenuta a valutare il da
to economico del rapporto tra numero di imprese ed esigenze del traffico portuale, ed il dato giuridico dell'esigenza di attua
re i principi desunti dalla normativa comunitaria del libero mer
cato e dell'ampia concorrenza.
Sotto il profilo giuridico i provvedimenti amministrativi di
concesisone devono essere congruamente motivati, ai sensi degli art. 3 1. 7 agosto 1990 n. 241 e 200 reg. nav. mar.
Nondimeno, il regime della libera concorrenza, inserito in un
contesto economico e di mercato qualificato da una pluralità di imprese operative, impone che i provvedimenti di diniego della concessione siano oggetto di una motivazione specifica. L'atto di diniego è da motivare con la specifica indicazione del le ragioni di diritto e di fatto alla base della decisione, in rap
porto ai dati emersi dall'istruttoria, tendente ad accertare, in
concreto, gli elementi previsti dagli art. Ili, 2° comma, c. nav., e 1196 ss. reg. nav. mar.
De iure condendo è da ponderare la sostituzione della conces
sione con un'autorizzazione amministrativa che, secondo l'au torità garante della concorrenza e del mercato, consente «una
più vasta partecipazione degli interessati e un più penetrante controllo giudiziario» (cfr. provvedimento dell'autorità 13 mar
zo 1991, n. 53, in Bollettino, 1991, n. 2, 57).
Un'interpretazione dell'art. Ili, 1°, 2° e 3° comma, c. nav., che determini una situazione di monopolio, contrasta con le
direttive contenute nella sentenza della Corte di giustizia 10 di
cembre 1991, causa C-170/90.
La sezione, inoltre, considera conforme ai principi comunita
ri l'«autoproduzione», intesa nell'accezione giuridica di cui al
l'art. 9 1. n. 287 del 1990, quale regime di «concorrenza po tenziale».
Il diritto all'«autoproduzione», diretta espressione della libe
ra circolazione delle persone e dei servizi sancita dall'art. 48
del trattato Cee, è da garantire nel massimo grado delle possibi li forme di esplicazione.
In thema, è da rilevare che, allo stato, la normativa vigente
prevede specifiche fattispecie di autoproduzione, quali l'«auto nomia funzionale» ex art. 110, ultimo comma, c. nav., e l'auto
rizzazione alla diretta esecuzione delle operazioni portuali ex
art. 201 reg. nav. mar.
V. - Per quanto attiene al contenuto della circolare predispo sta dal ministero della marina mercantile, la sezione, seguendo 10 schema del provvedimento, osserva:
I. Pluralità di imprese. 1) Imprese portuali. L'amministrazio
ne afferma il diritto delle imprese autorizzate ad esercitare l'«au
toproduzione», servendosi delle maestranze iscritte nei libri pa
ga. L'eventuale assunzione di personale è da svolgere con prefe
renza per i soci e gli addetti alle compagnie portuali, con
applicazione del trattamento economico previsto dalla vigente contrattazione collettiva, tramite una procedura di competenza
dell'autorità marittima o dell'ente portuale. Nelle situazioni d'indisponibilità delle maestranze dipendenti
dalle compagnie portuali è consentita la facoltà di procedere alle assunzioni tramite gli uffici del collocamento, secondo le
procedure in vigore. La circolare prevede una ricognizione delle imprese portuali
11 Foro Italiano — 1992.
concessionarie, svolte dall'autorità marittima o dall'ente por tuale, sentiti il consiglio del lavoro portuale e la costituenda
commissione paritetica, per accertare il possesso dei requisiti
oggettivi e soggettivi necessari per lo svolgimento delle attività
portuali, nel contesto del nuovo regime di libera concorrenza. Sul punto, la sezione non ha rilievi da formulare, atteso che
i principi di massima affermati e le procedure stabilite tendono
ad attuare un sistema caratterizzato dall'operatività di una plu ralità di imprese.
Per converso, la sezione, sulla base delle argomentazioni svolte, ritiene indispensabile un'integrazione della circolare, precisando che il regime concessorio ex art. Ili c. nav. è da interpretare ed applicare in rigorosa armonia con i principi comunitari, af
fermati dalla sentenza della Corte di giustizia 10 dicembre 1991, causa C-170/90.
Sul piano dinamico dell'azione amministrativa, per garantire una puntuale attuazione della sentenza, è opportuno precisare, che il sistema legale della concessione implica il rispetto assolu to della normativa comunitaria.
In particolare, occorre rimarcare il preciso obbligo dell'auto
rità amministrativa competente ex art. 111 c. nav., precisamen te del capo del compartimento marittimo, di rilasciare una plu ralità di concessioni, previa ponderazione degli elementi econo
mici e giuridici indicati supra sub IV, per attuare un regime di libero mercato e di ampia concorrenza.
Nondimeno, è opportuno che la circolare affermi i principi in tema di motivazione amministrativa dei provvedimenti con
cessori e di diniego enunciati supra sub IV.
Sul piano generale, la sezione ritiene che i punti in esame
assumono una valenza giuridica determinante, atteso che costi tuiscono il dato centrale dell'attuazione della sentenza in oggetto.
2) Rilascio di nuove licenze per l'esercizio di imprese. La cir colare riafferma l'obbligo dell'autorità marittima di rilasciare
le concessioni e le licenze ex art. Ili c. nav. e 201 reg. nav.
mar., previo puntuale accertamento dei requisiti oggettivi stabi
liti negli art. 196 ss. reg. nav. mar. Decorso il termine annuale di validità della concessione, l'au
torità marittima è tenuta a controllare ex novo la presenza dei
requisiti stabiliti ex lege e, sussistendo i relativi presupposti, ad
adottare i provvedimenti di sospensione e revoca ex art. 200
reg. nav. mar.
Sul punto, la sezione ritiene opportuno che la circolare speci fichi, sulla base del combinato disposto degli art. 200 reg. nav.
mar. e 3 1. n. 241 del 1990, che i provvedimenti di sospensione e revoca della concessione devono essere debitamente motivati, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche, che han
no determinato la decisione dell'autorità amministrativa, in re
lazione alle risultanze dell'istruttoria. La circolare consente la concessione alle imprese autorizzate
di aree, banchine ed impianti portuali disponibili. La sezione, nell'esprimere un avviso favorevole, raccomanda
il rilascio di una pluralità di concessioni, sulla base di un'atten
ta valutazione delle esigenze di mercato, per garantire la par condicio tra le imprese.
I relativi provvedimenti devono essere congruamente motiva
ti, ai sensi degli art. 200 reg. nav. mar. e 3 1. n. 241 del 1990.
3) Trasformazione delle compagnie in imprese. La circolare
impone la trasformazione delle compagnie portuali in imprese, «secondo i tipi societari previsti dal codice civile, mantenendo
comunque la stessa denominazione, accompagnata dall'indica zione del tipo di società assunto».
L'impresa succede alla compagnia in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi, agendo in un regime di libero mercato, in situa
zione di concorrenza.
I rapporti di lavoro della compagnia continuano con l'impre sa e le maestranze rimangono assoggettate all'iscrizione nei re
gistri dei lavoratori portuali ex art. 150 reg. nav. mar.
La circolare auspica la soppressione delle piccole compagnie e l'eventuale fusione, per garantire un grado elevato di profes
sionalità e di concorrenza.
In generale, la sezione concorda con l'amministrazione rife
rente in ordine al modus procedendi di trasformazione delle com
pagnie portuali, in relazione alla mutata realtà economica e giu ridica.
La trasformazione in impresa, nelle forme societarie ex art.
2247 ss. c.c., non contrasta con i principi della libertà d'iniziati
va economica e dell'autonomia negoziale ex art. 41 Cost, e 1322
c.c. Sul punto, ha rilievo assorbente il rinvio all'art. 41, ultimo
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PARTE TERZA 432
comma, Cost., che legittima il potere statale di disciplinare l'at
tività economica, per realizzare il rispetto della normativa co
munitaria e interna.
II. Organizzazione del lavoro. 1) Costi portuali - Commissio
ne paritetica - Vigilanza. La circolare attribuisce all'autorità ma
rittima la facoltà di istituire una «commissione paritetica tra le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a li
vello nazionale e le associazioni imprenditoriali aderenti al co
mitato di coordinamento dell'utenza nazionale, presieduta dalla
stessa autorità».
La commissione paritetica ha funzioni consultive per il rila
scio ed il controllo delle concessioni ex art. Ili c. nav., di orga nizzazione e di programmazione dei lavori portuali e della mo
bilità dei lavoratori.
La sezione, in merito, condivide l'indirizzo della circolare,
ispirata all'esigenza di garantire una partecipazione delle forze
sindacali nella pianificazione del sistema della concessione am
ministrativa.
Nondimeno, si osserva che, in mancanza di una legge ad hoc, l'istituzione di un organismo paritetico con funzioni consultive, di controllo e di programmazione, non è da attribuire alla pura discrezionalità dell'autorità marittima locale, per evitare situa zioni di contrasto nell'applicazione della circolare.
Sul piano giuridico appare preferibile istituire l'organismo in esame direttamente con la circolare, prescindendo da una valu
tazione discrezionale dell'autorità marittima locale.
Sul punto, inoltre, è auspicabile una competenza specifica del
ministero della marina mercantile, sotto il profilo di un'appro vazione dei membri nominati.
La mancanza di una legge comporta la natura giuridica, me ramente facoltativa dei pareri espressi e degli atti di indirizzo e di programmazione del lavoro portuale.
L'istituzione, le funzioni e la disciplina della commissione pa ritetica costituiscono materia della riforma legislativa da attuare in sede di esecuzione della sentenza della Corte di giustizia della Comunità economica europea 10 dicembre 1991, causa C-170/90.
La circolare prevede la revisione delle tariffe operata dall'au torità marittima.
La sezione esprime un avviso favorevole, atteso il nuovo regi me di libera concorrenza e di libero mercato, che impone una revisione della disciplina economica.
La circolare, infine, delinea forme particolari di vigilanza per i lavoratori portuali.
In thema, le indicazioni sono in linea con l'art. 110 c. nav.
CONSIGLIO DI STATO; sezione V; decisione 15 aprile 1992, n. 299; Pres. Catallozzi, Est. Piscitello; Comune di Rimini
(Avv. Viola, Arcangeli) c. Pari (Avv. Maroncelli, Loren
zoni). Annulla Tar Emilia Romagna 21 gennaio 1987, n. 12.
Edilizia e urbanistica — Perimetrazione del centro abitato —
Delibera comunale — Natura regolamentare — Conseguenze
(L. 17 agosto 1942 n. 1150, legge urbanistica, art. 41 quin quies; 1. 28 gennaio 1977 n. 10, norme per la edificabilità dei suoli, art. 4).
Edilizia e urbanistica — Perimetrazione del centro abitato —
Delibera comunale — Termine — Natura (L. 17 agosto 1942 n. 1150, art. 41 quinquies; 1. 28 gennaio 1977 n. 10, art. 4).
Edilizia e urbanistica — Piano regolatore — Vincoli urbanistici di inedificabilità e a contenuto espropriativo — Termine di efficacia — Scadenza — Perimetrazione del centro abitato — Legittimità (L. 17 agosto 1942 n. 1150, art. 41 quinquies-, 1. 28 gennaio 1977 n. 10, art. 4).
La delibera comunale di perimetrazione del centro abitato ha natura e portata di norma regolamentare, integrativa o sosti
tutiva, secondo i casi, di regolamento edilizio, per cui va as
soggettata, quanto ai controlli, alla stessa disciplina dettata dalla legge per i regolamenti edilizi. (1)
(1) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 aprile 1990, n. 337, Foro it., Rep. 1990, voce Edilizia e urbanistica, n. 224; 20 febbraio 1973, n. 167, id., 1973, III, 168, in motivazione; Tar Lombardia 16 luglio 1980, n. 871, id., Rep. 1982, voce cit., n. 221.
Il Foro Italiano — 1992.
Il termine di novanta giorni, previsto dall'art. 41 quinquies I.
17 agosto 1942 n. 1150, per la delimitazione dei centri urbani, non è stabilito a pena di decadenza, ben potendo il comune
provvedervi dopo l'entrata in vigore della I. 28 gennaio 1977
n. 10. (2) Divenuti inefficaci i vincoli di piano regolatore per la scadenza
del termine quinquennale, è legittima la perimetrazione del
centro urbano da parte del comune, per mantenere la situa
zione di inedificabilità ex art. 4 I. 28 gennaio 1977 n. 10, in attesa di integrare lo strumento urbanistico. (3)
Diritto. — Il problema sottoposto all'esame della sezione at tiene alla possibilità giuridica di emanare un provvedimento di
perimetrazione del centro abitato per far fronte alle esigenze urbanistiche derivanti dalla decadenza dei vincoli contenuti nel
piano regolatore generale. Tale possibilità viene negata dagli attuali appellati i quali,
in primo grado, si sono visti accogliere la loro tesi sul presup posto che il comune avrebbe dovuto — e potuto — procedere
all'approvazione di una variante allo strumento urbanistico
vigente.
Pertanto, l'ente non poteva avvalersi della perimetrazione at
teso che l'adozione di quest'ultima misura era consentita dal
l'art. 17 1. 6 agosto 1967 n. 765 per un determinato periodo di tempo, da reputarsi ormai scaduto.
È necessario partire dall'esame della norma da ultimo citata.
L'art. 17 della c.d. legge-ponte, inserendo nel precedente te
sto della legge urbanistica l'art. 41 quinquies, ha inteso preve dere misure di salvaguardia generale per i comuni sprovvisti di
strumenti urbanistici o che li avessero soltanto adottati. È stata cosi costituita una normativa transitoria di tipo rego
lamentare identica per tutto il territorio dello Stato.
Con l'entrata in vigore della 1. 10 gennaio 1977 n. 10 la sud
detta disciplina è stata sostituita da una nuova regolamentazio ne, contenuta nell'art. 4, che fissa i limiti che incontra l'identi
ficazione nel caso di assenza di strumenti urbanistici generali.
(2) In altra occasione il Consiglio di Stato ha ritenuto, indirettamen
te, il carattere non perentorio del termine di cui all'art. 41 quinquies 1. 17 agosto 1942 n. 1150, stabilendo che nelle more del procedimento di perimetrazione (fuori del termine) del centro abitato, non illegittima mente il comune (nel determinare le distanze a protezione del nastro
stradale) può applicare la normativa di cui all'art. 41 septies (Cons. Stato, sez. V, 3 novembre 1970, n. 848, Foro it., Rep. 1970, voce Piano
regolatore, n. 86). Che la perimetrazione del centro urbano non rimanga un fatto stori
co isolato nella vicenda urbanistica di un comune, deriva, oltre che dall'eventualità prospettata dalla terza massima, legata alla necessità di supplire al venir meno dell'efficacia dei vincoli di piano regolatore, dalla relatività del concetto di centro abitato, pure sottolineata dalla
sentenza, destinato a mutare nel tempo, per la costante tendenza al l'ampliamento delle aree urbane.
(3) La situazione di decadenza dei vincoli di piano, per decorso del tempo, è equiparata alla mancanza di piano, quale presupposto per l'applicabilità dei limiti di legge, previsti dall'art. 4, 9° comma, 1. 10/77 e, in precedenza dell'art. 41 quinquies legge urbanistica. Cfr. Cons. Stato, ad. plen., 2 aprile 1984, n. 7, Foro it., 1984, III, 229, con nota di richiami. La pronuncia in epigrafe dà per scontata la sopravvivenza, alla 1. 10/77, del termine quinquennale di efficacia dei vincoli di piano regolatore, problema del quale la citata decisione dell'ad. plen. si era fatta carico, risolvendolo in senso positivo (vedi anche ordinanza di rimessione 26 luglio 1983, n. 584, ibid., 57, con nota di richiami).
La portata del presente decisum è quella di un corollario ai principi sanciti dalla decisione 7/84, poiché se la decadenza dei vincoli compor ta l'applicabilità dei limiti legali di edificabilità, alla differenziata appli cazione di essi nelle varie parti del territorio comunale è propedeutica la delimitazione dei centri urbani (da ricordare che la preventiva peri metrazione è necessaria ai fini dell'operatività dei soli limiti di cubatu ra, non anche per le distanze tra le costruzioni: Cass. 20 agosto 1990, n. 8440, id., Rep. 1990, voce Edilizia e urbanistica, n. 295).
La perimetrazione, d'altro canto, il cui carattere di provvisorietà, sot tolineato dalla pronuncia in epigrafe, emerge anche da Cons. Stato, sez. V, 14 dicembre 1973, n. 1138, id., Rep. 1973, voce cit., n. 140 (che dichiara illegittima la relativa deliberazione qualora persegua fina lità proprie degli strumenti urbanistici), si rende indispensabile per la ricognizione del centro abitato quando il tessuto degli insedimenti abi tativi sia di incerta delimitazione (Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 1970, n. 1245, id., Rep. 1970, voce Piano regolatore, n. 84), anche perché, in difetto di valida perimetrazione, devono applicarsi i limiti di volume tria validi per le altre parti del territorio (Cons. Stato, sez. V, 29 otto bre 1971, n. 951, id., Rep. 1971, voce Edilizia e urbanistica, n. 345).
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