sezione II; parere 29 ottobre 1986, n. 2085; Min. pubblica istruzioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1988),pp. 111/112-117/118Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179281 .
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PARTE TERZA
tecniche, dall'altro, come è stato chiarito con il parere della Ia
sezione di questo consiglio, tali espressioni non identificano alcu
na entità giuridica specifica, ed il sistema consente che soltanto
organismi di ausilio all'attività sanitaria possano assumere la for
ma della società, ma esclude la riconducibilità dell'attività sanita
ria di tipo professionale a modo di essere dell'attività
imprenditoriale (singola e associata). Si deve quindi concludere che le norme del d.p.r. 16 maggio
1980 — le quali, peraltro avevano validità triennale (art. 11 del
decreto ) — di cui agli art. 1 e 2 , sono illegittime e le relative
convenzioni sono nulle per incapacità giuridica del soggetto (so cietà di medici); del resto è da escludere che nel nostro ordina
mento un atto amministrativo possa incidere sulla legislazione che
regola l'autonomia privata, in modo tale da rendere valido un
negozio giuridico nullo. Le norme del d.p.r. 16 maggio 1980 in
fatti presuppongono o statuiscono la legittimità dell'esercizio in
forma societaria dell'attività professionale e consentono il con
venzionamento fra gli enti erogatori e società di professionisti medici per l'erogazione di prestazioni mediche (in particolare l'art.
2 del decreto, riferendosi al professionista convenzionato che tra
sformi, durante la validità dell'accordo, la propria attività da ge stione individuale a gestione societaria, non pare consentire
interpretazioni diverse). Va infine sottolineato che l'art. 48 1. 23 dicembre 1978 n. 833,
nel segnare i limiti della devoluzione normativa alla fonte sub
primaria, con il riferimento alle «incompatibilità» ed ai «medi
ci», quali soggetti del rapporto convenzionale, dà per presuppo sto che il professionista convenzionato possa essere soltanto la
persona fisica del medico.
Si deve comunque ritenere che debba escludersi il coinvolgi mento di alcun soggetto nella contravvenzione di cui all'art. 7
1. 23 novembre 1939 n. 1815 in relazione a comportamenti, attra
verso i quali si sono realizzate, ai sensi dell'art. 2 d.p.r. 16 mag
gio 1980, convenzioni per l'erogazione di attività professionale medica con società.
L'errore determinato da un comportamento positivo dell'auto
rità, che nel caso si è tradotto in norma giuridica, infatti, non
sembra consentire l'ipotizzabilità della sussistenza dell'elemento
psicologico del reato (Cass., sez. un., 7 dicembre 1963); tale prin
cipio, del resto, risponde ad esigenze fondamentali dell'ordina
mento giuridico quali quelle della correttezza del rapporto fra
cittadino ed autorità e della stessa certezza del diritto.
I
CONSIGLIO DI STATO; sezione II; parere 29 ottobre 1986, n.
2085; Min. pubblica istruzione.
Avvocatura dello Stato — Avvocato dello Stato — Attività di
consulenza legale in via breve a favore di università — Com
penso — Legittimità — Limiti (R.d. 31 agosto 1933 n. 1592, t.u. delle leggi sull'istruzione superiore, art. 50; r.d. 30 ottobre
1933 n. 1611, t.u. delle leggi sulla rappresentanza e difesa in
giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'avvocatura dello Sta
to, art. 43, 47; d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, statuto degli impie
gati civili dello Stato, art. 380; d.p.r. 28 dicembre 1970 n. 1077, riordinamento delle carriere degli impiegati civili dello Stato, art. 152; 1. 3 aprile 1979 n. 103, modifiche dell'ordinamento
dell'avvocatura dello Stato, art. 11, 20).
L'attività di consulenza legale in via breve prestata con continui
tà da avvocato dello Stato in favore di amministrazione statale
(nella specie, università degli studi), ai sensi dell'art. 20 I. 3
aprile 1979 n. 103, è distinta da quella consultiva il cui svolgi mento è attribuito in via istituzionale all'avvocatura dello Sta
to; pertanto, l'incarico può essere retribuito e deve essere
conferito secondo i termini e le modalità disposte dall'art. 152
d.p.r. 28 dicembre 1970 n. 1077. (1)
(1-2) I. - Il Consiglio di Stato applica criteri più volte ribaditi e unifor memente seguiti dalla giurisprudenza amministrativa, mentre la Corte dei conti si discosta dai principi applicati in altre occasioni, sia pure non univocamente.
li Foro Italiano — 1988.
II
CORTE DEI CONTI; sezione controllo enti; determinazione 15
luglio 1986, n. 1879; Pres. Di Stefano, Rei. Serrao; Azienda
autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale.
Avvocatura dello Stato — Avvocato dello Stato — Attività di
consulenza legale in via breve a favore di ente pubblico — Com
penso — Illegittimità (D.p.r. 28 dicembre 1970 n. 1077, art.
2; 1. 2 aprile 1979 n. 97, norme sullo stato giuridico dei magi strati e sul trattamento economico dei magistrati ordinari e am
ministrativi, dei magistrati della giustizia militare e degli avvocati
dello Stato, art. 17).
L'attività di consulenza legale in via breve e continuativa prestata da avvocato dello Stato in favore di ente pubblico non rientra
fra gli incarichi per i quali la partecipazione è prevista dalla
legge come obbligatoria al di fuori delle funzioni istituzionali
dell'avvocatura e, pertanto, non può essere retribuita separata
mente, stante il principio di onnicomprensività dettato dall'art.
17 I. 2 aprile 1979 n. 97. (2)
Sull'argomento specifico della legittimità della corresponsione dei com
pensi agli avvocati dello Stato che prestino attività esulanti da quelle isti
tuzionali, in termini con Cons. Stato 2085/86, v. i pareri dello stesso
consiglio, commissione speciale, 26 marzo 1980 n. 1/80 inedito (citato nel parere 2085/86), emesso in riferimento ad attività consultiva in via breve in favore di una p.a.; 6 novembre 1978, n. 53/54, Foro it., Rep. 1981, voce Avvocatura dello Stato, n. 11, emesso in riferimento ad attivi tà amministrativa, quale predisposizione di regolamenti e risposte ad in
terpellanze o collaborazione alla formazione di atti amministrativi, in favore dell'azienda delle ferrovie dello Stato; 12 giugno 1974, n. 29/74, inedito, emesso in riferimento alla partecipazione al consiglio di amministrazione dei monopoli di Stato e alla prestazione di consulenza in via breve presso la stessa amministrazione e della sez. 1 29 marzo 1974, n. 570, id., Rep. 1974, voce Impiegato dello Stato, nn. 524, 601 (riferito a tutti i dirigenti ed impiegati statali), nonché la determinazione della Corte conti, sez. contr., 20 dicembre 1979, n. 1026, id., Rep. 1980, voce Avvocatura dello Stato, n. 6, emessa in fattispecie identica a quella esaminata da Cons. Stato, comm. spec., 6 novembre 1978, n. 53/54, cit.; contra e in termini con Corte conti 1879/86 in epigrafe, le determinazioni della stessa corte, sez. contr. enti, 29 ottobre 1985, n. 1835, id., Rep. 1986, voce cit., n. 3, sulla illegittimità della corresponsione di compenso all'avvocato dello Stato nominato membro del consiglio di amministrazione di ente pubblico in caso non prescritto dalla legge; sez. contr. Stato 15 ottobre 1981, n. 1192, id., Rep. 1982, voce Impiegato dello Stato, n. 987, sulla illegittimità della
corresponsione all'avvocato dello Stato, consulente in via breve dell'a zienda dei monopoli di Stato, dei premi speciali previsti per il personale dipendente dall'art. 7 1. 3 luglio 1970 n. 483, modificato dall'art. 2 1. 27 dicembre 1973 n. 851; sez. contr. Stato 21 aprile 1977, n. 767, id., Rep. 1978, voce Avvocatura dello Stato, n. 10, sulla illegittimità della
corresponsione all'avvocato dello Stato distaccato presso l'azienda ferro vie dello Stato della corresponsione dei premi eccezionali di cui all'art. 70 1. 11 febbraio 1970 n. 34.
Con riferimento alle altre categorie di funzionari pubblici (magistrati, dirigenti, ecc.) il principio della onnicomprensività delle retribuzioni dei
dipendenti pubblici è stato sempre ritenuto inapplicabile in riferimento ad attività che «consista in mansioni cui il dipendente possa sottrarsi per ché non rientranti fra i normali e dovuti compiti d'ufficio» (Cons. Stato, sez. V, 4 luglio 1986, n. 341, id., Rep. 1986, voce Impiegato dello Stato, n. 798); non sia riconducibile all'esplicazione di funzioni tipiche e poteri inscindibilmente connessi con la qualifica e l'ufficio ricoperti, ma consi sta in mansioni non rientranti fra i doveri d'ufficio (Cons. Stato, sez.
VI, 5 marzo 1986, n. 213, ibid., n. 800; v. anche sez. VI 28 ottobre
1986, n. 826, ibid., n. 799; T.A.R. Piemonte, sez. II, 28 luglio 1984, n. 210, id., Rep. 1985, voce cit., n. 690); sia «resa ... su designazione intuitu personae e non ratione officii» (Corte conti, sez. contr., 18 aprile 1985, n. 1547, ibid., n. 805); esuli «dalle ordinarie mansioni di ufficio, vengono espletate fuori dell'orario di ufficio e rappresentano l'adempi mento di un diverso incarico conferito dall'amministrazione» (Cons. Sta to, sez. Ili, 1° giugno 1982, n. 595/81, id., Rep. 1984, voce cit., n. 736); e ciò al fine di non penalizzare «il dipendente sotto il profilo economico, ma soltanto in termini di compatibilità o meno di dette attività col pecu liare status del soggetto» (Cons. Stato, sez. VI, 5 agosto 1985, n. 428, id., Rep. 1985, voce cit., n. 329) ed «in base al generale principio della remunerabilità di ogni prestazione» (Cons. Stato, sez. VI, 22 maggio 1981, n. 225, id., Rep. 1981, voce cit., n. 671).
Per ogni altro riferimento sul principio della «onnicomprensività» della retribuzione, nel pubblico impiego, v. Corte conti, sez. II, 15 luglio 1985, n. 142, id., 1986, III, 271, con nota di L. Verrienti; sez. contr. Stato 9 aprile 1981, n. 1143, id., 1982, III, 423; 15 dicembre 1977, n. 838, id., 1979, III, 176, con note di richiami; nel lavoro privato, in prima approssimazione, Cass. 13 febbraio 1984, n. 1081 ed altre, id., 1984, I, 677, con nota di M. De Luca.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
I
Premesso: L'amministrazione riferente evidenzia — anzitutto — che all'origine dell'odierna consultazione stanno le perplessità
ingenerate dai quesiti posti da varie università degli studi — in
relazione anche ai rilievi mossi dai rispettivi collegi di revisione — circa la legittimità dell'erogazione, a carico dei propri bilanci, di compensi fissi annui nei confronti di avvocati dello Stato che
svolgono in via continuativa attività di consulenza giuridico-legale a favore delle stesse università.
Per altri utili riferimenti, si vedano, sulla legittimità della corresponsio ne dei compensi per lo svolgimento delle funzioni arbitrali da parte dei
magistrati e degli avvocati dello Stato: Corte cost. 22 aprile 1985, n. 116, id., 1985, I, 2149, con nota redazionale; sulla disciplina della attività
libero-professionale espletata da dipendenti pubblici: R. Cavallo Perin,
Dipendenti pubblici, libera professione e commissario straordinario, nota a Corte conti, sez. contr., 5 dicembre 1985, n. 1607, e T.A.R. Campania 23 gennaio 1986, n. 53, id., 1987, III, 28, cui adde\ sulla influenza sul
giudizio di responsabilità della Corte dei conti, per l'illegittima corre
sponsione di compensi a pubblico dipendente, della dichiarazione di legit timità della relativa delibera da parte del guidice amministrativo, Corte
conti, sez. I, 10 luglio 1985, n. 163, ibid., 293, con nota di richiami; sulla determinazione della disciplina regolante i contratti di collaborazio ne con gli enti lirici dei docenti dei conservatori musicali, Cons. Stato, sez. VI, 20 ottobre 1986, n. 808, id., Rep. 1986, voce Istruzione pubblica, n. 184; sez. II 12 novembre 1986, n. 2122 e 18 dicembre 1985, n. 2279, entrambi inediti, nonché le circolari del ministero della pubblica istruzio ne n. 20167 del 9 agosto 1986 e n. 2000 del 26 gennaio 1982; sulla distin zione fra attività commerciale e attività professionale, T.A.R. Sicilia, sez.
Catania, sez. I, 16 agosto 1986, n. 759, id., 1987, III, 558, con nota di richiami; sulla instaurazione di rapporti di lavoro di tipo professiona le, senza concorso, nella p.a., v. A. De Felice, L'assunzione senza con corso nel settore pubblico, in Riv. it. dir. lav., 1986, I, 600.
II. - La determinazione della Corte dei conti in epigrafe, a differenza
delle altre (citate nella nota di richiami che precede) che avevano ritenuto la illegittimità della corresponsione all'avvocato dello Stato di indennità
speciali riservate a particolari categorie di funzionari pubblici, per la pri ma volta si pronunzia negativamente sulla legittimità della corresponsio ne di un compenso ad hoc per l'attività di consulenza in via breve prestata al di fuori delle funzioni istituzionali ed obbligatorie, con ciò contraddi
cendo al surriferito costante orientamento della stessa corte (oltre che
del giudice amministrativo) in tema di limiti all'applicabilità del principio di «onnicomprensività» della retribuzione del pubblico dipendente (cfr. le citate decisioni 1547/85, 1143/81, 1026/79, 838/77) ed introducendo
l'inedito principio della non retribuibilità delle prestazioni fornite in as
senza di un preciso obbligo di legge (queste ultime, peraltro, essendo sod
disfatte nell'ambito della retribuzione «onnicomprensiva»), anche se
nell'interesse della p.a. (che verrebbe, cosi, a risparmiare la retribuzione
del consulente avvocato dello Stato o magistrato — mentre il consulente
esterno dovrebbe certamente essere compensato — e venendosi inevitabil
mente a trovare in una situazione di arricchimento indebito a danno dei
primi). III. - Sul punto, il parere del Consiglio di Stato 1/80, cui si è unifor
mato lo stesso consiglio nel parere in epigrafe e che la Corte dei conti
espressamente ritiene di non poter condividere, aveva adottato principi
più rispettosi dei dettati costituzionali nell'interpretare l'art. 17 1. 2 aprile 1979 n. 97; si legge nella citata consultazione rimasta inedita: «. . . il
principio di onnicomprensività da essa (norma) sancito non ha carattere
generale ed assoluto ma è subordinato, nella sua operatività, alla sussi
stenza di taluni presupposti che sono espressamente previsti dalla disposi zione stessa e di cui l'interprete deve tenere debitamente conto . . .».
«. . . va richiamato l'orientamento, già più volte espresso da questo
consiglio, secondo cui esorbitano dai compiti istituzionali le attività che
non rivestono i caratteri propri di quelli e che non sono soggette al relati
vo regime giuridico ...»
«. . . della nuova disposizione che regola la materia . . . deve darsi una
interpretazione tale da . . . escludere qualsiasi contrasto con disposizioni
costituzionali, quali quelle degli art. 3 e 36, e che valga altresì' a soddisfa
re rilevanti esigenze di carattere pratico . . . non può, infatti, discono
scersi che, allorché si è in presenza di prestazioni di lavoro aggiuntivo, che non costituiscono una mera estensione (o dilatazione fisiologica) dei
compiti di istituto, ma sono svolte al di fuori di tali compiti, con l'assun
zione di autonome responsabilità personali del soggetto, in tali casi una
interpretazione della disposizione concernente l'onnicomprensività che im
portasse l'esclusione del compenso varrebbe a rendere configurabile un
contrasto con l'art. 36 Cost. . . . infatti, può dirsi certo e costituzional
mente garantito il diritto dell'impiegato ad essere retribuito per le presta
zioni, cioè, che eccedono l'oggetto proprio del rapporto d'impiego e non
trovano corrispettivo né nello stipendio ... né nelle indennità accesso
rie .. . Inoltre l'interpretazione della disposizione in esame deve essere
Il Foro Italiano — 1988.
L'amministrazione riferente osserva, in proposito, che del com
plesso delle disposizioni intervenute in ordine di tempo a precisa re le attribuzioni dell'avvocatura dello Stato — e particolarmente dal confronto degli art. 13, 41 e 47 t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611
con l'art. 11 1. 3 aprile 1979 n. 103 — emergerebbe che l'attività
di consulenza richiesta in via continuativa dagli atenei agli avvo
cati dello Stato, dovendosi ritenere compresa nel novero dei com
piti istituzionali degli stessi avvocati, non dovrebbe dar luogo ad
alcuna forma di compenso a carico dei bilanci universitari.
tale da escludere qualsiasi contrasto con l'art. 3 Cost.; infatti . . . non
sarebbe ammissibile alcuna diversità di trattamento tale da diversificare
ingiustificatamente il trattamento tra il personale di magistratura e gli altri dipendenti dello Stato (e, in particolare, i dirigenti) per i quali si è ormai consolidata . . . una applicazione non indiscriminata ed assoluta del principio di onnicomprensività. Quanto all'altro aspetto, non va tras curato l'interesse dello Stato ad un efficiente espletamento di attività che,
pur non rientrando fra i compiti istituzionali dei magistrati, presentano aspetti di complessità e delicatezza che ne rendono indispensabile l'eserci zio da parte di soggetto di riconosciuta probità, capacità ed esperienza. Ed è agevole prevedere che, qualora si affermasse la gratuità di tali attivi
tà, diverrebbe quanto mai difficile reperire soggetti disposti a sobbarcarsi
gratuitamente al maggior lavoro ed alle rilevanti responsabilità derivanti dal loro espletamento».
11 Consiglio di Stato, nello stesso parere 1/80, conclude affermando che questi principi non sono venuti meno con la emanazione della 1. 97/79 ma che hanno trovato una ancor più lata applicazione, con estensione anche ai casi espressamente menzionati dall'art. 17 della stessa legge, lad dove si prevede che il principio di onnicomprensività non debba operare per le diverse ipotesi espressamente ivi elencate e per «ogni altro incarico
per il quale la partecipazione è prevista dalla legge come obbligatoria» (art. 17, 2° comma). Anche in riferimento a quest'ultima ipotesi, il Con
siglio di Stato ribadisce che «l'esposta interpretazione delle disposizioni concernenti l'onnicomprensività è la sola che, in armonia con i rilievi di ordine generale già esposti, da un lato attui il soddisfacimento di esi
genze concrete e, dall'altro, possa considerarsi coerente con le norme ed i principi costituzionali che vengono in rilievo nella presente materia»; e che «diversamente opinando, alla soppressione di un diritto connesso ad una prestazione lecitamente (in quanto lavoro) e legittimamente (in quanto autorizzata) resa corrisponderebbe un indebito arricchimento non solo dei soggetti pubblici (Stato ed enti pubblici) ma persino dei soggetti privati (società a partecipazione pubblica) beneficiari della prestazione e si attuerebbe, perciò, un trasferimento di ricchezza che non ha prece denti nella nostra legislazione e che difficilmente sarebbe compatibile con
l'ordinamento, che può ammettere — ove ne ricorrano idonei motivi giu stificativi — divieti di prestazioni di lavoro da parte di determinati sog getti, ma in nessun caso può porre divieti di compenso per attività
lecitamente prestate». IV. - Con riferimento alla decisione della Corte dei conti è da segnalare
la particolare normativa regolante la prestazione di incarichi e consulenze
da parte degli avvocati dello Stato, secondo l'art. 3 r.d. 13 gennaio 1941
n. 120, cosi come modificato ed integrato dall'art. 1 d.lgt. 8 marzo 1945
n. 102 e dall'art. 20 I. 3 aprile 1979 n. 103.
Da questa normativa si evincerebbe che agli avvocati dello Stato possa no essere affidati «uffici, incarichi speciali o missioni» (1° comma del
l'art. 3 r.d. 120/41, cosi come sostituito dall'art. 1 d. lgt. 102/45) e compiti di «collaborazione ... di natura giuridica in via continuativa» (6° com
ma dell'art. 3 cit., come integrato dall'art. 20 1. 103/79), sia presso le amministrazioni centrali e i gabinetti e uffici legislativi dei ministeri sia
presso gli altri enti pubblici dei quali l'avvocatura dello Stato possa assu
mere il patrocinio ai sensi dell'art. 43 t.u. 1611/33, al di fuori delle loro
funzioni istituzionali ed obbligatorie (infatti, è necessario il «loro consen
so» e la non interferenza con «il regolare e continuo esercizio delle fun
zioni di avvocato dello Stato»: cfr. 1° comma dell'art. 3 cit.). L'unico limite posto alla assunzione di tali incarichi è la compatibilità
con le funzioni istituzionali (accertata all'atto della concessione della ne
cessaria autorizzazione da parte dell'avvocato generale dello Stato), do
vendo altrimenti l'avvocato essere collocato fuori ruolo.
Questa particolare disciplina comporterebbe,.non solo, la piena legitti mità del conferimento di quegli incarichi, ma, anche, la loro retribuibili
tà, sia in costanza di servizio sia — ed a maggior ragione — in caso
di collocamento fuori ruolo, nessun divieto di remunerazione essendo im
posto dalle norme e nessuna distinzione essendo operata fra gli incarichi
infra annuali e quelli ultra annuali e fra quelli compatibili e quelli incom
patibili con i doveri d'ufficio (questi ultimi, ripetesi, da retribuire secon
do i parametri dettati dall'art. 36 Cost., in quanto comportano il
collocamento fuori ruolo del dipendente). V. - La disciplina speciale in esame è stata confermata dall'art. 20
1. 3 aprile 1979 n. 103, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale, n. 99 del 9
aprile 1979, cioè dopo la I. 2 aprile 1979 n. 97, pubblicata nella Gazzetta
ufficiale n. 97 del 6 aprile 1979. Pertanto, anche sotto il profilo della
successione delle leggi, oltre che dalla loro specialità, si dovrebbe ritenere
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PARTE TERZA
Peraltro, da parte dell'avvocatura generale dello Stato, cui il
ministero ha sottoposto la questione, è stato rilevato che il parti colare rapporto di consulenza che può instaurarsi tra università
ed avvocato dello Stato, ai sensi dell'art. 20 1. 103/79, va distinto
dal rapporto di consulenza giuridico-legale intercorrente tra la stes
sa avvocatura e le amministrazioni dello Stato o gli enti di cui
assume il patrocinio. Trattandosi, quindi, di incarico personale discrezionalmente conferito ad avvocato dello Stato, a ciò auto
rizzato, le relative modalità e condizioni non possono che essere
regolate direttamente dalle due parti interessate.
L'amministrazione ricorda, peraltro, che sull'ammissibilità di
un autonomo compenso, nel caso dell'attività di consulenza pre stata individualmente dagli avvocati dello Stato, ai sensi dell'art.
20, 2° comma, 1. 3 aprile 1979 n. 103 si è positivamente pronun ciata con parere n. 1/80 in data 26 marzo 1980 la commissione
speciale del Consiglio di Stato, ritenuto il carattere non istituzio
nale dell'incarico, quale risulta dalla possibilità del collocamento
fuori ruolo per il relativo espletamento, prevista dal 3° comma
del citato articolo.
Considerato: L'art. 56 t.u. delle leggi sull'istruzione superiore,
approvato con r.d. 31 agosto 1933 n. 1592, prevede che le univer
che la regolamentazione della assunzione di incarichi extra istituzionali da parte degli avvocati dello Stato sia svincolata dal principio di onni
comprensività dettato dall'art. 17 1. 97/79, anche qualora interpretato restrittivamente secondo la determinazione della Corte conti 1879/86 in
epigrafe. L'autonomia della disciplina degli incarichi de quibus comporterebbe
l'ulteriore corollario della inapplicabilità delle disposizioni contrastanti con quelle dettate dalla richiamata normativa e che siano contenute in
leggi speciali anteriori o in testi di legge di carattere generale, cioè —
ad esempio — delle limitazioni imposte dall'art. 152 d.p.r. 1077/78 (ri chiamato nel parere del Consiglio di Stato in epigrafe) e dall'art. 380
d.p.r. 3/57 (dal primo modificato): le citate norme prevedono, infatti, che gli incarichi speciali conferiti «a professori universitari ed a membri
degli organi consultivi istituiti presso le amministrazioni centrali», non ché ad «estranei alle amministrazioni dello Stato», devono essere «a tem
po determinato», «non possono superare l'anno finanziario e possono essere rinnovati per non più di due volte» e non possono essere cumulati nello stesso esercizio finanziario; la normativa speciale ex art. 20 1. 103/79, lungi dal richiamare quelle limitazioni, esplicitamente le esclude, laddove — ripetesi — impone l'unica condizione della compatibilità degli «uffici, incarichi speciali o missioni» con il «regolare e continuo esercizio delle funzioni di avvocato dello Stato» (al fine di dedurre, peraltro, non la
illegittimità degli incarichi incompatibili ma la necessità del collocamento fuori ruolo dell'avvocato) e prevede testualmente la collaborazione degli avvocati dello Stato «per compiti di natura giuridica in via continuativa e per una durata superiore ad un anno» (cioè per compiti diversi da quelli contemplati dall'art. 380 t.u. 3/57 e dall'art. 17 1. 97/79).
VI. - Nella «legge finanziaria», attualmente in discussione in parlamen to, è stato inserito l'art. 27 d.d.l. senato n. 470-B, che cosi recita:
Art. 27. — 1. Le somme extrastipendio dovute ai dipendenti delle am ministrazioni statali, regionali e locali, ivi comprese le università, le aziende autonome e municipalizzate, gli enti pubblici statali e regionali, gli organi giudiziari e costituzionali, a titolo di compenso per arbitrati, partecipa zione a commissioni di collaudo di opere pubbliche, partecipazione a com missioni di concorso e, nei casi in cui la legge preveda l'incompatibilità del rapporto di lavoro con prestazioni professionali, per ogni altro incari co, debbono essere versate da coloro che sono tenuti ad erogarle diretta mente in conto entrate del tesoro, ovvero dell'ente, amministrazione o azienda di appartenenza che provvede a riversarne il 20% agli interessati.
Degli avvenuti versamenti è data di volta in volta comunicazione all'uffi cio di appartenenza del pubblico dipendente interessato.
2. Dalle somme di cui al precedente comma sono esclusi i rimborsi
spese documentati ai sensi della normativa vigente e i compensi ricevuti a titolo di diritti di autore.
3. Restano ferme tutte le disposizioni relative a divieti, limiti e autoriz zazioni prescritti dalla legge per l'assunzione di incarichi da parte di sog getti appartenenti a particolari categorie di dipendenti pubblici.
4. Sono vietate tutte le autorizzazioni ai magistrati ordinari, della Cor te dei conti, del Consiglio di Stato, e dell'avvocatura generale dello Stato, a prestare la loro collaborazione, a qualsiasi titolo, presso amministrazio ni pubbliche al di fuori dei casi previsti dalle leggi vigenti che disciplinano il fuori ruolo.
5. Ferme restando le responsabilità civili, penali e amministrative se condo la disciplina vigente, il pubblico dipendente che percepisce com
pensi di qualsiasi natura in violazione del disposto di cui al comma 1 decade dall'impiego.
6. Chi eroga compensi a prestanomi o società al fine di eludere il divie to di cui al comma 1 è punito, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, con le medesime pene previste dall'art. 640, 2° comma, c.p. Le stesse pene si applicano a chi comunque ne trae profitto. [G. Albenzio)
Il Foro Italiano — 1988.
sità e gli istituti superiori possono essere rappresentati e difesi
in giudizio dall'avvocatura dello Stato nei gudizi attivi e passivi avanti l'autorità giudiziaria i collegi arbitrari e le giurisdizioni amministrative.
Da tale disposizione, correlata con quella contenuta nell'art.
43 t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611, sulla rappresentanza in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'avvocatura dello Stato, inte
grato dall'art. 11 1. 3 aprile 1979 n. 103, deriva che la rappresen tanza e la difesa in giudizio delle università vengono assunte
dall'avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, salva l'i
potesi di conflitto di interessi con lo Stato o con le regioni. A parte quest'ultima ipotesi, ove le amministrazioni degli ate
nei ritengano, in casi speciali, di non avvalersi dell'avvocatura,
debbono adottare apposita, motivata delibera da sottoporre agli
organi di vigilanza. Le citate disposizioni, che hanno tratto alla rappresentanza,
al patrocinio e all'assistenza in giudizio comportano — com'è
ben rilevato dall'amministrazione riferente — che le università
hanno il potere-dovere di avvalersi dell'avvocatura dello Stato,
cui spetta istituzionalmente di prestare la propria opera nei loro
confronti, tant'è che solo eccezionalmente è prevista la possibilità del ricorso ad avvocati del libero foro.
Per quanto concerne le prestazioni di consulenza legale, l'art.
47 t.u. n. 1611 del 1933 attribuisce all'avvocatura dello Stato l'ul
teriore compito di dare pareri, ove ne venga richiesta, agli enti
dei quali assume la rappresentanza e difesa in giudizio.
Ora, è in relazione all'inquadramento dell'attività consultiva
nel novero delle attribuzioni istituzionali dell'avvocatura che l'am
ministrazione riferente dubita che l'attività di collaborazione ri
chiesta in via continuativa dagli atenei agli avvocati dello Stato, ai sensi dell'art. 20 1. 103/79, possa dar luogo a qualsivoglia for
ma di compenso a carico dei bilanci universitari.
E proprio in ciò risiede l'essenza del quesito. Il problema, cosi posto, induce a considerare la soluzione cui
è giunta nel parere n. 1/80 reso in data 26 marzo 1980 la com
missione speciale del Consiglio di Stato, nel punto in cui ha espres samente ammesso la legittimità della corresponsione di compensi
agli avvocati dello Stato chiamati a prestare attività di diretta
collaborazione, in base al citato art. 20, non ritenendo nella fatti
specie configurabile l'esercizio di mansioni istituzionalmente pro
prie dell'avvocatura, come del resto confermato dal 3° comma
dello stesso articolo in cui è prevista, per l'assolvimento dell'inca
rico in questione (se superiore ad un anno), la possibilità del col
locamento fuori ruolo.
La sezione non ritiene di ravvisare, allo stato, motivi di diver
genza dal richiamato parere, pur dovendo aggiungere, in relazio
ne allo specifico oggetto del quesito, qualche precisazione.
Va, anzitutto, rilevato che l'attività di diretta collaborazione
prevista dalla già citata disposizione della legge del 1979 non può essere in alcun modo assimilata a quella consultiva istituzional
mente attribuita all'avvocatura dello Stato: essa, infatti, riguarda
l'espletamento di «compiti di natura giuridica in via continuati
va»; ciò che la caratterizza e distingue sia per il contenuto che
per le modalità della prestazione. Sotto il profilo del contenuto, si atteggia diversamente dalle
«consultazioni legali» di cui all'art. 13 t.u. n. 1611 del 1933 che, secondo l'esemplificazione espressa dalla stessa norma, sono in
confondibilmente finalizzate a definire, dirimere o prevenire con
troversie. I compiti di natura giuridica, di cui all'art. 20 1. n.
103 del 1979, riguardano potenzialmente, invece, tutto il com
plesso e tutte le fasi dell'attività dell'amministrazione statale presso la quale l'avvocato dello Stato è chiamato a collaborare.
La richiesta della loro attivazione non è formulata di volta in
volta all'organo consultivo nella sua complessività, in relazione
all'insorgere di determinate evenienze, ma viene espressa dall'am
ministrazione interessata, sulla base delle esigenze funzionali che
ne costituiscono il fondamento, ai fini dell'acquisizione non oc
casionale del supporto di un'esperienza specificamente individua ta in quella dell'avvocato dello Stato cui si ritiene di conferire
l'apposito incarico.
Tale attività collaborativa a compiti di natura giuridica, espres samente riconosciuta dalla ripetuta disposizione legislativa, con sente quindi di ravvisare un'ampiezza e un ambito di incidenza che la distingue da quella consultiva il cui svolgimento è attribui to in via istituzionale all'avvocatura dello Stato.
Ulteriore connotazione del rapporto collaborativo direttamente
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
instaurato per il disimpegno di compiti di natura giuridica è data
dal fatto che laddove il rappresentante dell'avvocatura chiamato
a rendere tale attività presso l'amministrazione interessata — nel
la specie, quella universitaria — non sia stato collocato fuori ruo
lo, egli può svolgerla soltanto in tempi che escludano interferenze
con i propri doveri istituzionali, ossia la svolga al di fuori ed
in aggiunta ai propri doveri.
I profili ora indicati (ampiezza del contenuto dell'attività, con
dizioni del suo svolgimento) giustificano, da una parte, per l'am
ministrazione che si avvantaggia di una prestazione collaborativa — ammessa ma non imposta dalla legge — e dall'altra, per l'in
carico dell'attività, che svolge compiti diversi ed aggiuntivi rispet to a quelli d'istituto, la rispettiva erogazione e percezione di un
compenso. In tali sensi, è da tener presente, oltre il parere della commis
sione speciale n. 1/80, citato dall'amministrazione riferente, la
decisione n. 54 del 6 novembre 1978 emessa dalla sezione IV (ree
tius, comm. spec., Foro it., Rep. 1981, voce Avvocatura dello
Stato, n. 11).
Tuttavia, stanti le perplessità manifestate dall'amministrazio
ne, va ulteriormente chiarito quanto segue. Nel far luogo al conferimento dell'incarico di collaborazione
di cui trattasi, l'amministrazione universitaria non può ritenersi
svincolata dalle regole dettate in materia di conferimento di inca
richi speciali da parte delle amministrazioni statali a personale ad esse estraneo.
Occorre, quindi, tener presente quanto stabilito dall'art. 380
t.u. 20 gennaio 1957 n. 3, nel testo sostituito dall'art. 152 d.p.r. 28 dicembre 1970 n. 1077, circa la determinazione della durata
e i limiti di rinnovo dell'incarico, il divieto di cumulo dello stesso
con altri incarichi analoghi da parte dell'investito, la quantifica zione del compenso che va operata al termine dell'incarico in re
lazione al lavoro eseguito (entro il limite di importo prefissato all'inizio del rapporto).
È ovvio che, in ogni caso, l'amministrazione interessata è preli minarmente tenuta a verificare se non possa sopperire con il per sonale a disposizione al disimpegno di compiti diversi da quelli ordinariamente rientranti nel servizio d'istituto o se, nell'ipotesi di ricorso a personale estraneo, non possa avvalersi della collabo
razione di altre categorie di esperti in materie giuridico amministrative.
II
Diritto. — 1. - La sezione è chiamata ad esaminare se la perce
zione dello speciale compenso di lire trenta milioni annue, deter
minato quale corrispettivo dell'incarico di consulenza legale in
via breve, conferito ad un vice avvocato generale dello Stato,
con le deliberazioni sopra indicate, contrasti con il principio di
onnicomprensività sancito dall'art. 17 1. 2 aprile 1979 n. 97.
Dal combinato disposto del 1° e 2° comma del citato art. 17
(che fa divieto al personale di magistratura e dell'avvocatura del
lo Stato di percepire indennità, proventi o compensi per presta zioni in favore della p.a., di enti pubblici o di società a
partecipazione statale, salvo che si tratti di incarichi per i quali
la partecipazione è prevista dalla legge come obbligatoria) si rica
va il principio che tutte le prestazioni di qualsiasi natura effettua
te dal predetto personale nell'ambito del settore pubblico, salvo
che attengano ad incarichi obbligatori per legge, trovano il loro
corrispettivo nel trattamento economico principale, in tale senso
qualificato come «onnicomprensivo». Cosi intesa, la disposizione contempla la configurazione di pre
stazioni effettuate da magistrati o avvocati dello Stato nell'ambi
to del settore pubblico, senza esservi obbligati per legge, non
remunerabili autonomamente, in quanto già trovano remunera
zione nel trattamento economico principale onnicomprensivo.
Con riferimento a siffatte prestazioni, pertanto, è opportuno
sgombrare subito il campo dell'indagine da ogni preoccupazione
di contrasto della disposizione con gli art. 3 e 36 Cost., conside
rato che la fissazione da parte del legislatore di un trattamento
economico determinato per definizione («onnicomprensivo») in
misura tale da coprire non solo le prestazioni strettamente istitu
zionali, ma anche tutte quelle comunque effettuate nell'ambito
del settore pubblico (salvo le esclusioni di legge) deve ritenersi
rispettosa del rapporto, costituzionalmente garantito, tra lavoro
e retribuzione.
Dovrebbe, semmai, ritenersi in contrasto col principio costitu
Il Foro Italiano — 1988.
zionale di uguaglianza, la percezione, da parte del predetto per
sonale, degli stessi compensi speciali corrisposti, per prestazioni
analoghe, a personale non fruente di trattamento economico on
nicompresivo. Sotto tale profilo non può essere condiviso il criterio interpre
tativo al riguardo seguito dal Consiglio di Stato, commissione
speciale del 26 marzo 1980, sez. I, 1663/79 e 1/80 (v. punto 5
del parere). 2. - Siffatta configurazione del principio di onnicomprensività
sancito dal citato art. 17 1. n. 97 del 1979 pone fuori dell'econo
mia della presente indagine l'accertamento della natura istituzio
nale o meno delle funzioni connesse all'incarico di cui trattasi, considerato che il divieto di retribuzione, salvo le esclusioni di
legge, colpisce indifferentemente tanto le funzioni istituzionali che
quelle non istituzionali, ponendo la sola condizione che si tratti
di prestazioni effettuate nell'ambito del settore pubblico come de
limitato dalla norma.
Può affermarsi, anzi, che il valore autonomo del principio nor
mativo espresso dal citato art. 17 consiste proprio nell'estensione
del divieto di retribuzione alle prestazioni non istituzionali, consi
derato che la non retribuibilità, fuori del trattamento economico
principale, delle attività istituzionali discende direttamente dalle
norme comuni di trattamento economico, e non necessita di una
apposita enunciazione normativa.
Non possono, pertanto, considerarsi rilevanti, a favore della
tesi della remunerabilità dell'incarico, le argomentazioni sul ca
rattere non istituzionale dell'attività connessa all'incarico, espo ste nella nota del ministero dei trasporti.
3. - Il thema decidendum si restringe, pertanto, allo stabilire
se l'incarico di cui trattasi possa farsi rientrare fra quelli per i
quali «la partecipazione è prevista dalla legge come obbligatoria». Il presidente dell'azienda, nella memoria illustrativa citata, ha
ritenuto di individuare nella disposizione di cui all'art. 47 t.u.
approvato con r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 il fondamento nor
mativo per l'applicabilità al caso di specie dell'esclusione dal prin
cipio di onnicomprensività dell'incarico di cui trattasi.
L'argomentazione è viziata da intrinseca contraddittorietà.
Da un lato si sostiene che l'obbligatorietà dell'attività di consu
lenza dovuta ai sensi della citata disposizione deriva dal suo ca
rattere istituzionale siccome connessa all'obbligo di patrocinio in
via organica ed esclusiva, dall'altro si afferma che, nella specie, si tratta di prestazioni che «trascendono, anche per le modalità
in cui vengono rese, l'obbligo fatto dalla legge all'avvocatura del
lo Stato di fornire i pareri di cui sopra è cenno», negando, in
tal modo, che l'attività svolta in esecuzione dell'incarico rientri
tra quelle previste dalla legge come obbligatorie. Né vale a confortare la tesi dell'azienda il richiamo fatto al
parere del Consiglio di Stato, n. 1289/72, sez. II, commissione
speciale n. 29 del 12 giugno 1974, il quale, reso sotto il vigore dell'art. 2 d.p.r. n. 1080 del 1970, correttamente riteneva, sulla
base di tale disposizione, retribuibili le prestazioni consentite dal
le norme vigenti, le quali non costituiscano esplicazione delle fun
zioni proprie dell'ordine o istituto di appartenenza. 4. - Conclusivamente deve affermarsi che non si rinviene nel
l'ordinamento una norma che renda obbligatoria, per il gli avvo
cati dello Stato, fuori delle funzioni istituzionali dell'avvocatura,
la prestazione, in via breve e continuativa, di attività di consulen
za legale. Il carattere eccezionale e tassativo delle esclusioni dal principio
di onnicomprensività previste dal 2° comma dell'art. 17 1. n. 97
del 1979, non consente una interpretazione estensiva della nor
ma, cosicché, dovendosi, nella specie, ritenere facoltativa, per l'av
vocato dello Stato, l'accettazione dell'incarico, è da escludere la
sua retribuibilità.
Al divieto di percepire il compenso da parte del soggetto inca
ricato, corrisponde il divieto, a carico dell'azienda, di erogare
il compenso stesso, con la conseguenza della non conformità a
legge, per contrasto con il citato art. 17 1. n. 97 del 1979, delle
deliberazioni consiliari prese in esame.
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