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PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || sezione II; parere 7 maggio 1986, n. 979; Min....

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sezione II; parere 7 maggio 1986, n. 979; Min. agricoltura Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1989), pp. 83/84-87/88 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23182842 . Accessed: 25/06/2014 10:46 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.248.152 on Wed, 25 Jun 2014 10:46:45 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione II; parere 7 maggio 1986, n. 979; Min. agricolturaSource: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1989),pp. 83/84-87/88Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23182842 .

Accessed: 25/06/2014 10:46

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PARTE TERZA

zate o consortili siano soggetti di diritto, ma se si tratti o meno

di enti economici.

2. - È opportuno precisare che la formula «soggetti pubblici

economici» fu introdotta nel corso del procedimento di forma

zione della 1. 27 dicembre 1985 n. 816.

Il disegno di legge n. 142, IX legislatura, senato, prospettava

(art. 7) l'istituto del permesso retribuito per i «lavoratori dipen denti privati o pubblici, eletti nei consigli comunali o provinciali, nelle assemblee delle unità sanitarie locali o delle comunità mon

tane, nei consorzi tra enti locali, nei consigli delle aziende muni

cipali, provinciali e consortili, nonché nei consigli circoscrizionali aventi funzioni deliberative e nelle associazioni a rilevanza nazio

nale fra enti locali». Lo stesso schema di norma proponeva che

l'onere economico per le assenze dal servizio «dei lavoratori di

pendenti da privati» fosse posto a carico dell'ente «.'. . di cui

sono amministratori».

Il senato, nella seduta del 14 febbraio 1984, approvò il criterio

del permesso retribuito e con imputazione dell'onere economico

all'ente presso il quale era svolto l'ufficio elettivo. L'imputazione dell'onere economico postulava che l'eletto fosse stato dipenden te «da privati o da soggetti pubblici economici» (cfr. senato, IX

legislatura. Atto 142-3 art. 4). La camera dei deputati confermò

la scelta del senato, per quanto riguarda la traslazione dell'onere

economico delle assenze di dipendenti da privati e da soggetti

pubblici economici (cfr. Atto citato - p. 5). 3. - L'analisi del problema proposto dall'amministrazione può

utilmente essere proseguito mediante una valutazione comparata di testi normativi.

Invero, la formula «soggetti pubblici economici» (art. 4, 5°

comma, 1. 27 dicembre 1985 n. 816) richiama la categoria degli enti pubblici economici.

Questi a volte solo indicati come tali (es. art. 1, 2° comma, 1. 20 marzo 1975 n. 70; art. 1 1. 24 gennaio 1978 n. 14; art.

3 1. 3 giugno 1978 n. 288; art. 16 1. 28 febbraio 1987 n. 56); altre volte il linguaggio normativo esprime disposizioni relative

ad enti pubblici identificati negativamente rispetto alla categoria

degli enti pubblici economici (enti pubblici non economici — es.

art. 1 1. 29 marzo 1983 n. 93). Non difettano norme in base alle quali si fa riferimento alla

natura dell'attività svolta per identificare la categoria degli enti

pubblici, rilevante ai fini dell'applicazione di una specifica disci

plina (cfr., ad es., l'art. 409, n. 4, c.p.c., nel testo modificato

dalla 1. 1973 n. 533 e art. 37 1. 20 maggio 1970 n. 300). In ambe

due le norme citate sono indicati «... gli enti pubblici che svol-'

gono esclusivamente o prevalentemente attività economica».

Questa formula è la più vicina a quella «soggetti pubblici eco

nomici», alla quale si è fatto cenno.

Tale formula può essere intesa come un modo per identificare

enti pubblici la cui azione sia economicamente valutabile o rile

vante. Invero qualunque azione pubblica è valutabile sotto il pro filo dei costi economici ad essa connessi, sia presenti sia futuri

o comunque possibili, in rapporto a differenti variabili organiz zative.

È altresì' profilabile la rilevanza economica dei risultati dell'a

zione svolta, in rapporto alla utilità da attribuire al servizio o

ai beni prodotti. Nella sua letteralità la formula «soggetti pubblici economici»

potrebbe, correttamente, designare l'intera amministrazione pub

blica, quale organizzazione che produce servizi e beni.

Tuttavia, una interpretazione del genere sarebbe inaccettabile, infatti essa importerebbe la traslazione sull'ente locale dell'onere

dell'assenza dal servizio, senza alcuna distinzione tra categorie di datori di lavoro o comunque di organismi di appartenenza.

È indispensabile quindi attribuire alla formula soggetti pubblici economici un senso tale da escludere l'applicazione dell'art. 4," 5° comma, 1. n. 816 a tutta l'amministrazione pubblica; altrimen

ti sarebbe eluso lo stesso art. 4, 5° comma, 1. n. 816, che non .

dispone nel senso della traslazione generalizzata dell'onere per le assenze dal servizio.

4. - Il problema suesposto non potrebbe essere' risolto mediante

il riferimento all'organizzazione pubblica in funzione di produ zione di servizi; invero tutta l'amministrazione pubblica è identi

ficabile come organizzazione del tipo suindicato.

Il soggetto economico deve essere individuato con riferimento

ad organismi idonei a produrre e a finanziare costi, connessi alla

Il Foro Italiano — 1989. •

produzione, con le entrate riscosse per la erogazione delle singole unità di'servizio o dei beni prodotti (Cons. Stato, sez. I, 19 feb

braio 1982, n. 103/82, Foro it., Rep. 1983, voce Ferrovie e tram

vie, n. 94). Questa caratteristica indefettibile dell'impresa trova riscontro

nel conto profitto e perdite e nella possibilità di estinzione del

l'impresa a seguito delle procedure concorsuali.

La gestione finanziaria dell'azienda è fondata sul bilancio pre ventivo (art. 6 r.d. 15 ottobre 1925 n. 2578, art. 40 d.p.r. 4 otto

bre 1986 n. 902). Tale atto è tipico delle aziende di erogazione,

quali sono le aziende municipalizzate. Le entrate delle stessè aziende non sono solo i ricavi conse

guenti all'erogazione dei servizi o dei beni, ma anche «. . . i con

tributi in conto esercizio ... ed i corrispettivi a copertura di minori

ricavi o di maggiori costi per i servizi richiesti dal comune all'a

zienda a condizioni di favore, ovvero dovuti a politiche tariffarie

o ad altri provvedimenti . . .» (art. 40, 3° comma, d.p.r. citato). Da tale norma si desume la conferma dell'assenza di corrispon

denza costante e necessaria fra costi e ricavi. Difetto peraltro de

sumibile anche dalla normativa anteriore al citato d.p.r.; cfr. art.

67, 2° comma,- r.d. 10 marzo 1904 n. 108.

5. - La traslazione dell'onere, per le assenze dal servizio, sul

l'ente locale è possibile se il «soggetto economico» è identificabi

le come imprenditore (non importa se pubblico o privato) in senso

compiuto, nel senso precisato. Il fatto che l'azienda municipalizzata è definibile come azienda

di erogazione implica che il costo del servizio è suscettibile di

imputazione sul bilancio comunale, per cui non sorge il problema della traslazione di costi nell'ambito della finanza pubblica.

È indubbia la possibilità di traslazione di costi o comunque di oneri economici tra organismi compresi nella finanza pubblica.

Tuttavia la 1. 27 dicembre 1985 n. 816, art. 4, non dispone nel senso della generale traslazione dell'onere, per l'assenza dal

servizio, nei confronti dell'ente locale, presso il quale il dipen dente (assente) è titolare dell'ufficio di amministratore.

La norma citata dispone nel senso della traslazione dell'onere

solò nell'ipotesi di datori di lavoro privati o soggetti pubblici eco

nomici. Gli organismi pubblici identificabili come aziende di ero gazione sono estranei alla disciplina della traslazione.

6. - Le osservazioni suesposte valgono anche per le aziende

consortili.

Occorre chiarire che di aziende consortili è corretto trattare, nel rispetto del testo unico del 1925, in una visione evolutiva del

sistema, che vuole consentire ingresso, in certe condizioni, all'esi

genza che i comuni, anche se di minore entità o vicini nel territo

rio, si riuniscono per organizzare un servizio pubblico, art. 88

d.p.r. 4 ottobre 1986 n. 902.

CONSIGLIO DI STATO; sezione II; parere 7 maggio 1986, n.

979; Min. agricoltura.

Agricoltura — Coltivatore diretto in regime di comunione legale con coniuge non coltivatore — Mutuo agevolato per l'acquisto del fondo-— Condizioni (Cod. civ.,, art. 177, 178, 179; 1. 26

maggio 1965 n-. 590, disposizioni per lo sviluppo della proprie tà coltivatrice, art. 1).

In regime di comunione legalè, il coltivatore diretto, il cui coniu

ge eserciti un'attività lavorativa diversa, può fruire del mutuo

previsto dalla l. 590/65 per l'acquisto di un fondo e la costitu

zione di una azienda agricola solo se tale fondo sia incluso • tra i beni personali e l'altro coniuge, privo dei requisiti sogget

tivi richiesti, .acconsenta all'esclusione dalla comunione. (1)

(l) Il parere espresso dal Consiglio di Stato, su quesito formulato dal ministero dell'agricoltura, concerne l'interpretazione delle norme sul regi me patrimonale della famiglia in relazione a quanto previsto dalla 1. 590/65. Ci si chiede, in sostanza, se possa concedersi un mutuo al coltivatore diretto che intenda acquistare un fondo, in costanza di matrimonio e in presenza di Un regime di comunione legale, posto che in tale situazione il fondo diverrebbe di proprietà anche dell'altro coniuge.

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

Ritenuto. — Il ministero riferente, premesso che la 1. 26 mag

gio 1965 n. 590, integrata dalla successiva 1. 14 agosto 1971 n.

817, prevede la concessione di mutui agevolati a favore di colti

vatori diretti per l'acquisto di terreni, prospetta le difficoltà ap

plicative insorte nei casi in cui il mutuo sia richiesto da un

coltivatore diretto, il cui coniuge eserciti altra attività lavorativa.

In regime di comunione legale, infatti, quest'ultima, pur in difet

to della richiesta qualità di coltivatore diretto, diverrebbe ope le

gis contitolare del diritto di proprietà sul fondo acquistato ai sensi

dell'art. 56 1. 19 maggio 1975 n. 151.

Ad avviso del Consiglio di Stato, nell'ipotesi in cui il coniuge del colti

vatore svolga una attività lavorativa diversa, il frazionamento non per metterebbe di realizzare le finalità cui è rivolta la concessione del mutuo

(costituzione di un'azienda agricola e riunificazione delle figure dell'im

prenditore e del proprietario), con la conseguenza che si dovrebbe esclu

dere l'accesso al finanziamento. Sembra corretto ritenere che il Consiglio di Stato voglia evitare di attribuire i benefici previsti per i coltivatori

diretti al coniuge che non partecipa all'attività agricola [non sempre, del

resto, la partecipazione implica pari legittimazione all'esercizio dei diritti

connessi all'attività agricola: basti pensare che, stando all'indirizzo della

Suprema corte (v. sent. 13 giugno 1987, n. 5201, Foro it., 1987, I, 2361, con nota di D. Bellantuono, e, da ultimo, nello stesso senso sent. 25

giugno 1988, n. 4299, id., Mass., 628), il coniuge del titolare di un con

tratto agrario non può esercitare il diritto di prelazione e riscatto, pur

quando collabori alla conduzione del fondo e sussista una comunione

tacita familiare]. La perentorietà dell'esclusione dal beneficio del mutuo è comunque

attenuata con l'indicazione di un iter alternativo per il coltivatore diretto:

il fondo può considerarsi bene personale che serve all'attività professio

nale, in modo da non venir incluso tra i beni in comunione ai sensi del

l'art. 179, lett. d), c.c. Perché si realizzi quest'effetto sarà comunque

necessario, come prescrive il 2° comma dell'art. 179 c.c., che la destina

zione all'attività professionale risulti dall'atto di acquisto e che ne sia

parte anche l'altro coniuge.

L'interpretazione del Consiglio di Stato, quindi, fa perno sull'art. 179

[a questo proposito, v. Jannarelli, Destinazione dei beni e pubblicità nella comunione «de residuo» ex art. 178 c.c. (nota a Cass. 29 novembre

1986, n. 7060, id., 1987, I, 810), che individua nella pronuncia in epigra fe la conferma di una prassi diffusa, tesa a svalutare la portata dell'art.

178], ma le argomentazioni proposte non sono del tutto pacifiche. In

primo luogo, è controversa la lettura dell'espressione «professionale del

coniuge» contenuta nella lett. d) dell'art. 179: la posizione del Consiglio di Stato, che vi include non solo le attività professionali in senso stretto, ma anche le attività imprenditoriali, è avallata da Bianca, Diritto civile,

Milano, 1985, II, 83; Barbera, La comunione legale, Bari, 1982, 41; Giaccardi Marmo, La partecipazione in società di persone nel sistema

della comunione legale tra coniugi, in Giur. comm., 1980, I, 623; mentre

si schierano a favore di una interpretazione restrittiva, oltre a Cass. 7060/86, cit. in motivazione, che non ritiene possa ricomprendersi nella fattispecie ex art. 179, lett. d), l'acquisto di beni che servono all'esercizio della pro fessione di imprenditore, dal momento che questa ipotesi è disciplinata a parte, anche A. e M. Finoccbiaro, Diritto di famiglia, Milano, 1984,

II, 999, e Corsi, Regime patrimoniale della famiglia, in Trattato già di

retto da Cicu e Messineo e continuato da Mengoni, Milano, 1984, II,

116; quest'ultimo autore, in particolare, mette in evidenza l'«intrinseca

capacità catalizzatrice di ricchezza» dell'azienda, che ne costituisce il trat

to distintivo rispetto ai beni che servono all'esercizio della professione; nello stesso senso, infine, Selvaggi, La comunione legale tra coniugi, in Nuova giur. civ., 1987, II, 24.

In secondo luogo, il Consiglio di Stato, dopo aver affermato che i

beni che servono all'esercizio dell'impresa sono ricompresi tra quelli indi

cati nella lett. d) dell'art. 179, ne fa discendere non solo la possibilità

(che non sembra discutibile) dell'utilizzazione dei beni che servono all'e

sercizio della professione nell'azienda costituita ai sensi dell'art. 178 c.c.,

ma anche la loro inclusione nella comunione de residuo. In effetti, l'art.

179 è esplicito nel dichiarare che i beni personali «non costituiscono og

getto della comunione», per cui in nessun caso possono farne parte, «sal

vo che, nella già intricata palude comunitaria, non si voglia inserire un'altra

categoria, alquanto dicotomica, di beni: quelli personali ex art. 179, de

stinati a diventare comuni ex art. 178» (Selvaggi, cit.). Fra l'altro, se

si accettasse questa interpretazione, si porrebbe il problema di rendere

conoscibile ai terzi il regime giuridico di quei beni immobili o mobili

registrati che, dapprima trascritti come beni personali ai sensi dell'art.

179, 2° comma, c.c., successivamente sarebbero inclusi nella comunione,

sia pure solo al suo scioglimento. Parzialmente diverse sono le conclusioni a cui giungono gli autori che

accolgono l'interpretazione estensiva della lett. d) dell'art. 179: infatti,

se Bianca, cit., si limita a dire che i beni destinati all'esercizio di un'im

presa costituita dopo il matrimonio sono considerati comuni de residuo,

e sembra quindi escludere che in questo caso possano considerarsi beni

Il Foro Italiano — 1989.

Ciò premesso, il ministero riferente chiede: a) se il mutuo age volato possa ugualmente concedersi, tenuto conto dell'impossibi lità di distrarre il fondo dalla destinazione voluta dalla legge e

sempreché il coniuge non coltivatore presti il proprio consenso

all'iscrizione di ipoteca e sottoscriva il contratto di mutuo; b) se si possa comunque escludere il fondo dalla comunione, con

il consenso del coniuge non coltivatore, ai sensi dell'art. 179, lett.

d), c.c., nel nuovo testo introdotto dalla 1. 151 del 1975.

Considerato. — 1. - La 1. 26 maggio 1965 n. 590 prevede la

concessione di mutui avevolati a favore di coltivatori diretti per

l'acquisto di terreni idonei a costituire aziende agricole efficienti

sotto il profilo tecnico-economico.

Risulta chiaramente dalla legge predetta che il beneficio non

può essere concesso a soggetti che non abbiano la qualità di colti

vatore diretto, sicché va condiviso l'avviso espresso da alcuni ispet

torati provinciali e da alcuni istituti di credito, i quali hanno ritenuto illegittima la concessione del mutuo, allorché il coniuge

del mutuatario, pur non avendo i requisiti soggettivi richiesti, con

segua (pro quota) la proprietà del fondo in virtù delle norme

sulla comunione legale. Né ha rilevanza la circostanza che il fondo non possa essere

sottratto alla sua destinazione senza il consenso di entrambi i co

niugi, giacché la legge non mira soltanto a conservare tale desti

nazione, ma si propone soprattutto di costituire piccole imprese

agricole in cui coincidano le figure del proprietario e dell'impren

ditore coltivatore diretto. Tale coincidenza non si realizza se, sia

pure per la metà, la proprietà spetti a un soggetto che non si

dedichi direttamente ed abitualmente alla coltivazione del fondo

e all'allevamento ed al governo del bestiame.

Al primo quesito deve, quindi, darsi risposta negativa.

2. - Appare, invece, possibile concedere il mutuo agevolato al

lorché il fondo acquistato venga escluso dalla comunione. Do

vrebbe trovare applicazione, a tal fine, l'art. 179, 2° comma, c.c.,

il quale prevede che «l'acquisto di beni immobili . . effettuato

dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lett.

c), d), ed J) del precedente comma, quando tale esclusione risulti

dall'atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l'altro coniu

ge». La lett. d) include fra i beni personali del coniuge «i beni

che servono all'esercizio della professione del coniuge, tranne quelli

destinati alla conduzione di un'azienda facente parte della co

munione».

Occorre, però, darsi carico dei dubbi interpretativi ai quali la

disposizione trascritta ha già dato luogo in dottrina. Ritengono,

infatti, alcuni autori che il termine «professione» si riferisca esclu

sivamente alle professioni intellettuali e non includa, in ogni ca

so, i beni aziendali acquistati manente comunione, in quanto questi

ricadono comunque nella comunione, o al momento dell'acquisto

(quando l'impresa sia gestita da entrambi i coniugi; art. 177, lett.

d, c.c.) o de residuo (quando l'impresa sia gestita da uno dei

coniugi, nel qual caso i beni aziendali e gli evenutali incrementi

si considerano oggetto della comunione solo se sussistono al mo

mento dello scioglimento di essa: art. 178 c.c.).

Appare, però, preferibile seguire l'opinione di quella parte del

la dottrina, secondo cui nella nozione di «beni che servono all'e

sercizio della professione del coniuge», possono rientrare anche

i beni aziendali. In tal senso depongono due ordini di argomenti.

In primo luogo va osservato che la parola «professione», oltre

al significato ristretto e tradizionale di attività intellettuale, ha

anche quello, più ampio, di attività di lavoro abituale e in que

st'ultimo significato è frequentemente usata dal legislatore, il quale

definisce, fra l'altro, l'imprenditore come «chi esercita professio

nalmente un'attività economica organizzata al fine della, produ

zione e dello scambio di beni o di servizi» (art. 2082 c.c.) e, quando

intenda riferirsi al significato più ristretto, aggiunge di regola l'ag

personali, Glaccardi Marmo, cit., ritiene che nella comunione de resi

duo ricadono non i beni personali, ma i «beni acquistati nell'esercizio

e mediante l'attività d'impresa»; infine, Barbiera, cit., 57, ammette l'in

clusione nella comunione de residuo dei soli beni destinati all'azienda

costituita dopo il matrimonio, e non di quelli destinati ad un'attività pro

fessionale, in base alla considerazione che «la convivenza coniugale, col

risparmio di spese che essa consente rispetto al maggiore dispendio della

vita solitaria, permette al coniuge imprenditore di utilizzare produttiva

mente il bene». [G. Bellantuono]

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PARTE TERZA

gettivo «intellettuali» (come nell'art. 2229 c.c.) o altre specifica zioni idonee a definire la nozione (come nell'art. 348 c.p. e nel

l'art. 33, 5° comma, Cost., che fanno riferimento, almeno

implicito, alle professioni per il cui esercizio è richiesta una spe ciale abilitazione dello Stato).

Importante è, poi, l'argomento sistematico, che di desume dal

la connessione fra gli art. 178 e 179 c.c., introdotti dalla 1. n.

151 del 1975. La prima di queste disposizioni prevede espressa mente che ciascun coniuge possa costituire, dopo il matrimonio, una impresa per proprio conto e che i beni destinati a tale impre sa si considerino oggetto della comunione, insieme con gli even

tuali incrementi, solo se sussistono al momento dello scioglimento. La norma presuppone, dunque, che sia possibile sottrarre all'or

dinario regime della comunione i beni acquistati per l'esercizio

di un'impresa esercitata da uno dei coniugi. E poiché tale possi bilità è ammessa soltanto nelle ipotesi previste dal successivo art.

179, occorre che tali ipotesi coprano tutti i modi di acquisto di

beni da destinare ad imprese. Se la lett. d) dell'art. 179 cit. venis

se interpretata restrittivamente, i soli modi concessi a un coniuge

per procurarsi i beni necessari all'esercizio di una impresa perso nale sarebbero l'acquisto per effetto di donazione o successione,

previsto dalla lett. a), e l'acquisto effettuato col prezzo o con

lo scambio di beni personali preesistenti, previsto dalla lett. f). Resterebbe esclusa cosi l'ipotesi che, secondo la comune esperien

za, è la più frequente, e cioè l'acquisto di beni mediante somme

ricevute a mutuo. Anche tale caso troverebbe, invece, adeguata

disciplina, se nell'art. 179, lett. d), il termine «professione» fosse

inteso in senso lato. Va aggiunto che, se la parola «professione» nel testo in esame si riferisce soltanto alle arti liberali, sarebbe

pressoché inutile l'eccezione relativa ai beni destinati alla condu

zione di un'azienda comune, la quale troverebbe applicazione sol

tanto in quei rari casi, in cui l'esercizio di una professione intellettuale costituisce elemento di un'attività organizzata in for

ma d'impresa (art. 2238 c.c.).

Deve, infine, ritenersi non decisivo l'argomento addottato da

gli autori che sostengono l'interpretazione restrittiva.

La norma che, per i beni aziendali destinati all'impresa di un

coniuge, prevede l'inclusione (de residuo) nella comunione al mo

mento del suo scioglimento (art. 176 c.c.), non apppare in con

trasto con la disposizione che comprende gli stessi beni fra quelli

personali (art. 179, lett. d), giacché nulla impedisce che un bene, escluso (in quanto personale) dalla comunione, sia in virtù di al

tra norma considerato oggetto della comunione stessa al momen

to del suo scioglimento. L'argomento, del resto, porta a

conseguenze illogiche perché, se vi fosse effettiva incompatibilità fra la natura di bene personale di un cespite e la sua inclusione

de residuo nella comunione, non sarebbe possibile destinare all'e

sercizio dell'impresa di uno dei coniugi alcun bene personale. Di

conseguenza diverrebbe assolutamente impossibile costituire, do

po il matrimonio, un'impresa personale e la previsione contenuta

nell'art. 178 c.c. sarebbe del tutto inutile.

3. - Deve, dunque, concludersi che il mutuo agevolato possa

concedersi, allorché, in regime di comunione legale, il coniuge

privo dei requisiti soggettivi richiesti acconsenta a che il fondo

rustico acquistato dal mutuatario sia incluso dalla comunione.

La disciplina della comunione, cosi interpretata, risulta in defi

nitiva più idonea a tutelare gli interessi della famiglia (il cui rico

noscimento costituzionale anche attraverso misure agevolative non

può risolversi in discriminazioni deteriori) in quanto consente a

uno dei coniugi di avvalersi di agevolazioni, che altrimenti pre

supporrebbero una modifica della scelta del regime patrimoniale.

Ovviamente, nel valutare la forza lavoratrice del nucleo fami

liare, l'amministrazione non dovrà tener conto del coniuge che

eserciti altra attività.

Il Foro Italiano — 1989.

I

CORTE DEI CONTI; sezione II; decisione 16 marzo 1988, n.

42; Pres. Lanzetti, Est. Ristuccia; Prog. gen. Corte conti c.

Guardati (Avv. Abbamonte).

CORTE DEI CONTI;

Responsabilità contabile e amministrativa — Dissenso del subor

dinato gerarchico — Danno erariale — Esclusione — Fattispecie.

Non ha provocato danno erariale la direttrice di una biblioteca

nazionale che abbia manifestato nettamente il proprio dissenso

rispetto alla scelta, operata dal ministero dei beni culturali sen

za coinvolgimento e utilizzazione delle competenze professio nali dell'organo dì livello inferiore, di locare, per la necessità

di acquistare più spazio per una migliore sistemazione del ma

teriale librario, locali che solo tardivamente sono stati accertati

come inidonei, se non risulta che tale dissenso abbia ritardato

l'approntamento dei locali stessi, nonché la loro utilizzazione,

rimasta poi comunque impedita dalla loro inidoneità. (1)

II

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA ZIO; sezione III; sentenza 21 dicembre 1987, n. 2254; Pres.

Miceli, Est. Ciminelli; Agricola (Avv. Boffa, Chelotti) c.

Consiglio nazionale delle ricerche (Avv. dello Stato D'Amico).

Impiegato dello Stato e pubblico — Procedimento disciplinare — Estinzione — Esclusione — Fattispecie (D.p.r. 10 gennaio 1957 n. 13, statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 107,

111, 120). Impiegato dello Stato e pubblico — Provvedimento disciplinare

— Illegittimità — Fattispecie (Cost., art. 21; d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, art. 81; 1. 10 giugno 1985 n. 284, programma nazio

nale di ricerche in Antartide, art. 6).

Non è estinto il procedimento disciplinare, se gli atti siano stati

depositati entro novanta giorni da quando il dipendente, utiliz

zando la proroga che gli era stata accordata su sua richiesta, aveva presentato le proprie controdeduzioni, anche se tali atti

siano stati depositati dopo più di novanta giorni dalla contesta

zione degli addebiti, ed erano stati inoltrati alla commissione

di disciplina dopo più di quindici giorni dalle controde duzioni. (2)

È illegittimo il provvedimento del presidente del Consiglio nazio

nale delle ricerche di inflizione della sospensione dalla qualifica ad un dirigente superiore che, qualificandosi come tale, abbia

inviato ad un giornale una lettera (poi pubblicata con un risal

to inconsueto e non prevedibile), con la quale si invitava il

direttore a riportare una interrogazione parlamentare (rimasta senza risposta), riguardo alla spedizione italiana in Antartide,

informandolo anche della mancata pubblicazione del regola mento legislativamente previsto sullo stato giuridico ed econo

mico del personale (con affermazione da ritenersi fondata perché non controbattuta in giudizio), e criticando, sulla base di fatti obiettivi, misuratamente e non genericamente il comportamen to dell'amministrazione. (3)

(1,3) Le due pronunzie affrontano da un diverso ambito visuale la stessa

questione, relativa ai limiti entro il quale è consentito al pubblico dipen dente criticare l'operato della pubblica amministrazione di appartenenza, eventualmente facendo uso dei mezzi di informazione (va osservato co

me, e ciò concerne la decisione della Corte dei conti, la valutazione in termini di responsabilità della manifestazione del dissenso possa essere

operata — come ipotizzato nel caso di specie — soltanto se tale manife stazione si è accompagnata ad un atteggiamento produttivo di conseguen ze concrete, dal momento che si è ritenuto che non è suscettibile di considerazione patrimoniale, ai fini della valutazione del danno sotto il

profilo della responsabilità amministrativa, il pregiudizio arrecato al pre stigio dell'amministrazione: Corte conti, sez. giur. reg. sic., 7 settembre

1985, n. 1416, Foro it., Rep. 1986, voce Responsabilità contabile, n. 148). In quest'ottica, la giurisprudenza appare consolidata nella linea seguita dalle pronunzie che si riportano: cosi, è stata ritenuta non censurabile una lettera, pubblicata, in cui un docente criticava le disposizioni legisla tive concernenti i compensi agli esaminatori e l'organizzazione degli esa mi (Tar Calabria 17 dicembre 1985, n. 841, id., Rep. 1987, voce Impiegato dello Stato, n. 1032); è stata ritenuta lecita la critica rivolta dal segretario

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