sezione II; sentenza 27 gennaio 1990, n. 238; Pres. Numerico, Est. Corasaniti; Del Gallo (Avv.Clarizia) c. Min. beni culturaliSource: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1991),pp. 33/34-37/38Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183150 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Diritto. — Il ricorso ha per oggetto il d.p.r. 23 marzo 1988
n. 120, con il quale è stato reso esecutivo, ai sensi dell'art. 48
1. 23 dicembre 1978 n. 833, l'accordo per la disciplina dei rap porti convenzionali in materia di prestazioni di diagnostica stru
mentale e di laboratorio.
Il decreto stabilisce nuovi valori tariffari per le singole pre stazioni e conferma per ogni altro aspetto, mediante la proroga dei rappori in atto, la disciplina convenzionale previgente.
Va subito precisato, con riferimento ad uno specifico rilievo
dei ricorrenti, che siffatta impostazione, solo in parte innovati
va della disciplina, non denota di per sé alcun vizio di illegitti mità, poiché nulla impone, sul piano normativo o in via logica, che alla modificazione delle voci remunerative debba accompa
gnarsi la revisione degli altri aspetti della convenzione.
È, invece, fondata la censura che investe l'art. 2 del decreto
nella parte in cui protrae al 31 dicembre 1984 le tariffe in vigore al 1° luglio 1984 in base al d.p.r. 16 maggio 1980 (senza nume ro) e determina i compensi per gli anni 1985, 1986 e 1987 preve dendo incrementi percentuali calcolati sulle stesse tariffe.
Giova ricordare che il d.p.r. 16 maggio 1980 disponeva che, a decorrere dal 1° luglio 1980 e con cadenza trimestrale, le ta
riffe dovessero essere maggiorate in misura pari all'aumento me
dio ponderato del costo dei materiali, ove superiore al cinque
per cento (art. 4). Il decreto è rimasto vigente oltre l'originaria scadenza del 31
dicembre 1980, ivi compresa, stante l'unitarietà della disciplina, la clausola della revisione trimestrale (Tar Lazio, sez. I, 28 maggio
1987, n. 1123, Foro it., Rep. 1987, voce Sanità pubblica, n. 236). Si afferma nel ricorso che l'applicazione della clausola avreb
be comportato, nel periodo di vigenza originaria (secondo se
mestre del 1984), consistenti incrementi tariffari e, nel periodo
di vigenza prorogata (anni 1985, 1986 e 1987), incrementi tarif fari più elevati di quelli accordati dal decreto impugnato.
La circostanza, oltre a non essere contestata, è avvalorata
dall'art. 3 dello stesso decreto, secondo il quale la percezione
degli arretrati nella misura stabilita dall'art. 2 implica la rinun
zia, in via transattiva, ai crediti, evidentemente di maggiore am montare, basati sull'art. 4 d.p.r. 16 maggio 1980.
Ciò posto, con ragione i ricorrenti sostengono che la nuova
disciplina tariffaria, stante la sua portata riduttiva, non poteva
estendersi al periodo pregresso, ostandovi il principio generale
che preclude, a garanzia della certezza delle posizioni giuridi
che, la retroattività delle statuizioni amministrative incidenti in modo sfavorevole sulla sfera soggettiva dei destinatari.
Aggiungasi che nella previsione dell'art. 48 1. 833/78 gli im
porti tariffari rappresentano il corrispettivo dell'opera profes
sionale, sicché la pretesa del soggetto convenzionato si perfezio
na ed entra nel suo patrimonio con l'esecuzione della prestazio ne sanitaria.
Ne discende che la retrodatazione del regime tariffario, alte
rando l'indicato nesso di corrispettività, cade in contrasto an
che con la norma citata, nella quale trova fonte l'atto impugnato.
Né può ritenersi che la retroattività esprima una scelta ricon ducibile all'ampia discrezionalità di cui fruiscono le parti chia mate a definire il contenuto dell'accordo.
Nel sistema di produzione normativa di cui al citato art. 48
l'atto consensuale costituisce, secondo uno schema che ha suc
cessivamente assunto larga diffusione nel pubblico impiego, un
pisce e gli attribuisce forza di regolamento, con la conseguenza che
l'autonomia negoziale finisce per stemperarsi ed assoggettarsi alle limi
tazioni proprie della potestà regolamentare: questa concezione sembra
contrastare con quella espressa dal Consiglio di Stato in altre occasioni,
cosi come emergente dalle decisioni riportate in nota a Pret. Giarre
9 marzo 1989 ed altre (ibid., 1632), ove si valorizza la «fase della predi
sposizione pattizia dell'atto autoritativo» e si esclude la prevalenza sulla
volontà delle parti dei «principi che nella materia possono rinvenirsi
nella legislazione statale scaturita dal normale procedimento di forma
zione ed approvazione parlamentare». Per altri riferimenti: sulla disciplina della contrattazione collettiva per
la regolamentazione dei rapporti di lavoro nell'ambito del servizio sani
tario nazionale e sul divieto della reformatio in peius del trattamento, Tar Lazio, sez. I, 1° febbraio 1989, n. 99, id., 1989, III, 476; sui criteri
di interpretazione degli accordi collettivi nel settore, Trib. Firenze 10
novembre 1989 e Trib. Camerino 30 maggio 1989, id., 1990, I, 657.
Il Foro. Itauano — 1991 — Parte III-2.
mero presuposto procedimentale del decreto presidenziale cui
spetta di attribuirgli forza cogente: il che implica che l'autono
mia negoziale subisce le stesse limitazioni alle quali soggiace la potestà regolamentare.
Deducono ancora i ricorrenti l'illegittimità dell'art. 3 dello
stesso d.p.r. 120/88, che subordina la conferma dei rapporti convenzionali alla rinunzia a qualsiasi pretesa o azione collegate all'art. 4 d.p.r. 16 maggio 1980 e al riconoscimento che la cor
responsione degli arretrati secondo le nuove misure ha valore
transattivo.
Anzitutto è fondata la censura di violazione di legge proposta con riferimento all'art. 19, 2° comma, 1. 11 marzo 1988 n. 67
(«tutte le strutture . . . restano convenzionate . . . sino all'en
trata in vigore di una nuova disciplina . . .»).
Appare evidente che la condizione imposta dalla norma cen
surata non si concilia con la previsione legislativa di una proro
ga indifferenziata e automatica delle convenzioni in atto.
Va, inoltre, rilevato che l'ambito delle rinunzie e delle transa
zioni contemplate dalla norma in questione involge, in senso
contrattivo, pretese che gli interessati avevano compiutamente maturato in virtù d.p.r. 16 maggio 1980.
Si tratta, come già osservato, di materia sottratta alla dispo nibilità delle parti che elaborano ed esprimono la disciplina pre vista dall'art. 48 1. 833/78 onde sussiste, anche in questo caso, il vizio accertato nei riguardi dell'art. 2 d.p.r. 120/88.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA ZIO; sezione II; sentenza 27 gennaio 1990, n. 238; Pres. Nu
merico, Est. Corasaniti; Del Gallo (Aw. Clarizia) c. Min.
beni culturali.
Antichità e belle arti — Comprensorio archeologico unitario — Vincolo integrale — Legittimità — Fattispecie (L. 1° giugno 1939 n. 1089, tutela delle cose di interesse artistico o storico,
art. 1, 2, 21).
È legìttimo il vincolo disposto su un intero comprensorio ar
cheologico, caratterizzato dall'esistenza nel sottosuolo di ca
tacombe, e non limitato al solo soprassuolo sovrastante, o
su cui insistono costruzioni di pari interesse. (1)
(1) In materia di imposizione del vincolo archeologico diretto, il più consistente filone giurisprudenziale afferma che l'amministrazione può
imporre tale vincolo su intere aree, nelle quali anche ritenga solo, in
base ad un giudizio tecnico, che sussistano reperti archeologici: Cons.
Stato, sez. VI, 11 novembre 1987, n. 887, Foro it., Rep. 1988, voce
Antichità, n. 20; 6 ottobre 1986, n. 758 e 29 novembre 1985, n. 616,
id., Rep. 1986, voce cit., nn. 18, 27; 5 ottobre 1985, n. 553, id., Rep. 1984, voce cit., n. 16; Tar Calabria, sez. Reggio Calabria, 11 novembre
1981, n. 162, id., Rep. 1982, voce cit., n. 16. Queste scelte dell'ammini
strazione sarebbero insindacabili dal giudice della legittimità, purché siano state indicate le circostanze di fatto sulle quali si basano: Cons.
Stato, sez. VI, 31 dicembre 1986, n. 944, id.. Rep. 1987, voce cit., n. 29; 14 ottobre 1985, n. 503, id., Rep. 1986, voce cit., n. 28; 30
settembre 1980, n. 778, id., Rep. 1981, voce cit., n. 37; o, comunque, elementi di oggettivo e certo riscontro: Tar Lazio, sez. II, 17 luglio
1986, n. 1155, id., Rep. 1987, voce cit., n. 34; Cons. Stato, sez. VI, 25 marzo 1985, n. 93, id., Rep. 1985, voce cit., n. 19 (cfr. anche Tar
Sardegna 6 dicembre 1986, n. 701, id., Rep. 1987, voce cit., n. 40). Le controversie si focalizzano con particolare frequenza sulla con
gruità dell'estensione dell'area che l'amministrazione cosi vincola; i me
desimi prìncipi di discrezionalità dell'amministrazione, ma anche di sua
sindacabilità dal giudice della legittimità, quanto all'indicazione dei pre
supposti di fatto, ed alla logicità della motivazione, sono affermati con
maggiore riguardo a questo profilo, da Cons, giust. amm. sic. 18 otto
bre 1989, n. 400, id., Rep. 1989, voce cit., n. 41; Cons. Stato, sez.
VI, 4 dicembre 1984, n. 682, id., Rep. 1985, voce cit., n. 17; Tar Lazio,
sez. II, 21 novembre 1984, n. 1723, ibid., n. 54; Cons. Stato, sez. VI, 22 dicembre 1983, n. 923, id., Rep. 1984, voce cit., n. 21, e 28 giugno
1982, n. 322, id., Rep. 1983, voce cit., n. 32 (che, ambedue, insistono
particolarmente sull'inscindibilità del complesso archeologico che richie
derebbe il vincolo dell'intera area determinata dall'amministrazione); 29 gennaio 1982, n. 39, id., Rep. 1982, voce cit., n. 17.
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PARTE TERZA
Diritto. — L'esame dei motivi di ricorso presuppone l'illu
strazione del quadro giurisprudenziale relativo ai provvedimenti di apposizione di vincolo storico, artistico ed archeologico ai
sensi della 1.1° giugno 1939 n. 1089. Va preliminarmente precisato che in sede di legittimità i prov
vedimenti stessi, frutto di un'attività tecnico-discrezionale del
l'amministrazione, sono censurabili nel caso di insufficienza di
motivazione, ovvero per vizi logici concretanti altre figure di
eccesso di potere (Cons. Stato, sez. VI, 18 ottobre 1977, n. 802,
Foro it., Rep. 1977, voce Antichità, n. 23; 30 marzo 1982, n.
137, id., Rep. 1982, voce cit., n. 19), come nell'ipotesi di con trasto tra i presupposti enunciati nella motivazione e le sue con
clusioni, o in caso di travisamento dei fatti ed errore negli stessi
presupposti (Cons. Stato, sez. VI, 5 novembre 1974, n. 344,
id., Rep. 1974, voce cit., n. 10), ovvero in caso di imprecisa ed equivoca identificazione dell'oggetto del vincolo o di indeter minatezza del vincolo (diretto o indiretto) o del tipo di interesse
pubblico (storico-artistico-archeologico) tutelato (Cons. Stato, sez. IV, 11 dicembre 1973, n. 1225, ibid., n. 6).
Resta invece nella valutazione tecnico-discrezionale dell'am
ministrazione il giudizio di valore storico-artistico del bene vin colato (Cons. Stato, sez. IV, 11 dicembre 1973, n. 1225, cit.; sez. VI 4 giugno 1976, n. 251, id., Rep. 1976, voce cit., n.
11; 21 febbraio 1977, n. 36, id., Rep. 1977, voce cit., n. 25); o quello della maggiore importanza dei reperti rinvenuti nel corso
di scavo (Cons. Stato, sez. IV, 20 giugno 1972, n. 540, id.,
Rep. 1972, voce cit., n. 16). Allo stesso modo giova precisare che l'amministrazione non
è tenuta ad una comparazione tra interesse primario da tutelare
con il vincolo (Cons. Stato, sez. IV, 18 marzo 1973, n. 199,
id., 1973, III, 259) e quello privato del proprietario quando abbia compiuto la valutazione dell'interesse storico o artistico
del bene da vincolare (Cons. Stato, ad. plen., 7 giugno 1973, n. 6, id., 1973, III, 408).
Per quanto riguarda il vincolo più propriamente archeologico
(che qui interessa) ai fini dei profili di eccesso di potere, l'impo sizione del vincolo su terreno è legittimo quando sia preceduta da accertamenti in base ad una seria attività di rilevazioni e
di raccolta di dati storici sull'esistenza di reperti archeologici (Cons. Stato, sez. IV, 18 dicembre 1973, n. 1253, id., Rep. 1973, voce cit., nn. 13, 17, 39); pur non essendo necessario che reper ti archeologici siano stati messi alla luce a seguito di lavori e
scavi (Cons. Stato, sez. IV, 18 dicembre 1973, n. 1253, cit., 13 dicembre 1977, n. 1209, id., Rep. 1978, voce cit., nn. 16, 24; 26 agosto 1980, n. 856, id., Rep. 1980, voce cit., n. 13), essendo sufficiente che l'amministrazione, sulla base di dati in
suo possesso, pervenga alla ragionevole conclusione che il sot
tosuolo contenga reperti (Cons. Stato, sez. IV, 29 novembre
1985, n. 616, id., Rep. 1986, voce cit., n. 27).
L'estensione, poi, degli immobili da sottoporre a vincolo ar
cheologico ai sensi della 1. n. 1089 del 1939, lungi dall'essere
predeterminata in modo rigoroso con riferimento alle dimensio
ni fisiche delle «cose» di interesse particolarmente importante, deve essere rimessa all'apprezzamento discrezionale dell'ammi
nistrazione competente, da esercitarsi in relazione alla natura
dei luoghi, alle particolari situazioni ambientali e ad ogni altra circostanza del caso concreto (Cons. Stato, sez. IV, 25 luglio
1970, n. 585, id., Rep. 1970, voce Monumento, nn. 8, 18, 28; sez. VI 20 maggio 1982 n. 272, id., Rep. 1982, voce Antichità, n. 11).
Ciò premesso il ricorso si appalesa infondato.
Col secondo motivo (che si esamina con precedenza per la
sua priorità logica) il ricorrente, nel dedurre la violazione degli art. 1, 2 e 21 1. n. 1089 del 1939 e l'eccesso di potere per svia
mento, sostiene che «essendo ben individuate, conosciute e ca
talogate le cose che presentano un interesse archeologico, non
vi è motivo per estendere il vincolo a beni diversi da tal cose»
e che «il vincolo non potrebbe eccedere il suolo sovrastante le
catacombe, le quali . . . occupano 1/4 o 1/3 del terreno noti
ficato». L'assunto non può essere condiviso.
L'art. 21 1. n. 1089, sul quale fa particolarmente leva la dife
sa attrice, si riferisce, è vero, alle «cose immobili» soggette alle
disposizioni della legge stessa ma da questo riferimento norma
li Foro Italiano — 1991.
tivo non può desumersi che il vincolo possa essere imposto sol
tanto a tutela di singoli beni.
Una siffatta interpretazione restrittiva è in contrasto con la
ratio della legge, in quanto l'estensione e la tipologia dei vincoli
sia diretti che indiretti, non sono rigidamente predeterminate dalla norma in relazione all'entità fisica di ciascun bene, ma
rimesse all'apprezzamento discrezionale dell'amministrazione, da
esercitarsi con riguardo alla natura o al numero dei beni da
tutelare, alla loro ubicazione, alle particolari condizioni ambien
tali e ad ogni altra circostanza rilevante ai fini della migliore conservazione e fruizione dei beni stessi.
È stata, quindi, più volte riconosciuta, specie quando si trat
ti, come nel caso di specie, di un certo numero di resti archeo
logici disseminati su una estesa superficie, la legittimità di un vincolo imposto sull'intera zona individuata dalla presenza dei
resti medesimi, costituente un comprensorio archeologico unita
riamente considerato sotto il profilo storico-artistico (per tutte
Cons. Stato, sez. VI, 22 dicembre 1983, n. 923, id., Rep. 1984, voce Antichità, n. 21; e Tar Lazio, sez. II, 21 novembre 1986
n. 2308). Una diversa soluzione vanificherebbe, come già rite
nuto dalla sezione, in parte le finalità di tutela da perseguire che non possono prescindere dalle interelazioni esistenti fra i
beni da tutelare, le relative aree di pertinenza e l'ambiente nel
quale essi si trovano inseriti.
È, pertanto, sufficiente che gli immobili sui quali si fanno gravare le limitazioni di cui alla 1. n. 1089 del 1939 siano adia centi al complesso archeologico, si da costituire con esso un
unico contesto ambientale.
Nel caso in esame si evince agevolmente dalla planimetria al
legata al decreto impugnato che la zona vincolata (cinque ettari
di proprietà del ricorrente) di forma triangolare, posto a confi
ne con via Appia Antica, via Appia Pignatelli e vicolo della Basilica, costituisce un comprensorio archeologico la cui unita
rietà non può essere posta in discussione: il nucleo centrale del
suddetto triangolo, di estensione abbastanza consistente, è inte
ressato da catacombe ebraiche con relative gallerie sotterranee
e, nel soprassuolo, da manufatti costituiti, tra l'altro, dai due
antichi ingressi alle catacombe, di manufatti adibiti a lucernai alle catacombe stesse, da un sepolcro esistente sulla particella n. 23.
La stessa relazione tecnica depositata dal ricorrente dà atto
della presenza dei resti ed elementi archeologici surriferiti.
Dalle considerazioni suesposte discende l'infondatezza oltre
che della censura esaminata anche del primo motivo di gravame di travisamento dei fatti e difetto di motivazione.
Il ministero per i beni culturali e ambientali, col decreto im
pugnato, dopo aver premesso che nell'area compresa tra la via
Appia Antica, la via Pignatelli e il vicolo della Basilica si esten dono le catacombe ebraiche di vigna Rondanini, costituenti uno
dei complessi sepolcrali più importanti del suburbio, sviluppate si in numerose gallerie ...» che alcuni dei cubicoli presentano considerevoli decorazioni pittoriche . . ., che il soprassuolo è
interessato dalla fitta presenza dei sepolcri di epoca romana al
lineati lungo la via Appia Antica ... e che le catacombe anzi
dette sono poste nelle immediate adiacenze dei maggiori com
plessi catacombali romani, quelli S. Callisto, S. Sebastiano e
Pretestato, nonché accanto alla villa di Massenzio, ha dichiara
to, di importante interesse archeologico gli immobili contenenti
i resti archeologici anzidetti, individuati con una planimetria fa
cente parte integrante del decreto medesimo.
L'amministrazione ha, quindi, dimostrato di aver valutato
compiutamente gli elementi specifici che costituiscono i presup
posti del provvedimento di vincolo.
Dal contenuto del provvedimento stesso emerge, quindi, in
modo inequivoco la sua ragion d'essere e finalità: esso è, per
tanto, ragionevole e conforme alla funzione che gli è propria. Né la legittimità del provvedimento stesso può essere scalfita
dall'ulteriore profilo di doglianza secondo il quale l'amminstra zione mentre si è preoccupata di tutelare le catacombe contenu
te nel sottosuolo del ricorrente avrebbe «dimenticato completa mente le restanti catacombe che si estendono al di là dell'Appia
Pignatelli e che non sono di proprietà del ricorrente».
Sulla proprietà limitrofa, denominata villa Massenzio, è già stato emesso provvedimento di vincolo (d.m. 17 marzo 1986) mentre è in corso l'apposizione del vincolo a monumenti, sot
terranei e fuori terra, posti sul lato opposto alla via Appia Pi
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
gnatelli (il dato, fornito dalla difesa erariale non è contestato
dal ricorrente). Ciò dimostra che l'amministrazione si è mossa ed opera sulla
base di un programma di tutela che investe un'area più vasta
di quella del ricorrente: nessuno sviamento, quindi, ma mera
esigenza di tutela di un complesso archeologico, quello dell'Ap
pia Antica, di rilevante interesse ed importanza. Il ricorso va, pertanto, respinto.
TRIBUNALE AMMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO; sezione II; sentenza 26 gennaio 1990, n. 224; Pres.
Numerico, Est. Catini; Beyeler (Aw. Caravtta Di Toritto) c. Min. beni culturali, Pierangeli (Aw. Melandri, Clarizia).
Antichità e belle arti — Bene assoggettato a vincolo — Aliena
zione — Denuncia incompleta all'amministrazione — Decor
renza del termine per la prelazione — Esclusione — Fattispe cie (L. 1° giugno 1939 n. 1089, tutela delle cose di interesse
artistico o storico, art. 32, 61, 73). Antichità e belle arti — Bene assoggettato a vincolo — Aliena
zione — Denuncia incompleta all'amministrazione — Usuca
pione decennale — Prelazione — Legittimità (Cod. civ., art.
1161; 1. 1° giugno 1939 n. 1089, art. 31, 32, 61). Antichità e belle arti — Bene assoggettato a vincolo — Aliena
zione — Denuncia incompleta all'amministrazione — Prela
zione tardiva — Motivazione — Legittimità — Fattispecie (L. 1° giugno 1939 n. 1089, art. 31, 32, 61).
Antichità e belle arti — Bene assoggettato a vincolo — Aliena
zione — Denuncia incompleta all'amministrazione — Prela
zione — Questione manifestamente infondata di costituziona
lità (Cost., art. 3, 9, 24, 42, 97; 1. 1° giugno 1939 n. 1089, art. 61).
Antichità e belle arti — Bene assoggettato a vincolo — Aliena
zione — Denuncia incompleta all'amministrazione — Prela
zione tardiva — Riferimento al prezzo originario — Legitti mità (L. 1° giugno 1939 n. 1089, art. 31, 32, 61).
Non fa decorrere il termine per l'esercizio della prelazione da
parte dell'amministrazione, la denuncia dell'alienazione di un
bene assoggettato a vincolo artistico, pur se contenente l'indi
cazione del venditore, del prezzo e dell'acquirente, qualora manchi la sottoscrizione di questo e l'indicazione del luogo
in Italia dove avverrà la consegna. (1) Non fa decorrere il termine per l'esercizio della prelazione da
parte dell'amministrazione, la denuncia dell'alienazione di un
bene assoggettato a vincolo artistico, non sottoscritta dal ven
ditore, o priva dell'indicazione di questo, o dell'acquirente. (2)
Non fa decorrere il termine per l'esercizio della prelazione da
parte dell'amministrazione, la denuncia incompleta dell'alie
nazione di un bene assoggettato a vincolo artistico, anche se
viene a completare una precedente denuncia parimenti in
completa. (3) È legittima la prelazione da parte dell'amministrazione, nei con
fronti di un bene assoggettato a vincolo artistico, a distanza
di tempo dall'alienazione denunciata in modo non completo,
anche se a favore dell'acquirente sia maturata l'usucapione
decennale prevista nel caso di acquisto di buona fede senza
un titolo idoneo. (4)
(1-7) La sentenza, in relazione alle particolarità del caso, sulle quali non si rinvengono precedenti specifici, sostanzialmente fa applicazione di orientamenti consolidati in giurisprudenza.
Sul principio generale, secondo cui il termine per l'esercizio da parte dell'amministrazione della prelazione, decorre solo dalla denuncia del
l'alienazione all'amministrazione stessa, v., spesso in particolare accen
tuazione dell'esigenza che la notificazione avvenga precisamente all'or
gano competente in materia: Cons, giust. amm. sic. 2 marzo 1990, n.
22 (Cons. Stato, 1990, I, 497), che afferma che tale denuncia deve av
Ii Foro Italiano — 1991.
È legittima la prelazione da parte dell'amministrazione, nei con
fronti di un bene assoggettato a vincolo artistico, dopo molti
anni dall'alienazione a cittadino straniero denunciata in mo
do incompleto con grave violazione della legge che ha portato all'occultamento dell'acquirente, e anche se di fronte ad essa
l'amministrazione sia rimasta inerte, qualora la prelazione sia
motivata con il grande interesse attuale alla conservazione del
bene al patrimonio artistico, e pur senza una comparazione di questo interesse pubblico con quello privato sacrificato. (5)
È manifestamente infondata, anche in relazione all'art. 9 Cost.,
la questione di legittimità costituzionale dell'art. 611. 1089/39, nella parte in cui sancisce la nullità delle alienazioni di cose assoggettate a vincolo artistico o storico, denunciate in modo
incompleto all'amministrazione, la quale, perciò, pur essen
done a conoscenza, può esercitare senza limiti di tempo la
prelazione, in riferimento agli art. 3, 34, 42 e 97 Cost. (6) È legittima la prelazione da parte dell'amministrazione, nei con
fronti di un bene assoggettato a vincolo artistico, molti anni
dopo una alienazione che le era stata denunciata in modo
incompleto, per il prezzo allora dichiarato, senza adeguamen to al valore reale del bene, e senza tener conto della svaluta
zione monetaria intervenuta nel frattempo e degli interessi
legali. (7)
venire nei confronti del ministero dei beni culturali e ambientali (in
Sicilia, al competente assessorato regionale), e non alla sovrintendenza; 4 febbraio 1985, n. 12, Foro it., Rep. 1985, voce Antichità, n. 65, che nega l'applicabilità in materia dell'art. 5 1. 18 marzo 1968 n. 249,
per il quale gli atti rivolti in termine ad un organo diverso da quello
competente, ma appartenente alla stessa amministrazione, devono con
siderarsi efficaci, giacché questo organo ha il dovere di trasmetterli d'uf
ficio a quello competente; Tar Marche 13 luglio 1984, n. 269, ibid., n. 66; Tar Toscana 14 febbraio 1984, n. 84, che ha ritenuto che il
termine non avesse cominciato a decorrere, in un caso nel quale la de
nuncia era stata effettuata nei confronti del ministero della pubblica istruzione, dopo che questo aveva perso la competenza in materia, id.,
1984, III, 448, con nota di richiami (per altri riferimenti, in relazione
ad un caso molto particolare, Cass. 9 dicembre 1985, n. 6180, id., Rep.
1986, voce cit., n. 13). D'altra parte, la nullità delle alienazioni non
effettuate col rispetto delle formalità di legge, è solo relativa: può esse
re fatta valere solo dall'amministrazione, e non rileva nei rapporti tra
altri soggetti, in particolare tra acquirente e venditore (Cass. 24 novem
bre 1989, n. 5070, id., Rep. 1989, voce cit., n. 50, nonché, ma in rela
zione alla mancata preventiva autorizzazione allo smembramento di col
lezioni, ex art. 5, cpv., 1. 1089/39, Cass. 14 marzo 1987, n. 2660, id.,
Rep. 1987, voce cit., n. 48). In più diretta attinenza alle particolarità del caso deciso dalla senten
za riportata, Cons. Stato, sez. VI, 7 ottobre 1987, n. 802, id., Rep.
1988, voce cit., n. 38, afferma la necessità, per la decorrenza del termi
ne per la prelazione, che vi sia stata formale denuncia all'amministra
zione competente, con l'osservanza dei requisiti richiesti dall'art. 57 r.d.
30 gennaio 1913 n. 363 (sulla cui sopravvivenza, v. Cons. Stato, sez.
VI, 31 gennaio 1984, n. 26, id., Rep. 1984, voce cit., n. 6), in quanto richiamato dall'art. 73 1. 1089/39, in difetto della quale denuncia for
male, l'amministrazione, anche se sia venuta a conoscenza aliunde del
l'alienazione, può esercitare la prelazione senza limiti di tempo, in base
all'art. 61, 2° comma, della legge stessa; nel medesimo senso si è espresso Cons. Stato, sez. VI, 31 gennaio 1984, n. 26, cit., ibid., n. 40; e Tar
Toscana 14 febbraio 1984, n. 84, cit., che applicando i criteri suddetti, in un caso nel quale l'amministrazione era venuta a conoscenza, in oc
casione della denuncia di un'alienazione, di un'altra precedente non co
municata, ha affermato la legittimità dell'esercizio della prelazione in
relazione a questa, e al prezzo, ovviamente più vantaggioso, in essa
indicato (cfr. anche, in senso sostanzialmente analogo, ma in relazione
alla diversa ipotesi della presentazione di beni all'esportazione, Tar Ve
neto, sez. I, 25 ottobre 1986, n. 64, id., Rep. 1987, voce cit., n. 65). In particolare, Cons. Stato, sez. VI, 23 marzo 1982, n. 129, id., 1982,
III, 285, con nota di richiami, ha negato la decorrenza del termine, in connessione con una denuncia priva dell'indicazione del prezzo del
l'alienazione; la decisione è interessante anche in relazione alla quarta
massima, perché ugualmente nega che l'acquirente di un bene in base
ad alienazione non denunciata, possa acquistarne la proprietà per usu
capione abbreviata (Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 1985, n. 123, id.,
Rep. 1985, voce cit., n. 73, rileva che, ai sensi dell'art. 129 r.d. 363/13,
solo il proprietario del bene che si intende esportare, o, per espresso incarico di questo, lo spedizioniere, possono dichiarare il valore venale
di tale bene, con la conseguenza che l'amministrazione non può eserci
tare la prelazione, in riferimento ad una dichiarazione sottoscritta da
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