sezione II; sentenza 5 agosto 1989, n. 1153; Pres. ed est. Numerico; Pellegrino (Avv. Aguglia) c.Min. beni culturali e ambientaliSource: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1991),pp. 217/218-221/222Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183180 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
e non delle potestà) di eliminazione della competenza primaria
regionale. Dopo il 31 dicembre 1986 vige un regime di concorso
dei due soggetti distinti (Stato e regioni) nel raggiungere l'obiet
tivo di un'adeguata pianificazione paesaggistica. Del resto è ab
bastanza comune, quando si tratta di esercizio di poteri pubbli ci, il collegamento di poteri sostitutivi alla scadenza di termini
dettati per l'adozione di determinati atti, è invece eccezionale
l'ipotesi dell'estinzione della potestà pubblica in capo ad un sog
getto cui sia stata attribuita.
Tale effetto deve essere reso esplicito nella norma che preve de i poteri sostitutivi, cosi non è nell'art. 1 bis 1. n. 431 e da
ciò consegue sia la possibilità della regione di intervenire ancora
per adottare i piani paesaggistici anche dopo il 31 dicembre 1986
e la correlata facoltà dello Stato di intervenire in funzione solle
citatoria o in chiave di sostituzione in relazione alle singole si
tuazioni di avanzamento dei procedimenti di pianificazione pae
saggistica nelle varie regioni. Da quanto si è detto con riguardo alla previsione del cosid
detto vincolo specifico la cui perdurante efficacia è collegata all'«adozione» dei piani paesaggistici consegue da un lato che
il momento in cui detto piano consegue efficacia è quello dell'a
dozione e non dell'approvazione perché la legge commina l'ef
fetto speciale (la caducazione del vincolo specifico) proprio a
tale momento. Consegue, altresì, da tale impostazione che le
aree vincolate con i provvedimenti adottati a tenore dell'art.
2 d.m. del 21 settembre 1984 in forza della 1. n. 341 del 1985
rimangono vincolate qualunque sia stata la sorte dei relativi atti
impositivi; ciò anche se questi decreti estendevano la propria efficacia ad aree escluse dal vincolo imposto per legge, in quan to il meccanismo di individuazione richiamato dall'art.
1 quinquies riguarda non solo l'impostazione del vincolo speci fico che nel sistema della 1. n. 431 può riguardare le aree già
sottoposte a vincolo, ma anche l'individuazione delle aree da
sottoporre a tutela per lo speciale interesse paesaggistico am
bientale che presentano; si tratta cioè di uno strumento integra tivo dei beni da sottoporre a tutela. Consegue altresì dall'impo stazione su riportata che ben può il piano paesaggistico indivi
duare direttamente quei beni sottoposti dalla legge a vincolo
per categoria (vulcani, zone di interesse archeologico, boschi,
foreste, ecc.) e che, con un intervento di mera ricognizione, siano in concreto ritenute meritevoli di tutela. Né si può ritene
re che nel dettare la disciplina di tutela «primaria» il piano pae
saggistico, posto che si muove su un livello sovraordinato alla
pianificazione urbanistica, debba rendere conto delle modifiche
che questa ultima deve necessariamente subire per assicurare al
paesaggio una tutela di tipo dinamico cioè tale da non essere
incisa nel tempo da singole specifiche scelte di gestione del terri
torio che comunque trovano nella pianificazione di rango supe riore limite e un indirizzo. Coerentemente la pianificazione
paesaggistico-ambientale attraverso l'imposizione di obblighi spe cifici (piantumazione, ecc.) sia proprio per la funzione di tutela
allargata ed unitaria di categorie di beni, ben può arrivare a
coordinare interventi immediati e futuri di miglioramento della
situazione paesaggistica ed ambientale per come essa si presen ta. Se infatti la 1. n. 431 del 1985 non ha richiesto un accerta
mento preliminare e diffuso dal pregio estetico delle singole aree, ma ha ritenuto che le stesse nel complesso dovevano essere tute
late, è implicito in tale dettato legislativo il potere di provvedere al recupero di aree ricomprese nelle zone vincolate e che pur tuttavia non abbiano una piena corrispondenza alle esigenze di
tutela cui la legge è preordinata. È quindi spiegabile sia la disci
plina di tutela per aree apparentemente, allo stato, non merite
voli di conservazione, ma per le quali necessitano interventi at
tivi di recupero ambientale ed anche il rinvio a ulteriori stru
menti attuativi di tali interventi di recupero. Emerge cosi la
funzione più genuina della legge in esame che tende ad una
conservazione non meramente statica dei valori paesaggistici am
bientali del paese, ma anche allo stimolo di quegli interventi
di miglioramento e di recupero che costituiscono il nucleo es
senziale di un corretta funzione di «conservazione». (Omissis)
Il Foro Italiano — 1991.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA ZIO; sezione II; sentenza 5 agosto 1989, n. 1153; Pres. ed
est. Numerico; Pellegrino (Avv. Aguglia) c. Min. beni cul
turali e ambientali.
Impiegato dello Stato e pubblico — Sanzione disciplinare —
Legittimità — Fattispecie (D.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, statu
to degli impiegati civili dello Stato, art. 16, 80; d.p.r. 29 di cembre 1984 n. 1219, individuazione dei profili professionali del personale dei ministeri in attuazione dell'art. 3 1. 11 luglio 1980 n. 312).
È legittima la sanzione disciplinare della riduzione dello stipen dio nella misura di un decimo per un mese, inflitta ad un
architetto appartenente ad una sovrintendenza ai beni ambien
tali, che si era replicatamente rifiutato di formulare un parere richiesto dall'Anas, in merito all'abbattimento di alcuni pini necessario per la ristrutturazione di una strada, nel senso fa vorevole disposto ripetutamente dal sovrintendente, anche se
in contrasto con le proprie personali opinioni. (1)
(1) I. - Sui rapporti tra le opinioni personali, di tipo professionale, del dipendente pubblico ed il vincolo di subordinazione gerarchica: Cons.
Stato, sez. VI, 8 luglio 1982, n. 360, Foro it., Rep. 1982, voce Istruzio ne pubblica, n. 183, secondo cui la lettura da parte dell'insegnante agli allievi di una circolare del preside concernente l'irrogazione di sanzioni
disciplinari ad altri discenti, costituendo un'attività di mera comunica
zione, rientra tra le funzioni amministrative che l'insegnante è tenuto
a svolgere per la sua subordinazione gerarchica nei confronti del capo d'istituto, senza che ne risulti menomata la sua libertà d'insegnamento; Corte conti, sez. riun., 30 maggio 1986, n. 492/A, id., Rep. 1987, voce
Responsabilità contabile, n. 255, che ritiene che l'esercizio delle funzio
ni dirigenziali non conferisce la facoltà di opporsi ad ordini superiori né fa venir meno il vincolo gerarchico cui il dirigente rimane astretto a termini dell'art. 16 d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3 e che trova il suo
limite nel successivo art. 17.
Tar Lazio, sez. II, 29 gennaio 1987, n. 147, id., 1988, III, 367, riba
disce che la regola della subordinazione gerarchica degli uffici inferiori
rispetto a quelli superiori è regola generale fondamentale del nostro
ordinamento giuridico. In senso contrario, Corte conti, sez. II, 16 marzo 1988, n. 42, id.,
1989, III, 88, che, in una fattispecie relativa ad una azione di responsa bilità contabile promossa verso la direttrice di una biblioteca nazionale
che aveva manifestato, in atti di ufficio, il proprio dissenso rispetto alla scelta operata dal ministero dei beni culturali, ha affermato che «il principio del rispetto delle decisioni degli organi superiori non può
presentare il valore di un obbligo di supina ed acritica acquiescenza»
giacché a volte, quando la responsabilità dell'azione amministrativa ri
mane esclusiva dell'organo di livello inferiore, può ritenersi conforme
ai criteri di cocreta amministrazione più che il rigoroso rispetto del prin
cipio di subordinazione gerarchica il diretto coinvolgimento e la dove
rosa utilizzazione della competenza professionale dell'organo di livello
inferiore. In ordine ai rimedi contro il provvedimento del superiore gerarchico,
Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 1981, n. 752, id., Rep. 1982, voce
Impiegato dello Stato, n. 1051, secondo cui il pubblico dipendente che
ritiene che gli obblighi derivantigli dall'organizzazione dei servizi a cui
è addetto siano lesivi del proprio status non può farsi giustizia da sé
sottraendosi ai detti obblighi, ma deve impugnare tempestivamente l'at
to autoritativo dell'amministrazione.
Sui limiti al dovere verso il superiore, Tar Emilia-Romagna 29 aprile 1985, n. 140 e Tar Liguria 3 giugno 1985, n. 304, id., Rep. 1986, voce
cit., nn. 931, 932, riconoscono un vero e proprio diritto del dipendente
pubblico, relativo al suo status e alla sua personalità, a far rimostranza
avverso l'ordine impartito dal superiore ogniqualvolta lo si ritenga ille
gittimo. Corte conti, sez. riun., 1° giugno 1987, n. 542, id., Rep. 1988, voce
Responsabilità contabile, n. 86, ai fini della configurazione dell'esimen
te da responsabilità verso l'amministrazione (l'aver agito per ordine di
un superiore), ha affermato che le norme del testo unico degli impiegati civili dello Stato, nello spirito di un rapporto di collaborazione tra di
pendente e superiore gerarchico, impongono, in presenza di un ordine
illegittimo, una dialettica che culmina nella reiterazione dell'ordine scritto
al subordinato.
Sempre in relazione all'ordine scritto: Cons. Stato, sez. V, 21 novem
bre 1985, n. 420, id., Rep. 1986, voce Impiegato dello Stato, n. 504, con riferimento a fattispecie relativa a dipendenti ospedalieri per
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PARTE TERZA
Diritto. — II problema posto dalla controversia in esame ri
guarda l'inserimento di una procedura disciplinare, conclusa con
la sanzione della riduzione dello stipendio, in una vicenda lavo
rativa nell'ambito del rapporto di impiego intrattenuto dal mi
nistero dei beni culturali con un dipendente professionale aven
te qualifica funzionale di architetto.
Giova premettere che la causa è principalmente impostata dalla
ricorrente, arch. Emilia Pellegrino, sulla prevalenza del proprio
profilo professionale rispetto al principio di gerarchia; donde
l'illegittimità degli ordini del superiore arch. Mola, sovrinten
dente ai beni ambientali, architettonici, artistici e storici di Ba
ri, in merito al parere da rivolgere all'Anas sull'abbattimento
di taluni pini in sede di ristrutturazione di una strada statale; e di qui l'ulteriore conseguenza, nell'ottica della parte attrice, della legittimità del proprio comportamento e della sua non san
zionabili (primo mezzo).
i quali l'art. 20 d.p.r. 27 marzo 1969 n. 130 prevede una disciplina
analoga a quella di cui all'art. 17 t.u. 10 gennaio 1957 n. 3, rileva
che la reiterazione per iscritto dell'ordine impartito verbalmente ha il
solo scopo di salvaguardare il dipendente da eventuali responsabilità
conseguenti all'esecuzione di ordini illegittimi; da ciò derivando l'inap
plicabilità della norma nel caso di ordine la cui esecuzione non può
neppure in astratto configurare responsabilità a carico del dipendente; Tar Umbria 18 aprile 1988, n. 141, Trìb. amm. reg., 1988, I, 1721 — solo massima — secondo cui, in forza del vincolo di subordinazione, il pubblico dipendente è obbligato a dare esecuzione ad un ordine ille
gittimo, ma non vietato da una norma penale, se confermata per iscrit
to; Tar Lazio, sez. II, 30 aprile 1988, n. 643, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 1041, ritiene non necessari due successivi ordini scritti del
superiore gerarchico per poter concretizzare il dovere di esecuzione e,
conseguentemente, per sanzionarlo.
Tar Liguria 4 marzo 1982, n. 127, id., Rep. 1982, voce cit., n. 1053; Tar Calabria 17 dicembre 1985, n. 841, id., Rep. 1987, voce cit., n.
1032; Tar Lazio, sez. Ili, 21 dicembre 1987, n. 2254, id., 1989, III,
88, con nota di richiami, ritengono l'illegittimità delle sanzioni discipli nari allorché il comportamento del pubblico dipendente sia da intender si come espressione del diritto di critica e manifestazione del pensiero nei confronti dell'operato della pubblica amministrazione di apparte nenza (nelle fattispecie considerate sono state ritenute tali le afferma
zioni critiche, riportate in una lettera inviata ad un giornale, rispettiva mente: da un funzionario dell'Inps in ordine ai metodi di svolgimento delle operazioni concorsuali, da un insegnante di scuola media in rela zione al proprio rifiuto a percepire il compenso per la sua partecipazio ne agli esami e da un dirigente superiore del Consiglio nazionale delle
ricerche per le inefficienze della pubblica amministrazione in occasione della spedizione italiana in Antartide).
Sulla legittimità di un motivato dissenso del pubblico dipendente ri
spetto alle scelte dell'amministrazione: Tar Lombardia 13 maggio 1981, n. 453, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1037, ha ritenuto che non può formare motivo di addebito disciplinare a carico di un funzionario la
circostanza che costui nell'adoperarsi per migliorare l'efficienza del ser
vizio, in cui egli stesso operi in posizione di particolare prestigio e re
sponsabilità, esprima il proprio motivato dissenso sulle modalità di svol
gimento dell'azione amministrativa; Corte conti, sez. II, 16 marzo 1988, n. 42, cit., ha escluso possa configurarsi come violazione di obblighi di servizio il dissenso verso le decisioni degli organi sovraordinati, ove
risulti fondato su elementi di obiettiva fondatezza. La giurisprudenza amministrativa è consolidata ne! ritenere che nel
procedimento disciplinare a carico dei pubblici dipendenti l'apprezza mento dei fatti, la valutazione delle prove e la gravità della sanzione si sottraggono al sindacato di legittimità coinvolgendo valutazioni di
merito, purché non ricorrano nell'atto amministrativo sanzionatorio le
figure dell'eccesso di potere: cfr. Cons. Stato, sez. V, 25 ottobre 1989, n. 680 e 22 giugno 1989, n. 381, id., 1990, III, 414, con nota di richia
mi; Tar Lombardia 12 giugno 1987, n. 392, id., Rep. 1988, voce Impie gato degli enti locali, n. 149, che, in particolare, ha affermato che non si sottrae al controllo del giudice amministrativo l'accertamento dell'e
sistenza, pertinenza e congruenza tra il presupposto comportamento in frattivo e la sanzione irrogata.
Per alcune fattispecie particolari, v. Cons. Stato, sez. II, 19 dicembre
1979, n. 622/78, id., Rep. 1982, voce cit., n. 1052, secondo cui è legitti mamente irrogata una sanzione disciplinare all'impiegato che abbia ri tardato l'espletamento di una pratica, malgrado la sollecitazione del
superiore; Cons. Stato, sez. Ili, 26 aprile 1989, n. 1562, id., Rep. 1989, voce cit., n. 1076, ha ritenuto non giustificata l'irrogazione di una san zione disciplinare a carico di un funzionario per la mancata evasione di una pratica da parte del funzionario direttivo subordinato, quando
Il Foro Italiano — 1991.
La tesi è in primo luogo non conferente, per cosi dire, sul
piano formale.
Se anche fosse esatto l'assunto, esso sarebbe, però, irrilevan
te ai fini di una soluzione favorevole per l'istante, atteso che
fra i compiti generali di ogni dipendente pubblico, e dunque fra i doveri di ufficio, vi è quello di adempiere gli ordini del superiore anche se illegittimi, nel quale ultimo caso il dovere
di adempimento è soggetto alla previa rimostranza da parte del
dipendente ed alla riproduzione dell'imposizione del superiore
per iscritto.
L'ordine diviene in tale evenienza — salvo il caso del rilievo
penale, che qui non viene in evidenza — un dovere non rifiutabi
le per qualunque dipendente, a qualsiasi ruolo, anche profes
sionale, egli appartenga; e l'atto nel quale il medesimo ordine
è contenuto si atteggia come un provvedimento amministrativo
di carattere organizzativo imperativo ed esecutivo, soggetto sol
tanto a ricorso (e ad eventuale sospensione ad opera del giudi
ce su apposita istanza dell'interessato) (cfr. Tar Umbria 14
aprile 1988 n. 1410; cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 novembre
1985, n. 420, Foro it., Rep. 1985, voce Impiegato dello Stato,
n. 504). Nella fattispecie tale ricorso non intervenne a tempo; e il prov
vedimento, configurato da ben tre ordini scritti di fronte ai ri
petuti rifiuti della funzionaria, si è per lei consolidato, venendo
perciò in ogni modo a rappresentare un elemento della fattispe cie di inosservanza dei doveri di ufficio sanzionabile con la mi
sura della riduzione stipendiale a mente dell'applicato art. 80,
lett. c, t.u. 10 gennaio 1957 n. 10.
Ma la tesi di parte agente non appare corretta neppure da
un punto di vista sostanziale.
In primo luogo, nei confronti dei problemi di tutela ambien
tale e paesaggistica possono certamente presentarsi diversità di
veduta professionale fra i vari dipendenti e possono succedersi
e accavallarsi valutazioni di segno differente su uno stesso
problema.
Ma, come esattamente nota la relazione dell'amministrazione
per la commissione di disciplina, è il dirigente dell'ufficio che «raccoglie i pareri dei collaboratori» e che «sulla base delle pro
prie elaborazioni, quale organo preposto all'ufficio e unico re
sponsabile delle decisioni adottate, ordina la stesura del provve dimento».
Ciò è confermato dallo stesso profilo di architetto (v. la pub blicazione dei profili di cui al d.p.r. 1219/84 sul suppl. ord.
alla G.U. 30 ottobre 1985 n. 256) invocato dalla Pellegrino sia
nelle difese durante il procedimento sia nel ricorso.
In tale profilo si parla di collaborazione (il termine non ha
bisogno di spiegazioni) alla redazione degli atti di competenza delle professionalità superiori; e sebbene il profilo si riferisca
anche al rispetto dei limiti e delle prerogative della professione, tale rispetto viene inquadrato «nell'ambito delle norme generali e speciali che regolano il settore» di amministrazione, fra le
quali prime quelle organizzative sul principio gerarchico che tro
vano ancora supporto nel t.u. del 1957.
Né può dirsi che con i ripetuti ordini del superiore, sia stata
coartata la libertà di pensiero e di professione della dipendente. Vale osservare al riguardo, con la relazione del sovrintendente,
ricorrano eccezionali motivi (nella specie ingente mole di lavoro pro trattasi per molti anni).
II. - In ordine alla responsabilità dei capi di ufficio, la 1. 6 aprile 1983 n. 93 — legge quadro sul pubblico impiego — ha ribadito (art. 22) che gli stessi sono perseguibili, oltre che sul piano disciplinare, an che su quello amministrativo-contabile per il mancato esercizio del po tere di controllo in ordine all'osservanza, da parte del personale addet
to, dei doveri di ufficio e degli adempimenti di lavoro a ciascuno as
segnato. Da ultimo, si segnala che la nuova legge sul procedimento ammini
strativo, 1. 7 agosto 1990 n. 241 (Le leggi, 1990, I, 1564), le cui disposi zioni impongono di individuare un responsabile del procedimento (art. 4 e 5), sia per la fase istruttoria che per l'adozione del provvedimento finale, nonché la nuova configurazione del reato di rifiuto ed omissione di atti di ufficio determineranno indubbie modifiche nell'ambito del
l'organizzazione degli uffici.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
che gli ordini non tendevano certamente a far mutare avviso
all'architetto Pellegrino, avviso di cui rimaneva e rimane am
plissima traccia agli atti della pratica, con conseguente esclusio
ne, per la dipendente stessa, di qualsivoglia responsabilità, esterna
e verso l'amministrazione. La richiesta che il sovrintendente,
tuttavia, poteva pretendere fosse esaudita era invece quella di
portare a completamento l'istruttoria con un parere corrispon dente alla sua valutazione, essendo normale in qualsiasi struttu
ra che i compiti del funzionario si esplichino secondo le diretti
ve e in conformità con l'orientamento e le valutazioni del re
sponsabile dell'ufficio.
Né si trattava di ordini con oggetto esulante dalle competenze della dipendente, posto appunto che, lungi dal mal interpretare nella specie il principio di gerarchia, l'amministrazione (nella fase dell'amministrazione attiva e in quella della procedura di
sciplinare) ha potuto esattamente ritenere che le incombenze del
l'architetto, come si ripete, stanno nella raccolta ed elaborazio
ne dei dati secondo le proprie conoscenze tecnico-scientifiche
e nell'attuazione delle istruzioni del dirigente quand'anche di
vergenti dalle proprie opinioni. Nemmeno potrebbe obiettarsi che l'esecuzione dell'ordine fosse
impossibile. Nei fatti è avvenuto che dopo una fase in cui la sovrintenden
za, seguendo evidentemente le opinioni della Pellegrino, si era,
in varie riprese, dichiarata contraria all'abbattimento dei pini
per far luogo all'allargamento della strada nazionale, lo stesso
sovrintendente ha effettuato un sopralluogo. All'esito dello stesso, dopo aver ottenuto una impostazione
parzialmente diversa del progetto, il sovrintendente perveniva alla conclusione che si potesse autorizzare la richiesta di abbat
timento delle essenze arboree, del resto ubicate in zona non vin
colata, entro il numero concordato e con la modalità del re
impianto di alberi a sostituzione di quelli perduti, il tutto sulla
base di uno stralcio planimetrico offerto dall'Anas (cfr. nota
3 febbraio 1987 sulla quale vi è il primo invito alla Pellegrino
ad aggiornare il parere accettando la proposta).
L'ordine, sulla base dell'accordo preventivo e della strumen
tazione topografica, era perfettamente comprensibile ed attua
bile dalla funzionarla.
Costei annotava una prima ripulsa, adducendo non l'impos sibilità o l'incomprensibilità dell'ordine, ma l'espressione del pro
prio avviso contrario. In calce a detta annotazione, il 20 feb
braio 1987, il sovrintendente ribadiva una prima volta la richie
sta, da considerare come ordine, di predisporre la lettera di
risposta all'Anas alla stregua delle proprie valutazioni e delle
nuove proposte dell'Anas.
Ad una nuova risposta negativa dell'architetto (21 febbraio
1987) seguivano l'ultimo e ribadito ordine del sovrintendente
(annotato ancora in calce il 24 febbraio 1987) e la restituzione
del fascicolo al superiore (il 28 febbraio di quell'anno ad opera della dipendente).
Orbene, dire che l'ordine era ineseguibile, ovvero ipotizzare, come pure è stato fatto nella replica alle contestazioni e nel
ricorso, che il sovrintendente architetto Mola avesse voluto avo
care a sé la pratica equivale, per un verso, a dare alle parole in italiano un significato della lingua sanscrita (ordine = avo
cazione) e, per altro verso, ad ipotizzare che si intendesse chie
dere alla Pellegrino un coinvolgimento personale nella presa di
posizione dell'ufficio, laddove, viceversa, si trattava unicamen
te di riportare nel parere il contenuto, per altro assai semplice
e piano, delle valutazioni del capo della struttura, al quale sola
mente quelle valutazioni avrebbero potuto fare carico.
È questo il sistema ancora vigente nel pubblico impiego (cfr.
Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 1982, n. 360, id., Rep. 1982,
voce Istruzione pubblica, n. 183), anche quello di tipo profes
sionale, che esattamente viene evidenziato nel parere della com
missione di disciplina sotteso alla sanzione irrogata.
D'altro canto, la stessa struttura, ancora sostanzialmente pi
ramidale, del sistema dell'impiego pubblico, per il suo carattere
generalizzato, copre ogni appunto di presunta dequalificazione — cui si accenna in ricorso — dell'opera dell'architetto: il tito
lare di tale qualifica, per il fatto di dover rispettare — oltre
alle regole professionali — anche l'ordine del superiore, quando
pure non condiviso, non si può ritenere assimilato ad un impie
gato di concetto, proprio per la circostanza di trovarsi inserito
Il Foro Italiano — 1991.
in un complesso impostato sulla responsabilità dei dirigenti (che recenti iniziative governative vogliono d'altro canto accentuare).
Pertanto, il provvedimento non si presta alla censura di aver
mal invocato il principio di gerarchia, non potendosi assecon
dare né la tesi dell'avocazione (della quale si è ripetutamente
detto), né quella secondo cui il principio poteva essere rispetta to semplicemente con la restituzione del fascicolo al superiore; basti pensare, a quest'ultimo proposito, ai gravissimi inconve
nienti cui la già disastrata amministrazione pubblica andrebbe
incontro qualora una prassi di tal genere si dovesse diffondere, anche a volerla limitare ai soli settori delle professioni.
E corretta appare pure, in definitiva, la scelta, non certo con
traddittoria, di far prevalere siffatto principio di gerarchia sulle
argomentazioni rese dalla Pellegrino, pur se giudicate intrinse
camente pregevoli. Il loro valore, in effetti, non poteva e non
può operare da esimente di fronte ad una condotta di ripetuta
(per quattro volte) reiezione nell'accettazione dell'ordine, per
giunta non illegittimo e comunque non impugnato, del superiore.
Queste stesse considerazioni consentono di respingere anche
il secondo e subordinato motivo di gravame, con cui l'interessa
ta adduce un eccesso di sanzione rispetto al comportamento as
sunto, sorretto da questioni di principio, rappresentate, inoltre,
in modo «pregevole». La pregevolezza dello scritto difensivo, invero, e la posizione
a tutela di un principio in cui si era collocata la Pellegrino si
scontrano con un principio ancor più saldo, allo stato del dirit
to organizzativo vigente nella compagine del pubblico impiego
statale, ossia quello in forza del quale nel flusso operativo del
l'azione amministrativa si inseriscono non soltanto le regole ge nerali delle fonti normative, ma anche e, si potrebbe dire, in
prima linea le regole dettate puntualmente dai propri dirigenti.
Queste ultime vengono a costituire, dunque, uno dei contenuti
dei doveri di ufficio. Ed è innegabile che la violazione di tali doveri quando di
accentuata gravità (come è obiettivamente avvenuta nella spe
cie) rappresenta, a sua volta, una delle ragioni per l'applicazio ne proprio di quella sanzione che è stata inflitta, cioè della ridu
zione dello stipendio, comunque irrogata nella minima misura
possibile (1/10 dello stipendio per un solo mese). Per tutte le considerazioni svolte il ricorso deve essere re
spinto.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CALABRIA; sezione di Catanzaro; sentenza 17 aprile 1989,
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CALABRIA; sezione di Catanzaro; sentenza 17 aprile 1989,
n. 578; Pres. Gentile, Est. Salvatore; Comune di S. Sosti
(Avv. Guaglianone) c. Regione Calabria, Cundari (Aw.
Lopera).
Elezioni — Comune con meno di 5.000 abitanti — Consigliere
dimissionario — Diniego di surrogazione — Legittimità (D.p.r. 16 maggio 1960 n. 570, t.u. delle leggi per la composizione
e la elezione delle amministrazioni comunali, art. 2, 8, 36,
55, 75, 76).
È legittima la deliberazione con cui il consiglio di un comune
di meno di cinquemila abitanti nega la surrogazione di un
consigliere dimissionario. (1)
(1) Sul problema della surrogabilità o meno del consigliere di un co
mune con meno di cinquemila abitanti, nel quale le elezioni si svolgono secondo il metodo maggioritario, la giurisprudenza è divisa: nello stes
so senso della non surrogabilità, v., oltre a Tar Calabria 16 ottobre
1989, n. 1352, Trìb. amm. reg., 1989, I, 4545, Cons. Stato, sez. V, 27 giugno 1989, n. 406, Foro it., Rep. 1989, voce Elezioni, n. 106 e
25 maggio 1987, n. 331, id., Rep. 1987, voce cit., n. 140; nonché Tar
Campania, sez. II, 7 luglio 1987, n. 282, ibid., n. 142 e Tar Sardegna 17 marzo 1986, n. 172, id., Rep. 1986, voce Comune, n. 162.
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