Sezione IV; decisione 2 febbraio 1937; Pres. De Vito, P., Est. Ferraris; Milone (Avv. Sciacca) c.Ministero dell'interno e Primo segretario per il Gran magistero dell'ordine dei S.S. Maurizio eLazzaro (Avv. dello Stato)Source: Il Foro Italiano, Vol. 62, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1937),pp. 179/180-181/182Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23131912 .
Accessed: 28/06/2014 18:13
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179 PARTE TERZA 180
che va confermata anche nel caso presente ; tanto più che
il secondo fatto appare dalla stessa inchiesta amministra
tiva rivestito di maggiore gravità in confronto del primo, a proposito del quale l'inquirente medesimo ha posto in rilievo circostanze di ambiente, di luogo, di tempo e di
consuetudine che potevano costituire attenuanti della re
sponsabilità di chi lo aveva commesso nel giudizio che
doveva, su di essa, emettere l'amministrazione. Il ricorso del tenente Iannelli va, per le suesposte
considerazioni, accolto per il secondo motivo ; il che rende
superfluo l'esame degli altri mezzi di gravame. Per quanto riguarda le spese del presente giudizio,
non vi è luogo a pronuncia a carico della pubbl ca am
ministrazione, essendo questa intervenuta investe di pub blica autorità.
Per questi motivi, ecc.
plinarmente contro il tenente lannelli e di prendere nei
suoi confronti un qualsiasi provvedimento disciplinare. Due erano i fatti per i quali il tenente Iannelli fu
deferito al magistrato penale. Egli era imputato : a) di
avere, in concorso con altri due ufficiali, dichiarato in
verbale di avere esaminato e riconosciuto inservibili ma
teriali automobilistici, in effetto mancanti in magazzino, allo scopo di pareggiare differenze di carico verificatesi tra l'Autogruppo e il servizio Genio che li amministrava ;
2°) di avere, sempre in concorso con altri ufficiali, collau
dato altro materiale automobilistico fornito o da fornirsi dalla ditta Marcelli. Il magistrato penale assolse il te nente Iannelli dalla prima imputazione, perchè il fatto
non costituiva reato ; lo assolse dalla seconda, invece,
perchè il fatto non sussisteva, in quanto il collaudo era stato compiuto sulla qualità di materiale effettivamente
consegnato in conto dalla ditta fornitrice e non su tutto
il materiale descritto negli estimativi allegati ai contratti. La inchiesta amministrativa, posteriore alla sentenza pe nale, credette di poter giungere, invece, relativamente al
fatto che formava oggetto della seconda imputazione, a
conclusioni diverse, e la responsabilità discliplinare del tenente Iannelli fu, quindi, valutata e giudicata in rapporto ad entrambi i fatti su ricordati, e non, come avrebbe, invece, dovuto essere, in rapporto al primo di essi sol
tanto. Infatti, come si desume chiaramente dalla sua mo
tivazione, l'atto conclusivo della procedura disciplinare, cioè il regio decreto 24 luglio 1931, col quale, non es sendo stato accettato il verdetto del Consiglio di disci
plina, fu inflitta al ricorrente la punizione della sospen sione dall'impiego per un anno, fu determinato dalla con siderazione dell'un fatto e dell'altro imputati al tenente
Iannelli, sui quali era intervenuta, con diversa formula terminativa di assoluzione, la decisione del giudice penale, che è stata richiamata anche nelle premesse del decreto stesso. Ciò posto, la censura contenuta nel secondo mo
tivo del ricorso non può essere attesa nel modo ampio con cui è stata formulata, in quanto l'assoluzione della
prima imputazione per inesistenza di reato non poteva
precludere una valutazione, in sede e agli effetti discipli nari, del fatto che la sentenza penale non aveva escluso, appare indubbiamente fondata per quanto ha tratto alla seconda imputazione, perchè, escluso il fatto dal magi strato penale, non era più ammissibile, in sede ammini strativa e disciplinare, indagine sulla sussistenza di esso, nè, essendo stato dichiarato in sede penale che l'ufficiale non l'aveva commesso, poteva questi essere chiamato a
rispondere disciplinarmente e, tanto meno, essere per quel fatto, punito.
Il decreto impugnato appare, perciò, viziato di ille
gittimità. E non potrebbe opporsi a tale conclusione che la irrogazione della pena della sospensione dall'impiego, costituendo una facoltà discrezionale del Ministero, può essere da questo fatta direttamente, e, quindi, all'infuori di precostituiti accertamenti ; perchè tale assunto non è fondato nè in diritto nè in fatto : non in diritto, perchè l'articolo 617 del regolamento di disciplina 24 giugno 1929
prescrive, invece, che anche la sospensione dall'impiego può essere disposta soltanto previi regolari accertamenti secondo le disposizioni della legge sullo stato degli uffi
ciali, cioè in seguito ad inchiesta, e accertamenti in sede amministrativa sulla esistenza di un fatto esclusa da sen tenza penale non erano consentiti ; non in fatto, perchè, come si è già rilevato, il provvedimento, in effetti è stato
preso avendo presente le conclusioni alle quali, circa i fatti imputati al ricorrente, era pervenuto il generale in
quirente. Nè, d'altra parte, sarebbe possibile opporre che il provvedimento di cui trattasi possa rimanere ugualmente fermo, in quanto è certo che l'ufficiale per il primo fatto
poteva essere disciplinarmente perseguito e punito ; perchè è ovvio che, posto che anche il secondo fatto fu insieme al primo preso in considerazione, non è possibile cono scere se e fino a qual punto la valutazione di esso abbia influito sulla determinazione del grado di responsabilità del ricorrente e della misura della relativa sanzione. In
tal senso è la costante giurisprudenza di questo Collegio,
CONSIGLIO DI STATO.
Sezione IV ; decisione 2 febbraio 1937 ; Pres. De Vito,
P., Est. Ferraris ; Milone (Avv. Sciacca) c. Mini
stero dell'interno e Primo segretario per il Gran ma
gistero dell'ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro (Avv. dello Stato).
'l'itoli cavallereschi — Onorificenze — Concessioni — It evo va — Ricorso giurisdizionale — Inam
missibilità. (T. u. 26 giugno 1924, n. 1054, sul Con
siglio di Stato, art. 26 ; Statuto del Regno, art. 78 ; r. d. 29 novembre 1928, n. 2198 costitutivo della Com
missione per la revoca delle onorificenze dei S.S. Mau
rizi e Lazzaro, art. 1).
L'atto di revoca di una onorificenza cavalleresca è, come
quello di conferimento, atto di prerogativa regia, e, come tale, non è atto amministrativo soggetto al sin
dacato di legittimità del Consiglio di Stato. (1)
La Sezione, ecc. (Omissis) — Considerato che i ri
corsi, per la identità dell'oggetto e delle doglianze, pos sono essere riuniti.
Che, però, essi sono da dichiararsi inammissibili.
La materia delle onorificenze è contemplata dall'arti colo 78 dello statuto fondamentale del Regno sotto il ca
pitolo «disposizioni generali», all'infuori, cioè, di tutte
le disposizioni che disciplinano l'esercizio dei poteri dello
Stato e particolarmente di quello esecutivo da cui proma nano gli « atti amministrativi » .
Il Re agisce, in materia di onorificenze, non come or
gano dello Stato, ma in nome proprio per prerogativa della Corona, come avviene in materia di titoli nobiliari,
disciplinata nell'identico capo dello Statuto, e per la quale è fuori di discussione che i relativi provvedimenti, non
costituendo atti amministrativi, sfuggano al sindacato giu risdizionale.
Il Re emette, infatti, i provvedimenti di concessione
e di revoca delle onorificenze nella sua speciale veste di
Gran Maestro degli Ordini cavallereschi, e non può far
variare la natura dell'atto emesso in tale qualità la con
trofirma dei Ministri che questo possa avere, formalità
che non ha alcuna analogia colla ragione sostanziale della
controfirma sugli atti di governo, tanto vero che, nella
specie stessa in esame, il decreto di revoca della nomina
a Commendatore del ricorrente è semplicemente contro firmato dal Primo Segretario per il Gran Magistero del l'Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro, Cancelliere dell'Or
dine della Corona d'Italia. La difesa del ricorrente, nella memoria presentata alla
pubblica udienza, ha ammesso che l'atto di concessione
delle onorificenze è « atto indiscutibilmente sottratto a
qualsiasi controllo» ; ma sostiene, invece, che è atto di verso quello di revoca delle onorificenze, in quanto il Re,
(1) Non ci risultano precisi precedenti editi.
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181 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 182
I in questo caso, avrebbe autolimitato i suoi poteri attra
verso una speciale Commissione e particolari procedure che ricadrebbero sotto il sindacato di legittimità.
Se non che il Collegio non può attendere a tale di stinzione. E' l'essenza dell'atto quella che ne costituisce
la natura. Poiché la materia delle onorificenze attiene al l'esercizio di una prerogativa Sovrana e non a quello del
potere esecutivo, tutti gli atti che da quell'esercizio proma nano non possono aver veste nè carattere di « atti am ministrativi », e sono tutti sottratti al sindacato giurisdi zionale.
Argomento decisivo, d'altra parte, contro la tesi del
ricorrente, è offerto dallo stesso regio decreto 28 gennaio 1929, n. 181, che fissa le norme per il funzionamento della Commissione per l'esame delle proposte di revoca delle onorificenze, e che nelle premesse precisa che esse sono emanate in virtù delle Sovrane prerogative.
La istituzione della Commissione e le relative proce dure non sono da considerarsi autolimitazioni di questo potere Sovrano nell'intento di tutelare un interesse che colla concessione della onorificenza sia sorto nel decorato, ma, come si legge nel regio decreto 29 novembre 1928, n. 2198, nell'intento che l'esame degli eventuali casi di revoca e la procedura dei relativi provvedimenti si effet tuino colla maggiore sollecitudine, in modo- da conferire ai provvedimenti stessi la dovuta importanza « per il de coro ed il prestigio degli ordini cavallereschi » per la
pronta applicazione delle sanzioni prescritte per le inde
gnità che risultassero a carico dei decorati. E', quindi, l'interesse dell'Ordine, anziché quello del decorato, che si è inteso di tutelare colle procedure di revoca le quali, in sostanza, possono trovare la loro correlazione nelle pro cedure che precedono la concessione delle onorificenze, procedure che hanno appunto l'intento di assicurare il Sovrano che i decorandi hanno certo titolo e requisiti morali -necessari per meritare la onorifica distinzione.
Considerato che, per le suesposte ragioni, non può il
Collegio scendere all'esame del merito del ricorso. Che vi sono ragioni per dichiarare il compenso delle
spese. Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO.
Sezione 17 ; decisione 13 gennaio 1937 ; Pres. De Vito, P., Est. Rocco ; Pesta (Avv. Sinibaldo) c. Mini stero delle finanze (Avv. Capassi).
Impiegato governativo — Aspettativa — Periodi —
Durata (R. d. 30 dicembre 1923, n. 2960 sullo stato
giuridico degli impiegati civili dello Stato, art. 84 e 85).
Il prolungamento eccezion ale del periodo di aspettativa e la concessione eccezionale di mi nuovo periodo con sentono di superare i limiti normali massimi di cia scun periodo di aspettativa e dei periodi di aspettativa che si possono avere nel quinquennio rispettivamente ad un anno e mezzo e due anni e mezzo : ma non hanno come effetto quello li elevare a due anni e mezzo il limite di ciascun periodo di aspettativa (1).
La Sezione, ecc. (Omissis). — Attesoché l'interpreta
zione che il ricorrente da agli articoli 84 e 85 del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2960, non si ravvisa fon
data, a giudizio del Collegio, pur riconoscendosi che le anzidette norme, non troppo felicemente formulate, richie dono un attento esame per l'esatta loro comprensione.
E' da premettere che l'art. 84 prevede due distinti limiti massimi di durata dell'aspettativa, entrambi, in via
normale, rispettivamente, non superabili, e, cioè, il limite
(1) Non ci risultano precisi precedenti editi, Vedi in pro posito : Petrozziello, Il rapporto di pubblico impiego, Soc. ed.libr., pag. 834.
di un anno (comma 1° e 2°) per ogni singolo periodo di
aspettativa, e quello di due anni (comma ult.) per più
periodi di aspettativa entro il quinquennio. Lo stesso ar ticolo ha cura di precisare (comma 3°) che la legge, ai fini della determinazione della durata massima, consi
dera come unico i periodi di aspettativa interrotti da pe riodo di servizio non superiore a tre mesi, e che, se il servizio intermedio sia superiore a tre mesi, ma non a sei, la durata massima del secondo periodo di aspettativa, della
stessa natura della prima, non può protrarsi oltre i sei
mesi (comma 4"). L'art. 85 prevede (comma 2°) il prolungamento ecce
zionale non oltre sei mesi di ciascun periodo di aspetta
tiva, e la concessione, pure eccezionale, e sempre non oltre i sei mesi (comma 3U), di un nuovo periodo di aspetta tiva nel quinquennio al funzionario che abbia già fruito
di periodi di aspettativa sino al limite massimo dei due anni.
La concessione eccezionale, pertanto, dei sei mesi eleva
cosi, rispettivamente, ad un anno e mezzo e a due anni
e mezzo i limiti massimi stabiliti, come normali, dal pre cedente articolo 84 per ciascun periodo di aspettativa e
per la durata complessiva dell'aspettativa. Il ricorrente, confondendo i due limiti massimi, vorrebbe invece che il
singolo periodo di aspettativa potesse protrarsi a due anni
e mezzo. Con tale interpretazione, si porrebbero nella
stessa condizione coloro i quali sono stati assenti dall'uf
ficio continuativamente (o con brevissime interruzioni) e
coloro i quali a più riprese nello spazio d' cinque anni si
sono dovuti assentare, mentre la legge, come risulta chiaro dall'art. 84, e come è giusto, ha voluto a quest'ultimi usare maggiore larghezza.
Né ha valore l'argomento di interpretazione letterale
addotto dal ricorrente, e, cioè, il richiamo al limite di
cui all'ultimo comma dell'art. 84 (durata complessiva di
due anni di più periodi di aspetiativa), contenuto al 2°
comma dell'art. 85. Tale richiamo significa solo che il
prolungamento eccezionale per sei mesi di un periodo sin
golo di aspettativa oltre la durata normale massima di un
anno, può far eccedere anche la durata complessiva mas
sima di due anni nel quinquennio di più periodi di aspet tativa.
Attesoché il Collegio non ritiene di accedere neppure alla tesi del ricorso formulata con il motivo aggiunto.
La dispensa dal servizio per scadenza dei termini mas simi di aspettativa per motivi di salute dell'impiegato che risulti inabile opera meccanicamente quasi di diritto, in modo del tutto simile e parallelo alla dichiarazione di di missioni d'ufficio dell'impiegato che, allo scadere del
l'aspettatila, non risulti inabile e non riprenda servizio. La prima forma di dispensa dal servizio costituisce un
vantaggio per l'impiegato di fronte alla dichiarazione di dimissioni d'ufficio, e sarebbe illogico richiedere per essa una garanzia (parere del Consiglio di amministrazione) che
per quest'ultima la legge non prescrive. Attesoché vi sono ragioni per compensare le spese del
giudizio tra le parti. Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO.
Sezione Y ; decisione 27 gennaio 1937 ; Pres. Savini
Nicci, f.f., Est. De Marco ; Congregazione di carità di Guardiagrele (Avv. Vitocolonna, Pietrantoni) c. Gattono (Avv. Cristini, D'Alessio).
Impiegalo pubblico —- Rapporto di pubblico im
piego — Nomina irregolare — Esistenza di fatto del rapporto — Ammissibilità.
Impiegato pubblico — Nomina irregolare — Rap porto di latto !— Licenziamento per motivi di
sciplinari — Successiva contestazione degli ad debiti — Illegittimità, — Mancata richiesta delle contestazioni da parte dell'Interessato — Prece
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