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sezione IV; decisione 22 febbraio 1994, n. 159; Pres. Pezzana, Est. Maruotti; Soc. Alicentro 1(Avv. Chiappetti, Recca, Scozzafava) c. Comune di Roma (Avv. Martis) e altri. Conferma TarLazio, sez. I, 16 novembre 1991, n. 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1994),pp. 499/500-509/510Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188401 .
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PARTE TERZA
mazione di genericità dei giudizi, che risultano, in verità, privi di elementi obiettivi e di riferimento alle categorie (pubblicazio
ni e ricerca) in cui il bando di concorso suddivideva i titoli. 4. - Occorre ora procedere all'esame dell'appello incidentale
e dei motivi assorbiti in primo grado, che l'appellato formula
e ripropone in forma non condizionata.
4.1. - Non è fondato il primo motivo dell'appello incidentale,
con cui si ripropone il primo motivo del ricorso di primo grado.
Bene ha ritenuto il Tar che la posizione dei soggetti designati
interessati fosse legittimata per il prof. Labruna dalla sua auto
noma nomina da parte del consiglio di presidenza, per il prof.
Di Federico dal fatto di partecipare alla seduta dell'organo in
rappresentanza del ministero dell'università e della ricerca scien
tifica e tecnologica con voto meramente consultivo e per il dr.
Ragona dal fatto di essersi allontanato dalla sala al momento
della deliberazione (nessuna querela di falso è stata proposta nei confronti del relativo verbale).
4.2. - Infondato è anche il secondo motivo, in quanto la qua lità di esperto di diritto pubblico del prof. Amorosino, designa
to e poi nominato come componente della commissione giudi
catrice, costituiva requisito sufficiente in relazione all'area di
sciplinare cui si riferiva il concorso.
5. - Infondato è il sesto motivo del ricorso di primo grado,
in quanto il fatto che la commissione giudicatrice nella seduta
del 26 febbraio 1991 abbia in via preliminare, prima ancora
di procedere all'esame della posizione dei singoli candidati, rite
nuto preclusa la valutazione di una pubblicazione scritta dalla
dott. Mestitz in collaborazione con il prof. Di Federico, se rap
presenta ulteriore sintomo della situazione di incompatibilità di
cui si è detto sub 2, non costituisce di per sé causa di illegittimi tà delle operazioni concorsuali.
6. - Fondato è, invece, il settimo motivo di primo grado,
con cui il ricorrente lamentava il mancato controllo da parte
della commissione giudicatrice del possesso dei titoli dei candi
dati alla data (1° febbraio 1990) di scadenza del termine di pre
sentazione delle domande di concorso in relazione al volume
«Selezione e formazione professionale dei magistrati ed avvoca
ti in Francia» della dott. Mestitz.
Va innanzitutto escluso che la commissione non abbia valuta
to tale pubblicazione, come dedotto dall'interveniente: vero è
che essa non è nominativamente indicata, ma la menzione nel
giudizio, oltre che genericamente alle «analisi comparate dei pro cessi di formazione delle professioni legali», alla «ampia ricerca
che la candidata ha condotto in Francia» (verbale n. 4) non
può che riferirsi ad essa, essendo l'unica delle pubblicazioni pro dotte concernente specificamente ed esclusivamente la Francia.
Vero è, altresì, che, ai sensi dell'art. 7 del bando di concorso,
erano comprese tra le pubblicazioni valutabili anche le «note
interne», ma è altresì' vero che l'opera in esame non ne possede va i requisiti né di sostanza né di forma, essendo destinata ab
origine alla stampa per il pubblico, non a relazione di servizio, e dovendo quindi seguire il regime giuridico delle pubblicazioni a stampa.
Al riguardo delle pubblicazioni a stampa, la giurisprudenza di questo consiglio ha costantemente avvertito che nei concorsi
a pubblico impiego non si può tener conto, per esigenze di con
trollo dell'opinione pubblica, di studi e monografie presentati in dattilorafia, anziché stampati (sez. V 2 marzo 1937, n. 235,
id., Rep. 1937, voce cit., n. 55; sez. IV 30 maggio 1962, n.
391, id., Rep. 1962, voce cit., n. 82; sez. VI 16 febbraio 1968, n. 101, id., Rep. 1968, voce Concorso ad un impiego, n. 66).
Nella specie, come risulta dal curriculum della dott. Mestitz
e dal fascicolo del Cnr, alla data di scadenza del termine di
presentazione delle domande la citata pubblicazione era allo stato
di dattiloscritto e come tale era stata prodotta dalla canditata, sicché non era valutabile dalla commissione.
7. - Infondato è il settimo motivo, in quanto la votazione
del 10 maggio 1991 in ordine ai vincitori del concorso era la
conseguenza della comparazione di giudizi compiuta ed il pre
supposto della formale proposta, che sarebbe stata successiva
mente esternata di seguito alla relazione analitica per l'ammini
strazione e non determinava, pertanto, inosservanza invalidante dell'ordine degli atti del procedimento.
8. - Fondato è, invece, il decimo dei motivi di primo grado, nella parte cui si lamenta l'indebita valutazione in favore della dott. Mestitz delle pubblicazioni concernenti la fisica dell'atmo sfera: la loro mancata espressa esclusione dalla valutazione e
Il Foro Italiano — 1994.
l'enunciato «pienamente valutabili», riferito alle altre pubblica
zioni della candidata, lascia intendere, infatti, che anche le pub
blicazioni di fisica dell'atmosfera, pur essendo completamente
estranee all'area disciplinare del concorso, fossero state in qual
che modo valutate.
Il profilo dell'erronea valutazione in favore della dott. Me
stitz della partecipazione a commissioni non inserite nel curricu
lum è inammissibile perché proposto per la prima volta in ap
pello, mentre in primo grado si faceva questione della pertinen
za di detti titoli. Restano invece assorbite dal rigetto del secondo motivo d'ap
pello, concernente la genericità della totalità dei giudizi valuta
tivi, le censure concernenti i giudizi del dott. Ragona e del ri
corrente dott. Fameli.
Per le suesposte considerazioni, gli appelli principali e quelli
incidentali vanno respinti, mentre vanno accolti, nei sensi e nei
limiti suesposti, i motivi settimo e decimo del ricorso di primo
grado. Le domande incidentali di sospensione dell'esecuzione della
sentenza appellata restano conseguentemente assorbite.
I
CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; decisione 22 febbraio 1994,
n. 159; Pres. Pezzana, Est. Maruotti; Soc. Alicentro 1 (Aw.
Chiappetti, Recca, Scozzafava) c. Comune di Roma (Avv.
Martis) e altri. Conferma Tar Lazio, sez. I, 16 novembre
1991, n. 1985.
Edilizia e urbanistica — Vincoli di inedificabilità da strumenti
urbanistici — Durata quinquennale — Reiterazione del vinco
lo senza indennizzo — Durata comunque limitata nel tempo — Questioni manifestamente infondate di costituzionalità
(Cost., art. 42; 1. 17 agosto 1942 n. 1150, legge urbanistica, art. 7; 1. 19 novembre 1968 n. 1187, modifiche e integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, art. 2; 1. 28
gennaio 1977 n. 10, norme per l'edificabilità dei suoli, art.
4; 1. reg. Lazio 24 novembre 1990 n. 86, modifiche ed inte
grazioni della 1. reg. 6 luglio 1977 n. 24, concernente misure
di salvaguardia in materia urbanistica. Ecologia, art. 14). Edilizia e urbanistica — Vincoli di inedificabilità da strumenti
urbanistici — Scadenza — Reiterazione del vincolo — Moti
vazione specifica — Necessità (L. 19 novembre 1968 n. 1187, art. 2).
Sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costi
tuzionale dell'art. 2 l. 19 novembre 1968 n. 1187, nella parte in cui consente la reiterazione dei vincoli di inedificabilità preor dinati all'esproprio senza indennizzo, e degli art. 4, ultimo
comma, lett. b), l. 28 gennaio 1977 n. 10 e 1 l. reg. Lazio 24 novembre 1990 n. 86, nella parte in cui equiparano il regi me giuridico delle aree sottoposte a vincoli decaduti a quello concernente le aree sprovviste di pianificazione urbanistica, in riferimento all'art. 42 Cost., essendo comunque assicurata
al privato la tutela dell'interesse legittimo in correlazione al
l'esercizio del potere di pianificazione che si concreta nell'ap
posizione dei vincoli. (1)
(1) Sulle questioni di legittimità costituzionale del sistema di reitera zione dei vincoli di inedificabilità, vedi, riassuntivamente, la nota di richiami a Corte cost. 23 aprile 1993, nn. 185 e 186, Foro it., 1993, 1, 1748, nonché gli ulteriori contributi di Traina, Ancora inammissibili le questioni di costituzionalità dei vincoli urbanistici, in Giur. costit., 1993, I, 1285; M. A. Sanduili, Reiterazione dei vincoli espropriativi e tutela risarcitoria, in Riv. giur. edilizia, 1993, II, 127; Volpe, Consi derazioni sulla tutela dello «ius aedificandi», in Regioni, 1994, 222.
L'insufficienza del meccanismo di tutela del privato, in riferimento
all'ipotesi di inerzia amministrativa nel potere di ripianificazione nei
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Qualora, per decorso del quinquennio previsto dall'art. 2 l. 19
novembre 1968 n. 1187, sia venuto meno un vincolo preordi nato all'espropriazione, l'amministrazione pubblica che vo
glia reiterarlo, incidendo sulla sfera giuridica di un privato che già per un quinquennio è stato titolare di un bene suscet
tibile di espropriazione, deve evidenziare l'attualità dell'inte
resse pubblico da soddisfare (nella specie, si è ritenuta la le
gittimità della scelta reiterativa del comune di Roma in rela
zione a tutti i vincoli scaduti, entro e fuori il centro abitato, motivata con valutazione globale e complessiva ed uniformità delle determinazioni assunte nei confronti delle aree già in
precedenza ritenute idonee a soddisfare interessi pubblici). (2)
II
CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; decisione 17 gennaio 1994, n. 26; Pres. Paleologo, Est. Barb agallo; Soc. Chini (Avv.
Morbidelu) c. Comune di Firenze (Aw. Visciola). Confer ma Tar Toscana, sez. I, 13 aprile 1990, n. 329.
Edilizia e urbanistica — Vincoli di inedificabilità da strumenti
urbanistici — Decorso del quinquennio — Ripianificazione del territorio — Conferimento di incarichi professionali —
Silenzio rifiuto — Insussistenza (L. 17 agosto 1942 n. 1150,
art. 7, 40; 1. 19 novembre 1968 n. 1187, art. 2). Edilizia e urbanistica — Vincoli di inedificabilità da strumenti
urbanistici — Scadenza — Reiterazione del vincolo — Condi
zioni — Motivazione specifica — Necessità (L. 19 dicembre
1968 n. 1187, art. 2; 1. 3 gennaio 1978 n. 1, accelerazione
delle procedure per la esecuzione di opere pubbliche e di im
pianti industriali, art. 1).
Non è configurabile il silenzio rifiuto a esercitare il potere di
ripianificazione dopo la scadenza del vincolo di inedificabili tà, ove, successivamente alla diffida del privato proprietario dell'area già vincolata, l'amministrazione abbia conferito in
centri abitati (art. 4, ultimo comma, lett. b, 1. 10/77), riguardo all'eser
cizio del quale è titolare di un interesse legittimo (Cass. 15 ottobre 1992, n. 11257, Foro it., 1993, 1, 2979, con nota di richiami; Tar Puglia, sez. II, 6 dicembre 1993, n. 807, Trib. amm. reg., 1994, 814; Tar Lom
bardia, sez. II, 22 febbraio 1994, n. 44, ibid., 1404), ha costituito og
getto specifico della pronuncia 185/93 della Corte costituzionale, che
ha rimesso alla discrezionalità del legislatore la previsione di rimedi più incisivi. Non sembra comunque privo di interesse l'inciso, contenuto
nella parte motiva della decisione in epigrafe, che esemplifica l'illegitti mità del comportamento amministrativo nel caso di sistematica reitera
zione del vincolo preordinato all'esproprio, qualora «dalla complessiva condotta della pubblica amministrazione possa trarsi la convinzione che
non vi è un effettivo interesse pubblico da tutelare e che l'atto reiterati
vo non è conforme ai canoni di razionalità e di giustizia».
(2, 4-5) L'obbligo di motivazione alla reiterazione del vincolo di ine
dificabilità scaduto è applicazione del principio generale per cui se è vero che le scelte urbanistiche non comportano la necessità di motiva
zione in rapporto alle aspettative dei privati, neppure ove intervenga una variante sulla base di una diversa valutazione dell'interesse pubbli
co, una specifica motivazione s'impone ove particolari situazioni abbia
no creato l'affidamento dei privati per via di aspettative qualificate (ve
di, a tal proposito Tar Lazio, sez. I, 28 luglio 1993, n. 1219, in questo
fascicolo, III, 533, nonché Cons. Stato, sez. IV, 13 luglio 1993, n. 711, Foro it., 1994, III, 290, con nota di richiami).
La persistente problematicità nella individuazione del limite alla com
pressione del diritto di proprietà, oltre il quale la protrazione del regime di inedificabilità viene ad integrare una sostanziale espropriazione, e
la totale assenza di indicazioni per la fissazione di un indennizzo ove
quel limite sia oltrepassato, inducono, per ora, la giurisprudenza ammi
nistrativa ad un severo vaglio delle motivazioni per cui l'amministrazio
ne procede, volta per volta, alla reiterazione del vincolo. Si possono
enucleare, a tal proposito, alcuni principi fondamentali: — va premesso che il regime giuridico dell'area già interessata da
vincolo di inedificabilità scaduto, corrisponde alla disciplina formulata
per i comuni sprovvisti di piano regolatore dall'art. 4, ultimo comma,
1. 10/77 (il quale, in pratica, vanifica le aspettative del privato ad una
riespansione dello ius aedificandi): in tal senso Cons. Stato, sez. V, 22 ottobre 1992, n. 1058 e 3 ottobre 1992, n. 924, id., 1993, III, 338,
con nota di richiami, ed anche Tar Piemonte, sez. I, 20 gennaio 1994,
n. 1, Trib. amm. reg., 1994, 1036; Tar Lombardia, sez. Brescia, 18
Il Foro Italiano — 1994.
carichi professionali per la stesura di una variante di integra zione al piano regolatore. (3)
Posto che la possibilità di rinnovare il vincolo preordinato all'e
spropriazione, che è estrinsecazione della potestà pianificato
ria, incontra il limite della garanzia della proprietà, nel senso
che la reiterazione non deve tradursi in un vincolo a tempo indeterminato senza previsione di indennizzo, il controllo sul
rispetto di tale limite si attua attraverso la verifica della moti
vazione, che deve essere tanto più dettagliata e concreta, quante
più volte viene ripetuta la reiterazione del vincolo (nella spe
cie, si è ritenuto che la variante allo strumento urbanistico, contestuale all'approvazione del progetto di opera pubblica,
soddisfa in linea di principio l'esigenza di motivazione, equi valendo a dichiarazione di pubblica utilità dell'opera da rea
lizzare sul fondo con vincolo reiterato). (4)
III
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA; sezione di Brescia; sentenza 2 settembre 1993, n. 716; Pres. Ingrassia, Est. Rocco; Camozzi De Gherardi
Verona (Avv. Ciriello) c. Comune Costa di Mezzate (Aw.
Daminelli) e altro.
Edilizia e urbanistica — Vincoli di inedificabilità da strumenti
urbanistici — Scadenza — Reiterazione del vincolo — Neces
sità di rigorosa motivazione — Controdeduzioni alle osserva
zioni di privati — Insufficienza (L. 17 agosto 1942 n. 1150, art. 9; 1. 19 novembre 1968 n. 1187, art. 2).
È illegittima la previsione di un nuovo piano regolatore che rei
teri un vincolo di inedificabilità scaduto, senza darne rigoro sa motivazione, non essendo sufficienti a tale scopo le con
trodeduzioni formulate in pendenza dell'approvazione del nuo
vo piano, che costituiscono adempimenti tardivi inidonei a
sanare la carenza del provvedimento deliberato dal consiglio comunale. (5)
febbraio 1994, n. 44, ibid., 1420; Tar Lazio, sez. Il, 4 maggio 1994, n. 577, ibid., 1753;
— la motivazione (di cui costantemente si richiede l'adeguatezza ed
il carattere espresso: vedi, di recente, Cons. Stato, sez. IV, 14 dicembre
1993, n. 1069, Riv. giur. edilizia, 1994, I, 323) deve dar conto delle
specifiche ragioni per cui l'interesse pubblico (alla protrazione del vin
colò) prevale sugli interessi privati nella specie in conflitto, o comunque
prestare considerazione per questi ultimi (Cons. Stato, sez. IV, 3 mag
gio 1990, n. 330, Foro it., Rep. 1990, voce Edilizia e urbanistica, n.
155; Tar Lombardia, sez. Ili, 3 novembre 1993, n. 922, Trib. amm.
reg., 1994, 123; Tar Lombardia, sez. Brescia, 3 novembre 1993, n. 922,
ibid., 139; Tar Emilia-Romagna, sez. I, 10 novembre 1993, n. 544, ibid.,
194; Tar Lazio, sez. II, 1° febbraio 1994, n. 108, ibid., 1000; Tar Lom
bardia, sez. I, 1° aprile 1994, n. 257, ibid., 1852); — sulla considerazione dell'interesse privato (ulteriormente) compresso
dalla reiterazione del vincolo, si riscontra una qualche variabilità di giu dizio, poiché alla ritenuta sufficienza di valutazione globale degli inte ressi coinvolti in rapporto all'interesse generale, contenuta nella prima decisione in epigrafe (cfr., sostanzialmente, Tar Valle d'Aosta 28 set
tembre 1992, n. 105, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 276) — la portata del decisum non è da poco, riguardando tutti i vincoli scaduti dentro
e fuori il centro urbano di Roma (ma la decisione non è definitiva e, relativamente ad aspetti specifici riguardanti aree determinate, ordina
incombenti istruttori: non manca inoltre il monito, da parte del Consi
glio di Stato all'amministrazione, sulla necessità, alla scadenza del pros simo quinquennio, «di una concreta e seria istruttoria, motivando ade
guatamente gli eventuali ulteriori rinnovi dei vincoli; e in sede di una
nuova eventuale rinnovazione potranno esser riconsiderate le eccezioni
di incostituzionalità in questa sede ritenute manifestamente infondate») — si richiede dimostrazione sulla insussistenza di una valida alternativa — con reperimento di diverse aree — alla reiterazione del vincolo (Tar Marche 10 maggio 1991, n. 243, id., Rep. 1992 voce cit., n. 55 e Tar
Lombardia, sez. II, 27 febbraio 1987, n. 19, id., Rep. 1987, voce cit.,
n. 181), ritenendosi preferibili soluzioni idonee a distribuire il sacrificio
tra più soggetti (Tar Lazio, sez. I, 6 aprile 1994, n. 517, Trib. amm.
reg., 1994, 1693, secondo cui, di fronte alla legittima aspettativa del
privato ad ottenere, dopo la decadenza del vincolo, una destinazione
non espropriativa confacente alle oggettive caratteristiche dell'area, la
motivazione di rinnovo del vincolo deve dar conto della serietà ed affi
dabilità della prescrizione in termini di realizzabilità nel prossimo quin
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PARTE TERZA
I
Diritto. — (Omissis). I motivi proposti dalle appellanti pos sono essere trattati congiuntamente, per la loro evidente con
nessione.
Per quanto riguarda le doglianze con cui è dedotta l'incosti tuzionalità dell'art. 2 1. n. 1187 del 1968, nella parte in cui con
sente la reiterazione dei vincoli senza indennizzo, rileva la sezio
ne che le relative questioni sono manifestamente infondate.
Come ha osservato la Corte costituzionale con la sentenza
22 dicembre 1989, n. 575 (Foro it., 1990, I, 1130): — «è propria della potestà pianificatoria la possibilità di rin
novare illimitatamente nel tempo i vincoli su beni individuati,
purché risulti adeguatamente motivata in relazione alle effettive
esigenze urbanistiche. Tale possibilità, tuttavia, darebbe luogo ad un sistema non conforme ai principi affermati nella sentenza
n. 55 del 1968 (id., 1968, I, 1361), qualora il vincolo venga
protratto a tempo indeterminato senza la previsione di in
dennizzo»; — «i due requisiti della temporaneità e della indennizzabilità
sono tra loro alternativi, per cui l'indeterminatezza temporale dei vincoli, resa possibile dalla potestà di reiterarli indefinita
mente nel tempo anche se con diversa destinazione o con altri
mezzi, è costituzionalmente legittima a condizione che l'eserci zio di detta potestà non determini situazioni incompatibili con
la garanzia della proprietà, secondo i principi affermati nelle
sentenze n. 6 del 1966 (id., 1966, I, 203) e n. 55 del 1968, cit.».
9.2. - Al riguardo, osserva il Consiglio di Stato che la confor
mità all'art. 42 Cost, della norma, nella parte in cui non preve de un indennizzo, è evidenziata proprio dalla durata quinquen nale dei vincoli preordinati all'esproprio (e di quelli che comun
que precludono l'utilizzazione del bene da parte del suo titolare: sul punto basta richiamare la decisione n. 1068 del 1993 di que sta sezione, che ha rilevato come non si applichi l'art. 2 1. n.
1187 del 1968 in relazione ai vincoli di inedificabilità che con sentono al titolare del bene di utilizzarlo).
Dalle sentenze n. 6 del 1966, cit., n. 55 del 1968, cit., n.
82 del 1982 (id., 1982, I, 2118), e n. 575 del 1989, cit., della Corte costituzionale, si evince che il legislatore ha piena discre
zionalità nella scelta tra i seguenti sistemi:
a) o la legge attribuisce all'autorità urbanistica il potere di
apporre un vincolo preordinato all'esproprio (ovvero preclusivo dell'utilizzazione da parte del proprietario), avente durata illi
mitata nel tempo, ma allora deve essere previsto un (congruo) indennizzo per il proprietario;
ti) oppure la legge attribuisce un potere di apporre i descritti vincoli sulla proprietà privata, di durata temporanea, ed allora la legge può non prevedere alcun indennizzo per la temporanea negativa incidenza sulla proprietà.
Come è noto, con l'art. 2 1. n. 1187 del 1968, il legislatore (anche al fine di non gravare la finanza pubblica di pesanti one ri patrimoniali) ha discrezionalmente scelto il sistema descritto nella riportata lettera b).
La tutela del privato in ordine alla riproposizione del vincolo
temporaneo scaduto è dunque assicurata dalla tutela che l'ordi namento prevede per l'interesse legittimo di cui è titolare, in
quennio). Sulla stessa linea appare attestata la seconda decisione in epi grafe, la quale richiede un grado maggiore di dettaglio e concretezza, quanto più frequente è la reiterazione del vincolo;
— a proposito della motivazione insita nella variante contestuale al l'approvazione del progetto di opera pubblica, ritenuta sufficiente dalla seconda decisione in epigrafe sul presupposto della efficacia della relati va delibera, come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e ur genza dell'opera (secondo Tar Lombardia, sez. II, 27 febbraio 1987, n. 23 Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 179, il ricorso alla procedura di cui all'art. 1 1. 1/78 non esime dal dare contezza di congrue ragioni giustificative della reiterata limitazione della proprietà privata), si è ri tenuto che la delibera deve comunque esser sottoposta ad approvazione regionale, per il combinato disposto degli art. 1, 5° comma, 1. 1/78 e 6 ss. 1. 18 aprile 1962 n. 167 (Cons. Stato, sez. IV, 28 maggio 1987, n. 317, id., Rep. 1988, voce cit., n. 182, e Riv. giur. urbanistica, 1988, 69; con nota di Bergonzini; 9 febbraio 1987, n. 78, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 238).
(3) Cfr. Tar Toscana, sez. II, 17 luglio 1989, n. 719, Foro it., Rep. 1990, voce Edilizia e urbanistica, n. 167, e Riv. giur. edilizia, 1989, I, 943, con nota di Parisio.
Il Foro Italiano — 1994.
correlazione con il potere di pianificazione che si concreta nei
provvedimenti di apposizione dei vincoli (sez. un. 15 ottobre
1992, n. 11257, id., 1993, I, 2879). In altri termini, il proprietario dell'area oggetto della ripro
posizione del vincolo preordinato all'esproprio non è titolare
di un diritto soggettivo, né con riferimento alla pretesa di con
seguire un indennizzo, né con riferimento alla pretesa di conte
stare la riapposizione del vincolo in quanto tale.
Egli è titolare di un interesse legittimo e può adire il giudice amministrativo, in sede di giurisdizione di legittimità, il quale
può verificare se il provvedimento di reiterazione del vincolo
si pone in contrasto con le leggi o è affetto da eccesso di potere. 9.3. - Va altresì rilevato che non sussiste un diritto all'inden
nizzo, bensì un interesse legittimo (correlativo all'esistenza del
potere di pianificazione) anche quando il vincolo è decaduto
per decorso del quinquennio e l'autorità urbanistica omette di
esercitare i propri poteri di ripianificazione: il proprietario ben
può evidenziare il silenzio inadempimento dell'amministrazione ed adire il giudice amministrativo (vantando un interesse di na tura pretensiva), ma non ha titolo a conseguire l'indennizzo.
9.3.1. - Sotto tale aspetto, va osservato che il diritto all'in
dennizzo non sussiste neppure nell'ipotesi limite, in cui la sca
denza del vincolo preordinato all'esproprio riguarda un'area si
ta all'interno del centro abitato, sulla quale non possono essere realizzati edifici abitativi o altri manufatti che importino l'alte
razione dello stato dei luoghi, ai sensi dell'art. 4, ultimo com
ma, lett. b), 1. n. 10 del 1977.
Invero, tale parte dell'art. 4 (che non distingue tra edifici de
stinati o meno ad abitazioni, prospettandosi altrimenti serie que stioni di legittimità costituzionale), pur se vieta ai privati qual siasi forma di edificazione sulle aree già sottoposte a vincoli
decaduti, non può essere considerata in contrasto con i principi costituzionali, poiché, come ha evidenziato la Corte costituzio
nale (sent. 23 aprile 1993, n. 185, id., 1993, I, 1748), la previ sione in tal caso dell'indennizzo «richiede valutazioni di esclusi
va competenza del legislatore». 9.3.2. - A pag. 20 s. della memoria depositata in data 15
gennaio 1993 dalla s.r.l. Impresa di costruzioni e restauro, è dedotta la incostituzionalità dell'art. 1 1. reg. Lazio n. 86 del 24 novembre 1990, il quale ha equiparato il regime giuridico delle aree sprovviste di pianificazione urbanistica a quello con cernente le aree sottoposte a vincoli decaduti ed ha inoltre di
sposto che: — nell'ambito del perimetro del centro abitato, sono consen
tite esclusivamente opere di restauro, risanamento conservativo, manutenzione ordinaria e straordinaria e risanamento igienico;
— all'esterno del perimetro del centro abitato, oltre a tali
interventi, l'edificazione entro il limite del coefficiente di me
0,03 per mq 10.000 di superficie. La proposta questione di costituzionalità va dichiarata mani
festamente infondata, poiché (tenuto anche conto della circo stanza che nel presente giudizio la controversia riguarda aree
poste all'interno del centro abitato) la legge regionale non ha fatto altro che ribadire, per tal parte, la disciplina derivante dall'art. 4, ultimo comma, lett. b), 1. n. 10 del 1977, che, come si è osservato, vieta in assoluto la realizzazione di nuove costru
zioni, di qualsiasi tipo, nell'ambito del centro abitato, su aree
già sottoposte a vincoli decaduti.
Pertanto, valgono le considerazioni svolte con riferimento al la legge statale.
9.4. - Indubbiamente, qualora il vincolo preordinato all'e
sproprio sia più volte decaduto (in quanto non siano stati tem
pestivamente posti in essere i successivi procedimenti volti all'e
spropriazione dell'area), il giudice amministrativo ben può trar re dalla complessiva condotta dell'amministrazione la convinzione che non vi è un effettivo interesse pubblico da tutelare e che l'atto reiterativo del vincolo non è conforme ai canoni di razio nalità e di giustizia.
9.5. - Concludendo sul punto, non contrastano con l'art. 42 Cost, l'art. 2 1. n. 1187 del 1968 e gli art. 7 ss. 1. 17 agosto 1942 n. 1150, nella parte in cui attribuiscono all'autorità urba nistica il potere di reiterare un vincolo, già decaduto, preordi nato all'esproprio senza la previsione di un indennizzo: la rela tiva questione proposta dalle appellanti è manifestamente in fondata.
10. - Può ora passarsi all'esame delle censure, con cui tutte le appellanti lamentano difetto di motivazione, eccesso di pote re per sviamento, difetto di istruttoria.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
11.- Preliminarmente, ritiene la sezione di dover richiamare
il fermo orientamento di questo consiglio, per il quale le scelte
urbanistiche che l'amministrazione compie per la disciplina del
territorio comunale non comportano di regola la necessità di
una specifica motivazione che tenga conto delle aspirazioni dei
privati (per tutte, ad. plen. 21 ottobre 1980, n. 37, id., 1981,
III, 144; sez. IV 28 gennaio 1985, n. 27, id., Rep. 1985, voce
Edilizia e urbanistica, n. 334; 2 luglio 1983, n. 488, id., Rep. 1984, voce cit., n. 209).
Tale principio (che comunque non preclude al giudice ammi
nistrativo di verificare se le scelte effettuate sono anomale o
manifestamente illogiche: v. anche la decisione n. 1068 del 1993
di questa sezione) è operante pur quando l'autorità urbanistica
dispone una variante, anche generale, al piano vigente (sez. IV
30 giugno 1993, n. 642, id., Rep. 1993, voce cit., n. 156; 2 luglio 1983, n. 488, cit.) sulla base di una diversa valutazione
delle esigenze pubbliche (sez. IV 20 marzo 1985, n. 96, id., Rep.
1985, voce cit., n. 339), essendo sufficiente l'espresso riferimen
to alla relazione d'accompagnamento al progetto di modifica
zione (sez. IV 4 marzo 1993, n. 240, id., Rep. 1993, voce cit.,
n. 212; 11 dicembre 1979, n. 1141, id., Rep. 1980, voce cit.,
n. 207), pur quando esse dispongono vincoli sulla proprietà pri
vata, prevedendone l'espropriazione. Il medesimo principio, ribadito dall'art. 3, 2° comma, 1. 7
agosto 1990 n. 241, incontra però significative deroghe, quando
particolari situazioni hanno creato aspettative o affidamenti (v. sez. IV 4 settembre 1985, n. 328, id., Rep. 1985, voce Edilizia
popolare, n. 36, 13 aprile 1984, n. 243, id., Rep. 1984, voce
Edilizia e urbanistica, n. 205), in favore di soggetti, le cui posi
zioni appaiono meritevoli di specifiche considerazioni (v. sez.
IV 13 maggio 1992, n. 511, id., Rep. 1992, voce cit., n. 211:
27 aprile 1989, n. 267, id., Rep. 1989, voce cit., n. 191).
La giurisprudenza di questo consiglio, in particolare, ha da
tempo chiarito che l'autorità urbanistica può esercitare i propri
poteri di modifica di un piano urbanistico, solo se sussistono
adeguate ragioni di pubblico interesse, da esternare in una con
grua motivazione, quando: — intenda superare gli impegni già presi con la stipula di
una convenzione di lottizzazione (sez. IV 13 luglio 1993, n. 711,
id., 1994, III, 290; 14 maggio 1993, n. 531, id., Rep. 1993, voce cit., n. 154; 1° luglio 1992, n. 653, ibid., n. 219; 22 gen
naio 1990, n. 24, id., Rep. 1990, voce cit., n. 162; 30 marzo
1987, n. 183, id., Rep. 1987, voce cit., n. 226; 19 giugno 1985,
n. 239, id., Rep. 1986, voce cit., n. 204; 28 gennaio 1985, n.
27; id., Rep. 1985, voce cit., n. 334; 17 ottobre 1984, n. 767,
id., Rep. 1984, voce cit., n. 203; 27 giugno 1984, n. 486, id.,
Rep. 1985, voce cit., n. 322; 7 marzo 1984, n. 134, id., Rep.
1984, voce cit., n. 206; 13 febbraio 1984, n. 82, ibid., n. 207;
8 febbraio 1980, n. 91, id., Rep. 1980, voce cit., n. 208; sez.
V 12 febbraio 1976, n. 239, id., 1976, III, 484), ovvero incidere
sulle posizioni di coloro che hanno ottenuto una sentenza di
chiarativa dell'obbligo di disporre la convenzione, dopo che que
sta sia stata autorizzata (sez. V 8 settembre 1992, n. 776, id.,
Rep. 1992, voce cit., n. 582); — debba tener conto di un giudicato di annullamento di un
diniego di concessione urbanistica (ad. plen. 8 gennaio 1986,
n. 1, id., 1986, III, 97). La motivazione è altresì necessaria quando un vincolo preor
dinato all'espropriazione è decaduto per il decorso del quin
quennio, ai sensi dell'art. 2 1. 19 novembre 1968 n. 1187 (come
interpretato da Corte cost. 12 maggio 1982, n. 92, id., 1982,
I, 2116; Cons. Stato, ad. plen., 2 aprile 1984, n. 7, id., 1984,
III, 229; 30 aprile 1984, n. 10, ibid., 281; Cass., sez. un., 10
giugno 1983, n. 3987, id., Rep. 1983, voce cit., n. 214) e l'am
ministrazione intenda reiterarlo (sez. IV 3 dicembre 1992, n.
998, id., Rep. 1993, voce cit., n. 194; sez. II 24 ottobre 1990,
n. 438/90; sez. IV 3 maggio 1990, n. 330, id., Rep. 1990, voce
cit., n. 155; v. anche Corte cost. 22 dicembre 1989, n. 575, cit.).
In tal caso, infatti, perché appaia chiaro che la reiterazione
del vincolo non si pone come atto vessatorio o comunque ingiu
sto, in quanto «sospetto di sviamento di potere» (sez. IV 8 giu
gno 1992, n. 592, id., Rep. 1992, voce Opere pubbliche, n. 244),
bensì come attività volta alla effettiva cura di un pubblico inte
resse, l'amministrazione deve indicare la ragione che la induce
a scegliere nuovamente proprio l'area sulla quale la precedente
scelta si era appuntata: la reiterazione del vincolo espropriativo,
sic et simpliciter, non è dunque consentita, dovendo l'ammini
II Foro Italiano — 1994.
strazione evidenziare l'attualità dell'interesse pubblico da soddi
sfare, in quanto si va ad incidere sulla sfera giuridica di un
proprietario che già per un quinquennio è stato titolare di un
bene suscettibile di dichiarazione di pubblica utilità e successi
vamente di esproprio. 12. - Ciò posto, ritiene la sezione che la delibera impugnata
in primo grado non sia affetta dai profili di eccesso di potere dedotti dalle appellanti.
12.1. - Per quanto riguarda le finalità che il comune di Roma
ha inteso perseguire, risulta che si è inteso ribadire che le aree
già sottoposte ai vincoli preordinati all'esproprio vanno utiliz
zate per realizzare le opere e gli interventi pubblici a suo tempo
previsti, e non già per una sia pur limitata edificazione privata. Il comune ha espressamente voluto evitare che: — nelle aree esterne al centro abitato, potesse applicarsi l'art.
4, ultimo comma, lett. a), 1. n. 10 del 1977, che consente una
sia pur ridotta edificabilità delle aree già sottoposte a vincolo
decaduto; — nelle aree interne al centro abitato, potessero essere realiz
zati interventi costruttivi, volti a soddisfare esigenze diverse da
quelle abitative.
Sotto quest'ultimo aspetto, il comune ha rilevato che la giuris
prudenza amministrativa (cfr. sez. V 15 marzo 1991, n. 262,
id., Rep. 1991, voce Edilizia e urbanistica, n. 141) non ha dato
univoca soluzione alla questione concernente l'ambito di appli
cazione dell'art. 4, ultimo comma, lett. c), 1. n. 10 del 1977,
ed ha dunque voluto evitare che il regime suppletivo, previsto
da tale articolo, potesse far addivenire alla realizzazione di co
struzioni su aree già valutate come utilizzabili per soddisfare
pubblici interessi, col ricorso alle procedure espropriative. Ciò comporta che il comune di Roma, con una valutazione
globale e complessiva, ha ribadito l'attuale esistenza delle ragio
ni di pubblico interesse che a suo tempo l'avevano indotto a
disporre i vincoli preordinati all'esproprio ed ha inteso radical
mente evitare che potessero essere realizzati interventi costrutti
vi all'interno e all'esterno del centro abitato, vale a dire la tota
lità del territorio comunale già sottoposto a vincoli decaduti.
Sotto tale aspetto, va considerata esente da vizi logici l'osser
vazione formulata nella sentenza impugnata dal tribunale regio
nale, per il quale la stessa relazione tecnica (posta a base della
variante) ha evidenziato che lo strumento urbanistico generale
del comune di Roma è stato per lo più eseguito per la sola
parte che consentiva l'edificazione privata, ma non anche per
la parte che prevedeva le infrastrutture, i servizi, le opere pub
bliche, i parcheggi, ecc.: poiché la legislazione urbanistica mira
a consentire uno sviluppo ordinato e armonico del territorio,
per evitare irreversibili e definitivi stravolgimenti del territorio
(che, in quanto tali, sono estremamente difficili da rimuovere),
il comune, nell'ambito del suo potere di pianificazione, ben può
adottare le misure volte a consentire un razionale esercizio del
potere. La motivazione, dunque, va considerata congrua e non mani
festa intenti vessatori nei confronti di alcun proprietario di aree
interessate dalla variante: proprio la previsione generale, senza
eccezione alcuna, consente di escludere il carattere vessatorio
dell'atto.
Poco importa, dunque, qualificare come variante generale o
parziale quella adottata dal comune (sulla cui natura hanno am
piamente argomentato le parti), poiché la adeguatezza della mo
tivazione del provvedimento comunale deriva dall'uniformità delle
determinazioni prese nei confronti delle aree già in precedenza
ritenute idonee a soddisfare pubblici interessi.
Pertanto: — la motivazione vi è, avendo il comune evidenziato che so
no ancora di pubblico interesse le opere e gli interventi che ave
vano dato luogo a suo tempo alla previsione dei vincoli; — non si può considerare vessatorio il provvedimento, poi
ché il comune ha formulato una valutazione che non ha con
dotto ad eccezioni, di natura personale o reale, ed ha inteso
salvaguardare l'utilità delle opere pubbliche da realizzare, impe
dendo comunque l'edificazione privata.
Ciò consente di escludere che vi sia stato uno sviamento: la
finalità dell'amministrazione, come si è osservato, non è stata
quella di evitare l'edificazione privata sic et simpliciter, per ca
priccio o per dare solo tutela a valori ambientali, ma è stata
quella di consentire nel futuro la realizzazione delle previsioni
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PARTE TERZA
di piano, che avrebbero trovato sicure difficoltà, qualora medio
tempore fossero stati realizzati interventi edificatori nell'ambito
delle aree già sottoposte ai vincoli decaduti.
12.2. - Per quanto concerne il dedotto profilo di eccesso di
potere per difetto di istruttoria, basta aggiungere che il comune
di Roma ha inteso unicamente ribadire l'attualità degli interessi
pubblici coinvolti, e connessi con le previsioni espropriati ve, ope
rando un chiaro richiamo alle valutazioni (condivise) che aveva
no condotto a suo tempo alle apposizioni dei vincoli.
Poiché i vincoli decaduti, derivanti da inoppugnabili atti, già erano stati apposti sulla base di specifiche valutazioni ed istrut
torie, non era necessario un ulteriore ed analitico esame delle
specifiche ragioni che avevano condotto alla imposizione dei sin
goli vincoli. Né possono avere rilievo le deduzioni contenute a pag. 8 s.
della memoria depositata in data 16 gennaio 1993 dalla s.a.s.
immobiliare Terazzi, in ordine alla mancata valutazione della
portata delle opere pubbliche realizzate in attuazione dei specia li programmi, relativi ad esempio agli interventi per «Roma ca
pitale».
Invero, a parte la considerazione che tali deduzioni sono sta
te formulate per la prima volta in grado di appello, si deve
ritenere che l'adozione della variante ha mirato a soddisfare
interessi pubblici diversi e ulteriori, a quelli correlativi alla rea
lizzazione di altre opere pubbliche. 12.3. - Le appellanti hanno contestato che potesse esservi la
reiterazione «in blocco» di tutti i vincoli decaduti, anche perché la variante generale al p.r.g. non può essere considerata «alla
stregua di una ordinanza contingibile ed urgente, emessa in si
tuazione di impellente necessità», anche perché la maggior par te dei vincoli decaduti sono stati introdotti alcuni decenni fa:
la «mera cristallizzazione» delle previsioni espropriative «non
è pianificazione urbanistica».
Anche tale deduzione è infondata.
Già si è rilevato che la delibera della giunta comunale non
ha inteso meramente precludere l'edificazione, ma ha ribadito
l'attualità delle esigenze pubbliche da soddisfare mediante la rei
terazione dei vincoli preordinati all'esproprio. Non vi è stata pertanto una «ordinanza contingibile ed ur
gente», ma l'esercizio del tipico potere di pianificazione, estrin
secatosi nella valutazione dell'utilità di una serie di procedimen ti espropriativi.
Indubbiamente, qualora il comune di Roma nei cinque anni
di efficacia dei vincoli reiterati non disponga l'attivazione dei
procedimenti espropriativi e successivamente rieserciti il potere
già esercitato con la delibera impugnata in primo grado, la le
gittimità dell'ulteriore provvedimento dovrebbe essere valutata
tenendo conto anche della inerzia ulteriormente serbata nonché
delle eventuali ragioni che l'hanno indotta.
In buona sostanza, nella presente controversia, la sezione, pur
non nascondendosi la delicatezza della questione, ritiene che la
situazione debba essere valutata tenendo presente che il comune
di Roma si trovava a dare per la prima volta applicazioni ai
principi affermati dalla Corte costituzionale. Ciò può far rite
nere, come ampiamente si è detto, che la delibera impugnata sia esente da eccesso di potere.
Ben diverso dovrà essere il comportamento del comune se,
alla scadenza del nuovo quinquennio, gli espropri per la realiz
zazione delle opere pubbliche non saranno ancora, come non
è improbabile, effettuati in quel momento. L'amministrazione
comunale dovrà effettuare caso per caso una concreta e seria
istruttoria, motivando adeguatamente gli eventuali ulteriori, rin
novi dei vincoli; e in sede di una nuova eventuale rinnovazione
dei vincoli potranno essere riconsiderate le eccezioni di incosti
tuzionalità in questa sede ritenute manifestamente infondate.
Ma, con riferimento alla delibera impugnata col presente giu
dizio, si può ritenere che si sia inteso esercitare un potere di
pianificazione. (Omissis)
II
Diritto. — (Omissis). Per quanto riguarda l'impugnazione del
silenzio, in relazione all'istanza ed integrazione del piano rego latore generale, una volta divenuti inefficaci i vincoli ai sensi
dell'art. 2 1. 19 novembre 1968 n. 1187, il collegio richiama
la deliberazione 29 settembre 1987, n. 6173/5144 adottata dalla
Il Foro Italiano — 1994.
giunta comunale, con la quale è stato dato avvio alla ridefini
zione del piano regolatore generale con il conferimento di inca
richi professionali a tre consulenti e a sei architetti per la stesu
ra, in collaborazione degli uffici comunali, di un'unica variante
di integrazione del piano regolatore. Tale delibera ha dato ini
zio al procedimento di integrazione del piano regolatore genera le richiesto dall'appellante. Quindi, con la sua adozione è cessa
ta la contestata inerzia dell'amministrazione. Sinché anche per
tale capo, esclusa però la motivazione relativa all'insufficienza
del termine complessivo di novanta giorni, alla quale ha anche
fatto riferimento il giudice di primo grado, la decisione impu
gnata deve essere confermata.
Infine, per quanto concerne la variante al piano regolatore
generale adottata contestualmente all'approvazione del progetto di un centro socio-sanitario (deliberazione del consiglio comu
nale di Firenze 7 settembre 1987, n. 5574/530), le censure che
affermano la non reiterabilità del vincolo ed il difetto di moti
vazione, da esaminarsi congiuntamente, sono inconsistenti.
Non si condivide infatti l'assunto dell'appellante fondato sul
l'ultima proposizione del 1° comma dell'art. 2 1. 19 novembre
1968 n. 1187. Secondo tale assunto poiché l'articolo citato prevede che i
vincoli preordinati all'espropriazione perdono ogni efficacia, qua
lora entro i cinque anni dalla data di approvazione del piano
regolatore generale non siano stati approvati i relativi piani par
ticolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzio
nati e poiché tali strumenti urbanistici hanno una validità di
dieci anni, qualora non si proceda entro quindici anni dall'ap
provazione dello strumento urbanistico generale e non avvenga
l'espropriazione dell'immobile vincolato, il vincolo stesso ver
rebbe definitivamente meno, e non sarebbe reiterabile.
Il collegio ritiene in contrario che non sia configurabile nel
l'ordinamento un principio di non reiterabilità del vincolo de
corsi i quindici anni; anzi la reiterabilità del vincolo è stata co
stantemente affermata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato
(ad. plen. 30 aprile 1984, n. 10, Foro it., 1984, III, 219; sez.
IV 9 febbraio 1987, n. 78, id., Rep. 1987, voce Espropriazione
per p.i., n. 238; 28 maggio 1987, n. 317, id., Rep. 1988, voce
cit., n. 182; 3 maggio 1990, n. 330, id., Rep. 1990, voce Edili
zia e urbanistica, n. 155). La possibilità di rinnovare il vincolo preordinato all'espro
priazione di un bene individuato, la quale è propria della pote
stà pianificatoria, incontra il limite della garanzia della proprie
tà, secondo i principi affermati nelle sentenze della Corte costi
tuzionale n. 6 del 1966 (id., 1966, I, 484), n. 55 del 1968 (id., 1968, I, 1361), n. 92 del 1982 (id., 1982, I, 2116), n. 575 del 1989 (id., 1990, I, 1130); tale limite importa che la reiterazione
del vincolo di natura espropriativa, quale quello in questione, non debba tradursi in un vincolo a tempo indeterminato senza
la previsione di indennizzo.
Il controllo sulla violazione del limite si attua attraverso la
verifica della motivazione, che deve dar conto appunto della
necessità, e della conseguente prevedibile, concreta attuabilità
del vincolo attraverso un processo, il cui esito è l'espropriazio ne. La motivazione deve essere tanto più dettagliata e concreta,
quante più volte viene ripetuta la reiterazione del vincolo.
Nel caso di specie, in cui la variante allo strumento urbanisti
co è contestuale all'approvazione del progetto di opera pubbli
ca, tale particolare esigenza è, in linea di principio (ferma re
stando la possibilità del privato di dimostrare una realtà diver
sa), soddisfatta dalla circostanza che l'adozione della variante
è contestuale alla approvazione del progetto, la quale equivale
a dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza e indifferibilità dell'opera da utilizzare.
Pure infondate sono le censure di difetto di motivazione nel
l'individuazione dell'area necessaria per la realizzazione del centro
socio-sanitario.
Infatti, la relazione tecnica alla variante urbanistica dà conto
delle ragioni della scelta anche attraverso una analisi comparati va con altre aree della stessa zona destinate ad uso pubblico di piano regolatore. L'assenza di comparazione con area a de
stinazione privata, in mancanza di indicazioni da parte dell'ap
pellante di una specifica area particolarmente idonea, è giustifi cata dal diverso rilievo dell'aspettativa dei privati in relazione
alle aree di loro proprietà a destinazione ad uso privato, rispet to a quella delle società Chini, le cui aree erano già vincolate
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
e divenute soggette alla disciplina di cui all'art. 4, ultimo com
ma, 1. 28 gennaio 1977 n. 10.
In base alle considerazioni svolte, la sentenza impugnata deve
essere confermata.
Ili
Diritto. — (Omissis). 2.11. - Va accolto pure l'ordine di cen
sure che lamenta, l'immotivata reiterazione di vincoli di stan
dards su aree di proprietà della ricorrente.
Si tratta, segnatamente, del mappale 41 del comune censuario
di Costa di Mezzate, riconfermato nella destinazione di perti nenza scolastica (già prevista dal previgente piano di fabbrica
zione del 1970). L'amministrazione comunale, nella propria memoria di costi
tuzione, ha, da un lato, contestato la stessa esistenza di una
reiterazione di vincolo, in quanto sarebbe mutato il nomen del
la strumentazione urbanistica che lo istituisce (piano regolatore anziché piano di fabbricazione); dall'altro, ha ritenuto di iden
tificare la motivazione nella deliberazione consiliare che ha con
trodedotto alle osservazioni presentate al riguardo dalla stessa
Camozzi nelle more dell'approvazione del nuovo strumento ur
banistico.
Tali assunti dell'amministrazione non sono in alcun modo con
divisibili. Innanzitutto, ai fini della reiterazione dei vincoli, non rileva
per certo il nomen dello strumento di pianificazione primaria
che, in prosieguo di tempo, li ha imposti. È vero che il piano di fabbricazione ed il piano regolatore
generale costituiscono due diversi modi di programmazione del
l'assetto territoriale, ai quali corrispondono sensibili diversità
di contenuto e procedimentali (cfr. art. 7 ss. 1. 17 agosto 1942
n. 1150): ma non può disconoscersi, in tali tipologie di stru
mentazione urbanistica primaria, la perfetta equivalenza dei vin
coli di standards da essi eventualmente imposti, con pari effet
to, nei riguardi della proprietà privata. Devesi pertanto concludere che il mero mutamento del no
men dello strumento urbanistico primario non esclude l'onere
di motivare rigorosamente l'eventuale reiterazione di un vincolo
già introdotto nello strumento previgente: onere affermato dal
l'unanime giurisprudenza (cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez.
IV, 28 luglio 1987, n. 461, Foro it., 1988, III, 331 e 3 maggio
1990, n. 330, id., Rep. 1990, voce Edilizia e urbanistica, n. 155;
Tar Veneto, sez. I, 13 luglio 1992, n. 257, anche in conformità
all'indirizzo assunto da Corte cost. 22 dicembre 1989, n. 575,
id., 1990, I, 1130) e, quindi, nella consapevolezza che «nel no
stro ordinamento giuridico non è ammissibile una previsione di piano che sancisca sic et simpliciter l'assoluta inedificabilità,
senza limiti di tempo, di un'area privata, ancorché preordinata alla tutela di apprezzabili interessi pubblici, in quanto una pre
visione siffatta concreta un'ipotesi di espropriazione dello ius
aedificandi senza indennità» (Tar Lombardia, sez. II, 4 agosto
1992, n. 562). Né può ritenersi che tale onere di motivazione sia soddisfatto
in virtù delle sole controdeduzioni formulate, in pendenza del
l'approvazione del piano, nei riguardi delle osservazioni presen tate dai privati ai sensi dell'art. 9 1. n. 1150 del 1942.
È evidente, infatti, che la replica alle osservazioni dei privati
deve, comunque, presupporre a monte un compiuto indirizzo
di politica urbanistica, ben espresso nei suoi presupposti moti
vazionali, e che l'amministrazione comunale può confermare o
meno dinanzi agli argomenti sollevati da colui, o da coloro che
intendono, viceversa, contestarlo.
Se la motivazione viene esternata solo in sede di controdedu
zioni, si tratta, all'evidenza, di un adempimento tardivo, e che,
in quanto tale, non può sanare la relativa carenza nel corpo
del provvedimento deliberato dal consiglio comunale. (Omissis)
Il Foro Italiano — 1994.
CONSIGLIO DI STATO; sezione V; decisione 24 gennaio 1994, n. 34; Pres. Buscema, Est. Piscitello; Lepore ed altri (Avv.
Taddei, Lorenzoni) c. Usi Comprensorio Vallagarina.
Sanitario — Medici dipendenti Usi — Lavoro straordinario do
po i turni di guardia notturni — Compenso.
/ medici dipendenti ospedalieri hanno diritto a percepire dalla
Usi il compenso per le ore di lavoro straordinario effettuate
dopo la guardia medica notturna e non recuperate con turni
di riposo. (1)
Diritto. — Il ricorso (proposto in unico grado anteriormente
all'entrata in funzione del Tar per la provincia di Trento) è
rivolto al riconoscimento del diritto degli interessati — quali medici dipendenti dell'ospedale civile di Rovereto — a percepire dalla Usi del Comprensorio della Vallagarina i compensi per le ore di lavoro straordinario prestate dopo i turni di guardia notturna.
Dall'istruttoria svolta innanzi al Pretore del lavoro di Rove
reto — che, con sentenza 96/82 ha dichiarato, peraltro, il pro
prio difetto di giurisdizione sulla controversia, trattandosi di
materia rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice am
ministrativo — risulta accertato (attraverso le deposizioni dei
primari delle divisioni cui i ricorrenti erano applicati, sentiti co
me testi) che la permanenza dei medesimi in ospedale dopo il
turno di guardia notturna è stata imposta per esigenze di servi
zio e su espressa richiesta dei primari. La pretesa dei ricorrenti risulta, pertanto, fondata, a nulla
rilevando la circostanza che — secondo il disegno normativo
posto in essere dall'Anul del 17 dicembre 1979 (in particolare
dagli art. 11 e 56) — le ore di straordinario prestate dagli inte
ressati risultino sottratte all'obbligo del riposo imposto dopo il turno di guardia.
Una volta appurata da parte dell'amministrazione la reale esi
stenza delle ragioni di pubblico interesse che hanno reso neces
sario il ricorso a prestazioni lavorative eccezionali dei medici
in questione e l'impossibilità pratica di far loro recuperare con
opportuni turni di riposo le prestazioni rese, sussiste l'obbligo
per l'amministrazioe stessa di monetizzare, sulla base dei para metri propri dell'indennità per lavoro straordinario, le presta zioni di cui essa si è, comunque, avvalsa.
Per le considerazioni che precedono il ricorso in esame deve
essere accolto, con il conseguente riconoscimento del diritto dei
ricorrenti a percepire i compensi per le ore di straordinario ef
fettuate dopo la guardia medica notturna e non contestate dal
l'intimata Usi del Comprensorio della Vallagarina ed il corri
spondente obbligo di quest'ultima di provvedere al pagamento dei compensi in questione sulla base dei necessari ulteriori ri
scontri documentatali delle effettive prestazioni rese dagli inte
ressati.
Sulle somme nette liquidate dovranno calcolarsi rivalutazione
monetaria ed interessi legali sulla somma rivalutata.
(1) Questione di specie, decisa dal Consiglio di Stato in unico grado perché il ricorso era stato proposto prima dell'istituzione del Tar della
provincia di Trento; nessun precedente edito si rinviene sull'argomento. Il diritto alla retribuzione per le prestazioni lavorative comunque svolte
al di fuori del normale orario di lavoro è sempre riconosciuto ai lavora
tori subordinati in generale ed al personale medico dipendente delle
Usi, in particolare: Tar Lazio, sez. I, 21 luglio 1993, n. 1133, Foro
it., Rep. 1993, voce Sanitario, n. 462, ha chiarito che l'imposizione di limiti normativi all'espletamento dello straordinario — come quelli fissati dall'art. 17 d.p.r. 270/87 — non può vanificare le prestazioni concretamente rese dal dipendente in favore dell'amministrazione e col
suo consenso anche implicito; Tar Toscana, sez. I, 29 ottobre 1992,
n. 516, ibid., n. 496, ha riconosciuto il diritto all'intera retribuzione
per lavoro straordinario — senza distinzione fra servizio attivo e mera
attesa — per le prestazioni di guardia medica effettuate fuori dal nor
male orario di servizio; Tar Emilia-Romagna, sez. I, 21 febbraio 1990,
n. 137, id., Rep. 1990, voce cit., n. 466, ha ribadito il diritto al paga mento dello straordinario anche a fronte dell'obbligo da parte delle
Usi di far svolgere il servizio di guardia attiva nell'ambito del normale
orario di servizio settimanale. Per riferimenti sull'orario di lavoro dei dipendenti Usi, v. Cons. Sta
to, sez. IV, 28 febbraio 1992, n. 212, id., 1992, III, 454, con nota
di richiami. Per ogni altro riferimento, v. G. Albenzio, Rassegna di
giurisprudenza sui principali problemi relativi al rapporto di lavoro di
pendente o convenzionato dei medici nel servizio sanitario nazionale,
id., 1993, I, 2867.
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