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PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || sezione IV; decisione 29 ottobre 1990, n. 845; Pres....

Date post: 31-Jan-2017
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sezione IV; decisione 29 ottobre 1990, n. 845; Pres. Quartulli, Est. Barbagallo; Comune di Alessandria e Martini (Avv. Morandi, Agostini) c. Regione Piemonte (Avv. E. Romanelli). Annulla Tar Piemonte, sez. II, 26 febbraio 1988, n. 68 Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1991), pp. 245/246-251/252 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23183185 . Accessed: 25/06/2014 06:07 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.79.47 on Wed, 25 Jun 2014 06:07:18 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione IV; decisione 29 ottobre 1990, n. 845; Pres. Quartulli, Est. Barbagallo; Comune diAlessandria e Martini (Avv. Morandi, Agostini) c. Regione Piemonte (Avv. E. Romanelli).Annulla Tar Piemonte, sez. II, 26 febbraio 1988, n. 68Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1991),pp. 245/246-251/252Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183185 .

Accessed: 25/06/2014 06:07

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

di cui dispone, in materia di prevenzione e di igiene del lavoro,

l'ispettore della Usi (cosi come, prima della riforma sanitaria,

l'ispettore del lavoro) attengono alla fase applicativa della disci

plina generale (sia essa legislativa, regolamentare o pattizia) nel

senso che, in presenza di una norma formulata in termini gene rici, egli è chiamato ad individuare e a prescrivere la soluzione

tecnica che, alla luce della propria esperienza professionale e

della propria conoscenza del mondo del lavoro, può essere ra

gionevolmente ritenuta la più idonea sia a realizzare l'obiettivo

perseguito dalla norma che a contemperare, in modo equo, gli interessi sovente confliggenti delle parti interessate.

In questa opera di adattamento della disciplina astratta alle

peculiarità del fatto specifico sottoposto alla sua valutazione

può ben accadere che l'ispettore finisca per creare la regola per il caso concreto e, di conseguenza, per imporre ai soggetti, de

stinatari delle sue prescrizioni, nuovi obblighi di condotta.

Tutto ciò è legittimo, ma a condizione che i suoi poteri, no

nostante la latitudine che li caratterizza, si muovano lungo la

linea tracciata da una norma preesistente che individui un de

terminato aspetto dell'attività lavorativa bisognosa di tutela per i rischi che presenta ed imponga al mondo della produzione di adottare rimedi idonei a neutralizzarli.

La preesistenza di una regola generale, dal contenuto come

sopra definito, è quindi il primo limite che l'ispettore incontra

nell'esercizio dei suoi poteri e che ne condiziona la legittimità. La necessità di fare riferimento ad una norma preesistente,

per quanto generico possa essere il suo dettato, non può essere

messa in dubbio specie se si considera che gli ispettori delle

Usi — a differenza degli ispettori del lavoro, che si muovevano

sulla base delle direttive impartite da una autorità centrale e

finalizzate a garantire omogeneità di comportamenti e certezza

di diritto in tutto il territorio nazionale — operano sulla base

della loro esperienza professionale, con il rischio che le prescri zioni impartite riflettano solo valutazioni soggettive, suscettive

di essere smentite o superate in futuro dalla difforme, personale valutazione di altro ispettore.

Il secondo limite attiene invece al modo in cui i suddetti pote ri devono essere esercitati, specie quando la valutazione dell'i

spettore involge l'idoneità dei rimedi già apprestati dall'impren ditore.

L'ispettore, ove ritenga — ma non sulla base di dati generali o di dati di esperienza afferenti ad altri settori lavorativi o ad

ambienti di lavoro altrove ubicati — che i rimedi predisposti dal datore di lavoro non siano idonei a neutralizzare la fonte

di rischio accertata nell'ambiente oggetto di verifica, non può limitarsi a contestare all'imprenditore l'inosservanza di una o

più norme, ma deve individuare e prescrivere il rimedio sostitu

tivo che a suo avviso, e sotto la sua responsabilità, è in grado di garantire in modo adeguato la salute del lavoratore.

Nella specie ambdue i limiti sopra indicati risultano illegitti mamente superati dal provvedimento impugnato.

Deve infatti osservarsi, in primo luogo, che né gli ispettori della Usi né la difesa dell'amministrazione resistente hanno in

dicato quale è la norma, contenuta nel d.p.r. n. 303 o in altra

fonte, alla quale la società appellante avrebbe dovuto fare rife

rimento nel progettare il posto di lavoro dell'esattore. In effetti

non lo ha saputo indicare neppure il Tar nella sua sentenza, nonostante che la difesa della ricorrente fosse interamente im

postata sulla denunciata mancanza di una normativa in materia.

In secondo luogo le osservazioni formulate nel provvedimen to impugnato in ordine alla inidoneità, dal punto di vista ergo

nomico, del posto di lavoro all'interno della cabina si esauri

scono, in larga misura, in una genrica denuncia di inconvenien

ti («lo schienale non appare del tutto idoneo dal punto di vista

ergonomico»; «l'uso del poggiaschiena a cassa aperta è impedi to ad alcuni soggetti dallo scarso spazio disponibile»; i vantaggi connessi alla regolabilità dello schienale sarebbero «fortemente

limitati dalla posizione fissa del tavolo di lavoro e del finestri

no»; «a cassa aperta l'appoggio dei piedi avviene sul poggiapie di sottostante al sedile il quale non consente, come sarebbe op

potuno, l'appoggio completo dei piedi con cosce orizzontali»,

ecc.), cui non fa seguito alcun apporto propositivo, come sa

rebbe stato invece doveroso. Tale carenza di un diverso «pro

getto» del posto di lavoro appare tanto più stigmatizzabile ove

si consideri che il sedile, contro il quale sembrano appuntarsi in particolare le doglianze degli ispettori, è stato progettato e

realizzato da un'azienda leader in campo europeo con preciso riferimento alle esigenze funzionali ed ergonomiche degli esat

II Foro Italiano — 1991.

tori autostradali, come risulta dalla documentazione versata in atti dall'appellante.

9. - Il quinto motivo di appello, volto a contestare la congrui tà del termine assegnato dagli ispettori per l'esecuzione delle loro prescrizioni, deve intendersi prospettato in via subordina

ta, cioè per l'ipotesi di una definizione negativa delle censure

specificatamente rivolte contro i singoli capi del provvedimento

impugnato. Di conseguenza il collegio si ritiene dispensato dal

pronunciare su di esso, essendo venuto meno l'interesse dell'ap

pellante alla sua definizione.

10. - L'appello deve, pertanto, essere accolto nei limiti di cui

in motivazione.

I

CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; decisione 29 ottobre 1990, n. 845; Pres. Quartulli, Est. Barbagallo; Comune di Ales

sandria e Martini (Aw. Morandi, Agostini) c. Regione Pie

monte (Avv. E. Romanelli). Annulla Tar Piemonte, sez. II, 26 febbraio 1988, n. 68.

Impiegato dello Stato e pubblico — Dimissioni — Accettazione — Revoca — Legittimità.

È legittima la revoca, da parte dell'amministrazione, del collo

camento a riposo di un dipendente in seguito a dimissioni, successivamente alla revoca di queste dopo la loro accettazio

ne, se sia intervenuta prima della data stabilita per la cessa

zione del rapporto di impiego. (1)

II

CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 3 agosto 1989, n. 982; Pres. Salvatore, Est. Luce; Sorge (Aw. Moscarini) c. Provveditore agli studi di Chieti. Annulla Tar Abruzzo 28

giugno 1985, n. 323.

Giustizia amministrativa — Ricorso — Tardività — Esclusione — Fattispecie.

Impiegato dello Stato e pubblico — Dimissioni — Condiziona

mento a circostanza non verificatasi — Accettazione — Le

gittimità. Impiegato dello Stato e pubblico — Dimissioni — Revoca —

Accettazione non ancora efficace — Illegittimità.

Non è inammissibile per tardività il ricorso tempestivo rispetto a! momento in cui è sorto per il ricorrente l'interesse a impu

gnare il provvedimento, anche se proposto dopo più di ses

santa giorni dalla conoscenza di esso. (2) È legittima l'accettazione, da parte dell'amministrazione, delle

dimissioni presentate da un dipendente sul presupposto, poi rivelatosi insussistente, della ricongiungibilità del periodo del servizio con altri precedenti, in modo da raggiungere l'anzia

nità minima richiesta per il conseguimento del diritto a

pensione. (3) È illegittima l'accettazione delle dimissioni di un dipendente da

parte dell'amministrazione, con provvedimento che, al mo

mento della revoca delle dimissioni, era stato emesso ma non

aveva ancora acquistato efficacia, perché tuttora pendente il

controllo della Corte dei conti. (4)

(1, 4) In ordine alla determinazione del limite temporale oltre il quale il pubblico dipendente che abbia presentato le proprie dimissioni non

può revocarle, l'orientamento dominante in giurisprudenza, cui la deci sione della sez. VI si accosta apportandovi una precisazione (quarta massima), è nel senso che la revocabilità di tali dimissioni è preclusa dalla loro accettazione, ossia dall'adozione del relativo provvedimento: Cons. Stato, sez. VI, 27 marzo 1990, n. 411, Cons. Stato, 1990, I, 487; sez. V 19 luglio 1989, n. 426, Foro it., Rep. 1989, voce Impiegato dello Stato, n. 1197; Tar Toscana 21 dicembre 1988, n. 2104, ibid., n. 1205; Cons. Stato, sez. V, 15 gennaio 1987, n. 9, id., Rep. 1987, voce cit., n. 1137; Tar Lazio, sez. I, 10 dicembre 1975, n. Ill, id.,

Rep. 1976, voce cit., n. 1646. Se le pronunce che rientrano in questo orientamento molto spesso specificano il limite temporale suddetto, ne

gando che la successiva comunicazione del provvedimento di accettazio ne offra all'interessato un maggiore margine temporale, e giustificando questo rigore col rilievo del carattere non recettizio del provvedimento

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PARTE TERZA

I

Fatto. — Con ricorso notificato alla regione Piemonte ed al

comitato di controllo sugli atti degli enti locali della regione Piemonte - sezione di Alesssandria - il 7 ed il 5 maggio 1988

e depositato il 24 maggio, il comune di Alessandria e la signora Maria Martini propongono appello avverso la sentenza del Tar

del Piemonte, sez. II, 68/88.

Con tale sentenza è stato respinto il ricorso proposto dagli attuali appellanti avverso la delibera del Coreco, sezione di Ales

sandria, n. 5944 in data 26 febbraio 1986, con la quale era

stata annullata la delibera n. 172 del 4 febbraio 1986 della giun ta municipale di Alessandria.

stesso, Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 1988, n. 89, id., Rep. 1988, voce cit., n. 1154, ha viceversa ammesso la revocabilità delle dimissioni fino al momento in cui l'amministrazione abbia comunicato l'accetta zione di esse a chi le aveva presentate.

Quanto al momento in cui le dimissioni presentate dal pubblico di

pendente si debbano considerare revocate, le già citate decisioni del Cons. Stato, sez. VI, 411/90 e sez. IV 89/88, hanno precisato che esso coinci de con quello in cui l'interessato comunica la revoca all'ufficio, anche

periferico, nel quale è incardinato, e non con quello successivo in cui tale revoca perviene all'ufficio centrale competente ad accettare le di missioni medesime; mentre Tar Calabria, sez. Catanzaro, 18 febbraio

1978, n. 25, id., Rep. 1978, voce cit., n. 1348, richiama il principio per cui è competente ad accettare le dimissioni di un pubblico dipen dente l'organo competente all'adozione del relativo atto di nomina.

Problema diverso è quello affrontato dalla decisione della sez. IV, consistente, cioè, nella possibilità che l'amministrazione a sua volta re vochi il proprio provvedimento (legittimamente adottato) di accettazio ne delle dimissioni del suo dipendente, solo tardivamente revocate; in

proposito, Cons. Stato, sez. V, 13 ottobre 1988, n. 578, id., Rep. 1988, voce cit., n. 1155, sottolinea che l'amministrazione, che ha la facoltà di revocare il proprio provvedimento, non è obbligata a farlo; sez. II 14 maggio 1980, n. 353/80, id., Rep. 1982, voce cit., n.'1133, in un caso in cui il dipendente dimissionario, nelle more dell'adozione del

provvedimento di accettazione delle dimissioni, aveva presentato istan za di riammissione in servizio, ha considerato tale istanza equipollente a revoca delle dimissioni stesse, ed ha affermato che l'amministrazione

legittimamente annulla il provvedimento di accettazione poi emanato, ove sussistano motivi di pubblico interesse e non vi siano controinteres sati. Cfr. anche Cons. Stato, sez. V, 4 dicembre 1987, n. 756, id., Rep. 1988, voce cit., n. 1156, che ha affermato l'impossibilità della revoca

dopo l'accettazione delle dimissioni, per l'effetto estintivo del rapporto derivante da tale accettazione; dalla ambigua massima, non è possibile dedurre con certezza se la revoca considerata preclusa si riferisse alle

dimissioni, allora la pronuncia rientrerebbe nel pacifico orientamento

sopra richiamato, oppure alla loro accettazione; nella quale ipotesi, a meno di non intendere la pronuncia nel senso della negazione assoluta della revocabilità dell'accettazione, andrebbe interpretata in un senso

convergente con un profilo della decisione della sez. IV ora riportata; l'accettazione delle dimissioni non è più revocabile dal momento, evi dentemente successivo a quello in cui è stata adottata, in cui si verifica, per l'apposizione di un termine, l'effetto estintivo del rapporto di pub blico impiego che ne consegue.

In dottrina, sulle dimissioni del pubblico dipendente, per i profili definitori e sui problemi considerati dalle decisioni riportate, Travi, Dimissioni nel diritto amministrativo, voce del Digesto pubbl., 1990, V, 85.

(2) La tesi, secondo la quale, nel caso in cui l'interesse ad impugnare un provvedimento sorga in un momento successivo a quello della sua conoscenza da quel momento inizia a decorrere il termine di decadenza

per la proposizione del ricorso, in questi anni è sostenuta soprattutto da Cons, giust. amm. sic. 28 dicembre 1990, n. 460, Cons. Stato, 1990, I, 1614; 10 maggio 1988, n. 87, Foro it., Rep. 1988, voce Giustizia amministrativa, n. 261; 26 febbraio 1987, n. 61 (annotata da G. Virga, in Dir. proc. ammin., 1988, 72), Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 339; nello stesso senso, almeno per implicito, anche Cons. Stato, sez. V, 29 giugno 1979, n. 450, id., Rep. 1979, voce cit., n. 405, che ha affer mato che, quando l'interesse all'impugnazione di un provvedimento sorga solo in seguito a sentenza del giudice ordinario, contro la quale era stato proposto appello e poi ricorso per cassazione, il termine di deca denza per adire il giudice amministrativo decorre dall'emanazione della sentenza di appello.

Per l'opposto orientamento, secondo il quale la postuma sopravve nienza dell'interesse a ricorrere non riapre il termine di decadenza per farlo, Tar Liguria 12 febbraio 1981, n. 79, id., Rep. 1981, voce cit., n. 299; Trib. sup. acque 15 luglio 1975, n. 19, id., Rep. 1975, voce cit., n. 866, che accoglie tale soluzione più rigorosa anche rispetto al

parallelo problema della scoperta solo successiva di vizi del provvedi mento, in convergenza con Cons. Stato, sez. VI, 27 marzo 1981, n. 122, id., Rep. 1981, voce cit., n. 300 e Tar Molise 11 marzo 1980, n. 27, id., Rep. 1980, voce cit., n. 386; però, Tar Lazio, sez. I, 25 febbraio 1981, n. 183, id., Rep. 1981, voce cit., n. 301, ha ammesso

Il Foro Italiano — 1991.

Con la delibera annullata la giunta municipale di Alessandria

aveva, su richiesta della sig. Maria Martini, insegnante del cen

tro didattico artigianale, modificato la data di collocamento a

riposo della Martini stessa dal 1° agosto 1986 al 1° agosto 1987,

dopo che la prima delle due date era stata fissata dall'ammini

strazione in accoglimento di una precedente richiesta di dimis

sioni dell'insegnante. Il giudice di primo grado, condividendo la tesi della commis

sione regionale di controllo, ha respinto il ricorso del comune

di Alessandria e della sig. Martini sulla base del rilievo che la

domanda da parte dell'interessato di collocamento a riposo an

ticipato è suscettibile di revoca finché l'amministrazione non

abbia adottato il provvedimento finale di accoglimento dell'i

stanza con atto divenuto esecutivo; che dopo tale momento l'am

ministrazione non può più accettare la successiva domanda di

differimento del collocamento a riposo, potendo in tal caso tro

vare applicazione l'istituto della riammissione in servizio, ricor

rendone i presupposti. Gli appellanti deducono in contrario che è principio generale

che la pubblica amministrazione, una volta emanato l'atto, pos sa rivedere il proprio operato ed apportarvi, attraverso il prov vedimento di revoca, le modificazioni che ritiene necessarie o

opportune in base a un diverso apprezzamento delle circostanze

originarie o sopravvenute. La regione Piemonte, costituitasi, chiede il rigetto. Diritto. — Il ricorso è fondato e va accolto.

È vero infatti che la intervenuta accettazione da parte del

comune delle dimissioni date dalla sig. Martini, e quindi l'esi

stenza di un provvedimento di collocamento a riposo, importa vano l'irrilevanza del ritiro delle dimissioni stesse, perché ormai

la fattispecie si era completata con il conseguente venir meno

per la Martini della facoltà del ritiro delle dimissioni; ciò però non importava che fosse venuto meno il generale potere di re

voca in capo all'amministrazione; anzi tale potere presuppone va proprio che il provvedimento di collocamento a riposo si

fosse perfezionato. Le due vicende — quella del ritiro delle dimissioni da parte

del privato e quella della revoca da parte dell'amministrazione

che il ricorso contro un provvedimento, applicativo di un atto presup posto e solo lesivo dell'interesse del ricorrente, può essere proposto en tro il termine decorrente da quando tale atto, originariamente legitti mo, sia stato colpito da invalidità sopravvenuta; in uno dei rari casi in cui si concreta la dibattuta figura dell'invalidità sopravvenuta dei

provvedimenti amministrativi studiata da Santi Romano (ora in Scritti

minori, II, 335 dell'edizione del 1950, e II, 397 della ristampa del 1990). Per altri riferimenti, cfr. Tar Calabria, sez. Catanzaro, 19 gennaio

1980, n. 20, Foro it., 1981, III, 550, con nota di richiami, che ha di chiarato ammissibile il ricorso tardivamente proposto contro la delibe razione comunale di adozione di una variante al piano regolatore, quando l'interesse ad impugnarla sia sorto a seguito della decisione con cui l'a dunanza plenaria aveva affermato l'immediata impugnabilità di delibe re del genere, prima dell'approvazione regionale; Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 1980, n. 6, ibid., 16, con nota di richiami, che ha ammesso

l'impugnazione tardiva dell'assunzione a termine di un pubblico dipen dente, se dal provvedimento la clausola apposta era interpretabile piut tosto come previsione della possibilità di un recesso ad nutum\ 13 luglio 1976, n. 1059, id., 1977, III, 66, con nota di richiami, che ha ammesso il ricorso contro il provvedimento di nomina di un organo collegiale, insieme con quello contro la deliberazione lesiva dell'interesse del ricor rente emanata da tale organo, e in termini rispetto a quest'ultima.

(3) La decisione accoglie l'orientamento che in giurisprudenza appare dominante, nel senso della irrilevanza delle valutazioni soggettive e del le presupposizioni che motivano le dimissioni del pubblico dipendente: Tar Lazio, sez. II, 23 aprile 1990, n. 888, Trib. amm. reg., 1990, I, 1803; Cons. Stato, sez. V, 15 gennaio 1987, n. 9, Foro it., Rep. 1987, voce Impiegato dello Stato, n. 1136; Tar Piemonte, sez. II, 3 febbraio

1986, n. 48, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1012; Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 1983, n. 491, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1109; sez. II 18 febbraio 1975, n. 456/74, id., Rep. 1977, voce cit., n. 1416. Tar Lom

bardia, sez. Ili, 30 settembre 1989, n. 486, Trib. amm. reg., 1989, I, 3918, ha ammesso che il pubblico dipendente può condizionare le pro prie dimissioni all'avvenuto conseguimento del diritto a pensione; Corte

conti, sez. contr., 23 maggio 1985, n. 1555, Foro it., Rep. 1986, voce

cit., n. 1015, in un caso in cui l'amministrazione aveva concorso ad

ingenerare nel pubblico dipendente l'erronea opinione che egli aveva

già raggiunto l'anzianità minima richiesta per il conseguimento del di ritto a pensione, ha dichiarato illegittima l'accettazione delle dimissioni

presentate su tale presupposto.

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

— si collocano su piani diversi, l'una attiene al provvedimento di formazione dell'atto, l'altra presuppone un atto perfezionato.

Nel caso di specie la circostanza che il collocamento a riposo fosse già avvenuto al momento dell'atto di secondo grado avrebbe

reso illegittimo l'esercizio del potere di revoca; infatti, in tal

caso, l'atto di collocamento a riposo avrebbe già prodotto il

suo effetto e quindi l'amministrazione non avrebbe più potuto

agire sull'atto stesso attraverso la revoca. Tale provvedimento di secondo grado, infatti, incide sulla vigenza dell'atto revocato

dal momento della revoca stessa (nel caso, quindi, il colloca

mento a riposo fosse avvenuto, l'atto tipico per la ricostituzio

ne del rapporto di impiego sarebbe stato l'atto di riammissione

in servizio). Nella vicenda in esame la revoca è stata deliberata il 4 feb

braio 1986, mentre la data del collocamento a riposo era quella del 1° agosto 1986. Quindi, legittimamente l'amministrazione, sulla base di una rinnovata valutazione, determinata dalla do

manda dell'interessata, degli interessi sui quali l'atto incideva, ha potuto esercitare il potere di revoca dell'atto di collocamen

to a riposo della sig. Martini.

Pertanto, in accoglimento dell'appello, l'atto di controllo ne

gativo impugnato in primo grado deve essere annullato.

II

Fatto. — Con sentenza n. 323/85 del 9 maggio 1983 - 28

giugno 1985, il Tar per l'Abruzzo, sezione di Pescara, dichiara

va in parte irricevibile, in parte inammissibile ed in parte infon

dato, il ricorso (n. 439/83), proposto da Sorge Alfredo, contro

il provveditorato agli studi di Chieti, per l'annullamento del

provvedimento 7 maggio 1983, n. 1543/C, col quale lo stesso

aveva accolto le dimissioni di esso ricorrente a decorrere dal

10 settembre 1983, nonché gli atti discrezionali di successive istan

ze di revoca delle dimissioni proposte. Il Sorge, aiutante tecnico presso l'istituto magistrale statale

R. Pantini di Vasto, nel presupposto di aver maturato il perio do minimo di servizio per poter usufruire del trattamento pen

sionistico, avvalendosi del ricongiungimento a quello di ruolo

dei servizi precedentemente prestati in aziende private e presso 11 corpo di p.s., aveva chiesto, con istanza del 30 dicembre 1982, di essere considerato dimissionario a decorrere dal 10 settembre

1983. Istanza che veniva accolta dal provveditore agli studi di Chie

ti con l'impugnato provvedimento e di cui veniva data imme

diata informazione all'interessato, salvo l'invio alla Corte dei

conti, per la registrazione.

Senonché, successivamente, con nota del 25 maggio 1983, il

Sorge chiedeva la revoca della precedente domanda di colloca

mento in pensione, sul presupposto che, non riconoscendogli

l'Inps i servizi prestati antecedentemente al rapporto pubblico di impiego, non si trovava nelle condizioni di poter beneficiare

del trattamento minimo di quiescenza. Il provveditore agli studi anzitutto, peraltro, con nota del 3

giugno 1983, n. 10013/C comunicava il non accoglimento della

domanda di revoca, avendo già disposto il collocamento a ripo

so, nota cui si opponeva, in via amministrativa, l'interessato

che rinnovava la domanda di revoca delle precedenti dimissioni, invocando la regolamentazione di cui al telex della presidenza del consiglio dei ministri n. 35349 del 3 giugno 1983, la quale, a suo dire, consentiva la possibilità di revocare le dimissioni

presentate entro il 13 giugno 1983.

Asserzione, quella indicata, contestata dal provveditore agli studi che chiariva con ulteriore nota n. 10829 del 16 giugno

1983, anch'essa opposta dal Sorge, che l'indicato telex consenti

va al personale di sesso maschile la sola revoca di precedente domanda di collocamento a riposo e non già la revoca delle

dimissioni già accettate, per cui si applicava una normativa di

versa da quella invocata e di cui all'art. 10 d.l. 29 gennaio 1983

n. 17, convertito con 1. 79/83.

Ritenuto, pertanto, cessato dal servizio alla data del 7 mag

gio 1983, il Sorge impugnava, con ricorso notificato il 25 set

tembre 1983, il provvedimento di accoglimento delle dimissioni

unitamente ai successivi atti a lui pregiudizievoli, deducendo che

la 1. n. 79 del 25 marzo 1983 di conversione, con modificazioni,

del d.l. 29 gennaio 1983 n. 17, aveva sostituito l'art. 10 del

decreto convertito con una previsione che consentiva di chiede

re, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge mede

sima, e cioè entro il 13 giugno 1983, la revoca delle dimissioni

Il Foro Italiano — 1991.

anche se proposta successivamente all'adozione del provvedi mento di cessazione dal servizio.

Osservava il Tar che l'impugnativa avverso il provvedimento del 7 maggio 1983, n. 1543/C, del provveditore agli studi di

Chieti, di accoglimento delle dimissioni volontarie del Sorge, doveva considerarsi irricevibile, per essere proposta oltre il ter

mine di sessanta giorni dall'avvenuta piena conoscenza.

Lo stesso Tar, inoltre, riteneva inammissibile il ricorso, nella

parte relativa alla deduzione secondo cui il provveditore agli

studi, prima dell'accoglimento dalla domanda di collocamento

in pensione, avrebbe dovuto previamente accertare la sussisten

za dell'anzianità minima di servizio per poter usufruire della

pensione, in quanto afferente a provvedimento divenuto inop

pugnabile perché non gravato nei termini di legge e comunque

perché dedotto con motivo nuovo introdotto con semplice memoria.

Infine, riteneva infondata nel merito la pretesa del ricorrente, atteso che la normativa di cui al 5° comma dell'art. 10 1. 79/83

si riferiva alle sole dipendenti coniugate o con prole a carico

che, ai sensi dell'art. 42, 3° comma, d.p.r. 29 dicembre 1973

n. 1092, avevano diritto, al fine del raggiungimento dell'anzia

nità utile a pensione, ad un aumento di anni di servizio fino

a cinque. Contro l'indicata sentenza del Tar proponeva appello a que

sto Consiglio di Stato il Sorge Alfredo il quale, con ricorso

notificato il 9 novembre 1985, concludeva per la declaratoria

dell'illegittimità della decisione impugnata e per il conseguente annullamento di tutti i provvedimenti contro cui aveva ricorso

in primo grado. (Omissis) Diritto. — (Omissis). Passando, ora, all'esame del proposto

appello, va rilevato, come già precedentemente sottolineato, che

l'impugnata sentenza ha dichiarato l'originario ricorso del Sor

ge irricevibile per la parte relativa all'impugnazione del decreto

del provveditore agli studi di Chieti del 7 maggio 1983 di acco glimento della domanda di dimissioni e del successivo provvedi mento di cui alla nota del 3 giugno 1983, della medesima auto

rità, di reiezione della prima istanza di revoca delle dimissioni

medesime, perché proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla loro piena conoscenza, fatta decorrere dalle rispettive date

di adozione.

Con il proposto appello il Sorge denuncia l'erroneità di tale

determinazione, atteso che la stessa considera, come momento

di piena conoscenza degli atti impugnati, la data della nota del

provveditorato agli studi con la quale lo si informava della loro

adozione.

Rileva, altresì, al riguardo, l'appellante, quanto all'asserita

piena conoscenza dell'atto di accettazione delle dimissioni, che

la comunicazione, a lui pervenuta del relativo provvedimento, era priva della indicazione dei dati necessari alla piena indivi

duazione dell'atto; non era specificato che, in pari data, era

stato adottato un formale provvedimento sulla domanda di col

locamento anticipato in pensione, né era stata indicata l'autori

tà emanante, né la data di emissione, né alcun altro elemento

comunque idoneo a fornire adeguata cognizione circa l'esisten

za effettiva dell'atto.

Per il che, secondo l'appellante, il proposto ricorso andava

considerato ricevibile, dovendo il termine relativo alla sua pro

posizione (sessanta giorni) computarsi dalla data del 7 luglio 1985 (1983), della sua formale comunicazione risultante dall'an

notazione «per ricezione» apposta al protocollo di arrivo dell'i

stituto ove prestava servizio.

In ogni caso, sempre secondo il Sorge, alla data anzidetta

del 7 maggio 1983, considerata dal Tar come data di decorrenza

del termine per impugnare, egli non aveva alcun interesse al

ricorso, in quanto, al momento, assistito dal convincimento di

ottenere dall'Inps il raggiungimento dei servizi pregressi.

Analogamente, poi, secondo il ricorrente, il termine per im

pugnare la nota del 3 giugno 1983, che gli annunciava la reie

zione della prima istanza di revoca, andava fatto decorrere, non

già dalla sua emissione, ma dalla sua conoscenza, concretatasi,

il 13 giugno 1983, all'atto del ricevimento di una sua copia,

come certificato dallo stesso, indicato, protocollo della scuola.

La censura, cosi riassunta, è fondata e merita accoglimento. Ed invero è costantemente affermato nella giurisprudenza del

Consiglio di Stato il principio per cui la piena conoscenza del l'atto amministrativo, da cui vengono fatti decorrere i termini

per la sua impugnazione, deve essere rigorosamente accertata,

anche se all'uopo è sufficiente che essa attenga al provvedi

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PARTE TERZA

mento considerato nei suoi elementi costitutivi essenziali (conte

nuto, oggetto, autorità emanante) (sez IV n. 680 del 14 settem

bre 1984, Foro it., Rep. 1984, voce Giustizia amministrativa, n. 260).

La prova, poi, della piena conoscenza dell'atto impugnato

(relativamente a tutti gli elementi anzidetti) deve essere certa

e non meramente probabile e deve risultare in maniera inconfu

tabile, sia pure in base ad argomentazioni logiche, che non im

plichino, però, vere e proprie presunzioni (Cons, giust. amm.

sic. n. 264 del 24 dicembre 1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 288). Ed ancora, nel caso in cui l'interesse a ricorrere si radichi

in un momento successivo a quello della piena conoscenza del

provvedimento lesivo, è solo da questo momento successivo che

deve farsi decorrere il termine per l'impugnazione; cioè dal mo

mento in cui sussistono entrambi i presupposti della conoscenza

e della lesione, non potendosi ritenere costituzionalmente am

missibile che l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale venga

sottoposto ad un termine tale da rendere assolutamente impos

sibile, nel caso concreto, l'esercizio stesso (Cons, giust. amm.

sic. n. 86 del 10 maggio 1988). Infine, qualora trattasi di atti soggetti a controllo, il termine

per l'impugnazione decorre dal momento in cui gli stessi acqui stano efficacia con l'intervenuto controllo positivo (Cons, giust. amm. sic. n. 223 del 20 dicembre 1988, ibid., n. 300).

Nel caso in esame, il Tar — come già sottolineato — nel

motivare la declaratoria di irricevibilità dell'originario ricorso

relativamente all'impugnazione del decreto del 7 maggio 1983, n. 1543 di accettazione delle dimissioni e della nota del 3 giugno

1983, n. 10013/C di comunicazione della reiezione della domanda

di revoca delle dimissioni stesse, ha disatteso tutti i principi giu

risprudenziali precedentemente enunciati.

In particolare, la sola emissione dei due indicati provvedi

menti, di cui peraltro il primo soggetto a controllo, e rispetto al quale l'interesse all'impugnazione si maturava successivamente, non poteva far ritenere, con quel grado di attendibilità che era

necessario, la piena conoscenza da parte dell'interessato dei prov vedimenti medesimi.

Piena conoscenza che si verificava, invece, alle date successi

ve del 7 luglio 1983, per l'atto di accettazione delle dimissioni, in quanto in tale data se ne faceva all'interessato formale co

municazione ed alla data del 13 giugno 1983, per l'atto di reie

zione della prima istanza di revoca delle dimissioni medesime, in quanto, in tale data, lo si comunicava formalmente al Sorge.

Ciò posto e considerata la parentesi del periodo feriale, il

termine di sessanta giorni, per la proposizione del ricorso, sca

deva, per il primo atto, al 19 ottobre 1983 e, per il secondo

atto, al 28 settembre 1983 per il secondo atto; con la conse

guenza che, notificato il 26 settembre 1983, il ricorso di primo

grado doveva ritenersi ricevibile per entrambi gli atti impugnati.

Ritenuta, quindi, la ricevibilità del ricorso al Tar, in relazio ne ai due provvedimenti anzidetti, e la conseguente mancanza

di interesse all'impugnazione delle successive determinazioni del

l'amministrazione, peraltro meramente confermative di reiezio

ne delle successive istanze di revoca, va respinta, perché infon

data, la censura del Sorge secondo cui l'atto di dimissioni non

avrebbe dovuto avere accoglimento perché condizionato al de

dotto presupposto, non realizzato, della ricongiunzione del pre

gresso servizio pre-ruolo.

Esula, infatti, dai doveri dell'amministrazione l'esame delle

motivazioni soggettive che possono indurre i suoi dipendenti ad

adottare comportamenti capaci di determinare l'estinzione del

rapporto d'impiego, come pure, conseguentemente, di annette

re rilievo a dette motivazioni (sez. VI n. 491 del 15 giugno 1983,

id., Rep. 1983, voce Impiegato dello Stato, n. 1108).

Analogamente infondata è, poi, l'ulteriore censura secondo

cui sussisteva, per il dipendente, un diritto alla revoca delle di

missioni stesse, in relazione alla normativa di cui al d.l. 29 gen naio 1983 n. 17, convertito, con modificazioni nella 1. 25 marzo

1983 n. 79, atteso che il relativo art. 10, invocato specificamen te dall'appellante, non riguardava, indiscriminatamente, tutti i

pubblici dipendenti, bensì, per il richiamo alle pensioni attribui te ai sensi del 3° comma dell'art. 42 d.p.r. 29 dicembre 1973

n. 1092, le sole lavoratrici madri con un'anzianità di servizio

inferiore al minimo di legge generalmente previsto.

Fondata, peraltro, è la censura afferente la revocabilità delle

dimissioni, in quanto le stesse, al momento della proposta revo

ca (del 25 maggio 1983) erano state accettate dall'amministra

zione con provvedimento (del 7 maggio 1983) non ancora effi

li. Foro Italiano — 1991.

cace, perché non registrato alla Corte dei conti (registrazione del 15 giugno 1983).

Se è vero, infatti, che le dimissioni dall'impiego non possono essere revocate dopo l'adozione da parte dell'amministrazione

del provvedimento di accettazione (sez. IV n. 9 del 15 gennaio

1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 1132), è altrettanto vero, a giudizio della sezione, che il provvedimento di accettazione,

per poter produrre l'effetto preclusivo anzidetto, deve essere di

venuto efficace e cioè regolarmente registrato, per gli atti del

tipo qui nominati, alla Corte dei conti.

È evidente, quindi, attesa l'inesistenza del fattore preclusivo invocato dall'amministrazione, che la stessa, nella peculiarità del contesto a parte scritto, doveva tenere conto dell'intervenu

ta revoca e provvedere di conseguenza in ordine ad una fatti

specie circoscritta nei suoi effetti alla sfera giuridica dell'istante.

Nei limiti indicati va accolto l'appello.

I

CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; ordinanza 12 ottobre 1990, n. 1181; Pres. Imperatrice, Rei. Della Valle Pauciullo; Istituto per il diritto allo studio universitario-Università «La

Sapienza» (Avv. dello Stato De Figueiredo) c. Snals-Confsal

(Avv. Rienzi) Annulla Tar Lazio, sez. I, ord. 21 giugno 1990, n. 749.

Sindacati — Repressione della condotta antisindacale del datore

di lavoro ente pubblico non economico — Provvedimento —

Estremi — Fattispecie (Cost., art. 39, 40; 1. 20 maggio 1970

n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavorato

ri, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 28, 37; 1. 6 dicembre

1971 n. 1034, istituzione dei tribunali amministrativi regiona

li, art. 21; 1. 29 marzo 1983 n. 93, legge quadro sul pubblico

impiego, art. 23, 28, 29; 1. 12 giugno 1990 n. 146, norme

sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essen

ziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzio

nalmente tutelati, art. 6, 7).

Non costituisce provvedimento ex art. 28 l. 300/70 (come inte

grato dall'art. 61. 146/90) l'ordinanza la quale pronuncia sulla

richiesta di sospensione degli atti amministrativi impugnati in

ragione del loro denunciato carattere antisindacale ed impone all'amministrazione comportamenti positivi intesi ad elimina

re gli effetti degli atti sospesi (in motivazione, si precisa altre

sì che l'art. 28 nuovo testo configura un procedimento som

mario senza eventualità incidentali e comportante un provve dimento urgente in forma di decreto esaustivamente inibitorio

e, se richiesto in opposizione, una decisione con sentenza, senza che né per l'uno né per l'altro sia previsto l'esercizio di un potere giurisdizionale sostitutivo dell'azione ammini

strativa). (1)

(1-6) Si tratta, per quanto consta, delle prime pronunce rese su impu gnative di provvedimenti amministrativi espressione di comportamenti antisindacali di una pubblica amministrazione, in applicazione dell'art. 28 statuto lavoratori come integrato dalla 1. 146/90.

I. - Il quadro complessivo del sistema della tutela giurisdizionale dei diritti sindacali nel pubblico impiego risulta, a seguito di tale intervento

normativo, il seguente: A) L'art. 28 statuto lavoratori si applica anche ai comportamenti

(che si assumono) antisindacali posti in essere da amministrazioni stata li. Risulta cosi superato il precedente — fermissimo — indirizzo giuris prudenziale che negava l'applicabilità della norma in questione allo Sta to: in tal senso, v. Cass., sez. un., 26 luglio 1984, nn. 4389-4390, Foro

it., 1984, I, 2108, con nota di A. Proto Pisani, cui adde, Cass. 3

giugno 1985, n. 3288, id., Rep. 1985, voce Impiegato dello Stato, n.

829; 16 luglio 1985, n. 4154, id., Rep. 1986, voce Sindacati, n. 84; 25 marzo 1986, n. 2099, id., 1986, I, 2514; 9 aprile 1986, n. 2467, id., Rep. 1986, voce cit., n. 86; 9 aprile 1986, n. 2468, ibid., n. 90; 21 maggio 1986, n. 3371, ibid., n. 89; 15 gennaio 1987, n. 249, id., Rep. 1987, voce Ferrovie e tramvie, n. 175; 13 luglio 1987, n. 6092, ibid., voce Impiegato dello Stato, n. 141; 14 ottobre 1988, n. 5569, id., 1989, I, 624; 20 luglio 1989, n. 3404, id., 1990, I, 137.

B) In conseguenza della generalizzata applicabilità dell'art. 28 statuto lavoratori a tutto il settore del pubblico impiego, perde ragion d'essere

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