sezione Pescara; sentenza 2 aprile 1994, n. 192; Pres. Laurita, Est. Nazzaro; Macchia ed altri(Avv. Follieri, Vasile, Modesti, Piscione), Comune di Pescara (Avv. Lupinetti) c. RegioneAbruzzo ed altro (Avv. dello Stato Coccoli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1994),pp. 441/442-447/448Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188387 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
dell'organo nei cui confronti si svolge la controversia. Questo criterio vale anche per le ipotesi di giurisdizione esclusiva che non presuppongono necessariamente l'esistenza di un atto am
ministrativo;
2) in relazione ai soli atti emanati da organi centrali dello Stato o di enti ultraregionali opera il criterio speciale, derogato rio del precedente, dell'efficacia dell'atto territorialmente limi
tata alla circoscrizione del tribunale, anche se si tratta di atto emanato da organo avente sede fuori della circoscrizione stessa.
A questo va aggiunto l'altro criterio speciale, sempre deroga torio di quello generale, della sede di servizio del pubblico di
pendente, sempre che l'atto non si riferisca inscindibilmente an che ad altri impiegati in servizio nel territorio di altre regioni, nel qual caso si rientra nuovamente nel criterio generale della
sede dell'organo emanante e, quindi, della competenza del Tar
della regione ove la sede medesima si trova.
4. - Dal quadro predetto, che si ricava dalla lettura sistematica
nella normativa positiva in materia, non è dato rinvenire la solu zione al caso di specie. Infatti, non può soccorrere né il criterio
generale della sede dell'ente, né quelli speciali dell'efficacia terri torialmente localizzata dell'atto e della sede di servizio dell'im
piegato, in quanto l'atto impugnato è costituito da una conven
zione, che, coinvolgendo due amministrazioni con sedi in regioni diverse (Liguria e Toscana) che hanno dato vita, in una posizione di eguaglianza all'atto convenzionale non riguardante esclusiva
mente la posizione dell'impiegato dott. Geddes da Filicaia, è de
stinata a produrre effetti nell'ambito di entrambe le regioni. In altri termini, è lo strumento convenzionale, destinato ad
avere una sempre più larga applicazione man mano che si dif
fonderà la formula organizzatoria degli accordi di programma tra enti ed amministrazioni pubbliche, che, proprio per la sua
natura bilaterale rende insufficienti i criteri surriferiti, previsti
per un sistema fondato sull'unilateralità dell'atto amministrativo.
5. - Osserva la sezione che, pur nel silenzo della legge, occor
re rinvenire comunque un criterio sulla base di una interpreta zione sistematica delle norme e dei criteri da esse desumibili.
Orbene, nel caso in cui la convenzione sia intervenuta tra
due enti situati in un'unica regione, e i cui effetti siano destinati
ad esaurirsi nell'ambito regionale, è evidente che la competenza sarà del tribunale di quella regione. E questo è giustificato sia
dal criterio generale della sede dell'autorità emanante e sia da
quello sussidiario dell'efficacia limitata dell'atto.
Nell'ipotesi in cui la convenzione sia intervenuta tra ammini
strazioni con sede in regioni diverse — in tal caso non rileva
se una od entrambe abbiano carattere ultraregionale stante che
10 strumento convenzionale per definizione, in quanto parita
rio, consente di prescindere dalla natura dei soggetti che gli danno
vita — i possibili criteri di applicazione sono o quello della sede
0 quello degli effetti della convenzione.
Se si segue il primo, si ha una competenza concorrente dei
tribunali ove hanno sede le amministrazioni, adibili facoltativa
mente. Se si segue il secondo si ha che: 1) è competente il tribu
nale della regione ove la convenzione produce i suoi effetti, qua lora questi siano localizzabili in un'unica regione; 2) che è com
petente il tribunale della regione dove la convenzione produce 1 suoi maggiori effetti, qualora la convenzione abbia un venta
glio di effetti non localizzabili nell'ambito di una singola regione.
Orbene, la sezione ritiene che dei criteri predetti, entrambi
teoricamente possibili, sia da preferire quello degli effetti, stan
te la sua natura sostanzialistica ed essendo quello del foro alter
nativo una scelta tradizionalmente fissata dal legislatore per ra
gioni di opportunità, che nel caso di specie manca.
6. - Venendo al caso di specie, è agevole ritenere che, non
essendo la convenzione del tipo di quelle destinate ad avere ef
fetti localizzabili nell'ambito di un'unica regione, si debba fare
riferimento alla prevalenza dei suoi effetti, che, tenuto conto
dei vari atti applicativi e del fatto che nel medesimo ricorso
vengano fatte valere anche pretese attinenti ad un rapporto di
pubblico impiego, riconducibili alla convenzione, sembrano espli carsi prevalentemente nell'ambito della regione Toscana, dove
ha sede la Usi 10/E di Firenze e dove opera l'istituto «Centro
integrato di ricerca oncologica».
Pertanto, deve dichiararsi la competenza del Tar per la
Toscana.
7. - È appena il caso di osservare che la competenza del Tar
del Lazio non viene minimamente in risalto nel caso in esame,
non essendovi, tra quelle che hanno dato vita alla convenzione,
amministrazioni con sede nella regione laziale o amministrazio
ni centrali dello Stato.
8. - Per le esposte ragioni il ricorso per regolamento va riget
tato, essendo stato correttamente adito il Tar per la Toscana.
11 Foro Italiano — 1994 — Parte 777-17.
I
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'A BRUZZO; sezione Pescara; sentenza 2 aprile 1994, n. 192; Pres. Laurita, Est. Nazzaro; Macchia ed altri (Avv. Follie
ri, Vaslle, Modesti, Piscione), Comune di Pescara (Avv. Lupinetti) c. Regione Abruzzo ed altro (Avv. dello Stato
Coccoli).
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'A BRUZZO; sezione Pescara; sentenza 2 aprile 1994, n. 192;
Concorso a pubblico impiego — Parentela o affinità fra un membro della commissione e un candidato — Nullità delle
operazioni — Limiti.
La ricorrenza della causa di incompatibilità della parentela o
affinità entro il quarto grado fra un membro della commis sione esaminatrice di concorso pubblico ed uno dei candidati
rende nulle tutte le operazioni concorsuali e non solo quelle
riguardanti quel candidato, con salvezza della sola attività svol
ta fino alla «lettura delle domande» e caducazione degli ulte riori adempimenti a partire dall'ammissione dei candidati. (1)
II
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SI CILIA; sede Catania, sezione III; sentenza 8 marzo 1994, n.
286; Pres. ed est. Caruso; Zocco ed altri (Avv. Centamore) c. Coreco di Siracusa (Avv. dello Stato Di Gesù) e Comune di Lentini.
Sicilia — Concorso a pubblico impiego — Utilizzo delle gradua torie concorsuali — «Dies a quo» (D. leg. pres. reg. sic. 29 ot tobre 1955 n. 6, ordinamento amministrativo degli enti locali
nella regione siciliana, art. 219; d.p.r. 25 giugno 1983 n. 347, norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 29 apri le 1983 per il personale dipendente degli enti locali, art. 24).
Il termine di ventiquattro mesi previsto dall'art. 219 dell'ordi
namento degli enti locali nella regione siciliana - Orel (due anni secondo l'art. 24, 15° comma, d.p.r. 347/83) per l'uti
lizzo delle graduatorie concorsuali ai fini della copertura dei
posti resisi vacanti dopo l'approvazione delle stesse, decorre
(1) 11 principio dell'incompatibilità fra esaminatore ed esaminando nei concorsi pubblici per rapporti di coniugio, parentela e affinità fino al quarto grado e, in generale, per strette relazioni personali viene fatto derivare direttamente dai principi di imparzialità e buona amministra zione che, secondo l'art. 97 Cost., devono regolare l'attività della pub blica amministrazione, anche in occasione del reclutamento del perso nale: v., espressamente, Trga Trentino-Alto Adige, sez. Bolzano, 17 ottobre 1991, n. 159, Foro it., Rep. 1992, voce Concorso a pubblico impiego, n. 144; Cons. Stato, sez. IV, 28 settembre 1982, n. 628, id., Rep. 1982, voce cit., n. 52 e 21 ottobre 1980, n. 1004, id., Rep. 1981, voce cit., n. 63, nonché, oltre le decisioni citate in motivazione, Tar
Lombardia, sez. Ili, 21 aprile 1992, n. 206, ibid., n. 142 e Cons. Stato, sez. VI, 23 maggio 1986, n. 385, id., Rep. 1986, voce cit., n. 72. È stata sancita l'incompatibilità fra componente della commissione d'esa me e concorrente, oltre che per la sussistenza di rapporto di affinità entro il quarto grado (Cons. Stato, ad. plen., 30 giugno 1958, n. 6, id., Rep. 1958, voce Concorso ad un impiego, n. 17, con sanzione di nullità per «i provvedimenti adottati dalla commissione»), anche per il conflitto di interessi derivante dalla pendenza o proposizione di azio ni giudiziarie (Cons. Stato, sez. VI, 6 aprile 1988, n. 404, id., Rep. 1988, voce Concorso a pubblico impiego, n. 53; sez. II 20 ottobre 1982, n. 1066, id., Rep. 1985, voce Istruzione pubblica, nn. 282-284) e la
reciproca posizione di esaminato e di esaminatore in due concorsi ban diti contemporaneamente (Cons. Stato 628/82 cit.; Corte conti, sez.
contr., 19 aprile 1979, n. 965, id., 1980, III, 524, con nota di richiami, ove si sancisce l'annullamento dell'intera graduatoria); la ricorrenza di
rapporti personali di servizio e di collaborazione non è stata ritenuta sufficiente a configurare di per sé sola vizio della procedura consorsua le «la quale è tutelata, per quanto riguarda le prove scritte, dalla loro
segretezza e, per quanto riguarda quelle orali, dalla loro pubblicità»: Cons. Stato, sez. IV, 23 novembre 1988, n. 894, id., Rep. 1989, voce Concorso a pubblico impiego, n. 94.
La sanzione espressa dall'incompatibilità è, peraltro, contenuta in va ri testi normativi (fra gli altri, per i dipendenti degli enti locali, secondo
quanto indicato dal tribunale abruzzese nella sentenza in epigrafe, e
per il personale della scuola, ai sensi dell'art. 433 del nuovo t.u. di
cui al d.leg. 297/94), sempre con riferimento alla sola posizione del membro della commissione esaminatrice; tuttavia, non è stata ritenuta
illegittima la previsione, contenuta nell'art. 5 d.l. 1172/48 in relazione
ai concorsi per assistente ordinario nelle università, dell'obbligo di esclu sione dalle prove del candidato che sia parente o affine entro il quarto
grado con il professore ufficiale della materia (Corte cost. 30 luglio 1984, n. 242, id., 1984, I, 2655, con nota di richiami).
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PARTE TERZA
dall'adozione del provvedimento di approvazione delle gra duatorie medesime, senza rilevanza alcuna per il momento
del riscontro tutorio. (2)
I
Fatto. — Con atto notificato il 21 maggio 1988 e depositato il 27 maggio 1988 (ric. n. 1739/88) i ricorrenti impugnano la decisione della commissione provinciale di controllo di Siracusa
n. 33004/31593 del 31 maggio/26 giugno 1986, di annullamento
della delibera del consiglio comunale di Lentini n. 10 del 18
febbraio 1982, con la quale era stata decisa ai sensi dell'art.
219 dell'Orel l'utilizzazione a loro favore della graduatoria del
concorso pubblico per l'assunzione di operai netturbini appro vata con delibera della giunta municipale n. 69 del 25 gennaio
1984, in cui essi occupavano i posti dal 9° al 15° compreso. Deducono l'illegittimità dell'annullamento da parte dell'orga
no tutorio della delibera n. 10/86, in quanto fondato sull'erro
neo rilievo che la stessa sarebbe stata adottata oltre il termine
di ventiquattro mesi fissato dall'art. 219 dell'Orel (due anni se
condo l'art. 24, 15° comma, d.p.r. 347/83) per l'utilizzazione
delle graduatorie concorsuali.
Infatti, il dies a quo della utilizzabilità biennale della gradua toria in parola non decorrerebbe dalla data di adozione della
relativa delibera di approvazione (n. 69 del 25 gennaio 1984), bensì' dalla data in cui essa ha acquisito efficacia, a seguito del
positivo riscontro da parte della commissione provinciale di con
trollo (decisione del 18 febbraio 1984). In ogni caso il termine di ventiquattro mesi dovrebbe essere
calcolato senza tenere conto dei periodi in cui le assunzioni sia
no vietate per legge (come nella fattispecie si sarebbe verificato
fino al 30 marzo 1986, ai sensi della 1. reg. sic. 39/85). (Omissis) Diritto. — 1. - In via preliminare il collegio ritiene che, attesa
la connessione soggettiva ed oggettiva, i ricorsi in esame vada
no riuniti.
2. - Con il ricorso n. 1739/88 i ricorrenti impugnano la deci
sione della commissione provinciale di controllo di Siracusa n.
33004 del 31 maggio 1986, di annullamento della delibera del
consiglio comunale di Lentini n. 10 del 18 febbraio 1986.
Il gravame è infondato.
Il collegio ritiene infatti che, contrariamente a quanto soste
nuto dai ricorrenti, il dies a quo dal quale decorre il termine di ventiquattro mesi previsto dall'art. 219 dell'Orel per l'utiliz
zo delle graduatorie concorsuali ai fini della copertura dei posti resisi vacanti dopo l'approvazione di queste ultime, sia quello dell'adozione del provvedimento che approva le graduatorie me
desime, senza che abbia rilevanza alcuna il momento in cui su
di esso viene effettuato il riscontro tutorio. È invero pacifico in dottrina ed in giurisprudenza che la fase
di controllo interviene su atto già perfezionatosi e che gli effetti
del visto retroagiscono al momento dell'adozione dell'atto con
trollato, per cui è da quest'ultimo momento che l'atto va ad
ogni fine considerato sussistente.
D'altronde, anche se potesse seguirsi la tesi dei ricorrenti se condo cui il dies a quo andrebbe computato dalla data di appo sizione del visto tutorio, ne conseguirebbe logicamente che il
dies ad quem dovrebbe determinarsi in modo analogo, sicché
nella fattispecie sarebbero comunque decorsi ventiquattro mesi
dall'approvazione della graduatoria (decisione della commissio
ne provinciale di controllo di Siracusa n. 30569 del 24 febbraio
1984) senza che l'organo tutorio si sia pronunziato sulla deci
sione dell'amministrazione di procedere alla copertura dei posti
(2) Anche la regola della proroga della validità delle graduatorie dei concorsi pubblici per un certo tempo (di norma, due anni) dopo la loro approvazione risponde ai principi dettati dall'art. 97 Cost.: v. Tar
Lazio, sez. II, 30 ottobre 1987, n. 1736, Foro it., Rep. 1988, voce Con corso a pubblico impiego, n. 86; il termine di validità viene comune mente fatto decorrere dalla approvazione della graduatoria: Tar Cam
pania, sez. I, 12 settembre 1984, n. 409, id., Rep. 1985, voce Impiegato degli enti locali, n. 38; Tar Umbria 17 febbraio 1982, n. 66, id., Rep. 1983, voce cit., n. 18; Corte conti, sez. contr., 18 febbraio 1982, n. 1234, ibid., voce Concorso a pubblico impiego, nn. 83, 85 (mentre Tar Lazio 1736/87, cit., fa riferimento genericamente all'indizione del
concorso). Sui presupposti per l'esercizio della facoltà di utilizzare le graduato
rie di precedenti concorsi da parte dell'amministrazione, v. Tar Lazio, sez. I, 28 marzo 1990, n. 348, id., 1991, III, 294, con nota di richiami. Per riferimenti di carattere generale sulle procedure dei concorsi pubbli ci e sulla composizione delle commissioni, v. Corte cost. 20 luglio 1994, n. 313 ed altre, in questo fascicolo, parte prima, con nota di ulteriori richiami.
Il Foro Italiano — 1994.
successivamente resisi vacanti (la decisione di annullamento del
la delibera consiliare n. 10/86 da parte della commissione pro vinciale di controllo è del 31 maggio 1986).
Né può condividersi l'argomentazione dei ricorrenti secondo
cui il termine in questione dovrebbe essere calcolato senza tene
re conto dei periodi in cui le assunzioni siano vietate per legge,
perché di una siffatta «interruzione» non vi è traccia nella legge ed essa oltre tutto confliggerebbe con l'interesse pubblico a che
l'assunzione di soggetti selezionati come idonei non avvenga trop
po tempo dopo la selezione. (Omissis)
II
Diritto. — In via gradata va esaminato il motivo riferito alla
regolartià delle operazioni di determinazione dei criteri di valu
tazione dei titoli.
Il provvedimento del Coreco, invero, erra quando rileva una
violazione dell'art. 13, 2° comma, lett. d), per quanto attiene
il momento di determinazione dei criteri di valutazione dei tito
li, che per tabulas risulta essere un'operazione fatta prima delle
prove scritte (verbale n. 2 del 6 luglio 1990), ed avendo il parere del segretario generale, cui peraltro l'atto della sezione fa, sia
pure in forma generica, un rinvio pienamente adesivo, sollevato
la legittimità della operazione di valutazione dei titoli, che an
dava fatta dopo l'espletamento delle prove scritte (art. 13, 2°
comma, lett. f), ma prima dei giudizi dati agli elaborati e del
correlato abbinamento degli stessi, dopo l'apertura delle buste, con i nomi dei corrispondenti candidati.
Nel caso in esame, la valutazione dei titolo è avvenuta dopo la correzione della prova scritta e dopo l'apertura delle buste
piccole, contenenti la generalità dei concorrenti (verbali nn. 13, 14 e 15 del 5 novembre/12 dicembre 1990) e, al di là del carat
tere automatico o discrezionale di detta valutazione, tale com
portamento procedurale della commissione esaminatrice viola
palesemente l'art. 13, 2° comma, reg. concorsi lett. g e / (cui fa rinvio l'art. 1 del bando di concorso), che stabilisce in modo
tassativo l'ordine delle varie operazioni, e stabilisce che l'esame
delle domande, «ai fini della valutazione dei titoli», precede
logicamente e doverosamente il «giudizio sugli elaborati delle
prove scritte e pratiche», nonché «l'assegnazione del relativo
punteggio» e «ammissione alla prova orale».
Decisivo, peraltro, nel caso in esame, è la questione della in
compatibilità del componente la commissione giudicatrice, Cet
teo Nino d'Incecco, affine di terzo grado della candidata Cam
panella Patrizia, graduata al diciannovesimo posto e potenziale vincitrice di concorso, esclusa dalla graduatoria per tale incom
patibilità, tardivamente rilevata.
Parti ricorrenti, invero, fanno propria la tesi del comune, espres sa nella delibera n. 114 del 2 luglio 1993, che, confortato dal de
creto di archiviazione del 15 maggio 1993 del procedimento pena le n. 591/91 a carico del D'Incecco e da una giurisprudenza del
Tar Lazio (sez. I n. 376 del 31 marzo 1989), ha ritenuto di poter
superare «il vizio di incompatibilità», escludendo dalla graduato ria la «concorrente Campanella Patrizia legata da un vincolo di
affinità di terzo grado con un commissario».
Le argomentazioni a sostegno di una siffatta soluzione, che
sacrifica la candidata affine e salvaguardia la gradutoria finale, si basano sulla configurazione della «causa di incompatibilità» come una sorta di «incapacità giuridica speciale o relativa al
compimento di certi atti per la situazione personale» del sogget
to, che si «riverbera sulla funzione non nel suo complesso, astrat
tamente considerato, ma nel suo concreto atteggiarsi in relazio
ne alla propria natura, con la conseguenza che ove essa, pur unitariamente finalizzata ad un unico scopo (come la selezione
di più candidati) sia divisibile in tanti momenti (ad es. in tante singole operazioni valutative), ne risulta viziata solo per quelli ove l'incapacità relativa del contitolare dell'organo rileva», ov
vero il vizio di incompatibilità emergerebbe «solo sulla funzione
giudicatrice nella parte, perfettamente isolabile, in cui essa era
venuto meno alla propria causa di selezione dei più meritevoli,
per il resto perfettamente perseguita». Tale ragionamento consentirebbe, altresì, l'affermarsi a pie
no titolo del principio di salvezza degli atti e delle operazioni concorsuali «non inscindibilmente connessi a quelli viziati per
incompatibilità», e sarebbe perfettamente coerente con la natu
ra di atto plurimo, tipica della delibera di approvazione della
graduatoria di un concorso, che, pur contenendo in un unico
contesto formale una pluralità di nomine, ciascuna di esse resta
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
distinta ed autonoma per quel che attiene la singola posizione «finale» dei candidati.
Il collegio, pur apprezzando il lodevole sforzo ermeneutico, teso essenzialmente a salvaguardare la posizione degli altri sog getti utilmente collocati in graduatoria, che non può non trova re adesione sul piano umano, ed a valorizzare in modo assor bente i principi dell'affidamento e della buona fede, sia dei com missari che dei concorrenti, nonché il principio di economia dei mezzi giuridici, in connessione alla conservazione dei valori giu ridici ed alle esigenze funzionali dell'ente, non può esimersi dal
ricordare l'assolutezza delle norme concorsuali. Gli art. 1-13 del regolamento dei concorsi (delibera n. 409
del 4 agosto 1987 e successive modifiche ed integrazioni), cui
11 bando fa pieno ed espresso rinvio (art. 1), disciplinano in maniera puntuale e tassativa tutte le operazioni concorsuali e, relativamente alla commissione giudicatrice, la disposizine (art. 12 bis) è stata sempre perentoria, fin dalla prima stesura, nel l'affermare che non possono far parte della commissione com
ponenti legati tra loro o «con alcuno dei candidati da vincoli di parentela od affinità fino al quarto grado», obbligando gli stessi a fare una «esplicita dichiarazione di inesistenza di tali
incompatibilità», dandone atto a verbale, nella seduta «di inse diamento subito dopo la lettura delle domande», dalle quali è possibile rilevare le generalità dei candidati, prevedendo, per l'ipotesi di incompatibilità, la modifica della composizione del la commissione medesima.
In presenza di una disciplina cosi perentoria, è superfluo il richiamo a tutte le norme similari, quali: art. 290 t.u. n. 248
del 1915, 148 e 279 t.u. n. 383 del 1934, 149 t.u. n. 3 del 1957, 51 c.p.c., che si ispirano, peraltro, ad un principio di valore
generale ricavabile dall'art. 97 Cost. (Trga n. 305 del 6 agosto 1992, Foro it., Rep. 1993, voce Atto amministrativo, nn. 139,
140), che impone a tutti gli organi, chiamati a formulare giudizi valutativi, come nel caso di una commissione concorsuale, di
informare la propria attività ai canoni di imparzialità, di obiet
tività, e di trasparenza, non disgiunta da una posizione di «neu
tralità», formalmente apprezzabile dall'esterno.
Essi sono principi di valore assoluto e tali da escludere il ri
corso alla stessa «prova di resistenza», cui sostanzialmente si
viene ad ispirare il proposto ragionamento sulla «isolabilità del
la causa di incapacità». Non è, infatti, possibile sostenere che la incompatibilità, rela
tivamente al rapporto specifico «di affinità» tra componente e singola candidata, verrebbe meno, in mancanza di astensione
da parte del primo, con la esclusione, fatta d'ufficio, dalla con
corrente, confortando tale assunto con una eventuale carenza
di interesse a ricorrere, da parte degli altri concorrenti non vin
citori, che, invero, non avrebbero interposto gravame nei con
fronti della graduatoria finale.
L'argomento non convince, perché si ipotizza la mancanza
di impugnative avverso un atto che non ha mai avuto efficacia, essendo stato caducato dall'organo di controllo, e quindi de
facto manca quella verifica di «resistenza» della graduatoria «de
pennata» della vincitrice affine in terzo grado con il componen te la commissione giudicatrice.
Ciò che lascia maggiormente perplesso il giudicante è proprio il sacrificio «imposto» alla concorrente, che pure può invocare
una precisa tutela costituzionale (art. 97, 3° comma, Cost.), non essendo codificata né come regola generale, né nella fatti
specie in esame, alcuna norma che ingiunga ad una libera citta
dina di doversi ritirare da un concorso pubblico, perché un suo
affine fa parte della commissione giudicatrice. I principi che disciplinano la incompatibilità sono, invero, quel
li già esposti in precedenza e vanno nel senso opposto all'opera to dell'amministrazione, perché l'incompatibilità afferisce al com
missario, che diviene incapace a ricoprire la funzione, e perciò è questi obbligato a dichiarare la sua personale situazione «con
flittuale», non per un dovere di astensione nella singola opera zione concorsuale, interessante la sua affine, bensì, per essere
sostituito nella stessa commissione, di cui non può, a norma
di regolamento, «far parte». L'assolutezza della regola esclude ogni discussione sulla natu
ra dell'atto plurimo e rende irrilevante la stessa scindibilità delle
singole posizioni concorsuali dei candidati.
II D'Incecco, infatti, è stato chiamato a far parte da un «or
gano collegiale straordinario», che viene meno quando ha esau
rito i propri compiti concorsuali, il quale opera come un «colle
gio perfetto», e quindi deve deliberare con la presenza di tutti
i suoi membri.
Dal verbale n. 1 del 20 marzo 1990 risulta che la commissione
si compone di un presidente e quattro componenti effettivi, senza
li Foro Italiano — 1994.
membri supplenti, è, pertanto, del tutto fuori ipotesi un funzio namento della stessa, sia pure limitato ad un singolo esame, con l'astensione di un suo componente, essendo essenziale la
presenza di tutti i membri per avere, «qualitativamente e quanti tativamente», un giudizio comune (Corte conti, sez. contr., n. 115 del 10 dicembre 1991, id., Rep. 1992, voce cit., nn. 156, 157).
Dalla natura della commissione giudicatrice, discende la par ticolare funzione di singolo componente, che non può essere
atomisticamente considerata, avendo essa un suo continuum ed essendo la presenza del commissario un fatto costante in ogni operazione concorsuale.
Ed invero, questi, nell'esprimere un giudizio su un candidato, non ignora certamente come una determinata valutazione, in
plus o in minus, può incidere sulle varie posizioni in graduato ria e quindi può, in via teorica, essere sempre sospettato che,
per favorire la concorrente sua «affine», abbia espresso dei giu dizi finalizzati a comprimere il reale valore delle prove altrui, falsando cosi la graduatoria nel suo complesso.
Ed è superfluo ricordare che, dall'eventuale intento per favo
rire un candidato, il commissario a ciò interessato può essere
spinto ad evidenziare talune carenze delle prove di altri concor
renti (ai fine di escluderli dalle prove orali o di far dare loro
un punteggio basso) e cosi esaltare la prova della candidata
affine. La stessa esclusione a posteriori dalla graduatoria della
«concorrente-protetta», non avrebbe sicuramente l'effetto di ri
definire «obiettivamente» tutte le altre posizioni. Né, per salvaguardare la par condicio tra i candidati, giova
obiettare che essa sarebbe stata comunque tutelata dalla segre tezza, per le prove scritte, e dalla loro pubblicità, per quelle orali, in quanto tali circostanze estrinseche, non possono elimi
nare quel sospetto di «favoritismo», mancando a priori quella «neutralità», anche formale, inderogabilmente richiesta dalla nor
mativa concorsuale e che prescinde sia dalla dimostrazione della
sussistenza di concreti atti, positivi o negativi, di «parzialità», sia dalla dichiarata buona fede soggettiva.
Le disposizioni in tema di incompatibilità, infatti, sono rivol te essenzialmente ad assicurare il prestigio della sua amministra
zione, garante della imparzialità della sua azione, ed essa, per
tanto, si pone come una circostanza obiettiva, tale da viziare
tutta la procedura concorsuale (Cons, giust. amm. sic. n. 440
del 28 dicembre 1990, ibid., n. 165). Si è molto insistito, e dall'ente e dalle difese presenti in giudi
zio, che «la causa di incompatibilità» non potrebbe essere invo
cata nel caso in esame, perché il componente D'Incecco non
si sarebbe mai reso conto, né prima, né durante, né alla fine
della procedura concorsuale, della presenza tra i candidati di
una sua «affine in terzo grado», e ciò sarebbe provato dalle
dichiarazioni rese dal medesimo, al momento dell'inizio dei la
vori della commissione giudicatrice (verbale n. 2 del 6 luglio
1990), e, su espressa richiesta della giunta municipale (delibera n. 102/93), dopo la formazione della graduatoria (verbale del
12 marzo 1993), nonché dall'archiviazione, in sede penale, del
procedimento n. 500/92, che afferma come «dalle indagini esple tate non sono emersi gli elementi sufficienti per sostenere l'ac
cusa in giudizio» per il reato di «falsità ideologica commessa
dal pubblico ufficiale in atti pubblici» (art. 479 c.p.), in relazio
ne alla veridicità del contenuto delle dichiarazioni rese.
La formula adoperata dal giudice penale fa ritenere che vi
sia stato un difetto dell'elemento soggettivo, non essendosi po tuto accertare che il D'Incecco abbia «dolosamente realizzato
il fatto».
Sul piano dell'azione amministrativa, invero, l'elemento sog
gettivo dell'agente ha una sua rilevanza al fine di accertare la
rispondenza dell'atto «all'interesse pubblico specifico», né è suf
ficiente dimostrare la buona fede soggettiva del funzionario per ché possa essere escluso l'eventuale eccesso di potere dell'atto
o la violazione di legge. Nella fattispecie in discussione, l'assenza di ogni causa di in
compatibilità nei commissari di esame è richiesta come obiettiva
condizione ottimale per attuare il principio di imparzialità della
pubblica amministrazione ed ottenere un risultato concorsuale
che premi realmente i più meritevoli, finalità che realizza piena mente sia l'interesse pubblico della pubblica amministrazione, a vedere selezionati i migliori tra i vari concorrenti, sia l'effetti
vità del diritto al lavoro, quale scelta autonoma di ogni cittadi
no (art. 4 Cost.).
Allorquando la norma regolamentare chiede una esplicita di
chiarazione di inesistenza di incompatibilità, resa a verbale nel
la seduta di insediamento e subito dopo la lettura delle doman
de ammesse, e la giunta municipale, con apposita delibera n.
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PARTE TERZA
102 del 1° febbraio 1993, rinvia gli atti alla commissione giudi catrice perché verifichi «se sussistono o meno cause di incom
patibilità (originarie o sopravvenute nella pendenza della proce
dura), acquisendo rinnovate le formali dichiarazioni», è eviden
te che sussiste per i commissari un vero e proprio «obbligo di
diligenza», che va al di là della semplice verifica nominale degli ammessi al concorso.
Non può, invero, non ravvisarsi, stante i precisi doveri con
nessi alla predetta funzione e discendenti dalla specifica norma
tiva interna, una «negligenza» nel rilasciare una dichiarazione
di assenza di vincoli di parentela o di affinità entro il quarto
grado, per ben due volte, e ciò dopo aver preso conoscenza
dei «nominativi dei candidati partecipanti al concorso» (verbale n. 2 del 6 luglio 1990), aver stilato «una scheda individuale di
valutazione della documentazione annessa alla domanda ed in
particolare . . . con ... le generalità complete dell'aspirante can
didato e la residenza» (verbale n. 4 del 12 ottobre 1990), aver
esaminato le domande individualmente (verbale n. 6 del 22 ot
tobre 1990), aver fatto l'appello nominale dei soggetti presenti alla prova scritta (verbale n. 10 del 2 dicembre 1990), aver aper to le buste per l'abbinamento o la formazione dell'elenco degli ammessi (verbale n. 13 del 5 dicembre 1990), aver valutato i
titoli per singolo candidato (verbale n. 14 dell'11 dicembre 1990), aver espletato la stessa prova orale (verbali nn. 16 e 17 del 19
e 20 dicembre 1990), e, infine, aver riesaminato il tutto in sede
di invito formale della giunta, sollecitata da un parere legale che poneva dubbi sulla regolarità della procedura concorsuale.
Non è giustificabile, dopo tutte queste varie operazioni affe
renti i singoli concorrenti, che non si sia responsabilmente af
frontata la questione della «incompatibilità», limitandosi a una
mera dichiarazione di rito (verbale del 12 marzo 1993). La illegittimità della procedura concorsuale, peraltro, non può
venire meno con la esclusione ex post della Campanella Patrizia, cui non può imputarsi alcun addebito specifico, essendo la incom
patibilità stabilita per i commissari e non per i candidati. (Omissis) In sintesi, la incompatibilità prevista per il D'Incecco è assolu
ta e non relativa; questi, infatti, non è semplicemente incapace di esaminare la sua affine in terzo grado, ma del tutto inidoneo
a fare paté della stessa commissione giudicatrice, e, come moti
vato, è del tutto impossibile che un tale organo, che è un collegio
perfetto e per di più privo di membro supplente, possa operare con una collegialità incompleta per un singolo caso specifico.
La stessa invocata buona fede, idonea ad escludere l'elemen
to soggettivo del reato, non può, invece, avere alcuna efficacia
sanante in sede di attività amministrativa, obiettivamente fina
lizzata ad un risultato di legittimità, possibile solo con il rigoro so rispetto della disciplina concorsuale, che non rappresenta so
lo un atteggiamento astratto o meramente formale, ma un valo
re sostanziale e preminente rispetto agli stessi canoni di
affidamento, di conservazione dei valori giuridici e di economia
dell'azione amministrativa.
Ciò posto, bisogna stabilire il momento in cui si è determina
ta l'operatività della causa di incompatibilità. La norma regolamentare dice che la relativa dichiarazione di
incompatibilità va resa a verbale «nella seduta di insediamento
subito dopo la lettura delle domande», momento in cui doveva
porsi da parte dei singoli commissari il massimo di «diligenza», venendo questi a prendere cognizione diretta dei singoli nomi
nativi dei concorrenti e quindi ad essere in grado di valutare
criticamente l'esistenza o meno di possibili «vincoli di parentela od affinità fino al quarto grado», e, cognita causa, di fare la
relativa «dichiarazione».
Conseguentemente, l'attività svolta fino alla «lettura delle do
mande», certificata nel verbale n. 2 del 6 luglio 1990, deve rite
nersi immune da vizi, anche perché è mancata l'adozione di
deliberazioni interessanti i candidati, e può, salva diversa valu
tazione amministrativa, essere utilmente conservata da parte del
l'amministrazione.
Gli ulteriori adempimenti che vanno dall'ammissione dei can
didati, alla «ripartizione dei punteggi tra titoli e prove di esa
me», fino alla compilazione della graduatoria finale, devono
essere caducati, in conformità di quanto illustrato in motivazione.
Conclusivamente, la richiesta principale di annullamento del
la decisione del Coreco, sezione di Pescara, va respinta, mentre
deve essere accolta la domanda subordinata, di cui al ricorso
n. 1077/93, tesa alla conservazione delle attività svolte anterior
mente al momento del possibile emergere della oggettiva situa
zione di incompatibilità. Erroneo, infatti, sarebbe voler sostenere che potrebbero esse
re fatte salve anche le altre attività, almeno fino agli elaborati
scritti dai candidati, con ricorso per essi ad eventuali meccani
II Foro Italiano — 1994.
smi di ristabilimento della situazione di anonimato per la nuova
commissione giudicatrice, poiché, oltre alla difficoltà di indivi
duare con certezza un siffatto sistema, una volta che è stata
pubblicizzata la paternità dell'elaborato, deve considerarsi che
il commissario incompatibile, avendo concorso alla determina
zione dei temi, può, in via ipotetica e meramente teorica, aver
accennato alla propria affine i possibili argomenti del tema.
Che poi, in concreto, ciò non si sia verificato, come farebbe
ritenere l'archivizione in sede penale, non può rilevare nel caso
di specie, dovendo la procedura concorsuale, stante la tassativa
previsione normativa, svolgersi, per quanto possibile, senza l'om
bra di alcun sospetto, collegiale alla presenza di un commissa
rio d'esame chiaramente incompatibile.
I
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL MO LISE; sentenza 7 febbraio 1994, n. 28; Pres. Onorato, Est.
Basilavecchia; Farricelli (Aw. Mazzocco, Masiani) c. Min.
pubblica istruzione.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL MO LISE; sentenza 7 febbraio 1994, n. 28; Pres. Onorato, Est.
Istruzione pubblica — Supplenza — Annullamento d'ufficio —
Avvio del procedimento — Comunicazione all'interessato —
Difetto — Illegittimità (L. 7 agosto 1990 n. 241, nuove nor
me in materia di procedimento amministrativo e di diritto
di accesso ai documenti amministrativi, art. 7).
È illegittimo l'annullamento d'ufficio del conferimento di una
supplenza d'insegnamento, se l'amministrazione non abbia co
municato all'interessato l'avvio del procedimento. (1)
II
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SI
CILIA; sezione di Catania; sentenza 31 gennaio 1994, n. 67; Pres. Passanisi, Est. Brugaietta; Arena (Avv. Rugolo) c.
Direzione compartimentale delle poste della regione siciliana
(Avv. dello Stato Majorana).
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Distacco — Revoca — Avvio del procedimento — Comunicazione all'interessato —
Difetto — Illegittimità (L. 7 agosto 1990 n. 24i, art. 7).
È illegittima la revoca del distacco di un pubblico dipendente, se l'avvio del procedimento a conclusione del quale è stata
disposta, non sia stato comunicato all'interessato. (2)
(1-2) Il quadro della giurisprudenza che si sta formando, sul dovere dell'amministrazione di comunicare agli interessati l'avvio del procedi mento per l'emanazione di un provvedimento che li riguarderà (art. 7 ss. 1. 241/90), è stato delineato in nota a Tar Campania, sez. V, 14 settembre 1993, n. 485, Tar Lazio, sez. II, 26 marzo 1993, n. 370 e Tar Toscana, sez. I, 3 marzo 1993, n. 207; Foro it., 1994, III, 254.
Le due pronunce che ora si riportano sono univoche, nel senso che al beneficiario di un provvedimento favorevole (nei casi decisi: conferi mento di una supplenza di insegnamento, e di un distacco ad un pub blico dipendente), deve essere comunicato l'avvio del procedimento che
potrebbe concludersi con un ulteriore provvedimento (annullamento d'uf
ficio, revoca) di eliminazione del primo, o, almeno, dei suoi effetti fa
vorevoli; e ciò a pena di illegittimità di quest'ultimo. Nella giurisprudenza successiva a quella richiamata nella nota citata,
v., sul principio generale della illegittimità dei provvedimenti emanati a conclusione di un procedimento il cui avvio non sia stato comunicato
agli interessati, Tar Lombardia, sez. Ili, 14 febbraio 1994, n. 61, Trib. amm. reg., 1994, I, 1406.
Però, nel senso della ammissibilità della deroga, nel caso di provvedi menti dovuti, Tar Puglia, sez. I, 15 dicembre 1993, n. 1099 (diffida ad un sanitario, docente universitario, a cessare dalla situazione di incompa tibilità determinata dall'esercizio di attività libero-professionale in case di cura convenzionate col servizio sanitario nazionale; in motivazione, si ac cenna anche alla necessità dell'«effetto sorpresa», per la rilevazione della
incompatibilità stessa), ibid., 804. E nel caso della sussistenza di esigenze di celerità, Trib. sup. acque 7 dicembre 1993, n. 121 (occupazione d'ur
genza di un'area di proprietà privata), Cons. Stato, 1993, II, 2247. Per altri riferimenti, sotto diverso punto di vista, Tar Abruzzo 28
ottobre 1993, n. 527, Trib. amm. reg., 1993, I, 4662, che, per la comu nicazione ad un interessato (nella specie, ad un comune), dell'avvio del
procedimento in vista dell'imposizione di un vincolo paesaggistico, ha considerato sufficiente l'invio ad esso, per conoscenza, da parte della
soprintendenza ai beni ambientali, di una lettera avente altro soggetto per destinatario principale (nella specie, una regione), purché con l'in dicazione di tutti gli elementi richiesti dall'art. 8 1. 241/90.
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