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PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || Sezione V; decisione 22 dicembre 1948, n. 849; Pres....

Date post: 31-Jan-2017
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Sezione V; decisione 22 dicembre 1948, n. 849; Pres. Severi P., Est. Gallo; Comune di Pietradefusi (Avv. Mortati, D'Audino) c. Presidenza consiglio dei ministri, Ministero interni, Prefetto di Avellino (Avv. dello Stato Vitucci), e Comune di Venticano (Avv. Romano, Iaccarino) Source: Il Foro Italiano, Vol. 72, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1949), pp. 25/26-27/28 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23138907 . Accessed: 28/06/2014 19:03 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.101.146 on Sat, 28 Jun 2014 19:03:10 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione V; decisione 22 dicembre 1948, n. 849; Pres. Severi P., Est. Gallo; Comune diPietradefusi (Avv. Mortati, D'Audino) c. Presidenza consiglio dei ministri, Ministero interni,Prefetto di Avellino (Avv. dello Stato Vitucci), e Comune di Venticano (Avv. Romano,Iaccarino)Source: Il Foro Italiano, Vol. 72, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1949),pp. 25/26-27/28Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23138907 .

Accessed: 28/06/2014 19:03

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25 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA , 26

CONSIGLIO DI STATO.

Sezione V ; decisione 15 gennaio 1949, n. 12 ; Pres. Se

veri P., Est. Fiaccavento ; Verrecchia (Avv. D'Au

dino) c. Istituto naz. previdenza sociale (Avv. Djs

Cakolis, Romita, Camagna).

Impiegato pubblico — Dimissioni d'ufficio — Fonda

mento (K. d. 30 dicembre 1923 n. 2960, stato giuri dico degli impiegati dello Slato, art. 36, comma 3° ; r. d. 3 marzo 1934 n. 383, t. u. legge comunale e pro vinciale, art. 213).

Mentre nelle dimissioni volontarie la dichiarazione dell'im

piegato è diretta a rinunciare all'impiego, nelle dimis

sioni d'ufficio è presunta la volontà di non prestare ser

vizio. (1) Accertato il fondamento di tale volontà, sussiste la presun

zione juris et de jure di abbandono dell'impiego. (2)

La Sezione, ecc. — (Omissis). La prima considerazione

da fare (non originale per certo, ma forse obliata) è che

l'istituto delle dimissioni volontarie e quello delle dimis

sioni d'ufficio non sono istituti paralleli, perchè non po sano su di una stessa base, come potrebbero lasciar cre

dere la comunanza del sostantivo nella denominazione e

il fatto, in verità formale ed esteriore, che l'uno e l'altro

sono disciplinati da un medesimo articolo di legge. Le

dimissioni volontarie sono basate evidentemente sulla di

chiarata volontà di dimettersi ossia di abbandonar l'uffi

cio o impiego o posto ; facile quindi nella grandissima

maggioranza dei casi interpretare tale volontà, chè non

occorre procedere per presunzioni. Le dimissioni d'ufficio

invece, basate anche esse su di un atto di volontà del

l'impiegato, non si differenziano dalle dimissioni volon

tarie per il fatto che in quelle la volontà è soltanto pre

sunta, mentre in queste è dichiarata. Se tutta questa fosse

la differenza, la legge dopo avere statuito che le dimis

sioni debbono essere date per iscritto, dopo avere escluso

le dimissioni orali, ammetterebbe le dimissioni tacite o

implicite e però quell'esclusione non avrebbe più alcun

senso.

Ma la differenza, che è sostanziale, sta nel contenuto

della volontà stessa, il quale nelle dimissioni volontarie è

dato, come s'è detto, dalla volontà di rinunciare all'im

piego, mentre nelle dimissioni d'ufficio è volontà di non

prestar servizio. Che è ben diversa cosa. Diversa ma non

incompatibile con la volontà di conservare l'impiego e il

congiunto trattamento economico, chè anzi si può dire che

è diffìcile trovare una volontà di conservar l'impiego più ardente e più manifesta di quella che d'ordinario si os

serva nell'impiegato cui fa difetto una. seria volontà di

prestar servizio.

L'altra considerazione da fare è che nelle dimissioni

d'ufficio occorre esaminare se il comportamento dell'im

piegato lasci fondatamente presumere la mancanza d'una

(1-2) La presente decisione afferma, in linea generale, rela

tivamente alle dimissioni di ufficio, un principio che si distacca dalla costante giurisprudenza, la quale, pur rilevando che fonda

mento di tali dimissioni è la volontà del dipendente di sottrarsi

agli obblighi derivanti dal rapporto di impiego, ha richiesto, allo

scopo di identificare tale volontà, l'onere della intimazione al

l'impiegato di assumere servizio. Vero è che in recenti pronuncio si era affermato il principio che dall'adempimento di tale onere si potesse prescindere, in presenza di particolari circostanze (cfr. tra l'altre, IV Sez. 28 novembre 1947, Foro it., 1948, III, 27, e

v. quivi i richiami dei precedenti ; I Sezione parere 27 novembre

1947, Riv. amm., 1948, 525), che qualificassero la mancata pre stazione del servizio come volontà diretta a sottrarsi agli obbli

ghi dell'impiego. La presente decisione sussume nell'ambito di un più generale

principio la possibilità di derogare all'onere della diffida, una volta

che sia accertato nel compo-tamento dell'impieeato il fondamento

(nel senso di direzione, di scopo) della volontà di non prestare servizio.

In tema di dimissioni di ufficio, v. da ultimo Guicciardi, in Giur. it., 1948, III, 33.

seria volontà di prestar servizio ; ma una volta ricono

sciuto il fondamento di tale presunta volontà non si

ha da accertare altresì la volontà di abbandonare l'im

piego, poiché questa si congiunge alla prima per ef

fetto d'una praesumvtio iuris et de iure. Insomma !a

legge dice all'impiegato : se tu senza giustificato mo

tivo non assumi o non riassumi servizio entro il prefisso termine, se tu senza giustificato motivo stai assente dal

l'ufficio per un periodo superiore ai 10 giorni, io mi ri

terrò lecito di trarre da questo tuo comportamento la

presunzione che tu voglia abbandonare l'impiego e il re

lativo stipendio, nè per ciò ti considererò dimissionario, ma trarrò invece la persuasione che tu nou voglia seria

mente prestar servizio e ti tratterò come se fossi un im

piegato che abbia dichiarato di volersi dimettere.

La legge parlando di non assumere o di non riassu

mere servizio mostra di non guardare che al fatto del

prestare o non prestare servizio, che può presupporre una

volontà o meno di prestar servizio, e non già, come s'è

visto, una volontà di conservare il posto o di volervi ri

nunciare. E anche la diffida, che questo Consiglio di Stato

ha quasi costantemente preteso, per dar un.senso al fatto

del non assumere o riassumere servizio, quando la sua in

terpretazione non apparisse sicura, non si giustificherebbe se il fatto stesso dovesse essere necessariamente interpre tato per effetto d'una praesumptio iuris et de ture quale atto di volontà di rinunciare al posto. (Omissis)

Per questi motivi, rigetta, ecc.

CONSIGLIO DI STATO.

Sezione Y ; decisione 22 dicembre 1948, n. 849 ; Pres. Se

veri P., Est. Gallo ; Comune di Pietradefusi (Avv.

Mortati, D'Audino) c. Presidenza consiglio dei mi

nistri, Ministero interni, Prefetto di Avellino (Avv. dello Stato Vitucci), e Comune di Yenticano (Avv. Ro

mano, Iaccarino).

Legge — Potestà legislativa eccezionale del Governo —

Termine — Entrata in funzione del Pai-lamento (D.

1. 25 giugno 1944 n. 151, sulla assemblea costituente

e sulla facoltà del Governo di emanare norme giuridi

che, art. 4).

Legge — Norma delegata in base al d. 1. 25 giugno

1044 n. 651 — Emanazione successiva alla Costitu

zione — Promulgazione da parte del Capo dello

Stato — Legittimità (D. 1. 25 giugno 1944 n. 151,

art. 4 ; Costituzione della Repubblica, art. 87).

Il termine finale (entrata in funzione del Parlamento) fis

sato dal decreto legge 25 giugno 1944 n. 151 all'esercizio

del potere legislativo eccezionale attribuito al Governo, va

riportato alla data della convocazione del Parlamento e

non a quella delle elezioni. (1) Le norme delegate emanate in base all'esercizio dell'eccezio

nale potere legislativo preparlamentare non rientrano nel

l'ipotesi di delegazione normale prevista dalla Costituzione,

e non debbono perciò essere emanate dal Capo dello

Stato, che ha quindi conservato nei loro confronti il po

tere di promulgarle. (2)

La Sezione, ecc. — (Omissis). Venendo al merito

del ricorso, è da premettere che i primi due motivi,

(1-2) La Sezione non ha avuto modo di pronunciarsi sul

punto se la disposizione transitoria XYII della Costituzione ab

bia mantenuto anche successivamente, nel periodo precedente le

elezioni, la eccezionale potestà legislativa esercitata dal Governo

nel periodo preparlamentare e precostituzionale, avendo il ricor

rente aderito alla tesi positiva sostenuta dai resistenti ; e avendo

così rinunciato al relativo mezzo di ricorso. In dottrina vedi per

la tesi positiva : 0. M. Iaccarino, Osservazioni sull'esercizio del

potere legislativo prima dell'assestamento costituzionale, ecc., in

Foro it., 1948, III, 219. Contra: Tesauro e Guarino, Incosti

tuzionalità dei decreti legi lutivi po teriori al 1° gennaio 1948,

in Rassegna di diritto pubblico, 1948, I, 123.

Il Foro Italiano — Volume LXX.11 — Parte III-3,

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PARTE TERZA

nella parte in cui si deduceva ohe la disposizione transi

toria XVII della Costituzione si dovrebbe interpretare come abrogativa del decreto legisl. luog. 16 marzo 1946

n. 98 modificativo ed integrativo, a sua volta, del decreto

legge 25 giugno 1944 n. 151, nei quali, com'è noto, trova

fonte l'eccezionale potestà legislativa esercitata dal Go

verno nel così detto periodo precostituzionale e preparla mentare, sono stati chiariti nel senso che la tesi era af

fermata in via meramente cautelativa. Nella discussione

orale invero il patrono del Comune ricorrente ha esplici tamente dichiarato di fondare il suo ricorso sui mezzi

ulteriormente dedotti, e di dare quindi per ammessa l'op

posta tesi sostenuta da parte della dottrina, secondo la

quale le precedenti norme sulla potestà legislativa del

Governo non sarebbero state modificate dalla disposizione XVII, nemmeno rispetto al limite di durata della potestà stessa non oltre il giorno delle elezioni, limite che riguar derebbe, invece, la sola prorogatio dell'Assemblea costi

tuente.

Ciò posto, il ricorrente afferma che, quando anche si

ritenga la persistenza, pur dopo l'entrata in vigore della

Costituzione, della fonte della potestà legislativa del Go

verno, derivante dal decreto legge n. 151 e dal decreto

legisl. n. 9S testé menzionati, la conclusione non muta,

poiché il termine finale prefissato dall'art. 4 decreto n. 151

per la durata della competenza governativa è quello del

l'» entrata in funzione del nuovo Parlamento », e non sem

bra dubbio che tale entrata in funzione coincida con la

elezione dei suoi membri. È infatti il giorno delle ele

zioni, si soggiunge, che vale come dies a quo per la de

correnza del termine della durata normale delle Camere ; è dal giorno delle elezioni, e per il solo fatto di queste, che i deputati entrano nel pieno esercizio delle loro fun

zioni (come è testualmente detto dall'art. 1 del regola mento della Camera dei deputati), rendendo così, per que sto solo fatto, possibile la funzionalità dell'organo di cui

sono titolari.

Ma a simile affermazione il Collegio obietta che la di

zione del decreto legge n. 151 « sino all'entrata in fun

zione del nuovo Parlamento » incontra un chiarimento te

stuale nel successivo decreto legisl. luog. n. 98, che ado

pera l'espressione (art. 3) « fino alla convocazione del Par

lamento a norma della nuova Costituzione », con evidente

riferimento, quindi, all'effettività della convocazione o

« prima riunione delle nuove Camere », che la Costituzione

ha poi fissato (art. 61) non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni e che in concreto si è verificata l'8 maggio 1948; pertanto la tesi della coincidenza dell'entrata in

funzione con le elezioni, anche se esatta sotto gli altri

profili rilevati dal ricorrente, non è sostenibile per il di

verso fine che il legislatore ha tenuto espressamente pre sente nell'art. 3 testé ricordato.

Né giova soggiungere, in via subordinata, come si fa

ancora dal ricorrente, che la convocazione in parola si ri

ferisce a quella ordinaria, ma non esclude quelle altre

convocazioni straordinarie, le quali, previste nell'art. 62

della Costituzione, possono aver luogo fin dal momento

in cui le Camere sono elette ed entrano in funzione, at

teso il contrario rilievo che tali straordinarie convocazioni,

per lo stesso art. 62, essendo in dipendenza dell'iniziativa

dei rispettivi Presidenti o del Presidente della Repubblica o di un terzo dei rispettivi componenti, sono collegate ad

ipotesi eccezionali, in contrasto perciò, non solo con la

lettera del menzionato art. 3, ma anche con la ratio giu stificatrice della proroga dei poteri normativi del Governo,

che il ricorrente medesimo ravvisa nella pratica impossi bilità di funzionamento dei normali organi legislativi. E

nemmeno giova l'ulteriormente subordinata affermazione

che comunque era possibile la convocazione straordinaria

prevista dall'art. 77 della Costituzione per la presenta zione dei decreti legge e che l'emissione di decreti legge era anzi l'unico mezzo costituzionale per l'attività legisla tiva del Governo dal giorno delle elezioni, poiché tale at

tività, come si avrà occasione di rilevare in appresso, de

rivava dagli art. 4 e 3, rispettivamente, dei ripetuti de

creti n. 151 e n. 98, e non dall'art. 77 della Costituzione.

Invero, si sostiene ancora, sempre nei primi due mo

tivi di ricorso, che rimarrebbe in ogni caso fondata la cen

sura di incostituzionalità, in quanto, ancbe a voler rite

nere applicabile l'art. 87, 5° comma, della Costituzione, combinato con la disposizione transitoria I, l'intervento

del Capo dello Stato doveva esplicarsi nella forma della

emanazione e non della sola promulgazione, essendosi in

presenza di un atto « avente valore di legge », non di una « legge ». 1

Lo stesso ricorrente riconosce, però, che i decreti le

gislativi ex art. 4 decreto n. 151 e ex art. 3 decreto nu

mero 98 costituiscono un unicum non assimilabile sotto

l'aspetto formale nè alle leggi del Parlamento, perchè emessi senza l'intervento di alcun organo direttamente

rappresentativo, nè alle classiche figure di atti del potere esecutivo con efficacia di legge formale, perchè emessi

senza delegazione del Parlamento o all'infuori della pro cedura d'urgenza. Trattandosi quindi di rintracciare il cri

terio di assimilazione rispetto alle categorie previste dal

l'art. 87, 5° comma, cioè alle « leggi » oppure ai « decreti

aventi valore di legge », la tesi del ricorrente è contrad

detta sia dall'argomento letterale che egli vorrebbe de

rivare dall'art. 4 decreto legge n. 151, il quale rimette al

Consiglio dei ministri la deliberazione dei « provvedimenti aventi forza di legge », in quanto l'art. 3 del successivo

decreto legisl. n. 98 adotta invece la ben diversa signifi cativa dizione che « il potere legislativo resta delegato al

Governo » ; sia dall'argomento sostanziale, prospettato nel

senso che la differenziazione dei provvedimenti compiuta da detto art. 87 muove non dalla considerazione dell'ef

ficacia dell'atto, bensì solo da quella formale dell'organo di provenienza (Parlamento o Governo) dell'atto stesso, in quanto la possibilità di utilizzare, simile differenziazione

postula l'effettivo inizio di funzionamento dei due predetti

organi nella rispettiva competenza legislativa secondo la

Costituzione. Ma poiché, come si è visto, la potestà legis lativa del Governo, derivante dall'art. 3 in parola, era

esercitata in via generale e per straordinaria competenza autonoma fino alla convocazione del nuovo Parlamento,

salvo le materie ivi tassativamente eccettuate, gli atti

emanati nell'esercizio della potestà medesima sono cor

rettamente assimilabili alle vere e proprie leggi, soggette,

perciò, alla sola promulgazione del Capo dello Stato.

(Omissis) Per questi motivi, ecc.

CONSIGLIO DI STATO.

Sezione IV ; decisione 29 dicembre 1948, n. 529 ; Pres.

Corsini, Est. Testa ; Di Matteo (Avv. Sansonetti,

Codacci Pisanelli) c. Ministero lavori pubblici (Avv.

dello Stato Tracanna) e Comune di Pescara (Avv.

PlETRANTONI, DE simone).

Espropriazione per pubblico interesse — I'iano di rico

struzione — Elementi —Sussistenza — Legittimità

(D. legisl. luog. 1 marzo 1945 n. 154, sui piani di ri

costr. degli abitati danneggiati dalla guerra, art. 1).

Espropriazione per pubblico interesse — Piano eli rico

struzione — Scopi — Vincoli su immobili non dan

neggiati — Limiti (D. legisl. luog. 1 marzo 1945 nu

mero 154, art. 2, 7, 11).

Non può ritenersi viziato di incompetenza il decreto del Mi

nistro dei lavori pubblici, che approva il piano di rico

struzione di un abitato, predisposto da un comune dan

neggiato dalla guerra (nella specie, Comune di Pescara),

iscritto negli appositi elenchi, se il piano tende a disci

plinare Vassetto dell'abitato danneggiato da offese bel

liche. (1)

(1) La prima massima, che nella motivazione viene inqua drata nell'indirizzo sicuro del Consiglio di Stato in ordine alla

determinazione del vizio di incompetenza, non risulta che abbia

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