Sezione V; decisione 24 gennaio 1947; Pres. Savini Nicci P., Est. De Marco; Società industrialemarmi di Italia (Avv. Fontana, D'Audino) c. Prefetto di Massa e Carrara, Mariani e FreschiSource: Il Foro Italiano, Vol. 70, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1947),pp. 125/126-129/130Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23139422 .
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125 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA Ì26
dimostrazione. È noto che l'art. 429, di per sè, ò invo
luto, e sarebbe quasi inintelligibile, se la norma non fa cesse implicito riferimento alla legislazione anteriore, e
specialmente alla legge 16 giugno 1938 n. 1303. La po sizione di diritto può riassumersi nei seguenti termini :
а) art. 3 r. decreto 1° luglio 1926 n. 1130: «Le Amministrazioni dello Stato, delle Provincie, dei Comuni e delle istituzioni pubbliche di beneficenza non possono far parte di associazioni di datori di lavoro legalmente riconosciute. . . La stessa norma vale . . . per gli istituti ed enti parastatali e per le Casse di risparmio » ;
б) art. 1 legge 16 giugno 1938 n. 1303 : «Il divieto di far parte di associazioni sindacali, sancito dall'art. 3 r. decreto 1° luglio 1926 n. 1130, è revocato per quanto concerne gli enti pubblici, comunque denominati, i quali operino nel campo della produzione e svolgano una at tività economica in regime di concorrenza. Con regi de
creti, da emanarsi su.proposta del Ministro per le corpo razioni, di concerto col Ministro per le finanze e con gli altri Ministri interessati, sentiti il Comitato corporativo centrale ed il Consiglio dei ministri, può essere revocato il divieto . . . per gli altri enti pubblici, comunque deno
minati, purché operanti nel campo della produzione e
svolgenti una attività esclusivamente o prevalentemente economica». (Evidentemente, occorreva un esame caso per caso, ente per ente, al fine di vedere se si verificasse la
prevalenza o meno).
Aggiungeva, infine, l'art. 3 di tale legge che ogni rego lamentazione di rapporti di lavoro (mediante contratto
collettivo) per gli enti pubblici anzidetti era soggetto a
preventivo nulla osta del Ministero competente, nonché
del Ministero delle finanze. Il che vale a ben caratteriz
zare i contratti collettivi di cui si tratta e l'interesse che 10 Stato prendeva in subiecta materia.
Tutto ciò posto, è agevole rilevare :
1° che l'inquadramento di un ente nell'una e nel
l'altra categoria (enti aventi o non carattere prevalente mente economico) richiedeva una complessa attività e un
complesso procedimento, miranti, si noti bene, non solo e
non tanto a spostare la competenza per le controversie di
lavoro, ma piuttosto, e principalmente, ad assoggettare
gli enti ad un regime sindacale (contratti collettivi aventi
valore cogente ecc.) ; dichiarato l'assoggettamento, lo spo stamento della competenza si verificava in via conseguen ziale ed accessoria, secondo un canone logico : accesso
rium sequitur principale. Oggi, scomparso il principale, si
vuole che sia rimasto in vita l'accessorio ; 2° che la pronuncia amministrativa di inquadra
mento, naturalmente, poteva avere solo il valore relativo
e contingente che è proprio di tutte le pronuncio ammi
nistrative. Epperò il decreto di inquadramento ben poteva essere annullato o dichiarato nullo ove si accertasse la
esistenza di vizi di legittimità. Ma, quel che è decisivo, 11 decreto di inquadramento avrebbe potuto cadere ed essere revocato, anzi avrebbe dovuto essere revocato,
quando fossero venuti meno i presupposti di fatto voluti
dalla legge (attività in regime di concorrenza ; attività
prevalentemente economica). E chiaro che, ove l'attività
di un ente si fosse sviluppata in altra direzione, sì da
spostare il rapporto di prevalenza, il procedimento doveva
essere sottoposto ad una revisione, per una nuova pro nuncia.
Potrebbe, allo stato delle cose, avvenire una tale revi
sione ? Il Collegio ritiene che la risposta non possa essere
che negativa ; e ciò sia perchè, venuto meno il Comitato
corporativo centrale, manca ormai l'organo cui la legge attribuiva la competenza a provvedere, sia perchè, d'altra
parte, avrebbe sapore anacronistico ed illogico il decidere
per l'avvenire che un ente possa o non iscriversi ad asso
ciazioni sindacali che più non esistono. Non solo : se dopo il 1943 sono sorti altri enti cosidetti economici, e se altri
ne sorgessero in futuro, mancherebbe il modo di fare a tali
enti il trattamento previsto dalla legge del 1938. Da quanto
precede risulta, altresì, non poter essere condiviso il con
cetto (affermato per sostenere la tesi contraria) essere
ormai « fissato » (dopo avvenuto l'inquadramento) lo status
sindacale ed essere ormai la funzione dell'inquadramento « esaurita », sì da radicare nei secoli la competenza giudi ziaria.
Tutto ciò porta necessariamente a ritenere l'abrogazione dell'art. 429 per incompatibilità con le disposizioni che,
sopprimendo l'ordinamento sindacale e sopprimendo il Co
mitato corporativo centrale, hanno reso impossibile la re
golare tenuta e l'aggiornamento, ad opera della autorità
competente, di quell'elenco di enti pubblici agenti in regirile di concorrenza ovvsso prevalentemente economici di cui
parla la legge del 1#38. Sembra poi ovvia la considera zione che, se il legislatore nel 1938 ha attribuito la potestà di fare accertamenti ed elenchi al Capo dello Stato, udito
il Comitato corporativo centrale, non può tale potestà in tendersi trasferita (senza una legge ad hoc) al giudice or
dinario, sia pure ai più limitati effetti di radicare la com
petenza giudiziaria. Né una tale legge, del resto, sarebbe
provvida e commendevole, poiché gli estremi per la deter minazione della competenza debbono esistere a priori, prima che la lite insorga, e non possono essere ricono
sciuti o dichiarati dal giudice adito su richiesta della
parte, richiesta fatta a mero titolo di tentativo. Per tutte queste ragioni, il Collegio, affermata la pro
pria competenza, passa ad esaminare se il ricorso sia stato notificato in conformità a legge. Il Collegio ritiene che la risposta debba essere affermativa.
L'art. 36 del testo unico delle leggi sul Consiglio di
Stato dichiara che il ricorso deve essere notificato tanto alla autorità che ha emanato l'atto impugnato quanto alle persone alle quali l'atto «direttamente si riferisce», ed ammette, del resto, che questa materia debba essere
riguardata senza ingiustificato rigore, giacché l'articolo
prosegue rilevando che la notificazione può essere rinno
vata o anche integrata, ove l'errore possa essere ritenuto
scusabile. Ciò posto, sembra del tutto giustificata qualche
precedente pronuncia che ha avvisato che la notifica è
prescritta a pena di decadenza solo nei confronti delle
persone controinteressate, che siano direttamente indivi
duabili attraverso il provvedimento impugnato (IV Se
zione 28 luglio 1936, n. 401). Nella specie, si impugna un bando di concorso interno del 13 ottobre 1945 ed una
nota della Amministrazione (20 novembre 1945) con la
quale si rigettavano le proteste o riserve del Mortola e
consorti. Il bando di concorso scadeva il 31 ottobre 1945 ; ma poi il termine fu riaperto e prorogato sino al 15 di
cembre 1945. Il ricorso fu notificato il 5 dicembre 1945.
Potevano, ed in che modo, i ricorrenti conoscere chi erano i concorrenti controinteressati a resistere al ricorso ì Può
dirsi non soltanto che tali persone non erano indicate
nell'atto impugnato, ma non erano neppure individuabili
dai ricorrenti, salvo che la Amministrazione, interpellata, avesse creduto di favorire le relative notizie ai Mortola ed altri ; in ogni caso, non sarebbesi potuto trattare di
notizie sicure e definitive, poiché il secondo termine per partecipare al concorso scadeva il 15 dicembre 1946. La
eccezione di decadenza per incompletezza di notifica deve
essere quindi respinta ; quanto meno, non potrebbe disco
noscersi che l'errore sia stato scusabile. Ma non è il caso di disporre una integrazione di notifica, perchè molti con
trointeressati si sono volontariamente costituiti in giudi zio, e non risulta che ve ne siano altri. (Omissis)
Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO.
Sezione V ; decisione 24 gennaio 1947 ; Pres. Savini Nicci
P., Est. De Makco ; Società industriale marmi di
Italia (Avv. Fontana, D'Audino) c. Prefetto di Massa
e Carrara, Mariani e Freschi.
Preletto — Provvedimento emanato in base all'art. 18
1. com. e prov. — Carattere definitivo (R. d. 3 marzo
1934 n. 383, t. u. legge com. e prov., art. 5, 19 ; r.
d. 26 giugno 1924 n. 1054, t. u. sul Consiglio di Stato, art. 34).
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127 PARTE TERSA 128
I decreti prefettizi, emanati in base all'art.. 19 legge com. e
prov., hanno carattere definitivo. (1)
La Sezione, ecc. — (Omissis) In via preliminare deve
essere esaminata la questione sollevata dal patrocinio delle
ricorrenti circa il carattere del provvedimento impugnato, in quanto dalla soluzione di tale questione dipende l'am
missibilità del ricorso. In sostanza, si invoca la revisione
della giurisprudenza di entrambe le Sezioni giurisdizionali nonché di quelle consultive di questo Consiglio, che, dopo la decisione 4 maggio 1935, n. 488, di questa Sezione, pur senza più esaminare ex professo la questione, hanno con
cordemente e costantemente ritenuto che i provvedimenti emanati dal prefetto, in base all'art. 19 del testo unico
3 marzo 1934 n. 383, non hanno carattere definitivo. Ad
onor del vero, specie di fronte al largo uso che di recente
è stato fatto e continua a farsi della potestà conferita
dalla citata norma, uso non sempre legittimo, questa Se
zione il problema della revisione della citata giurispru denza se l'era posto spontaneamente. È bene, quindi, af
frontarlo senz'altro.
Quantunque non sia, nella sua formulazione, dissimile dal corrispondente art. 328 del testo unico 4 febbraio 1915
n. 148, l'art. 5 del testo unico 3 marzo 1934 n. 383, nella
parte in cui dispone che, « salvo che la legge non disponga altrimenti, contro i provvedimenti dulie autorità governa tive inferiori è ammesso ricorso in via gerarchica alle auto rità superiori », è stato accolto dalla dottrina e, sopratutto, dalla giurisprudenza come profondamente innovatore.
È noto, infatti, come anteriormente alla sua emana
zione, nonostante una annosa elaborazione dottrinale e
giurisprudenziale, non si era pervenuti alla formulazione di un principio generale che potesse servire di guida sicura in ogni caso, per stabilire se un determinato provvedi mento avesse o non carattere definitivo e si era riusciti
soltanto a stabilire taluni criteri in base ai quali, non senza
qualche incertezza, si poteva, caso per caso, attribuire ad
un provvedimento l'uno o l'altro carattere.
Pertanto, non appena il detto art. 5 venne emanato, assunse subito una grande importanza sia in dottrina sia in giurisprudenza, in quanto si ravvisò in esso quel prin cipio sicuro ed univoco che invano prima si era ricercato, anche se, in definitiva, questo principio si risolveva nella
espressa disposizione di legge. Abbandonati i criteri in
precedenza stabiliti, si ritenne infatti, che si dovesse sem
pre presumere l'ammissibilità del ricorso gerarchico e
quindi la non definitività del provvedimento, e che la de
finitività dovesse essere espressamente dichiarata. In tal senso seguì anche una netta e chiara tendenza legislativa diretta ad applicare lo stesso principio dell'art. 5 della legge comunale e provinciale in occasione della revisione delle
leggi amministrative, talvolta addirittura con espresso ri chiamo a tale legge (art. 347 t. u. 27 luglio 1934 n. 1265).
Di questa tendenza è indice e frutto anche la decisione di questa Sezione n. 488 del 4 maggio 1935 (Foro it., 1935, ITI, 174), con la quale fu affermato per la prima volta il carattere non definitivo dei provvedimenti emanati dal
(1) Decisione di notevole importanza e che modifica una costante giurisprudenza durata più di un decennio.
Sulla definitività dei decreti prefettizi vedi anche, recente mente : V Sezione 21 luglio 1946, ric. De Noia, infra, col. 145; e 18 settembre 1946, retro, 28, con osservazione di Jemolo, con la quale è stato riconosciuto il carattere definitivo al decreto pre fettizio di assegnazione obbligatoria di mano d'opera a ditte private.
La decisione, citata nella motivazione, della V Sezione 4 mag gio 1935, che per prima affermò il carattere non definitivo dei decreti prefettizi emanati in base all'art. 19, fu pubblicata in Foro it., 1935, III, 174; quella della IV Sezione 16 marzo 1940, può leggersi in Foro it., 1941, III, 34 e nota ivi.
Veggasi pure la elaborata ed acuta nota di It. Luci predi, Nuovi indirizzi giurisprudenziali in materia di -provvedimenti defi nitivi, in Foro it., 1936, III, 97, che criticò l'orientamento a base del mutamento giurisprudenziale a seguito del t. u. del 1934 ; vedi pure dello stesso autore la recente nota, Ritornano i provve dimenti definitivi impliciti, in Giur. Cass, civ., 1945, I, 407.
prefetto in base all'art. 19, comma quinto, della legge co munale e provinciale. Infatti, nella parte motiva di questa decisione vi è un'ampia premessa, nella quale si illustra
appunto il sopra rilevato carattere innovatore del più volte
citato art. 5. Ma in questa stessa premessa non si giunge, tuttavia, fino ad affermare che si possa escludere la esi
stenza di atti definitivi impliciti ed anzi si ammette clie,
pur mancando una espressa dichiarazione di definitività, si debbano considerare definitivi i provvedimenti emanati
in forza dell'attribuzione di una competenza esclusiva o
che rispondano alla necessità, in ragione di determinati
fini da conseguire, di provvedere rapidamente, in modo
che sia urgente esaurire la relativa procedura. La IV Sezione (decisione 16 marzo 1940, n. 165, in
Foro it., 1941, III, 34) è andata più in là, in quanto ha
affermato che l'art.- 5 non può intendersi nel senso che
per ogni singolo provvedimento la legge debba sancire la
definitività, e che è pur necessario istituire, caso per caso, una indagine diretta ad accertare sé un determinato prov vedimento appartenga ad un certo tipo ed abbia una certa
contenenza e natura che, in rapporto ad espresse dichia
razioni di legge, rispetto a provvedimenti dello stesso ge nere, lo debba far ritenere o non ritenere definitivo.
Ciò posto, il problema si circoscrive alla indagine circa
la possibilità di considerare implicitamente definitivi i
provvedimenti del prefetto di cui si tratta, dato che manca
nell'art. 19 una espressa dichiarazione di definitività. Una
siffatta indagine venne eseguita anche con la decisione
n. 488 del 1935, ma venne conclusa negativamente per il
riflesso che l'attribuzione al prefetto della potestà di cui
al quinto comma dell'art. 19 T. U. 3 marzo 1934 n. 383, non è i accompagnata da alcuna particolare circostanza
che valga a sottrarre l'esercizio di tale facoltà alla normale
impugnativa in via gerarchica ». Si escluse infatti, che vi
fosse un'attribuzione di competenza esclusiva e si ritenne
che la definitività implicita non potesse desumersi nè dal
carattere discrezionale del provvedimento nè dal fatto che
nel provvedimento stesso è presupposto un apprezzamento di condizioni ed esigenze locali. D'altra parte, poiché an
teriormente alla emanazione del testo unico del 1934
l'analogo provvedimento, emesso in base all'art. 3 T.
U. del 1915, era stato ritenuto costantemente definitivo
e dalla dottrina e dalla giurisprudenza, si ravvisò nella
maggiore ampiezza dei poteri attribuiti al prefetto dal
l'art. 19 del nuovo testo unico, di fronte a quelli di cui all'art. 3 del precedente testo unico, con la correlativa
maggiore responsabilità dell'Amministrazione, nonché nel
rigoroso accentramento dei poteri, che aveva reso più rigo rosa la dipendenza gerarchica, la conferma che il ricorso
gerarchico dovesse considerarsi come tipico rimedio giuri dico per quel provvedimento.
Altri due argomenti sussidiari si ritenne, infine, di poter trarre dal fatto che l'art. 5 T. U. del 1934 ha sostituito
l'espressione « provvedimenti delle autorità inferiori», usata dal corrispondente art. ÌJ28 T. U. del 1915, con l'altra a autorità governative inferiori » e dal fatto che l'art. 2 del testo unico delle leggi di P. S., approvato con r. de creto 18 giugno 1931 n. 773, ammette espressamente il ricorso gerarchico avverso i provvedimenti emessi dal pre fetto nell'esercizio di una potestà del tutto analoga a quella
conferitagli dal quinto comma dell'art. 19 del testo unico della legge comunale e provinciale del 1934.
Se questi sono, in sostanza, gli argomenti in base ai
quali si credette di poter affermare la non definitività dei
provvedimenti di che trattasi, evidentemente, ai fini della
proposta indagine, occorre controllarne la esattezza e, so
pratutto, la concludenza. Procedendo in tal senso, deve subito riconoscersi che i due ultimi argomenti, che si
sono definiti, sussidiari, anche se esatti, sono incon
cludenti. La diversità delle espressioni usate dall' ar ticolo 328 T. U. 1915 e dall'art. 5 T. U. del 1934 indub
biamente esiste ed è stata esattamente rilevata, ma si spiega benissimo con le esigenze di un maggior rigore tecnico nella terminologia. Solo tra autorità governative, infatti, esiste quel rapporto di gerarchia che può giustificare l'esi stenza di un ricorso dall'una all'altra, mentre tra autorità
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129 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA ISO
autarchiche e governative non può ravvisarsi, se non « im
propriamente », nei soli casi stabiliti dalla legge, l'esistenza
di un rapporto siffatto, che leghi le une alle altre, e, se
di gerarchia si può parlare, lo si può soltanto in relazione
alla organizzazione interna degli enti autarchici. Conseguen temente, la cennata diversità di espressione non ha conte
nuto nè significato sostanziale, e si risolve soltanto nella
espressione dello stesso concetto in forma più tecnica e,
quindi, più precisa. D'altra parte, è vero che, per l'art. 2
del testo unico delle leggi di P. S., i provvedimenti che
in caso di urgenza o di necessità il prefetto può emanare
a tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica sono soggetti a ricorso gerarchico, ma è vero altresì che
il corrispondente art. 2 T. U. delle stesse leggi del 1926, dal quale la norma storicamente trae origine, li dichiarava
invece definitivi. Anche questo argomento quindi si appa lesa inconcludente, sopratutto poi se diretto a dimostrare
una tendenza legislativa, dato che, come già si è rilevato, se una tendenza del genere esiste, è chiaramente rivolta
a generalizzare quanto più sia possibile il sistema dell'art. 5
T. U. 1934 legge com. e provinciale. L'altro argomento che vorrebbe trarsi dalla maggiore ampiezza dei poteri attribuiti al prefetto dall'art. 19 T. U. del 1934, in
confronto all'art. 3 del T. U. 1915, messa in relazione
col rigoroso accentramento dei poteri attuato in regime fascista, è facilmente invertibile : una attribuzione di mag
giori poteri ad una autorità locale, in un periodo in cui
era manifesta la tendenza all'accentramento, doveva infatti, come meglio si vedrà in seguito, essere ben diversamente
interpretata. Esatti infine, ma non rilevanti e tanto meno
decisivi gli argomenti con i quali si esclude che possa de
sumersi la definitività del provvedimento dal suo carat
tere discrezionale o dal fatto che presuppone l'apprezza mento di condizioni ed esigenze locali.
In conclusione, tutti gli argomenti finora esaminati non
danno una ragione certa ed inconfutabile del perchè il
provvedimento in esame dovrebbe considerarsi non defi
nitivo ; ma d'altra parte non basta eliminare tali argo menti per concludere senz'altro che il provvedimento stesso
debba considerarsi definitivo.
Resta quindi il primo degli argomenti addotti dalla
giurisprudenza in esame per escludere la definitività del
provvedimento in questione, che è poi l'unico, se esatto, effettivamente decisivo : quello cioè, col quale si esclude
che i poteri in base ai quali il provvedimento stesso è
emanato siano esplicazione dell'attribuzione di una compe tenza esclusiva. Si è detto al riguardo che una autorevole
dottrina ha riconosciuto che vi sia attribuzione di com
petenza esclusiva soltanto allorché, nel conferire una data
facoltà ad una autorità determinata, il legislatore abbia
provveduto alla protezione del singolo sotto forma diversa
dal rimedio gerarchico, o allorché sia chiaro che la neces
sità di provvedere rapidamente, in ragione di determinate
finalità da conseguire, renda urgente l'esaurimento di una
data procedura, ed in casi analoghi. Si è poi escluso che
ricorresse, rispetto al caso in esame, alcuna di tali ipotesi ;
ma, per dimostrarlo, si sono addotti soltanto quegli argo menti che sono stati sopra esaminati e che si sono dimo
strati tutt'altro che decisivi.
Pertanto, il campo di indagine si circoscrive ancor di
più, riducendosi soltanto ad accertare se effettivamente
si possa escludere che i poteri, di cui al quinto comma
dell'art. 19, costituiscono una attribuzione di competenza esclusiva del prefetto. Se si dovesse seguire senz'altro l'im
postazione data al problema dalla esaminata giurispru
denza, non si potrebbe non rilevare che appare quanto meno strano che non si siano ravvisati gli estremi della
« necessità di provvedere rapidamente, in ragione di deter
minate finalità da conseguire», che «rende urgente l'esau
rimento di una data procedura » di fronte alla potestà di
adottare « in caso di necessità e di urgenza » provvedi menti a indispensabili nel pubblico interesse ». Ma, risalendo
ad un punto di vista più generale, e fermando, quindi, l'attenzione sull'art. 19 nel suo complesso, non si può non
constatare che i poteri attribuiti al prefetto col quinto comma di tale articolo si inquadrano nel complesso delle
funzioni che tale organo, in relazione alla posizione as
sunta nell'ordinamento dello Stato, di cui il testo unico
della legge comunale e provinciale del 1934 costituisce una
fase non trascurabile, veniva chiamato ad esercitare nel
l'ambito della provincia. Considerati sotto questo profilo,
quei poteri, nella loro discrezionalità così vasta e indeter
minata, appaiono talmente aderenti e strettamente con
nessi alla posizione dell'organo cui sono conferiti che non
possono concepirsi staccati da tale organo, con la conse
guenza naturale della impossibilità di una sostituzione, nel
loro esercizio, da parte di un'autorità superiore. Questa evidente impossibilità di sostituzione mette in rilievo la
caratteristica di attribuzione specifica di quei poteri alla
competenza esclusiva del prefetto come tale e non della
gerarchia amministrativa della quale fa parte. È proprio sotto questo profilo anzi, che la maggiore ampiezza delle
potestà conferite al prefetto dall'art. 19 T. U. 1934, in
confronto con quelle già conferitegli dall'art. 3 T. U. 1915,
messa in relazione con quel rigoroso accentramento di po
teri, al quale anche il testo unico del 1934 ha pagato un
notevole tributo, contribuisce- ancor di più a dimostrare
che ci si trova di fronte ad una competenza esclusiva :
solo con l'assoluta necessità che certi poteri siano eserci
tati esclusivamente dal prefetto si può spiegare, invero,
che, nonostante là, tendenza all'accentramento, si siano
potute, per così dire, decentrare potestà così vaste e inde
terminate. Ma i provvedimenti, emanati nell'esercizio di
tali poteri, necessariamente sfuggono ad ogni controllo che
non sia quello giurisdizionale. Siffatti provvedimenti quindi non possono che essere definitivi.
Le considerazioni che precedono dimostrano come la
precedente giurisprudenza sulla questione debba essere ab
bandonata. In conseguenza, il ricorso in esame è am
missibile.
Passando, pertanto, all'esame del merito, si deve subito
rilevare, senza che occorra all'uopo una indagine specifica sui singoli motivi di gravame, come l'impugnato provve dimento si appalesa illegittimo. Il prefetto invero ha evi
dentemente esorbitato da ogni suo potere e si è attribuita
potestà che non aveva, quando ha ritenuto dover inter
venire per « dare possibilità giuridica di vita e di attività »
a due Ditte private. Come esattamente deducono le Ditte ricorrenti, è in
fatti venuto in tal modo a provvedere in una materia sot
tratta all'intervento di qualsiasi autorità amministrativa.
E poiché non c'è peggior difetto di quello di giurisdizione, basta questo solo rilievo per dimostrare come il ricorso
debba essere senz'altro accolto.
Per questi motivi, accoglie, ecc.
CONSIGLIO DI STATO.
Sezione V ; decisione 10 dicembre 1946, Pref. Sa vini Ric • ci P., Est. Miranda ; Banco di Napoli (Ayy. Forti,
Sbordone, Rosa) c. Provincia di Caserta, Consorzio
dei Comuni di Marcianise e Recale, e Giuliani (Avv.
Scandale).
Giustizia amministrativa — Decisione del giudice am
ministrativo — Annullamento dell'assegnazione « ex
officio» di una esattoria — Successiva conferma del
l'erede del precedente esattore — Impugnativa da
parte del primo assegnatario — Denuncia di irrego
lare esecuzione del giudicato — Interesse a ricorrere — Ammissibilità (E. d. 26 giugno 1924 n. 1054, t. u.
sul Consiglio di Stato, art. 26, 88 ; r. d. 17 ottobre
1922 n. 1401, t. u. sulla riscossione delle imposte di
rette, art. 4, 93). Esazione — Esattore — Erede — Concessione — Auto
rizzazione della Giunta prov. am. — Parere del Mi
nistro del tesoro — Omissione — Irrilevanza.
Annullata dal Consiglio di Stato l'assegnazione « ex officio »
di una esattoria, l'assegnatario ha interesse a impugnare
Il Poro Italiano — Volume LXX — Parte 1/7-10
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