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sezione V; decisione 26 febbraio 1992, n. 143; Pres. Catallozzi, Est. Carboni; Mascolo (Avv.Iaccarino) c. Ruocco (Avv. Giuffrè) e Comune di Agerola (Avv. Palma). Annulla Tar Campania,sez. III, 25 febbraio 1987, n. 5Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1992),pp. 373/374-379/380Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187481 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
la prima e la seconda tornata), il ministero ha chiesto, sul pun
to, il parere del Consiglio di Stato.
La seconda sezione consultiva, nell'adunanza del 16 novem
bre 1983, n. 564 (Foro it., Rep. 1986, voce Istruzione pubblica,
n. 358), ha espresso un motivato parere affermando che anche
nei giudizi d'inquadramento si applica il divieto di far parte della commissione in due procedure consecutive. Il ministero
si è attenuto a questo parere.
Questa interpretazione è contestata dall'attuale appellante. Egli,
dopo essere stato riprovato nella prima tornata, ha impugnato
il giudizio ugualmente sfavorevole riportato nella seconda, de
ducendo, fra l'altro, che l'applicazione di questa regola, a suo
avviso erronea, ha viziato la nomina della commissione. E poi
ché il tribunale amministrativo regionale ha respinto la sua tesi,
egli ora ripropone la questione in secondo grado.
Questo è dunque il punto di diritto che il collegio è ora chia
mato a risolvere.
Il collegio è dell'avviso che sia corretta l'interpretazione se
guita dal ministero.
Si può convenire con l'appellante sul punto che le argomen
tazioni addotte dal Tar per giungere allo stesso risultato non
sembrano pienamente condivisibili. In particolare non sembra
condivisibile la tesi per cui la seconda tornata si configura, ri
spetto alla prima, come una sorta di giudizio di secondo grado; e neppure appare condivisibile la tesi per cui il divieto di far
parte, in più sessioni consecutive, di commissioni di esame e
di concorso, discenderebbe dai principi generali dell'ordinamento
e troverebbe riscontro nella prassi generalizzata.
Nella generalità dei pubblici concorsi e degli esami d'abilita zione, cosi come negli esami scolastici ed universitari, non si
rinviene impedimento a che un candidato si presenti reiterata
mente davanti ad una commissione composta in tutto o in parte
dalle stesse persone (ciò non significa, ovviamente, che il candi
dato abbia un'aspettativa tutelata in questo senso).
Ma il sistema dei concorsi per la docenza universitaria assu
me caratteristiche specifiche rispetto alla generalità dei concor
si, per quanto attiene ai criteri di formazione delle commissio
ni, e, in praticolare, per ciò che concerne l'intero meccanismo
di scelta dei commissari e la stessa logica che lo sottende. Ordi
nariamente, le commissioni d'esame sono formate dalla compe
tente autorità mediante scelte, che, entro certi limiti, sono di
screzionali ed insindacabili; l'obiettivo dell'ordinamento è quel lo di assicurarne la competenza tecnica e l'imparzialità, ma non
si rinvengono disposizioni rivolte a garantire il ricambio dei com
ponenti o a tutelare ogni singolo soggetto, rivestito dei titoli
legittimanti, nella sua aspettativa di essere chiamato a far parte
di una commissione.
La specialità del sistema in vigore per i concorsi universitari
consiste invece in ciò: che la scelta dei commissari è frutto di
una peculiarissima e formale procedura, costruita in modo da
evitare la costituzione di posizioni di predominio o di egemonia
da parte di qualsivoglia autorità, politica, amministrativa o ac
cademica. Il sistema è orientato, altresì', a prevenire che singoli
cattedratici, giovandosi della loro personale autorevolezza scien
tifica, pur meritatamente acquisita, possano esplicare interventi
determinanti nello svolgimento dei concorsi. In quest'ottica, il
potere di scegliere le commissioni è stato parzialmente neutra
lizzato mediante un sorteggio e per il resto, per cosi dire, par
cellizzato e diffuso attraverso un sistema elettivo esteso a tutti
i docenti delle discipline comprese nel raggruppamento cui si
riferisce il concorso, e, quando il loro numero sia troppo ridot
to, anche a quelli di raggruppamenti affini.
Date le finalità che ispirano il sistema, in questo contesto
il divieto di reiterare la nomina di uno o più membri nella stes
sa commissione, per tornate consecutive, si configura come una
cautela complementare e logicamente inscindibile dalle restanti
disposizioni. E pertanto, una volta che per la formazione delle commissio
ni d'inquadramento la norma rinvia alla disciplina relativa alle
commissioni di concorso, in considerazione dell'unitarietà della
materia (valutazioni relative alla docenza universitaria), è gio
ii. Foro Italiano — 1992.
coforza ritenere che il rinvio sia fatto al sistema nella sua inte
grità, e, cosi, anche al divieto di reiterazione dell'incarico in
sessioni consecutive.
È vero che l'art. 51 richiama solo l'art. 45, e non anche l'art.
44; ma questo argomento di carattere formale contrasta con
10 spirito della norma, che è quello di rinviare per intero alla
disciplina delle commissioni di concorso, stabilita in via princi
pale dell'art. 45. Del resto non vi sarebbe motivo di adottare
per le commissioni d'idoneità regole parzialmente diverse da quel
le dettate per le commissioni di concorso, nell'ambito di un si
stema speciale e unitario. Si noti che l'art. 44 contiene anche
11 divieto d'includere nelle commissioni di concorso i compo nenti del consiglio universitario nazionale: sarebbe irragionevo
le che tale incompatibilità fosse stabilita solo in sede di concor
so e non anche d'inquadramento. La mancanza di un richiamo
espresso all'art. 44 non impedisce dunque di ritenere applicabili
alle procedure d'inquadramento anche le regole in esso conte
nute, quando si tratti, come per le due richiamate ipotesi d'in
compatibilità, di regole inscindibilmente legate al resto della di
sciplina. Deve concludersi che, la soluzione interpretativa che conduce
al ricambio totale delle commissioni risulta la più vicina allo
spirito della legge, in quanto orientata ad accrescere, non già
a diminuire, le garanzie d'imparzialità, a tutto vantaggio, del
resto, dei candidati che si presentano per la seconda volta.
Per le esposte conclusioni l'appello va respinto.
CONSIGLIO DI STATO; sezione V; decisione 26 febbraio 1992, n. 143; Pres. Cataixozzi, Est. Carboni; Mascolo (Avv. Iac
carino) c. Ruocco (Aw. Giuffrè) e Comune di Agerola (Aw.
Palma). Annulla Tar Campania, sez. Ili, 25 febbraio 1987,
n. 5.
Edilizia e urbanistica — Concessione edilizia — Impugnazione — Azione popolare — Esclusione — Proprietario di immobi
le sito nella zona — Legittimazione (L. 6 agosto 1967 n. 765,
modifiche e integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942
n. 1150, art. 10). Giustizia amministrativa — Concessione edilizia — Impugna
zione — Termini (L. 6 agosto 1967 n. 765, art. 10). Edilizia e urbanistica — Realizzazione di nuovi volumi — Inter
vento su immobile preesistente — Ristrutturazione — Esclu
sione (L. 5 agosto 1978 n. 457, norme per l'edilizia residen
ziale, art. 31).
L'art. 31, 9° comma, l. 17agosto 1942 n. 1150, come modifica to dall'art. 10 I. 6 agosto 1967 n. 765, nel prevedere la possi bilità di ricorrere contro il rilascio di licenza (ora concessio
ne) edilizia illegittima da parte di «chiunque», non configura
un nuovo tipo di azione popolare, ma riconosce una posizio ne di interesse che consente l'impugnativa a chi si trovi in
situazione di stabile collegamento con la zona (residenza, pos
sesso o detenzione di immobili, o altro titolo di frequentazio
ne) senza richiedere la prova di un danno specifico, essendo
insito nella violazione edilizia il danno a tutti i membri di
quella collettività (nella specie, si è riconosciuta la legittima zione dei proprietari di immobile sito quasi di fronte a quello oggetto di concessione, pur se non si verificava, come conse
guenza delle lamentate violazioni, privazione di luce e di aria
a danno del primo per effetto dell'intervento sul secondo). (1)
(1) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 ottobre 1989, n. 632, Foro it., Rep.
1990, voce Giustizia amministrativa, n. 540; 20 novembre 1989, n. 741,
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PARTE TERZA
Il termine per l'impugnazione della concessione edilizia da parte
dei terzi interessati decorre dalla piena conoscenza di essa,
ovvero del contenuto del progetto approvato (la cui prova
incombe su chi eccepisce la decadenza), non implicando di
per sé la conoscenza dell'attività edificatoria la consapevolez
za del relativo tìtolo. (2) La ristrutturazione edilizia comporta che l'organismo interessa
to dai lavori, pur potendo risultare in tutto o in parte diverso
dal precedente, debba rimanere o ritornare il medesimo per
forma, volume e altezza, onde è estranea alla categoria la
creazione di nuovi volumi e va annullata una concessione di
ampliamento in sopraelevazione riguardo ad edificio preesi
stente, qualora lo strumento urbanistico consenta interventi
di sola ristrutturazione. (3)
ibid., n. 541; 25 novembre 1988, n. 745, id., Rep. 1989, voce cit., n.
495; Cons, giust. amm. sic. 9 maggio 1990, n. 131, id., Rep. 1990, voce cit., n. 542; Tar Lombardia, sez. Brescia, 30 ottobre 1989, n. 995,
ibid., n. 543.
In via generale, fermo restando che il ricorso introdotto dall'art. 10
1. 6 agosto 1967 n. 765 non è proponibile da qualsiasi cittadino, ma
solo da parte di chi vanti un interesse differenziato (Cass. 22 gennaio
1982, n. 427, id., 1982, I, 1318, con nota di richiami), senza che possa farsi valere un interesse uti civis (Cons. Stato, sez. V, 13 aprile 1989, n. 210, id., Rep. 1989, voce cit., n. 494), la giurisprudenza è venuta
ampliando la sfera dei legittimati al ricorso, ai quali possa esser ricono
sciuto un interesse legittimo in virtù di un qualche elemento di collegan za con il territorio, derivante da rapporti reali, obbligatori, o di altra
natura, ma comunque sempre abitativi o di naturale frequentazione (per
l'insufficienza, peraltro, della semplice residenza, Cass. 25 ottobre 1982, n. 5530, id., 1982, I, 2776, con nota di richiami di C. M. Barone). È la strada battuta, quella del collegamento al territorio o all'ambiente,
per costituire una legittimazione individuale in materia di interessi dif
fusi (per riferimenti, Cons. Stato, sez. VI, 16 luglio 1990, n. 728, id.,
1991, III, 485, con nota di richiami, nonché, in dottrina, M. Nigro,
Giustizia amministrativa, Bologna, 1988, 138; V. Caianiello, Manuale
di diritto processuale amministrativo, Torino, 1988, 167). Per richiami dottrinali, peraltro non recenti, al rimedio di cui all'art.
10 1. 765/67, v. Mengoli, Manuale di diritto urbanistico, Milano, 1992, 830.
(2) Sul termine per il ricorso avverso l'approvazione di progetti di
opere pubbliche (e sui rapporti con il termine d'impugnazione della con
cessione), v. Tar Abruzzo 14 febbraio 1990, n. 100, Foro it., 1991,
III, 461, con nota di richiami di Fuzio, cui adde, nel senso che la cono
scenza della concessione vada rapportata al concreto svolgersi della si tuazione di fatto in relazione alla violazione urbanistica che si assume
commessa, Cons. Stato, sez. V, 2 aprile 1991, n. 375, Cons. Stato,
1991, I, 639: secondo tale pronuncia, la piena ed effettiva conoscenza, da intendersi come fatto la cui prova incombe a chi eccepisce la tardivi
tà, non può aversi per il semplice inizio dei lavori, ma è necessaria
l'ultimazione perché gli interessati siano in grado di aver cognizione dell'esistenza ed entità delle violazioni eventualmente derivanti dalla con cessione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 aprile 1982, n. 277, Foro it.,
Rep. 1982, voce Giustizia amministrativa, n. 319).
(3) Sul concetto di ristrutturazione, vedi Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 1989, n. 275, Foro it., 1990, III, 125, con nota di richiami, cui adde, nel senso di ricomprendere nella categoria di cui all'art. 31,1° comma, lett. d), 1. 457/78 la demolizione e successiva fedele ricostruzione del
l'immobile, Cons. Stato, sez. V, 4 aprile 1991, n. 430, Cons. Stato, 1991, I, 656; Tar Sardegna 17 maggio 1990, n. 350, Foro it., Rep. 1990, voce Edilizia e urbanistica, n. 231: soluzione ormai pacifica nella
giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. sez. V 9 luglio 1990, n. 594,
ibid., n. 335; 28 giugno 1988, n. 416, id., 1990, III, 223, in motivazio
ne; 17 ottobre 1987, n. 637, id., Rep. 1987, voce cit., n. 611). In senso
contrario, Cass. 25 settembre 1984, Belcaro, id., Rep. 1985, voce cit., n. 635; in dottrina: Pifferi, Abbattimento e ricostruzione di edificio: non costituiscono ricostruzione edilizia, in Ammin. it., 1986, 506.
Alla luce di tale orientamento del supremo organo di giustizia ammi
nistrativa, la pronuncia in epigrafe, nell'individuare gli elementi carat terizzanti la ristrutturazione, appare ispirata a criteri di estremo rigore.
È pur vero che nella fattispecie concreta si era realizzato un macro
scopico aumento di volumi. Nell'annullare la «concessione di amplia mento in sopraelevazione», tuttavia, in quanto non rispondente ai ca noni di «ristrutturazione» delineati dall'art. 31, lett. d), 1. 457/78, il
Consiglio di Stato, nel delineare i confini della tipologia locatizia in
Il Foro Italiano — 1992.
Fatto. — I sig. Mario e Salvatore Mascolo hanno impugnato, con ricorso al Tar per la Campania notificato I'll febbraio 1985,
la concessione edilizia 1° settembre 1984, n. 20 rilasciata dal
sindaco di Agerola ai sig. Mario e Assunta Ruocco per l'am
pliamento e la sistemazione del fabbricato di via Principe di
Piemonte 23. I ricorrenti hanno premesso che l'immobile, og
getto della concessione, era costituito da due corpi di fabbrica;
uno, di tre piani fuori terra (oltre a un piano cantinato), occu
pava l'intera particella catastale n. 909 ed era stato costruito
in base ad una licenza edilizia del 1952 che aveva autorizzato
la realizzazione di una superficie di 219,19 metri quadrati al
piano terra e al primo piano e di 216,56 metri quadrati al se
condo piano, per un volume complessivo di 2.533,66 metri cubi
(risultante dalle superfici testé indicate per le altezze dei piani, di metri 4,8 il piano terra, 3,4 ciascuno dei piani superiori); l'altro corpo di fabbrica, di un solo piano fuori terra, era stato
costruito in aderenza al primo sulla particella catastale n. 785,
in base ad una licenza edilizia del 1968, che aveva autorizzato
la realizzazione di una superficie di 130,09 metri quadrati e un'al
tezza di 4,8 metri, e quindi volume di 624,43 metri cubi. Com
plessivamente, dunque, l'edificazione dell'immobile di via Prin
cipe di Piemonte 23 era stata autorizzata per 3.158,09 metri
cubi. In effetti però, secondo i ricorrenti, il secondo corpo di
fabbrica era stato costruito con una superficie di 183,82 metri
quadrati, con una differenza in più di 50,73 metri quadrati ri
spetto a quella autorizzata, e con un aumento del volume com
questione, assume intonazioni definitorie, affermando che «in tanto può
parlarsi di ristrutturazione, in quanto l'organismo edilizio, su cui si svol
gono gli interventi, rimanga o ritorni ad essere il medesimo per forma, volume o altezza».
Che la ristrutturazione potesse comportare aumenti di volume era
stato affermato, sia pure non direttamente, ma con riferimento alla
contigua categoria del restauro e della straordinaria manutenzione che, a differenza (a quanto sembra) dalla ristrutturazione, non comportano alterazioni di volume o mutamento della destinazione d'uso, da Cons.
Stato, sez. V, 23 gennaio 1984, n. 64, Foro it., 1984, III, 421, con
nota di richiami, e da Cass. 4 ottobre 1983, Ena, id., Rep. 1984, voce
cit., n. 405, oltre che, esplicitamente, da Tar Lombardia, sez. II, 26
ottobre 1987, n. 372, id., Rep. 1988, voce cit., n. 509 e da Tar Marche
2 novembre 1984, n. 459, Trib. amm. reg., 1985, I, 222, e, proprio con riguardo alle sopraelevazioni, con modifica della sagoma, da Tar
Lazio, sez. II, 13 ottobre 1987, n. 1643, id., 1987, I, 3658.
Atteggiamento rigoristico assume però Cons. Stato, sez. V, 30 giu
gno 1984, n. 539, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 251, che ritiene
estraneo alla ristrutturazione l'aumento dell'altezza dell'edificio, e, ri
guardo al volume, di cui ritiene incompatibile l'aumento con il senso
recuperatorio dell'intervento di ristrutturazione: Tar Piemonte, sez. I, 12 luglio 1985, n. 296, id., Rep. 1986, voce cit., n. 639, e Giur. it.,
1986, III, 1, 96, con nota di Cancarini Ghisetti.
Riguardo alla forma architettonica, il Consiglio di Stato ha assimila to alla ristrutturazione la modifica, complessiva, delle facciate (Cons. Stato, sez. V, 21 novembre 1985, n. 417, Foro it., Rep. 1986, voce
cit., n. 645). Si trova ripetuta la formula per cui, potendo la ristrutturazione dar
luogo «ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente» (secondo la lettera dell'art. 31, lett. d), ne possono risultare modificati
«tipo, caratteristiche, dimensioni, localizzazione» (cosi Cons. Stato, sez.
V, 23 gennaio 1984, n. 64, cit., e 5 luglio 1983, n. 307, id., Rep. 1983, voce cit., n. 346); formula che, a ben vedere, lascia irrisolte le questioni circa la modificabilità di forma, volume, altezza, che sono i parametri utilizzati nella sentenza in epigrafe.
Probabilmente l'incertezza giurisprudenziale tradisce un'ansia defini
toria in direzione qualitativa (o «modale», secondo l'osservazione di Lombardi, Sui limiti della ristrutturazione urbanistica, in Riv. giur. edi
lizia, 1985, I, 116 ss., spec. 122), quando non anche quantitativa, che
complica la scarna linearità dell'espressione normativa, orientata sul ca
none funzionale del recupero urbanistico degli spazi. In dottrina, sulla ristrutturazione in generale, G. P., Opere di manu
tenzione straordinaria e di ristrutturazione edilizia: quali le differenze?, in Riv. amm., 1988, 1393; Benini, Trasformazione di sottotetto in man sarda: concessione o autorizzazione?, in Giur. merito, 1988, 173; Bor
rella, Ancora in tema di ricostruzione e ristrutturazione: incertezze e novità nella giurisprudenza, in Riv. giur. urbanistica, 1989, 483; Ro
della, Il concetto di ristrutturazione edilizia e le incertezze e oscillazio ni in giurisprudenza, in Nuova rass., 1990, 1089.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
plessivo del piano terreno (di metri cubi 1.838,89 anziché
1.676,54). I ricorrenti asserivano ancora che i proprietari dell'immobile,
sig. Ruocco, nel richiedere il 4 febbraio 1984 una concessione
per l'ampliamento e la sistemazione definitiva del fabbricato,
avevano esposto dati non veri circa le dimensioni dell'immobile
esistente, indicando una superficie del piano terra di 386,73 me
tri quadrati; ed avevano allegato un progetto — poi approvato
con la concessione impugnata — che prevedeva per il primo
piano una superficie di 368,97 metri quadrati (con una appa
rente diminuzione, rispetto alla superficie dichiarata, e con un
aumento della superficie realmente esistente) un'altezza di metri
3,7 e quindi un volume di 1.568,76 metri cubi. Il progetto inol
tre prevedeva, al piano terra, la realizzazione di negozi, ai piani
primo e secondo un ampliamento di superficie (352,56 metri
quadrati in luogo del 219,19 e 216,56 preesistenti rispettivamen
te al primo e al secondo piano) che, data l'altezza complessiva
di metri 6,4 dei due piani, comportava un volume degli stessi
di 2.256,38 in luogo dei 1.493,62 metri cubi preesistenti; e un
volume complessivo dei tre piani fuori terra di 3.625,27 metri
cubi in luogo di quello di 3.349,92 metri cubi dichiarato come
preesistente e di quello di 3.158,08 autorizzato con le precedenti
licenze. Oltre a ciò, nel progetto autorizzato erano previsti dei
boxes per una superficie di 52,97 metri quadrati e un'altezza
non indicata, che andavano ad aggiungersi al volume suddetto;
nonché un piano sottotetto, non quotato e privo dell'indicazio
ne della destinazione d'uso, escluso dal computo delle superfici
e dei volumi benché superante largamente le dimensioni e il vo
lume di un sottotetto.
Ciò premesso, i ricorrenti deducevano l'illegittimità della con
cessione perché rilasciata:
1) in base a rappresentazioni difformi dal vero, come sopra
indicato; 2) senza «il previo provvedimento sindacale autorizzativo della
progettazione ai fini ambientali»;
3) in violazione delle norme del piano regolatore adottato (e non approvato) riguardanti l'altezza (metri 14,9 al colmo del
tetto e 10,1 alla gronda, in luogo dei 7 massimi consentiti), e
l'indice di fabbricabilità (previsto in 0,67 metri cubi per metro
quadrato);
4) in violazione del programma di fabbricazione vigente, con
particolare riferimento al sottotetto, all'omesso calcolo dei bo
xes, all'altezza dei locali destinati a negozi, all'aumento di volu
metria concesso e all'indice fondiario di fabbricabilità che ne
risultava; nonché in quanto il piano di fabbricazione, nella zo
na B in cui ricade l'immobile, contempla la possibilità di «sosti
tuzione» di edifici soltanto a parità di volumi, con il rispetto
di determinate distanze dai fabbricati e di determinate altezze.
I ricorrenti inoltre deducevano l'illegittimità del parere favo
revole «ambientale», dovunque questo fosse contenuto.
II tribunale amministrativo regionale, in accoglimento di un'ec
cezione svolta sia dal comune di Agerola che dai controinteres
sati sig. Ruocco, ha dichiarato inammissibile il ricorso per ca renza di interesse dei ricorrenti, i quali, pur proprietari di un
immobile fronteggiante quello al quale la concessione impugna
ta si riferiva e distante metri 10,1 dallo stesso, non avevano
documentato in che cosa consistesse il pregiudizio da loro la
mentato, considerando anche che l'immobile di loro proprietà
non aveva possibilità di vedute e che quello dei controinteressa
ti sarebbe risultato più basso in seguito ai lavori autorizzati,
con vantaggio dei ricorrenti dal punto di vista del godimento
del sole, dell'aria e della luce.
Appellano i sig. Mascolo, dolendosi della dichiarazione d'i nammissibilità del ricorso e riproponendo le censure proposte
in primo grado. Gli appellanti in particolare chiariscono che
l'immobile, per la cui concessione di ampliamento è causa, rica
de nella zona B del programma di fabbricazione, nella quale
è prevista la possibilità di interventi edilizi e di edificazione, ma con il rispetto di volumetrie, distanze ed altezze che, nella
specie, sono state violate; l'immobile ricade inoltre nella zona
B/2 del piano regolatore generale adottato dal consiglio comu
II Foro Italiano — 1992.
naie con deliberazione 14 ottobre 1981 n. 63, modificato con
deliberazione consiliare 12 novembre 1982 n. 48 di esame delle
opposizioni, restituito al comune con deliberazione della giunta
esecutiva della comunità montana della penisola sorrentina 8
novembre 1985 n. 465, contenente invito ad arrecarvi modifica
zioni; e la concessione è stata rilasciata anche in violazione delle
prescrizioni del piano regolatore relative alla suddetta zona, no
nostante l'obbligatorietà dell'adozione delle misure di salvaguar
dia. Infine, secondo gli appellanti, sono state violate le prescri
zioni del piano di recupero di Agerola, adottato dal consiglio
comunale con deliberazione 25 maggio 1982 n. 12, che per l'iso
lato in cui ricade l'immobile, ammette soltanto interventi di ri
strutturazione edilizia. (Omissis) Diritto. — La censura contro la dichiarazione d'inammissibi
lità del recupero per mancanza d'interesse, pronunciata dal giu
dice di primo grado, è fondata.
L'art. 31, 9° comma, della legge urbanistica 17 agosto 1942
n. 1150, modificato dall'art. 10 1. 6 agosto 1967 n. 765, recita:
«Chiunque può . . . ricorrere contro il rilascio della licenza edi
lizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei
regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore e dei piani
particolareggiati d'esecuzione». La disposizione, come ricorda
la stessa sentenza impugnata, è sempre stata interpretata da que
sto consiglio nel senso che, pur dovendosi escludere l'introdu
zione di una nuova azione popolare, sia da riconoscere una po
sizione d'interesse che consente l'impugnativa delle concessioni
edilizie a coloro i quali, per essere proprietari di un immobile
sito nella zona ovvero anche solo per trovarsi in una situazione
di stabile collegamento con la zona interessata alla costruzione
autorizzata con la concessione, lamentino una violazione delle
prescrizioni urbanistiche ed edilizie relative alla zona in questio
ne; il tribunale amministrativo regionale ha però ritenuto che
il suddetto principio vada contemperato con quello della neces
sità che l'impugnazione sia sorretta dalla sussistenza di un inte
resse personale e qualificato alla tutela giurisdizionale, ed è per
venuto alla conclusione che, nella specie, un tale interesse per
sonale, quale sarebbe potuto derivare dalla privazione di luce
ed aria causata dalle lamentate violazioni di norme urbanisti
che, non è stato dimostrato dai ricorrenti.
Il collegio osserva che siffatta argomentazione svuota di si
gnificato la disposizione citata e fraintende quello delle norme
urbanistiche; le quali ultime, a differenza delle norme di carat
tere civile sulle costruzioni, non sono dettate a tutela delle pro
prietà limitrofe o vicine, ma a tutela dell'ordinato insediamento
abitativo nel territorio, cosicché il danno che consegue alla loro
violazione non può essere valutato con riferimento a determina
ti immobili vicini, bensì' con riferimento al danno che la colletti
vità tutta risente dall'inosservanza delle norme sulle costruzio
ni; il che vai quanto dire che, soddisfatta la condizione della
residenza o del possesso o detenzione d'immobili nella zona o
di altro titolo particolare di frequentazione della zona stessa,
l'impugnazione delle concessioni edilizie non richiede altro inte
resse a ricorrere che quello del ripristino della legittimità. D'al
tro canto, la disposizione che consente a «chiunque» di impu
gnare le concessioni edilizie verrebbe frustrata completamente
se si esigesse la dimostrazione di un danno particolare degli abi
tanti degli altri immobili, che in gran parte dei casi può non
essere neppure ipotizzabile o il cui accertamento nel caso con
creto aprirebbe la via alle valutazioni più soggettive ed arbitra
rie, mentre è chiaro che la violazione delle norme urbanistiche
sulle edificazioni reca danno (alla stregua delle valutazioni d'u
tilità insite nelle disposizioni stesse) a tutti i membri della collet
tività che si trovino a vivere, dimorare e talvolta anche solo
a transitare nella zona interessata, in ragione della frequenta
zione della stessa e della diffusione delle violazioni.
Nella specie, i ricorrenti sono addirittura proprietari di un
immobile sito all'incirca di fronte all'immobile oggetto della con
cessione, e quindi la loro legittimazione all'impugnazione della
concessione non può essere disconosciuta.
È poi infondata l'eccezione di tardività del ricorso di primo
grado rispetto alla conoscenza che i ricorrenti avrebbero avuto,
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PARTE TERZA
a causa dell'esecuzione dei lavori, della concessione: è giuri
sprudenza costante della sezione che la piena conoscenza della
concessione edilizia, ai fini della decorrenza del termine per la
sua impugnazione, si ha quando l'interessato (futuro ricorrente) abbia conosciuto il contenuto del progetto approvato (vedasi, tra le ultime, la decisione 17 dicembre 1990, n. 890, Foro it.,
Rep. 1991, voce Giustizia amministrativa, n. 308), e che la co
noscenza dell'attività edificatoria non implica, di per sé, la co
noscenza del relativo titolo. Nella specie, nessuna prova è stata
data dai resistenti della conoscenza del contenuto della conces
sione da parte dei sig. Mascolo.
Nel merito, l'impugnazione della concessione edilizia rilascia
ta ai signori Mascolo è fondata.
Con detta concessione si è autorizzato l'ampliamento dell'im
mobile, costituito da due corpi di fabbrica, l'uno di un piano,
l'altro di tre piani fuoriterra, in modo tale da portare l'intero
complesso a tre piani. Perciò in nessun modo le opere autoriz
zate possono definirsi «ristrutturazione», della quale — alla stre
gua della definizione datane dall'art. 31, 1° comma, lett. d),
1. 5 agosto 1978 n. 457 contenente norme per l'edilizia residen
ziale — in tanto può parlarsi in quanto l'organismo edilizio,
su cui si svolgono gli interventi, rimanga o ritorni ad essere
il medesimo per forma, volume e altezza. Secondo la definizio
ne legislativa, infatti, il risultato della ristrutturazione può bensì
essere «un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente», purché però la diversità sia dovuta ad interventi
comprendenti «il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi
costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento
di nuovi elementi ed impianti» e non già alla realizzazione di
nuovi volumi, perché altrimenti sarebbe sufficiente la preesi stenza di un edificio per definire «ristrutturazione» qualsiasi nuo
va realizzazione effettuata in luogo, o sul luogo, di quello pree sistente.
Ciò premesso, la particolarità della normativa urbanistica del
comune di Agerola riguardo alla zona nella quale insiste l'im
mobile è la coesistenza di tre fonti normative: il programma di fabbricazione, un piano regolatore generale adottato il 14
ottobre 1981 e al quale sono state apportate modifiche (di cui
agli atti di causa non risulta la natura) nel 1982, e un piano di recupero adottato ai sensi dell'art. 28 1. 14 maggio 1981 n.
219 sugli interventi nelle zone colpite da eventi sismici, nel qua le ultimo per l'isolato in cui è compreso l'immobile dei sig. Ruoc
co sono previsti interventi di ristrutturazione (che il piano defi
nisce conformemente all'art. 31 1. n. 457 del 1978). Il comune sostiene che l'indicato piano di recupero, prevalen
do sui precedenti, rende inoperante il piano regolatore adottato
e inapplicabili le misure di salvaguardia di quello. Senonché la
tesi, della quale, per quanto sopra detto, è errata la premessa, cioè che i lavori autorizzati costituiscano una ristrutturazione, è insostenibile anche perché il piano di recupero esclude espres samente le sopraelevazioni, mentre la concessione è stata rila
sciata dal comune con la denominazione di «concessione di am
pliamento in sopraelevazione». La concessione impugnata pertanto non trova giustificazione
nel piano di recupero. D'altro lato, anche a ritenere che i piani di recupero per le zone colpite da terremoti, di cui all'art. 28
1. n. 219 del 1981, prevedano gli interventi minimi necessari
eseguibili coattivamente mediante espropriazioni (prevalendo sugli strumenti urbanistici che non li consentano), ma non impedi scano al proprietario di realizzare maggiori interventi consentiti
dagli strumenti urbanistici ordinari, si deve rilevare che la con
cessione è in contrasto con il piano regolatore adottato dal con
siglio comunale. Tale contrasto non è neppure contestato dai
resistenti, né potrebbe esserlo, dal momento che nel piano rego latore si prevede un'altezza massima di 7 metri e un indice fon
diario di fabbricabilità di 0,67, mentre la concessione ha auto
rizzato la realizzazione di un immobile il cui piano di gronda
(anche senza considerare la questione del sottotetto) è a metri
10,1 di altezza, e che porta all'indice fondiario di fabbricabilità
a circa 3,5. Il comune pertanto non poteva il 10 settembre 1984, rilasciare la concessione, ma avrebbe dovuto sospendere ogni
Il Foro Italiano — 1992.
determinazione sulla relativa domanda, dal momento che tale
misura di salvaguardia dei piani regolatori adottati dal consiglio
comunale, nelle more dell'approvazione (prevista come facolta
tiva dalla 1. 3 novembre 1952 n. 1902 per un periodo massimo
di tre o cinque anni secondo i casi) è stata resa obbligatoria dall'art. 3 1. 6 agosto 1967 n. 765. Che poi, per l'applicabilità della misura di salvaguardia, si debba fare riferimento alla data
di rilascio della concessione, e non certo, come sostiene il co
mune, a quella in cui la concessione fu comunicata ai beneficia
ri o a quella in cui questi ultimi abbiano cominciato a costruire,
è cosa sulla quale il collegio non ritiene di doversi soffermare.
In ogni caso, infine, la concessione contrasta anche con il
programma di fabbricazione, che prevede, nella zona, un indice
fondiario di fabbricabilità di 1,5, mentre, come si è detto, con
la concessione impugnata si è autorizzata la realizzazione di un
immobile il cui volume comporta un indice di fabbricabilità più
che doppio. In definitiva l'appello va accolto e la concessione edilizia im
pugnata va annullata.
CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; decisione 17 febbraio 1992,
n. 201; Pres. Buscema, Est. Numerico; Comune di Caserta
(Avv. Lamberti) c. Soc. De Negri (Avv. Spagnuolo Vigori
ta). Conferma Tar Napoli, sez■ II, 17 ottobre 1988, n. 433.
Edilizia e urbanistica — Piano regolatore — Considerazione di
interessi non strettamente urbanistici — Ammissibilità nell'am
bito della zonizzazione — Perseguimento di interessi di politi ca economica — Illegittimità (L. 17 agosto 1942 n. 1150, leg
ge urbanistica).
Pur non essendo estranee alla disciplina urbanistica considera
zioni dettate da interessi soggetti ad altre, specifiche discipli
ne, tali considerazioni debbono confluire nella corretta meto
dologia urbanistica di distribuzione generale degli insediamenti
sul territorio, ovvero nella zonizzazione e tipizzazione edili
zia; va pertanto annullata, in quanto viziata per sviamento
di potere, una clausola introdotta in sede dì approvazione di piano regolatore generale, che per gli edifici, adibiti ad
attività industriale, inseriti in zona residenziale, nega per il
caso di cessazione dell'attività produttiva la convertibilità in
edilizia abitativa, localizzando in tal modo l'attività d'impre sa in porzioni isolate e disomogenee all'interno della zona
prevista in via generale come residenziale, tanto più qualora possa ritenersi che il fine concretamente perseguito fu dettato
dall'esigenza di politica economica di mantenere i livelli occu
pazionali e di strutture produttive. (1)
(1) I. - Il coordinamento tra le esigenze di politica economica e la
distribuzione degli insediamenti e delle attività umane sul territorio, va
compiuto in linea generale, programmatica (Cons. Stato, sez. IV, 30 ottobre 1989, n. 705, Foro it., Rep. 1989, voce Edilizia e urbanistica, n. 239). Lo studio dei rapporti tra gli aspetti economici, sociali, cultu rali da una parte, e urbanistici in senso stretto dall'altra, caratterizza
l'essenza stessa della scienza urbanistica, e da un concezione che legge va nella pianificazione territoriale una pianificazione totale, in voga sullo scorcio degli anni '50 (e che si ritrova negli scritti di Samonà, Proposte per un avviamento dei problemi urbanistici verso la pianificazione tota
le, in Urbanistica, fase. 20, 6) si passava ad una contrapposizione dia lettica tra i due gruppi di discipline (cfr. Toschi, Piani territoriali e
piani economici, in Rassegna economica del Banco di Napoli, 1958,
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