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PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || sezione VI; decisione 14 novembre 1991, n. 828; Pres....

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sezione VI; decisione 14 novembre 1991, n. 828; Pres. Laschena, Est. Pajno; Soc. Villaggio turistico Torre Incina (Avv. Guarino, Paparella, Mercuri), De Bellis e altri (Avv. Caravita di Toritto) c. Min. beni culturali (Avv. dello Stato Linda) e altri. Conferma Tar Puglia 11 aprile 1990, nn. 282, 283 Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1992), pp. 517/518-539/540 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23187512 . Accessed: 25/06/2014 00:35 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.214 on Wed, 25 Jun 2014 00:35:37 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione VI; decisione 14 novembre 1991, n. 828; Pres. Laschena, Est. Pajno; Soc. Villaggioturistico Torre Incina (Avv. Guarino, Paparella, Mercuri), De Bellis e altri (Avv. Caravita diToritto) c. Min. beni culturali (Avv. dello Stato Linda) e altri. Conferma Tar Puglia 11 aprile1990, nn. 282, 283Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1992),pp. 517/518-539/540Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187512 .

Accessed: 25/06/2014 00:35

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

CONSIGLIO DI STATO; CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; decisione 17 giugno 1992, n. 626; Pres. Quartulu, Est. Santoro; Min. grazia e giusti

zia (Avv. dello Stato Gentili) c. Giongrandi e altri (Avv. De

Vergottini). Regolamento di competenza.

Ordinamento giudiziario — Magistrato — Accertamento di

diritti patrimoniali — Ricorso — Competenza — Foro del

pubblico impiego (L. 24 marzo 1958 n. 195, norme sulla

costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della

magistratura, art. 17; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione

dei tribunali amministrativi regionali, art. 3; 1. 12 aprile 1990 n. 74, modifica alle norme sul sistema elettorale e

sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratu

ra, art. 4).

Per l'individuazione del tribunale amministrativo regionale com

petente sui ricorsi con cui un magistrato chiede l'accertamen

to di un proprio diritto patrimoniale, si applica la regola del

foro del pubblico impiego, senza che possa venire attratto

dalla speciale competenza del Tar per il Lazio su provvedi

menti riguardanti magistrati, adottati in conformità delle de

liberazioni del Consiglio superiore della magistratura. (1)

Diritto. — Il ricorso per regolamento di competenza è in

fondato.

A torto l'amministrazione qui ricorrente invoca l'applicazio

ne dell'art. 17, 2° comma, 1. 24 marzo 1958 n. 195 cosi come

introdotto dall'art. 4 1. 12 aprile 1990 n. 74.

Infatti la speciale deroga alla regola generale del foro del pub

blico impiego è ivi prevista espressamente per i ricorsi diretti

contro «i provvedimenti riguardanti i magistrati. . . adottati

in conformità delle deliberazioni del Consiglio superiore, con

decreto del presidente della repubblica» ovvero quelli adottati

ex art. 6 d. leg. 27 giugno 1946 n. 19.

Nella specie il ricorso proposto dai magistrati ordinari indica

ti in epigrafe non riguarda né l'una né l'altra ipotesi, avendo

ad oggetto soltanto l'accertamento di diritti patrimoniali vanta

ti dagli stessi, ed avente la loro fonte nel rapporto d'impiego

e nell'art. 4, 3° comma, 1. n. 869 del 1982.

Ne consegue l'applicabilità nella specie della regola generale

di cui al capoverso dell'art. 3 1. 6 dicembre 1971 n. 1034 (foro

del pubblico impiego), in luogo dell'invocato art. 4 1. 74/90, il che consente di escludere che del ricorso principale spetti co

noscere al Tar del Lazio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17 gennaio

1992, n. 60).

(1) Il Consiglio di Stato precisa la portata dell'art. 4 1. 74/90,

il quale, innovando la formulazione dell'art. 17 1. 195/58, concentra

nel Tar Lazio i ricorsi contro provvedimenti riguardanti magistrati,

ma in quanto esecutivi di deliberazioni del Consiglio superiore della

magistratura. Tar Sicilia, ord. 30 maggio 1991, Foro it., 1992, III, 340, con nota

di richiami sulle prime applicazioni della norma, ha dichiarato non ma

nifestamente infondate questioni di costituzionalità, che la corte ha re

spinto, con sentenza 22 aprile 1992, n. 189, ibid., I, 2033, con nota

di A. Romano.

Il Foro Italiano — 1992 — Parte III-21.

I

CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 14 novembre

1991, n. 828; Pres. Laschena, Est. Pajno; Soc. Villaggio tu

ristico Torre Incina (Aw. Guarino, Paparella, Mercuri),

De Bellis e altri (Avv. Caravita di Toritto) c. Min. beni

culturali (Avv. dello Stato Linda) e altri. Conferma Tar Pu

glia 11 aprile 1990, nn. 282, 283.

Bellezze naturali (protezione delle) — Autorizzazione regionale — Annullamento ministeriale — Rilevabilità dei vizi di legit timità — Riesame nel merito — Esclusione (L. 8 agosto 1985

n. 431, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 27

giugno 1985 n. 312, disposizioni urgenti per la tutela delle

zone di particolare interesse ambientale, art. 1).

Bellezze naturali (protezione delle) — Autorizzazione paesaggi

stica — Obbligo di motivazione.

Il potere ministeriale di annullamento dell'autorizzazione regio

nale paesaggistica si inscrive nel più generale potere-dovere

dello Stato di vigilanza sull'esercizio delle funzioni delegate

e si concreta in un sindacato di mera legittimità sulle modali

tà di esercizio della funzione autorizzatola. (1)

(1, 5, 8) I. - L'ampiezza ed il contenuto del potere ministeriale di

annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dalle regioni,

per la modifica del territorio nelle zone vincolate ai sensi della 1. 29

giugno 1939 n. 1497 e della 1. 8 agosto 1985 n. 431, costituisce uno

dei temi di maggiore interesse affrontato recentemente dalla giurispru denza e dalla dottrina che si occupa della tutela del paesaggio.

11 «condominio istituzionale» tra Stato e regioni, in aderenza al det

tato costituzionale che assegna la tutela del paesaggio alla repubblica, ha comportato che la competenza in materia sia stata delegata alle re

gioni in maniera non interamente devolutiva, essendosi riservato alla

competenza dello Stato: a) il potere di integrare gli elenchi delle zone

meritevoli di tutela (art. 82, 2° comma, d.p.r. n. 616 del 1977); b) il potere di inibire i lavori o disporre la sospensione degli stessi qualora essi rechino pregiudizio a beni qualificabili come bellezze naturali ma

non ancora inclusi negli elenchi delle bellezze naturali (art. 82, 4° com

ma); c) il potere di rilasciare l'autorizzazione su richiesta degli interes

sati ed in presenza del decorso infruttuoso del termine di sessanta giorni dalla richiesta dell'autorizzazione alla regione (art. 82, 9° comma); d) il potere di rilasciare o negare l'autorizzazione, anche in difformità del

la decisione regionale, allorché la richiesta di autorizzazione riguardi

opere da eseguirsi da parte di amministrazioni statali (art. 82, 10° com

ma); e) il potere di annullare «in ogni caso» l'autorizzazione regionale nei sessanta giorni dalla sua comunicazione agli organi dello Stato (art.

82, 9° comma). La Corte costituzionale ha affrontato il tema dei rapporti tra Stato

e regioni nella materia della tutela del paesaggio dapprima, in via gene

rale, con le sentenze nn. 151, 152, 153 del 1986, Foro it., 1986, I, 2689

e successivamente, in relazione al concreto esercizio dei poteri statali,

con le sentenze 20 dicembre 1988, n. 1112, id., Rep. 1989, voce Bellezze

naturali, n. 14 e 17 giugno 1992, n. 282, in questo fascicolo, parte prima. In queste pronunce la corte ha ribadito l'inammissibilità dei conflitti

di attribuzioni sollevati dalle regioni a tutela di competenze proprie ad

esse delegate non in maniera completamente devolutiva ma con il ricon

scimento, in favore dello Stato, di un quota di poteri concorrenti in

adesione al dettato costituzionale dell'art. 9 Cost, che, per un'effettiva

tutela del paesaggio, richiede una «equilibrata concorrenza e coopera zione» tra organi statali e regionali.

Ad esse si aggiunga anche Corte cost. 10 marzo 1988, n. 302, Foro

it., 1988, I, 1617 che, pronunciandosi in tema di competenza ad emette

re il parere per la concessione della sanatoria edilizia per opere realizza

te in zone vincolate, aveva attribuito alla regione un ruolo di preminen

za, riconoscendola quale «amministrazione istituzionalmente preposta alla tutela del vincolo ambientale».

II. - Il Consiglio di Stato, finora, ha sempre sostenuto che il potere riconosciuto al ministro per i beni culturali ed ambientali dall'art. 1,

5° comma, 1. n. 431 del 1985, integrativo dell'art. 82, 9° comma, d.p.r.

24 luglio 1977 n. 616, sia da intendersi quale espressione non già di

un riesame nel merito del provvedimento regionale bensì di un potere

di annullamento di ufficio per motivi di legittimità. In particolare, il

Consiglio di Stato riconduce il potere in oggetto al più generale potere

di vigilanza che il legislatore ha voluto riconoscere allo Stato nei con

fronti dell'esercizio delle funzioni delegate alle regioni in materia di

gestione del vincolo.

L'annullamento, potendo riguardare tutti i vizi di legittimità, com

prese le singole ipotesi riconducibili all'eccesso di potere, consente al

ministro, secondo la tesi del Consiglio di Stato, di espletare un puntuale

e penetrante sindacato sull'esercizio delle funzioni amministrative con

nesse al potere autorizzatorio di cui all'art. 7 1. n. 1497 del 1939.

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PARTE TERZA

Il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica richiede una adegua ta motivazione della compatibilità delle opere in progetto con

il bene oggetto della tutela vincolistica. (2) Il potere di consigliare le opportune modifiche progettuali, pre

visto dall'art. 16 r.d. 3 giugno 1940 n. 1357, presuppone la

possibilità di pervenire a progetti compatibili con i valori pae sistici tutelati. (3)

II

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA; sezione I; sentenza 26 gennaio 1992, n. 27; Pres. Mangione, Est. Romeo; Regione Lombardia (Aw. Ber

toni, Antonini) c. Min. beni culturali (Avv. dello Stato Da

miani) e altri.

Bellezze naturali (protezione delle) — Autorizzazione regionale — Annullamento ministeriale — Atto non recettizio (L. 8 ago sto 1985 n. 431, art. 1).

Bellezze naturali (protezione delle) — Autorizzazione regionale — Annullamento ministeriale — Estensione a vizi di merito — Esclusione (L. 8 agosto 1985 n. 431, art. 1).

Il termine perentorio di sessanta giorni per l'esercizio del potere ministeriale di annullamento dell'autorizzazione regionale pae

saggistica si riferisce alla sola adozione dell'atto e non anche

alla sua comunicazione. (4) Il potere di annullamento del ministro non può riguardare l'esi

to della valutazione espressa dalla regione nell'esercizio della

competenza esclusiva delegata in tema di gestione del vinco

lo, ma deve essere circoscritto alla verifica della completezza dell'istruttoria compiuta dalla regione, ivi compreso l'accer

tamento dell'esistenza del necessario presupposto della rila

sciata autorizzazione, vale a dire l'avvenuta valutazione della

compatibilità effettiva del progetto con i valori paesistici dei

luoghi. (5)

In tal senso trova perfetta consonanza l'affermazione della Corte co

stituzionale, contenuta nella sentenza 151/86, per la quale allo Stato è assegnata la funzione di estrema difesa del vincolo allorché l'autoriz zazione ne travalichi i limiti intrinseci.

Per i precedenti si rinvia a Cons. Stato, sez. VI, 11 giugno 1990, n. 600, id., 1991, III, 125, con ampia nota di riferimenti ed osservazio ni di M. Cozzuto-Quadri; 5 luglio 1990, n. 692, id., Rep. 1991, voce

cit., n. 45. Non è univoco, invece, l'orientamento dei tribunali amministrativi

regionali, come è reso manifesto dalle due difformi sentenze in rassegna emesse da due diverse sezioni dello stesso tribunale amministrativo per la Lombardia.

Per i precedenti si rinvia a Tar Campania, sez. I, 7 aprile 1989, n.

173, id., 1991, III, 126, con nota di richiami, che si esprime in favore di un potere di annullamento esteso al merito, cui adde, negli stessi

sensi, Tar Calabria, sez. Reggio Calabria, 2 luglio 1991, n. 212 e Tar Puglia, sez. Lecce, 24 aprile 1991, n. 316, id., Rep. 1991, voce cit., nn. 26, 35, mentre è favorevole al riconoscimento di un potere di an nullamento del ministro per soli motivi di legittimità Tar Abruzzo 29 marzo 1989, n. 152, id., Rep. 1989, voce cit., n. 37.

È da sottolineare che Tar Lombardia 1330/91 rivaluta il potere stata le di gestione diretta dell'interesse paesaggistico tutelato dal vincolo, richiedendo uno specifico obbligo di motivazione da parte della regio ne, a cui compete non solo di dare atto della compatibilità dell'inter vento rispetto all'interesse protetto ma anche di esplicitare le valutazio ni effettuate, al fine di consentire una seria forma di controllo tanto in sede amministrativa che in sede giudiziaria (sul contenuto dell'auto rizzazione e sull'obbligo della sua motivazione, si rinvia agli art. 3, 9, 10, 11 1. 7 agosto 1990 n. 241 e alle osservazioni di Fuzio, Diritto

all'informazione e diritto alla partecipazione nella gestione del vincolo paesistico e degli altri interessi ambientali. Il ruolo delle associazioni ambientaliste, in Riv. giur. ambiente, 1991, 455).

Il Tar Lombardia, in pratica, nella decisione 1330/91 della sua secon da sezione, sopravanza il Consiglio di Stato nella definizione di rappor ti tra Stato e regioni in subiecta materia, attribuendo allo Stato un po tere concorrente della medesima natura ed estensione di quello spettan te alla regione, laddove invece il Consiglio di Stato si è attestato su una posizione che riconosce allo Stato solo un potere di vigilanza sull'e sercizio della funzione regionale.

Peraltro, lo stesso Tar Lombardia, nella sentenza 27/92 della sua

prima sezione, soprariportata, rivaluta oltre modo il ruolo della regione

Il Foro Italiano — 1992.

Ill

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA; sezione II; sentenza 5 dicembre 1991, n. 1330; Pres. Bonifacio, Est. Tramaglino; Soc. Una Capanna (Avv.

Rallo, Romano) c. Min. beni culturali (Aw. dello Stato Da

miani) e altri.

Bellezze naturali (protezione delle) — Vincolo «ex lege» — Esclu

sione per le zone induse in piani pluriennali di attuazione

approvati — Estensione alle zone incluse in piani pluriennali di attuazione deliberati successivamente — Insussistenza (L. 8 agosto 1985 n. 431, art. 1).

Bellezze naturali (protezione delle) — Autorizzazione regionale

paesaggistica — Annullamento ministeriale — Atto non re

cettizio (L. 8 agosto 1985 n. 431, art. 1). Bellezze naturali (protezione delle) — Autorizzazione regionale

— Annullamento ministeriale — Estensione e valutazioni di

merito — Ammissibilità (L. 8 agosto 1985 n. 431, art. 1). Bellezze naturali (protezione delle) — Diniego di autorizzazio

ne — Obbligo di indicazione delle necessarie modifiche pro

gettuali — Insussistenza (R.d. 3 giugno 1940 n. 1357, art.

16).

L'esclusione dal vincolo ex lege, prevista dall'art. 1, 2° comma,

l. 8 agosto 1985 n. 431, è limitata solo alle zone del territorio

comunale ricomprese nei piani pluriennali di attuazione già

approvati al momento dell'entrata in vigore della legge. (6) Il termine di sessanta giorni entro il quale il ministro per i beni

culturali ed ambientali deve esercitare il potere di annulla

mento delle autorizzazioni regionali paesaggistiche si riferisce all'adozione dell'atto e non anche alla sua comunicazione al

l'interessato. (7) Il potere di riesame delle autorizzazioni regionali paesaggisti

che, assegnato al ministro per i beni culturali ed ambientali, si estende sino a ricomprendere valutazioni sul merito dell'in

tervento autorizzato, giacché nella gestione del vincolo al mi

assegnandole una funzione di netta prevalenza nella gestione complessi va della propria comunità territoriale e riconoscendo allo Stato, nella

partecipazione alla tutela e gestione del vincolo, non una posizione dia lettica nei confronti della regione ma solo una funzione di garante della

legalità dell'attività regionale. III. - In dottrina, Alibrandi - Ferri, 1 beni culturali e ambientali.

Appendice alla I. 8 agosto 1985 n. 431, Milano, 1985, 27 ss.; Fami glietti - Giuffrè, Le zone di particolare interesse ambientale, Napoli, 1989; Fuzio, I nuovi beni paesistici, manuale di tutela deI paesaggio, Rimini, 1990, 186; Cozzuto - Quadri, osservazioni alle sentenze Cons. Stato 11 giugno 1990, n. 600 e Tar Campania 7 aprile 1989, n. 173, in Foro it., 1991, III, 128, sono favorevoli alla tesi dell'annullamento

per soli vizi di legittimità. L'intervento dello Stato, infatti, si pone in funzione di estrema difesa del vincolo e trova il suo fondamento nella circostanza dello snaturamento e, quindi, dell'illegittimità di un'auto rizzazione che, consentendo la realizzazione di interventi incompatibili con la natura e la portata del vincolo, di fatto, finisce con il determina re un'implicita revoca o abrogazione del vincolo.

Contra, Immordino, Vincolo paesaggistico e regime dei beni, Pado va, 1991, 209 ss. e Novarese, in nota a Cons. Stato 11 giugno 1990, n. 600, cit., in Riv. giur. edilizia, 1991, I, 126, sostengono, invece, la tesi che il potere ministeriale di annullamento possa estendersi anche ad un riesame del merito.

(2) Sull'onere di motivazione delle autorizzazioni paesaggistiche, ol tre alle sentenze citate in motivazione, Tar Lombardia, sez. II, 18 giu gno 1991, n. 1018, Trib. amm. reg., 1991, I, 2880; Tar Calabria, sez.

Reggio Calabria, 2 luglio 1991, n. 212, Foro it., Rep. 1991, voce Bellez ze naturali, n. 28 e Cons. Stato, sez. VI, 5 luglio 1990, n. 692, cit.

L'art. 3, 1° comma, 1. 7 agosto 1990 n. 241 ha oggi espressamente introdotto l'obbligo della motivazione per ogni provvedimento, positi vo o negativo, sancendo la necessità di indicare sempre i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste a base della decisione amministrativa.

(3, 9) Non constano precedenti in termini. Finora la giurisprudenza riconosceva che l'indicazione delle modifi

che progettuali, che «possono» essere consigliate dall'autorità preposta al rilascio dell'autorizzazione (art. 16 r.d. 3 giugno 1940 n. 1357), costi tuisse una facoltà dell'amministrazione e non un obbligo, Cons. Stato, VI, 27 agosto 1980, n. 767, Foro it., Rep. 1980, voce Bellezze naturali, n. 33. Peraltro, la stessa giurisprudenza, in certo qual modo, aveva trasformato detta facoltà in obbligo mediante il riconoscimento dell'il

legittimità del diniego di autorizzazione che non fosse accompagnato dall'indicazione delle modalità con le quali la costruzione poteva essere

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

nistro spetta un potere della medesima estensione di quello attribuito alle regioni. (8)

L'obbligo di specificare le condizioni che consentono un ade

guato inserimento dell'opera nei luoghi vincolati non sussiste

allorché l'amministrazione riscontri una radicale incompatibi lità del progetto con le caratteristiche dei luoghi protetti. (9)

I

Diritto. — 1. - Deve, innanzi tutto, essere disposta la riunio

ne dei due procedimenti promossi dalla società Villaggio turisti

co Torre Incina (n. 1766/90 r.g.) e dai signori De Bellis Vitti (n. 1823/90 r.g.).

Gli stessi, infatti, hanno per oggetto due decisioni del Tar

della Puglia concernenti il medesimo provvedimento (il decreto

del 6 maggio 1989 del ministero dei beni culturali), sicché appa re evidente che alla riunione dei relativi giudizi avrebbe dovuto

provvedersi già in primo grado. 2. - Al fine di un compiuto esame delle questioni prospettate

con entrambi i ricorsi, occorre premettere che con il provvedi mento impugnato il ministero dei beni culturali ha proceduto

all'annullamento, ai sensi della 1. n. 431 del 1985, della delibera

n. 482 del 1989, con cui la giunta regionale della Puglia, nell'e

sercizio dei poteri di tutela del paesaggio, aveva autorizzato la

società Villaggio turistico Torre Incina a realizzare un comples so produttivo turistico-alberghiero nell'omonima località sita nel

territorio del comune di Polignano a Mare.

Come risulta dalle premesse del decreto impugnato, a tale

esito il ministero dei beni culturali è pervenuto, dopo aver ri

cordato espressamente le osservazioni formulate dalla soprin

tendenza per i beni ambientali, architettonici e storici della Pu

glia con la nota del 18 marzo 1989 (terzo motivo considerato

dal provvedimento), sulla scorta di una serie di considerazioni

volte ad evidenziarne, sotto diversi profili, l'illegittimità. A sostegno dell'annullamento è stato, infatti, rilevato che la

deliberazione della giunta regionale non spiegava le ragioni per

le quali il progetto esaminato era tale da non alterare i valori

paesistici del sito; che le prescrizioni fornite non risultavano

di supporto alla concessa autorizzazione, che l'autorità deciden

te non aveva motivato in ordine all'idoneità e sufficienza delle

condizioni imposte ad evitare un negativo impatto sul contesto

paesistico-ambientale, che non risultavano correttamente eserci

tati i poteri di cui all'art. 7 1. n. 1497 del 1939 e 16, 1° e 3°

comma, r.d. n. 1357 del 1940, che risultavano autorizzati sulla

stessa zona tutelata altri interventi edilizi senza che fosse stata

valutata l'incidenza globale delle modifiche assistite sull'assetto

della zona.

Il ministero dei beni culturali ha, cosi ritenuto l'autorizzazio

ne concessa dalla giunta regionale della Puglia viziata da ecces

so il potere sotto i profili della contraddittorietà e illogicità del

la motivazione, nonché in violazione di disposizioni normative,

e ne ha disposto l'annullamento osservando che il progetto au

torizzato, ove realizzato, sarebbe stato suscettibile di cancellare

i tratti paesaggistici della località interessata e che attraverso

l'autorizzazione si era, di fatto, consentita la modifica dell'e

stensione e della consistenza del vincolo paesaggistico.

resa compatibile con le caratteristiche della zona tutelata col vincolo

paesaggistico; Cons. Stato, sez. VI, 2 giugno 1988, n. 776, id., Rep. 1988, voce cit., n. 29; Tar Lazio, sez. II, 26 giugno 1985, n. 1799; Trib. amm. reg., 1985, I, 2100 e Tar Abruzzo 4 novembre 1988, n.

375, id., 1989, I, 267.

Su questo tema in dottrina, da ultimo, Immordino, op. cit., 213. ss.

(4, 7) Le massime sono conformi all'orientamento prevalente sia in

dottrina che in giurisprudenza, per le rispettive citazioni, si rinvia a

Tar Campania, sez. I, 26 febbraio 1991 n. 23, Foro it., 1992, III, 125, con nota di richiami e Tar Campania, sez. I, 7 aprile 1989, n. 173,

id., 1991, III, 126 con relative osservazioni.

(6) Non constano precedenti in termini.

Sulle ipotesi di esclusione dal vincolo generalizzato Tar Abruzzo 14

febbraio 1990, n. 100, Foro it., 1991, III, 461, con nota di richiami

di Fuzio; Tar Lombardia, sez. II, 12 dicembre 1986, n. 369, id., Rep.

1987, voce Bellezze naturali, n. 85, citata in motivazione, secondo cui l'esclusione dal vincolo riguarda soltanto le aree già disciplinate dagli strumenti urbanistici comunali, non consentendo deroghe per la futura

pianificazione urbanistica che, invece, di quei vincoli deve tener conto

fino all'approvazione dei piani paesistici. [R. Fuzio]

Il Foro Italiano — 1992.

3. - Tali essendo le diverse ragioni poste a sostegno dell'im

pugnato provvedimento, può passarsi all'esame della prima que stione prospettata con entrambe le impugnazioni.

Deducono al riguardo gli appellanti che erroneamente il tri

bunale avrebbe ritenuto che il potere di annullamento delle au

torizzazioni di cui all'art. 7 1. n. 1497 del 1939, rilasciate dalle

autorità regionali, riconosciuto al ministro dei beni culturali ed

ambientali dall'art. 82 d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, nel testo

introdotto dalla 1. 8 agosto 1985 n. 431, si estenda anche ai

vizi di merito. La società Villaggio turistico Torre Incina ha fatto, altresì,

presente, con memoria depositata nell'imminenza dell'udienza

di discussione, che ove dovesse ritenersi che l'art. 82, 9° com

ma, d.p.r. n. 616 del 1977 attribuisce al ministro un potere di

annullamento esteso al merito, la stessa dovrebbe essere ritenu

ta costituzionalmente illegittima per violazione degli art. 125,

1° comma, e 118 Cost., e cioè dall'autonomia costituzional

mente garantita alle regioni. Il rilievo prospettato dagli appellanti è fondato dal momento

che il potere di annullamento delle autorizzazioni ex art. 7 1.

n. 1497 del 1939 rilasciate dalle regioni, riconosciuto al ministro

dei beni culturali ed ambientali, non si estende ai vizi di merito.

Come è stato più volte sottolineato, la normativa posta dal

l'art. 82 d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616 ha inteso introdurre una

specifica tutela del paesaggio improntata ad integralità e globa

lità, vale a dire implicante una riconsiderazione assidua dell'in

tero territorio nazionale ed alla Iure ed in attuazione del valore

estetico-culturale (Corte cost. n. 151 del 1986, Foro it,, 1986,

I, 2689). Si tratta, in particolare, di una complessa tutela che vede l'in

tervento sia della regione (nell'esercizio di funzioni delegate) sia

dello Stato, in cui la concorrenza dei relativi poteri appare re

golata, come è stato osservato, dal principio di leale coopera

zione (Corte cost. n. 359 del 1985, id., 1986 I, 1196; n. 151

del 1986, cit.; n. 302 del 1988, id., 1988, I, 1017). La nuova disciplina contenuta nell'art. 82 d.p.r. n. 616 del

1987, nel raccordare le competenze statali a quelle regionali,

disciplina la concorrenza di entrambe puntualizzando specifica

mente la qualità e la quantità di poteri attribuita all'ammini

strazione statale. Allo Stato risulta infatti espressamente riser

vato, ferma restando l'ampia delega nei confronti delle regioni,

il potere di integrazione degli elenchi delle bellezze naturali (art.

82, 2° comma, lett. a); il potere di inibire lavori o di disporre

la sospensione, qualora rechino pregiudizio a beni qualificati

come bellezze naturali anche indipendentemente dalla loro in

clusione negli elenchi (art. 82, 4° comma, d.p.r. n. 616 del 1977),

nonché alcuni specifici poteri con riferimento all'esercizio, da

parte delle regioni delle funzioni amministrative delegate con

cernenti il rilascio dell'autorizzazione ex art. 7 n. 1497 del 1939.

Più precisamente, con riferimento a tale autorizzazione, l'art.

82, 9°comma, d.p.r. 616 del 1977, dispone che, decorso il ter

mine di sessanta giorni dalla richiesta di autorizzazione alla re

gione senza che questa abbia provveduto, gli interessati possa

no, nei successivi trenta giorni, richiedere l'autorizzazione me

desima al ministro dei beni culturali, che si pronuncia nei

successivi sessanta giorni. La stessa norma precisa, altresì, che

il «ministro per i beni culturali ed ambientali può, in ogni caso,

annullare, con provvedimento motivato, l'autorizzazione regio

nale entro i sessanta giorni successivi alla relativa comunicazio

ne», mentre il successivo 10° comma riconosce al ministro il

potere di rilasciare o negare entro sessanta giorni l'autorizzazio

ne «anche in difformità dalla decisione regionale» allorché la

richiesta di autorizzazione riguardi opere da eseguirsi da parte

di amministrazioni statali. Dal sopra delineato complesso normativo discende pertanto

che, nel disciplinare, nel quadro del cennato modello ispirato

al principio di cooperazione, il concorso dei poteri regionali e di quelli statali, non si è inteso attribuire allo Stato un generale

potere di riesame dei provvedimenti adottati dalle regioni nell'e

sercizio delle funzioni delegate concernenti la concessione delle

autorizzazioni di cui all'art. 7 1. n. 1497 del 1939.

Le disposizioni contenute nell'art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977,

nel nuovo testo introdotto dalla 1. n. 431 del 1985 non configu

rano, infatti, una competenza di merito in secondo grado in

materia di autorizzazioni ex art. 7 1. n. 1497 del 1939, come

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PARTE TERZA

è reso evidente dalla circostanza che l'intervento statale in pro

posito è previsto soltanto in via sostitutiva, ed è, per di più, subordinato non soltanto all'inerzia della regione per il periodo di tempo previsto dalla legge, ma all'esplicita iniziativa degli

interessati, che devono, appunto, richiedere al ministro l'auto

rizzazione. L'assenza in capo allo Stato di un generale potere di riesame

delle determinazioni regionali risulta, poi, ulterioremente con

fermato dal successivo 10° comma dell'art. 82, che espressa mente prevede il potere dell'organo statale di rilasciare o negare l'autorizzazione anche in difformità delle determinazioni regio nali allorché la relativa richiesta riguardi opere di competenza statale. L'esplicita previsione legislativa rende, infatti, palese che

l'attribuzione all'organo statale di un apposito, specifico potere di riesame delle autorizzazioni regionali costituisce una deroga,

legislativamente prevista, al principio generale secondo cui l'e

sercizio del potere autorizzatorio di cui all'art. 7 1. n. 1497 del

1939 è affidato alle regioni; deroga, peraltro, ampiamente giu stificata dalla circostanza che, nella fattispecie presa in conside

razione dalla norma, si tratta di valutare non soltanto l'interes

se connesso alla tutela del paesaggio, ma anche quello connesso

alla realizzazione di opere di competenza statale.

Il «sistema» complessivo predisposto dall'art. 82 d.p.r. n. 616

del 1977 per disciplinare il concorso tra Stato e regioni in tema

di autorizzazioni ex art. 7 1. n. 1497 del 1939 sembra, pertanto, caratterizzarsi per l'affidamento, in via normale, del relativo

potere alle regioni, con il riconoscimento all'organo statale di

un potere di esame e di valutazione di merito soltanto in via

derogatoria ed eccezionale, ijel caso di inerzia della regione e

di esplicita richiesta degli interessati, nonché nell'ipotesi che l'au torizzazione riguardi opere da eseguirsi da parte di amministra

zioni statali.

In un quadro normativo del genere, la previsione contenuta

nel medesimo art. 82, 9° comma, d.p.r. n. 616 del 1977, secon

do cui il ministro «può, in ogni caso, annullare con provvedi mento motivato, l'autorizzazione regionale entro i sessanta giorni successivi alla relativa comunicazione» non può, certamente, es

sere intesa come idonea ad attribuire all'organo statale un pote re di annullamento di ufficio esteso anche ai vizi di merito.

L'affermazione di un potere del genere postula, infatti, l'esi

stenza in capo all'organo statale di un generale potere di riesa

me delle determinazioni regionali con riferimento alle autoriz zazioni ex art. 7 1. n. 1497 del 1939, e dalla correlativa compe tenza di secondo grado, laddove di tale generale potere non

vi è traccia nel sistema delineato dall'art. 82 d.p.r. 616/77.

Se ne deduce, pertanto che, coerentemente alle modalità con

cui è disegnato il rapporto di cooperazione tra Stato e regione nella tutela del valore del paesaggio, all'organo statale è attri buito nel quadro di un più generale potere-dovere di vigilanza sull'esercizio delle funzioni delegate, un potere di annullamento

d'ufficio per motivi di legittimità delle determinazioni assunte

dall'autorità regionale in sede di esercizio delle funzioni di cui

all'art. 7 1. n. 1497 del 1939: e cioè un sindacato sulle modalità di esercizio della funzione autorizzato™ degli interventi ritenuti

compatibili con il vincolo paesaggistico. Si tratta, d'altra parte, di un esito che non soltanto discende

dal «sistema» di competenze disegnato dall'art. 82 d.p.r. n. 616

del 1977, ma che appare obiettivamente coerente con i principi

generali. È noto, infatti, che il potere di annullamento d'ufficio

è, in via generale, conferito in relazione all'esistenza di vizi di

legittimità, di cui presuppone l'accertamento.

È noto, altresì', che il medesimo potere può, in via ecceziona

le, essere esercitato per ragioni di merito, in presenza di una

norma di legge che espressamente la conferisca, in relazione ad

una ugualmente esplicita previsione legislativa di invalidità per

ragioni di merito. Una situazione del genere non si verifica nella fattispecie, nella

quale non soltanto il complesso normativo che identifica i pote ri dell'organo statale esclude una generale competenza di merito

di secondo grado dell'organo statale in materia di autorizzazio

ni ex art. 7 1. n. 1497 del 1939, ma la norma di legge non

contiene alcuna indicazione idonea a far ritenere che il potere di annullamento sia esteso anche al merito.

A fronte dell'esigenza di un'esplicita previsione legislativa, una

indicazione del genere non può, d'altra parte, essere rinvenuta

nelle locuzioni «in ogni caso» contenuta nell'art. 82 d.p.r. n.

616 del 1977, e che non obbedisce allo scopo di identificare

l'ampiezza ed il contenuto del potere di annullamento d'ufficio, ma a quello di evidenziare come al ministro, attributario di un

potere sostitutivo dell'autorità regionale, sia, altresì, conferito

un potere di annullamento d'ufficio, nei limiti della configura

li Foro Italiano — 1992.

zione che la norma di legge ed i principi generali danno di tale

potere. I rilievi sopra esposti evidenziano, altresì, come non possa

essere considerato pertinente, per fondare un diverso avviso, come ha fatto il primo giudice, il riferimetno al generale potere di annullamento d'ufficio di cui all'art. 6 t.u. 3 marzo 1934

n. 383. Si deve, anzi, osservare che quella operata dall'art. 6 t.u. 3

marzo 1934 n. 383 costituisce una sorta di configurazione para

digmatica del potere di annullamento d'ufficio e del suo modo

di essere, sicché ogni riferimento ad esso non può che essere

idoneo ad escludere che, in via generale e salvo esplicita dispo sizione legislativa, esso possa ritenersi esteso anche ai vizi di

merito.

L'esercizio di tale potere di annullamento governativo adesso

disciplinato, nei suoi aspetti procedimentali, dall'art. 2, 3° com

ma, lett. b), 1. 23 agosto 1988 n. 400 nei confronti degli atti

amministrativi delle regioni e delle province autonome, è stato, d'altra parte, ritenuto costituzionalmente illegittimo perché in

contrasto con l'autonomia delle regioni, compiutamente defini

ta dall'art. 125 Cost. (Corte cost. 21 aprile 1989, n. 229, id.,

1989, I, 2085). Deve, pertanto, essere confermato l'indirizzo già espresso dalla

sezione con la pronuncia n. 241 del 6 aprile 1987, che, coerente

mente, configura il potere di annullamento di cui all'art. 82

d.p.r. n. 616 del 1977 come un potere di annullamento per vizi

di legittimità. È appena il caso di aggiungere che tale configurazione non

appare, in alcun modo, in contrasto con l'assetto complessivo della tutela ambientale e dei rapporti fra Stato e regioni dise

gnati dalla Corte costituzionale essendo, anzi, proprio il con

trollo di legittimità quello che in un ordinamento governato dal

principio di legalità consente di raggiungere i «fini essenziali

della tutela» e di agire ad «estrema difesa del vincolo» (Corte cost. n. 151 del 1986, cit.).

Un controllo del genere, d'altra parte, non può certamente essere considerato meramente formalistico sol che si consideri

che esso si estende a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso di

potere, e che attraverso di esso, per il tramite delle varie figure

sintomatiche, è possibile un puntuale e penetrante sindacato delle

funzioni amministrative connesse al potere autorizzatorio di cui

all'art. 7 in tutto il suo svolgimento, anche sotto il profilo della coerenza dell' iter logico seguito per pervenire alla valutazione

di compatibilità dell'intervento oggetto di autorizzazione con

il valore difeso dal vincolo, e sotto il profilo della coerenza

e dell'adeguatezza delle determinazioni assunte rispetto agli ac

certamenti effettuati ed agli altri elementi in concreto implicati nella valutazione.

4. - Le conclusioni sopraindicate, se rendono obiettivamente

irrilevante la prospettata questione di costituzionalità dell'art.

82, 9° comma, d.p.r. n. 616 del 1977, in relazione all'art. 125

Cost., non appaiono, d'altra parte, idonee a giustificare, l'ac

coglimento del gravame, e ciò perché prive di fondamento risul

tano le doglianze riproposte in sede di appello sia dalla società

Villaggio turistico Torre Incina, che dai sig. De Bellis Vitti, con

cui si lamenta che, in concreto, il ministro dei beni culturali

ed ambientali avrebbe, nella fattispecie, pronunciato un annul

lamento per motivi di merito (terzo e quarto motivo, del ricorso di primo grado della società Villaggio turistico Torre Incina,

riprodotte ai punti 4 e 5 dell'appello, secondo motivo, sub 2

dell'appello dei signori De Bellis Vitti); doglianze queste che, nell'ordine logico, devono essere esaminate immediatamente dopo

quelle concernenti la pretesa estensione al merito del potere di

annullamento di cui all'art. 82, 9° comma, d.p.r. n. 616 del 1977.

Ed infatti, come si ricava dalla lettura delle premesse del de

creto impugnato, l'annullamento dell'autorizzazione regionale è stato pronunciato per una serie di ragioni, autonome fra di

loro ed idonee, ciascuna, a sostenere da sola la statuizione adot

tata, tutte riconducibili a vizi di legittimità. Cosi è infatti, con ogni evidenza, della riscontrata carenza

di un'idonea motivazione circa le ragioni idonee ad evidenziare

la compatibilità del progetto autorizzato con il vincolo paesisti co; cosi è per le considerazioni attinenti alle prescrizioni conte

nute nell'autorizzazione, poiché di tali prescrizioni viene sostan

zialmente riscontrata o la contraddittorietà con la decisione di

accordare l'autorizzazione, ovvero la loro genericità, o la ille

gittimità per carenza del presupposto costituito dalle necessarie

indagini preliminari. Parimenti, configura un vizio di legittimità l'affermazione se

condo cui non risulterebbero correttamente esercitati i poteri di cui agli art. 7 1. n. 1497 del 1939 e 16, 1° e 3° comma,

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

r.d. n. 1357 del 1940, mentre rientra nell'ampio spettro dell'ec

cesso di potere il rilievo secondo cui, con la deliberazione regio

nale, risulterebbero autorizzati altri interventi sulla zona tutela

ta senza che sia stata valutata l'incidenza globale delle modifi

che assentite. L'affermazione secondo cui non si sarebbe tenuto

conto dell'art. 82, 3° comma, r.d. n. 616 del 1977 e si sarebbe, di fatto, consentita una modifica del vincolo paesaggistico, po nendo in luce un contrasto tra vincolo ed atto autorizzativo, evidenzia lo sviamento che avrebbe contrassegnato l'uso del po tere autorizzatorio, mentre il rilievo secondo cui l'autorizzazio

ne, ove attuata, sarebbe suscettibile di cancellare i tratti paesag

gistici della località interessata, costituisce la conseguenza del vizio funzionale riscontrato e del rilevato contrasto tra autoriz

zazione e vincolo.

L'annullamento del provvedimento della giunta regionale della

Puglia risulta, pertanto, affidato al riscontro di una serie di

vizi, tutti riconducibili al paradigma dei vizi di legittimità, men tre non solo idonee ad evidenziare un (illegittimo) annullamento

per vizi di merito le affermazioni, pure contenute nelle prmesse del decreto del ministro, secondo cui il progetto oggetto del

l'autorizzazione non sarebbe assolutamente compatibile con la

tutela dei valori paesaggistici del luogo, mentre il tratto di costa

costituente «residua testimonianza di paesaggio costiero intatto

e non ancora contaminato da interventi di urbanizzazione» ren derebbe «necessaria la salvaguardia integrale della sua configu razione ambientale».

Giova, in proposito, rilevare che le cennate espressioni, estra

polate da un più vasto contesto, non sono altro che alcune delle

osservazioni formulate dalla soprintendenza per i beni ambien

tali, artistici ed architettonici di Bari con la nota n. 327/MB

del 18 marzo 1989, osservazioni queste, che risultano espressa mente e testualmente riportate nelle premesse del decreto mini

steriale, al terzo «considerato», con l'indicazione della fonte da

cui provengono (appunto, la nota della soprintendenza). Ne deriva che esse sono state riportate nel provvedimento del

ministro perché costituiscono un antecedente logico e storico

del provvedimento impugnato ed esprimono il punto di vista, sulla vicenda, dell'organo periferico dell'amministrazione stata

le dei beni culturali: tali espressioni, invece, non identificano

una autonoma, specifica ragione posta a fondamento del dispo sto annullamento né una valutazione ad esso sottostante, chia

mata, sostanzialmente, a giustificarlo, come è reso evidente dal

fatto che tutte le ragioni indicate come profili di illegittimità dell'atto si presentano come dotate di autonomia rispetto alle

cennate considerazioni, sicché le stesse non sono idonee ad iden

tificare, nemmeno sintomaticamente, profili di illegittimità del

provvedimento ministeriale.

Tali considerazioni, d'altra parte, non fanno altro che porre in luce il rilevato contrasto tra la «notevole estensione» dell'in

tervento progettato e la qualità dei valori paesaggistici protetti, sicché esse evidenziano, nella sostanza, un profilo di incoerenza

dell'autorizzazione regionale, ed una insufficienza ed inadegua tezza dell'apprezzamento posti in essere; in tal modo, ponendo si in coerenza con un consolidato e risalente indirizzo giurispru denziale che, proprio in tema di autorizzazioni ex art. 7 1. n.

1497 del 1939 identifica un vizio funzionale dell'atto autorizza

tivo, e non un mero profilo di inopportunità del medesimo,

tutte le volte che questo presenti contraddizioni od incongruen ze rispetto alla situazione oggettiva in cui è chiamato ad opera

re, in tal modo evidenziando un insufficiente apprezzamento del pubblico interesse (sez. VI 19 maggio 1981, n. 221, id., Rep.

1981, voce Bellezze naturali, n. 24).

Appare, pertanto, evidente che le osservazioni formulate dal

la soprintendenza sono state richiamate nel decreto del ministro

in quanto costituenti un antecedente logico e storico utile per la comprensione della vicenda.

Si tratta di un elemento che, pur non acquistando autonoma

rilevanza ai fini del disposto annullamento, conferma, in una con

siderazione unitaria della vicenda, l'esistenza di un complessivo

vizio funzionale dell'autorizzazione assentita dalla regione Puglia.

5. - L'esatttezza dei rilievi che precedono — che escludono

che nella sostanza sia stato pronunciato un annullamento per

ragioni di merito — appare, per altro verso, confermata dall'in

fondatezza dei rilievi formulati in primo grado dalla società e

dai signori De Bellis Vitti rispettivamente con il quarto ed il secondo motivo del ricorso introduttivo del giudizio e ripropo

sti in questa sede con il punto 5 e con il secondo motivo (sub

2) dei rispettivi atti di appello. Priva di consistenza è, innanzi tutto, l'osservazione secondo

cui erroneamente, con il decreto impugnato, si sarebbe ritenuto

sussistente un obbligo della regione, in sede autorizzatoria, di

Il Foro Italiano — 1992.

motivare circa la compatibilità ambientale, apparendo, semmai, necessaria una motivazione in caso di diniego e non di assen

timento.

Si tratta, infatti, di una osservazione che si pone in contrasto

con il consolidato indirizzo giurisprudenziale che, in sede di au

torizzazione ex art. 7 1. n. 1497 del 1939, richiede una adeguata motivazione anche in caso di provvedimenti positivi (sez. VI

19 maggio 19812, n. 221, cit.; 15 dicembre 1981, n. 751, id., Rep. 1982, voce cit., n. 23).

In particolare, come è stato di recente sottolineato, deve rite

nersi che, nel caso di autorizzazioni concernenti interventi in

zone paesisticamente protette, che si risolvono in un provvedi mento favorevole, è necessario che l'atto autorizzatorio sia con

gruamente motivato, con l'indicazione della ricostruzione dell'i

tinerario seguito, in ordine alle ragioni di compatibilità effettiva

che, in riferimento agli specifici valori paesistici del luogo, pos sano consentire i lavori, considerati nella loro globalità (sez. VI 5 luglio 1990, n. 692, id., Rep. 1990, voce cit., n. 24). (Omissis)

8. - Privi di consistenza appaiono, altresì', i rilievi formulati

dagli appellanti nei confronti del provvedimento impugnato nella

parte in cui esso prende in considerazione le prescrizioni formu

late dalla regione in sede di rilascio del nulla osta.

Tali prescrizioni, infatti, appaiono in gran parte generiche, risolvendosi in parte in indicazioni di comportamenti che ap

paiono comunque doverosi alla luce dei principi generali (come

quelle che raccomandano di evitare i possibili danni conseguenti ad un uso sconsiderato dei mezzi meccanici e l'eliminazione, al termine dei lavori, delle opere provvisorie), in parte nell'enu

cleazione di indicazioni vaghe ed indeterminate (come quelle re

lative alla conservazione degli elementi paesaggistici di tipo na

turale ed antropico quali muri a secco, trulli ed altri manufatti

meritevoli di salvaguardia). È chiaro, infatti, che al fine di otte

nere un effettivo, concreto rispetto dei valori paesistici sarebbe

ro state necessarie approfondite indagini preliminari della zona

interessata, volte ad identificare partitamente e distintamente

i singoli elementi paesaggistici, naturali ed antropici, da preser vare ed a determinare le modalità esecutive dei lavori idonee

a determinare l'effetto di conservazione.

9. - Infondate appaiono, altresì', le doglianze formulate con

riferimento agli ultimi due rilievi del ministero, alla stregua dei

quali l'autorizzazione ove concessa, cancellerebbe i tratti pae

saggistici in vista dei quali la zona sarebbe stata sottoposta a

tutela, e modificherebbe, di fatto, il vincolo paesaggistico. Tali rilievi, infatti, lungi dal costituire una ingerenza inam

missibile nel merito della valutazione posta in essere dalla regio

ne, concernono il necessario giudizio di compatibilità dell'auto

rizzazione con il vincolo. Attiene, infatti, a profilo della legitti

mità, rientrando nella più generale figura dell'eccesso di potere, la considerazione dell'autorizzazione ex art. 7 1. n. 1497 del 1939

in rapporto alle esigenze di tutela del vincolo paesistico, doven

dosi ritenere che, essendo scopo dell'autorizzazione quello di

amministrare il vincolo garantendo la conservazione dei valori

oggetto di tutela, tale atto sia affetto da un vizio funzionale

allorché l'iter del procedimento ed in genere la circostanza con

nessa alla sua adozione rendono palese che vengono consentite

trasformazioni in contrasto con il mantenimento del pregio am

bientale.

Come, infatti, è stato già precisato, la funzione dell'autoriz

zazione di cui all'art. 7 1. n. 1497 del 1939 è quella di verifica

della compatibilità dell'opera edilizia che si intende realizzare

con le esigenze di conservazione dei valori paesistici protetti dal

vincolo. Quest'ultimo, d'altra parte, contiene un accertamento

circa l'esistenza di valori paesistici oggettivamente non deroga

bile, mentre compito dell'autorizzazione è quello di accertare

in concreto la compatibilità dell'intervento con il mantenimento

e l'integrità dei cennati valori.

Posto che, infatti, quello del paesaggio costituisce un valore

costituzionale primario (art. 9 Cost.), l'autorizzazione paesaggi stica non implica la valutazione di un interesse primario e di

un interesse secondario né la fondatezza di interessi di diversa

natura, ma un semplice giudizio circa il rispetto, in concreto, delle esigenze connesse alla tutela del paesaggio, in relazione

all'intervento cui l'autorizzazione medesima si riferisce.

Ne discende che, non essendo concesso in sede autorizzatoria

di derogare al contenuto dal vincolo, una valutazione di com

patibilità che si traduca in un'oggettiva deroga si risolve in una

autorizzazione illegittima per sviamento o travisamento (sez. VI

18 novembre 1980, n. 1104, id., Rep. 1981, voce cit., n. 18;

19 maggio 1981, n. 221, cit.; da ultimo, sez. VI 11 giugno 1990,

n. 600, id., 1991, III, 125).

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PARTE TERZA

Le espressioni contenute nel procedimento impugnato, evi

denziando un contrasto tra vincolo e atto autorizzatorio, pon

gono in luce lo sviamento che vizia l'autorizzazione concessa

e l'esercizio del relativo potere. 10. - Deve adesso essere esaminata la doglianza con cui gli

appellanti (punto 2 dell'appello della società; punto II, sub 4

dell'impugnazione dei sig. De Bellis Vitti) deducono che con

il provvedimento ministeriale si sarebbe, in realtà, inteso garan tire l'immodificabilità dei luoghi. (Omissis)

Del resto, che il decreto ministeriale non si muova affatto

nell'ottica sottesa dalla censura dedotta dagli interessati, è con

ogni evidenza dimostrato dalla circostanza che con esso viene

espressamente lamentato il mancato uso, da parte della regione, del potere di consigliare opportune modifiche al progetto prima di assumere decisioni in ordine ad esso, previsto dall'art. 16

r.d. n. 1357 del 1940. Un potere del genere presuppone, ovvia

mente, la possibilità di pervenire a progetti compatibili con i

valori paesistici tutelati; sicché la circostanza che ne sia stato

espressamente lamentato l'omesso uso esclude in radice che l'am

ministrazione statale abbia preso le mosse dell'intento precon cetto di salvaguardare i luoghi per il tramite del divieto di qual siasi edificazione.

Tali osservazioni escludono, peraltro, che possa ritenersi sus

sistente il lamentato difetto di istruttoria e di motivazione. Il

provvedimento impugnato risulta sostenuto da motivazioni suf

ficienti ed idonee a dar ragione sia del limite oggettivo costitui

to dal bene tutelato, sia dello sviamento che vizia l'autorizza

zione, ed appare adottato a seguito di un'istruttoria — posta in essere anche dalla soprintendenza — adeguata alla natura

del tipo di procedimento (di annullamento) cui esso fa riferi

mento. (Omissis)

II

Diritto. — 1. - I due ricorsi, data l'evidente connessione og

gettiva, possono essere riunti.

2. - Con ambedue i gravami viene contestato il decreto del

ministro per i beni culturali ed ambientali di annullamento del

l'autorizzazione ex art. 7 1. n. 1497 del 1939, rilasciata al Cime

per la realizzazione di una discarica controllata di rifiuti solidi

urbani nel comune di Mozambano in territorio soggetto a vin colo paesaggistico (parco del Mincio), sotto il profilo che il me

desimo: — sarebbe stato emesso e comunicato oltre il termine peren

torio di sessanta giorni di cui al 9° comma dell'art. 1 1. n. 431

del 1985, modificativo ed integrativo dell'art. 82 d.p.r. n. 616

del 1977 (l'autorizzazione regionale sarebbe stata comunicata in data 11 aprile 1989 ed il decreto di annullamento sarebbe

stato emesso in data 12 giugno 1989, comunicato — limitata

mente a dispositivo — con telegramma di data 14 giugno 1989, trasmesso nel testo integrale con nota del 6 luglio 1989, e perve nuto alla regione Lombardia il 17 luglio 1989);

— risulterebbe viziato da eccesso di potere per difetto di mo tivazione e carenza di istruttoria, giacché l'emissione in pari da

ta di due nulla osta (uno relativo al progetto Cime ed uno rela

tivo al progetto di recupero ambientale della medesima area pre sentato dal comune di Mozambano) non può essere considerata

sintomo di «contraddittorietà nel procedimento di formazione

della volontà dell'amministrazione», e la «valutazione della so la fase finale relativa alla sistemazione successiva dell'area» è

l'unica legittima valutazione di carattere paesaggistico che la re

gione Lombardia doveva fare in relazione alla zona ex cava, atteso che la stessa legge istitutiva del parco del Mincio prevede la possibilità di realizzare nuove discariche «a scopo di bonifica

e di ripristino ambientale» (art. 8 1. reg. n. 47 del 1984) e che, in ogni caso, non sarebbe necessaria alcuna motivazione per

gli atti positivi alla stregua dei principi della 1. n. 1497 del 1939 e dell'ordinamento;

— avrebbe riesaminato nel merito l'autorizzazione regionale

annullata, pervenendo ad una valutazione diversa da quella ope rata dalla regione Lombardia;

— non avrebbe tenuto conto del carattere vincolante, anche

per il ministero per i beni culturali ed ambientali, della 1. reg. n. 37 del 1988 che ha localizzato la discarica controllata, desti

nata al bacino di Mantova, nell'ex cava Tononi; — non avrebbe esplicitato le ragioni di interesse pubblico che

devono giustificare l'esercizio del potere di annullamento né com

parato gli interessi pubblici in gioco, cioè tutela del vincolo pae

saggistico e tempestiva realizzazione della discarica, ritenuta in

dispensabile;

Il Foro Italiano — 1992.

— sarebbe contraddittorio perché in precedenza altra autoriz

zazione regionale per la realizzazione di una discarica ad opera del comune di Mozambano nello stesso sito non sarebbe stata

annullata; — non avrebbe indicato i motivi che suggeriscono una scelta

favorevole al progetto comunale; — sarebbe carente del necessario parere del consiglio nazio

nale per i beni culturali ed ambientali.

3. - Deve essere respinta la censura con la quale si contesta

la legittimità dell'impugnato decreto sotto il profilo che questo sarebbe stato emesso e comunicato oltre il previsto termine di

sessanta giorni, a decorrere dalla data dell'11 aprile 1989, in

cui l'autorizzazione regionale sarebbe stata trasmessa alla com

petente sovrintendenza.

Va anzitutto precisato che il provvedimento impugnato dà

atto che «l'autorizzazione n. 14270 dell'11 aprile 1989 rilasciata

dalla regione Lombardia ... e la relativa documentazione (è

stata) ricevuta dalla sovrintendenza competente il 19 aprile 1989», sicché il termine di sessanta giorni per pronunciare l'annulla

mento ex 9° comma dell'art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977 (come modificato dalla 1. n. 431 del 1985) deve farsi decorrere da tale

data e non dall'11 aprile 1989, come erroneamente sostenuto

dalla regione Lombardia (la quale, tra l'altro, non fornisce al

cuna prova della circostanza che l'autorizzazione sia pervenuta alla sovrintendenza competente in data 11 aprile 1989).

Questa precisazione è necessaria perché riduce la portata del

la censura alla sola questione se la perentorietà del citato termi

ne di sessanta giorni (la giurisprudenza è ormai concorde sulla

perentorietà di detto termine, cfr. da ultimo Tar Lombardia, sez. II, n. 10108 del 1991 e n. 1330 del 1991, Foro it., 1992,

III, 520) si estenda anche alla comunicazione dell'intervenuto

annullamento all'ente interessato.

Sul punto il collegio conviene con quanto da ultimo statuito

da questo tribunale, sez. II, con le menzionate n. 1018 e n.

1330 del 1991, sulla necessità che la sola adozione del provvedi mento di annullamento avvenga nel previsto termine di sessanta

giorni dalla comunicazione dell'autorizzazione regionale alla so

vrintendenza.

Ed invero, prima ancora di invocare parallelismi con altre

fattispecie, dove la produzione di effetti giuridici si determina

con la partecipazione dell'atto all'interessato, occorre esamina

re il problema nella concretezza dello specifico istituto dell'an

nullamento secondo la disciplina dettata dal 9° comma dell'art.

82 d.p.r. n. 616 del 1977, evitando quindi di accollarsi il «peso

aggiunto» di cercare analogie con altre figure giuridiche: atti

recettizi, silenzio-assenso, annullamento del Coreco.

Nella procedura delineata dal predetto 9° comma dell'art. 82

d.p.r. n. 616 del 1977 si prevede che «il ministro per i beni culturali ed ambientali può in ogni caso annullare, con provve dimento motivato, l'autorizzazione regionale entro i sessanta gior ni successivi alla relativiva comunicazione».

Il decorso del predetto termine, senza che alcun provvedi mento sia stato adottato, vale quindi a rendere definitivamente

operativa l'autorizzazione, già di per sé efficace, ed ultronea

qualunque pronuncia tardiva del ministro.

La causa ultima della caducazione dell'autorizzazione regio nale deve perciò essere rinvenuta direttamente nella norma, la

quale prevede il potere di annullamento, configurandone l'eser

cizio come produttivo di per sé di effetti giuridici, a prescindere dalla partecipazione all'ente interessato degli esiti dell'esercizio di tale potere.

4. - Con le ulteriori censure vengono poste all'attenzione del

collegio due problematiche: una, che investe in astratto la qua lità e quantità del potere attribuito all'amministrazione statale, e altra, che riguarda l'esercizio nella specie di tale potere.

Si sostiene infatti che il ministro non abbia il potere di riesa minare nel merito il progetto assentito, nemmeno surrettizia

mente attraverso il sindacato del vizio di eccesso di potere, e

che comunque tale potere nella specie sia stato male esercitato

perché non sussisterebbero il riscontrato vizio di difetto di mo

tivazione e l'asserita contraddittorietà.

La prima problematica ha avuto ampie risposte negative per i ricorrenti (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, n. 828 del 14

novembre 1991, id., 1992, III, 517), sicché il collegio potrebbe ritenersi dispensato dall'affrontarla, passando direttamente alla

seconda per risolverla — come si vedrà — in senso favorevole

ai ricorrenti stessi.

Ma il collegio nutre delle perplessità sulle conclusioni cui è

pervenuta la giurisprudenza senz'altro maggioritaria, in ordine

all'ampiezza del potere riconosciuto al ministro di sindacare l'au

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

torizzazione emessa dall'ente regione ex art. 7 1. n. 1497 del

1939, sia pure per motivi di legittimità. Sulla concorde premessa (d'altronde indiscutibile, pena il fon

dato sospetto di incostituzionalità dell'art. 82, 9° comma, d.p.r. n. 616 del 1977 per violazione dell'autonomia regionale garanti ta dagli art. 125, 1° comma, e 118 Cost.) che il potere di annul lamento dell'autorizzazione ex art. 7 1. n. 1497 del 1939 rilascia

ta dalle regioni, attribuito al ministro per i beni culturali ed

ambientali, non si estenda ai vizi di merito, si afferma che il

controllo statale di legittimità «in un ordinamento governato dal principio di legalità, consente di raggiungere "i fini essen ziali della tutela" e di agire ad "estrema difesa del vincolo"»,

giacché tale controllo «non può certamente essere considerato

meramente formalistico sol che si consideri che esso si estende

a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso di potere, e che attra

verso di esso, per il tramite delle varie figure sintomatiche, è

possibile un puntuale e penetrante sindacato delle funzioni am

ministrative connesse al potere autorizzatorio di cui all'art. 7

in tutto il suo svolgimento, anche sotto il profilo dell 'iter logico

seguito per pervenire alla valutazione di compatibilità dell'inter

vento oggetto di autorizzazione con il valore difeso dal vincolo, e sotto il profilo della carenza e dell'adeguatezza delle determi

nazioni assunte rispetto agli accertamenti effettuati e degli altri

elementi in concreto implicati nella valutazione» (cfr. Cons. Stato, sez. VI, dee. n. 828 del 1991, cit.).

L'autorizzazione — si conclude — può essere sindacata per difetto di motivazione, essendo necessaria l'esternazione delle

ragioni di compatibilità del progetto autorizzato con il vincolo

paesaggistico, e per eccesso di potere per il tramite delle ben

note figure sintomatiche. Pur prendendo atto che — secondo quanto ripetutamente af

fermato dalla corte costituzionale (sent. nn. 151, 152 e 153 del

1986 e n. 359 del 1986, id., 1986, I, 2689) — il paesaggio è un valore costituzionale primario (questa affermazione è ormai

acquisita non solo all'ordinamento, ma alla stessa coscienza co

mune dei cittadini) e che la concorrenza dei poteri della regione

(nell'esercizio di funzioni delegate) e dello Stato nella materia

appare regolata dal «principio di leale cooperazione», non può farsi a meno di rilevare che la giurisprudenza della Corte costi

tuzionale e la stessa legge, che ha introdotto l'intervento stata

le, siano intervenute in un momento di «riflusso centralistico»

dello Stato dopo l'attuazione delle regioni e del decentramento

di compiti statali ed in un contesto in cui i rapporti tra Stato

e regioni erano stati definiti dalla Corte costituzionale medesi

ma come caratterizzati «da una gelosa, puntigliosa e formalisti

ca difesa di posizioni e prerogative», e non ispirati «a quel mo

dello di cooperazione e integrazione nel segno dei grandi inte

ressi unitari della nazione» compatibile col carattere garantistico delle norme costituzionali (v. Corte cost. n. 219 del 25 luglio

1984, id., 1985, I, 67). Sicché la questione del regime di «convivenza» dei due poteri

concorrenti della regione e dello Stato in relazione alla specifica tutela di uno stesso bene primario, cioè il paesaggio, deve essere

definita con criteri interpretativi che, pur tenendo in debito conto

i principi avanti richiamati, adattino questi ultimi alle contin

genze del tempo presente. È per questo che nell'affrontare la questione non si può pre

scindere dalla preliminare considerazione che il problema della

tutela del valore del paesaggio è legato alla complessa realtà

sociale, politica ed economica, la quale vede prepotentemente

emergere altri pressanti problemi, per cui occorre guardare, col

tivare e risolvere il problema della preservazione dei valori am

bientali secondo una visione globale e completa che tenga conto

della tutela di altri valori primari, anch'essi costituzionalmente

garantiti, quali ad es. il diritto al lavoro, alla casa, alla salute,

ecc. Se cosi non fosse, il valore del paesaggio, nelle sue valenze

estetico-culturali, finirebbe per assumere un carattere elitario,

il cui mantenimento potrebbe a volte richiedere il sacrificio di

beni altrettanto primari — come nella specie la salute, che in

dubbiamente viene compromessa dal mancato smaltimento dei

rifiuti urbani —; beni primari che, senza pretendere di fare una

graduatoria tra i valori costituzionalmente garantiti, assumono

un ruolo prioritario nell'ordine naturale, non foss'altro perché

il godimento del pregio ambientale suppone una generalità di

cittadini soddisfatta nelle sue più elementari esigenze.

Il problema del paesaggio interferisce dunque con problemi

di altre sfere e la sua soluzione non può che essere correlata

con la soluzione di altri problemi nella loro interdipendenza. Se cosi è, è necessario rivalutare il ruolo dell'ente regione,

al quale spetta la gestione complessiva della propria comunità

territoriale; ruolo che, nella ricostruzione della disciplina di cui

li Foro Italiano — 1992.

all'art. 82, 9° comma, d.p.r. n. 616 del 1977 operata dalla giu

risprudenza, appare oltremodo mortificato.

Pare infatti che la problematica della legittimità dell'autoriz

zazione regionale con le sue implicazioni sull'ampiezza del sin

dacato del ministro per i beni culturali ed ambientali — fermo

restando che a quest'ultimo è precluso il riesame nel merito del

progetto assentito — sia stata risolta con una meccanica traspo sizione alla procedura di annullamento delle modalità del con

trollo di legittimità proprie del giudice amministrativo che, ap

punto per il tramite delle varie figure sintomatiche dell'eccesso

di potere, è riuscito a sostanzialmente sindacare «il merito» del

l'azione amministrativa nel tentativo di erodere spazi all'inte resse pubblico precostituito e diverso da quello privato.

È ben noto invero che l'ampliamento dei vizi deducibili nel

processo amministrativo rispetto ai vizi dell'atto è opera diretta

della giurisprudenza amministrativa, la quale ha in tal modo

ridisegnato l'ambito proprio dell'amministrazione, alla quale spet tava il compito di definire monopolisticamente l'interesse pub blico e quello del cittadino, continuamente chiamato a difende

re i propri spazi di «libertà ed autonomia», oltre che di «be

nessere».

Ma il rapporto Stato-regione non può essere visto in termini

di contrapposizione, come se lo Stato (al pari del privato nel

processo amministrativo) avesse la veste di titolare esclusivo dei valori paesaggistici ed in tale veste operasse per il rispetto delle

regole procedimentali (motivazione dell'autorizzazione, nesso fun

zionale tra potere ed atto, ecc.) all'interno della procedura di

annullamento allo stesso affidata dalla normativa nell'intento

di recuperare l'integrità del vincolo compromesso dall'azione

amministrativa della regione. A parte infatti che il concorso di poteri statali e regionali

secondo la normativa di cui all'art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977

deve essere regolato «dal principio di leale collaborazione», il

rapporto amministrazione statale-regione deve essere ricondotto

all'interno dello Stato-apparato, organizzato come vero e pro

prio soggetto collettivo, depositario di un «interesse generale» coincidente con i valori paesaggistici e culturali espressi dalla

1. n. 1497 del 1939, la cui cura, affidata alla regione in virtù

del decentramento di competenze operato con il d.p.r. n. 616

del 1977, si svolge in contrapposizione con il privato-proprietario, nei cui confronti va giustificato il limite imposto a motivo della

presenza di valori che comunque vanno preservati, e non già in contrapposizione con il ministero dei beni culturali ed am

bientali. Per quanto ampio possa essere il controllo di legittimità del

ministro sull'autorizzazione regionale, non potrà dunque mai

coinvolgere il difetto di motivazione (come pure gli altri vizi

funzionali dell'atto), nel senso che quest'ultima «debba essere

congruamente motivata, con l'indicazione della ricostruzione del

l'itinerario seguito, in ordine alle ragioni di compatibilità effet

tiva che, in riferimento agli specifici valori paesistici del luogo,

possono consentire i lavori, considerati nella loro globalità» (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 5 luglio 1990 n. 692, id., Rep. 1991, voce

Bellezze naturali, n. 45). L'affermazione di questo principio giurisprudenziale presup

pone infatti un inacettabile, inespresso a priori, cioè che il mini

stro per i beni culturali ed ambientali sia l'esclusivo «difensore

del vincolo paesaggistico» e che al contempo lo stesso, quasi collocato in posizione di terzietà, agisca a garanzia della legalità dell'azione amministrativa della regione nell'interesse generale dell'ordinamento, di guisa che i valori paesaggistici, affidati al

la presenza dei requisiti formali di legittimità dell'atto autoriz

zatorio, sarebbero tutelati mediante il controllo di legittimità del ministro che mira appunto a ricondurre l'amministrazione

regionale nell'alveo della legalità. Tale postulato è inaccettabile per la semplice ragione che il

ministro per i beni culturali ed ambientali partecipa della tutela

del vincolo con la regione non in posizione dialettica, di modo

che non è necessario che l'atto autorizzatorio regionale — il

quale viene emesso nei confronti del privato e non già del mini

stro — debba essere sorretto da congrua motivazione, ben po

tendo la regione, nell'arco temporale di sessanta giorni entro

i quali si esercita il potere di controllo, chiarire, illustrare, e

documentare «l'itinerario seguito in ordine alle ragioni di com

patibilità effettiva che possono consentire i lavori», senza con

ciò incorrere nella preclusione, tipicamente processuale, dell'im

possibilità di integrare tardivamente la motivazione della rila

sciata autorizzazione.

Quale requisito di legittimità, la motivazione dell'atto positi vo — come d'altronde si dà in tutti gli atti ampliativi della sfera privata — si esaurisce infatti nell'attività permessa a se

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PARTE TERZA

guito dell'istruttoria esperita. Diversamente opinando, si dovrebbe ammettere, contrariamen

te ad ogni logica comune prima ancora che giuridica, che il

privato, il quale è l'unico che si contrappone all'amministrazio

ne (ministro e regione) preposta alla tutela del vincolo, possa

(e debba) impugnare l'autorizzazione regionale ampliativa della sua sfera, siccome illegittima per difetto di motivazione; ovvero

ipotizzare che l'autorizzazione regionale divenga esecutiva dopo il vaglio tutorio del ministro, sancendo cosi l'estraneità di que st'ultimo rispetto alla tutela del paesaggio e la posizione subal

terna della regione. Il potere di annullamento del ministro non può perciò essere

formalizzato sul modello del processo amministrativo di tipo

impugnatorio, quasi che il ministro stesso sia chiamato a garan tire la pienezza del vincolo paesaggistico per il tramite del con

trollo dei requisiti formali dell'atto autorizzatorio. Tale ricostruzione operata dalla giurisprudenza finisce per al

terare quel quadro di «leale cooperazione» tra i due poteri di intervento della regione e del ministro, conferendo a quest'ulti mo una collocazione che non sembra rispondere alla disciplina dettata dall'art. 82, 9° comma, d.p.r. n. 616 del 1977.

In conclusione va affermato che il potere di annullamento del ministro non può riguardare l'esito della valutazione espres sa dalla regione nell'esercizio della competenza esclusiva alla stessa delegata con l'art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977, ma deve

essere circoscritto alla verifica della completezza istruttoria com

piuta dalla regione, le cui lacune — una volta riscontrate —

possono indurre a configurare il difetto del necessario presup

posto della rilasciata autorizzazione, cioè la valutazione della

compatibilità effettiva del progetto assentito con i valori paesi stici del luogo; verifica che deve essere condotta alla stregua della documentazione trasmessa dalla regione alla sovrintenden za competente e degli ulteriori chiarimenti che la regione stessa è tenuta a fornire su richiesta del ministro nell'ambito della pro cedura da esaurirsi nel prescritto termine di sessanta giorni.

5. - Venendo comunque all'esame dell'atto impugnato, lo stesso deve considerarsi ulteriormente illegittimo perché ravvisa un ine sistente difetto di motivazione nell'autorizzazione regionale an

nullata ed una contraddittorietà, parimenti inesistente, nel pro cedimento formativo della volontà regionale; contraddittorietà da rinvenirsi piuttosto nel decreto di annullamento.

Il provvedimento contestato trascura, infatti, che la discarica deve essere realizzata in una cavità di terreno preesistente (l'ex cava Tononi) su un'area degradata in funzione di riqualificazio ne territoriale e paesaggistica, tant'è che la stessa legge istitutiva del parco del Mincio (art. 8, punto 8, 1. n. 47 del 1984) ne consente la localizzazione e che la successiva 1. reg. n. 37 del 1988 ha individuato il sito come idoneo.

Il giudizio di compatibilità effettiva della discarica, in riferi mento agli specifici valori paesistici del luogo, non poteva dun

que che necessariamente riguardare la sola «fase finale», cioè 10 stato dei luoghi come determinato dalla realizzazione del pro getto assentito, il quale appunto si propone la sistemazione di un'area sicuramente degradata.

Che l'area fosse degradata — sicché non doveva essere emes sa alcuna valutazione sulla compatibilità dei lavori per la realiz zazione della discarica «con il contesto paesistico-ambientale tu

telato», ponendosi quest'ultima — s'è già detto — come un

importante ed adeguato strumento di «bonifica e di ripristino ambientale» — appare pacifico, dal momento che lo stesso co mune di Mozambano aveva a suo tempo conseguito l'assenso

«pieno» alla realizzazione di una discarica nello stesso sito, sen za che fossero avanzate riserve in merito da parte di alcuno.

Sotto questo profilo deve convenirsi con i ricorrenti che rav visano la contraddittorietà tra l'atto impugnato ed il precedente assenso manifestato dal ministro per i beni culturali ed ambien tali in relazione al progetto di discarica a suo tempo presentato dal comune di Mozambano ed autorizzato dalla regione Lom bardia.

Quanto poi alla presunta «contraddittorietà nel procedimen to di formazione della volontà dell'amministrazione», perché questa in pari data ha rilasciato altra autorizzazione su diverso

progetto presentato dal comune di Mozambano per «una siste mazione migliorativa dell'ambiente attualmente degradato», tal ché il progetto di discarica assentito si presenta come «manife stamente antitetico rispetto alla prevista sistemazione naturali stica del sito», è sufficiente osservare come sia possibile, in fase di valutazione della compatibilità ambientale e paesaggistica di differenti progetti, esprimere un giudizio positivo su ogni pro getto presentato, senza con ciò incorrere in alcuna contradditto

rietà, dal momento che l'autorità preposta al rilascio dell'auto

11 Foro Italiano — 1992.

rizzazione ex art. 7 1. n. 1497 del 1939 non deve effettuare alcu

na comparazione tra i vari progetti, ma solamente esprimere un giudizio di compatibilità di ogni progetto con gli specifici valori paesistici tutelati dal vincolo.

A questo va soggiunto che — come esattamente rilevato dai

ricorrenti — il ministro, attraverso l'annullamento dell'autoriz zazione regionale relativa al progetto di discarica, ha surretti

ziamente espresso una valutazione di merito dei due progetti

presentati per «la sistemazione naturalistica del medesimo si

to», accordando la preferenza al progetto presentato dal comu

ne di Mozambano, senza tra l'altro indicarne le ragioni. I ricorsi vanno pertanto accolti e per l'effetto va annullato

l'impugnato decreto.

Ili

Diritto. — 1. - Va innanzitutto stabilito che possono fare il loro ingresso nel processo le produzioni tardive del ministro

resistente atteso il consenso, manifestato in udienza, della dife

sa di parte ricorrente.

Va poi esaminata l'istanza di rinvio avanzata dall'avvocatura

dello Stato motivata con l'esigenza di trattare unitariamente il

presente ricorso con altri proposti dalla regione Lombardia av verso gli atti del medesimo procedimento ed iscritti ai numeri

3738 e 4220 del 1990. Poiché le udienze relative a tali ricorsi non risultano fissate

e non esistendo, comunque, alcun nesso di pregiudizialità, stan te anche l'opposizione della ricorrente espressa in udienza, la

richista va disattesa. Passando al merito, il collegio ritiene che il ricorso vada par

zialmente accolto nei limiti che saranno di seguito precisati. Si esamineranno dapprima i motivi giudicati infondati, se

guendo un ordine diverso da quello prospettato nel ricorso e

dando la precedenza alle censure logicamente pregiudiziali e ten

denzialmente assorbenti. 2. - Vengono, allora, subito in evidenza le doglianze che con

testano l'esistenza del vincolo di cui all'art. 1, lett. c), 1. n.

431 del 1985, sul cui presupposto si fonda l'atto impugnato. Si tratta, in particolare, del terzo e del quarto motivo con

cui, deducendo la violazione dell'art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977, come integrato dall'art. 1 1. n. 431 del 1985, nonché difetto di presupposti e travisamento, si sostiene l'esonero dell'inter vento dal regime autorizzatorio di cui alla 1. n. 1497 del 1939 sotto due profili:

— alla data di entrata in vigore della 1. 8 agosto 1985 n.

431, che sottoponeva a vincolo paesaggistico i beni elencati nel l'art. 1, l'intervento edilizio della cooperativa ricorrente era in serito nel programma di attuazione, ex art. 38 1. n. 865 del

1971, del p.e.e.p. Lo stesso veniva ad essere previsto dal succes sivo p.p.a. del p.r.g. adottato dal comune di Como ex art. 13 1. n. 10/77 nel 1989.

L'inclusione dell'intervento negli strumenti di pianificazione temporale avrebbe la conseguenza di determinare l'esclusione dal vincolo ai sensi del 6° comma (aggiunto) dell'art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977;

— il torrente Cosia, sulle cui sponde, nell'ambito della fascia di protezione ex art. 1, lett. e), 1. n. 431 del 1985, sono localiz zati gli edifici della cooperativa, è un corso d'acqua che scorre in trincea, ossia tra pareti in muratura e, par capire dalle foto

prodotte in giudizio, su di un letto artificiale. Ciò lo renderebbe

privo di quelle caratteristiche estetiche idonee a determinare l'in

sorgere del vincolo legale. Entrambe le deduzioni sono infondate.

2.1. - È da respingere, innanzitutto, quest'ultimo rilievo, con traddetto dalla natura legale del vincolo e dalla conseguente pro tezione accordata a tutti gli ambiti territoriali considerati dalla

legge, qualunque sia il pregio estetico e l'incidenza che su di essi ha avuto l'opera dell'uomo.

Attraverso la constatazione che il concetto di paesaggio non è riducibile alle sole bellezze naturali, la cui protezione è ogget to di una mera disciplina di settore, viene a determinarsi il netto distacco della legge c.d. Galasso rispetto alla normativa del 1939

(cfr. Corte cost. 27 giugno 1986, n. 151, Foro it., 1986,1, 2689). Tale distacco passa attraverso l'introduzione di un vincolo

generalizzato che esclude l'intermediazione di un atto ammini strativo nell'individuazione degli ambiti da proteggere: ciò a te stimonianza della volontà di prescindere dalle concrete caratte ristiche e dal particolare pregio delle singole zone, operando, una volta per tutte, la valutazione positiva del particolare inte resse pubblico che quei tratti geografici soddisfano.

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

Ferma, quindi, la possibilità di vincolare con un provvedi mento concreto ex 1. n. 1497 del 1939 le zone di rilevante pregio estetico, la legge del 1985, riprendendo i contenuti del d.m. 21

settembre 1984 (c.d. decreto Galasso), annullato in sede giuri sdizionale proprio perché un vincolo di tale natura non poteva essere imposto se non con un atto legislativo, ha inteso salva

guardare la stessa identità fisica delle «grandi linee di articola

zione del suolo e delle coste», ossia il profilo del paese in quan to caratterizzato dai tratti geografici indicati nelle lett. a-m del

l'art. 1.

In aderenza a questa impostazione, pur nella piena consape volezza che molte delle zone oggi protette erano già segnate dall'opera dell'uomo, ed anzi traendo proprio da un indiscrimi

nato processo di urbanizzazione le ragioni dell'intervento nor

mativo, il legislatore non ha previsto eccezioni (salvo quelle

espressamente poste dal nuovo 6° comma dell'art. 82 d.p.r. n.

616 del 1977) alla portata generalizzata del vincolo in dipenden za dello stato di conservazione dei luoghi. D'altra parte, che tra tali zone vi fossero anche quelle degradate è ipotesi chiara

mente contemplata dall'art. 1 bis, da cui emerge che tra le fina

lità della legge non vi è la sola preservazione dei luoghi natura

listicamente integri bensì anche la valorizzazione e il recupero ambientale di quelli più o meno deturpati.

Un'ulteriore dimostrazione è data dall'art. 1 quater della stessa

legge, che consentiva alle regioni di individuare i corsi d'acqua che «possono, per la loro irrilevanza ai fini paesaggistici, essere

esclusi, in tutto o in parte, dal predetto vincolo». La mancata

adozione di un atto in tal senso conferma necessariamente la

sottoposizione a tutela di tutti i corsi d'acqua che scorrono nel

territorio regionale. Sono quindi irrilevanti, ai fini dell'esecuzione del vincolo in

sorto in forza di legge, le opere dell'uomo, peraltro preesistenti alla sottoposizione a tutela del corso d'acqua realizzate sul tor

rente Cosia.

2.2. - Va quindi valutato che rilevanza abbia l'inclusione del

l'intervento dapprima nel programma di attuazione del p.e.e.p. ed in seguito nel p.p.a. del p.r.g., in relazione al 6° comma

(aggiunto) dell'art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977 che esclude dal

vincolo, «limitatamente alle parti ricomprese nei piani plurien nali di attuazione», le zone urbanistiche di cui al d.m. 2 aprile 1968 n. 1444.

Occorre in primo luogo stabilire se la disposizione, che si espri me utilizzando il participio passato («delimitate»), vada intesa

in senso letterale, e sia quindi da riferire ai soli interventi inclusi

nei programmi pluriennali già operanti al momento dell'intro

duzione del vincolo o, al contrario, se essa consenta che anche

dai programmi approvati successivamente discenda l'inapplica bilità della disciplina protettiva.

Ad avviso del collegio questa seconda soluzione è inaccettabile.

Essa infatti consentirebbe ad un atto, la cui unica funzione

è quella di temporalizzare le previsioni contenute negli strumen

ti vigenti e che perciò non comporta nuove scelte urbanistiche

o valutazioni di ordine ambientale — tant'è che non è sottopo sto all'approvazione regionale (art. 6, 6° comma, 1. n. 94 del

1982) —, di conseguire il risultato sostanziale di vanificare la

portata del vincolo. Si dovrebbe cioè ritenere che, a seguito del

l'adozione dei p.p.a., il vincolo diventi man mano inoperante e che le previsioni dei piani regolatori possano essere attuate

senza alcun controllo dell'autorità paesaggistica; con la ulterio

re conseguenza di rendere praticamente inoperante la speciale

protezione legislativa nei comuni dotati di strumento urbanisti

co. Tutta la normativa del 1985 finirebbe cosi per risolversi in

un indiretto mezzo di pressione sugli enti locali affinché si doti

no, nella misura in cui vogliono affrancarsi dal regime autoriz

zatone e dalle interferenze di altre amministrazioni nella gestio ne del proprio territorio, degli strumenti di programmazione tem

porale degli interventi. Sarebbero, queste, conseguenze

palesemente contrastanti con gli sviluppi della normativa urba

nistica e segnamente con il ridimensionamento dello strumento

di pianificazione temporale degli interventi, quale fu disegnato dall'art. 13 1. n. 10 del 1977, ad opera del c.d. decreto Nicolaz

zi. Ma, soprattutto tali implicazioni non sono consentite dalla

ratio della 1. n. 431. Infatti, se cosi fosse, se l'interesse paesag

gistico fosse realmente subordinato all'esigenza di attuazione degli

strumenti urbanistici, si ridurrebbe a ben poca cosa la portata

delle «norme fondamentali di riforma economico-sociale della re

pubblica» (art. 2) introdotte dalla legge Galasso. Questa, invece,

esaltando un valore costituzionale primario (Corte cost. n. 151 del

1986, cit.), mira proprio a condizionare le modifiche del territo rio, sia pure operate in attuazione di atti di programmazione, ad

una previa verifica di compatibilità con l'interesse paesistico.

li Foro Italiano — 1992.

Si deve perciò concludere che il 6° comma in esame introduce una norma transitoria che fa salve le sole previsioni di interven

to contenute nei programmi pluriennali già approvati. Si tratta

di una deroga con una ratio ben evidente, quella di non interfe

rire sui processi di trasformazione del territorio in atto riguardo a zone dove il comune ha inteso concentrare, in un determinato

periodo di tempo, l'attività edilizia ed il relativo processo di

urbanizzazione.

I p.p.a. deliberati successivamente all'introduzione del vinco

lo generalizzato non conseguono perciò l'effetto di far venir

meno la protezione legislativa (cfr. in tal senso la sentenza n.

369 del 12 dicembre 1986 di questa sezione, id., Rep. 1987, voce Bellezze naturali, n. 85).

Contrariamente a quanto certificato dal sindaco di Como il

3 ottobre 1990, esprimendo al riguardo le dovute riserve sull'in

serimento di valutazioni giuridiche in una certificazione, deve

ritenersi pertanto ininfluente rispetto al vincolo il p.p.a. appro vato con delibera di g.m. n. 2815 del 27 novembre 1989.

2.3. - Quanto al programma pluriennale di attuazione del piano di zona ex art. 38 1. n. 865 del 1971, come modificato dall'art.

1 1. n. 247 del 1974, il collegio — mentre osserva, ed il rilievo

sarebbe già di per sé assorbente, che il predetto 6° comma del

l'art. 82 è chiaramente una norma eccezionale, e pertanto di

stretta interpretazione, e che altrettanto chiaramente esso con

templa solo i programmi di cui all'art. 13 1. n. 10 del 1977, stante il riferimento alla zonizzazione del territorio che è in fun

zione esclusiva dello strumento urbanistico generale — ritiene

che esso sia inconferente rispetto alla fattispecie in esame.

Tale programma, dai documenti agli atti, risulta essere infatti

riferito al quinquennio 1985-89: ciò colloca l'intervento della

cooperativa ricorrente, assentito con concessione edilizia del 13

giugno 1990, automaticamente al di fuori delle cadenze tempo rali ivi stabilite. L'insediamento in questione non può, perciò, essere considerato attuativo di un programma, che, all'atto del

rilascio della concessione, aveva ormai esaurito la sua efficaica.

Quanto sopra consente di concludere per la piena operatività del vincolo ex lege.

3. - Va a questo punto esaminato il primo motivo, con cui

si deduce la violazione dell'art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977 (9°

comma, ultimo periodo) per essere stato il provvedimento co

municato oltre il termine di sessanta giorni. II collegio è quindi nuovamente chiamato a pronunciarsi sulla

legittimità dell'annullamento ministeriale adottato nel suddetto

termine perentorio ma comunicato successivamente.

L'autorizzazione regionale, si sostiene nel ricorso, sarebbe stata

infatti trasmessa alla soprintendenza il 12 giugno 1990, mentre

l'annullamento, disposto con il decreto del 9 agosto, sarebbe

stato comunicato intorno al 20 agosto alla regione e al comune di Como e solo il 17 ottobre notificato alla cooperavia ricorrente.

Va escluso, innanzitutto, che possa assumere rilievo il tele

gramma ministeriale del 4 agosto 1990, ricevuto dalla ricorrente

il 6 agosto, con cui si disponeva la sospensione dei lavori.

Contrariamente a quanto ritenuto dal controinteressato, tale

atto non contiene il dispositivo della decisione di annullamento.

L'ordine di sospensione è espressamente fondato sul rilievo che

«non risulta concluso l'iter procedurale del provvedimento au

torizzatorio», intendendosi con ciò ribadire che non era ancora

spirato il termine per disporre l'annullamento e di conseguenza affermare che una decisione in tal senso non era stata ancora

adottata. Ed infatti essa interverrà solo il successivo 9 agosto. Il telegramma in questione è pertanto espressione del potere

inibitorio e cautelare e non già di quello teso e rimuovere l'as

senso regionale. Peraltro, alcune delle date sopra menzionate su cui si fonda

la censura in esame, sembrerebbero non trovare conferma nei

documenti agli atti. In primo luogo nella citata relazione del

2 ottobre 1990 del comune di Como si legge (ultimo alinea) che il provvedimento ministeriale fu comunicato alla cooperati

va, a cura dello stesso comune, il 5 settembre. Inoltre, nella

documentazione prodotta dall'avvocatura dello Stato si rinvie

ne la copia dell'autorizzazione regionale inoltrata alla soprin tendenza che reca il timbro di protocollo, che parrebbe di en

trata, di quest'ultima con la data del 17 luglio 1990. Se cosi

fosse, un problema di tardività nemmeno si porrebbe. Tuttavia

il collegio ritiene di doversi esimere da un approfondimento istrut torio sul punto, attesa l'infondatezza in linea di diritto della

censura sollevata.

La ricorrente sostiene, quindi, la natura recettizia dell'atto

e la sua conseguente invalidità in quanto comunicato oltre il

termine di sessanta giorni dall'inoltro del nulla osta alla soprin tendenza. Essa muove dalla contrapposizione tra gli effetti am

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PARTE TERZA

pliativi dell'atto autorizzatorio e quelli limitativi ed impeditivi dell'annullamento. Di modo che sarebbe in contrasto con la funzione stessa di un simile potere la notifica dell'atto dopo la scadenza del termine.

Il collegio, al contrario, seguendo peraltro la giurisprudenza che sul punto appare prevalente, ritiene di dover ribadire quan to deciso con la sua sentenza n. 1018 del 18 giugno 1991.

Va quindi richiamata una questione analoga che diede an ch'essa origine ad un contrasto giurisprudenziale. Si fa riferi mento all'annullamento governativo, e poi regionale, delle con cessioni edilizie illegittime ex art. 27, 3° comma, 1. n. 1150 del

1942, modificato dall'art. 7 1. n. 765 del 1967. Dopo una serie di pronunce della quarta sezione, che avevano identificato il dies ad quem col momento dell'adozione (cfr. Cons. Stato, sez.

IV, 20 maggio 1980, n. 565, id., Rep. 1980, voce Edilizia e urbanistica n. 650), l'adunanza plenaria (25 febbraio 1980, n.

8, ibid., n. 638), ritenne che l'ipotesi normativa concretasse una

fattispecie unitaria a formazione progressiva in cui la partecipa zione ai destinatari assurgeva ad elemento essenziale per il suo

perfezionamento e che, pertanto, il dies ad quem dovesse neces sariamente identifcarsi con la data della comunicazione agli in teressati.

Va tuttavia osservato come tale decisione trovasse un concre to appiglio testuale nella specifica disciplina legislativa dell'isti

tuto, che statuisce che entro un dato termine il provvedimento sia «emesso» e non solo «adottato», con ciò «volendosi . . .

configurare — ritenne l'adunanza plenaria — una esternazione indirizzata».

La nostra disposizione legislativa adopera invece una diversa

terminologia, laddove stabilisce che il ministro «può in ogni caso annullare . . . l'autorizzazione regionale» senza fare alcun riferimento alla fase della «emissione». Ciò dimostrerebbe, a

contrario, che l'effetto caducatorio è istantaneo e deriva unica mente dall'adozione dell'atto, unico elemento preso in conside razione dalla legge ai fini del perfezionamento della fattispecie.

Né è possibile disconoscere l'esistenza di ragioni che consi

gliavano una soluzione in tal senso. Il potere di annullamento delle concessioni edilizie è infatti non solo esercitabile anche

dopo molto tempo dall'adozione dell'atto (dieci anni), ma il dies a quo, per il termine più breve, comincia a decorrere solo «dall'accertamento delle violazioni». Nel caso in esame il termi ne è invece ridottissimo e decorre non appena gli atti pervenga no all'organo perferico ex circolare 8/85, cosicché è ragionevole ritenere che il legislatore non abbia voluto appesantire gli adem

pimenti da compiere in un lasso temporale cosi breve. Tale conclusione è peraltro del tutto aderente alla normale

natura non recettizia dei provvedimenti amministrativi, che so no generalmente idonei a produrre gli effetti giuridici ad essi riconnessi senza il concorso della volontà dei destinatari. Carat tere recettizio può essere infatti riconosciuto solo agli atti che in qualche modo implichino l'attività dei destinatari per conse

guire lo scopo a cui tendono. Tipico caso di questa specie sono

gli ordini, che non possono dirsi efficaci se non sono partecipa ti al soggetto dal quale si pretende un determinato comporta mento. Dall'annullamento scaturisce, invece, un effetto istanta neo che non dipende dalla collaborazione di altri soggetti, ma deriva dalla semplice adozione del provvedimento che lo dispone.

Gli effetti della comunicazione sono nel nostro caso di altro

tipo e consistono essenzialmente nella interdizione allo svolgi mento dell'attività autorizzata. Ma si tratta di conseguenze ulte riori, connesse alla rimozione ex tunc dell'atto permissivo, che non costituiscono la funzione tipica del provvedimento la quale si esaurisce nell'estinzione delle situazioni giuridiche sorte con l'atto annullato.

Né è sostenibile, come fa la ricorrente, che cosi il «procedi mento non avrebbe mai un termine certo di conclusione».

Al contrario, il procedimento deve concludersi entro il termi ne perentorio di sessanta giorni con l'adozione del provvedi mento di annullamento, mentre la comunicazione rimane ele mento estraneo al perfezionamento della fattispecie.

Indubbiamente il soggetto autorizzato ha interesse a conosce re tempestivamente l'esito del riesame ministeriale per sapere se può mettere mano all'intervento oppure se deve astenersene e ciò anche per evitare le negative conseguenze, anche di ordine

economico, derivanti dal ripristino dello stato dei luoghi. Ma si tratta di un interesse che può essere soddisfatto anche con l'iniziativa di parte, ad esempio interpellando il ministro per conoscere se abbia esercitato, nel termine perentorio di legge, il potere attribuitogli. Parimenti, il ministero ha il dovere di non ritardare indebitamente la comunicazione, sia in ossequio al canone costituzionale di buona amministrazione sia per evita

li. Foro Italiano — 1992.

re che comunicazioni tardive possano concorrere a compromet tere, magari in maniera irreparabile, i luoghi che tramite quel potere si dovevano tutelare. La possibilità che tali doveri venga no violati, mentre può comportare conseguenze sanzionatorie di vario tipo, non è tuttavia in grado di mutare la qualificazio ne giuridica dell'atto in questione.

Se, quindi, dal versante privato non sussistono inconvenienti

insuperabili, l'interpretazione accolta è aderente alla natura pre cettiva dell'atto amministrativo e alla sua capacità di incidere sulle situazioni giuridiche a prescindere dalla sua comunicazione.

4. - Si può quindi passare all'esame delle censure che attengo no al contenuto del provvedimento.

Il decreto ministeriale qui impugnato perviene all'annullamento del nulla osta regionale sulla base di una duplice argomentazio ne. Da un lato rileva la carenza di motivazione dell'autorizza zione che, «redatta su un modulo tipo . . ., non evidenzia tut tavia le motivazioni e i criteri in base ai quali ha ritenuto l'in tervento proposto . . . compatibile con il perdurare del vincolo ex lege sulla località». Dall'altro sostiene «che le opere previste, inserite in un contesto caratterizzato da preziose presenze stori che e da rilevanti qualità ambientali, alterando in maniera per manente la pendenza naturale del terreno, creerebbero una bar riera tra il torrente Cosia e il fondale naturale, limitando la visione del complesso collinare e della vegetazione retrosanti».

Sulla base di tale ultimo rilievo, il decreto ritiene che l'auto rizzazione regionale violi l'art. 82, 5° comma, d.p.r. n. 616 del

1977, perché essa «si risolve, di fatto, in un implicito provvedi mento di esclusione dal vincolo paesaggistico ex lege», dato che la stessa «sarebbe suscettibile di comportare l'alterazione per manente di tratti paesistico-ambientali caratterizzanti l'attuale

morfologia del territorio tutelato ex lege . . .». Ambedue i rilievi ministeriali vengono censurati dalla ri

corrente.

Con il quinto motivo sub b), si osserva che il provvedimento regionale non è soggetto a nessun particolare onere di motiva zione trattandosi di atto ampliativo della sfera giuridica del ri chiedente che, come tale, va unicamente confortato «dalla veri fica dell'inesistenza di ragioni di interesse pubblico», mentre non sussiste obbligo di dar conto delle «ragioni che rendono compa tibile la determinazione assunta con l'interesse pubblico», es sendo allo scopo sufficiente «che il provvedimento rassicuri di aver tenuto presente il limite (interesse pubblico) voluto dalla norma e di aver istruito ed esaminato la pratica in corrispon denza di quel limite e per la tutela di esso».

Si tratta di osservazioni che si rifanno all'orientamento che

nega la sussistenza dell'obbligo in questione riguardo ai c.d. atti ampliativi, principi riaffermati di recente in subiecta mate ria da Cons. Stato, sez. VI, 16 luglio 1990, n. 728 (id., Rep. 1990, voce Bellezze naturali, n. 16). A conclusioni opposte è

peraltro già pervenuta la giurisprudenza (Cons. Stato, sez. VI, 5 luglio 1990, n. 692, id., Rep. 1991, voce cit., n. 45), osservan do come «la regione (non) si possa trincerare dietro allo stereo

tipo concetto che il progetto non contrasta con il vincolo am bientale esistente» (Tar Abruzzo 29 marzo 1989, n. 152, id., Rep. 1989, voce cit., n. 17 e, nello stesso senso, la citata senten za 1018 del 1991 di questa sezione).

Il collegio ritiene di dover condividere quest'ultimo orien tamento.

Prescidendo da ogni considerazione sulla portata generale del

principio che tende ad esonerare l'atto ampliativo dall'obbligo di motivazione — rimesso oggi perlomeno in discussione dalla 1. n. 241 del 1990 in attuazione di un basilare principio dell'or dinamento che esige la possibilità di verifica dell'azione dei pub blici poteri da parte di tutti i consociati — va osservato che

principi in senso contrario possono rinvenirsi nella disciplina della materia in esame.

Vanno qui ricordati i recenti interventi della Corte costituzio nale tesi a ribadire che la protezione del paesaggio è un interes se di rango costituzionale (art. 9), non suscettibile di essere su bordinato a nessun altro (cfr. sent. n. 359 del 1985, id., 1986, I, 1196; nn. 151, 152 e 153 del 1986, ibid., 2689). La 1. n. 431 del 1985 è diretta alla tutela di questo interesse, proteggendo il territorio da interventi in grado di sconvolgerne i tratti fisici che lo caratterizzano. La primarietà del valore paesaggistico ri salta solo se si consideri che anche le opere pubbliche dello Sta to sono ora assoggettate al provvedimento autorizzatorio, lad dove in precedenza l'art. 13 1. n. 1479 del 1939 prevedeva il

semplice concerto tra le amministrazioni interessate. Con la sentenza n. 151 del 1986 la Corte costituzionale ha

osservato che la 1. n. 431 «proprio per l'estensione e la correla tiva intensità dell'intervento protettivo introduce una tutela del

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

paesaggio improntata a integralità e globalità, vale a dire impli cante una riconsiderazione assidua dell'intero territorio nazio

nale alla luce e in attuazione del valore estetico-culturale. Una

tutela cosi concepita è aderente al precetto dell'art. 9 Cost., il quale, secondo una scelta operata al più alto livello dell'ordi

namento, assume il detto valore come primario, cioè come in

suscettivo di essere subordinato a qualsiasi altro».

È proprio la primarietà di tale valore e la sua non subordina

zione «a qualsiasi altro», ed anzi la sua sicura preminenza su

quelli tutelati dagli art. 41 e 42 Cost., essendo esso in grado di concretare il limite della funzione ed utilità sociale da cui

questi sono condizionati, che esige l'evidenziazione delle regioni che hanno indotto a ritenere la compatibilità dell'intervento con

le ragioni e l'oggetto della tutela. Se il legislatore ha voluto

che il territorio andasse riconsiderato «alla luce e in attuazione

del valore estetico-culturale» condizionandone le trasformazioni

all'autorizzazione paesaggistica, ciò presuppone una scelta nor

mativa secondo la quale gli interventi che perseguono scopi di

versi dalla conservazione e riqualificazione ambientale sono ri

tenuti in linea di principio suscettibili di alterare i tratti caratte

rizzanti il profilo fisico del paese e perciò tendenzialmente

confliggenti con l'interesse paesistico. L'autorizzazione presuppone invece che il conflitto delineato

in astratto venga ritenuto, in virtù delle caratteristiche specifi che dei luoghi, non sussistente in concreto. Un giudizio di que sto genere non può esplicitarsi in asserzioni tautologiche, ma

deve essere manifestato attraverso una chiara evidenziazione delle

ragioni che inducono a superare quella sorta di presunzione le

gislativa di incompatibilità. D'altra parte è sempre la primarietà dell'interesse paesistico

a rendere conformi alla Costituzione i penetranti poteri che lo

Stato si è riattribuito in materia, e sarebbe per niente consono

allo spirito di una legge che ha voluto assicurare la compresen za statale nel procedimento autorizzatorio negare la possibilità di svolgere un'effettiva verifica sulla congruità logica dell'as

senso regionale che solo il controllo sulla motivazione può assi

curare.

Sono peraltro sintomatiche del tentativo di svilire la normati

va del 1985, qualificata di grande riforma economico sociale

del suo art. 2 e da Corte cost. n. 151 del 1986, le opinioni

che, da un lato, ritengono che l'autorizzazione non vada moti

vata e, dall'altro, escludono che il ministero possa effettuare

un riesame di merito. Stretto tra questa duplice limitazione il

ministro per i beni culturali ed ambientali non potrebbe che

prendere atto degli assensi regionali, con buona pace della vo

luntas legis di assicurare «la partecipazione cosi dello Stato co

me della regione (. . .) in ogni momento della gestione . . .»,

ivi compreso quello autorizzatorio, «ad estrema difesa del vin

colo» (Corte cost. n. 151 del 1986). A quanto sopra si aggiunge la considerazione che un provve

dimento ampliativo della sfera giuridica del richiedente allo stesso

tempo può assumere un carattere restrittivo rispetto a soggetti

che si trovino in posizione contrapposta. Il paesaggio va ascritto in quella «concezione unitaria del be

ne ambientale, comprensiva di tutte le risorse culturali e natura

li», e quindi «la conservazione, la razionale gestione e il miglio

ramento delle condizioni naturali (aria, acque, suolo e territorio

in tutte le sue componenti) ... e, in definitiva, la persona uma

na in tutte le sue estrinsecazioni», che la Corte costituzionale

ha ricondotto sotto la copertura degli art. 9 e 32 (cfr. le senten

ze 28 maggio 1987, n. 210 id., 1988, I, 329 e 30 dicembre 1987, nn. 617 e 641, ibid., 3537 e 694. Cfr., altresì', Tar Lombardia,

sez. I, 17 gennaio 1990, n. 15, id., Rep. 1990, voce Edilizia

e urbanistica, n. 227). La salvaguardia di tale bene è «diritto

fondamentale della persona ed interesse fondamentale della co

munità» (sent. 210 del 1987, cit.). Benché la 1. 8 luglio 1986 n. 349, istitutiva del ministero del

l'ambiente, non abbia riconosciuto ogni cittadino titolare di un diritto all'ambiente, non va disconosciuto il rilevante valore di

principio dell'art. 14 sul diritto di informazione e di accesso

ai dati disponibili sullo stato dell'ambiente. Ma, ai nostri fini, rileva soprattutto il fatto che la legge abbia comunque voluto

riconoscere ad organismi espressione della società civile la tito

larità di una posizione giuridica qualificata. Il riferimento va, allora, all'art. 18, dove è canonizzata, con il riconoscimento

del diritto ad intervenire nei giudizi di danno ambientale e di adire la giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti

illegittimi, la titolarità, in capo alle associazioni individuate ex art. 13, di un interesse tutelabile nei confronti di provvedimenti

che dispongono dei valori ambientali.

L'emanazione di provvedimenti autorizzatori che si limitasse

II Foro Italiano — 1992.

ro a dare atto della compatibilità dell'intervento rispetto all'in

teresse protetto, senza l'esplicitazione delle valutazioni effettua

te e dell'/ter logico seguito, verrebbe a sancire l'impossibilità di effettuare su di essi una seria forma di controllo e la loro

pressoché assoluta insindacabilità in sede di giudizio ammini

strativo da parte delle formazioni sociali abilitate ex lege. In definitiva, l'obbligo di motivazione è correlato alla neces

sità di garantire un compiuto riesame da parte del ministero

e di rendere altresì possibile il controllo degli atti da parte della

collettività, nel cui interesse il bene ambientale è gestito.

Correttamente, quindi, il provvedimento impugnato ravvisa

nell'autorizzazione una carenza di motivazione, posto che la re

gione esaurisce il suo obbligo nell'affermazione di aver esami

nato la domanda e valutato i contenuti del provvedimento di

vincolo. La motivazione è perciò del tutto carente e legittimo, sotto questo profilo, è l'annullamento. (Omissis)

6. - Nonostante la prima delle motivazioni che sorreggono l'atto impugnato sia stata riconosciuta immune dalle censure

sollevate, il collegio ritiene di dover proseguire nell'esame del

ricorso in quanto reputa che permanga l'interesse ad un giudi zio sulle motivazioni sostanziali del provvedimento.

Si è detto come il d.m. annulli l'autorizzazione sia per un

rilevato difetto di motivazione sia perché perviene ad una valu

tazione in termini negativi dell'impatto paesaggistico dell'inter

vento. Deve pertanto riconoscersi la sussistenza di un interesse

a veder stabilito se il ministero abbia legittimamente operato nello svolgere quelle considerazioni, posto che, nell'eventuale

rinnovo dell 'iter, tali valutazioni potrebbero essere idonee a pre cludere l'ottenimento di una nuova autorizzazione. Una simile

conseguenza non potrebbe invece trarsi qualora l'annullamento

ministeriale dovesse essere confermato per la sola parte in cui

contesta il difetto di motivazione.

Per queste considerazioni si deve passare all'esame delle ri

manenti censure.

7. - Con i rilievi di cui alle lett. c), d), e) ed J) del quinto motivo e col sesto mezzo di gravame vengono censurate le parti del provvedimento che contestano nello specifico le valutazioni

di conformità operate dalla regione. Va subito detto che è condivisibile l'assunto della ricorrente

secondo cui in questa parte del provvedimento, celate dietro

qualificazioni in termini di illegittimità per esclusione di fatto del vincolo, si operano in realtà valutazioni di merito sulla por tata paesaggistica dell'intervento. Il vizio di legittimità richia

mato dal ministero, presupponendo l'eliminazione di fatto dello

stesso bene protetto, è configurabile solo in relazione ad inter

venti talmente radicali da comportare la soppressione delle ca

ratteristiche fisiche dei luoghi che costituiscono la ragione del

vincolo: tali autorizzazioni equivarrebbero infatti alla pratica rimozione del vincolo legale e sarebbero perciò radicalmente il

legittime. Tale evenienza non si verifica però nel caso di specie,

posto che, sia o meno compatibile l'intervento con il vincolo

ex lege, esso non implica certo l'eliminazione fisica del torrente

e delle sue sponde. Il decreto ministeriale opera invece una valutazione di merito

dell'intervento, comparandolo con la morfologia del territorio

e giudicandolo con essa incompatibile. Il collegio ritiene tuttavia, condividendo sul punto l'orienta

mento di diversi tribunali (cfr. Tar Puglia, sez. I, 25 novembre

1988, n. 295, id., Rep. 1988, voce Regione, n. 423; Tar Campa

nia, sez. I, 7 aprile 1989, n. 173, id., Rep. 1989, voce Bellezze

naturali, n. 34; Tar Veneto, sez. I, 17 ottobre 1988, n. 821,

id., Rep. 1988, voce cit., n. 46), che un apprezzamento del ge

nere non è precluso, per cui la censura che muove dall'opposta convinzione deve essere respinta.

In senso contrario non è di alcuna utilità il dato letterale,

visto che il termine «annullamento», pure ammesso che il legis latore abbia voluto intenderlo in un'accezione tecnica, non è

una espressione riservata alla rimozione di atti per soli vizi di

legittimità. Il termine è infatti tradizionalmente usato in dottri

na per indicare la caducazione, generalmente con effetto ex tunc,

di un atto affetto da un'invalidità originaria, sia essa dovuta

a vizi di legittimità oppure di merito. Tant'è che quando il rie same è limitato ai soli vizi di legittimità la legge lo afferma

espressamente: si vedano in proposito il già richiamato art. 27

legge urbanistica e l'art. 6 r.d. 3 marzo 1934 n. 383.

Anzi, restando sul piano letterale, più probante nel senso ac

colto dal collegio sarebbe l'espressione che afferma la possibili

tà di esercitare tale potere «in ogni caso» e quindi, parrebbe, senza limitazioni al di fuori di quelle temporali. Tale espressio

ne non può, infatti, come taluno ritiene, svolgere la funzione

di esimere il ministero dalla evidenziazione delle ragioni di pub

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PARTE TERZA

blico interesse che l'annullamento mira a soddisfare, considera

to che il breve termine entro cui il potere va esercitato è già di per sé sufficiente ad escludere che l'interesse del soggetto autorizzato possa dirsi consolidato e quindi che un apprezza mento di quel genere debba essere effettuato.

La conclusione accolta è invece avvalorata dalla trasparente voluntas legis di riaccentrare in capo al ministero parte delle

competenze delegate alle regioni con il d.p.r. n. 616 del 1977.

Tale operazione viene compiuta «in vista dell'allargamento e potenziamento della tutela paesistica» (Corte cost. n. 151 del

1986, cit.) al fine di assicurare una «pronta e piena realizzazio

ne» di quei valori (Corte cost. 27 giugno 1986, n. 153, cit.). La sua rilevanza costituzionale legittima il mancato affidamen

to di questo interesse alla cura esclusiva di un ente in base ad

una rigida separazione delle competenze: i rapporti tra Stato

e regione vanno invece ricostruiti alla luce del principio di leale

collaborazione «cui si adegua appunto lo strumento della con

correnza dei poteri» (Corte cost. n. 151 del 1986, cit.). Si tratta di principi che la corte aveva già affermato nella sent. n. 359

del 1985, cit. (dove i poteri statali in materia furono ritenuti

concorrenti «in considerazione della sostanziale identità di og

getto e di contenuto che essi presentano ai poteri delegati») e

che vengono ribaditi nella sentenza n. 302 del 1988, cit., dove

si osserva che la concorrenza dei poteri ispira in questa materia i rapporti tra i due enti «in quanto ciò sia reso necessario per il raggiungimento dei fini essenziali di tutela». Parimenti signi ficativa è la sentenza n. 1112 del 20 dicembre 1988 (id., Rep.

1989, voce cit., n. 14) che riconosce, proprio in relazione all'an

nullamento ministeriale delle autorizzazioni regionali, che i po teri statali «sono previsti in funzione di supremazia, al fine di

assicurare più intensamente la tutela del vincolo paesaggistico». Il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale

che ritiene legittimo quella sorta di condominio istituzionale nella

gestione della materia introdotto dalla legge Galasso, ma che

in qualche misura già caratterizzava la delega originaria conte

nuta nell'art. 82 (in cui l'intensità dei poteri conservati allo Sta to erano difficilmente riconducibili a quelli spettanti allo stesso

in ogni altro caso di delega: cosi Corte cost. n. 359 del 1985,

cit.), avvalora quindi la conclusione secondo cui, riguardo alle

autorizzazioni rilasciate, al ministero spetta un potere della me

desima estensione di quello attribuito alle regioni e, pertanto, esteso anche alla valutazione della compatibilità dell'intervento con la zona protetta.

Non si comprende d'altra parte perché, mentre si ritengono conformi a Costituzione i poteri concorrenti in materia di inte

grazione degli elenchi (ex art. 82, 2° comma, lett. a), un potere di questa estensione lascerebbe adito a sospetti di incostituzio

nalità se riferito al riesame delle autorizzazioni, specie una vol ta che sia stato assodato che la compresenza dello Stato in fun

zione di supremazia nel momento gestorio esclude ogni dubbio

in relazione all'art. 125, 1° comma, Cost. Va invece rilevato

che il recupero solo parziale del potere repressivo sarebbe poco coerente con lo spirito della legge, perché la sua limitata esten

sione non consentirebbe all'organo statale di disporre l'effettivo arresto di attività che, sebbene assentite da autorizzazioni per fette dal punto di vista della legittimità, fossero tuttavia in gra do di danneggiare le aree protette (cfr. Tar Puglia n. 295 del

1988, cit.). Se i poteri ministeriali concorrono con quelli delle regioni (ta

le natura, in relazione al potere di integrazione degli elenchi, è ribadita da Cons. Stato, sez. VI, 31 dicembre 1988, n. 1351,

ibid., n. 38), non possono ridursi, sul punto più qualificante, al mero riscontro formale, impoverendosi altrimenti la funzione

di estrema difesa del vincolo che lo Stato si è voluto riservare

e che la corte ha ritenuto conforme al dettato costituzionale.

La censura che denuncia indebite valutazioni di merito da

parte del ministero è perciò infondata.

8. - Parimenti infondato è il sesto motivo nella parte in cui

censura il difetto di motivazione e lo sviamento per l'omessa

indicazione degli adeguamenti progettuali idonei a rendere com

patibile l'intervento con la zona tutelata, in tal modo introdu

cendo surrettiziamente un vincolo assoluto di inedificabilità. Va subito detto, anche ove si volesse convenire con la ricor

rente, che l'annullamento ministeriale equivale ad un sostanzia

le diniego, che l'obbligo di specificare le condizioni che consen tono un adeguato inserimento dell'opera nel paesaggio non sus

site allorché l'amministrazione riscontri una radicale

incompatibilità che nessuna modifica riuscirebbe a eliminare (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 1981, n. 751, id., Rep. 1982,

Il Foro Italiano — 1992.

voce cit., n. 23). È quanto il ministro, basandosi su presupposti

errati, come subito si dirà, ha ritenuto con tutta evidenza nel

caso di specie. Ciò non vizia l'atto per sviamento né vale a

trasformare un vincolo relativo in assoluto. La natura relativa

del vincolo significa unicamente che le trasformazioni non sono

in linea di principio vietate, ma non è assolutamente detto che

ciò implichi un necessario assenso ad ogni opera che si intende

realizzare e che l'autorità paesistica debba limitarsi ad indicare

i temperamenti per rendere meno pesante l'impatto. È invece

aderente alla natura del vincolo che le caratteristiche (tipologi

che, plano-volumetriche, di dislocazione spaziale, di ingombro)

dell'intervento, valutate in relazione a quelle proprie dell'ambi

to protetto, possano essere giudicate talmente in conflitto con

i valori protetti da rendere necessario un diniego definitivo.

Un vincolo assoluto del tipo previsto dagli art. 1 ter e

1 quinquies della legge, al contrario, equivale alla negazione di

ogni intervento, anche il meno significativo, salvo quelli esplici tamente consentiti dalla norma, ed all'impossibilità stessa di con

cepire una procedura autorizzatoria.

9. - Fondate, invece, sono le rimanenti censure articolate nei

motivi quinto e sesto.

La ricorrente rileva che il provvedimento esula dal dato nor

mativo, diretto alla tutela del corso d'acqua e dell'ambito terri

toriale che da esso si caratterizza, in quanto pone a fondamento

dell'annullamento elementi estranei, quali non meglio precisate

«preziose presenze storiche», la supposta limitazione della «vi

sione del complesso collinare e della vegetazione retrostanti», che non hanno nulla a che fare con il vincolo ex lege e tantome

no con un vincolo specifico ex 1. n. 1497 del 1939.

Ed invero, non appaiono affatto considerate nel provvedi mento le esigenze di tutela dell'ambito protetto ex lege, visto

che non si spiega la ragione per cui, rispetto al torrente Cosia

ed alle relative sponde, l'intervento ne comprometta il profilo fisico. Riguardo a tale ambito viene unicamente affermato, con

espressione stereotipata ed affatto idonea ad integrare una com

piuta motivazione, che l'intervento «sarebbe suscettibile di com

portare l'alterazione permanente di tratti paesistico-ambientali caratterizzanti l'attuale.morfologia del territorio tutelato ex le

ge». Il provvedimento è cioè carente di una concreta e specifica valutazione dell'intervento in relazione al bene protetto. Le con

siderazioni di merito muovono invece da rilievi del tutto estra

nei all'esigenza di tutela dell'ambiente fluviale. È sintomatica in tal senso la relazione della soprintendenza del 31 luglio 1990

che, nel descrivere i pregi della zona, afferma che «il terreno

oggetto dell'intervento, un declivio naturale, è inserito in un'a

rea caratterizzata dalla presenza di un nucleo antico, dalla villa

Borsi Franchi, vincolata ai sensi della 1. n. 1089 con d.m. del

30 marzo 1983, dal cimitero con la tomba monumentale di Ales sandro Volta e da una particolare ricchezza di varietà arboree», fa trasparire come nessuna valutazione sia stata operata rispetto alla zona di protezione del corso d'acqua. Peraltro, quelle stes se considerazioni non vengono esplicitate con chiarezza nella

motivazione che il soprintendente suggerisce e che il ministro

fa propria. In essa le «preziose presenze storiche» rimangono sullo sfondo, quasi a descrivere il contesto territoriale, senza

assurgere a presupposti ostativi dell'intervento, che invece viene

ad essere precluso perché verrebbe ad alterare «la pendenza na

turale del terreno», cosi creando «una barriera tra il torrente

Cosia e il fondale naturale», la cui visione verrebbe ad essere

in tal modo limitata. Emerge, quindi, che ciò che si è voluto in realtà salvaguardare è quello sfondo collinare, che tuttavia

non si afferma essere protetto da alcun vincolo, con ciò illegitti mamente forzando l'ambito di operatività della tutela legale. La 1. n. 431 del 1985 ha infatti inteso proteggere gli ambiti

territoriali indicati nel suo art. 1 e non anche i panorami che

da quei luoghi si possono scorgere, per cui le zone circostanti o vengono vincolate con atto specifico ex 1. n. 1497 del 1939

o non possono godere, specie in assenza dell'obbligatoria piani ficazione di cui all'art. 1 bis, di alcuna tutela speciale.

10. - L'atto impugnato va pertanto annullato in parte qua, vale a dire nella parte in cui opera valutazioni sulla compatibili tà dell'intervento con il territorio protetto.

Resta assorbito il secondo motivo laddove si denuncia il di

fetto di istruttoria per avere il ministro provveduto all'annulla

mento prima di ricevere gli atti richiesti dal suo organo specifi co, con ciò giungendo a conclusioni erronee: l'accoglimento dei

motivi sostanziali non può che determinare il venir meno dei

rilievi di indole formale.

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