sezione VI; decisione 14 novembre 1991, n. 828; Pres. Laschena, Est. Pajno; Soc. Villaggioturistico Torre Incina (Avv. Guarino, Paparella, Mercuri), De Bellis e altri (Avv. Caravita diToritto) c. Min. beni culturali (Avv. dello Stato Linda) e altri. Conferma Tar Puglia 11 aprile1990, nn. 282, 283Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1992),pp. 517/518-539/540Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187512 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
CONSIGLIO DI STATO; CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; decisione 17 giugno 1992, n. 626; Pres. Quartulu, Est. Santoro; Min. grazia e giusti
zia (Avv. dello Stato Gentili) c. Giongrandi e altri (Avv. De
Vergottini). Regolamento di competenza.
Ordinamento giudiziario — Magistrato — Accertamento di
diritti patrimoniali — Ricorso — Competenza — Foro del
pubblico impiego (L. 24 marzo 1958 n. 195, norme sulla
costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della
magistratura, art. 17; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione
dei tribunali amministrativi regionali, art. 3; 1. 12 aprile 1990 n. 74, modifica alle norme sul sistema elettorale e
sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratu
ra, art. 4).
Per l'individuazione del tribunale amministrativo regionale com
petente sui ricorsi con cui un magistrato chiede l'accertamen
to di un proprio diritto patrimoniale, si applica la regola del
foro del pubblico impiego, senza che possa venire attratto
dalla speciale competenza del Tar per il Lazio su provvedi
menti riguardanti magistrati, adottati in conformità delle de
liberazioni del Consiglio superiore della magistratura. (1)
Diritto. — Il ricorso per regolamento di competenza è in
fondato.
A torto l'amministrazione qui ricorrente invoca l'applicazio
ne dell'art. 17, 2° comma, 1. 24 marzo 1958 n. 195 cosi come
introdotto dall'art. 4 1. 12 aprile 1990 n. 74.
Infatti la speciale deroga alla regola generale del foro del pub
blico impiego è ivi prevista espressamente per i ricorsi diretti
contro «i provvedimenti riguardanti i magistrati. . . adottati
in conformità delle deliberazioni del Consiglio superiore, con
decreto del presidente della repubblica» ovvero quelli adottati
ex art. 6 d. leg. 27 giugno 1946 n. 19.
Nella specie il ricorso proposto dai magistrati ordinari indica
ti in epigrafe non riguarda né l'una né l'altra ipotesi, avendo
ad oggetto soltanto l'accertamento di diritti patrimoniali vanta
ti dagli stessi, ed avente la loro fonte nel rapporto d'impiego
e nell'art. 4, 3° comma, 1. n. 869 del 1982.
Ne consegue l'applicabilità nella specie della regola generale
di cui al capoverso dell'art. 3 1. 6 dicembre 1971 n. 1034 (foro
del pubblico impiego), in luogo dell'invocato art. 4 1. 74/90, il che consente di escludere che del ricorso principale spetti co
noscere al Tar del Lazio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17 gennaio
1992, n. 60).
(1) Il Consiglio di Stato precisa la portata dell'art. 4 1. 74/90,
il quale, innovando la formulazione dell'art. 17 1. 195/58, concentra
nel Tar Lazio i ricorsi contro provvedimenti riguardanti magistrati,
ma in quanto esecutivi di deliberazioni del Consiglio superiore della
magistratura. Tar Sicilia, ord. 30 maggio 1991, Foro it., 1992, III, 340, con nota
di richiami sulle prime applicazioni della norma, ha dichiarato non ma
nifestamente infondate questioni di costituzionalità, che la corte ha re
spinto, con sentenza 22 aprile 1992, n. 189, ibid., I, 2033, con nota
di A. Romano.
Il Foro Italiano — 1992 — Parte III-21.
I
CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 14 novembre
1991, n. 828; Pres. Laschena, Est. Pajno; Soc. Villaggio tu
ristico Torre Incina (Aw. Guarino, Paparella, Mercuri),
De Bellis e altri (Avv. Caravita di Toritto) c. Min. beni
culturali (Avv. dello Stato Linda) e altri. Conferma Tar Pu
glia 11 aprile 1990, nn. 282, 283.
Bellezze naturali (protezione delle) — Autorizzazione regionale — Annullamento ministeriale — Rilevabilità dei vizi di legit timità — Riesame nel merito — Esclusione (L. 8 agosto 1985
n. 431, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 27
giugno 1985 n. 312, disposizioni urgenti per la tutela delle
zone di particolare interesse ambientale, art. 1).
Bellezze naturali (protezione delle) — Autorizzazione paesaggi
stica — Obbligo di motivazione.
Il potere ministeriale di annullamento dell'autorizzazione regio
nale paesaggistica si inscrive nel più generale potere-dovere
dello Stato di vigilanza sull'esercizio delle funzioni delegate
e si concreta in un sindacato di mera legittimità sulle modali
tà di esercizio della funzione autorizzatola. (1)
(1, 5, 8) I. - L'ampiezza ed il contenuto del potere ministeriale di
annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dalle regioni,
per la modifica del territorio nelle zone vincolate ai sensi della 1. 29
giugno 1939 n. 1497 e della 1. 8 agosto 1985 n. 431, costituisce uno
dei temi di maggiore interesse affrontato recentemente dalla giurispru denza e dalla dottrina che si occupa della tutela del paesaggio.
11 «condominio istituzionale» tra Stato e regioni, in aderenza al det
tato costituzionale che assegna la tutela del paesaggio alla repubblica, ha comportato che la competenza in materia sia stata delegata alle re
gioni in maniera non interamente devolutiva, essendosi riservato alla
competenza dello Stato: a) il potere di integrare gli elenchi delle zone
meritevoli di tutela (art. 82, 2° comma, d.p.r. n. 616 del 1977); b) il potere di inibire i lavori o disporre la sospensione degli stessi qualora essi rechino pregiudizio a beni qualificabili come bellezze naturali ma
non ancora inclusi negli elenchi delle bellezze naturali (art. 82, 4° com
ma); c) il potere di rilasciare l'autorizzazione su richiesta degli interes
sati ed in presenza del decorso infruttuoso del termine di sessanta giorni dalla richiesta dell'autorizzazione alla regione (art. 82, 9° comma); d) il potere di rilasciare o negare l'autorizzazione, anche in difformità del
la decisione regionale, allorché la richiesta di autorizzazione riguardi
opere da eseguirsi da parte di amministrazioni statali (art. 82, 10° com
ma); e) il potere di annullare «in ogni caso» l'autorizzazione regionale nei sessanta giorni dalla sua comunicazione agli organi dello Stato (art.
82, 9° comma). La Corte costituzionale ha affrontato il tema dei rapporti tra Stato
e regioni nella materia della tutela del paesaggio dapprima, in via gene
rale, con le sentenze nn. 151, 152, 153 del 1986, Foro it., 1986, I, 2689
e successivamente, in relazione al concreto esercizio dei poteri statali,
con le sentenze 20 dicembre 1988, n. 1112, id., Rep. 1989, voce Bellezze
naturali, n. 14 e 17 giugno 1992, n. 282, in questo fascicolo, parte prima. In queste pronunce la corte ha ribadito l'inammissibilità dei conflitti
di attribuzioni sollevati dalle regioni a tutela di competenze proprie ad
esse delegate non in maniera completamente devolutiva ma con il ricon
scimento, in favore dello Stato, di un quota di poteri concorrenti in
adesione al dettato costituzionale dell'art. 9 Cost, che, per un'effettiva
tutela del paesaggio, richiede una «equilibrata concorrenza e coopera zione» tra organi statali e regionali.
Ad esse si aggiunga anche Corte cost. 10 marzo 1988, n. 302, Foro
it., 1988, I, 1617 che, pronunciandosi in tema di competenza ad emette
re il parere per la concessione della sanatoria edilizia per opere realizza
te in zone vincolate, aveva attribuito alla regione un ruolo di preminen
za, riconoscendola quale «amministrazione istituzionalmente preposta alla tutela del vincolo ambientale».
II. - Il Consiglio di Stato, finora, ha sempre sostenuto che il potere riconosciuto al ministro per i beni culturali ed ambientali dall'art. 1,
5° comma, 1. n. 431 del 1985, integrativo dell'art. 82, 9° comma, d.p.r.
24 luglio 1977 n. 616, sia da intendersi quale espressione non già di
un riesame nel merito del provvedimento regionale bensì di un potere
di annullamento di ufficio per motivi di legittimità. In particolare, il
Consiglio di Stato riconduce il potere in oggetto al più generale potere
di vigilanza che il legislatore ha voluto riconoscere allo Stato nei con
fronti dell'esercizio delle funzioni delegate alle regioni in materia di
gestione del vincolo.
L'annullamento, potendo riguardare tutti i vizi di legittimità, com
prese le singole ipotesi riconducibili all'eccesso di potere, consente al
ministro, secondo la tesi del Consiglio di Stato, di espletare un puntuale
e penetrante sindacato sull'esercizio delle funzioni amministrative con
nesse al potere autorizzatorio di cui all'art. 7 1. n. 1497 del 1939.
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PARTE TERZA
Il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica richiede una adegua ta motivazione della compatibilità delle opere in progetto con
il bene oggetto della tutela vincolistica. (2) Il potere di consigliare le opportune modifiche progettuali, pre
visto dall'art. 16 r.d. 3 giugno 1940 n. 1357, presuppone la
possibilità di pervenire a progetti compatibili con i valori pae sistici tutelati. (3)
II
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA; sezione I; sentenza 26 gennaio 1992, n. 27; Pres. Mangione, Est. Romeo; Regione Lombardia (Aw. Ber
toni, Antonini) c. Min. beni culturali (Avv. dello Stato Da
miani) e altri.
Bellezze naturali (protezione delle) — Autorizzazione regionale — Annullamento ministeriale — Atto non recettizio (L. 8 ago sto 1985 n. 431, art. 1).
Bellezze naturali (protezione delle) — Autorizzazione regionale — Annullamento ministeriale — Estensione a vizi di merito — Esclusione (L. 8 agosto 1985 n. 431, art. 1).
Il termine perentorio di sessanta giorni per l'esercizio del potere ministeriale di annullamento dell'autorizzazione regionale pae
saggistica si riferisce alla sola adozione dell'atto e non anche
alla sua comunicazione. (4) Il potere di annullamento del ministro non può riguardare l'esi
to della valutazione espressa dalla regione nell'esercizio della
competenza esclusiva delegata in tema di gestione del vinco
lo, ma deve essere circoscritto alla verifica della completezza dell'istruttoria compiuta dalla regione, ivi compreso l'accer
tamento dell'esistenza del necessario presupposto della rila
sciata autorizzazione, vale a dire l'avvenuta valutazione della
compatibilità effettiva del progetto con i valori paesistici dei
luoghi. (5)
In tal senso trova perfetta consonanza l'affermazione della Corte co
stituzionale, contenuta nella sentenza 151/86, per la quale allo Stato è assegnata la funzione di estrema difesa del vincolo allorché l'autoriz zazione ne travalichi i limiti intrinseci.
Per i precedenti si rinvia a Cons. Stato, sez. VI, 11 giugno 1990, n. 600, id., 1991, III, 125, con ampia nota di riferimenti ed osservazio ni di M. Cozzuto-Quadri; 5 luglio 1990, n. 692, id., Rep. 1991, voce
cit., n. 45. Non è univoco, invece, l'orientamento dei tribunali amministrativi
regionali, come è reso manifesto dalle due difformi sentenze in rassegna emesse da due diverse sezioni dello stesso tribunale amministrativo per la Lombardia.
Per i precedenti si rinvia a Tar Campania, sez. I, 7 aprile 1989, n.
173, id., 1991, III, 126, con nota di richiami, che si esprime in favore di un potere di annullamento esteso al merito, cui adde, negli stessi
sensi, Tar Calabria, sez. Reggio Calabria, 2 luglio 1991, n. 212 e Tar Puglia, sez. Lecce, 24 aprile 1991, n. 316, id., Rep. 1991, voce cit., nn. 26, 35, mentre è favorevole al riconoscimento di un potere di an nullamento del ministro per soli motivi di legittimità Tar Abruzzo 29 marzo 1989, n. 152, id., Rep. 1989, voce cit., n. 37.
È da sottolineare che Tar Lombardia 1330/91 rivaluta il potere stata le di gestione diretta dell'interesse paesaggistico tutelato dal vincolo, richiedendo uno specifico obbligo di motivazione da parte della regio ne, a cui compete non solo di dare atto della compatibilità dell'inter vento rispetto all'interesse protetto ma anche di esplicitare le valutazio ni effettuate, al fine di consentire una seria forma di controllo tanto in sede amministrativa che in sede giudiziaria (sul contenuto dell'auto rizzazione e sull'obbligo della sua motivazione, si rinvia agli art. 3, 9, 10, 11 1. 7 agosto 1990 n. 241 e alle osservazioni di Fuzio, Diritto
all'informazione e diritto alla partecipazione nella gestione del vincolo paesistico e degli altri interessi ambientali. Il ruolo delle associazioni ambientaliste, in Riv. giur. ambiente, 1991, 455).
Il Tar Lombardia, in pratica, nella decisione 1330/91 della sua secon da sezione, sopravanza il Consiglio di Stato nella definizione di rappor ti tra Stato e regioni in subiecta materia, attribuendo allo Stato un po tere concorrente della medesima natura ed estensione di quello spettan te alla regione, laddove invece il Consiglio di Stato si è attestato su una posizione che riconosce allo Stato solo un potere di vigilanza sull'e sercizio della funzione regionale.
Peraltro, lo stesso Tar Lombardia, nella sentenza 27/92 della sua
prima sezione, soprariportata, rivaluta oltre modo il ruolo della regione
Il Foro Italiano — 1992.
Ill
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA; sezione II; sentenza 5 dicembre 1991, n. 1330; Pres. Bonifacio, Est. Tramaglino; Soc. Una Capanna (Avv.
Rallo, Romano) c. Min. beni culturali (Aw. dello Stato Da
miani) e altri.
Bellezze naturali (protezione delle) — Vincolo «ex lege» — Esclu
sione per le zone induse in piani pluriennali di attuazione
approvati — Estensione alle zone incluse in piani pluriennali di attuazione deliberati successivamente — Insussistenza (L. 8 agosto 1985 n. 431, art. 1).
Bellezze naturali (protezione delle) — Autorizzazione regionale
paesaggistica — Annullamento ministeriale — Atto non re
cettizio (L. 8 agosto 1985 n. 431, art. 1). Bellezze naturali (protezione delle) — Autorizzazione regionale
— Annullamento ministeriale — Estensione e valutazioni di
merito — Ammissibilità (L. 8 agosto 1985 n. 431, art. 1). Bellezze naturali (protezione delle) — Diniego di autorizzazio
ne — Obbligo di indicazione delle necessarie modifiche pro
gettuali — Insussistenza (R.d. 3 giugno 1940 n. 1357, art.
16).
L'esclusione dal vincolo ex lege, prevista dall'art. 1, 2° comma,
l. 8 agosto 1985 n. 431, è limitata solo alle zone del territorio
comunale ricomprese nei piani pluriennali di attuazione già
approvati al momento dell'entrata in vigore della legge. (6) Il termine di sessanta giorni entro il quale il ministro per i beni
culturali ed ambientali deve esercitare il potere di annulla
mento delle autorizzazioni regionali paesaggistiche si riferisce all'adozione dell'atto e non anche alla sua comunicazione al
l'interessato. (7) Il potere di riesame delle autorizzazioni regionali paesaggisti
che, assegnato al ministro per i beni culturali ed ambientali, si estende sino a ricomprendere valutazioni sul merito dell'in
tervento autorizzato, giacché nella gestione del vincolo al mi
assegnandole una funzione di netta prevalenza nella gestione complessi va della propria comunità territoriale e riconoscendo allo Stato, nella
partecipazione alla tutela e gestione del vincolo, non una posizione dia lettica nei confronti della regione ma solo una funzione di garante della
legalità dell'attività regionale. III. - In dottrina, Alibrandi - Ferri, 1 beni culturali e ambientali.
Appendice alla I. 8 agosto 1985 n. 431, Milano, 1985, 27 ss.; Fami glietti - Giuffrè, Le zone di particolare interesse ambientale, Napoli, 1989; Fuzio, I nuovi beni paesistici, manuale di tutela deI paesaggio, Rimini, 1990, 186; Cozzuto - Quadri, osservazioni alle sentenze Cons. Stato 11 giugno 1990, n. 600 e Tar Campania 7 aprile 1989, n. 173, in Foro it., 1991, III, 128, sono favorevoli alla tesi dell'annullamento
per soli vizi di legittimità. L'intervento dello Stato, infatti, si pone in funzione di estrema difesa del vincolo e trova il suo fondamento nella circostanza dello snaturamento e, quindi, dell'illegittimità di un'auto rizzazione che, consentendo la realizzazione di interventi incompatibili con la natura e la portata del vincolo, di fatto, finisce con il determina re un'implicita revoca o abrogazione del vincolo.
Contra, Immordino, Vincolo paesaggistico e regime dei beni, Pado va, 1991, 209 ss. e Novarese, in nota a Cons. Stato 11 giugno 1990, n. 600, cit., in Riv. giur. edilizia, 1991, I, 126, sostengono, invece, la tesi che il potere ministeriale di annullamento possa estendersi anche ad un riesame del merito.
(2) Sull'onere di motivazione delle autorizzazioni paesaggistiche, ol tre alle sentenze citate in motivazione, Tar Lombardia, sez. II, 18 giu gno 1991, n. 1018, Trib. amm. reg., 1991, I, 2880; Tar Calabria, sez.
Reggio Calabria, 2 luglio 1991, n. 212, Foro it., Rep. 1991, voce Bellez ze naturali, n. 28 e Cons. Stato, sez. VI, 5 luglio 1990, n. 692, cit.
L'art. 3, 1° comma, 1. 7 agosto 1990 n. 241 ha oggi espressamente introdotto l'obbligo della motivazione per ogni provvedimento, positi vo o negativo, sancendo la necessità di indicare sempre i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste a base della decisione amministrativa.
(3, 9) Non constano precedenti in termini. Finora la giurisprudenza riconosceva che l'indicazione delle modifi
che progettuali, che «possono» essere consigliate dall'autorità preposta al rilascio dell'autorizzazione (art. 16 r.d. 3 giugno 1940 n. 1357), costi tuisse una facoltà dell'amministrazione e non un obbligo, Cons. Stato, VI, 27 agosto 1980, n. 767, Foro it., Rep. 1980, voce Bellezze naturali, n. 33. Peraltro, la stessa giurisprudenza, in certo qual modo, aveva trasformato detta facoltà in obbligo mediante il riconoscimento dell'il
legittimità del diniego di autorizzazione che non fosse accompagnato dall'indicazione delle modalità con le quali la costruzione poteva essere
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
nistro spetta un potere della medesima estensione di quello attribuito alle regioni. (8)
L'obbligo di specificare le condizioni che consentono un ade
guato inserimento dell'opera nei luoghi vincolati non sussiste
allorché l'amministrazione riscontri una radicale incompatibi lità del progetto con le caratteristiche dei luoghi protetti. (9)
I
Diritto. — 1. - Deve, innanzi tutto, essere disposta la riunio
ne dei due procedimenti promossi dalla società Villaggio turisti
co Torre Incina (n. 1766/90 r.g.) e dai signori De Bellis Vitti (n. 1823/90 r.g.).
Gli stessi, infatti, hanno per oggetto due decisioni del Tar
della Puglia concernenti il medesimo provvedimento (il decreto
del 6 maggio 1989 del ministero dei beni culturali), sicché appa re evidente che alla riunione dei relativi giudizi avrebbe dovuto
provvedersi già in primo grado. 2. - Al fine di un compiuto esame delle questioni prospettate
con entrambi i ricorsi, occorre premettere che con il provvedi mento impugnato il ministero dei beni culturali ha proceduto
all'annullamento, ai sensi della 1. n. 431 del 1985, della delibera
n. 482 del 1989, con cui la giunta regionale della Puglia, nell'e
sercizio dei poteri di tutela del paesaggio, aveva autorizzato la
società Villaggio turistico Torre Incina a realizzare un comples so produttivo turistico-alberghiero nell'omonima località sita nel
territorio del comune di Polignano a Mare.
Come risulta dalle premesse del decreto impugnato, a tale
esito il ministero dei beni culturali è pervenuto, dopo aver ri
cordato espressamente le osservazioni formulate dalla soprin
tendenza per i beni ambientali, architettonici e storici della Pu
glia con la nota del 18 marzo 1989 (terzo motivo considerato
dal provvedimento), sulla scorta di una serie di considerazioni
volte ad evidenziarne, sotto diversi profili, l'illegittimità. A sostegno dell'annullamento è stato, infatti, rilevato che la
deliberazione della giunta regionale non spiegava le ragioni per
le quali il progetto esaminato era tale da non alterare i valori
paesistici del sito; che le prescrizioni fornite non risultavano
di supporto alla concessa autorizzazione, che l'autorità deciden
te non aveva motivato in ordine all'idoneità e sufficienza delle
condizioni imposte ad evitare un negativo impatto sul contesto
paesistico-ambientale, che non risultavano correttamente eserci
tati i poteri di cui all'art. 7 1. n. 1497 del 1939 e 16, 1° e 3°
comma, r.d. n. 1357 del 1940, che risultavano autorizzati sulla
stessa zona tutelata altri interventi edilizi senza che fosse stata
valutata l'incidenza globale delle modifiche assistite sull'assetto
della zona.
Il ministero dei beni culturali ha, cosi ritenuto l'autorizzazio
ne concessa dalla giunta regionale della Puglia viziata da ecces
so il potere sotto i profili della contraddittorietà e illogicità del
la motivazione, nonché in violazione di disposizioni normative,
e ne ha disposto l'annullamento osservando che il progetto au
torizzato, ove realizzato, sarebbe stato suscettibile di cancellare
i tratti paesaggistici della località interessata e che attraverso
l'autorizzazione si era, di fatto, consentita la modifica dell'e
stensione e della consistenza del vincolo paesaggistico.
resa compatibile con le caratteristiche della zona tutelata col vincolo
paesaggistico; Cons. Stato, sez. VI, 2 giugno 1988, n. 776, id., Rep. 1988, voce cit., n. 29; Tar Lazio, sez. II, 26 giugno 1985, n. 1799; Trib. amm. reg., 1985, I, 2100 e Tar Abruzzo 4 novembre 1988, n.
375, id., 1989, I, 267.
Su questo tema in dottrina, da ultimo, Immordino, op. cit., 213. ss.
(4, 7) Le massime sono conformi all'orientamento prevalente sia in
dottrina che in giurisprudenza, per le rispettive citazioni, si rinvia a
Tar Campania, sez. I, 26 febbraio 1991 n. 23, Foro it., 1992, III, 125, con nota di richiami e Tar Campania, sez. I, 7 aprile 1989, n. 173,
id., 1991, III, 126 con relative osservazioni.
(6) Non constano precedenti in termini.
Sulle ipotesi di esclusione dal vincolo generalizzato Tar Abruzzo 14
febbraio 1990, n. 100, Foro it., 1991, III, 461, con nota di richiami
di Fuzio; Tar Lombardia, sez. II, 12 dicembre 1986, n. 369, id., Rep.
1987, voce Bellezze naturali, n. 85, citata in motivazione, secondo cui l'esclusione dal vincolo riguarda soltanto le aree già disciplinate dagli strumenti urbanistici comunali, non consentendo deroghe per la futura
pianificazione urbanistica che, invece, di quei vincoli deve tener conto
fino all'approvazione dei piani paesistici. [R. Fuzio]
Il Foro Italiano — 1992.
3. - Tali essendo le diverse ragioni poste a sostegno dell'im
pugnato provvedimento, può passarsi all'esame della prima que stione prospettata con entrambe le impugnazioni.
Deducono al riguardo gli appellanti che erroneamente il tri
bunale avrebbe ritenuto che il potere di annullamento delle au
torizzazioni di cui all'art. 7 1. n. 1497 del 1939, rilasciate dalle
autorità regionali, riconosciuto al ministro dei beni culturali ed
ambientali dall'art. 82 d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, nel testo
introdotto dalla 1. 8 agosto 1985 n. 431, si estenda anche ai
vizi di merito. La società Villaggio turistico Torre Incina ha fatto, altresì,
presente, con memoria depositata nell'imminenza dell'udienza
di discussione, che ove dovesse ritenersi che l'art. 82, 9° com
ma, d.p.r. n. 616 del 1977 attribuisce al ministro un potere di
annullamento esteso al merito, la stessa dovrebbe essere ritenu
ta costituzionalmente illegittima per violazione degli art. 125,
1° comma, e 118 Cost., e cioè dall'autonomia costituzional
mente garantita alle regioni. Il rilievo prospettato dagli appellanti è fondato dal momento
che il potere di annullamento delle autorizzazioni ex art. 7 1.
n. 1497 del 1939 rilasciate dalle regioni, riconosciuto al ministro
dei beni culturali ed ambientali, non si estende ai vizi di merito.
Come è stato più volte sottolineato, la normativa posta dal
l'art. 82 d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616 ha inteso introdurre una
specifica tutela del paesaggio improntata ad integralità e globa
lità, vale a dire implicante una riconsiderazione assidua dell'in
tero territorio nazionale ed alla Iure ed in attuazione del valore
estetico-culturale (Corte cost. n. 151 del 1986, Foro it,, 1986,
I, 2689). Si tratta, in particolare, di una complessa tutela che vede l'in
tervento sia della regione (nell'esercizio di funzioni delegate) sia
dello Stato, in cui la concorrenza dei relativi poteri appare re
golata, come è stato osservato, dal principio di leale coopera
zione (Corte cost. n. 359 del 1985, id., 1986 I, 1196; n. 151
del 1986, cit.; n. 302 del 1988, id., 1988, I, 1017). La nuova disciplina contenuta nell'art. 82 d.p.r. n. 616 del
1987, nel raccordare le competenze statali a quelle regionali,
disciplina la concorrenza di entrambe puntualizzando specifica
mente la qualità e la quantità di poteri attribuita all'ammini
strazione statale. Allo Stato risulta infatti espressamente riser
vato, ferma restando l'ampia delega nei confronti delle regioni,
il potere di integrazione degli elenchi delle bellezze naturali (art.
82, 2° comma, lett. a); il potere di inibire lavori o di disporre
la sospensione, qualora rechino pregiudizio a beni qualificati
come bellezze naturali anche indipendentemente dalla loro in
clusione negli elenchi (art. 82, 4° comma, d.p.r. n. 616 del 1977),
nonché alcuni specifici poteri con riferimento all'esercizio, da
parte delle regioni delle funzioni amministrative delegate con
cernenti il rilascio dell'autorizzazione ex art. 7 n. 1497 del 1939.
Più precisamente, con riferimento a tale autorizzazione, l'art.
82, 9°comma, d.p.r. 616 del 1977, dispone che, decorso il ter
mine di sessanta giorni dalla richiesta di autorizzazione alla re
gione senza che questa abbia provveduto, gli interessati possa
no, nei successivi trenta giorni, richiedere l'autorizzazione me
desima al ministro dei beni culturali, che si pronuncia nei
successivi sessanta giorni. La stessa norma precisa, altresì, che
il «ministro per i beni culturali ed ambientali può, in ogni caso,
annullare, con provvedimento motivato, l'autorizzazione regio
nale entro i sessanta giorni successivi alla relativa comunicazio
ne», mentre il successivo 10° comma riconosce al ministro il
potere di rilasciare o negare entro sessanta giorni l'autorizzazio
ne «anche in difformità dalla decisione regionale» allorché la
richiesta di autorizzazione riguardi opere da eseguirsi da parte
di amministrazioni statali. Dal sopra delineato complesso normativo discende pertanto
che, nel disciplinare, nel quadro del cennato modello ispirato
al principio di cooperazione, il concorso dei poteri regionali e di quelli statali, non si è inteso attribuire allo Stato un generale
potere di riesame dei provvedimenti adottati dalle regioni nell'e
sercizio delle funzioni delegate concernenti la concessione delle
autorizzazioni di cui all'art. 7 1. n. 1497 del 1939.
Le disposizioni contenute nell'art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977,
nel nuovo testo introdotto dalla 1. n. 431 del 1985 non configu
rano, infatti, una competenza di merito in secondo grado in
materia di autorizzazioni ex art. 7 1. n. 1497 del 1939, come
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PARTE TERZA
è reso evidente dalla circostanza che l'intervento statale in pro
posito è previsto soltanto in via sostitutiva, ed è, per di più, subordinato non soltanto all'inerzia della regione per il periodo di tempo previsto dalla legge, ma all'esplicita iniziativa degli
interessati, che devono, appunto, richiedere al ministro l'auto
rizzazione. L'assenza in capo allo Stato di un generale potere di riesame
delle determinazioni regionali risulta, poi, ulterioremente con
fermato dal successivo 10° comma dell'art. 82, che espressa mente prevede il potere dell'organo statale di rilasciare o negare l'autorizzazione anche in difformità delle determinazioni regio nali allorché la relativa richiesta riguardi opere di competenza statale. L'esplicita previsione legislativa rende, infatti, palese che
l'attribuzione all'organo statale di un apposito, specifico potere di riesame delle autorizzazioni regionali costituisce una deroga,
legislativamente prevista, al principio generale secondo cui l'e
sercizio del potere autorizzatorio di cui all'art. 7 1. n. 1497 del
1939 è affidato alle regioni; deroga, peraltro, ampiamente giu stificata dalla circostanza che, nella fattispecie presa in conside
razione dalla norma, si tratta di valutare non soltanto l'interes
se connesso alla tutela del paesaggio, ma anche quello connesso
alla realizzazione di opere di competenza statale.
Il «sistema» complessivo predisposto dall'art. 82 d.p.r. n. 616
del 1977 per disciplinare il concorso tra Stato e regioni in tema
di autorizzazioni ex art. 7 1. n. 1497 del 1939 sembra, pertanto, caratterizzarsi per l'affidamento, in via normale, del relativo
potere alle regioni, con il riconoscimento all'organo statale di
un potere di esame e di valutazione di merito soltanto in via
derogatoria ed eccezionale, ijel caso di inerzia della regione e
di esplicita richiesta degli interessati, nonché nell'ipotesi che l'au torizzazione riguardi opere da eseguirsi da parte di amministra
zioni statali.
In un quadro normativo del genere, la previsione contenuta
nel medesimo art. 82, 9° comma, d.p.r. n. 616 del 1977, secon
do cui il ministro «può, in ogni caso, annullare con provvedi mento motivato, l'autorizzazione regionale entro i sessanta giorni successivi alla relativa comunicazione» non può, certamente, es
sere intesa come idonea ad attribuire all'organo statale un pote re di annullamento di ufficio esteso anche ai vizi di merito.
L'affermazione di un potere del genere postula, infatti, l'esi
stenza in capo all'organo statale di un generale potere di riesa
me delle determinazioni regionali con riferimento alle autoriz zazioni ex art. 7 1. n. 1497 del 1939, e dalla correlativa compe tenza di secondo grado, laddove di tale generale potere non
vi è traccia nel sistema delineato dall'art. 82 d.p.r. 616/77.
Se ne deduce, pertanto che, coerentemente alle modalità con
cui è disegnato il rapporto di cooperazione tra Stato e regione nella tutela del valore del paesaggio, all'organo statale è attri buito nel quadro di un più generale potere-dovere di vigilanza sull'esercizio delle funzioni delegate, un potere di annullamento
d'ufficio per motivi di legittimità delle determinazioni assunte
dall'autorità regionale in sede di esercizio delle funzioni di cui
all'art. 7 1. n. 1497 del 1939: e cioè un sindacato sulle modalità di esercizio della funzione autorizzato™ degli interventi ritenuti
compatibili con il vincolo paesaggistico. Si tratta, d'altra parte, di un esito che non soltanto discende
dal «sistema» di competenze disegnato dall'art. 82 d.p.r. n. 616
del 1977, ma che appare obiettivamente coerente con i principi
generali. È noto, infatti, che il potere di annullamento d'ufficio
è, in via generale, conferito in relazione all'esistenza di vizi di
legittimità, di cui presuppone l'accertamento.
È noto, altresì', che il medesimo potere può, in via ecceziona
le, essere esercitato per ragioni di merito, in presenza di una
norma di legge che espressamente la conferisca, in relazione ad
una ugualmente esplicita previsione legislativa di invalidità per
ragioni di merito. Una situazione del genere non si verifica nella fattispecie, nella
quale non soltanto il complesso normativo che identifica i pote ri dell'organo statale esclude una generale competenza di merito
di secondo grado dell'organo statale in materia di autorizzazio
ni ex art. 7 1. n. 1497 del 1939, ma la norma di legge non
contiene alcuna indicazione idonea a far ritenere che il potere di annullamento sia esteso anche al merito.
A fronte dell'esigenza di un'esplicita previsione legislativa, una
indicazione del genere non può, d'altra parte, essere rinvenuta
nelle locuzioni «in ogni caso» contenuta nell'art. 82 d.p.r. n.
616 del 1977, e che non obbedisce allo scopo di identificare
l'ampiezza ed il contenuto del potere di annullamento d'ufficio, ma a quello di evidenziare come al ministro, attributario di un
potere sostitutivo dell'autorità regionale, sia, altresì, conferito
un potere di annullamento d'ufficio, nei limiti della configura
li Foro Italiano — 1992.
zione che la norma di legge ed i principi generali danno di tale
potere. I rilievi sopra esposti evidenziano, altresì, come non possa
essere considerato pertinente, per fondare un diverso avviso, come ha fatto il primo giudice, il riferimetno al generale potere di annullamento d'ufficio di cui all'art. 6 t.u. 3 marzo 1934
n. 383. Si deve, anzi, osservare che quella operata dall'art. 6 t.u. 3
marzo 1934 n. 383 costituisce una sorta di configurazione para
digmatica del potere di annullamento d'ufficio e del suo modo
di essere, sicché ogni riferimento ad esso non può che essere
idoneo ad escludere che, in via generale e salvo esplicita dispo sizione legislativa, esso possa ritenersi esteso anche ai vizi di
merito.
L'esercizio di tale potere di annullamento governativo adesso
disciplinato, nei suoi aspetti procedimentali, dall'art. 2, 3° com
ma, lett. b), 1. 23 agosto 1988 n. 400 nei confronti degli atti
amministrativi delle regioni e delle province autonome, è stato, d'altra parte, ritenuto costituzionalmente illegittimo perché in
contrasto con l'autonomia delle regioni, compiutamente defini
ta dall'art. 125 Cost. (Corte cost. 21 aprile 1989, n. 229, id.,
1989, I, 2085). Deve, pertanto, essere confermato l'indirizzo già espresso dalla
sezione con la pronuncia n. 241 del 6 aprile 1987, che, coerente
mente, configura il potere di annullamento di cui all'art. 82
d.p.r. n. 616 del 1977 come un potere di annullamento per vizi
di legittimità. È appena il caso di aggiungere che tale configurazione non
appare, in alcun modo, in contrasto con l'assetto complessivo della tutela ambientale e dei rapporti fra Stato e regioni dise
gnati dalla Corte costituzionale essendo, anzi, proprio il con
trollo di legittimità quello che in un ordinamento governato dal
principio di legalità consente di raggiungere i «fini essenziali
della tutela» e di agire ad «estrema difesa del vincolo» (Corte cost. n. 151 del 1986, cit.).
Un controllo del genere, d'altra parte, non può certamente essere considerato meramente formalistico sol che si consideri
che esso si estende a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso di
potere, e che attraverso di esso, per il tramite delle varie figure
sintomatiche, è possibile un puntuale e penetrante sindacato delle
funzioni amministrative connesse al potere autorizzatorio di cui
all'art. 7 in tutto il suo svolgimento, anche sotto il profilo della coerenza dell' iter logico seguito per pervenire alla valutazione
di compatibilità dell'intervento oggetto di autorizzazione con
il valore difeso dal vincolo, e sotto il profilo della coerenza
e dell'adeguatezza delle determinazioni assunte rispetto agli ac
certamenti effettuati ed agli altri elementi in concreto implicati nella valutazione.
4. - Le conclusioni sopraindicate, se rendono obiettivamente
irrilevante la prospettata questione di costituzionalità dell'art.
82, 9° comma, d.p.r. n. 616 del 1977, in relazione all'art. 125
Cost., non appaiono, d'altra parte, idonee a giustificare, l'ac
coglimento del gravame, e ciò perché prive di fondamento risul
tano le doglianze riproposte in sede di appello sia dalla società
Villaggio turistico Torre Incina, che dai sig. De Bellis Vitti, con
cui si lamenta che, in concreto, il ministro dei beni culturali
ed ambientali avrebbe, nella fattispecie, pronunciato un annul
lamento per motivi di merito (terzo e quarto motivo, del ricorso di primo grado della società Villaggio turistico Torre Incina,
riprodotte ai punti 4 e 5 dell'appello, secondo motivo, sub 2
dell'appello dei signori De Bellis Vitti); doglianze queste che, nell'ordine logico, devono essere esaminate immediatamente dopo
quelle concernenti la pretesa estensione al merito del potere di
annullamento di cui all'art. 82, 9° comma, d.p.r. n. 616 del 1977.
Ed infatti, come si ricava dalla lettura delle premesse del de
creto impugnato, l'annullamento dell'autorizzazione regionale è stato pronunciato per una serie di ragioni, autonome fra di
loro ed idonee, ciascuna, a sostenere da sola la statuizione adot
tata, tutte riconducibili a vizi di legittimità. Cosi è infatti, con ogni evidenza, della riscontrata carenza
di un'idonea motivazione circa le ragioni idonee ad evidenziare
la compatibilità del progetto autorizzato con il vincolo paesisti co; cosi è per le considerazioni attinenti alle prescrizioni conte
nute nell'autorizzazione, poiché di tali prescrizioni viene sostan
zialmente riscontrata o la contraddittorietà con la decisione di
accordare l'autorizzazione, ovvero la loro genericità, o la ille
gittimità per carenza del presupposto costituito dalle necessarie
indagini preliminari. Parimenti, configura un vizio di legittimità l'affermazione se
condo cui non risulterebbero correttamente esercitati i poteri di cui agli art. 7 1. n. 1497 del 1939 e 16, 1° e 3° comma,
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
r.d. n. 1357 del 1940, mentre rientra nell'ampio spettro dell'ec
cesso di potere il rilievo secondo cui, con la deliberazione regio
nale, risulterebbero autorizzati altri interventi sulla zona tutela
ta senza che sia stata valutata l'incidenza globale delle modifi
che assentite. L'affermazione secondo cui non si sarebbe tenuto
conto dell'art. 82, 3° comma, r.d. n. 616 del 1977 e si sarebbe, di fatto, consentita una modifica del vincolo paesaggistico, po nendo in luce un contrasto tra vincolo ed atto autorizzativo, evidenzia lo sviamento che avrebbe contrassegnato l'uso del po tere autorizzatorio, mentre il rilievo secondo cui l'autorizzazio
ne, ove attuata, sarebbe suscettibile di cancellare i tratti paesag
gistici della località interessata, costituisce la conseguenza del vizio funzionale riscontrato e del rilevato contrasto tra autoriz
zazione e vincolo.
L'annullamento del provvedimento della giunta regionale della
Puglia risulta, pertanto, affidato al riscontro di una serie di
vizi, tutti riconducibili al paradigma dei vizi di legittimità, men tre non solo idonee ad evidenziare un (illegittimo) annullamento
per vizi di merito le affermazioni, pure contenute nelle prmesse del decreto del ministro, secondo cui il progetto oggetto del
l'autorizzazione non sarebbe assolutamente compatibile con la
tutela dei valori paesaggistici del luogo, mentre il tratto di costa
costituente «residua testimonianza di paesaggio costiero intatto
e non ancora contaminato da interventi di urbanizzazione» ren derebbe «necessaria la salvaguardia integrale della sua configu razione ambientale».
Giova, in proposito, rilevare che le cennate espressioni, estra
polate da un più vasto contesto, non sono altro che alcune delle
osservazioni formulate dalla soprintendenza per i beni ambien
tali, artistici ed architettonici di Bari con la nota n. 327/MB
del 18 marzo 1989, osservazioni queste, che risultano espressa mente e testualmente riportate nelle premesse del decreto mini
steriale, al terzo «considerato», con l'indicazione della fonte da
cui provengono (appunto, la nota della soprintendenza). Ne deriva che esse sono state riportate nel provvedimento del
ministro perché costituiscono un antecedente logico e storico
del provvedimento impugnato ed esprimono il punto di vista, sulla vicenda, dell'organo periferico dell'amministrazione stata
le dei beni culturali: tali espressioni, invece, non identificano
una autonoma, specifica ragione posta a fondamento del dispo sto annullamento né una valutazione ad esso sottostante, chia
mata, sostanzialmente, a giustificarlo, come è reso evidente dal
fatto che tutte le ragioni indicate come profili di illegittimità dell'atto si presentano come dotate di autonomia rispetto alle
cennate considerazioni, sicché le stesse non sono idonee ad iden
tificare, nemmeno sintomaticamente, profili di illegittimità del
provvedimento ministeriale.
Tali considerazioni, d'altra parte, non fanno altro che porre in luce il rilevato contrasto tra la «notevole estensione» dell'in
tervento progettato e la qualità dei valori paesaggistici protetti, sicché esse evidenziano, nella sostanza, un profilo di incoerenza
dell'autorizzazione regionale, ed una insufficienza ed inadegua tezza dell'apprezzamento posti in essere; in tal modo, ponendo si in coerenza con un consolidato e risalente indirizzo giurispru denziale che, proprio in tema di autorizzazioni ex art. 7 1. n.
1497 del 1939 identifica un vizio funzionale dell'atto autorizza
tivo, e non un mero profilo di inopportunità del medesimo,
tutte le volte che questo presenti contraddizioni od incongruen ze rispetto alla situazione oggettiva in cui è chiamato ad opera
re, in tal modo evidenziando un insufficiente apprezzamento del pubblico interesse (sez. VI 19 maggio 1981, n. 221, id., Rep.
1981, voce Bellezze naturali, n. 24).
Appare, pertanto, evidente che le osservazioni formulate dal
la soprintendenza sono state richiamate nel decreto del ministro
in quanto costituenti un antecedente logico e storico utile per la comprensione della vicenda.
Si tratta di un elemento che, pur non acquistando autonoma
rilevanza ai fini del disposto annullamento, conferma, in una con
siderazione unitaria della vicenda, l'esistenza di un complessivo
vizio funzionale dell'autorizzazione assentita dalla regione Puglia.
5. - L'esatttezza dei rilievi che precedono — che escludono
che nella sostanza sia stato pronunciato un annullamento per
ragioni di merito — appare, per altro verso, confermata dall'in
fondatezza dei rilievi formulati in primo grado dalla società e
dai signori De Bellis Vitti rispettivamente con il quarto ed il secondo motivo del ricorso introduttivo del giudizio e ripropo
sti in questa sede con il punto 5 e con il secondo motivo (sub
2) dei rispettivi atti di appello. Priva di consistenza è, innanzi tutto, l'osservazione secondo
cui erroneamente, con il decreto impugnato, si sarebbe ritenuto
sussistente un obbligo della regione, in sede autorizzatoria, di
Il Foro Italiano — 1992.
motivare circa la compatibilità ambientale, apparendo, semmai, necessaria una motivazione in caso di diniego e non di assen
timento.
Si tratta, infatti, di una osservazione che si pone in contrasto
con il consolidato indirizzo giurisprudenziale che, in sede di au
torizzazione ex art. 7 1. n. 1497 del 1939, richiede una adeguata motivazione anche in caso di provvedimenti positivi (sez. VI
19 maggio 19812, n. 221, cit.; 15 dicembre 1981, n. 751, id., Rep. 1982, voce cit., n. 23).
In particolare, come è stato di recente sottolineato, deve rite
nersi che, nel caso di autorizzazioni concernenti interventi in
zone paesisticamente protette, che si risolvono in un provvedi mento favorevole, è necessario che l'atto autorizzatorio sia con
gruamente motivato, con l'indicazione della ricostruzione dell'i
tinerario seguito, in ordine alle ragioni di compatibilità effettiva
che, in riferimento agli specifici valori paesistici del luogo, pos sano consentire i lavori, considerati nella loro globalità (sez. VI 5 luglio 1990, n. 692, id., Rep. 1990, voce cit., n. 24). (Omissis)
8. - Privi di consistenza appaiono, altresì', i rilievi formulati
dagli appellanti nei confronti del provvedimento impugnato nella
parte in cui esso prende in considerazione le prescrizioni formu
late dalla regione in sede di rilascio del nulla osta.
Tali prescrizioni, infatti, appaiono in gran parte generiche, risolvendosi in parte in indicazioni di comportamenti che ap
paiono comunque doverosi alla luce dei principi generali (come
quelle che raccomandano di evitare i possibili danni conseguenti ad un uso sconsiderato dei mezzi meccanici e l'eliminazione, al termine dei lavori, delle opere provvisorie), in parte nell'enu
cleazione di indicazioni vaghe ed indeterminate (come quelle re
lative alla conservazione degli elementi paesaggistici di tipo na
turale ed antropico quali muri a secco, trulli ed altri manufatti
meritevoli di salvaguardia). È chiaro, infatti, che al fine di otte
nere un effettivo, concreto rispetto dei valori paesistici sarebbe
ro state necessarie approfondite indagini preliminari della zona
interessata, volte ad identificare partitamente e distintamente
i singoli elementi paesaggistici, naturali ed antropici, da preser vare ed a determinare le modalità esecutive dei lavori idonee
a determinare l'effetto di conservazione.
9. - Infondate appaiono, altresì', le doglianze formulate con
riferimento agli ultimi due rilievi del ministero, alla stregua dei
quali l'autorizzazione ove concessa, cancellerebbe i tratti pae
saggistici in vista dei quali la zona sarebbe stata sottoposta a
tutela, e modificherebbe, di fatto, il vincolo paesaggistico. Tali rilievi, infatti, lungi dal costituire una ingerenza inam
missibile nel merito della valutazione posta in essere dalla regio
ne, concernono il necessario giudizio di compatibilità dell'auto
rizzazione con il vincolo. Attiene, infatti, a profilo della legitti
mità, rientrando nella più generale figura dell'eccesso di potere, la considerazione dell'autorizzazione ex art. 7 1. n. 1497 del 1939
in rapporto alle esigenze di tutela del vincolo paesistico, doven
dosi ritenere che, essendo scopo dell'autorizzazione quello di
amministrare il vincolo garantendo la conservazione dei valori
oggetto di tutela, tale atto sia affetto da un vizio funzionale
allorché l'iter del procedimento ed in genere la circostanza con
nessa alla sua adozione rendono palese che vengono consentite
trasformazioni in contrasto con il mantenimento del pregio am
bientale.
Come, infatti, è stato già precisato, la funzione dell'autoriz
zazione di cui all'art. 7 1. n. 1497 del 1939 è quella di verifica
della compatibilità dell'opera edilizia che si intende realizzare
con le esigenze di conservazione dei valori paesistici protetti dal
vincolo. Quest'ultimo, d'altra parte, contiene un accertamento
circa l'esistenza di valori paesistici oggettivamente non deroga
bile, mentre compito dell'autorizzazione è quello di accertare
in concreto la compatibilità dell'intervento con il mantenimento
e l'integrità dei cennati valori.
Posto che, infatti, quello del paesaggio costituisce un valore
costituzionale primario (art. 9 Cost.), l'autorizzazione paesaggi stica non implica la valutazione di un interesse primario e di
un interesse secondario né la fondatezza di interessi di diversa
natura, ma un semplice giudizio circa il rispetto, in concreto, delle esigenze connesse alla tutela del paesaggio, in relazione
all'intervento cui l'autorizzazione medesima si riferisce.
Ne discende che, non essendo concesso in sede autorizzatoria
di derogare al contenuto dal vincolo, una valutazione di com
patibilità che si traduca in un'oggettiva deroga si risolve in una
autorizzazione illegittima per sviamento o travisamento (sez. VI
18 novembre 1980, n. 1104, id., Rep. 1981, voce cit., n. 18;
19 maggio 1981, n. 221, cit.; da ultimo, sez. VI 11 giugno 1990,
n. 600, id., 1991, III, 125).
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PARTE TERZA
Le espressioni contenute nel procedimento impugnato, evi
denziando un contrasto tra vincolo e atto autorizzatorio, pon
gono in luce lo sviamento che vizia l'autorizzazione concessa
e l'esercizio del relativo potere. 10. - Deve adesso essere esaminata la doglianza con cui gli
appellanti (punto 2 dell'appello della società; punto II, sub 4
dell'impugnazione dei sig. De Bellis Vitti) deducono che con
il provvedimento ministeriale si sarebbe, in realtà, inteso garan tire l'immodificabilità dei luoghi. (Omissis)
Del resto, che il decreto ministeriale non si muova affatto
nell'ottica sottesa dalla censura dedotta dagli interessati, è con
ogni evidenza dimostrato dalla circostanza che con esso viene
espressamente lamentato il mancato uso, da parte della regione, del potere di consigliare opportune modifiche al progetto prima di assumere decisioni in ordine ad esso, previsto dall'art. 16
r.d. n. 1357 del 1940. Un potere del genere presuppone, ovvia
mente, la possibilità di pervenire a progetti compatibili con i
valori paesistici tutelati; sicché la circostanza che ne sia stato
espressamente lamentato l'omesso uso esclude in radice che l'am
ministrazione statale abbia preso le mosse dell'intento precon cetto di salvaguardare i luoghi per il tramite del divieto di qual siasi edificazione.
Tali osservazioni escludono, peraltro, che possa ritenersi sus
sistente il lamentato difetto di istruttoria e di motivazione. Il
provvedimento impugnato risulta sostenuto da motivazioni suf
ficienti ed idonee a dar ragione sia del limite oggettivo costitui
to dal bene tutelato, sia dello sviamento che vizia l'autorizza
zione, ed appare adottato a seguito di un'istruttoria — posta in essere anche dalla soprintendenza — adeguata alla natura
del tipo di procedimento (di annullamento) cui esso fa riferi
mento. (Omissis)
II
Diritto. — 1. - I due ricorsi, data l'evidente connessione og
gettiva, possono essere riunti.
2. - Con ambedue i gravami viene contestato il decreto del
ministro per i beni culturali ed ambientali di annullamento del
l'autorizzazione ex art. 7 1. n. 1497 del 1939, rilasciata al Cime
per la realizzazione di una discarica controllata di rifiuti solidi
urbani nel comune di Mozambano in territorio soggetto a vin colo paesaggistico (parco del Mincio), sotto il profilo che il me
desimo: — sarebbe stato emesso e comunicato oltre il termine peren
torio di sessanta giorni di cui al 9° comma dell'art. 1 1. n. 431
del 1985, modificativo ed integrativo dell'art. 82 d.p.r. n. 616
del 1977 (l'autorizzazione regionale sarebbe stata comunicata in data 11 aprile 1989 ed il decreto di annullamento sarebbe
stato emesso in data 12 giugno 1989, comunicato — limitata
mente a dispositivo — con telegramma di data 14 giugno 1989, trasmesso nel testo integrale con nota del 6 luglio 1989, e perve nuto alla regione Lombardia il 17 luglio 1989);
— risulterebbe viziato da eccesso di potere per difetto di mo tivazione e carenza di istruttoria, giacché l'emissione in pari da
ta di due nulla osta (uno relativo al progetto Cime ed uno rela
tivo al progetto di recupero ambientale della medesima area pre sentato dal comune di Mozambano) non può essere considerata
sintomo di «contraddittorietà nel procedimento di formazione
della volontà dell'amministrazione», e la «valutazione della so la fase finale relativa alla sistemazione successiva dell'area» è
l'unica legittima valutazione di carattere paesaggistico che la re
gione Lombardia doveva fare in relazione alla zona ex cava, atteso che la stessa legge istitutiva del parco del Mincio prevede la possibilità di realizzare nuove discariche «a scopo di bonifica
e di ripristino ambientale» (art. 8 1. reg. n. 47 del 1984) e che, in ogni caso, non sarebbe necessaria alcuna motivazione per
gli atti positivi alla stregua dei principi della 1. n. 1497 del 1939 e dell'ordinamento;
— avrebbe riesaminato nel merito l'autorizzazione regionale
annullata, pervenendo ad una valutazione diversa da quella ope rata dalla regione Lombardia;
— non avrebbe tenuto conto del carattere vincolante, anche
per il ministero per i beni culturali ed ambientali, della 1. reg. n. 37 del 1988 che ha localizzato la discarica controllata, desti
nata al bacino di Mantova, nell'ex cava Tononi; — non avrebbe esplicitato le ragioni di interesse pubblico che
devono giustificare l'esercizio del potere di annullamento né com
parato gli interessi pubblici in gioco, cioè tutela del vincolo pae
saggistico e tempestiva realizzazione della discarica, ritenuta in
dispensabile;
Il Foro Italiano — 1992.
— sarebbe contraddittorio perché in precedenza altra autoriz
zazione regionale per la realizzazione di una discarica ad opera del comune di Mozambano nello stesso sito non sarebbe stata
annullata; — non avrebbe indicato i motivi che suggeriscono una scelta
favorevole al progetto comunale; — sarebbe carente del necessario parere del consiglio nazio
nale per i beni culturali ed ambientali.
3. - Deve essere respinta la censura con la quale si contesta
la legittimità dell'impugnato decreto sotto il profilo che questo sarebbe stato emesso e comunicato oltre il previsto termine di
sessanta giorni, a decorrere dalla data dell'11 aprile 1989, in
cui l'autorizzazione regionale sarebbe stata trasmessa alla com
petente sovrintendenza.
Va anzitutto precisato che il provvedimento impugnato dà
atto che «l'autorizzazione n. 14270 dell'11 aprile 1989 rilasciata
dalla regione Lombardia ... e la relativa documentazione (è
stata) ricevuta dalla sovrintendenza competente il 19 aprile 1989», sicché il termine di sessanta giorni per pronunciare l'annulla
mento ex 9° comma dell'art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977 (come modificato dalla 1. n. 431 del 1985) deve farsi decorrere da tale
data e non dall'11 aprile 1989, come erroneamente sostenuto
dalla regione Lombardia (la quale, tra l'altro, non fornisce al
cuna prova della circostanza che l'autorizzazione sia pervenuta alla sovrintendenza competente in data 11 aprile 1989).
Questa precisazione è necessaria perché riduce la portata del
la censura alla sola questione se la perentorietà del citato termi
ne di sessanta giorni (la giurisprudenza è ormai concorde sulla
perentorietà di detto termine, cfr. da ultimo Tar Lombardia, sez. II, n. 10108 del 1991 e n. 1330 del 1991, Foro it., 1992,
III, 520) si estenda anche alla comunicazione dell'intervenuto
annullamento all'ente interessato.
Sul punto il collegio conviene con quanto da ultimo statuito
da questo tribunale, sez. II, con le menzionate n. 1018 e n.
1330 del 1991, sulla necessità che la sola adozione del provvedi mento di annullamento avvenga nel previsto termine di sessanta
giorni dalla comunicazione dell'autorizzazione regionale alla so
vrintendenza.
Ed invero, prima ancora di invocare parallelismi con altre
fattispecie, dove la produzione di effetti giuridici si determina
con la partecipazione dell'atto all'interessato, occorre esamina
re il problema nella concretezza dello specifico istituto dell'an
nullamento secondo la disciplina dettata dal 9° comma dell'art.
82 d.p.r. n. 616 del 1977, evitando quindi di accollarsi il «peso
aggiunto» di cercare analogie con altre figure giuridiche: atti
recettizi, silenzio-assenso, annullamento del Coreco.
Nella procedura delineata dal predetto 9° comma dell'art. 82
d.p.r. n. 616 del 1977 si prevede che «il ministro per i beni culturali ed ambientali può in ogni caso annullare, con provve dimento motivato, l'autorizzazione regionale entro i sessanta gior ni successivi alla relativiva comunicazione».
Il decorso del predetto termine, senza che alcun provvedi mento sia stato adottato, vale quindi a rendere definitivamente
operativa l'autorizzazione, già di per sé efficace, ed ultronea
qualunque pronuncia tardiva del ministro.
La causa ultima della caducazione dell'autorizzazione regio nale deve perciò essere rinvenuta direttamente nella norma, la
quale prevede il potere di annullamento, configurandone l'eser
cizio come produttivo di per sé di effetti giuridici, a prescindere dalla partecipazione all'ente interessato degli esiti dell'esercizio di tale potere.
4. - Con le ulteriori censure vengono poste all'attenzione del
collegio due problematiche: una, che investe in astratto la qua lità e quantità del potere attribuito all'amministrazione statale, e altra, che riguarda l'esercizio nella specie di tale potere.
Si sostiene infatti che il ministro non abbia il potere di riesa minare nel merito il progetto assentito, nemmeno surrettizia
mente attraverso il sindacato del vizio di eccesso di potere, e
che comunque tale potere nella specie sia stato male esercitato
perché non sussisterebbero il riscontrato vizio di difetto di mo
tivazione e l'asserita contraddittorietà.
La prima problematica ha avuto ampie risposte negative per i ricorrenti (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, n. 828 del 14
novembre 1991, id., 1992, III, 517), sicché il collegio potrebbe ritenersi dispensato dall'affrontarla, passando direttamente alla
seconda per risolverla — come si vedrà — in senso favorevole
ai ricorrenti stessi.
Ma il collegio nutre delle perplessità sulle conclusioni cui è
pervenuta la giurisprudenza senz'altro maggioritaria, in ordine
all'ampiezza del potere riconosciuto al ministro di sindacare l'au
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
torizzazione emessa dall'ente regione ex art. 7 1. n. 1497 del
1939, sia pure per motivi di legittimità. Sulla concorde premessa (d'altronde indiscutibile, pena il fon
dato sospetto di incostituzionalità dell'art. 82, 9° comma, d.p.r. n. 616 del 1977 per violazione dell'autonomia regionale garanti ta dagli art. 125, 1° comma, e 118 Cost.) che il potere di annul lamento dell'autorizzazione ex art. 7 1. n. 1497 del 1939 rilascia
ta dalle regioni, attribuito al ministro per i beni culturali ed
ambientali, non si estenda ai vizi di merito, si afferma che il
controllo statale di legittimità «in un ordinamento governato dal principio di legalità, consente di raggiungere "i fini essen ziali della tutela" e di agire ad "estrema difesa del vincolo"»,
giacché tale controllo «non può certamente essere considerato
meramente formalistico sol che si consideri che esso si estende
a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso di potere, e che attra
verso di esso, per il tramite delle varie figure sintomatiche, è
possibile un puntuale e penetrante sindacato delle funzioni am
ministrative connesse al potere autorizzatorio di cui all'art. 7
in tutto il suo svolgimento, anche sotto il profilo dell 'iter logico
seguito per pervenire alla valutazione di compatibilità dell'inter
vento oggetto di autorizzazione con il valore difeso dal vincolo, e sotto il profilo della carenza e dell'adeguatezza delle determi
nazioni assunte rispetto agli accertamenti effettuati e degli altri
elementi in concreto implicati nella valutazione» (cfr. Cons. Stato, sez. VI, dee. n. 828 del 1991, cit.).
L'autorizzazione — si conclude — può essere sindacata per difetto di motivazione, essendo necessaria l'esternazione delle
ragioni di compatibilità del progetto autorizzato con il vincolo
paesaggistico, e per eccesso di potere per il tramite delle ben
note figure sintomatiche. Pur prendendo atto che — secondo quanto ripetutamente af
fermato dalla corte costituzionale (sent. nn. 151, 152 e 153 del
1986 e n. 359 del 1986, id., 1986, I, 2689) — il paesaggio è un valore costituzionale primario (questa affermazione è ormai
acquisita non solo all'ordinamento, ma alla stessa coscienza co
mune dei cittadini) e che la concorrenza dei poteri della regione
(nell'esercizio di funzioni delegate) e dello Stato nella materia
appare regolata dal «principio di leale cooperazione», non può farsi a meno di rilevare che la giurisprudenza della Corte costi
tuzionale e la stessa legge, che ha introdotto l'intervento stata
le, siano intervenute in un momento di «riflusso centralistico»
dello Stato dopo l'attuazione delle regioni e del decentramento
di compiti statali ed in un contesto in cui i rapporti tra Stato
e regioni erano stati definiti dalla Corte costituzionale medesi
ma come caratterizzati «da una gelosa, puntigliosa e formalisti
ca difesa di posizioni e prerogative», e non ispirati «a quel mo
dello di cooperazione e integrazione nel segno dei grandi inte
ressi unitari della nazione» compatibile col carattere garantistico delle norme costituzionali (v. Corte cost. n. 219 del 25 luglio
1984, id., 1985, I, 67). Sicché la questione del regime di «convivenza» dei due poteri
concorrenti della regione e dello Stato in relazione alla specifica tutela di uno stesso bene primario, cioè il paesaggio, deve essere
definita con criteri interpretativi che, pur tenendo in debito conto
i principi avanti richiamati, adattino questi ultimi alle contin
genze del tempo presente. È per questo che nell'affrontare la questione non si può pre
scindere dalla preliminare considerazione che il problema della
tutela del valore del paesaggio è legato alla complessa realtà
sociale, politica ed economica, la quale vede prepotentemente
emergere altri pressanti problemi, per cui occorre guardare, col
tivare e risolvere il problema della preservazione dei valori am
bientali secondo una visione globale e completa che tenga conto
della tutela di altri valori primari, anch'essi costituzionalmente
garantiti, quali ad es. il diritto al lavoro, alla casa, alla salute,
ecc. Se cosi non fosse, il valore del paesaggio, nelle sue valenze
estetico-culturali, finirebbe per assumere un carattere elitario,
il cui mantenimento potrebbe a volte richiedere il sacrificio di
beni altrettanto primari — come nella specie la salute, che in
dubbiamente viene compromessa dal mancato smaltimento dei
rifiuti urbani —; beni primari che, senza pretendere di fare una
graduatoria tra i valori costituzionalmente garantiti, assumono
un ruolo prioritario nell'ordine naturale, non foss'altro perché
il godimento del pregio ambientale suppone una generalità di
cittadini soddisfatta nelle sue più elementari esigenze.
Il problema del paesaggio interferisce dunque con problemi
di altre sfere e la sua soluzione non può che essere correlata
con la soluzione di altri problemi nella loro interdipendenza. Se cosi è, è necessario rivalutare il ruolo dell'ente regione,
al quale spetta la gestione complessiva della propria comunità
territoriale; ruolo che, nella ricostruzione della disciplina di cui
li Foro Italiano — 1992.
all'art. 82, 9° comma, d.p.r. n. 616 del 1977 operata dalla giu
risprudenza, appare oltremodo mortificato.
Pare infatti che la problematica della legittimità dell'autoriz
zazione regionale con le sue implicazioni sull'ampiezza del sin
dacato del ministro per i beni culturali ed ambientali — fermo
restando che a quest'ultimo è precluso il riesame nel merito del
progetto assentito — sia stata risolta con una meccanica traspo sizione alla procedura di annullamento delle modalità del con
trollo di legittimità proprie del giudice amministrativo che, ap
punto per il tramite delle varie figure sintomatiche dell'eccesso
di potere, è riuscito a sostanzialmente sindacare «il merito» del
l'azione amministrativa nel tentativo di erodere spazi all'inte resse pubblico precostituito e diverso da quello privato.
È ben noto invero che l'ampliamento dei vizi deducibili nel
processo amministrativo rispetto ai vizi dell'atto è opera diretta
della giurisprudenza amministrativa, la quale ha in tal modo
ridisegnato l'ambito proprio dell'amministrazione, alla quale spet tava il compito di definire monopolisticamente l'interesse pub blico e quello del cittadino, continuamente chiamato a difende
re i propri spazi di «libertà ed autonomia», oltre che di «be
nessere».
Ma il rapporto Stato-regione non può essere visto in termini
di contrapposizione, come se lo Stato (al pari del privato nel
processo amministrativo) avesse la veste di titolare esclusivo dei valori paesaggistici ed in tale veste operasse per il rispetto delle
regole procedimentali (motivazione dell'autorizzazione, nesso fun
zionale tra potere ed atto, ecc.) all'interno della procedura di
annullamento allo stesso affidata dalla normativa nell'intento
di recuperare l'integrità del vincolo compromesso dall'azione
amministrativa della regione. A parte infatti che il concorso di poteri statali e regionali
secondo la normativa di cui all'art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977
deve essere regolato «dal principio di leale collaborazione», il
rapporto amministrazione statale-regione deve essere ricondotto
all'interno dello Stato-apparato, organizzato come vero e pro
prio soggetto collettivo, depositario di un «interesse generale» coincidente con i valori paesaggistici e culturali espressi dalla
1. n. 1497 del 1939, la cui cura, affidata alla regione in virtù
del decentramento di competenze operato con il d.p.r. n. 616
del 1977, si svolge in contrapposizione con il privato-proprietario, nei cui confronti va giustificato il limite imposto a motivo della
presenza di valori che comunque vanno preservati, e non già in contrapposizione con il ministero dei beni culturali ed am
bientali. Per quanto ampio possa essere il controllo di legittimità del
ministro sull'autorizzazione regionale, non potrà dunque mai
coinvolgere il difetto di motivazione (come pure gli altri vizi
funzionali dell'atto), nel senso che quest'ultima «debba essere
congruamente motivata, con l'indicazione della ricostruzione del
l'itinerario seguito, in ordine alle ragioni di compatibilità effet
tiva che, in riferimento agli specifici valori paesistici del luogo,
possono consentire i lavori, considerati nella loro globalità» (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 5 luglio 1990 n. 692, id., Rep. 1991, voce
Bellezze naturali, n. 45). L'affermazione di questo principio giurisprudenziale presup
pone infatti un inacettabile, inespresso a priori, cioè che il mini
stro per i beni culturali ed ambientali sia l'esclusivo «difensore
del vincolo paesaggistico» e che al contempo lo stesso, quasi collocato in posizione di terzietà, agisca a garanzia della legalità dell'azione amministrativa della regione nell'interesse generale dell'ordinamento, di guisa che i valori paesaggistici, affidati al
la presenza dei requisiti formali di legittimità dell'atto autoriz
zatorio, sarebbero tutelati mediante il controllo di legittimità del ministro che mira appunto a ricondurre l'amministrazione
regionale nell'alveo della legalità. Tale postulato è inaccettabile per la semplice ragione che il
ministro per i beni culturali ed ambientali partecipa della tutela
del vincolo con la regione non in posizione dialettica, di modo
che non è necessario che l'atto autorizzatorio regionale — il
quale viene emesso nei confronti del privato e non già del mini
stro — debba essere sorretto da congrua motivazione, ben po
tendo la regione, nell'arco temporale di sessanta giorni entro
i quali si esercita il potere di controllo, chiarire, illustrare, e
documentare «l'itinerario seguito in ordine alle ragioni di com
patibilità effettiva che possono consentire i lavori», senza con
ciò incorrere nella preclusione, tipicamente processuale, dell'im
possibilità di integrare tardivamente la motivazione della rila
sciata autorizzazione.
Quale requisito di legittimità, la motivazione dell'atto positi vo — come d'altronde si dà in tutti gli atti ampliativi della sfera privata — si esaurisce infatti nell'attività permessa a se
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PARTE TERZA
guito dell'istruttoria esperita. Diversamente opinando, si dovrebbe ammettere, contrariamen
te ad ogni logica comune prima ancora che giuridica, che il
privato, il quale è l'unico che si contrappone all'amministrazio
ne (ministro e regione) preposta alla tutela del vincolo, possa
(e debba) impugnare l'autorizzazione regionale ampliativa della sua sfera, siccome illegittima per difetto di motivazione; ovvero
ipotizzare che l'autorizzazione regionale divenga esecutiva dopo il vaglio tutorio del ministro, sancendo cosi l'estraneità di que st'ultimo rispetto alla tutela del paesaggio e la posizione subal
terna della regione. Il potere di annullamento del ministro non può perciò essere
formalizzato sul modello del processo amministrativo di tipo
impugnatorio, quasi che il ministro stesso sia chiamato a garan tire la pienezza del vincolo paesaggistico per il tramite del con
trollo dei requisiti formali dell'atto autorizzatorio. Tale ricostruzione operata dalla giurisprudenza finisce per al
terare quel quadro di «leale cooperazione» tra i due poteri di intervento della regione e del ministro, conferendo a quest'ulti mo una collocazione che non sembra rispondere alla disciplina dettata dall'art. 82, 9° comma, d.p.r. n. 616 del 1977.
In conclusione va affermato che il potere di annullamento del ministro non può riguardare l'esito della valutazione espres sa dalla regione nell'esercizio della competenza esclusiva alla stessa delegata con l'art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977, ma deve
essere circoscritto alla verifica della completezza istruttoria com
piuta dalla regione, le cui lacune — una volta riscontrate —
possono indurre a configurare il difetto del necessario presup
posto della rilasciata autorizzazione, cioè la valutazione della
compatibilità effettiva del progetto assentito con i valori paesi stici del luogo; verifica che deve essere condotta alla stregua della documentazione trasmessa dalla regione alla sovrintenden za competente e degli ulteriori chiarimenti che la regione stessa è tenuta a fornire su richiesta del ministro nell'ambito della pro cedura da esaurirsi nel prescritto termine di sessanta giorni.
5. - Venendo comunque all'esame dell'atto impugnato, lo stesso deve considerarsi ulteriormente illegittimo perché ravvisa un ine sistente difetto di motivazione nell'autorizzazione regionale an
nullata ed una contraddittorietà, parimenti inesistente, nel pro cedimento formativo della volontà regionale; contraddittorietà da rinvenirsi piuttosto nel decreto di annullamento.
Il provvedimento contestato trascura, infatti, che la discarica deve essere realizzata in una cavità di terreno preesistente (l'ex cava Tononi) su un'area degradata in funzione di riqualificazio ne territoriale e paesaggistica, tant'è che la stessa legge istitutiva del parco del Mincio (art. 8, punto 8, 1. n. 47 del 1984) ne consente la localizzazione e che la successiva 1. reg. n. 37 del 1988 ha individuato il sito come idoneo.
Il giudizio di compatibilità effettiva della discarica, in riferi mento agli specifici valori paesistici del luogo, non poteva dun
que che necessariamente riguardare la sola «fase finale», cioè 10 stato dei luoghi come determinato dalla realizzazione del pro getto assentito, il quale appunto si propone la sistemazione di un'area sicuramente degradata.
Che l'area fosse degradata — sicché non doveva essere emes sa alcuna valutazione sulla compatibilità dei lavori per la realiz zazione della discarica «con il contesto paesistico-ambientale tu
telato», ponendosi quest'ultima — s'è già detto — come un
importante ed adeguato strumento di «bonifica e di ripristino ambientale» — appare pacifico, dal momento che lo stesso co mune di Mozambano aveva a suo tempo conseguito l'assenso
«pieno» alla realizzazione di una discarica nello stesso sito, sen za che fossero avanzate riserve in merito da parte di alcuno.
Sotto questo profilo deve convenirsi con i ricorrenti che rav visano la contraddittorietà tra l'atto impugnato ed il precedente assenso manifestato dal ministro per i beni culturali ed ambien tali in relazione al progetto di discarica a suo tempo presentato dal comune di Mozambano ed autorizzato dalla regione Lom bardia.
Quanto poi alla presunta «contraddittorietà nel procedimen to di formazione della volontà dell'amministrazione», perché questa in pari data ha rilasciato altra autorizzazione su diverso
progetto presentato dal comune di Mozambano per «una siste mazione migliorativa dell'ambiente attualmente degradato», tal ché il progetto di discarica assentito si presenta come «manife stamente antitetico rispetto alla prevista sistemazione naturali stica del sito», è sufficiente osservare come sia possibile, in fase di valutazione della compatibilità ambientale e paesaggistica di differenti progetti, esprimere un giudizio positivo su ogni pro getto presentato, senza con ciò incorrere in alcuna contradditto
rietà, dal momento che l'autorità preposta al rilascio dell'auto
11 Foro Italiano — 1992.
rizzazione ex art. 7 1. n. 1497 del 1939 non deve effettuare alcu
na comparazione tra i vari progetti, ma solamente esprimere un giudizio di compatibilità di ogni progetto con gli specifici valori paesistici tutelati dal vincolo.
A questo va soggiunto che — come esattamente rilevato dai
ricorrenti — il ministro, attraverso l'annullamento dell'autoriz zazione regionale relativa al progetto di discarica, ha surretti
ziamente espresso una valutazione di merito dei due progetti
presentati per «la sistemazione naturalistica del medesimo si
to», accordando la preferenza al progetto presentato dal comu
ne di Mozambano, senza tra l'altro indicarne le ragioni. I ricorsi vanno pertanto accolti e per l'effetto va annullato
l'impugnato decreto.
Ili
Diritto. — 1. - Va innanzitutto stabilito che possono fare il loro ingresso nel processo le produzioni tardive del ministro
resistente atteso il consenso, manifestato in udienza, della dife
sa di parte ricorrente.
Va poi esaminata l'istanza di rinvio avanzata dall'avvocatura
dello Stato motivata con l'esigenza di trattare unitariamente il
presente ricorso con altri proposti dalla regione Lombardia av verso gli atti del medesimo procedimento ed iscritti ai numeri
3738 e 4220 del 1990. Poiché le udienze relative a tali ricorsi non risultano fissate
e non esistendo, comunque, alcun nesso di pregiudizialità, stan te anche l'opposizione della ricorrente espressa in udienza, la
richista va disattesa. Passando al merito, il collegio ritiene che il ricorso vada par
zialmente accolto nei limiti che saranno di seguito precisati. Si esamineranno dapprima i motivi giudicati infondati, se
guendo un ordine diverso da quello prospettato nel ricorso e
dando la precedenza alle censure logicamente pregiudiziali e ten
denzialmente assorbenti. 2. - Vengono, allora, subito in evidenza le doglianze che con
testano l'esistenza del vincolo di cui all'art. 1, lett. c), 1. n.
431 del 1985, sul cui presupposto si fonda l'atto impugnato. Si tratta, in particolare, del terzo e del quarto motivo con
cui, deducendo la violazione dell'art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977, come integrato dall'art. 1 1. n. 431 del 1985, nonché difetto di presupposti e travisamento, si sostiene l'esonero dell'inter vento dal regime autorizzatorio di cui alla 1. n. 1497 del 1939 sotto due profili:
— alla data di entrata in vigore della 1. 8 agosto 1985 n.
431, che sottoponeva a vincolo paesaggistico i beni elencati nel l'art. 1, l'intervento edilizio della cooperativa ricorrente era in serito nel programma di attuazione, ex art. 38 1. n. 865 del
1971, del p.e.e.p. Lo stesso veniva ad essere previsto dal succes sivo p.p.a. del p.r.g. adottato dal comune di Como ex art. 13 1. n. 10/77 nel 1989.
L'inclusione dell'intervento negli strumenti di pianificazione temporale avrebbe la conseguenza di determinare l'esclusione dal vincolo ai sensi del 6° comma (aggiunto) dell'art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977;
— il torrente Cosia, sulle cui sponde, nell'ambito della fascia di protezione ex art. 1, lett. e), 1. n. 431 del 1985, sono localiz zati gli edifici della cooperativa, è un corso d'acqua che scorre in trincea, ossia tra pareti in muratura e, par capire dalle foto
prodotte in giudizio, su di un letto artificiale. Ciò lo renderebbe
privo di quelle caratteristiche estetiche idonee a determinare l'in
sorgere del vincolo legale. Entrambe le deduzioni sono infondate.
2.1. - È da respingere, innanzitutto, quest'ultimo rilievo, con traddetto dalla natura legale del vincolo e dalla conseguente pro tezione accordata a tutti gli ambiti territoriali considerati dalla
legge, qualunque sia il pregio estetico e l'incidenza che su di essi ha avuto l'opera dell'uomo.
Attraverso la constatazione che il concetto di paesaggio non è riducibile alle sole bellezze naturali, la cui protezione è ogget to di una mera disciplina di settore, viene a determinarsi il netto distacco della legge c.d. Galasso rispetto alla normativa del 1939
(cfr. Corte cost. 27 giugno 1986, n. 151, Foro it., 1986,1, 2689). Tale distacco passa attraverso l'introduzione di un vincolo
generalizzato che esclude l'intermediazione di un atto ammini strativo nell'individuazione degli ambiti da proteggere: ciò a te stimonianza della volontà di prescindere dalle concrete caratte ristiche e dal particolare pregio delle singole zone, operando, una volta per tutte, la valutazione positiva del particolare inte resse pubblico che quei tratti geografici soddisfano.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Ferma, quindi, la possibilità di vincolare con un provvedi mento concreto ex 1. n. 1497 del 1939 le zone di rilevante pregio estetico, la legge del 1985, riprendendo i contenuti del d.m. 21
settembre 1984 (c.d. decreto Galasso), annullato in sede giuri sdizionale proprio perché un vincolo di tale natura non poteva essere imposto se non con un atto legislativo, ha inteso salva
guardare la stessa identità fisica delle «grandi linee di articola
zione del suolo e delle coste», ossia il profilo del paese in quan to caratterizzato dai tratti geografici indicati nelle lett. a-m del
l'art. 1.
In aderenza a questa impostazione, pur nella piena consape volezza che molte delle zone oggi protette erano già segnate dall'opera dell'uomo, ed anzi traendo proprio da un indiscrimi
nato processo di urbanizzazione le ragioni dell'intervento nor
mativo, il legislatore non ha previsto eccezioni (salvo quelle
espressamente poste dal nuovo 6° comma dell'art. 82 d.p.r. n.
616 del 1977) alla portata generalizzata del vincolo in dipenden za dello stato di conservazione dei luoghi. D'altra parte, che tra tali zone vi fossero anche quelle degradate è ipotesi chiara
mente contemplata dall'art. 1 bis, da cui emerge che tra le fina
lità della legge non vi è la sola preservazione dei luoghi natura
listicamente integri bensì anche la valorizzazione e il recupero ambientale di quelli più o meno deturpati.
Un'ulteriore dimostrazione è data dall'art. 1 quater della stessa
legge, che consentiva alle regioni di individuare i corsi d'acqua che «possono, per la loro irrilevanza ai fini paesaggistici, essere
esclusi, in tutto o in parte, dal predetto vincolo». La mancata
adozione di un atto in tal senso conferma necessariamente la
sottoposizione a tutela di tutti i corsi d'acqua che scorrono nel
territorio regionale. Sono quindi irrilevanti, ai fini dell'esecuzione del vincolo in
sorto in forza di legge, le opere dell'uomo, peraltro preesistenti alla sottoposizione a tutela del corso d'acqua realizzate sul tor
rente Cosia.
2.2. - Va quindi valutato che rilevanza abbia l'inclusione del
l'intervento dapprima nel programma di attuazione del p.e.e.p. ed in seguito nel p.p.a. del p.r.g., in relazione al 6° comma
(aggiunto) dell'art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977 che esclude dal
vincolo, «limitatamente alle parti ricomprese nei piani plurien nali di attuazione», le zone urbanistiche di cui al d.m. 2 aprile 1968 n. 1444.
Occorre in primo luogo stabilire se la disposizione, che si espri me utilizzando il participio passato («delimitate»), vada intesa
in senso letterale, e sia quindi da riferire ai soli interventi inclusi
nei programmi pluriennali già operanti al momento dell'intro
duzione del vincolo o, al contrario, se essa consenta che anche
dai programmi approvati successivamente discenda l'inapplica bilità della disciplina protettiva.
Ad avviso del collegio questa seconda soluzione è inaccettabile.
Essa infatti consentirebbe ad un atto, la cui unica funzione
è quella di temporalizzare le previsioni contenute negli strumen
ti vigenti e che perciò non comporta nuove scelte urbanistiche
o valutazioni di ordine ambientale — tant'è che non è sottopo sto all'approvazione regionale (art. 6, 6° comma, 1. n. 94 del
1982) —, di conseguire il risultato sostanziale di vanificare la
portata del vincolo. Si dovrebbe cioè ritenere che, a seguito del
l'adozione dei p.p.a., il vincolo diventi man mano inoperante e che le previsioni dei piani regolatori possano essere attuate
senza alcun controllo dell'autorità paesaggistica; con la ulterio
re conseguenza di rendere praticamente inoperante la speciale
protezione legislativa nei comuni dotati di strumento urbanisti
co. Tutta la normativa del 1985 finirebbe cosi per risolversi in
un indiretto mezzo di pressione sugli enti locali affinché si doti
no, nella misura in cui vogliono affrancarsi dal regime autoriz
zatone e dalle interferenze di altre amministrazioni nella gestio ne del proprio territorio, degli strumenti di programmazione tem
porale degli interventi. Sarebbero, queste, conseguenze
palesemente contrastanti con gli sviluppi della normativa urba
nistica e segnamente con il ridimensionamento dello strumento
di pianificazione temporale degli interventi, quale fu disegnato dall'art. 13 1. n. 10 del 1977, ad opera del c.d. decreto Nicolaz
zi. Ma, soprattutto tali implicazioni non sono consentite dalla
ratio della 1. n. 431. Infatti, se cosi fosse, se l'interesse paesag
gistico fosse realmente subordinato all'esigenza di attuazione degli
strumenti urbanistici, si ridurrebbe a ben poca cosa la portata
delle «norme fondamentali di riforma economico-sociale della re
pubblica» (art. 2) introdotte dalla legge Galasso. Questa, invece,
esaltando un valore costituzionale primario (Corte cost. n. 151 del
1986, cit.), mira proprio a condizionare le modifiche del territo rio, sia pure operate in attuazione di atti di programmazione, ad
una previa verifica di compatibilità con l'interesse paesistico.
li Foro Italiano — 1992.
Si deve perciò concludere che il 6° comma in esame introduce una norma transitoria che fa salve le sole previsioni di interven
to contenute nei programmi pluriennali già approvati. Si tratta
di una deroga con una ratio ben evidente, quella di non interfe
rire sui processi di trasformazione del territorio in atto riguardo a zone dove il comune ha inteso concentrare, in un determinato
periodo di tempo, l'attività edilizia ed il relativo processo di
urbanizzazione.
I p.p.a. deliberati successivamente all'introduzione del vinco
lo generalizzato non conseguono perciò l'effetto di far venir
meno la protezione legislativa (cfr. in tal senso la sentenza n.
369 del 12 dicembre 1986 di questa sezione, id., Rep. 1987, voce Bellezze naturali, n. 85).
Contrariamente a quanto certificato dal sindaco di Como il
3 ottobre 1990, esprimendo al riguardo le dovute riserve sull'in
serimento di valutazioni giuridiche in una certificazione, deve
ritenersi pertanto ininfluente rispetto al vincolo il p.p.a. appro vato con delibera di g.m. n. 2815 del 27 novembre 1989.
2.3. - Quanto al programma pluriennale di attuazione del piano di zona ex art. 38 1. n. 865 del 1971, come modificato dall'art.
1 1. n. 247 del 1974, il collegio — mentre osserva, ed il rilievo
sarebbe già di per sé assorbente, che il predetto 6° comma del
l'art. 82 è chiaramente una norma eccezionale, e pertanto di
stretta interpretazione, e che altrettanto chiaramente esso con
templa solo i programmi di cui all'art. 13 1. n. 10 del 1977, stante il riferimento alla zonizzazione del territorio che è in fun
zione esclusiva dello strumento urbanistico generale — ritiene
che esso sia inconferente rispetto alla fattispecie in esame.
Tale programma, dai documenti agli atti, risulta essere infatti
riferito al quinquennio 1985-89: ciò colloca l'intervento della
cooperativa ricorrente, assentito con concessione edilizia del 13
giugno 1990, automaticamente al di fuori delle cadenze tempo rali ivi stabilite. L'insediamento in questione non può, perciò, essere considerato attuativo di un programma, che, all'atto del
rilascio della concessione, aveva ormai esaurito la sua efficaica.
Quanto sopra consente di concludere per la piena operatività del vincolo ex lege.
3. - Va a questo punto esaminato il primo motivo, con cui
si deduce la violazione dell'art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977 (9°
comma, ultimo periodo) per essere stato il provvedimento co
municato oltre il termine di sessanta giorni. II collegio è quindi nuovamente chiamato a pronunciarsi sulla
legittimità dell'annullamento ministeriale adottato nel suddetto
termine perentorio ma comunicato successivamente.
L'autorizzazione regionale, si sostiene nel ricorso, sarebbe stata
infatti trasmessa alla soprintendenza il 12 giugno 1990, mentre
l'annullamento, disposto con il decreto del 9 agosto, sarebbe
stato comunicato intorno al 20 agosto alla regione e al comune di Como e solo il 17 ottobre notificato alla cooperavia ricorrente.
Va escluso, innanzitutto, che possa assumere rilievo il tele
gramma ministeriale del 4 agosto 1990, ricevuto dalla ricorrente
il 6 agosto, con cui si disponeva la sospensione dei lavori.
Contrariamente a quanto ritenuto dal controinteressato, tale
atto non contiene il dispositivo della decisione di annullamento.
L'ordine di sospensione è espressamente fondato sul rilievo che
«non risulta concluso l'iter procedurale del provvedimento au
torizzatorio», intendendosi con ciò ribadire che non era ancora
spirato il termine per disporre l'annullamento e di conseguenza affermare che una decisione in tal senso non era stata ancora
adottata. Ed infatti essa interverrà solo il successivo 9 agosto. Il telegramma in questione è pertanto espressione del potere
inibitorio e cautelare e non già di quello teso e rimuovere l'as
senso regionale. Peraltro, alcune delle date sopra menzionate su cui si fonda
la censura in esame, sembrerebbero non trovare conferma nei
documenti agli atti. In primo luogo nella citata relazione del
2 ottobre 1990 del comune di Como si legge (ultimo alinea) che il provvedimento ministeriale fu comunicato alla cooperati
va, a cura dello stesso comune, il 5 settembre. Inoltre, nella
documentazione prodotta dall'avvocatura dello Stato si rinvie
ne la copia dell'autorizzazione regionale inoltrata alla soprin tendenza che reca il timbro di protocollo, che parrebbe di en
trata, di quest'ultima con la data del 17 luglio 1990. Se cosi
fosse, un problema di tardività nemmeno si porrebbe. Tuttavia
il collegio ritiene di doversi esimere da un approfondimento istrut torio sul punto, attesa l'infondatezza in linea di diritto della
censura sollevata.
La ricorrente sostiene, quindi, la natura recettizia dell'atto
e la sua conseguente invalidità in quanto comunicato oltre il
termine di sessanta giorni dall'inoltro del nulla osta alla soprin tendenza. Essa muove dalla contrapposizione tra gli effetti am
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PARTE TERZA
pliativi dell'atto autorizzatorio e quelli limitativi ed impeditivi dell'annullamento. Di modo che sarebbe in contrasto con la funzione stessa di un simile potere la notifica dell'atto dopo la scadenza del termine.
Il collegio, al contrario, seguendo peraltro la giurisprudenza che sul punto appare prevalente, ritiene di dover ribadire quan to deciso con la sua sentenza n. 1018 del 18 giugno 1991.
Va quindi richiamata una questione analoga che diede an ch'essa origine ad un contrasto giurisprudenziale. Si fa riferi mento all'annullamento governativo, e poi regionale, delle con cessioni edilizie illegittime ex art. 27, 3° comma, 1. n. 1150 del
1942, modificato dall'art. 7 1. n. 765 del 1967. Dopo una serie di pronunce della quarta sezione, che avevano identificato il dies ad quem col momento dell'adozione (cfr. Cons. Stato, sez.
IV, 20 maggio 1980, n. 565, id., Rep. 1980, voce Edilizia e urbanistica n. 650), l'adunanza plenaria (25 febbraio 1980, n.
8, ibid., n. 638), ritenne che l'ipotesi normativa concretasse una
fattispecie unitaria a formazione progressiva in cui la partecipa zione ai destinatari assurgeva ad elemento essenziale per il suo
perfezionamento e che, pertanto, il dies ad quem dovesse neces sariamente identifcarsi con la data della comunicazione agli in teressati.
Va tuttavia osservato come tale decisione trovasse un concre to appiglio testuale nella specifica disciplina legislativa dell'isti
tuto, che statuisce che entro un dato termine il provvedimento sia «emesso» e non solo «adottato», con ciò «volendosi . . .
configurare — ritenne l'adunanza plenaria — una esternazione indirizzata».
La nostra disposizione legislativa adopera invece una diversa
terminologia, laddove stabilisce che il ministro «può in ogni caso annullare . . . l'autorizzazione regionale» senza fare alcun riferimento alla fase della «emissione». Ciò dimostrerebbe, a
contrario, che l'effetto caducatorio è istantaneo e deriva unica mente dall'adozione dell'atto, unico elemento preso in conside razione dalla legge ai fini del perfezionamento della fattispecie.
Né è possibile disconoscere l'esistenza di ragioni che consi
gliavano una soluzione in tal senso. Il potere di annullamento delle concessioni edilizie è infatti non solo esercitabile anche
dopo molto tempo dall'adozione dell'atto (dieci anni), ma il dies a quo, per il termine più breve, comincia a decorrere solo «dall'accertamento delle violazioni». Nel caso in esame il termi ne è invece ridottissimo e decorre non appena gli atti pervenga no all'organo perferico ex circolare 8/85, cosicché è ragionevole ritenere che il legislatore non abbia voluto appesantire gli adem
pimenti da compiere in un lasso temporale cosi breve. Tale conclusione è peraltro del tutto aderente alla normale
natura non recettizia dei provvedimenti amministrativi, che so no generalmente idonei a produrre gli effetti giuridici ad essi riconnessi senza il concorso della volontà dei destinatari. Carat tere recettizio può essere infatti riconosciuto solo agli atti che in qualche modo implichino l'attività dei destinatari per conse
guire lo scopo a cui tendono. Tipico caso di questa specie sono
gli ordini, che non possono dirsi efficaci se non sono partecipa ti al soggetto dal quale si pretende un determinato comporta mento. Dall'annullamento scaturisce, invece, un effetto istanta neo che non dipende dalla collaborazione di altri soggetti, ma deriva dalla semplice adozione del provvedimento che lo dispone.
Gli effetti della comunicazione sono nel nostro caso di altro
tipo e consistono essenzialmente nella interdizione allo svolgi mento dell'attività autorizzata. Ma si tratta di conseguenze ulte riori, connesse alla rimozione ex tunc dell'atto permissivo, che non costituiscono la funzione tipica del provvedimento la quale si esaurisce nell'estinzione delle situazioni giuridiche sorte con l'atto annullato.
Né è sostenibile, come fa la ricorrente, che cosi il «procedi mento non avrebbe mai un termine certo di conclusione».
Al contrario, il procedimento deve concludersi entro il termi ne perentorio di sessanta giorni con l'adozione del provvedi mento di annullamento, mentre la comunicazione rimane ele mento estraneo al perfezionamento della fattispecie.
Indubbiamente il soggetto autorizzato ha interesse a conosce re tempestivamente l'esito del riesame ministeriale per sapere se può mettere mano all'intervento oppure se deve astenersene e ciò anche per evitare le negative conseguenze, anche di ordine
economico, derivanti dal ripristino dello stato dei luoghi. Ma si tratta di un interesse che può essere soddisfatto anche con l'iniziativa di parte, ad esempio interpellando il ministro per conoscere se abbia esercitato, nel termine perentorio di legge, il potere attribuitogli. Parimenti, il ministero ha il dovere di non ritardare indebitamente la comunicazione, sia in ossequio al canone costituzionale di buona amministrazione sia per evita
li. Foro Italiano — 1992.
re che comunicazioni tardive possano concorrere a compromet tere, magari in maniera irreparabile, i luoghi che tramite quel potere si dovevano tutelare. La possibilità che tali doveri venga no violati, mentre può comportare conseguenze sanzionatorie di vario tipo, non è tuttavia in grado di mutare la qualificazio ne giuridica dell'atto in questione.
Se, quindi, dal versante privato non sussistono inconvenienti
insuperabili, l'interpretazione accolta è aderente alla natura pre cettiva dell'atto amministrativo e alla sua capacità di incidere sulle situazioni giuridiche a prescindere dalla sua comunicazione.
4. - Si può quindi passare all'esame delle censure che attengo no al contenuto del provvedimento.
Il decreto ministeriale qui impugnato perviene all'annullamento del nulla osta regionale sulla base di una duplice argomentazio ne. Da un lato rileva la carenza di motivazione dell'autorizza zione che, «redatta su un modulo tipo . . ., non evidenzia tut tavia le motivazioni e i criteri in base ai quali ha ritenuto l'in tervento proposto . . . compatibile con il perdurare del vincolo ex lege sulla località». Dall'altro sostiene «che le opere previste, inserite in un contesto caratterizzato da preziose presenze stori che e da rilevanti qualità ambientali, alterando in maniera per manente la pendenza naturale del terreno, creerebbero una bar riera tra il torrente Cosia e il fondale naturale, limitando la visione del complesso collinare e della vegetazione retrosanti».
Sulla base di tale ultimo rilievo, il decreto ritiene che l'auto rizzazione regionale violi l'art. 82, 5° comma, d.p.r. n. 616 del
1977, perché essa «si risolve, di fatto, in un implicito provvedi mento di esclusione dal vincolo paesaggistico ex lege», dato che la stessa «sarebbe suscettibile di comportare l'alterazione per manente di tratti paesistico-ambientali caratterizzanti l'attuale
morfologia del territorio tutelato ex lege . . .». Ambedue i rilievi ministeriali vengono censurati dalla ri
corrente.
Con il quinto motivo sub b), si osserva che il provvedimento regionale non è soggetto a nessun particolare onere di motiva zione trattandosi di atto ampliativo della sfera giuridica del ri chiedente che, come tale, va unicamente confortato «dalla veri fica dell'inesistenza di ragioni di interesse pubblico», mentre non sussiste obbligo di dar conto delle «ragioni che rendono compa tibile la determinazione assunta con l'interesse pubblico», es sendo allo scopo sufficiente «che il provvedimento rassicuri di aver tenuto presente il limite (interesse pubblico) voluto dalla norma e di aver istruito ed esaminato la pratica in corrispon denza di quel limite e per la tutela di esso».
Si tratta di osservazioni che si rifanno all'orientamento che
nega la sussistenza dell'obbligo in questione riguardo ai c.d. atti ampliativi, principi riaffermati di recente in subiecta mate ria da Cons. Stato, sez. VI, 16 luglio 1990, n. 728 (id., Rep. 1990, voce Bellezze naturali, n. 16). A conclusioni opposte è
peraltro già pervenuta la giurisprudenza (Cons. Stato, sez. VI, 5 luglio 1990, n. 692, id., Rep. 1991, voce cit., n. 45), osservan do come «la regione (non) si possa trincerare dietro allo stereo
tipo concetto che il progetto non contrasta con il vincolo am bientale esistente» (Tar Abruzzo 29 marzo 1989, n. 152, id., Rep. 1989, voce cit., n. 17 e, nello stesso senso, la citata senten za 1018 del 1991 di questa sezione).
Il collegio ritiene di dover condividere quest'ultimo orien tamento.
Prescidendo da ogni considerazione sulla portata generale del
principio che tende ad esonerare l'atto ampliativo dall'obbligo di motivazione — rimesso oggi perlomeno in discussione dalla 1. n. 241 del 1990 in attuazione di un basilare principio dell'or dinamento che esige la possibilità di verifica dell'azione dei pub blici poteri da parte di tutti i consociati — va osservato che
principi in senso contrario possono rinvenirsi nella disciplina della materia in esame.
Vanno qui ricordati i recenti interventi della Corte costituzio nale tesi a ribadire che la protezione del paesaggio è un interes se di rango costituzionale (art. 9), non suscettibile di essere su bordinato a nessun altro (cfr. sent. n. 359 del 1985, id., 1986, I, 1196; nn. 151, 152 e 153 del 1986, ibid., 2689). La 1. n. 431 del 1985 è diretta alla tutela di questo interesse, proteggendo il territorio da interventi in grado di sconvolgerne i tratti fisici che lo caratterizzano. La primarietà del valore paesaggistico ri salta solo se si consideri che anche le opere pubbliche dello Sta to sono ora assoggettate al provvedimento autorizzatorio, lad dove in precedenza l'art. 13 1. n. 1479 del 1939 prevedeva il
semplice concerto tra le amministrazioni interessate. Con la sentenza n. 151 del 1986 la Corte costituzionale ha
osservato che la 1. n. 431 «proprio per l'estensione e la correla tiva intensità dell'intervento protettivo introduce una tutela del
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
paesaggio improntata a integralità e globalità, vale a dire impli cante una riconsiderazione assidua dell'intero territorio nazio
nale alla luce e in attuazione del valore estetico-culturale. Una
tutela cosi concepita è aderente al precetto dell'art. 9 Cost., il quale, secondo una scelta operata al più alto livello dell'ordi
namento, assume il detto valore come primario, cioè come in
suscettivo di essere subordinato a qualsiasi altro».
È proprio la primarietà di tale valore e la sua non subordina
zione «a qualsiasi altro», ed anzi la sua sicura preminenza su
quelli tutelati dagli art. 41 e 42 Cost., essendo esso in grado di concretare il limite della funzione ed utilità sociale da cui
questi sono condizionati, che esige l'evidenziazione delle regioni che hanno indotto a ritenere la compatibilità dell'intervento con
le ragioni e l'oggetto della tutela. Se il legislatore ha voluto
che il territorio andasse riconsiderato «alla luce e in attuazione
del valore estetico-culturale» condizionandone le trasformazioni
all'autorizzazione paesaggistica, ciò presuppone una scelta nor
mativa secondo la quale gli interventi che perseguono scopi di
versi dalla conservazione e riqualificazione ambientale sono ri
tenuti in linea di principio suscettibili di alterare i tratti caratte
rizzanti il profilo fisico del paese e perciò tendenzialmente
confliggenti con l'interesse paesistico. L'autorizzazione presuppone invece che il conflitto delineato
in astratto venga ritenuto, in virtù delle caratteristiche specifi che dei luoghi, non sussistente in concreto. Un giudizio di que sto genere non può esplicitarsi in asserzioni tautologiche, ma
deve essere manifestato attraverso una chiara evidenziazione delle
ragioni che inducono a superare quella sorta di presunzione le
gislativa di incompatibilità. D'altra parte è sempre la primarietà dell'interesse paesistico
a rendere conformi alla Costituzione i penetranti poteri che lo
Stato si è riattribuito in materia, e sarebbe per niente consono
allo spirito di una legge che ha voluto assicurare la compresen za statale nel procedimento autorizzatorio negare la possibilità di svolgere un'effettiva verifica sulla congruità logica dell'as
senso regionale che solo il controllo sulla motivazione può assi
curare.
Sono peraltro sintomatiche del tentativo di svilire la normati
va del 1985, qualificata di grande riforma economico sociale
del suo art. 2 e da Corte cost. n. 151 del 1986, le opinioni
che, da un lato, ritengono che l'autorizzazione non vada moti
vata e, dall'altro, escludono che il ministero possa effettuare
un riesame di merito. Stretto tra questa duplice limitazione il
ministro per i beni culturali ed ambientali non potrebbe che
prendere atto degli assensi regionali, con buona pace della vo
luntas legis di assicurare «la partecipazione cosi dello Stato co
me della regione (. . .) in ogni momento della gestione . . .»,
ivi compreso quello autorizzatorio, «ad estrema difesa del vin
colo» (Corte cost. n. 151 del 1986). A quanto sopra si aggiunge la considerazione che un provve
dimento ampliativo della sfera giuridica del richiedente allo stesso
tempo può assumere un carattere restrittivo rispetto a soggetti
che si trovino in posizione contrapposta. Il paesaggio va ascritto in quella «concezione unitaria del be
ne ambientale, comprensiva di tutte le risorse culturali e natura
li», e quindi «la conservazione, la razionale gestione e il miglio
ramento delle condizioni naturali (aria, acque, suolo e territorio
in tutte le sue componenti) ... e, in definitiva, la persona uma
na in tutte le sue estrinsecazioni», che la Corte costituzionale
ha ricondotto sotto la copertura degli art. 9 e 32 (cfr. le senten
ze 28 maggio 1987, n. 210 id., 1988, I, 329 e 30 dicembre 1987, nn. 617 e 641, ibid., 3537 e 694. Cfr., altresì', Tar Lombardia,
sez. I, 17 gennaio 1990, n. 15, id., Rep. 1990, voce Edilizia
e urbanistica, n. 227). La salvaguardia di tale bene è «diritto
fondamentale della persona ed interesse fondamentale della co
munità» (sent. 210 del 1987, cit.). Benché la 1. 8 luglio 1986 n. 349, istitutiva del ministero del
l'ambiente, non abbia riconosciuto ogni cittadino titolare di un diritto all'ambiente, non va disconosciuto il rilevante valore di
principio dell'art. 14 sul diritto di informazione e di accesso
ai dati disponibili sullo stato dell'ambiente. Ma, ai nostri fini, rileva soprattutto il fatto che la legge abbia comunque voluto
riconoscere ad organismi espressione della società civile la tito
larità di una posizione giuridica qualificata. Il riferimento va, allora, all'art. 18, dove è canonizzata, con il riconoscimento
del diritto ad intervenire nei giudizi di danno ambientale e di adire la giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti
illegittimi, la titolarità, in capo alle associazioni individuate ex art. 13, di un interesse tutelabile nei confronti di provvedimenti
che dispongono dei valori ambientali.
L'emanazione di provvedimenti autorizzatori che si limitasse
II Foro Italiano — 1992.
ro a dare atto della compatibilità dell'intervento rispetto all'in
teresse protetto, senza l'esplicitazione delle valutazioni effettua
te e dell'/ter logico seguito, verrebbe a sancire l'impossibilità di effettuare su di essi una seria forma di controllo e la loro
pressoché assoluta insindacabilità in sede di giudizio ammini
strativo da parte delle formazioni sociali abilitate ex lege. In definitiva, l'obbligo di motivazione è correlato alla neces
sità di garantire un compiuto riesame da parte del ministero
e di rendere altresì possibile il controllo degli atti da parte della
collettività, nel cui interesse il bene ambientale è gestito.
Correttamente, quindi, il provvedimento impugnato ravvisa
nell'autorizzazione una carenza di motivazione, posto che la re
gione esaurisce il suo obbligo nell'affermazione di aver esami
nato la domanda e valutato i contenuti del provvedimento di
vincolo. La motivazione è perciò del tutto carente e legittimo, sotto questo profilo, è l'annullamento. (Omissis)
6. - Nonostante la prima delle motivazioni che sorreggono l'atto impugnato sia stata riconosciuta immune dalle censure
sollevate, il collegio ritiene di dover proseguire nell'esame del
ricorso in quanto reputa che permanga l'interesse ad un giudi zio sulle motivazioni sostanziali del provvedimento.
Si è detto come il d.m. annulli l'autorizzazione sia per un
rilevato difetto di motivazione sia perché perviene ad una valu
tazione in termini negativi dell'impatto paesaggistico dell'inter
vento. Deve pertanto riconoscersi la sussistenza di un interesse
a veder stabilito se il ministero abbia legittimamente operato nello svolgere quelle considerazioni, posto che, nell'eventuale
rinnovo dell 'iter, tali valutazioni potrebbero essere idonee a pre cludere l'ottenimento di una nuova autorizzazione. Una simile
conseguenza non potrebbe invece trarsi qualora l'annullamento
ministeriale dovesse essere confermato per la sola parte in cui
contesta il difetto di motivazione.
Per queste considerazioni si deve passare all'esame delle ri
manenti censure.
7. - Con i rilievi di cui alle lett. c), d), e) ed J) del quinto motivo e col sesto mezzo di gravame vengono censurate le parti del provvedimento che contestano nello specifico le valutazioni
di conformità operate dalla regione. Va subito detto che è condivisibile l'assunto della ricorrente
secondo cui in questa parte del provvedimento, celate dietro
qualificazioni in termini di illegittimità per esclusione di fatto del vincolo, si operano in realtà valutazioni di merito sulla por tata paesaggistica dell'intervento. Il vizio di legittimità richia
mato dal ministero, presupponendo l'eliminazione di fatto dello
stesso bene protetto, è configurabile solo in relazione ad inter
venti talmente radicali da comportare la soppressione delle ca
ratteristiche fisiche dei luoghi che costituiscono la ragione del
vincolo: tali autorizzazioni equivarrebbero infatti alla pratica rimozione del vincolo legale e sarebbero perciò radicalmente il
legittime. Tale evenienza non si verifica però nel caso di specie,
posto che, sia o meno compatibile l'intervento con il vincolo
ex lege, esso non implica certo l'eliminazione fisica del torrente
e delle sue sponde. Il decreto ministeriale opera invece una valutazione di merito
dell'intervento, comparandolo con la morfologia del territorio
e giudicandolo con essa incompatibile. Il collegio ritiene tuttavia, condividendo sul punto l'orienta
mento di diversi tribunali (cfr. Tar Puglia, sez. I, 25 novembre
1988, n. 295, id., Rep. 1988, voce Regione, n. 423; Tar Campa
nia, sez. I, 7 aprile 1989, n. 173, id., Rep. 1989, voce Bellezze
naturali, n. 34; Tar Veneto, sez. I, 17 ottobre 1988, n. 821,
id., Rep. 1988, voce cit., n. 46), che un apprezzamento del ge
nere non è precluso, per cui la censura che muove dall'opposta convinzione deve essere respinta.
In senso contrario non è di alcuna utilità il dato letterale,
visto che il termine «annullamento», pure ammesso che il legis latore abbia voluto intenderlo in un'accezione tecnica, non è
una espressione riservata alla rimozione di atti per soli vizi di
legittimità. Il termine è infatti tradizionalmente usato in dottri
na per indicare la caducazione, generalmente con effetto ex tunc,
di un atto affetto da un'invalidità originaria, sia essa dovuta
a vizi di legittimità oppure di merito. Tant'è che quando il rie same è limitato ai soli vizi di legittimità la legge lo afferma
espressamente: si vedano in proposito il già richiamato art. 27
legge urbanistica e l'art. 6 r.d. 3 marzo 1934 n. 383.
Anzi, restando sul piano letterale, più probante nel senso ac
colto dal collegio sarebbe l'espressione che afferma la possibili
tà di esercitare tale potere «in ogni caso» e quindi, parrebbe, senza limitazioni al di fuori di quelle temporali. Tale espressio
ne non può, infatti, come taluno ritiene, svolgere la funzione
di esimere il ministero dalla evidenziazione delle ragioni di pub
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PARTE TERZA
blico interesse che l'annullamento mira a soddisfare, considera
to che il breve termine entro cui il potere va esercitato è già di per sé sufficiente ad escludere che l'interesse del soggetto autorizzato possa dirsi consolidato e quindi che un apprezza mento di quel genere debba essere effettuato.
La conclusione accolta è invece avvalorata dalla trasparente voluntas legis di riaccentrare in capo al ministero parte delle
competenze delegate alle regioni con il d.p.r. n. 616 del 1977.
Tale operazione viene compiuta «in vista dell'allargamento e potenziamento della tutela paesistica» (Corte cost. n. 151 del
1986, cit.) al fine di assicurare una «pronta e piena realizzazio
ne» di quei valori (Corte cost. 27 giugno 1986, n. 153, cit.). La sua rilevanza costituzionale legittima il mancato affidamen
to di questo interesse alla cura esclusiva di un ente in base ad
una rigida separazione delle competenze: i rapporti tra Stato
e regione vanno invece ricostruiti alla luce del principio di leale
collaborazione «cui si adegua appunto lo strumento della con
correnza dei poteri» (Corte cost. n. 151 del 1986, cit.). Si tratta di principi che la corte aveva già affermato nella sent. n. 359
del 1985, cit. (dove i poteri statali in materia furono ritenuti
concorrenti «in considerazione della sostanziale identità di og
getto e di contenuto che essi presentano ai poteri delegati») e
che vengono ribaditi nella sentenza n. 302 del 1988, cit., dove
si osserva che la concorrenza dei poteri ispira in questa materia i rapporti tra i due enti «in quanto ciò sia reso necessario per il raggiungimento dei fini essenziali di tutela». Parimenti signi ficativa è la sentenza n. 1112 del 20 dicembre 1988 (id., Rep.
1989, voce cit., n. 14) che riconosce, proprio in relazione all'an
nullamento ministeriale delle autorizzazioni regionali, che i po teri statali «sono previsti in funzione di supremazia, al fine di
assicurare più intensamente la tutela del vincolo paesaggistico». Il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale
che ritiene legittimo quella sorta di condominio istituzionale nella
gestione della materia introdotto dalla legge Galasso, ma che
in qualche misura già caratterizzava la delega originaria conte
nuta nell'art. 82 (in cui l'intensità dei poteri conservati allo Sta to erano difficilmente riconducibili a quelli spettanti allo stesso
in ogni altro caso di delega: cosi Corte cost. n. 359 del 1985,
cit.), avvalora quindi la conclusione secondo cui, riguardo alle
autorizzazioni rilasciate, al ministero spetta un potere della me
desima estensione di quello attribuito alle regioni e, pertanto, esteso anche alla valutazione della compatibilità dell'intervento con la zona protetta.
Non si comprende d'altra parte perché, mentre si ritengono conformi a Costituzione i poteri concorrenti in materia di inte
grazione degli elenchi (ex art. 82, 2° comma, lett. a), un potere di questa estensione lascerebbe adito a sospetti di incostituzio
nalità se riferito al riesame delle autorizzazioni, specie una vol ta che sia stato assodato che la compresenza dello Stato in fun
zione di supremazia nel momento gestorio esclude ogni dubbio
in relazione all'art. 125, 1° comma, Cost. Va invece rilevato
che il recupero solo parziale del potere repressivo sarebbe poco coerente con lo spirito della legge, perché la sua limitata esten
sione non consentirebbe all'organo statale di disporre l'effettivo arresto di attività che, sebbene assentite da autorizzazioni per fette dal punto di vista della legittimità, fossero tuttavia in gra do di danneggiare le aree protette (cfr. Tar Puglia n. 295 del
1988, cit.). Se i poteri ministeriali concorrono con quelli delle regioni (ta
le natura, in relazione al potere di integrazione degli elenchi, è ribadita da Cons. Stato, sez. VI, 31 dicembre 1988, n. 1351,
ibid., n. 38), non possono ridursi, sul punto più qualificante, al mero riscontro formale, impoverendosi altrimenti la funzione
di estrema difesa del vincolo che lo Stato si è voluto riservare
e che la corte ha ritenuto conforme al dettato costituzionale.
La censura che denuncia indebite valutazioni di merito da
parte del ministero è perciò infondata.
8. - Parimenti infondato è il sesto motivo nella parte in cui
censura il difetto di motivazione e lo sviamento per l'omessa
indicazione degli adeguamenti progettuali idonei a rendere com
patibile l'intervento con la zona tutelata, in tal modo introdu
cendo surrettiziamente un vincolo assoluto di inedificabilità. Va subito detto, anche ove si volesse convenire con la ricor
rente, che l'annullamento ministeriale equivale ad un sostanzia
le diniego, che l'obbligo di specificare le condizioni che consen tono un adeguato inserimento dell'opera nel paesaggio non sus
site allorché l'amministrazione riscontri una radicale
incompatibilità che nessuna modifica riuscirebbe a eliminare (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 1981, n. 751, id., Rep. 1982,
Il Foro Italiano — 1992.
voce cit., n. 23). È quanto il ministro, basandosi su presupposti
errati, come subito si dirà, ha ritenuto con tutta evidenza nel
caso di specie. Ciò non vizia l'atto per sviamento né vale a
trasformare un vincolo relativo in assoluto. La natura relativa
del vincolo significa unicamente che le trasformazioni non sono
in linea di principio vietate, ma non è assolutamente detto che
ciò implichi un necessario assenso ad ogni opera che si intende
realizzare e che l'autorità paesistica debba limitarsi ad indicare
i temperamenti per rendere meno pesante l'impatto. È invece
aderente alla natura del vincolo che le caratteristiche (tipologi
che, plano-volumetriche, di dislocazione spaziale, di ingombro)
dell'intervento, valutate in relazione a quelle proprie dell'ambi
to protetto, possano essere giudicate talmente in conflitto con
i valori protetti da rendere necessario un diniego definitivo.
Un vincolo assoluto del tipo previsto dagli art. 1 ter e
1 quinquies della legge, al contrario, equivale alla negazione di
ogni intervento, anche il meno significativo, salvo quelli esplici tamente consentiti dalla norma, ed all'impossibilità stessa di con
cepire una procedura autorizzatoria.
9. - Fondate, invece, sono le rimanenti censure articolate nei
motivi quinto e sesto.
La ricorrente rileva che il provvedimento esula dal dato nor
mativo, diretto alla tutela del corso d'acqua e dell'ambito terri
toriale che da esso si caratterizza, in quanto pone a fondamento
dell'annullamento elementi estranei, quali non meglio precisate
«preziose presenze storiche», la supposta limitazione della «vi
sione del complesso collinare e della vegetazione retrostanti», che non hanno nulla a che fare con il vincolo ex lege e tantome
no con un vincolo specifico ex 1. n. 1497 del 1939.
Ed invero, non appaiono affatto considerate nel provvedi mento le esigenze di tutela dell'ambito protetto ex lege, visto
che non si spiega la ragione per cui, rispetto al torrente Cosia
ed alle relative sponde, l'intervento ne comprometta il profilo fisico. Riguardo a tale ambito viene unicamente affermato, con
espressione stereotipata ed affatto idonea ad integrare una com
piuta motivazione, che l'intervento «sarebbe suscettibile di com
portare l'alterazione permanente di tratti paesistico-ambientali caratterizzanti l'attuale.morfologia del territorio tutelato ex le
ge». Il provvedimento è cioè carente di una concreta e specifica valutazione dell'intervento in relazione al bene protetto. Le con
siderazioni di merito muovono invece da rilievi del tutto estra
nei all'esigenza di tutela dell'ambiente fluviale. È sintomatica in tal senso la relazione della soprintendenza del 31 luglio 1990
che, nel descrivere i pregi della zona, afferma che «il terreno
oggetto dell'intervento, un declivio naturale, è inserito in un'a
rea caratterizzata dalla presenza di un nucleo antico, dalla villa
Borsi Franchi, vincolata ai sensi della 1. n. 1089 con d.m. del
30 marzo 1983, dal cimitero con la tomba monumentale di Ales sandro Volta e da una particolare ricchezza di varietà arboree», fa trasparire come nessuna valutazione sia stata operata rispetto alla zona di protezione del corso d'acqua. Peraltro, quelle stes se considerazioni non vengono esplicitate con chiarezza nella
motivazione che il soprintendente suggerisce e che il ministro
fa propria. In essa le «preziose presenze storiche» rimangono sullo sfondo, quasi a descrivere il contesto territoriale, senza
assurgere a presupposti ostativi dell'intervento, che invece viene
ad essere precluso perché verrebbe ad alterare «la pendenza na
turale del terreno», cosi creando «una barriera tra il torrente
Cosia e il fondale naturale», la cui visione verrebbe ad essere
in tal modo limitata. Emerge, quindi, che ciò che si è voluto in realtà salvaguardare è quello sfondo collinare, che tuttavia
non si afferma essere protetto da alcun vincolo, con ciò illegitti mamente forzando l'ambito di operatività della tutela legale. La 1. n. 431 del 1985 ha infatti inteso proteggere gli ambiti
territoriali indicati nel suo art. 1 e non anche i panorami che
da quei luoghi si possono scorgere, per cui le zone circostanti o vengono vincolate con atto specifico ex 1. n. 1497 del 1939
o non possono godere, specie in assenza dell'obbligatoria piani ficazione di cui all'art. 1 bis, di alcuna tutela speciale.
10. - L'atto impugnato va pertanto annullato in parte qua, vale a dire nella parte in cui opera valutazioni sulla compatibili tà dell'intervento con il territorio protetto.
Resta assorbito il secondo motivo laddove si denuncia il di
fetto di istruttoria per avere il ministro provveduto all'annulla
mento prima di ricevere gli atti richiesti dal suo organo specifi co, con ciò giungendo a conclusioni erronee: l'accoglimento dei
motivi sostanziali non può che determinare il venir meno dei
rilievi di indole formale.
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