sezione VI; decisione 28 gennaio 1988, n. 141; Pres. Ancora, Est. Barberio Corsetti; Smacchia(Avv. Calfapietro) c. Inps (Avv. Sacerdoti, Pavesi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1988),pp. 225/226-241/242Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179305 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
I
CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 28 gennaio 1988, n. 141; Pres. Ancora, Est. Barberio Corsetti; Smacchia (Avv.
Calfapietro) c. Inps (Avv. Sacerdoti, Pavesi).
CONSIGLIO DI STATO;
Impiegato dello Stato e pubblico — Dipendenti dell'Inps — In
dennità di fine servizio — Corresponsione tardiva — Rivaluta
zione automatica da parte del giudice amministrativo.
È rivalutabile automaticamente da parte del giudice amministrati
vo l'indennità di fine servizio che l'Inps abbia tardivamente
corrisposto ad un proprio dipendente. (1)
(1, 3, 15) Punto di partenza per l'inquadramento delle questioni è la
giurisprudenza costante del Consiglio di Stato, che nega la rivalutabilità dell'indennità di buonuscita che l'Enpas abbia corrisposto tardivamente ai dipendenti dello Stato collocati a riposo (o, nel caso di loro decesso in servizio, ai beneficiari tassativamente indicati dalla legge: su questo ultimo aspetto, v. Cons. Stato, sez. VI, 19 ottobre 1987, n. 835, che
segue, con nota di richiami). Tale giurisprudenza va confrontata con i principi ormai saldamente
acquisiti, e sia pure sul fondamento di motivazioni non sempre costanti e univoche, secondo i quali: a) rientra nella giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo la domanda con la quale il pubblico dipendente chiede la rivalutazione, purché automatica ossia con l'applicazione dei
coefficienti Istat, del suo credito tardivamente soddisfatto, e gli interessi
relativi, purché compensativi, nonché b) a tale dipendente tale rivaluta
zione e tali interessi spettano, per il solo fatto del ritardo nella correspon sione della sua retribuzione: anzi, il collegamento con questa circostanza
meramente obiettiva costituisce limite della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, oltretutto non attrezzato a valutare la fondatezza dei ri
lievi sulla colposità del comportamento dell'amministrazione, su cui la
pretesa del pubblico dipendente potrebbe alternativamente basarsi, rien
trando necessariamente, perciò, nella giurisprudenza del giudice ordina
rio. Questi principi sono ormai pacifici: v. i richiami in nota a T.A.R.
Lazio, sez. Ili, 10 marzo 1986, n. 824, Foro it., 1987, III, 617, che si
è pronunciato sulla domanda di un pubblico dipendente concernente un
credito derivante dalla prestazione di lavoro straordinario. Successiva
mente, la giurisprudenza si è mantenuta cosi costante, che si rinuncia
ad ulteriori richiami di essa, per la loro necessaria ripetitività, tranne
che per qualche pronuncia che sembra discostarsi dai precedenti, ma più nel senso di un ulteriore ampliamento della tendenza: cosi, Cons, giust. amm. sic. 30 aprile 1987, n. 91, Cons. Stato, 1987, I, 631, ha affermato
la rivalutabilità degli arretrati di stipendio percepiti dal pubblico dipen dente sospeso cautelarmente dal servizio, dopo la cessazione di essa (non ché del 50% della indennità integrativa speciale non corrisposto con
l'assegno alimentare pagatogli nel frattempo), contraddicendo T.A.R. Cam
pania, sez. I, 5 ottobre 1983, n. 926, Foro it., 1985, III, 79, con nota
di richiami, che ha negato tale rivalutazione in un caso di sospesione cautelare per procedimento penale per reato poi dichiarato estinto per
amnistia; e T.A.R. Piemonte, sez. I, 31 luglio 1986, n. 351, Trib. amm.
reg., 1986, I, 3296, ha esteso la giurisdizione esclusiva del giudice ammi
nistrativo (e la spettanza al pubblico dipendente) anche agli interessi mo
ratori, riaccostandosi a Cons. Stato, ad plen., 7 aprile 1981, n. 2, Foro
it., 1981, III, 427, con nota di richiami, e ritenendo irrilevanti le argo mentazioni svolte in senso contrario da Cass. 3 novembre 1982, n. 5750,
id., 1982, I, 2755, con nota di C.M. Barone e Pardolesi. Ciò nonostante, come si è subito anticipato, la giurisprudenza nega
che il giudice amministrativo possa rivalutare automaticamente l'indenni
tà di buonuscita in discussione: Cons. Stato, ad. plen., 28 gennaio 1985, n. 1, id., 1985, III, 142, con nota di richiami conformi; sez. VI 30 otto
bre 1985, n. 566, id., 1986, III, 159, con nota di ulteriori richiami con
formi, ai quali adde, successivamente sempre nel medesimo senso tra le
tante, sez. IV 7 marzo 1986, n. 151 id., Rep. 1986, voce Impiegato dello
Stato, n. 890; sez. VI 5 dicembre 1985, n. 658, 22 gennaio e 5 maggio
1986, nn. 43 e 371, ibid., nn. 892, 891, 893; sez. IV 21 gennaio 1987, n. 24, Cons. Stato, 1987, I, 13; sez. VI 31 luglio, 21 settembre e 23
novembre 1987, nn. 502, 734 e 910, ibid., 1124, 1298 e 1663, nonché
28 gennaio 1988, n. 140, id., 1988, I, 43; Cass. 11 febbraio 1987, nn.
1468 e 1469, Foro it., Mass., 244, applica alla questione di giurisdizione sulla rivalutazione dell'indennità di buonuscita il criterio di ripartizione
sopra ricordato come avente valore di principio generale sulla rivalutazio
ne dei crediti del pubblico dipendente, secondo cui rientra nella giurisdi zione esclusiva del giudice amministrativo la domanda di rivalutazione
automatica basata sul solo fatto del ritardo nell'adempimento; mentre
Cons. Stato, sez. VI, 13 febbraio 1987, n. 42, Cons. Stato, 1987, I, 183,
distingue tra la questione di giurisdizione, che risolve a favore del giudice amministrativo allo stesso modo della sentenza della Cassazione, e que stione di sostanza, che risolve in senso negativo alla spettanza della riva
lutazione al pubblico dipendente, in conformità con la giurisprudenza del
giudice amministrativo ora richiamata. Comunque, le tensioni maggiori sirilevano nella giurisprudenza dei T.A.R., nella quale, accanto alle tan
II Foro Italiano — 1988 — Parte III-9
II
CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 5 novembre 1987, n. 881; Pres. Laschena, Est. Luce; Palatiello (Avv. Coronas) c. Inps (Avv. Chiabrera, Sacerdoti).
Impiegato dello Stato e pubblico — Crediti connessi alla cessa
zione del servizio — Sequestro da parte della Corte dei conti — Corresponsione tardiva — Rivalutazione e interessi —
Esclusione.
L'Inps non è tenuto a corrispondere la rivalutazione dei crediti
tardivamente soddisfatti maturati da un suo dipendente in con
seguenza della cessazione deI rapporto di impiego, nonché i
relativi interessi, se il ritardo del pagamento sia dovuto a decre
to di sequestro, debitamente convalidato, emesso dalla Corte
dei conti nel corso di un giudizio di responsabilità intentato
nei suoi confronti. (2)
te pronunce in senso conforme alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, se ne rinvengono altre contrastanti: da queste, la soluzione equitativa del la sentenza del T.A.R. Lazio ora riportata costituisce esempio, come la sentenza 19 ottobre 1986, n. 512, Trib. amm. reg., 1987, I, 187, con la quale la sezione III del T.A.R. Lombardia, pur concordando col Con
siglio di Stato nella inapplicabilità dell'art. 429 c.p.c. alla indennità di buonuscita spettante ai dipendenti dello Stato, ha riconosciuto il maggior danno da svalutazione monetaria connesso col ritardo della sua corre
sponsione, in base agli art. 1218 e 1225 c.c., e prendendo a parametro l'ordinaria remunerazione che il dipendente avrebbe ottenuto attraverso il deposito bancario delle somme spettantegli, e i tassi ordinariamente
praticati dagli istituti di credito. D'altra parte, sono di tribunali ammini strativi regionali le ordinanze che di recente hanno riproposto alla Corte costituzionale la questione di costituzionalità della normativa: T.A.R. Lazio, sez. Ili, 15 giugno 1987, n. 1128, Trib. amm. reg., 1987, I, 2268; T.A.R.
Liguria 15 luglio e 19 agosto 1985, nn. 455 e 488, Foro it., Rep. 1986, voce cit., nn. 887, 888.
La ragione di questa esclusione della rivalutabilità automatica da parte del giudice amministrativo della indennità di buonuscita che l'Enpas deve
corrispondere ai dipendenti dello Stato, sta nel suo carattere previdenzia le, e non retributivo, affermata da tutta la giurisprudenza richiamata, e confermata, da ultimo, da Corte cost. 25 febbraio 1988, n. 220 in que sto fascicolo, I, 1437, con nota di richiami, per trarne delle conseguenze qui non direttamente rilevanti. Questa esclusione, dunque, si inquadra nella giurisprudenza che limita l'applicabilità dell'art. 429 c.p.c. ai soli crediti del lavoratore aventi natura retributiva, giurisprudenza che trova il suo primo punto di riferimento nella sentenza della Corte cost. 29 di
cembre 1977, n. 162, Foro it., 1987, I, 7, con nota di richiami, e costan temente fatta propria dal Consiglio di Stato: tra le tante, ad. plen. 16
aprile 1985, n. 14, che ha escluso la rivalutabilità automatica dell'equo indennizzo, id., 1985, III, 237, con nota di richiami. Per quel che riguar da, specificamente, le indennità di fine rapporto, la giurisprudenza am
ministrativa appare nettamente orientata a negare la rivalutabilità
automatica di quelle indennità che abbiano carattere previdenziale: con
l'implicazione, peraltro, della rivalutabilità di quelle che, viceversa, ab
biano carattere retributivo, secondo l'analisi che, tra l'altro, ha compiuto da ultimo la già richiamata sentenza 220/88 della Corte costituzionale:
alla giurisprudenza che si pronuncia sulla rivalutabilità o meno delle varie
indennità di fine rapporto secondo questa distinzione, richiamata in nota a Cons. Stato, sez. VI, n. 566/85, cit. (che le ha appunto utilizzate per negare la rivalutabilità della indennità di buonuscita dei dipendenti dello
Stato), id., 1986, III, 159, adde, successivamente, Cons. Stato, sez. VI, 31 gennaio, 5 marzo e 6 ottobre 1986, nn. 80, 215, 221, e 773, id., Rep. 1986, voce cit., nn. 846, 845, 894, 869; T.A.R. Lazio, sez. Ili, 31 luglio
1985, n. 1199, ibid., n. 861; T.A.R. Campania, sez. Ili, 12 giugno 1985, n. 268, ibid., n. 860; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia 12 novembre 1985, n. 329, ibid., voce Impiegato degli enti locali, n. 180; e soprattutto Cons.
Stato, ad. plen., 6 maggio 1986, n. 5, id., 1986, III, 289, con nota di
ulteriori richiami. Così, è conformemente a questi indirizzi giurispruden ziali dominanti che la decisione 141/88 della sez. VI del Consiglio di
Stato qui riportata ha potuto affermare la rivalutabilità dell'indennità
di fine servizio spettante ai dipendenti dell'Inps; e Cass. 24 febbraio 1987, n. 1953, in questo fascicolo, I, 1656, con nota di richiami, sulla base
di analoghe argomentazioni, ha fatto rientrare nella giurisdizione esclusi
va del giudice amministrativo le controversie in genere relative alla inden
nità di buonuscita avente carattere retributivo che l'Enpas eroga ai propri
dipendenti (e non a questi dipendenti stessi).
(2) La decisione non pare voler contrastare col quadro giurisprudenzia le sopra delineato: solo individua una ipotesi nella quale, per evidenti
ragioni, non sarebbero applicabili i principi da esso sostenuti.
(4-5, 13-14) T.A.R. Campania, sez. I, 18 ottobre 1983, n. 1019, Foro
it., 1985, III, 78, con nota di richiami di precedenti costanti conformi
che pure ha negato la rivalutabilità automatica da parte del giudice am
ministrativo dell'indennità di buonuscita spettante ai dipendenti dello Stato,
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PARTE TERZA
Ill
CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 31 luglio 1987, n. 502; Pres. Buscema, Est. D'Angelo; Enpas (Avv. dello Sta
to Zotta) c. Verardi (Avv. Zompì). Annulla T.A.R. Puglia, sez. Lecce, 8 marzo 1983, n. 72.
Impiegato dello Stato e pubblico — Dipendente statale — Inden
nità di buonuscita — Rivalutazione — Difetto di giurisdizione amministrativa — Interessi corrispettivi — Giurisdizione am
ministrativa.
Impiegato dello Stato e pubblico — Dipendente statale — Inden
nità di buonuscita — Corresponsione tardiva — Interessi corri
spettivi — Spettanza — Limiti (L. 20 marzo 1980 n. 75, proroga del termine previsto dall'art. 1 1. 6 dicembre 1979 n. 610, in
materia di trattamento economico del personale civile e milita
re dello Stato in servizio e in quiescenza; norme in materia
di computo della tredicesima mensilità e di riliquidazione del
l'indennità di buonuscita e norme di interpretazione e di attua
zione dell'art. 6 1. 29 aprile 1976 n. 177, sul trasferimento degli
assegni vitalizi al fondo sociale e riapertura dei termini per la
opzione, art. 6, 7). Giustizia amministrativa — Giurisdizione esclusiva — Diritti pa
trimoniali del pubblico dipendente — Compensazione di crediti
estranei al rapporto — Esclusione (R.d. 26 giugno 1924 n. 1054, t.u. sul Consiglio di Stato, art. 30; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione dei tribunali amministrativi regionali, art. 7).
Sfugge alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo il
ricorso con cui il dipendente dello Stato collocato a riposo chiede
all'Enpas la rivalutazione della indennità di buonuscita che gli ha corrisposto tardivamente. (3)
Rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
il ricorso con cui il dipendente dello Stato collocato a riposo chiede all'Enpas gli interessi corrispettivi relativi alla indennità
di buonuscita corrisposta tardivamente. (4) Al dipendente dello Stato collocato a riposo per il raggiungimen
to del limite di età, al quale l'Enpas abbia corrisposto l'inden
nità di buonuscita dopo oltre novanta giorni dalla cessazione
dal servizio, spettano su tale indennità gli interessi corrispettivi dalla data di corresponsione dell'indennità. (5)
L'amministrazione, al pubblico dipendente che agisca davanti al
giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva a tute
la di propri diritti patrimoniali, non può opporre in compensa zione un proprio credito estraneo alla disciplina del rapporto di impiego. (6)
conformemente all'orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, ha affermato la spettanza al dipendente dello Stato collocato a riposo, cui tale indennità sia stata corrisposta tardivamente, degli interessi legali a decorrere dalla scadenza del termine di trenta giorni previsti dall'art. 26
d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1032, nel testo originario vigente all'epoca della vicenda.
Cons. Stato, sez. VI, 30 ottobre 1985, n. 566, cit., id., 1986, III, 159, con nota di ulteriori richiami, che, come si è detto, ha ugualmente negato la rivalutabilità automatica da parte di tale giudice della indennità di buo nuscita in questione, ha anche negato che quel giudice abbia giurisdizione sulla domanda dei relativi interessi, almeno in base all'art. 429 c.p.c.: ma sembra che la non perspicua motivazione al riguardo debba essere
interpretata nel senso che gli interessi siano solo quelli riferiti all'indenni tà rivalutata, e non quelli riferiti all'indennità nel suo ammontare originario.
Successivamente ai precedenti richiamati in questa seconda nota, han no affermato la spettanza degli interessi a partire dalla scadenza del ter mine di novanta giorni previsto dall'art. 26 d.p.r. 1032/73, nel nuovo testo derivante dalle modifiche apportate dall'art. 7 1. 75/80, Cons. Sta
to, sez. VI, 23 novembre 1987, n. 910, Cons. Stato, 1987, I, 1663; T.A.R.
Lombardia, sez. Ili, 19 novembre 1986, cit., Trib. amm. reg., 1987, I, 186; T.A.R. Piemonte, sez. I, 29 agosto 1985, n. 311, Foro it., Rep. 1986, voce Impiegato dello Stato, n. 900, peraltro, ha affermato che gli interessi corrispettivi (oltre che la rivalutazione) cominciano a decorrere
già dal collocamento a riposo del dipendente, assegnando al termine sud detto la sola rilevanza secondaria di fondare il carattere colposo del ritar do, base per ulteriore obbligazione di interessi. E Cons. Stato, sez. IV, 21 gennaio 1987, n. 24, Cons. Stato, 1987, I, 13, pronunciandosi sul diverso caso in cui l'obbligazione di corresponsione dell'indennità di buo nuscita sorga per il decesso del dipendente statale, ha affermato che gli interessi decorrono da tale decesso.
(6) Applicazione del principio secondo il quale la giurisdizione esclusi va del giudice amministrativo è circoscritta ai provvedimenti, ai diritti e agli obblighi inerenti al rapporto di pubblico impiego.
Il Foro Italiano — 1988.
IV
CORTE DEI CONTI; sezioni riunite; decisione 27 gennaio 1987, n. 525/A; Pres. Carbone, Est. Ristuccia; Carta e altri.
Pensione civile, militare e di guerra — Ratei — Corresponsione tardiva — Rivalutazione automatica — Giurisdizione della Corte
dei conti — Limiti (Cod. civ., art. 1218, 1219, 1224; cod. proc.
civ., art. 115, 429; 1. 14 agosto 1862 n. 800, istituzione della
Corte dei conti, art. 11; r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, art. 30; r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, t.u. delle leggi sull'ordinamento
della Corte dei conti, art. 13, 62; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, art. 7).
Pensione civile, militare e di guerra — Ratei — Corresponsione tardiva — Interessi — Giurisdizione della Corte dei conti —
Limiti (Cod. civ., art. 1219, 1282; r.d. 23 maggio 1924 n. 827, regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la con
tabilità generale dello Stato, art. 170, 278, 356). Pensione civile, militare e di guerra — Ratei — Corresponsione
tardiva — Rivalutazione automatica — Domanda autonoma — Esclusione — Giudicato sul credito principale — Preclusione.
Rientra nella giurisdizione della Corte dei conti la domanda di
rivalutazione automatica dei ratei tardivamente corrisposti del
le pensioni ordinarie, normali e di privilegio a carico dello
Stato. (7) Sfugge alla giurisdizione della Corte dei conti la domanda di ri
valutazione automatica dei ratei tardivamente corrisposti delle
pensioni di guerra e ordinarie « tabellari». (8) Rientra nella giurisdizione della Corte dei conti la domanda di
pagamento degli interessi di diritto, relativi ai ratei di pensione tardivamente corrisposti, ma solo a far data dal provvedimento amministrativo di liquidazione della pensione stessa. (9)
(7-9, 12) La decisione delle sezioni riunite della Corte dei conti, risol vendo le incertezze ed i contrasti manifestatisi nella giurisprudenza delle
singole sezioni, ricostruiti in motivazione mediante ampi richiami di pre cedenti ai quali si rinvia, propone una serie, che sembra coerente, di solu zioni dei problemi in discussione, rispetto ai crediti pensionistici, perfettamente complementari rispetto alle soluzioni fin qui illustrate, adot tate dal giudice amministrativo per gli analoghi problemi rispetto ai cre diti del pubblico dipendente: e perviene a tali conclusioni sulla base di una attenta ricostruzione della evoluzione giurisprudenziale, non solo del
Consiglio di Stato, ma anche della Corte costituzionale e della Cassazione. Il passaggio fondamentale della motivazione pare doversi individuare
nella rilevazione e nella definizione di una sorta di tertium genus tra i crediti spettanti al pubblico dipendente in costanza di rapporto, la cui rivalutabilità automatica da parte del giudice amministrativo può ritener si acquisita a partire dalla ricordata decisione dell'adunanza plenaria del
Consiglio di Stato 30 ottobre 1981, n. 7, Foro it., 1982, III, 1, con nota critica di Pardolesi, con una evoluzione del «diritto vivente» della quale la stessa Corte costituzionale ha dovuto finire col prendere atto con la sentenza 24 marzo 1986, n. 52, id., 1986, I, 857, con rilievi critici di C.M. Barone, superando le proprie precedenti prese di posizione contra
rie, e crediti del medesimo pubblico dipendente aventi carattere previden ziale, la cui non rivalutabilità automatica affermata da Corte cost. 29 dicembre 1977, n. 162, id., 1978, I, 7, con nota di richiami, non è stata
superata dalla successiva giurisprudenza nella Cassazione e nel Consiglio di Stato: tertium genus costituito dai crediti spettanti al pubblico dipen dente dopo la cessazione del rapporto di impiego, e, anzi, a causa di
questa cessazione, ma che, ciò nonostante, hanno un carattere retributivo come quelli spettanti in costanza di rapporto. La decisione della Corte dei conti ora riportata ha rilevato con precisione gli orientamenti della Cassazione (ai cui richiami adde Cass. 24 febbraio 1987, n. 1953, in que sto fascicolo, I, 1656, con nota di richiami), e del Consiglio di Stato, come confermato dalla decisione della sez. VI n. 502/87, parimenti ora
riportata (ma anche dalla Corte costituzionale: sentenza 25 febbraio 1988, n. 220, in questo fascicolo, I, 1437, con nota di richiami), che, nel l'ambito delle indennità di fine rapporto in ordine alle quali la Corte dei conti difetta di giurisdizione, hanno distinto tra indennità aventi ca rattere di retribuzione differita, e indennità aventi carattere previdenziale, ammettendo la rivalutabilità automatica da parte del giudice amministra tivo per le prime, ed escludendola per le seconde, come si è esposto in
precedenza; e ha utilizzato la distinzione a questi stessi fini, applicandola ai crediti pensionistici ricadenti nella propria giurisdizione, nuovamente
ridefinita; l'inserimento coerente delle soluzioni proposte nel quadro del la giurisprudenza della Cassazione e del giudice amministrativo è facilita to dalla convergenza con questa anche sulla individuazione del principale criterio di distinzione tra le due categorie: la circostanza che l'onere del soddisfacimento dei crediti spettanti al pubblico dipendente dopo e a cau sa della cessazione del rapporto ricada sull'amministrazione di apparte
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Sfugge alla giurisdizione della Corte dei conti la domanda con
cui il pensionato chieda la rivalutazione automatica dei ratei
di pensione tardivamente corrispostigli, nonché i relativi inte
ressi, se tale domanda sia proposta autonomamente rispetto a quella concernente il suo credito principale. (10)
Al pensionato è preclusa la proposizione della domanda di riva
lutazione dei ratei di pensione tardivamente corrispostigli, non
ché dei relativi interessi, se tale domanda sia stata avanzata
dopo che la Corte dei conti abbia emesso la decisione sulla
esistenza e sulla misura del trattamento di pensione. (11)
V
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA ZIO; sezione II; sentenza 3 marzo 1987, n. 302; Pres. Chieppa, Est. Corasaniti; Scuderi (Avv. Cevolotto) c. Min. finanze, Min. tesoro, Enpas (Avv. dello Stato Patierno).
Pensione civile, militare e di guerra — Ratei — Corresponsione tardiva — Rivalutazione monetaria e interessi — Giurisdizione
ordinaria (Cod. civ., art. 1224; r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, art. 13, 62).
Impiegato dello Stato e pubblico — Dipendente statale — Inden
nità di buonuscita — Interessi corrispettivi — Giurisdizione am
ministrativa (L. 20 marzo 1980 n. 75, art. 6).
Impiegato dello Stato e pubblico — Dipendente statale — Inden
nità di buonuscita — Corresponsione tardiva — Interessi corri
spettivi — Spettanza (D.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1032, t.u.
delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipen denti civili e militari dello Stato, art. 26; 1. 20 marzo 1980 n.
75, art. 7). Impiegato dello Stato e pubblico — Dipendente statale — Inden
nità di buonuscita — Corresponsione tardiva — Rivalutazione — Giurisdizione amministrativa — Fattispecie.
Sfugge alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e
rientra in quella del giudice ordinario, la domanda con cui il
dipendente dello Stato collocato a riposo chiede la rivalutazio
nenza, o su un soggetto pubblico terzo rispetto a quel rapporto (sul pun to, v. in particolare Cass. 1953/87, cit., e la relativa nota di richiami).
L'affermazione del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo
sulla domanda di rivalutazione dei ratei di pensione tardivamente corri
sposti a vedova di dipendente dello Stato, sostenuta dalla sez. II del T.A.R.
Lazio con la sentenza ora riportata (ma anche con la successiva sentenza
24 settembre 1987, n. 1504, Trib. amm. reg., 1987, I, 3329), converge con le conclusioni della decisione delle sezioni riunite della Corte dei con
ti. E neppure confligge con essa l'ulteriore affermazione di queste due
sentenze, secondo cui la giurisdizione sarebbe del giudice ordinario: infat
ti, le pronunce si sono riferite al caso in cui la rivalutazione venga chiesta
allegando elementi di maggior danno, e non hanno considerato la possi bilità di una rivalutazione automatica in base ai coefficienti Istat: è a
questa diversa ipotesi che si riferisce la rivendicazione di giurisdizione della Corte dei conti in proposito, avanzata dalla decisione delle sezioni
riunite, secondo una distinzione ben radicata nella giurisprudenza della Cassazione e del giudice amministrativo concernente i crediti spettanti al pubblico dipendente in costanza di rapporto, come si è prima accennato.
Per altri riferimenti, v. le sentenze 12 agosto 1985, n. 1238, e 23 giugno 1986, n. 2215, Foro it., Rep. 1986, voce Impiegato dello Stato, nn. 771,
772, con le quali la sezione III del T.A.R. Lazio ha limitato la giurisdi zione del giudice amministrativo sulla domanda di rivalutazione di crediti
del pubblico dipendente, a quei soli crediti la cui sussistenza sia stata
affermata dal giudice amministrativo, con esclusione di quelli la cui esi
stenza sia stata affermata da altri giudici, e, in particolare, dalla Corte
dei conti.
(10) La soluzione adottata dalla Corte dei conti si distacca da quella che ha prevalso nella giurisprudenza del giudice amministrativo, che af
ferma la proponibilità anche in via autonoma della domanda di rivaluta
zione e di interessi relativi ai crediti del pubblico dipendente, non parimenti
oggetto di ricorso, di solito perché già soddisfatti, sia pure tardivamente:
v. la nota di richiami a T.A.R. Lazio, sez. Ili, 10 marzo 1986, n. 824
(che ha applicato il principio sostenendo che il pagamento spontaneo del
credito principale entro il termine di prescrizione costituisce un fatto in
terattivo della prescrizione che si estende anche al credito accessorio), Foro it., 1987, III, 617; successivamente, nello stesso senso, Cons. Stato,
sez. VI, 1° dicembre 1986, n. 882, Cons. Stato, 1986, I, 1910; 27 gennaio
1987, n. 10, id., 1987, I, 60.
(11) Anche su questo aspetto pare più favorevole al dipendente la giuris
prudenza del giudice amministrativo, specialmente in base all'orienta
II Foro Italiano — 1988.
ne monetaria e gli interessi sui ratei di pensione tardivamente
corrispostigli. (12) Rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
il ricorso con cui il dipendente dello Stato collocato a riposo chiede all'Enpas gli interessi corrispettivi relativi alla indennità
di buonuscita corrisposta tardivamente. (13) Al dipendente dello Stato collocato a riposo spettano gli interessi
corrispettivi relativi a quella parte dell'indennità di buonuscita
che l'Enpas gli ha corrisposto tardivamente. (14) Il giudice amministrativo, adito in sede di giurisdizione esclusiva
dal dipendente dello Stato collocato a riposo, con ricorso diret
to ad ottenere la rivalutazione di quella parte dell'indennità
di buonuscita che l'Enpas gli ha corrisposto con più di dieci
anni di ritardo in seguito a controversie giurisdizionali, può
riconoscergli in via equitativa il diritto ad ottenere a tale titolo
la maggiorazione del tre per cento della parte suddetta. (15)
I
Diritto. — Il giudizio è ormai circoscritto alla questione della
spettanza della rivalutazione sulle somme dovute a titolo di in
dennità di buonuscita.
La sezione, dopo aver preso visione del regolamento per il trat
tamento di previdenza e quiescenza del personale dell'Inps, ritie
ne che la soluzione del quesito debba essere positiva. Come si evince dal citato regolamento, approvato con delibe
razione consiliare n. 54 del 12 giugno 1970 modificata, a seguito del d.m. 22 febbraio 1971, con deliberazione consiliare del 18
marzo 1971 ed entrato in vigore il 1° aprile 1971, il trattamento
di quiescenza spettante ai dipendenti dell'istituto è costituito (art.
2, 34 e 35, lett. a) da una indennità di fine servizio (denominata indennità di buonuscita per chi ha maturato il diritto a pensione, ovvero indennità una tantum per tutti gli altri) che si acquista in dipendenza della sola circostanza di aver prestato servizio alle
dipendenze dell'ente; è dovuta qualunque sia la durata del servi
zio stesso ed è direttamente correlata ad esso in quanto spettante nella proporzione fissa di un dodicesimo di retribuzione per quanti sono gli anni di servizio. Inoltre l'indennità in parola è posta direttamente a carico dell'istituto, il che esclude che alla sua ero
gazione concorra la contribuzione del dipendente, e, in caso di
morte del beneficiario diretto, essa si devolve secondo le disposi zioni all'uopo stabilite dal codice civile.
Da tali disposizioni si può desumere che l'indennità di fine ser
vizio dei dipendenti dell'Inps, siccome disciplinata dal regolamento del 1971, è correlata in maniera diretta e automatica con la pre stazione di una attività lavorativa ed è assimilabile, in sostanza,
alla indennità di anzianità prevista dall'art. 2120 c.c. per i dipen denti privati, della quale, com'è noto, la Corte costituzionale ha
chiarito la natura retributiva (Corte cost. 27 giugno 1968, n. 75,
Foro it., 1968, I, 2054). Nei sensi sopra ricordati si è pronunciata peraltro anche l'adu
nanza plenaria del Consiglio di Stato (n. 8 del 26 marzo 1985,
id., 1985, III, 238) in relazione all'indennità di fine servizio dei
mento inaugurato da Cons. Stato, ad. plen., 8 ottobre 1985, n. 19, Foro
it., 1985, III, 413, con nota di richiami, e seguito poi dalle sezioni singole e dai tribunali amministrativi regionali (indicazioni nella già citata nota
di richiami a T.A.R. Lazio, sez. III, 824/86), secondo cui la rivalutazione
del credito del pubblico dipendente può essere pronunciata addirittura
anche solo nel giudizio di ottemperanza (con la limitazione della preclu sione derivante dalla soddisfazione spontanea da parte dell'amministra
zione del credito principale, prima della proposizione del relativo ricorso:
Cons. Stato, sez. IV, 27 giugno 1986, n. 451, id., Rep. 1986, voce Giusti
zia amministrativa, n. 902): già le decisioni della sez. VI 882/86, sopra
citata, e 494/86, richiamata nella medesima nota, dal fatto che la propo nibilità in tale sede della domanda di rivalutazione non veniva preclusa dal giudicato formatosi sulla decisione da eseguire, avevano tratto la con
seguenza che a fortiori la proposizione della domanda in via autonoma
non può considerarsi preclusa da qualsiasi altro precedente giudicato con
cernente il credito principale. Però la medesima sez. VI con la decisione
7 luglio 1986, n. 494, ibid., voce Impiegato dello Stato, n. 768, ha esclu
so la proponibilità in via autonoma della domanda di rivalutazione di
un credito principale, sulla cui esistenza e misura il giudice amministrati
vo si sia pronunciato con sentenza passata in giudicato.
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PARTE TERZA
dipendenti del disciolto Inam, il cui regolamento di previdenza e quiescenza era pressoché identico a quello dell'Inps.
Il collegio è consapevole che la VI sezione si è altre volte pro nunciata in senso contrario alla soluzione qui accolta, ma ritiene
che le argomentazioni dell'adunanza plenaria possano essere pie namente condivise ed applicate all'indennità di fine servizio del
dipendente dell'Inps. Ne discende che l'appello deve essere accolto.
II
Diritto. — Come già rilevato precedentemente, per il periodo
compreso tra la data di sospensione del Palatiello dal servizio
(9 febbraio 1966) sino a quella dell'adozione del provvedimento di rimozione dell'impiego (5 novembre 1971), al ricorrente non
è stato corrisposto alcun emolumento a titolo di rivalutazione
monetaria o di interesse corrispettivo o compensativo. Il T.A.R. ha giustificato il diniego, respingendo, pertanto, il
relativo capo dell'originario ricorso del dipendente, osservando
che, sino alla data del 5 novembre 1971, il credito del Palatiello
difettava dei requisiti della liquidità, e della esigibilità, richiesti dall'art. 1282 c.c. per poter produrre effetti accessori, non essen
do, in realtà, ancora sorto alcun diritto alle prestazioni di fine
rapporto ovvero di previdenza. La questione viene riproposta dal Palatiello con il primo moti
vo di impugnazione, con il quale il dipendente deduce che l'art.
103 del regolamento del personale prevedeva che il dipendente
sottoposto a giudizio per delitto poteva essere sospeso dalle fun
zioni e che la sospensione era obbligatoria soltanto nel caso in
cui fosse stato emesso mandato di cattura, aggiungendo, peral
tro, che, in tal caso, nell'ipotesi di assoluzione e di riammissione, in servizio, salvo le limitazioni dipendenti dai provvedimenti adot
tati in sede di procedimento disciplinare, il personale non avreb
be subito alcun pregiudizio di anzianità e avrebbe percepito gli
stipendi trattenuti.
Non tiene, peraltro, conto il dipendente che l'ipotesi da lui ri
chiamata non trova applicazione nel caso esaminato, in cui non
vi è stata assoluzione, in sede penale, bensì condanna e rimozione
dall'impiego. Cosi come analogamente, ininfluente è l'ulteriore censura, de
rivante dal richiamo dell'art. 103 bis dello stesso regolamento del
personale, secondo cui la rinnovazione del contratto di impiego, che fosse venuto a scadere quando fosse stato iniziato a carico
dell'impiegato procedimento disciplinare o procedimento penale,
oppure fosse stata disposta la sospensione cautelare a tempo in
determinato dalle funzioni, restasse sospesa, e che durante la so
spensione della rinnovazione restasse prorogato il vigore del
precedente contratto di impiego, e che, non più tardi di tre mesi
dalla fine del procedimento disciplinare o dal termine di quello
penale con sentenza passata in giudicato, si procedesse, con deli
berazione del comitato esecutivo, alla eventuale rinnovazione del
contratto od alla sua rescissione.
Anche tali rilievi sono, infatti, ininfluenti per il caso esaminato
in cui vi è stata condanna del Palatiello in sede penale e conse
guente rimozione dall'impiego ed in cui principalmente si discute
della liquidità e della esigibilità delle somme, non ancora deter
minate nel loro ammontare e non suscettibili di pagamento, do
vute al dipendente per la cessazione di rapporto di lavoro.
Così come ininfluente è l'ultimo rilievo dell'appellante, secon
do cui la successiva 1. 8 giugno 1966 n. 424, abrogando, all'art.
1, le norme che prevedevano, a seguito di condanna penale o
di provvedimento disciplinare, la perdita, la riduzione o la so
spensione del diritto del dipendente dello Stato o di altro ente
pubblico al conseguimento ed al godimento della pensione e di
ogni altro assegno o indennità da liquidarsi in conseguenza della
cessazione del rapporto di dipendenza disponeva, all'art. 4, che
la pensione e gli altri trattamenti previsti dagli art. 1 e 3 della
stessa legge erano sequestrabili e pignorabili per il realizzo dei
crediti e del risarcimento del danno eventualmente causato dal
dipendente. E che quando i crediti stessi siano stati accertati con
sentenza passata in giudicato, il ristoro del danno subito dall'am
ministrazione può avvenire anche mediante trattenuta sugli im
porti da corrispondere. La pensione, comunque, non può essere sottoposta a seque
stro, a pignoramento o a trattenuta in misura superiore ad un
quinto, valutato al netto delle ritenute.
Il Foro Italiano — 1988.
Gli indicati rilievi del ricorrente non spostano, peraltro, i ter
mini della questione relativa alla liquidità ed alla esigibilità dei crediti, atteso che il pubblico dipendente ha diritto, alla corre
sponsione degli interessi corrispettivi ed al riconoscimento della
rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat, in relazione ai
soli crediti certi, liquidi ed esigibli e tali non erano quelli del Palatiello prima della conclusione del giudizio penale e prima della
liquidazione da parte dell'Inps.
Analogamente, per le somme trattenute durante il periodo re
lativo al sequestro, intercorrente tra la data del 2 maggio 1972
del decreto di sequestro conservativo autorizzato dal presidente della prima sezione giurisdizionale della Corte dei conti, interve
nuta per il giudizio di responsabilità contabile correlato al com
portamento del ricorrente, sequestro convalidato dalla stessa
sezione in data 4 giugno-25 luglio 1973, e la data del 2 giugno 1980 della sentenza definitiva della corte stessa, nessun compenso a titolo di rivalutazione monetaria o di interesse è stato corrisposto.
Ed al riguardo l'appellante deduce (secondo motivo di appello) che le spettanze integrali a lui dovute a seguito della cessazione
dal servizio non avrebbero potuto essere assoggettate ad alcuna
trattenuta per ristoro di eventuali danni, ai sensi dell'art. 4, 2°
comma, 1. n. 424 dell'8 giugno 1986, prima della sentenza della
Corte dei conti, la quale avesse accertato e quantificato i crediti
dell'Inps per risarcimento danni. Sulle somme trattenute, quindi, secondo l'appellante, dovevano essere corrisposti la rivalutazione
monetaria e gli interessi corrispettivi.
Inoltre, l'appellante rileva che l'impugnata decisione, andando
di diverso avviso, si era posta in contrasto con la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato che, nella sentenza n. 519 del 26
ottobre 1982, sez. VI, (Foro it., 1983, III, 256), aveva affermato
l'esatto contrario.
Anche tale doglianza è infondata e va respinta. Come sottolineato dal T.A.R., sino alla conclusione del pro
cesso contabile, l'iniziativa dell'Inps è stata sempre supportata da un provvedimento del giudice, prima penale e poi contabile, con la conseguenza dell'assoluta indisponibilità da parte dell'Inps stesso delle somme sequestrate e con esclusione di qualsiasi possi bilità di impiego fruttifero di esse; dal che la inaccoglibilità di ogni pretesa relativa al trattamento accessorio della rivalutazione
monetaria o degli interessi.
D'altra parte, poi, neppure è comparabile al caso di specie l'i
potesi di cui alla richiamata sentenza n. 519 del 26 ottobre 1982, dal momento che nel caso in esame non vi è identificazione, co
me invece avveniva nella sentenza richiamata, tra terzo sequestra to e creditore sequestrante.
Nella specie, infatti, l'azione è stata esperita, in nome proprio, dalla Corte dei conti, dei cui comportamenti, in quanto posti in
essere da un organo esterno avente rilevanza sul piano costituzio
nale e da soggetti rivestenti la qualità dei magistrati, l'Inps non
poteva essere né direttamente né indirettamente responsabile.
E, d'altro canto, sempre come bene evidenziato dalla difesa
dell'Inps, se veramente l'Inps dovesse essere considerato debitore
degli interessi corrispettivi e della rivalutazione monetaria verreb
be certamente a subire un onere aggiuntivo che non troverebbe
alcun riferimento nel ritardo nel pagamento, atteso che l'Inps era legalmente impossibiltato — a causa del sequestro eseguito dalla procura della corte stessa — ad eseguire il pagamento.
(Omissis)
III
Diritto. — {Omissis). Nel merito il ricorso in appello è fondato nella parte concernente la domanda della rivalutazione monetaria
dell'indennità di buonuscita Enpas. La rivalutazione monetaria è applicabile soltanto sugli emolu
menti aventi funzione retributiva, mentre tale indennità, non es
sendo correlata in maniera automatica alla prestazione dell'attività
lavorativa, va intesa, diversamente dall'indennità di anzianità pre vista per il rapporto di lavoro privato, che è collegata alla sempli ce prestazione di lavoro, non come retribuzione differita, ma avente natura previdenziale, come è stato riconosciuto dalla Corte costi tuzionale con le sentenze n. 19 del 18 febbraio 1970 (Foro it.,
1970, I, 191) e n. 82 del 19 giugno 1973 (id., 1973, I, 2372) non ché dell'adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato con le
decisioni n. 21 del 12 giugno 1979 (id., 1979, III, 449) e n. 1 del 28 gennaio 1985 (id., 1985, III, 142).
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Infondata è, invece, la censura in ordine al difetto di giurisdi zione per gli interessi corrispettivi, atteso che detti interessi si fon
dano sul fatto obiettivo che i crediti che fanno capo al rapporto di servizio vengono soddisfatti in epoca successiva a quella in
cui si sono maturati e, quindi, sono dovuti indipendentemente da ogni questione sulle cause del ritardo, sicché la relativa do
manda si pone come accessoria e non come un ulteriore ricono
scimento di danno rispetto all'obbligazione principale, con la quale costituisce una fattispecie unica, che rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Pertanto, all'appellato competono gli interessi corrispettivi (cfr. sez. VI 26 giugno 1985, n. 352 id., Rep. 1985, voce Impiegato dello Stato, n. 786) dalla scadenza del termine stabilito dall'art.
7, 3° comma, 1. 20 marzo 1980 n. 75, che si applica come ius
superveniens ai rapporti ancora pendenti, ovvero a decorrere dal
novantunesimo giorno della data di cessazione dal servizio per limite di età — atteso che l'Enpas è tenuto ad emettere il relativo
mandato di pagamento non oltre novanta giorni dalla data mede
sima — fino al 1° luglio 1981, momento in cui gli è stata corri
sposta l'indennità di buonuscita.
Del resto, il diritto dell'interessato alla corresponsione di detta
indennità integra un credito pecuniario, di ammontare determi
nato o determinabile mediante mero calcolo aritmetico e, perciò, immediatamente esigibile.
Né è rilevante l'eccezione sollevata dall'Enpas perché sia di
chiarata la compensazione tra il credito da esso vantato per spese di lite nei confronti del sig. Verardi e il tantundem dell'indennità
di buonuscita spettante a quest'ultimo giacché nei giudizi su rap
porti, come è quello di specie, sono riconducibili nella giurisdi zione esclusiva del giudice amministrativo solo le questioni relative
a diritti patrimoniali immediatamente e strettamente inerenti alla
disciplina del rapporto di impiego, mentre non è configurabile che possa trovarvi ingresso la domanda relativa alla compensa zione opposta.
Nei sensi e nei limiti avanti precisati va accolto il ricorso in
appello e, per l'effetto, va riformata, in parte qua, l'impugnata decisione.
IV
Diritto. — 1. - Le questioni di contrasto giurisprudenziale ri
messe a queste sezioni riunite, ai sensi dell'art. 4, 1° comma,
1. 21 marzo 1953 n. 161, con tre distinte ordinanze di identico
contenuto della sezione giurisdizionale della Sardegna, attenendo
alla soluzione di problemi di identica natura relativi alle diverse
articolazioni della materia delle pensioni a carico dello Stato ed
involgendo valutazioni di carattere unitario, vanno decise con
giuntamente. 2. - I profili di ammissibilità sostanziale e di giurisdizione che
comporta la questione della rivalutazione monetaria e degli inte
ressi sulle somme dovute dallo Stato a titolo di trattamento pen sionistico e corrisposte con ritardo, non divergono, anche per
l'aspetto della loro stretta connessione, da quelli relativi ai crediti
di retribuzione da rapporto di lavoro pubblico.
Appare però opportuno precisare che mentre in rapporto ai
crediti di retribuzione la questione della giurisdizione in ordine
alle domande di rivalutazione monetaria e di interessi si colloca
nell'ambito di precise norme di ripartizione delle competenze (art.
30, 2° comma r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 e art. 7, 3° comma,
1. 16 dicembre 1971 n. 1034) che, pur nelle materie di giurisdizio ne esclusiva, riservano al giudice ordinario la cognizione delle
questioni attinenti ai diritti patrimoniali conseguenziali alla pro nuncia di illegittimità dell'atto, per i crediti di pensione verso
10 Stato l'analoga questione si pone in termini diversi.
E, invero, poiché gli art. 13 e 62 t.u. delle leggi sulla Corte
dei conti, approvato con r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, parlano
di «ricorsi in materia di pensione» e di ricorsi «contro i provvedi
menti definitivi di liquidazioni di pensione», potrebbe dubitarsi dell'esistenza per la Corte dei conti di un limite positivo analogo
a quello di cui all'art. 30 e all'art. 7 1. cit. L'ampia dizione della
legge — materia di pensione — potrebbe cioè indurre a ritenere
che rientrino nell'ambito giurisdizionale della Corte dei conti tut
te le questioni che comunque valgano a definire, sotto ogni aspet
to, la pretesa patrimoniale nascente dal rapporto pensionistico
nei confronti dello Stato.
In realtà, per definire i limiti della giurisdizione della Corte
dei conti in materia di pensioni è necessario rifarsi alla 1. 14 ago
11 Foro Italiano — 1988.
sto 1862 n. 800 che attribuì' alla stessa la competenza a «liquida re» le pensioni a carico dello Stato ed a conoscere in sede giuri sdizionale dei ricorsi avverso detti decreti di liquidazione.
A parte la considerazione che gli art. 13 e 62 t.u. dei 1934,
pur adottando la forma apparentemente più ampia della «mate
ria di pensioni», non hanno ampliato la competenza giurisdizio nale della corte in quanto la legge di delega (art. 35 1. 10 aprile 1932 n. 255) non conferiva alcun potere di innovazione e modifi
ca dell'ordinamento preesistente, l'interpretazione giurispruden ziale si è sempre attenuta, in materia, al principio secondo cui
il discrimine tra la giurisdizione della corte e le altre giurisdizioni sia costituito dall'elemento deiia «liquidazione» di cui alla norma
originaria del 1862, intesa come accertamento della spettanza del
diritto a pensione e come determinazione della relativa misura
0quantum). Pertanto nel delineare i limiti della cognizione del giudice delle
pensioni a carico dello Stato, la giurisdizione più che ricercare
distinzioni tra il concetto di «accessorio» e quello di «ulteriore», come in rapporto alla espressione diritti patrimoniali conseguen
ziali, ha assunto a criterio di ripartizione il «titolo» della pretesa fatta valere, affermando la giurisdizione della corte ove la do
manda sia fondata direttamente ed esclusivamente sul rapporto
pensionistico e negandola allorché il titolo della pretesa sia auto
nomo e distinto rispetto al rapporto di pensione, ancorché a que sto connesso.
Le conclusioni non differiscono, peraltro, da quelle attinenti
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, essendo evi
dente che, anche seguendo tale autonoma via, la giurisprudenza non poteva che pervenire alla esclusione dall'ambito della giuris dizione pensionistica della Corte dei conti delle questioni relative
ad un ordinario diritto di credito verso l'amministrazione, come
le controversie attinenti al pagamento e alla fase esecutiva del
l'obbligazione e quelle nelle quali non sia comunque in contesta
zione né il diritto alla pensione né la sua misura (v. Cass., sez.
un., 7 gennaio 1981, n. 77 e 7 maggio 1981, n. 2950, Foro it.,
1981, I, 873 e 2008). È piuttosto da rilevare come la linea tendenziale della giuris
prudenza della Cassazione sia, negli ultimi tempi, nel senso del
riconoscimento di un principio di «concentrazione» nel giudice delle pensioni di tutte le questioni concernenti, direttamente o
indirettamente, la misura della pensione, comprese anche quelle relative al recupero di somme indebitamente percepite (Cass., sez.
un., 7 gennaio 1981, n. 77, cit.), in precedenza attribuite alla
giurisdizione del giudice ordinario o del giudice amministrativo.
3. - L'affermarsi nella giurisprudenza di tendenze alla concen
trazione — ravvisabili anche in recenti iniziative di revisione legis lativa del processo amministrativo — è dunque un ulteriore ele
mento di cui va tenuto conto nella necessaria ricostruzione dello
stato attuale del diritto sul problema di cui queste sezioni riunite
sono state investite.
Storicamente, la demarcazione tra giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo e giurisdizione ordinaria, regolata dal prin
cipio dei diritti patrimoniali conseguenziali e dalla relativa tradi
zionale interpretazione giurisprudenziale e dottrinaria che li
identificava nelle pretese di natura risarcitoria, poteva conside
rarsi questione del tutto pacifica, non bisognevole di verifiche
0 revisioni, cosi come per anni era stata incontroversa, in dottri
na e giurisprudenza, la inidoneità della svalutazione monetaria
a costituire elemento di cui tenere conto automaticamente ai fini
della disciplina prevista dall'art. 1224, 2° comma, c.c.
A porre in crisi tale sistema di pacifici e tradizionali convinci
menti interveniva la consistenza e la durata del fenomeno inflatti
vo per gli effetti prodotti proprio su quei rapporti economici —
1 rapporti di lavoro — che mentre, da un lato, costituiscono il
fondamento della società civile e quindi ricevono particolare tute
la costituzionale e legislativa, partecipano, dall'altro, della disci
plina prevista dal codice civile per il genere di obbligazioni nel
quale i relativi crediti sono inquadrabili. La natura di obbligazione di valuta dei crediti di lavoro e la
conseguente applicabilità agli stessi del principio nominalistico non
ché, per l'ipotesi di ritardo nel pagamento, di quello della dimo
strazione da parte del lavoratore dell'esistenza di un maggior danno
rispetto agli interessi legali, si scontrava palesemente con il prin
cipio costituzionale della retribuzione «adeguata», quale sicura
mente non poteva ritenersi una retribuzione corrisposta in ritardo
e quindi erosa dall'inflazione nel suo reale potere d'acquisto.
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PARTE TERZA
Da qui, evidentemente, l'intervento del legislatore che, con la
1. 11 agosto 1973 n. 533, modificando il testo dell'art. 429 c.p.c., introduceva il principio della determinazione automatica, da par
te del giudice, in ipotesi di condanna al pagamento di crediti di
lavoro, oltre che degli interessi legali, del maggior danno even
tualmente subito dal lavoratore con la diminuzione del valore del
suo credito, con decorrenza dal giorno della maturazione del di
ritto, principio integrato dal testo modificato dell'art. 150 disp.
att. c.p.c., secondo il quale, ai fini della suddetta determinazio
ne, deve applicarsi l'indice Istat per la scala mobile per i lavora
tori dell'industria.
Tale intervento legislativo, cui può riconoscersi il valore di «presa
d'atto» del fenomeno inflattivo, men che eliminare questioni e
controversie, comportava notevoli problemi interpretativi concer
nenti l'applicabilità di detto principio ad altri rapporti che, egual mente partecipanti della natura di debiti di valuta ed egualmente destinati al soddisfacimento di bisogni primari della vita, rimane
vano estranei alla categoria dei rapporti di lavoro privato cui si
riferiva l'art. 429 c.p.c. Tale norma veniva quindi sottoposta al vaglio della Corte co
stituzionale sia sotto il profilo della mancata previsione dei credi
ti per prestazioni previdenziali (pensioni di invalidità a carico della
assicurazione generale obbligatoria Ivs gestita dall'Inps), sia sotto
quello della non estensibilità ai crediti di lavoro dei dipendenti
degli enti pubblici non economici, sottratti alla giurisdizione
dell'a.g.o. Entrambe le questioni venivano dichiarate infondate dal giudi
ce delle leggi sul rilievo della non esistenza, in rapporto alle situa
zioni fatte valere, delle tre ragioni nelle quali era stato identificato
il fondamento giustificativo della novella legislativa e cioè l'esi
genza di mantenere inalterato il potere d'acquisto del salario in
relazione alle finaltà di questo ex art. 36 Cost.; l'esigenza di por re una remora al ritardo nell'adempimento; l'esigenza di riequili brio delle posizioni economiche delle parti con il recupero in favore
del lavoratore dell'arricchimento conseguito dal datore di lavoro
(sentenze nn. 13, 43 e 162 del 1977, id., 1977, I, 219, 257; 1978,
I, 7). In particolare, per i crediti di prestazioni previdenziali, la
Corte costituzionale, pur riconoscendo la loro funzione di sosten
tamento al pari dei crediti di lavoro, osservava che il rapporto di pensione presenta, rispetto al lavoro dipendente, caratteristica
autonoma di natura pubblicistica; che il ritardo nella liquidazio ne non è ascrivibile al proposito degli istituti debitori di lucrare
sulla svalutazione; che, conseguentemente, la sanzione della riva
lutazione non avrebbe effetto di remora.
La risposta negativa della Corte costituzionale alla richiesta di
una pronuncia «additiva» non sortiva però l'effetto di una chiu
sura definitiva della questione e ciò proprio in relazione alle am
missioni ed ai riconoscimenti contenuti nelle stesse dichiarazioni
di non fondatezza.
Il tema degli interessi e della rivalutazione monetaria dei crediti
di lavoro dei pubblici dipendenti veniva, infatti, ripreso dal Con
siglio di Stato che, con le sentenze ad. plen. 7 aprile 1981, n.
2 {id., 1981, III, 427) e 30 ottobre 81, n. 7 (id., 1982, III, 1) affermava la giurisdizione del giudice amministrativo.
Di tali pronunce giova ricordare la distinzione, ai fini del ripar to delle competenze ex art. 30 t.u. 1054/24, tra le questioni in
scindibilmente implicate con la questione rientrante nella
giurisdizione esclusiva, in quanto a questa direttamente inerenti, e quelle che, invece, debbono considerarsi «ulteriori», in quanto richiedenti indagini e valutazioni aggiuntive su elementi diversi
da quelli sui quali si fonda il diritto principale fatto valere; l'af
fermazione della sostanziale identità di situazioni, rispetto alla
diminuzione patrimoniale derivante dal ritardo nell'adempimento della prestazione retributiva, tra le diverse categorie di lavoratori; l'assimilabilità dello schema previsto dall'art. 429 c.p.c. novella
to, caratterizzato dall'introduzione del principio di automatismo
risarcitorio, al sistema di eguale automatismo, pur nell'ambito
dei generali principi della responsabilità per mora di cui agli art.
1218 e 1224 c.c., rinvenibile, da un lato, nell'ammissibilità del
ricorso da parte del giudice alle nozioni di comune esperienza
(art. 115 c.p.c.), tra le quali va compresa la svalutazione moneta
ria, e, dall'altro, nel principio della mora ex re di cui all'art.
1219, cpv. n. 3, c.c., applicabile ai crediti di lavoro; la conse
guente aderenza del sistema di protezione dei crediti di lavoro
desumibile dai principi di diritto comune alla tendenza legislativa
Il Foro Italiano —■ 1988.
resa esplicita dal testo modificato dell'art. 429 c.p.c.; l'esistenza,
quindi, nell'ordinamento di un principio generale di rilevanza au
tomatica della svalutazione monetaria per tutti indistintamente
i crediti di lavoro, pur in costanza del principio nominalistico
sul quale si fondano le prestazioni retributive, che consente di
attrarre in una fattispecie unica e complessa, ai fini della determi
nazione della giurisdizione, tanto i momenti di maturazione dei
crediti quanto gli interessi e la rivalutazione.
All'orientamento del Consiglio di Stato si uniformava, sostan
zialmente, la Corte di cassazione con la precisazione, espressione dell'indirizzo tradizionale, che la giurisdizione del giudice ammi
nistrativo deve ritenersi esclusa per le controversie relative agli interessi moratori od al maggior danno conseguente a comporta menti dolosi o colposi dell'amministrazione, da continuare ad in
tendersi come questioni «conseguenziali» (cfr. Cass., sez. un., 3
novembre 1982, n. 5750, id., 1982, I, 2755; 12 ottobre 1982, n.
5225, id., Rep. 1982, voce Impiegato dello Stato, n. 719). 4. - La questione degli interessi e della rivalutazione dei crediti
di pensione e della relativa giurisdizione non può non inserirsi
nel surricordato quadro normativo e giurisprudenziale. E ciò per la considerazione, essenziale e prioritaria, che, alme
no per quanto riguarda il nucleo principale delle pensioni a cari
co dello Stato — le pensioni ordinarie — la situazione economica
di chi trae i mezzi di sostentamento dalle proprie prestazioni la
vorative non può ritenersi modificata in meglio, per effetto della
cessazione del rapporto di lavoro e quindi del percepimento della
pensione in luogo della retribuzione, tanto da non necessitare dei
correttivi di riequilibrio monetario per il caso di ritardo nell'a
dempimento, di cui, come visto, i crediti di lavoro attualmente
beneficiano.
Vale, innanzitutto, ricordare in quali termini si ponga attual
mente siffatta questione nella giurisprudenza. A parte i contrasti per i quali sono state investite queste sezioni
riunite, il principio prevalente appare essere quello della inappli cabilità dell'art. 429 c.p.c. ai crediti previdenziali (in tal senso
sono, tra le molte, Cass. 13 settembre 1978, n. 4127, id., 1978,
I, 1872; 27 aprile 1983, n. 2876, id., Rep. 1983, voce Lavoro
e previdenza (controversie), n. 413; 27 aprile 1983, n. 2886, id.,
1983, I, 2154; 28 aprile 1984, n. 2674, id., 1984, I, 1521). Tale orientamento fonda su alcuni punti essenziali: l'esclusione
dell'art. 429, ultimo comma, c.p.c. dal richiamo di cui all'art.
442 c.p.c., che dichiara applicabili alle controversie in materia
di previdenza ed assistenza obbligatorie le disposizioni contenute
nel capo I, in quanto detto richiamo è limitato alle norme proces suali mentre l'art. 429, ultimo comma, ha natura di norma so
stanziale (sez. un. 27 aprile 1983, n. 2876, cit.); la distinzione
tra rapporto previdenziale e rapporto di lavoro fondata sulla cir
costanza che il primo si stabilisce direttamente con l'istituto di
previdenza, per cui il rapporto di lavoro si pone come anteceden
te necessario e non come momento genetico del diritto alle pre stazioni previdenziali; l'affermazione conseguenziale che il titolare
di un credito previdenziale deve dimostrare, avanti all'a.g.o., il
maggior danno subito per effetto del ritardo nell'adempimento, ai sensi dell'art. 1244, 2° comma, c.c.
Ai fini che in questa sede interessano deve tuttavia rilevare il
collegio che, pur nel quadro di siffatto orientamento, apparente mente omogeneo, non mancano pronunce che appaiono rimettere
in discussione, soprattutto per quanto riguarda i dipendenti di
enti pubblici, il principio della inapplicabilità della rivalutazione automatica per tutti i crediti diversi da quelli derivanti da rappor to di lavoro in atto.
Ed invero, sia la Cassazione (sent. 21 dicembre 1982, n. 7089,
id., Rep. 1982, voce cit., n. 366; 27 marzo 1985, n. 2159, id.,
Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), n. 2589; 30 marzo 1985, n.
2052, ibid., voce Lavoro previdenza (controversie), n. 324), sia
il Consiglio di Stato (ad. plen. 26 marzo 1985, n. 8, id., 1985, III, 238) hanno introdotto una distinzione nell'ambito dei crediti
di quiescienza, negando la rivalutazione automatica ex art. 429
c.p.c. per i crediti che debbono qualificarsi propriamente previ denziali ed ammettendola, invece, per quelli cui possa riconoscer
si natura di retribuzione differita.
La circostanza che la giurisprudenza ordinaria ed amministrati
va non accomuni in un sol genere, ai fini dell'automatismo riva
lutativo, tutti i crediti conseguenti alla cessazione del rapporto di lavoro, fondando sostanzialmente la distinzione, aldilà delle
espressioni usate, sull'elemento della erogazione del credito da
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
parte dello stesso datore di lavoro o meno è estremamente im
portante.
E, infatti, l'ammissione che l'applicabilità dell'art. 429 c.p.c non sia ristretta in maniera esclusiva ai crediti relativi a rapporti di lavoro in atto deve considerarsi parte integrante del «diritto
vivente», al quale fa espresso riferimento la più recente pronun cia della Corte costituzionale in materia.
Con la sentenza n. 52 del 24 marzo 1986 (id., 1986, I, 857), la Corte costituzionale, pronunciando di nuovo sulla questione di costituzionalità dell'art. 429 c.p.c. in quanto non applicabile ai pubblici dipendenti, ha dichiarato non fondata la questione stessa sul rilievo che l'indirizzo giurisprudenziale del Consiglio di Stato e della Cassazione ha dato vita ad un «diritto vivente»
che assicura ai lavoratori pubblici, in tema di rivalutazione dei
crediti vantati verso la p.a., lo stesso trattamento garantito ai
lavoratori privati. Ed è fondamentale rilevare che tale principio è stato enunciato
in riferimento anche ad una ordinanza di rimessione emessa in
un giudizio avente ad oggetto, specificamente, l'erogazione, da
parte di un ente pubblico non economico, di trattamento di quie scienza e di previdenza (fondi integrativi).
Ritiene a questo punto il collegio che la soluzione del problema della rivalutazione automatica dei crediti di pensione sia già con
tenuta nel «diritto vivente» appena ricordato.
Non sembra, infatti, che sussistano validi motivi per non dare
integrale applicazione, in rapporto ai crediti di pensione, alle ra
gioni che hanno giustificato il formarsi del «diritto vivente» rela
tivo ai crediti di lavoro pubblico.
L'argomento principale al quale ha fatto ricorso la giurispru denza civile ed amministrativa per negare il principio della rivalu
tazione automatica per i crediti c.d. previdenziali, e cioè la
circostanza (cui fece inizialmente riferimento Corte cost. 162/77) che il rapporto previdenziale si stabilisce direttamente con l'isti
tuto erogatore e che il rapporto di lavoro assume carattere di
solo antecedente necessario, se può presentare validità almeno sul
piano formale, in riferimento al rapporto di lavoro privato ed
all'assicurazione generale obbligatoria Ivs gestita dall'lnps, è pri vo di consistenza — e proprio per le ragioni addotte dalla succi
tata giurisprudenza — nei confronti della pensione ordinaria dei
pubblici dipendenti. Con l'ammettere, infatti, la rivalutazione automatica ove la pre
stazione pensionistica venga erogata direttamente dal datore di
lavoro e sia qualificabile come «retribuzione differita», viene in
definitiva ad affermarsi che presupposto fondamentale dell'appli
cazione di tale principio siano quegli elementi di intima connes
sione con il rapporto di lavoro e di erogazione diretta da parte del datore di lavoro, che caratterizzano proprio le pensioni ordi
narie a carico dello Stato, comprese le privilegiate aventi funzio
ne sostitutiva od integrativa della pensione di quiescenza. Né sembrano valere, in contrario, le considerazioni del p.g.
secondo cui le pregresse prestazioni lavorative del pubblico di
pendente non si pongono in rapporto di «sinallagma» con la
pensione. Il rischio immediato di siffatta argomentazione è quello di non
far uscire la questione dai limiti di una mera disputa terminologi
ca sul significato da attribuirsi all'espressione «sinallagma» nella
particolare materia delle pensioni. In realtà, ben dovendosi ammettere sia l'esistenza di periodi
di servizio (sino al raggiungimento del c.d. minimo pensionabile)
privi di copertura pensionistica, sia il concorso di elementi estra
nei alla esclusiva valutazione del servizio effettivamente prestato
nel calcolo del quantum, sia il carattere di alcatorietà del tratta
mento pensionistico, sia il peculiare sistema di trasmissione iure
proprio e non iure successionis a particolari categorie di aventi
diritto, rimane comunque incontestabile non soltanto che il rap
porto di lavoro (considerato nel duplice aspetto di rapporto in
atto e di rapporto venuto a cessare) costituisca il fatto genetico
del rapporto pensionistico pubblico, ma che l'entità delle presta
zioni lavorative determini, con carattere di assoluta preminenza,
la misura del trattamento di pensione.
Il problema, allora, non è quello di stabilire se tale relazione
di stretta dipendenza del trattamento pensionistico dalle presta
zioni lavorative possa qualificarsi di natura sinallagmatica, an
corché la classica definizione del sinallagma come rapporto di
reciprocità ben potrebbe attagliarsi alla situazione in esame, nella
quale in tanto il diritto a pensione sussiste in quanto vi sia stata
Il Foro Italiano — 1988.
una controprestazione di attività lavorativa pregressa (con ciò dan
dosi ragione della definizione di retribuzione differita spesso ri
conosciuta alla pensione). Il punto fondamentale appare piuttosto consistere nella circostanza che la pensione svolge, per il pubblico
dipendente, la medesima funzione della retribuzione di assicurare
i mezzi di sostentamento e che, pertanto, quelle stesse ragioni che avevano indotto a ritenere del tutto prevalente la posizione del lavoratore nel risolvere il problema della rivalutazione auto
matica dei crediti di lavoro pubblico, non possono considerarsi
essere venute improvvisamente meno per effetto della cessazione
del rapporto di lavoro.
Ritiene, pertanto, il collegio che per le pensioni ordinarie a
carico dello Stato — con le precisazioni di cui in prosieguo —
deve riconoscersi, come per i crediti di lavoro dei dipendenti pub
blici, l'applicabilità della rivalutazione automatica, specie tenuto
conto che tale soluzione appare pienamente in armonia con il
riconoscimento giurisprudenziale del carattere di retribuzione dif
ferita delle prestazioni pensionistiche — cui si è fatto già cenno — affermato non soltanto da queste stesse sezioni riunite (dee. 4 dicembre 1981, n. 53, id., 1982, III, 113), ma dalla Corte costi
tuzionale nelle sentenze che hanno dichiarato la illegittimità co
stituzionale delle disposizioni concernenti la perdita, la sospensione o la riduzione della pensione nei confronti di pubblici dipendenti incorsi in condanna penale o destituiti o allontanati dal servizio
(sent. 13 giugno 1966, n. 3, id., 1966, I, 555; 3 luglio 1967, n. 78, id., 1967, I, 1685; 19 luglio 1968, n. 112, id., 1968, I, 2353; 9 dicembre 1968, n. 124, id., 1969, I, 7) e ripreso comunque da Cassazione e Consiglio di Stato (fra le molte cfr. sent. 13
settembre 1978, n. 4127, cit.; ad. plen. 26 marzo 1985, n. 8, cit.). La riconosciuta applicabilità ai crediti di pensione dei pubblici
dipendenti del principio della rivalutazione automatica entro i me
desimi limiti già ammessi dalla giurisdizione civile ed amministra
tiva per i crediti di lavoro dei dipendenti pubblici, e cioè dandosi
rilevanza alla svalutazione come fatto notorio e calcolandone la
relativa misura secondo l'indice Istat ai sensi dell'art. 150 disp. att. c.p.c., nel testo modificato dalla 1. 533/73 comporta la con
seguenziale affermazione della giurisdizione di questa corte (in tal senso, di recente, Cons. Stato, sez. IV, 28 febbraio 1986, n.
121, id., Rep. 1986, voce Pensione, n. 321). Entro detti limiti,
come già ampiamente posto in luce, si tratta di questione che
non introduce elementi ulteriori rispetto a quelli da accertarsi per la pronuncia sulla sussistenza e la misura delle ragioni creditorie,
ma che attiene alla quantificazione stessa del trattamento pensio nistico nei valori monetari idonei a salvaguardarne il potere d'ac
quisto originariamente acquisito al momento della maturazione.
5. - L'aver dato soluzione al problema della rivalutazione auto
matica dei crediti di pensione ordinaria, normale e di privilegio,
mediante l'estensione ad essi del «diritto vivente» che ammette
detta rivalutazione, per i crediti di lavoro dei dipendenti pubblici fornisce altresì il criterio per risolvere l'analogo problema relati
vamente alle altre categorie di pensione di cui alle ordinanze di
rimessione a queste sezioni riunite.
Deve escludersi che possa trovare applicazione il ricordato «di
ritto vivente» ove non sussista il presupposto di una intima con
nessione del credito con una attività lavorativa a favore dello Stato
o di un ente pubblico non economico.
È questa la situazione in cui versano le pensioni di guerra e,
nell'ambito delle pensioni privilegiate ordinarie, quelle, definite
«tabellari», che spettano ai militari di leva per infermità dipen
denti da causa di servizio.
Entrambe queste categorie di pensione, del tutto estranee ad
un rapporto di lavoro con lo Stato, traggono fondamento dal
principio di riconoscimento e solidarietà nei confronti di coloro
che abbiano subito una menomazione fisica o la perdita di un
congiunto per causa della guerra o per aver adempiuto al dovere
dello svolgimento del servizio militare.
Il rilievo che dette pensioni possano svolgere una funzione ali
mentare, nel senso di assicurare i mezzi di sostentamento di cui
il soggetto, per effetto delle menomazioni subite o della perdita
del congiunto, potrebbe altrimenti rimanere privo, non costitui
sce, ad avviso del collegio, elemento sufficiente per ritenere ad
esse applicabile il principio dell'automatismo rivalutativo.
Secondo il «diritto vivente» sopra ricordato, infatti, la forza
espansiva del principio dell'automatismo può essere riconosciuta
solo in rapporto a tutte le situazioni creditorie che partecipino
della natura di collegamento con una attività di lavoro, in funzio
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PARTE TERZA
ne della quale, appunto, esso era stato originariamente reso espli cito nell'ordinamento dalla 1. 533/73.
Mancando tale elemento di raccordo, tutti gli altri crediti, an
corché denominati di pensione ed ancorché svolgenti funzione di
sostentamento, non possono che rimanere soggetti alla disciplina
generale connessa alla loro natura.
E la natura delle pensioni di guerra e delle pensioni militari
«tabellari» non può che essere quella di obbligazioni di valuta,
dovendosi riconoscere ad esse carattere di indennizzo per attività
legittima e non carattere propriamente risarcitorio, dal momento
che tale ultima definizione (cui pure la giurisprudenza costituzio
nale fa ricorso) ha valore solo se usata in contrapposizione agli
ordinari crediti pensionistici, definiti remunatori nel senso avanti
precisato, ma è priva degli indispensabili presupposti dell'antigiu ridicità del comportamento del debitore e dell'integralità del ri
storo del danno subito.
La disciplina della rivalutazione monetaria applicabile a tali ge neriche obbligazioni pecuniarie dello Stato, non rientranti né as
similabili ai crediti connessi ad attività lavorative, non può quindi essere quella, eccezionale e derogatoria, di cui all'art. 429 c.p.c. novellato ed al conseguente «diritto vivente», ma la disciplina
generale di cui all'art. 1224, 2° comma, c.c., di nuovo interpreta ta in senso rigoroso dalla più recente giurisprudenza della Cassa
zione (sez. un. 5 aprile 1986, n. 2368, id., 1986, I, 1265). In base a tale disciplina generale il problema della svalutazione
monetaria per i crediti di pensione di guerra e di pensione privile
giata militare tabellare rimane un problema di prova del maggior danno che, comportando la cognizione di ulteriori elementi ri
spetto al mero rapporto fondamentale, deve ritenersi non rientra
re nell'ambito della giurisdizione di questa corte.
6. - Passando a trattare la seconda questione oggetto di contra
sto di giurisprudenza, relativa agli interessi sui crediti di pensione
(nel senso della giurisdizione, per effetto della riconosciuta natu
ra di interessi corrispettivi e non moratori, v. sez. Ill pens. civ.
n. 46001/80 e n. 58762/86; nel senso dell'esecuzione della giuris
dizione, sostenendosi il difetto di liquidità ed esigibilità sino alla
definitiva pronuncia giudiziale e quindi la natura di interessi mo
ratori, v. sez. sard. 126/84), ritiene il collegio doversi innanzitut
to rammentare lo stato della giurisprudenza sul problema degli interessi sui crediti di lavoro pubblico, alla quale, per le ragioni svolte in precedenza, non può non riconoscersi un analogo valore
di «diritto vivente».
Nella giurisprudenza del Consiglio di Stato si è affermato un
indirizzo, che appare attualmente consolidato, secondo cui ap
partiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la
cognizione in ordine agli interessi sui crediti di retribuzione dei
pubblici dipendenti, sia che abbiano natura di interessi corrispet tivi sia che debbano qualificarsi moratori, non essendo necessa
ria, anche in rapporto a questi ultimi, alcuna indagine giudiziale né sul danno né sulla colpa del debitore (ad. plen. 7 aprile 1981, n. 2, cit.; sez. IV 17 novembre 1983, n. 825, id., Rep. 1984, voce Impiegato dello Stato, n. 680; sez. VI 13 ottobre 1984, n.
615, ibid., n. 697; sez. VI 7 luglio 1986, n. 494, id., Rep. 1986, voce cit., n. 768).
In particolare, la sentenza ad. plen. 2/81 che ha dato origine a detto indirizzo, ha precisato che, ai fini del requisito della liqui dità del credito, presupposto della producibilità di interessi di pieno diritto senza domanda del creditore ai sensi dell'art. 1282 c.c, deve negarsi rilievo alla contestazione da parte del debitore (pre sunta causa di incertezza e quindi di illiquidità), dovendosi esclu
dere che spetti al debitore il potere di determinare il regime del
credito; che l'esigibilità dei crediti verso la p.a. non è subordinata
all'esaurimento delle procedure contabili (art. 270 ss. r.d. 23 mag
gio 1924 n. 827); che anche per i crediti da retribuzione non liqui di né esigibili anteriormente alla domanda dell'interessato, in
quanto privi di termine di scadenza, i relativi interessi, pur quali ficabili moratori, appartengono alla cognizione del giudice ammi
nistrativo non richiedendo valutazioni diverse da quelle che
presiedono all'attribuzione degli interessi corrispettivi. La giurisprudenza della Cassazione (cfr., per tutte, sez. un.
12 ottobre 1982, n. 5225 cit.; 3 novembre 1982, n. 5750, cit.)
appare invece ferma nella distinzione tra interessi corrispettivi e
moratori ed afferma rientrare solo i primi, cui viene riconosciuto
il carattere di effetto automatico dell'obbligazione, nella giurisdi zione del giudice amministrativo, mentre per i secondi, quale og
getto di un diritto conseguenziale, pur nella consapevolezza della
Il Foro Italiano — 1988.
comunanza di presupposto (ritardo) e funzione (ristorare il credi
tore dell'attesa della soddisfazione delle sue ragioni), viene riba
dita la regola della competenza del giudice ordinario.
Il problema, per gli interessi sui crediti di pensione, non sem
bra porsi in termini diversi. Anche in relazione a questi si tratta
di stabilire la natura degli interessi sotto il profilo, soprattutto, dell'esistenza dei requisiti di liquidità ed esigibilità che rendono il credito produttivo di interessi di pieno diritto.
Al riguardo va innanzitutto tenuto conto che, come ormai tut
ta la giurisprudenza mostra di ritenere e come ha sostenuto lo
stesso p.g. in udienza, gli adempimenti contabili di ordinazione
della spesa rimangono del tutto estranei alla configurazione dei
requisiti in esame.
Esclusa la rilevanza dei procedimenti di ordinazione delle spe
se, ritiene però il collegio che, per i crediti di pensione, la liquidi tà e la esigibilità non possa venire individuata nella data di scadenza
dei singoli ratei.
È, infatti, necessario considerare (v. sez. riun. 4 dicembre 1981,
n. 53/C, cit.) che l'istituto pensionistico è configurabile come una
situazione giuridica complessa nella quale la realizzazione del di
ritto è subordinata alla emanazione di un provvedimento ammi
nistrativo da tenersi distinto dai procedimenti meramente contabili
riguardanti l'emissione del titolo di spesa (art. 278, 356 r.d. 23
maggio 1924 n. 827). Ai fini che in questa sede interessano è del tutto inutile stabili
re se la natura di tale provvedimento sia dichiarativa o costituti
va: ciò che rileva è soltanto il suo carattere di necessarietà e di
ineliminabilità da cui deriva che, prima della sua emanazione, non possa parlarsi di liquidità ed esigibilità. Si tratta dunque di
una situazione che, richiedendo un «decreto di liquidazione», dif
ferenzia il credito di pensione da quello di retribuzione, per il
quale, secondo la surricordata giurisprudenza, i requisiti di liqui dità ed esigibilità vengono fatti derivare, in pieno automatismo, dalle tabelle stipendiali, da una parte, e dalla semplice scadenza
dei singoli ratei, in riferimento ai periodi di effettiva prestazione di attività lavorativa, dall'altra.
Per quanto concerne le pensioni — sia ordinarie che di guerra,
analogo essendo il relativo procedimento — la liquidità e la esigi bilità debbono ritenersi requisiti connessi alla conclusione della
fase amministrativa di liquidazione mediante l'emissione del rela
tivo provvedimento e riferirsi, quindi, esclusivamente ai singoli ratei venuti a scadenza successivamente alla data del provvedi mento stesso, senza possibilità di retrodatazione degli interessi
al momento di insorgenza del diritto.
Né potrebbe valere, in contrario, l'osservazione che il provve dimento di cui trattasi si presenta, proprio nei casi che vengono alla cognizione giudiziale, come provvedimento negativo, come
provvedimento cioè di non riconoscimento e quindi di non liqui dazione del diritto o di parte del diritto richiesto.
Una prima osservazione è che il provvedimento che non rico
nosca il diritto al trattamento pensionistico o che ne liquidi l'am
montare in misura inferiore a quella pretesa dell'interessato, va
configurato come manifestazione di volontà del debitore contra
ria all'adempimento, che determina la mora ex re dell'ammini
strazione (art. 1219, cpv. n. 2, c.c.) e quindi la produzione di
diritto degli interessi senza necessità di domanda da parte del cre
ditore.
A ciò deve aggiungersi che quegli stessi principi di tutela del
creditore, introdotti dalla giurisprudenza al fine di non far dipen dere il regime degli interessi dalla volontà dello stesso debitore — cioè la semplice liquidabilità in base ad operazioni aritmetiche
e la esigibilità svincolata dalla procedura di ordinazione contabile
della spesa — se sono impediti dalla pendenza della prodromica e necessaria fase amministrativa, non possono non trovare appli cazione a partire dal momento in cui detta fase si sia comunque conclusa.
Pertanto, confondendosi nell'ipotesi di provvedimento negati vo sulla pensione i momenti della produzione di interessi per ef
fetto della mora ex re e per effetto della sopravvenienza dei requisiti di esigibilità e liquidità e quindi risultando evidente, in relazione
a ciascuna delle suddette situazioni, il prodursi di interessi di pie no diritto senza necessità di alcuna istanza e di alcuna attività
processuale da parte del creditore, ritiene il collegio che si versi
in quella condizione di effetto automatico dell'obbligazione e di
immanenza nel credito che costituisce, per la citata giurispruden
za, la causa giustificativa dell'attribuzione della relativa questio ne al giudice amministrativo.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Del tutto estraneo a siffatta configurazione rimane, allora, il
solo profilo di una domanda fondata su un colposo ritardo nel
l'emissione del provvedimento pensionistico e delle conseguenze, sul piano degli interessi, di una eventuale intimazione alla p.a. a provvedere (cfr. Cass., sez. un., n. 5750/82, cit.).
Discende, infatti, da quanto in precedenza precisato che in tale
ipotesi si è completamente al di fuori di una pronuncia circoscrit
ta al rapporto pensionistico e che si versa, invece, nell'ambito
di pretese fondate su un titolo specificamente risarcitorio, che
non rientrano nella giurisdizione esclusiva di questa corte.
Deve conclusivamente ritenersi che i singoli ratei di pensione, sia ordinaria che di guerra, producano interessi di diritto dalle
relative scadenze a far data dal provvedimento amministrativo
pensionistico e che la relativa cognizione appartenga alla giurisdi zione di questa Corte dei conti.
Per completezza è necessario precisare che il principio della
immedesimazione della questione di rivalutazione e di interessi
con il credito pensionistico, del quale non implicano un incre
mento ulteriore, ma un semplice meccanismo di conservazione
del valore economico dei ratei riferito al momento della loro ma
turazione — fondamento della affermata giurisdizione della Cor
te dei conti in materia (nei limiti indicati) — esclude che la
domanda di rivalutazione e di interessi possa proporsi avanti a
questo giudice in via autonoma rispetto alla domanda concernen
te il credito principale ovvero successivamente ad una decisione
che si sia già pronunciata sull'esistenza e la misura del trattamen
to di pensione. Nel primo caso, invero, mancando ogni pretesa o contestazio
ne in ordine al credito di pensione, l'autonoma domanda di riva
lutazione e di interessi non potrebbe più considerarsi come
questione intimamente connessa con la determinazione del valore
del credito, fondata cioè sul medesimo titolo pensionistico che
giustifica la giurisdizione di questa corte, ma come domanda fon
data sull'ordinario diritto di credito originato dal mancato godi mento della somma di cui si aveva diritto al momento previsto
per il suo pagamento, come tale di competenza dell'a.g.o. (v.
Cass., sez. un., 7 maggio 1981, n. 2950, cit.). Nel secondo caso, all'impedimento di cui sopra deve aggiun
gersi la preclusione derivante dal precedente giudicato sul diritto
a pensione che copre il dedotto ed il deducibile (cfr. Cons. Stato,
sez. VI, 7 luglio 1986, n. 494, cit.). 8. - In conformità della costante giurisprudenza di queste se
zioni riunite, deve disporsi la restituzione degli atti alla compe tente sezione per la pronuncia di merito.
V
Diritto. — (Omissis). Ili) - Con la sua seconda domanda, il
ricorrente ha chiesto la rivalutazione monetaria e gli interessi su
ratei di pensione tardivamente corrispostigli dal 30 maggio 1973
fino al sodisfo.
Su tale domanda il collegio manca di giurisdizione. Al riguardo, va, infatti, premesso che, a norma degli art. 13
e 62 r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, sono devolute alla cognizione della Corte dei conti, cui spetta la relativa giurisdizione esclusiva,
tutte le controversie relative al trattamento di quiescenza dei di
pendenti statali o, comunque, aventi diritto a pensione, in tutto
o in parte, a carico dello Stato.
A parte, comunque, la richiamata normativa, che esclude im
mediatamente la giurisdizione di questo giudice in tema di mate
ria pensionistica, va, tuttavia, osservato che, nella specie, la
domanda in esame non concerne il diritto al trattamento di quie
scenza né l'entità di tale trattamento, bensì il riconoscimento di
diritti conseguenziali (rivalutazione monetaria ed interessi) al tar
divo pagamento di ratei di pensione.
Secondo la pregressa giurisprudenza, dalla quale il collegio non
ha motivo di discostarsi, la domanda all'esame, non attinendo
a crediti di lavoro attuale, ma, piuttosto, a crediti di natura pre
videnziale, non è riconducibile nella disciplina di cui all'art. 1224
c.c., dal quale discende il risarcimento automatico dei crediti di
lavoro in caso di mora del debitore.
Ne consegue che il pensionato, ove voglia far valere i propri
diritti agli interessi ed alla rivalutazione monetaria per ratei di
pensione tardivamente erogatigli, deve farne esplicita domanda,
allegando i pregiudizi patrimoniali specificamente risentiti, anche
se, all'uopo, può avvalersi di qualsiasi mezzo di prova.
Il Foro Italiano — 1988.
Non potendo, pertanto, gli interessi e la rivalutazione moneta
ria dei ratei di pensione essere considerati come accessori dei cre
diti principali di lavoro, automaticamente determinabili, ma
dovendo essere specificamente accertati e determinati, quali dirit
ti conseguenziali a crediti non di lavoro, la cognizione delle loro
richieste rientra, di conseguenza, nella giurisdizione del giudice ordinario competente per valore.
Per tali ragioni, il secondo petitum avanzato col ricorso va di
chiarato, d'ufficio, inammissibile, per difetto di giurisdizione di questo giudice.
IV) - Con il terzo ed ultimo petitum, il ricorrente ha, infine,
chiesto gli interessi e la rivalutazione monetaria su quanto tardi
vamente corrispostogli per buonuscita Enpas. In proposito, va, anzitutto, affermata la giurisdizione di que
sto tribunale a pronunciarsi in merito, essendo stata stabilita in
materia, in sede legislativa (art. 6 1. 20 marzo 1980 n. 75), la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Ciò premesso, deve essere, immediatamente, riconosciuta fon
data la domanda del ripetuto ricorrente d'ottenere gli interessi
sulla buonuscita nei limiti in cui tale indennità non gli è stata
tempestivamente corrisposta. L'art. 26 d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1032, come modificato
dall'art. 7 1. 20 marzo 1980 n. 75, impone, infatti, all'Enpas di
liquidare l'indennità di buonuscita ai dipendenti che lasciano il
servizio entro il novantesimo giorno dal loro collocamento in
pensione. Dalla stessa norma consegue il diritto a percepire su tale inden
nità gli interessi corrispettivi a decorrere dal novantesimo giorno
dalla data di cessazione dal servizio (nel caso in esame avvenuta
il 1° maggio 1973) fino al giorno del sodisfo.
La domanda del ricorrente d'ottenere gli interessi sulla parte di buonuscita tardivamente erogatagli va, quindi, accolta, col con
seguente riconsocimento del diritto dello stesso ad averli corri
sposti, nei termini e con le modalità specificati.
Quanto alla richiesta del ricorrente d'ottenere, anche, la rivalu
tazione monetaria della parte d'indennità di buonuscita tardiva
mente corrispostagli, il collegio, nell'ambito della propria
giurisdizione esclusiva in tema di buonuscita Enpas, considerato
che l'interessato, collocato a riposo con decorrenza dal 1° mag
gio 1973, soltanto il 26 marzo 1984 ha avuto liquidato in toto
quanto spettantegli per tale indennità, ritiene (nonostante la pre
gressa giurisprudenza sia in senso contrario) di potere e di dovere
riconoscere, in via equitativa, il diritto dello stesso ad ottenere,
in conto della chiesta rivalutazione, il 3% sulle quote della ripe
tuta indennità tardivamente corrispostegli, con decorrenza da quan
do l'Enpas ha ricevuto dal ministero delle finanze le varie
comunicazioni integrative dell'iniziale progetto di liquidazione del
l'indennità dovutagli a quando le quote integrative di cui trattasi
gli sono state effettivamente corrisposte.
Ovviamente, tanto gli interessi legali riconosciuti al ricorrente
sull'indennità di buonuscita che la maggiorazione riconosciuta do
vuta allo stesso ricorrente su tale indennità, in conto della chiesta
rivalutazione monetaria, dovranno essere posti a carico dell'En
pas, a nulla rilevando la circostanza, prospettata da tale ente,
in sede difensiva, che non erano allo stesso imputabili i ritardi
con i quali all'interessato erano state pagate delle quote di buo
nuscita, avendo provveduto alle relative liquidazioni man mano
che ne riceveva comunicazione da parte dell'amministrazione d'ap
partenenza dello stesso.
Il riconoscimento dei detti diritti prescinde, infatti, dalla sussi
stenza, o meno, di colpevolezze dell'amministrazione nell'esegui
re i pagamenti dovuti al dipendente collocato in pensione, avendo,
unicamente, la finalità di assicurargli i medesimi benefici econo
mici che avrebbe avuto ottenendo tempestivamente quanto spet
tantegli e non un'entità solo nominalmente coincidente con quanto
dovutogli. Il che, del resto, risulta immediatamente evidente se appena
si considera che quanto riconosciuto spettante al ricorrente, in
dipendenza della tardiva erogazione di quanto dovutogli, non com
porta una penalità per il debitore, ma trasferisce, soltanto, nel
creditore quanto fruito dal primo durante la detenzione di som
me già spettanti all'altro.
Il terzo petitum del ricorrente deve, pertanto, essere accolto
nei limiti illustrati. (Omissis)
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