sezione VI; ordinanza 3 maggio 1994, n. 664; Pres. Imperatrice, Rel. Millemaggi Cogliani; Entenaz. previdenza e assistenza medici (Avv. De Vergottini) c. Calderale (Avv. Marchio, Garibaldi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1994),pp. 425/426-429/430Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188382 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Diritto. — (Omissis). 2. - La società Telube deduce poi (lett. B punto 1 dell'atto di appello), in relazione ai motivi del ricorso
di primo grado (secondo motivo e quarto e quinto motivo ag
giunto) respinti dal tribunale amministrativo regionale, l'erro
neità dell'asserzione, contenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui l'insegna luminosa sarebbe installata in violazione
del disposto di cui all'art. 18 1. n. 1089 del 1939. Dall'esame congiunto delle disposizioni di cui agli art. 18 e
22 della legge indicata, si evincerebbe, secondo l'appellante, l'e
sclusione dalle «opere di qualunque genere» di cui all'art. 18
di quelle relative alla collocazione ed affissione dei mezzi di
pubblicità, specificamente disciplinate dal successivo art. 22.
Immotivata, contraddittoria ed illogica sarebbe la motivazio
ne adottata sulla questione dal tribunale amministrativo regio nale che, pur ritenendo applicabile alle insegne la disciplina di
cui al richiamato art. 22 1. n. 1089 del 1939, ha, tuttavia, ag
giunto che, considerata insieme alla struttura di sostegno l'inse
gna in esame rientrava nella diversa previsione relativa alle «opere di qualunque genere» di cui all'art. 18 stessa legge.
La censura è infondata e va respinta. Correttamente, ad opi nione del collegio, il tribunale amministrativo regionale ha rite
nuto applicabile al caso in esame il disposto di cui all'art. 18
1. n. 1089 del 1939, relativo non solo alle «opere edilizie» ma
anche alle «opere di qualunque genere» comprendendo con tale
espressione qualsiasi manufatto, anche se di limitata entità vo
lumetrica ed a carattere precario, purché idoneo ad arrecare
pregiudizio all'interesse tutelato.
Norma, quella indicata, la cui applicazione non resta preclu
sa, come pretende l'appellante, per le insegne pubblicitarie per effetto del disposto di cui al successivo art. 22 stessa indicata
1. n. 1089 del 1939; dal momento che la disciplina dello stesso
(art. 22) enunciata riguarda soltanto il «collocamento o l'affis
sione di manifesti, cartelli, iscrizioni ed altri mezzi di pubblici tà» che per la loro sola presenza danneggiano l'aspetto, il deco
ro e il pubblico godimento degli immobili di interesse storico
e non, diversamente dal caso in esame, la realizzazione di un
manufatto di sostegno. 3. - Sempre in relazione ai motivi di appello respinti dal tri
bunale amministrativo regionale, la società Telube deduce, poi, che l'insegna in questione non poteva considerarsi abusiva, ai
sensi del disposto di cui all'art. 18 1. n. 1089 del 1939, in quan to «la relativa pratica era stata esaminata ed aveva ottenuto
il parere favorevole della soprintendenza con provvedimento in
data 29 aprile 1984».
Con l'atto indicato, la soprintendenza aveva espresso parere favorevole all'esecuzione di alcune modifiche al manufatto di
sostegno dell'insegna Lavazza «avendo cura di precisare che ta
le parere veniva formulato non solo limitatamente all'insegna
richiesta, ma anche a seguito della valutazione delle precedenti autorizzazioni e della norma generale seguita...».
Immotivata ed illogica, secondo l'appellante, sarebbe la deci
sione adottata sul punto dal tribunale amministrativo regionale, il quale ha riferito il parere anzidetto alla sola insegna luminosa
e non già alla sua struttura portante ad essa inerente.
Anche tale causa è infondata e va quindi respinta.
Esattamente, ad opinione del collegio, il tribunale ammini
strativo regionale ha ritenuto che il parere richiamato dalla so
cietà appellante riguardasse la sola collocazione dell'insegna a
non già la realizzazione del supporto di sostegno della stessa.
Esso veniva, infatti, formulato in relazione alla domanda della
s.p.a. Lavazza di autorizzazione alla collocazione «sul tetto del
lo stabile di piazza Carlo Felice n. 80 la seguente pubblicità:
Insegna "Caffè Lavazza" formata da lettere scatolate singole
e da scatolature sagomate con illuminazione a tutti neon a vi
sta, a luce in movimento graduale e dissolvente».
Nessun specifico riferimento veniva fatto, nella valutazione
indicata, che peraltro conduceva ad un'autorizzazione (del 29
settembre 1984) precaria da parte del sindaco di Torino, al so
stegno su cui si reggeva l'insegna e che, costituendo, come rile
vato precedentemente, un'opera implicante una possibile com
promissione dei valori architettonici e dei significati culturali dello stabile, andava specificamente sottoposta al giudizio della
soprintendenza. 4. - L'appellante, infine, ripropone la censura, anch'essa re
spinta dal tribunale amministrativo regionale, di illegittimità del
provvedimento adottato in quanto la rimozione dell'insegna, ai
sensi dell'art. 22 1. n. 1089 del 1939, poteva essere disposta nel
solo caso di inosservanza del divieto alla sua collocazione e con
provvedimento motivato.
Nel caso in esame, non esisteva alcun divieto alla collocazio
ne dell'insegna e la soprintendenza non aveva assolto, nel di
II Foro Italiano — 1994.
sporre la rimozione, all'obbligo di fornire una congrua motiva
zione sulle ragioni che ne giustificavano la demolizione, in rela
zione principalmente al fatto che la stessa era collocata, da oltre
quarant'anni, in una delle piazze più centrali di Torino, di fronte
alla stazione centrale e con autorizzazione degli organi comuna
li e della stessa soprintendenza.
Neppure poi poteva essere assunta a presupposto e motiva
zione dell'atto impugnato la relazione della soprintendenza cui
ha fatto riferimento il tribunale amministrativo regionale, trat
tandosi di atto avente data (16 luglio 1991) successiva a quella del provvedimento di rimozione.
Anche tali censure sono infondate e vanno respinte. Il caso in esame, come rilevato precedentemente, rientrava
nella previsione di cui all'art. 18 1. n. 1089 del 1939; per dispor
re, pertanto, la rimozione dell'insegna con relativo supporto di
sostegno (implicanti nell'insieme un'opera per la cui realizzazio
ne era necessario preventivamente sottoporre il predetto alla so
vrintendenza) non era necessario uno specifico divieto del so
vrintendente stesso alla sua installazione, come invece previsto dal successivo art. 22 1. n. 1089 del 1939 erroneamente invocato
dall'appellante.
Quanto, poi, alla motivazione dell'impugnato provvedimen
to, sembra al collegio rilevante la circostanza che trattavasi di
atto implicante la formulazione di un giudizio tecnico
discrezionale non sindacabile sotto il profilo del merito; con
la conseguenza che l'indicazione di cui al primo capoverso del
l'atto della sovrintendenza riguardante il ritenuto «disturbo alla
migliore tutela dell'edificio» «per posizione e dimensioni» del
l'insegna con relativo supporto appare sufficiente a far ritenere
assolto l'obbligo della motivazione, afferendo l'ulteriore valu
tazione circa l'incidenza della posizione e dimensione dell'opera sulla tutela del bene al merito del provvedimento riservato alla
esclusiva pertinenza dell'amministrazione.
Considerazioni, quelle indicate, le quali consentono di ritene
re infondate anche le ulteriori doglianze di cui all'esaminato
motivo di appello ed ai successivi punti del proposto ricorso.
La circostanza, infatti, invocata dalla Telube, secondo cui l'in
segna era stata collocata da ben quarant'anni non implicava un aggravamento per l'amministrazione dell'obbligo della moti
vazione ovvero della svolta istruttoria, stante l'iniziale mancan
za di autorizzazione non sanabile per il mero decorso del termine.
Da tutto quanto premesso consegue la reiezione dell'appello e la conferma della sentenza impugnata sussistendovi giusti mo
tivi in relazione alla complessità (in punto di fatto) delle que stioni esaminate.
CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; ordinanza 3 maggio 1994,
n. 664; Pres. Imperatrice, Rei. Millemaggi Cogliani; Ente
naz. previdenza e assistenza medici (Aw. De Vergottini) c.
Calderale (Aw. Marchio, Garibaldi).
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Indennità integra tiva speciale — Computabilità nel trattamento di fine rappor to — Nuova disciplina — Questioni non manifestamente in
fondate di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 25, 36, 103, 113;
1. 29 gennaio 1994 n. 87, norme relative al computo della
indennità integrativa speciale nella determinazione della buo
nuscita dei pubblici dipendenti, art. 1, 3, 4).
Non sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale:
a) dell'art. 4 l. 29 gennaio 1994 n. 87, nella parte in cui dispone
la estinzione d'ufficio, con compensazione fra le parti delle
spese relative, dei giudizi pendenti aventi ad oggetto la com
putabilità dell'indennità integrativa speciale nel trattamento
di fine rapporto dei pubblici dipendenti, in riferimento agli art. 3, 24, 1° e 2° comma, 25, 1° comma, 103 e 113 Cost.;
b) dell'art. 3 l. 87/94, nella parte in cui non esclude dall'obbligo
della presentazione della domanda i dipendenti già cessati dal
servizio i quali abbiano promosso azione giudiziaria per il com
puto dell'indennità integrativa speciale nella base di calcolo del
trattamento di fine servizio, in riferimento all'art. 3 Cost.;
c) dell'art. 1, lett. b, /. 87/94, in relazione allo stesso art. 1, lett.
a, nella parte in cui limita al trenta per cento dell'indennità in
tegrativa speciale annua in godimento alla data della cessa
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PARTE TERZA
zione dal servizio la quota computabile nella base di calcolo ai
fini della indennità di anzianità, in riferimento agli art. 3 e 36 Cost.;
d) dell'art. 1,4° comma, l. 87/94, in quanto esclude che le som
me dovute a titolo di prestazioni a norma della stessa legge dia
no luogo a corresponsione di interessi e rivalutazione moneta
ria, in riferimento agli art. 3 e 36 Cost. (1)
Diritto. — 1. La controversia concernente la computabilità del
l'indennità integrativa speciale nel trattamento di fine rapporto di dipendente Enpam viene dunque all'esame dopo la pronuncia della Corte costituzionale sulla questione di legittimità costituzio
nale in questa sede sollevata.
Nelle more, peraltro, è entrata in vigore (in data 6 febbraio
1994) la 1. 29 gennaio 1994 n. 87, recante «norme relative al
computo della indennità integrativa speciale nella determinazio
ne della buonuscita dei pubblici dipendenti» (pubblicata nella
Gazzetta ufficiale n. 29 del 5 febbraio 1994; Le leggi, 1994, I,
261), la quale, «in attesa della omogeneizzazione dei trattamenti
retributivi e pensionistici per i lavoratori dei vari comparti della
pubblica amministrazione e per i lavoratori privati conseguente
all'applicazione del d.l. 3 febbraio 1993 n. 29, e successive mo
dificazioni, e ferma la disciplina del trattamento di fine servizio
in essere per i dipendenti degli enti locali (art. 1), dispone che, a decorrere dal 1° dicembre 1994, l'indennità integrativa specia
le, di cui alla 1. 27 maggio 1959 n. 324, e successive modificazio
ni, viene computata nella base di calcolo dell'indennità di buo
nuscita e di analoghi trattamenti di fine servizio determinati in
applicazione delle norme già vigenti con riferimento allo stipen dio ed agli altri elementi retributivi considerati utili «a) per i
dipendenti degli enti di cui alla 1. 20 marzo 1975 n. 70, e succes
sive modificazioni, nella misura di una quota pari al 30 per cen
to dell'indennità integrativa speciale annua in godimento alla
data della cessazione del servizio con riferimento agli anni utili
ai fini del calcolo dell'indennità di anzianità». La stessa legge dispone all'art. 4 che i giudizi pendenti alla
data di entrata in vigore della presente legge aventi ad oggetto la riliquidazione del trattamento di fine servizio comunque de
nominato con l'inclusione dell'indennità integrativa speciale so
no dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese fra
le parti «e che i provvedimenti giudiziali non ancora passati in giudicato restano privi di effetto».
(1) La travagliata questione della computabilità dell'indennità inte
grativa speciale nell'indennità di buonuscita dei pubblici dipendenti tor na al vaglio della Corte costituzionale dopo la sent. 19 maggio 1993, n. 243, Foro it., 1993, I, 1729, a causa delle limitazioni contenute nella nuova disciplina introdotta con 1. 87/94; per ogni riferimento alla pree sistente situazione, v. richiami in nota a Cons, giust. amm. sic. 1° otto bre 1993, n. 339, id., 1994, III, 136.
Il legislatore ricorre spesso alla formula dell'estinzione d'ufficio dei
giudizi pendenti con compensazione delle spese di lite allorché intervie ne (con norme interpretative o innovative) a risolvere grandi contenzio si aperti dinanzi all'autorità giudiziaria: se nessun problema di costitu zionalità è mai sorto per le disposizioni sui condoni fiscali (cfr. d.l.
660/73; 1. 823/73; d.l. 429/82; 1. 516/82; 1. 413/91), ove in verità l'e stinzione del giudizio è conseguente ad una libera scelta del contribuen te e solo l'amministrazione finanziaria è vincolata alle disposizioni di
legge (senza alcuna possibilità di interferire, il che qualche dubbio di costituzionalità, sotto il profilo della parità di trattamento delle parti del giudizio, potrebbe pure giustificarlo, attesi gli abusi che si verifica no in sede di applicazione delle disposizioni conciliative: emblematico
l'esempio del tentativo di sanare, ai sensi della 1. 516/82, posizioni di credito fittiziamente basate su fatturazioni derivanti da operazioni ine
sistenti), le altre norme simili a quelle oggetto dell'ordinanza in epigrafe sono state puntualmente portate al vaglio della Corte costituzionale; nonostante l'apparente convergenza delle ragioni di illegittimità solleva te volta a volta dai giudici di merito, la corte si è pronunziata in termini
divergenti; si veda la declaratoria di infondatezza, in riferimento agli art. 1, 3, 24, 25, 38, 42, 70, 101, 102, 104 e 113 Cost., delle questioni sorte in ordine all'art. 6 1. 75/80 (che attribuiva alla giurisdizione esclu siva del Tar la cognizione delle controversie in materia di indennità di buonuscita relative al personale dello Stato e delle aziende autonome e prevedeva la estinzione dei giudizi pendenti con compensazione delle
spese e la caducazione dei provvedimenti giudiziali non definitivi) —
sent. 10 dicembre 1981, n. 185, id., 1982, I, 346, con nota di C.M. Barone; ord. 25 marzo 1982, n. 62, ibid., 2098 (seguite da Cass. 16 gennaio 1985, n. 81, id., Rep. 1985, voce Impiegato dello Stato, n. 772; 19 dicembre 1984, n. 6640, id., Rep. 1984, voce cit., n. 867) — nonché, in riferimento agli art. 24, 25, 101, 102, 103, 134, 136 e 137 Cost., delle questioni sorte in ordine all'art. 30 ter 1. 131/83
(che dichiarava l'estinzione d'ufficio con compensazione delle spese dei giudizi pendenti tra gli enti erogatori e quelli datori di lavoro in merito all'applicazione, con effetto retroattivo, dei benefici combatten tistici anche nei confronti dei trattamenti a carico dell'assicurazione
Il Foro Italiano — 1994.
Entrambe le disposizioni assumono evidenza nel presente giu dizio e pongono dubbi di loro incostituzionalità.
2.1. - L'art. 4 della legge considerata determina la dichiara
zione di estinzione d'ufficio del giudizio, con compensazione fra le parti delle spese relative.
In tale suo disposto esso sembra porsi in contrasto con gli art. 3, 24, 1° e 2° comma, 25, 1° comma, 103 e 113 Cost,
e la questione relativa non appare manifestamente infondata.
2.2. - La legge in esame, nel prescrivere che il trattamento
con essa previsto si applica anche ai dipendenti cessati dal servi
zio dopo il 30 novembre 1984 ed ai loro superstiti nonché a
quelli per i quali non siano ancora giuridicamente esauriti i rap
porti attinenti alla liquidazione dell'indennità di buonuscita o
analogo trattamento (art. 3, 1° comma), dispone poi che l'ap
plicazione del trattamento ai dipendenti già cessati dal servizio
«avviene a domanda, che deve essere presentata all'ente eroga tore su apposito modello nel termine perentorio del 30 settem
bre 1994 (art. 3, 1° comma). In tale contesto normativo, la disposizione contenuta nell'art.
4 successivo incide direttamente sul diritto di difesa quale ga rantito dall'art. 24, 1° e 2° comma, Cost. Se è vero infatti che
i precetti quivi sanciti non vietano che il legislatore ordinario
possa variamente disciplinare il diritto di difesa, quale espres sione della tutela giurisdizionale, in funzione di superiori inte
ressi di giustizia, eventualmente condizionandone l'esercizio al
l'esperimento di una procedura amministrativa, ciò non toglie tuttavia che sussistono limiti ad una siffatta discrezionalità, fra
cui il principale è rappresentato dalla condizione che l'esercizio
del diritto di difesa sia garantito in modo effettivo ed adeguato alle circostanze. In relazione a tale principio, più volte afferma
to dalla Corte costituzionale, il limite anzidetto risulta ampia mente superato allorché, come nella specie, il legislatore inter
venga successivamente all'esercizio dell'azione con disposizioni
preclusive intese a vanificare la tutela giurisdizionale, specie se
questa sia stata già sperimentata, essendosi resa necessaria —
come è reso evidente dalla intervenuta pronuncia di incostitu
zionalità — a seguito di puntuali inadempienze legislative a fronte
di posizioni soggettive, che la Corte costituzionale ha poi rite
nuto direttamente garantite dalla Costituzione.
È appena il caso infatti di ricordare che la disciplina legislati va sopravvenuta, che consente ora, sia pure entro certi limiti, il computo dell'indennità integrativa speciale nel trattamento di
generale obbligatoria) — sent. 2 febbraio 1988, n. 123, id., 1989, I, 652; ord. 3 dicembre 1987, n. 474, id., Rep. 1988, voce Impiegato degli enti locali, n. 35 (su questioni sollevate, fra le altre, da Pret. Venezia 10 agosto 1983, id., 1985, I, 327); ord. 13 dicembre 1988, n. 1097, id., Rep. 1990, voce Impiegato dello Stato, n. 1190 — a fronte della
pronunzia di illegittimità dell'art. 10, 1° comma 1. 425/84 (che dichia rava estinti d'ufficio a spese compensate i giudizi relativi all'applicazio ne degli art. 8 e 9 stessa legge in tema di trattamento economico dei
magistrati) — sent. 10 aprile 1987, n. 123, id., 1987, I, 1351 (nelle numerose ordinanze di rimessione si leggono argomentazioni del tutto simili a quelle a base del provvedimento in epigrafe: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 dicembre 1984, n. 933, id., 1985, III, 205, in riferimento
agli art. 24, 25, 101, 102, 103, 113, 134 e 136 Cost., e Tar Emilia
Romagna, sez. Parma, 16 ottobre 1984, n. 223, ibid., 400, in riferimen to agli art. 24 e 113 Cost.).
Un esame delle ragioni addotte da Corte cost. 123/87, cit., può orien tare le previsioni circa l'esito del nuovo giudizio di costituzionalità ora
proposto; la corte, infatti, precisata la diversità fra la disposizione del l'art. 6, 2° comma, 1. 75/80, oggetto della sentenza di legittimità 185/81, e quella dell'art. 10 1. 425/84 («La 1. 75/80, introducendo uno ius su
perveniens favorevole alle richieste di riliquidazione dell'indennità di
buonuscita, determinava la cessazione della materia del contendere. Su
questa ratio satisfattiva si fondava l'estinzione dei giudizi pendenti e l'inefficacia dei provvedimenti giudiziali non ancora passati in giudica to, senza che ne risultasse menomazione del diritto di azione e di difesa
degli interessati. Il contesto della disposizione ora in esame è invece tutt'affatto diverso. Lo ius superveniens si oppone alle richieste degli attori e alla interpretazione giurisprudenziale ad esse favorevole, stabi
lendo, con patente lesione del diritto di azione e di difesa, l'estinzione dei processi in corso.»), giudica l'art. 10 in esame lesivo del «valore costituzionale del diritto di agire, in quanto implicante il diritto del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza onerose reiterazio
ni», per la palese «volontà del legislatore di eradicare ogni realizzabilità del diritto alla decisione della materia controversa» e di precludere «al
giudice la decisione di merito».
Quanto alla esclusione della corresponsione degli interessi disposta dalla normativa sopravvenuta a regolare la controversa materia, Corte cost. 185/81, cit., aveva giustificato il giudizio di legittimità dell'art. 6 1. 75/80 con il richiamo alla più volte ritenuta «inidoneità dell'art. 36 Cost, a dire garantita la comprensione, nei trattamenti di fine rap porto, di ogni e qualsiasi componente della retribuzione (e quindi, in virtù del novellato art. 429, 3° comma, c.p.c., degli interessi)».
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
fine rapporto, fra l'altro, dei dipendenti degli enti pubblici di
cui alla 1. n. 70 del 1975, è solo in parte frutto della scelta
discrezionale del legislatore ordinario, dal momento che conse
gue alla pronuncia di illegittimità costituzionale delle norme pre
vigenti e nasce dalla esigenza, sottolineata dalla stessa corte,
di provvedere con adeguata tempestività a «reintegrare l'ordine
costituzionale violato».
È dunque chiaro che, quanto meno sul piano della sussisten
za del diritto, non può riconoscersi alla legge in esame alcun
carattere innovativo e che, con riguardo alla posizione sostan
ziale dedotta nei giudizi, soltanto la determinazione della misu
ra, dei modi e dei tempi di computo dell'indennità di anzianità
trova risposta nella nuova legge, essendo nella previgente legis
lazione statale, siccome emendata dalla pronuncia costituziona
le, il riconoscimento della titolarità del diritto ad un adeguato
computo dell'indennità medesima.
Sul piano della razionalità, non si sottrae al sospetto di viola
zione dell'art. 3 Cost, la disposizione normativa, che imponen do la dichiarazione di estinzione, si risolve appunto nella vanifi
cazione di quegli stessi giudizi, che hanno reso possibile la pro
posizione incidentale della questione di illegittimità costituzionale
e che dunque seppure ancora non definitivamente decisi dal giu
dice naturale con sentenza passata in cosa giudicata, pur tutta
via hanno consentito di incidere sull'ordinamento generale at
traverso la pronuncia suddetta.
Né può essere sottratto al sospetto di incostituzionalità la stessa
norma sotto il profilo della compromissione del diritto di difesa
derivante dalla estinzione dei giudizi pendenti, in relazione ai
tempi lunghi previsti per la realizzazione della pretesa e, in defi
nitiva, per il riconoscimento del diritto, dal momento che tale
estinzione potrebbe consentire alla amministrazione di rimettere
in discussione, caso per caso, l'esistenza stessa del diritto, an
che in relazione a quelle ipotesi che per tale aspetto potrebbero
già pervenire a pronta soluzione.
2.3. - L'illegittimità della norma è ancor più aggravata dalla
previsione di una domanda da proporsi entro un determinato
termine di decadenza da parte di quei soggetti che avevano già
proposto la loro pretesa in sede giurisdizionale, si da attrarre
nello stesso profilo di illegittimità costituzionale anche la dispo
sizione contenuta nell'art. 3, 2° comma, della stessa legge, nella
parte in cui non esonera dalla proposizione della domanda in
sede amministrativa tali soggetti, abbiano o meno essi già otte
nuto una sentenza favorevole.
2.4. - La violazione delle garanzie costituzionali poste dagli
art. 24, 1° e 2° comma, 25, 1° comma, Cost., investe l'art.
4 1. n. 87 del 1994, non solo per la parte in cui dispone l'estin
zione dei giudizi pendenti e priva di effetto i provvedimenti giu diziali non ancora passati in giudicato, ma anche là dove dispo
ne la compensazione delle spese del giudizio sottraendo al giu
dice naturale della pretesa sostanziale dedotta in giudizio tale
parte accessoria della controversia, che per principio costituzio
nale non può esserne distolta.
2.5. - Il sospetto di illegittimità dell'art. 4 1. n. 87 del 1994
si estende poi alla violazione dell'art. 113 Cost., in un ambito
che vede come giudice naturale delle relative controversie il giu
dice amministrativo.
2.6. - Vi è da rilevare altresì che la lesione delle posizioni
soggettive costituzionalmente garantite si accompagna nella specie
all'illegittima interferenza dell'esercizio del potere legislativo nella
sfera di attribuzioni del potere giurisdizionale, per quanto spet
tante al giudice amministrativo a norma dell'art. 103 Cost., am
pliando il sospetto di illegittimità costituzionale della norma an
che per tale profilo. 2.7. - Non può trascurarsi del resto che la Corte costituziona
le, con sentenza n. 123 del 10 aprile 1987 (Foro it., 1987, I,
1351), ha già dichiarato incostituzionale una norma di identico
contenuto della 1. n. 425 del 1984.
3. - L'incostituzionalità dell'art. 4, se dichiarata dalla Corte
costituzionale, pone in evidenza poi il sospetto di incostituziona
lità dell'art. 1,1° comma, lett. b), della stessa legge nella parte
in cui stabilisce che per i dipendenti degli enti di cui alla 1. 20 marzo 1975 n. 70, e successive modificazioni, il computo dell'in
dennità integrativa speciale nella base di calcolo dell'indennità
di anzianità sia effettuato «nella misura di una quota pari al 30
per cento dell'indennità integrativa speciale annua in godimento
alla data della cessazione dal servizio, con riferimento agli anni
utili ai fini del calcolo dell'indennità di anzianità». La questione
relativa è anch'essa non manifestamente infondata.
Pur tenendo presente l'indicazione della Corte costituzionale,
Il Foro Italiano — 1994.
la quale non ha escluso la possibilità che la complessiva omoge
neizzazione delle prestazioni di fine rapporto possa essere rea
lizzata secondo moduli improntati al principio di gradualità, ap
pare irrazionale il criterio che ha indotto il legislatore a conte
nere nella misura del 30 per cento anzidetto la quota di
computabilità della indennità integrativa speciale nella base di
calcolo dell'indennità di anzianità spettante ai dipendenti degli
enti pubblici non economici, in rapporto al trattamento riserva
to dalla stessa legge alla generalità dei dipendenti delle altre
pubbliche amministrazioni ed agli stessi iscritti all'Opera di pre
videnza ed assistenza per i ferrovieri dello Stato (Opafs), non
solo, ma anche in rapporto alla misura di ogni altro elemento
retributivo computabile, che l'art. 13 1. n. 70 del 1975 considera
per intero relativamente proprio ai dipendenti di tali enti.
La discrezionalità del legislatore ordinario nella determina
zione della base di calcolo ai fini del trattamento di fine rappor
to non si può ritenere estesa alla previsione di ingiustificate com
misurazioni sperequative e inidonee a soddisfare l'esigenza di
adeguatezza e proporzionalità cui la riforma avrebbe dovuto
ispirarsi secondo le indicazioni contenute nella sentenza n. 243
del 1993 della Corte costitizionale (id., 1993, I, 1729), con la
conseguenza che l'art. 1, 1° comma, lett. ti), 1. n. 87 del 1994
appare in violazione dei principi posti dagli art. 3 e 36 Cost.
4. - La pretesa dedotta nel presente giudizio è stata posta anche con riguardo alla rivalutazione monetaria delle somme
riconosciute dovute in integrazione della indennità di buonusci
ta ed agli interessi su di essi. Tale parte della pretesa diviene
preclusa dal 4° comma dell'art. 1 della legge fin qui esaminata,
in quanto dispone che le somme dovute in conseguenza del com
puto della indennità di fine servizio dell'indennità integrativa
speciale «non danno luogo a corresponsione di interessi né a
rivalutazione monetaria».
Sembra evidente la violazione, per effetto di una norma siffat
ta, sia dell'art. 3 che dell'art. 36 Cost., in quanto essa espone:
da un lato i crediti considerati, per le conseguenze dell'inadempi
mento ai debiti correlativi, ad un trattamento risarcitorio dete
riore rispetto a quello previsto per ogni altro credito di qualsiasi
genere ed anche da lavoro dipendente, senza che sussistano pecu
liarità differenziatrici; dall'altro lato, tale specifico credito, nel
suo carattere di retribuzione differita ormai legislativamente sta
bilita, alla sminuizione conseguente al decorso del tempo, che ne
svilisca la proporzionalità alla qualità e quantità del lavoro pre
stato e la sufficienza alla esistenza libera e dignitosa del lavoratore.
Ne risulta la non manifesta infondatezza anche di tale questione.
5. - Tutte le questioni di illegittimità costituzionale cosi deli
neate riguardo alla 1. n. 87 del 1994 sono rilevanti a fini della
definizione del giudizio. Quella concernente l'art. 4, perché dalla
sua risoluzione in un senso e nell'altro dipende se il giudizio stes
so possa pervenire a conclusioni di merito od essere dichiarato
estinto. Tutte le altre, perché, nel caso di incostituzionalità di
chiarata dell'art. 4, sulla risoluzione delle stesse dovrà confor
marsi in un senso o nell'altro il giudizio nel merito delle pretese
dedotte.
CONSIGLIO DI STATO; commissione speciale pubblico im
piego; parere 14 marzo 1994, n. 317; Pres. Quartulli; Min.
difesa.
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Sospensione dalla
qualifica — Sospensione cautelare precedentemente disposta — Periodo — Computabilità — Effetti (D.p.r. 10 gennaio
1957 n. 3, statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 96). Impiegato dello Stato e pubblico in genere
— Sospensione cau
telare — «Restitutio in integrum» — Presupposti e condizio
ni (D.p.r. 3 gennaio 1957 n. 3, art. 97).
In occasione della irrogazione della sanzione disciplinare della
sospensione dalla qualifica, di cui all'art. 96 t.u. 3/57, il pe
riodo della sospensione cautelare dal servizio disposta in pen
denza di procedimento penale nei confronti del pubblico di
pendente va computato nella sanzione e, se la sospensione
dalla qualifica viene inflitta per durata inferiore alla sospen
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