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PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || sezione VI; ordinanza 3 maggio 1994, n. 664; Pres....

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sezione VI; ordinanza 3 maggio 1994, n. 664; Pres. Imperatrice, Rel. Millemaggi Cogliani; Ente naz. previdenza e assistenza medici (Avv. De Vergottini) c. Calderale (Avv. Marchio, Garibaldi) Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1994), pp. 425/426-429/430 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23188382 . Accessed: 28/06/2014 16:06 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.102.147 on Sat, 28 Jun 2014 16:06:13 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || sezione VI; ordinanza 3 maggio 1994, n. 664; Pres. Imperatrice, Rel. Millemaggi Cogliani; Ente naz. previdenza e assistenza medici (Avv.

sezione VI; ordinanza 3 maggio 1994, n. 664; Pres. Imperatrice, Rel. Millemaggi Cogliani; Entenaz. previdenza e assistenza medici (Avv. De Vergottini) c. Calderale (Avv. Marchio, Garibaldi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1994),pp. 425/426-429/430Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188382 .

Accessed: 28/06/2014 16:06

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

Diritto. — (Omissis). 2. - La società Telube deduce poi (lett. B punto 1 dell'atto di appello), in relazione ai motivi del ricorso

di primo grado (secondo motivo e quarto e quinto motivo ag

giunto) respinti dal tribunale amministrativo regionale, l'erro

neità dell'asserzione, contenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui l'insegna luminosa sarebbe installata in violazione

del disposto di cui all'art. 18 1. n. 1089 del 1939. Dall'esame congiunto delle disposizioni di cui agli art. 18 e

22 della legge indicata, si evincerebbe, secondo l'appellante, l'e

sclusione dalle «opere di qualunque genere» di cui all'art. 18

di quelle relative alla collocazione ed affissione dei mezzi di

pubblicità, specificamente disciplinate dal successivo art. 22.

Immotivata, contraddittoria ed illogica sarebbe la motivazio

ne adottata sulla questione dal tribunale amministrativo regio nale che, pur ritenendo applicabile alle insegne la disciplina di

cui al richiamato art. 22 1. n. 1089 del 1939, ha, tuttavia, ag

giunto che, considerata insieme alla struttura di sostegno l'inse

gna in esame rientrava nella diversa previsione relativa alle «opere di qualunque genere» di cui all'art. 18 stessa legge.

La censura è infondata e va respinta. Correttamente, ad opi nione del collegio, il tribunale amministrativo regionale ha rite

nuto applicabile al caso in esame il disposto di cui all'art. 18

1. n. 1089 del 1939, relativo non solo alle «opere edilizie» ma

anche alle «opere di qualunque genere» comprendendo con tale

espressione qualsiasi manufatto, anche se di limitata entità vo

lumetrica ed a carattere precario, purché idoneo ad arrecare

pregiudizio all'interesse tutelato.

Norma, quella indicata, la cui applicazione non resta preclu

sa, come pretende l'appellante, per le insegne pubblicitarie per effetto del disposto di cui al successivo art. 22 stessa indicata

1. n. 1089 del 1939; dal momento che la disciplina dello stesso

(art. 22) enunciata riguarda soltanto il «collocamento o l'affis

sione di manifesti, cartelli, iscrizioni ed altri mezzi di pubblici tà» che per la loro sola presenza danneggiano l'aspetto, il deco

ro e il pubblico godimento degli immobili di interesse storico

e non, diversamente dal caso in esame, la realizzazione di un

manufatto di sostegno. 3. - Sempre in relazione ai motivi di appello respinti dal tri

bunale amministrativo regionale, la società Telube deduce, poi, che l'insegna in questione non poteva considerarsi abusiva, ai

sensi del disposto di cui all'art. 18 1. n. 1089 del 1939, in quan to «la relativa pratica era stata esaminata ed aveva ottenuto

il parere favorevole della soprintendenza con provvedimento in

data 29 aprile 1984».

Con l'atto indicato, la soprintendenza aveva espresso parere favorevole all'esecuzione di alcune modifiche al manufatto di

sostegno dell'insegna Lavazza «avendo cura di precisare che ta

le parere veniva formulato non solo limitatamente all'insegna

richiesta, ma anche a seguito della valutazione delle precedenti autorizzazioni e della norma generale seguita...».

Immotivata ed illogica, secondo l'appellante, sarebbe la deci

sione adottata sul punto dal tribunale amministrativo regionale, il quale ha riferito il parere anzidetto alla sola insegna luminosa

e non già alla sua struttura portante ad essa inerente.

Anche tale causa è infondata e va quindi respinta.

Esattamente, ad opinione del collegio, il tribunale ammini

strativo regionale ha ritenuto che il parere richiamato dalla so

cietà appellante riguardasse la sola collocazione dell'insegna a

non già la realizzazione del supporto di sostegno della stessa.

Esso veniva, infatti, formulato in relazione alla domanda della

s.p.a. Lavazza di autorizzazione alla collocazione «sul tetto del

lo stabile di piazza Carlo Felice n. 80 la seguente pubblicità:

Insegna "Caffè Lavazza" formata da lettere scatolate singole

e da scatolature sagomate con illuminazione a tutti neon a vi

sta, a luce in movimento graduale e dissolvente».

Nessun specifico riferimento veniva fatto, nella valutazione

indicata, che peraltro conduceva ad un'autorizzazione (del 29

settembre 1984) precaria da parte del sindaco di Torino, al so

stegno su cui si reggeva l'insegna e che, costituendo, come rile

vato precedentemente, un'opera implicante una possibile com

promissione dei valori architettonici e dei significati culturali dello stabile, andava specificamente sottoposta al giudizio della

soprintendenza. 4. - L'appellante, infine, ripropone la censura, anch'essa re

spinta dal tribunale amministrativo regionale, di illegittimità del

provvedimento adottato in quanto la rimozione dell'insegna, ai

sensi dell'art. 22 1. n. 1089 del 1939, poteva essere disposta nel

solo caso di inosservanza del divieto alla sua collocazione e con

provvedimento motivato.

Nel caso in esame, non esisteva alcun divieto alla collocazio

ne dell'insegna e la soprintendenza non aveva assolto, nel di

II Foro Italiano — 1994.

sporre la rimozione, all'obbligo di fornire una congrua motiva

zione sulle ragioni che ne giustificavano la demolizione, in rela

zione principalmente al fatto che la stessa era collocata, da oltre

quarant'anni, in una delle piazze più centrali di Torino, di fronte

alla stazione centrale e con autorizzazione degli organi comuna

li e della stessa soprintendenza.

Neppure poi poteva essere assunta a presupposto e motiva

zione dell'atto impugnato la relazione della soprintendenza cui

ha fatto riferimento il tribunale amministrativo regionale, trat

tandosi di atto avente data (16 luglio 1991) successiva a quella del provvedimento di rimozione.

Anche tali censure sono infondate e vanno respinte. Il caso in esame, come rilevato precedentemente, rientrava

nella previsione di cui all'art. 18 1. n. 1089 del 1939; per dispor

re, pertanto, la rimozione dell'insegna con relativo supporto di

sostegno (implicanti nell'insieme un'opera per la cui realizzazio

ne era necessario preventivamente sottoporre il predetto alla so

vrintendenza) non era necessario uno specifico divieto del so

vrintendente stesso alla sua installazione, come invece previsto dal successivo art. 22 1. n. 1089 del 1939 erroneamente invocato

dall'appellante.

Quanto, poi, alla motivazione dell'impugnato provvedimen

to, sembra al collegio rilevante la circostanza che trattavasi di

atto implicante la formulazione di un giudizio tecnico

discrezionale non sindacabile sotto il profilo del merito; con

la conseguenza che l'indicazione di cui al primo capoverso del

l'atto della sovrintendenza riguardante il ritenuto «disturbo alla

migliore tutela dell'edificio» «per posizione e dimensioni» del

l'insegna con relativo supporto appare sufficiente a far ritenere

assolto l'obbligo della motivazione, afferendo l'ulteriore valu

tazione circa l'incidenza della posizione e dimensione dell'opera sulla tutela del bene al merito del provvedimento riservato alla

esclusiva pertinenza dell'amministrazione.

Considerazioni, quelle indicate, le quali consentono di ritene

re infondate anche le ulteriori doglianze di cui all'esaminato

motivo di appello ed ai successivi punti del proposto ricorso.

La circostanza, infatti, invocata dalla Telube, secondo cui l'in

segna era stata collocata da ben quarant'anni non implicava un aggravamento per l'amministrazione dell'obbligo della moti

vazione ovvero della svolta istruttoria, stante l'iniziale mancan

za di autorizzazione non sanabile per il mero decorso del termine.

Da tutto quanto premesso consegue la reiezione dell'appello e la conferma della sentenza impugnata sussistendovi giusti mo

tivi in relazione alla complessità (in punto di fatto) delle que stioni esaminate.

CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; ordinanza 3 maggio 1994,

n. 664; Pres. Imperatrice, Rei. Millemaggi Cogliani; Ente

naz. previdenza e assistenza medici (Aw. De Vergottini) c.

Calderale (Aw. Marchio, Garibaldi).

Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Indennità integra tiva speciale — Computabilità nel trattamento di fine rappor to — Nuova disciplina — Questioni non manifestamente in

fondate di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 25, 36, 103, 113;

1. 29 gennaio 1994 n. 87, norme relative al computo della

indennità integrativa speciale nella determinazione della buo

nuscita dei pubblici dipendenti, art. 1, 3, 4).

Non sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale:

a) dell'art. 4 l. 29 gennaio 1994 n. 87, nella parte in cui dispone

la estinzione d'ufficio, con compensazione fra le parti delle

spese relative, dei giudizi pendenti aventi ad oggetto la com

putabilità dell'indennità integrativa speciale nel trattamento

di fine rapporto dei pubblici dipendenti, in riferimento agli art. 3, 24, 1° e 2° comma, 25, 1° comma, 103 e 113 Cost.;

b) dell'art. 3 l. 87/94, nella parte in cui non esclude dall'obbligo

della presentazione della domanda i dipendenti già cessati dal

servizio i quali abbiano promosso azione giudiziaria per il com

puto dell'indennità integrativa speciale nella base di calcolo del

trattamento di fine servizio, in riferimento all'art. 3 Cost.;

c) dell'art. 1, lett. b, /. 87/94, in relazione allo stesso art. 1, lett.

a, nella parte in cui limita al trenta per cento dell'indennità in

tegrativa speciale annua in godimento alla data della cessa

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PARTE TERZA

zione dal servizio la quota computabile nella base di calcolo ai

fini della indennità di anzianità, in riferimento agli art. 3 e 36 Cost.;

d) dell'art. 1,4° comma, l. 87/94, in quanto esclude che le som

me dovute a titolo di prestazioni a norma della stessa legge dia

no luogo a corresponsione di interessi e rivalutazione moneta

ria, in riferimento agli art. 3 e 36 Cost. (1)

Diritto. — 1. La controversia concernente la computabilità del

l'indennità integrativa speciale nel trattamento di fine rapporto di dipendente Enpam viene dunque all'esame dopo la pronuncia della Corte costituzionale sulla questione di legittimità costituzio

nale in questa sede sollevata.

Nelle more, peraltro, è entrata in vigore (in data 6 febbraio

1994) la 1. 29 gennaio 1994 n. 87, recante «norme relative al

computo della indennità integrativa speciale nella determinazio

ne della buonuscita dei pubblici dipendenti» (pubblicata nella

Gazzetta ufficiale n. 29 del 5 febbraio 1994; Le leggi, 1994, I,

261), la quale, «in attesa della omogeneizzazione dei trattamenti

retributivi e pensionistici per i lavoratori dei vari comparti della

pubblica amministrazione e per i lavoratori privati conseguente

all'applicazione del d.l. 3 febbraio 1993 n. 29, e successive mo

dificazioni, e ferma la disciplina del trattamento di fine servizio

in essere per i dipendenti degli enti locali (art. 1), dispone che, a decorrere dal 1° dicembre 1994, l'indennità integrativa specia

le, di cui alla 1. 27 maggio 1959 n. 324, e successive modificazio

ni, viene computata nella base di calcolo dell'indennità di buo

nuscita e di analoghi trattamenti di fine servizio determinati in

applicazione delle norme già vigenti con riferimento allo stipen dio ed agli altri elementi retributivi considerati utili «a) per i

dipendenti degli enti di cui alla 1. 20 marzo 1975 n. 70, e succes

sive modificazioni, nella misura di una quota pari al 30 per cen

to dell'indennità integrativa speciale annua in godimento alla

data della cessazione del servizio con riferimento agli anni utili

ai fini del calcolo dell'indennità di anzianità». La stessa legge dispone all'art. 4 che i giudizi pendenti alla

data di entrata in vigore della presente legge aventi ad oggetto la riliquidazione del trattamento di fine servizio comunque de

nominato con l'inclusione dell'indennità integrativa speciale so

no dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese fra

le parti «e che i provvedimenti giudiziali non ancora passati in giudicato restano privi di effetto».

(1) La travagliata questione della computabilità dell'indennità inte

grativa speciale nell'indennità di buonuscita dei pubblici dipendenti tor na al vaglio della Corte costituzionale dopo la sent. 19 maggio 1993, n. 243, Foro it., 1993, I, 1729, a causa delle limitazioni contenute nella nuova disciplina introdotta con 1. 87/94; per ogni riferimento alla pree sistente situazione, v. richiami in nota a Cons, giust. amm. sic. 1° otto bre 1993, n. 339, id., 1994, III, 136.

Il legislatore ricorre spesso alla formula dell'estinzione d'ufficio dei

giudizi pendenti con compensazione delle spese di lite allorché intervie ne (con norme interpretative o innovative) a risolvere grandi contenzio si aperti dinanzi all'autorità giudiziaria: se nessun problema di costitu zionalità è mai sorto per le disposizioni sui condoni fiscali (cfr. d.l.

660/73; 1. 823/73; d.l. 429/82; 1. 516/82; 1. 413/91), ove in verità l'e stinzione del giudizio è conseguente ad una libera scelta del contribuen te e solo l'amministrazione finanziaria è vincolata alle disposizioni di

legge (senza alcuna possibilità di interferire, il che qualche dubbio di costituzionalità, sotto il profilo della parità di trattamento delle parti del giudizio, potrebbe pure giustificarlo, attesi gli abusi che si verifica no in sede di applicazione delle disposizioni conciliative: emblematico

l'esempio del tentativo di sanare, ai sensi della 1. 516/82, posizioni di credito fittiziamente basate su fatturazioni derivanti da operazioni ine

sistenti), le altre norme simili a quelle oggetto dell'ordinanza in epigrafe sono state puntualmente portate al vaglio della Corte costituzionale; nonostante l'apparente convergenza delle ragioni di illegittimità solleva te volta a volta dai giudici di merito, la corte si è pronunziata in termini

divergenti; si veda la declaratoria di infondatezza, in riferimento agli art. 1, 3, 24, 25, 38, 42, 70, 101, 102, 104 e 113 Cost., delle questioni sorte in ordine all'art. 6 1. 75/80 (che attribuiva alla giurisdizione esclu siva del Tar la cognizione delle controversie in materia di indennità di buonuscita relative al personale dello Stato e delle aziende autonome e prevedeva la estinzione dei giudizi pendenti con compensazione delle

spese e la caducazione dei provvedimenti giudiziali non definitivi) —

sent. 10 dicembre 1981, n. 185, id., 1982, I, 346, con nota di C.M. Barone; ord. 25 marzo 1982, n. 62, ibid., 2098 (seguite da Cass. 16 gennaio 1985, n. 81, id., Rep. 1985, voce Impiegato dello Stato, n. 772; 19 dicembre 1984, n. 6640, id., Rep. 1984, voce cit., n. 867) — nonché, in riferimento agli art. 24, 25, 101, 102, 103, 134, 136 e 137 Cost., delle questioni sorte in ordine all'art. 30 ter 1. 131/83

(che dichiarava l'estinzione d'ufficio con compensazione delle spese dei giudizi pendenti tra gli enti erogatori e quelli datori di lavoro in merito all'applicazione, con effetto retroattivo, dei benefici combatten tistici anche nei confronti dei trattamenti a carico dell'assicurazione

Il Foro Italiano — 1994.

Entrambe le disposizioni assumono evidenza nel presente giu dizio e pongono dubbi di loro incostituzionalità.

2.1. - L'art. 4 della legge considerata determina la dichiara

zione di estinzione d'ufficio del giudizio, con compensazione fra le parti delle spese relative.

In tale suo disposto esso sembra porsi in contrasto con gli art. 3, 24, 1° e 2° comma, 25, 1° comma, 103 e 113 Cost,

e la questione relativa non appare manifestamente infondata.

2.2. - La legge in esame, nel prescrivere che il trattamento

con essa previsto si applica anche ai dipendenti cessati dal servi

zio dopo il 30 novembre 1984 ed ai loro superstiti nonché a

quelli per i quali non siano ancora giuridicamente esauriti i rap

porti attinenti alla liquidazione dell'indennità di buonuscita o

analogo trattamento (art. 3, 1° comma), dispone poi che l'ap

plicazione del trattamento ai dipendenti già cessati dal servizio

«avviene a domanda, che deve essere presentata all'ente eroga tore su apposito modello nel termine perentorio del 30 settem

bre 1994 (art. 3, 1° comma). In tale contesto normativo, la disposizione contenuta nell'art.

4 successivo incide direttamente sul diritto di difesa quale ga rantito dall'art. 24, 1° e 2° comma, Cost. Se è vero infatti che

i precetti quivi sanciti non vietano che il legislatore ordinario

possa variamente disciplinare il diritto di difesa, quale espres sione della tutela giurisdizionale, in funzione di superiori inte

ressi di giustizia, eventualmente condizionandone l'esercizio al

l'esperimento di una procedura amministrativa, ciò non toglie tuttavia che sussistono limiti ad una siffatta discrezionalità, fra

cui il principale è rappresentato dalla condizione che l'esercizio

del diritto di difesa sia garantito in modo effettivo ed adeguato alle circostanze. In relazione a tale principio, più volte afferma

to dalla Corte costituzionale, il limite anzidetto risulta ampia mente superato allorché, come nella specie, il legislatore inter

venga successivamente all'esercizio dell'azione con disposizioni

preclusive intese a vanificare la tutela giurisdizionale, specie se

questa sia stata già sperimentata, essendosi resa necessaria —

come è reso evidente dalla intervenuta pronuncia di incostitu

zionalità — a seguito di puntuali inadempienze legislative a fronte

di posizioni soggettive, che la Corte costituzionale ha poi rite

nuto direttamente garantite dalla Costituzione.

È appena il caso infatti di ricordare che la disciplina legislati va sopravvenuta, che consente ora, sia pure entro certi limiti, il computo dell'indennità integrativa speciale nel trattamento di

generale obbligatoria) — sent. 2 febbraio 1988, n. 123, id., 1989, I, 652; ord. 3 dicembre 1987, n. 474, id., Rep. 1988, voce Impiegato degli enti locali, n. 35 (su questioni sollevate, fra le altre, da Pret. Venezia 10 agosto 1983, id., 1985, I, 327); ord. 13 dicembre 1988, n. 1097, id., Rep. 1990, voce Impiegato dello Stato, n. 1190 — a fronte della

pronunzia di illegittimità dell'art. 10, 1° comma 1. 425/84 (che dichia rava estinti d'ufficio a spese compensate i giudizi relativi all'applicazio ne degli art. 8 e 9 stessa legge in tema di trattamento economico dei

magistrati) — sent. 10 aprile 1987, n. 123, id., 1987, I, 1351 (nelle numerose ordinanze di rimessione si leggono argomentazioni del tutto simili a quelle a base del provvedimento in epigrafe: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 dicembre 1984, n. 933, id., 1985, III, 205, in riferimento

agli art. 24, 25, 101, 102, 103, 113, 134 e 136 Cost., e Tar Emilia

Romagna, sez. Parma, 16 ottobre 1984, n. 223, ibid., 400, in riferimen to agli art. 24 e 113 Cost.).

Un esame delle ragioni addotte da Corte cost. 123/87, cit., può orien tare le previsioni circa l'esito del nuovo giudizio di costituzionalità ora

proposto; la corte, infatti, precisata la diversità fra la disposizione del l'art. 6, 2° comma, 1. 75/80, oggetto della sentenza di legittimità 185/81, e quella dell'art. 10 1. 425/84 («La 1. 75/80, introducendo uno ius su

perveniens favorevole alle richieste di riliquidazione dell'indennità di

buonuscita, determinava la cessazione della materia del contendere. Su

questa ratio satisfattiva si fondava l'estinzione dei giudizi pendenti e l'inefficacia dei provvedimenti giudiziali non ancora passati in giudica to, senza che ne risultasse menomazione del diritto di azione e di difesa

degli interessati. Il contesto della disposizione ora in esame è invece tutt'affatto diverso. Lo ius superveniens si oppone alle richieste degli attori e alla interpretazione giurisprudenziale ad esse favorevole, stabi

lendo, con patente lesione del diritto di azione e di difesa, l'estinzione dei processi in corso.»), giudica l'art. 10 in esame lesivo del «valore costituzionale del diritto di agire, in quanto implicante il diritto del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza onerose reiterazio

ni», per la palese «volontà del legislatore di eradicare ogni realizzabilità del diritto alla decisione della materia controversa» e di precludere «al

giudice la decisione di merito».

Quanto alla esclusione della corresponsione degli interessi disposta dalla normativa sopravvenuta a regolare la controversa materia, Corte cost. 185/81, cit., aveva giustificato il giudizio di legittimità dell'art. 6 1. 75/80 con il richiamo alla più volte ritenuta «inidoneità dell'art. 36 Cost, a dire garantita la comprensione, nei trattamenti di fine rap porto, di ogni e qualsiasi componente della retribuzione (e quindi, in virtù del novellato art. 429, 3° comma, c.p.c., degli interessi)».

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

fine rapporto, fra l'altro, dei dipendenti degli enti pubblici di

cui alla 1. n. 70 del 1975, è solo in parte frutto della scelta

discrezionale del legislatore ordinario, dal momento che conse

gue alla pronuncia di illegittimità costituzionale delle norme pre

vigenti e nasce dalla esigenza, sottolineata dalla stessa corte,

di provvedere con adeguata tempestività a «reintegrare l'ordine

costituzionale violato».

È dunque chiaro che, quanto meno sul piano della sussisten

za del diritto, non può riconoscersi alla legge in esame alcun

carattere innovativo e che, con riguardo alla posizione sostan

ziale dedotta nei giudizi, soltanto la determinazione della misu

ra, dei modi e dei tempi di computo dell'indennità di anzianità

trova risposta nella nuova legge, essendo nella previgente legis

lazione statale, siccome emendata dalla pronuncia costituziona

le, il riconoscimento della titolarità del diritto ad un adeguato

computo dell'indennità medesima.

Sul piano della razionalità, non si sottrae al sospetto di viola

zione dell'art. 3 Cost, la disposizione normativa, che imponen do la dichiarazione di estinzione, si risolve appunto nella vanifi

cazione di quegli stessi giudizi, che hanno reso possibile la pro

posizione incidentale della questione di illegittimità costituzionale

e che dunque seppure ancora non definitivamente decisi dal giu

dice naturale con sentenza passata in cosa giudicata, pur tutta

via hanno consentito di incidere sull'ordinamento generale at

traverso la pronuncia suddetta.

Né può essere sottratto al sospetto di incostituzionalità la stessa

norma sotto il profilo della compromissione del diritto di difesa

derivante dalla estinzione dei giudizi pendenti, in relazione ai

tempi lunghi previsti per la realizzazione della pretesa e, in defi

nitiva, per il riconoscimento del diritto, dal momento che tale

estinzione potrebbe consentire alla amministrazione di rimettere

in discussione, caso per caso, l'esistenza stessa del diritto, an

che in relazione a quelle ipotesi che per tale aspetto potrebbero

già pervenire a pronta soluzione.

2.3. - L'illegittimità della norma è ancor più aggravata dalla

previsione di una domanda da proporsi entro un determinato

termine di decadenza da parte di quei soggetti che avevano già

proposto la loro pretesa in sede giurisdizionale, si da attrarre

nello stesso profilo di illegittimità costituzionale anche la dispo

sizione contenuta nell'art. 3, 2° comma, della stessa legge, nella

parte in cui non esonera dalla proposizione della domanda in

sede amministrativa tali soggetti, abbiano o meno essi già otte

nuto una sentenza favorevole.

2.4. - La violazione delle garanzie costituzionali poste dagli

art. 24, 1° e 2° comma, 25, 1° comma, Cost., investe l'art.

4 1. n. 87 del 1994, non solo per la parte in cui dispone l'estin

zione dei giudizi pendenti e priva di effetto i provvedimenti giu diziali non ancora passati in giudicato, ma anche là dove dispo

ne la compensazione delle spese del giudizio sottraendo al giu

dice naturale della pretesa sostanziale dedotta in giudizio tale

parte accessoria della controversia, che per principio costituzio

nale non può esserne distolta.

2.5. - Il sospetto di illegittimità dell'art. 4 1. n. 87 del 1994

si estende poi alla violazione dell'art. 113 Cost., in un ambito

che vede come giudice naturale delle relative controversie il giu

dice amministrativo.

2.6. - Vi è da rilevare altresì che la lesione delle posizioni

soggettive costituzionalmente garantite si accompagna nella specie

all'illegittima interferenza dell'esercizio del potere legislativo nella

sfera di attribuzioni del potere giurisdizionale, per quanto spet

tante al giudice amministrativo a norma dell'art. 103 Cost., am

pliando il sospetto di illegittimità costituzionale della norma an

che per tale profilo. 2.7. - Non può trascurarsi del resto che la Corte costituziona

le, con sentenza n. 123 del 10 aprile 1987 (Foro it., 1987, I,

1351), ha già dichiarato incostituzionale una norma di identico

contenuto della 1. n. 425 del 1984.

3. - L'incostituzionalità dell'art. 4, se dichiarata dalla Corte

costituzionale, pone in evidenza poi il sospetto di incostituziona

lità dell'art. 1,1° comma, lett. b), della stessa legge nella parte

in cui stabilisce che per i dipendenti degli enti di cui alla 1. 20 marzo 1975 n. 70, e successive modificazioni, il computo dell'in

dennità integrativa speciale nella base di calcolo dell'indennità

di anzianità sia effettuato «nella misura di una quota pari al 30

per cento dell'indennità integrativa speciale annua in godimento

alla data della cessazione dal servizio, con riferimento agli anni

utili ai fini del calcolo dell'indennità di anzianità». La questione

relativa è anch'essa non manifestamente infondata.

Pur tenendo presente l'indicazione della Corte costituzionale,

Il Foro Italiano — 1994.

la quale non ha escluso la possibilità che la complessiva omoge

neizzazione delle prestazioni di fine rapporto possa essere rea

lizzata secondo moduli improntati al principio di gradualità, ap

pare irrazionale il criterio che ha indotto il legislatore a conte

nere nella misura del 30 per cento anzidetto la quota di

computabilità della indennità integrativa speciale nella base di

calcolo dell'indennità di anzianità spettante ai dipendenti degli

enti pubblici non economici, in rapporto al trattamento riserva

to dalla stessa legge alla generalità dei dipendenti delle altre

pubbliche amministrazioni ed agli stessi iscritti all'Opera di pre

videnza ed assistenza per i ferrovieri dello Stato (Opafs), non

solo, ma anche in rapporto alla misura di ogni altro elemento

retributivo computabile, che l'art. 13 1. n. 70 del 1975 considera

per intero relativamente proprio ai dipendenti di tali enti.

La discrezionalità del legislatore ordinario nella determina

zione della base di calcolo ai fini del trattamento di fine rappor

to non si può ritenere estesa alla previsione di ingiustificate com

misurazioni sperequative e inidonee a soddisfare l'esigenza di

adeguatezza e proporzionalità cui la riforma avrebbe dovuto

ispirarsi secondo le indicazioni contenute nella sentenza n. 243

del 1993 della Corte costitizionale (id., 1993, I, 1729), con la

conseguenza che l'art. 1, 1° comma, lett. ti), 1. n. 87 del 1994

appare in violazione dei principi posti dagli art. 3 e 36 Cost.

4. - La pretesa dedotta nel presente giudizio è stata posta anche con riguardo alla rivalutazione monetaria delle somme

riconosciute dovute in integrazione della indennità di buonusci

ta ed agli interessi su di essi. Tale parte della pretesa diviene

preclusa dal 4° comma dell'art. 1 della legge fin qui esaminata,

in quanto dispone che le somme dovute in conseguenza del com

puto della indennità di fine servizio dell'indennità integrativa

speciale «non danno luogo a corresponsione di interessi né a

rivalutazione monetaria».

Sembra evidente la violazione, per effetto di una norma siffat

ta, sia dell'art. 3 che dell'art. 36 Cost., in quanto essa espone:

da un lato i crediti considerati, per le conseguenze dell'inadempi

mento ai debiti correlativi, ad un trattamento risarcitorio dete

riore rispetto a quello previsto per ogni altro credito di qualsiasi

genere ed anche da lavoro dipendente, senza che sussistano pecu

liarità differenziatrici; dall'altro lato, tale specifico credito, nel

suo carattere di retribuzione differita ormai legislativamente sta

bilita, alla sminuizione conseguente al decorso del tempo, che ne

svilisca la proporzionalità alla qualità e quantità del lavoro pre

stato e la sufficienza alla esistenza libera e dignitosa del lavoratore.

Ne risulta la non manifesta infondatezza anche di tale questione.

5. - Tutte le questioni di illegittimità costituzionale cosi deli

neate riguardo alla 1. n. 87 del 1994 sono rilevanti a fini della

definizione del giudizio. Quella concernente l'art. 4, perché dalla

sua risoluzione in un senso e nell'altro dipende se il giudizio stes

so possa pervenire a conclusioni di merito od essere dichiarato

estinto. Tutte le altre, perché, nel caso di incostituzionalità di

chiarata dell'art. 4, sulla risoluzione delle stesse dovrà confor

marsi in un senso o nell'altro il giudizio nel merito delle pretese

dedotte.

CONSIGLIO DI STATO; commissione speciale pubblico im

piego; parere 14 marzo 1994, n. 317; Pres. Quartulli; Min.

difesa.

Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Sospensione dalla

qualifica — Sospensione cautelare precedentemente disposta — Periodo — Computabilità — Effetti (D.p.r. 10 gennaio

1957 n. 3, statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 96). Impiegato dello Stato e pubblico in genere

— Sospensione cau

telare — «Restitutio in integrum» — Presupposti e condizio

ni (D.p.r. 3 gennaio 1957 n. 3, art. 97).

In occasione della irrogazione della sanzione disciplinare della

sospensione dalla qualifica, di cui all'art. 96 t.u. 3/57, il pe

riodo della sospensione cautelare dal servizio disposta in pen

denza di procedimento penale nei confronti del pubblico di

pendente va computato nella sanzione e, se la sospensione

dalla qualifica viene inflitta per durata inferiore alla sospen

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