sezioni riunite; decisione 12 ottobre 1987, n. 552/A; Pres. Stracuzzi, Est. B. Moretti; Proc. gen.Corte conti c. Pulitanò e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1988),pp. 505/506-509/510Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179361 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Non occorre indugiare oltre. In ogni caso, l'azienda non è un
ente pubblico economico, perché se svolge un'attività economica
di produzione di servizi, tale attività non è improntata a criteri
di remuraneratività, come risulta dall'art. 20 del citato d.p.r. n.
145 del 1981, che annovera tra le entrate le tasse di cui alla 1.
11 luglio 1977 n. 411 e la «eventuale sovvenzione di equilibrio a carico del bilancio dello Stato». Nello stesso senso orienta l'art.
23 del ripetuto d.p.r. che, per la responsabilità degli amministra
tori e del personale, richiama le norme vigenti per le amministra
zioni dello Stato e la giurisdizione contabile della Corte dei conti
(per l'incompatibilità tra ente pubblico economico e giurisdizio nale della Corte dei conti, cfr. Cass., sez. un., 21 ottobre 1983, n. 6179, id., Rep. 1983, voce Responsabilità contabile, n. 146).
Le norme degli art. 29 e 30 del citato d.p.r. n. 145 del 1981, relative al procedimento di contrattazione collettiva, ricalcano in
larga parte le disposizioni poi dettate con la legge-quadro, di cui
in definitiva costituiscono un'anticipazione. Ciò da un lato con
ferma anche sotto questo particolare angolo visuale la soggezione
dell'Aaavtag alle norme sulla contrattazione collettiva contenute
nella legge-quadro e dall'altro vale a superare le argomentazioni del ministero dei trasporti (cfr. nota dell'8 gennaio 1985), secon
do cui dalla normativa concernente l'azienda emergerebbe chiara
mente la volontà del legislatore di dare vita ad una struttura
caratterizzata da una effettiva autonomia oltre che nel settore
amministrativo contabile, anche in materia di gestione del perso nale. Non è superlfuo inoltre sottolineare a questo riguardo che
anche la legge delega sulla ristrutturazione dei servizi di assisten
za al volo (1. 23 dicembre 1980 n. 242) si muove in un quadro di riferimento unitario, quando all'art. 1 chiama il legislatore de
legato ad operare «nell'ambito della riforma delle aziende auto
nome di Stato».
7. - L'Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, nel nuovo ordi
namento introdotto dalla 1. 13 luglio 1966 n. 559 ha natura di
ente pubblico non economico ed i rapporti di lavoro dei dipen denti sono pubblici e attribuiti alla giurisdizione esclusiva del giu dice amministrativo.
È quanto affermato nella sentenza delle sezioni unite della Corte
di cassazione n. 6342 del 27 ottobre 1983 (id., Rep. 1983, voce
Impiegato dello Stato, n. 218, che fa seguito a numerose altre
sentenze della corte, diligentemente annotate nella relazione del
dipartimento della funzione pubblica). L'Istituto poligrafico e Zecca, perciò, ed il relativo personale
sono assoggettati al procedimento di contrattazione collettiva del
la legge-quadro sul publico impiego.
Occorre, peraltro, richiamare l'attenzione su un particolare aspet to attinente allo stato giuridico ed economico del personale dell'i
stituto. L'art. 24 1. 13 luglio 1966 n. 559, nel prevedere il
regolamento del personale, non si limita a porre una norma di
produzione giuridica, ma detta anche principi di natura sostan
ziale, laddove precisa che i rapporti saranno disciplinati «in base
al trattamento normativo e retributivo previsto dai contratti col
lettivi nazionali di lavoro per i dirigenti di aziende industriali,
per i dipendenti delle aziende grafiche e per i dipendenti delle
aziende cartarie ed ai trattamenti integrativi aziendali».
Si pone, dunque, il problema della compatibilità ed in quali
limiti di tale norma. Su questo punto andava previamente acqui
sito — ciò che non è stato fatto — il punto di vista del ministero
del tesoro, che ha la vigilanza sull'Istituto poligrafico e Zecca
dello Stato. Stante anche l'urgenza, la sezione ritiene di poterne
prescindere. È indubbio che oggi la disposizone, in regime di diretta con
trattazione collettiva anche per il personale dell'istituto e, quindi,
di materia rimessa all'autonomia contrattuale, non può che avere
il valore di norma di indirizzo, che segna una linea di tendenza
alle parti. Intesa in questi sensi e secondo questi limiti di portata,
però, la norma ha un ruolo anche nel nuovo contesto normativo,
quale si è delineato a seguito dell'entrata in vigore della legge
quadro sul pubblico impiego. A questo riguardo va anche osser
vato che l'assegnazione ad un determinato comparto, specie in
quello che comprende le aziende autonome dello Stato, se sottoli
nea la presenza di situazioni omogenee e affini, non impedisce
di tener conto della diversità delle prestazioni lavorative e, quindi
di orientamenti e di indirizzi che a quelle diversità si ricollegano.
8. - L'art. 3, lett. I, r.d.l. 8 maggio 1924 n. 750, dispone (o
disponeva per chi ritenesse che non sia stato richiamato in vigore
dal d.l.lgt. 21 settembre 1944 n. 315) che le camere di commercio
«possono unirsi in congressi e costituire unioni temporanee e per
ii Foro Italiano — 1988.
manenti per esaminare, con riguardo agli interessi di più circo
scrizioni o di tutto il regno, questioni commerciali o industriali, o per svolgere iniziative ed attività in relazione ai loro scopi e
alle loro attribuzioni.»
In base a tale norma (citata nelle premese del d.p.r. di cui
appresso) è sorta l'Unione italiana delle camere di commercio, industria ed agricoltura, cui il d.p.r. 30 giugno 1954 n. 709 ha
riconosciuto «la personalità giuridica di diritto pubblico», con
contestuale approvazione dello statuto.
Nel mese di settembre 1984, secondo quanto risulta dalla nota
del ministero dell'industria 5 gennaio 1985, sotto la vigenza della
legge-quadro, è stato adottato dall'unione ed approvato dal quel dicastero e dal ministro del tesoro il nuovo regolamento del per
sonale, che si ispira largamente all'ultimo contratto collettivo di
commercio.
Questa circostanza non ha alcun rilievo ai fini che qui interes
sano. Se il regolamento è assistito da presunzione di legittimità ed efficacia, è pur sempre possibile che la successiva contrattazio
ne collettiva del pubblico impiego, cui il personale fosse soggetto, lo privi di effetti. Inoltre, ai fini della qualificazione della natura
privata dei rapporti di lavoro e della loro sottrazione alla legge
quadro sul pubblico impiego, non è sufficiente, come si è già avuto modo di affermare, che la regolamentazione si sia ispirata alla disciplina contenuta in un accordo collettivo del settore pri vato (cfr. Cass., sez. un., n. 2466 del 21 aprile 1982, cit.).
Dall'art. 3 dello statuto, letto alla luce dell'art. 3 r.d.l. n. 750
del 1924, si evince che l'Unioncamere è un consorzio fra camere
di commercio per il potenziamento delle attività e il più efficace
perseguimento dei fini comuni. Non vi è, perciò, dubbio non solo
che l'ente rientri nell'ambito di applicazione della legge-quadro, ma che debba essere inserito nello stesso comparto delle camere
di commercio (arg. ex 8 che riguarda le associazioni ed i consorzi
tra comuni). Si obietta (v. lettera citata del ministero dell'industria) che l'u
nione ha natura associativa, che i suoi scopi non sono indefettibi
li, che la sua esistenza e permanenza sono facoltative. Ma siffatte
notazioni non hanno peso. Anche i consorzi e le associazioni tra
comuni e province possono avere gli indicati caratteri e, tuttavia,
per espressa disposizione (art. 8 cit.), sono assoggettati alla legge
quadro sul pubblico impiego. È da aggiungere che, a termine dei fini statutari, l'unione è
ben lontana dagli enti pubblici economici, secondo la nozione
sopra delineata, della dottrina e della giurisprudenza. Dire a que sto riguardo che l'unione, benché definita ente pubblico, non svolge in realtà «attività tipicamente amministrativa, ossia di carattere
autoritativo, ma fornisce servizi di tipo privatistico», significa non
già addurre argomenti per dimostrarne la natura di ente pubblico
eonomico, ma porre in dubbio la pubblicità dell'unione. Questa,
peraltro, è fuori discussione, stante il conferimento della perso nalità giuridica di diritto pubblico di cui al d.p.r. 30 giugno 1954 n. 509 (assistito da presunzione di legittimità produttivo di effetti).
CORTE DEI CONTI; sezioni riunite; decisione 12 ottobre 1987,
n. 552/A; Pres. Stracuzzi, Est. B. Moretti; Proc. gen. Corte
conti c. Pulitanò e altri.
CORTE DEI CONTI;
Corte dei conti — Giudizio di responsabilità — Sospensione —
Riassunzione — Termine (Cod. proc. civ., art. 297; r.d. 13
agosto 1933 n. 1038, regolamento di procedura per i giudizi
innanzi alla Corte dei conti, art. 13, 26; r.d. 12 luglio 1934
n. 1214, t.u. delle leggi sulla Corte dei conti, art. 75).
Corte dei conti — Giudizio di responsabilità — Sospensione —
Omessa riassunzione — Estinzione — Eccezione di parte —
Necessità (Cod. proc. civ., art. 305, 307; r.d. 13 agosto 1933
n. 1038, art. 13).
In forza del richiamo alle norme del codice di rito disposto dal
l'art. 13 del regolamento di procedura innanzi alla Corte dei
conti, venuta a cessare la causa di sospensione del giudìzio di
responsabilità dinanzi alla Corte dei conti, il termine entro il
quale il giudizio deve essere riassunto è quello di sei mesi, ex
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PARTE TERZA
art. 297 c.p.c., e non quello di un anno previsto dall'art. 75
t.u. 1214 del 1934. (1) L'estinzione del giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei
conti per mancata riassunzione entro il termine stabilito del
l'art. 297 c.p.c. non opera di diritto, ma deve essere eccepita dalla parte interessata ex art. 307 c.p.c. (2)
Fatto. — Con citazione 31 gennaio 1980 il procuratore genera le presso questa corte conveniva in giudizio gli eredi di Muscari
Giovanni per farli condannare al risarcimento dei danni in favore
dell'Inail quantificando in lire 3.607.120, oltre gli interessi e le
spese del giudizio, il danno dal predetto arrecato, con varie irre
golarità, all'ente.
Nell'udienza dell'8 maggio 1981 la sezione giurisdizionale della
corte per la regione Sicilia ordinava la sospensione del giudizio in attesa del passaggio in giudicato della sentenza relativa al pro cedimento penale instaurato nei confronti di altri dipendenti del
l'Inail che avevano concorso in vari reati insieme al Muscari,
peraltro già deceduto (31 dicembre 1976) anteriormente alla sco
perta delle irregolarità. Con decreto 28 maggio 1981 veniva autorizzato il sequestro
conservativo in danno degli eredi Muscari per la complessiva som
ma di lire 5.910.780, sequestro convalidato con decisione della
stessa sezione n. 1298 in data 18 gennaio 1982.
Con sentenza 9 novembre 1983, passata in giudicato il 19 mag
gio 1984, il Tribunale di Catania assolveva i dipendenti dell'Inail con la formula «il fatto non costituisce reato».
Con atto depositato il 22 febbraio 1985 il procuratore generale riassumeva il giudizio insistendo per la condanna dei convenuti
eredi.
Con decisione n. 1438 del 4 febbraio 1986 la sezione giurisdi zionale per la regione Sicilia dichiarava estinto il giudizio di re
sponsabilità a carico degli eredi Muscari per essere stato l'atto
di riassunzione del p.g. depositato oltre il termine di sei mesi
dal passaggio in giudicato della sentenza penale, in violazione
del termine perentorio previsto dall'art. 297 c.p.c., con gli effetti
conseguenziali in ordine al sequestro conservativo convalidato in
corso di causa. Precisava la sezione che la estinzione doveva esse
re dichiarata, pur in mancanza di eccezione dei convenuti, stante
la peculiarità del giudizio di responsabilità, e che neppure ricorre
vano i presupposti per poter considerare l'atto di riassunzione
come un autonomo e nuovo atto di citazione in giudizio. La soprariassunta decisione è stata appellata dalla procura ge
nerale per ritenuta violazione dell'art. 307 c.p.c. (carenza della
eccezione della parte interessata), norma applicabile anche ai giu dizi di responsabilità innanzi alla Corte dei conti. (Omissis)
Diritto. — Con il presente appello la corte è chiamata a risol
vere la questione: 1) se, venuta a cessare la causa di sospensione del giudizio di responsabilità, il termine entro il quale il giudizio stesso debba essere riassunto, sia di sei mesi, ex art. 297 c.p.c., oppure di un anno, ex art. 75 t.u. 1214 del 1934; e ove venga affermata l'applicabilità del termine del codice di procedura civi
le: 2) se la scadenza del termine semestrale debba essere applica
(1-2) In termini Corte conti, sez. I, 13 maggio 1987, n. 79, Foro it., Rep. 1987, voce Corte dei conti, n. 37, e in Informazione prev., 1987, 1588.
Nel senso che per la riassunzione del giudizio di responsabilità davanti alla Corte conti si applica il termine semestrale previsto dalle norme del codice di procedura civile (art. 297 e 305) e non il termine annuale di cui all'art. 75 t.u. n. 1214 del 1934, cfr., oltre a Corte conti, sez. riun., 8 giugno 1982 n. 56/C, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 23, e in Riv. Corte conti, 1982, 464 (richiamata in motivazione), anche sez. riun. 18 febbraio 1985, n. 399/A, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 28, e in Riv. Corte conti, 1985, 63; sez. II 20 marzo 1985, n. 69, Foro it., Rep. 1986, voce Responsabilità contabile, nn. 581, 582, e in Riv. Corte conti, 1985, 177.
Appare dunque superato (nonostante dalla motivazione della sentenza in epigrafe sembri il contrario) l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale, venuta a cessare la causa di sospensione del giudizio di responsa bilità, il termine entro il quale il giudizio deve essere riassunto non è quello semestrale di cui al codice di procedura civile, ma il più ampio termine annuale di cui all'art. 75 t.u. n. 1214 del 1934. In tal senso cfr., oltre a Corte conti, sez. riun., 14 settembre 1982, n. 313, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 218, e in Riv. Corte conti, 1982, 908, e Foro amm., 1983, I, 1766; sez. I 18 gennaio 1980, n. 5, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n. 208, e in Riv. Corte conti, 1980, 110; sez. II 20 ottobre 1970, n. 61, Foro it., Rep. 1971, voce cit., n. 185, e in Foro amm., 1971, I, 3, 110.
Il Foro Italiano — 1988.
ta d'ufficio dal giudice oppure debba essere eccepita dalla parte
interessata, perché possa operare di diritto.
In ordine a quanto forma oggetto del primo quesito esiste giuris
prudenza discordante tra i giudici di primo grado ed anche nel
l'ambito di queste stesse sezioni riunite. Queste ultime, in due
decisioni depositate a breve intervallo di tempo hanno affermato:
in una (n. 56/C dell'8 giugno 1982, Foro it., Rep. 1983, voce
Corte dei conti, n. 23), che in caso di interruzione del giudizio
(ed il principio trova applicazione anche alla sospensione), deve
applicarsi il termine di sei mesi; in altra (n. 313 del 14 settembre
1982, id., Rep. 1983, voce Responsabilità contabile, n. 218), che
in caso di sospensione del giudizio deve applicarsi il termine di
un anno previsto dall'art. 75 t.u. n. 1124 del 1934, per la preva lenza di questo sull'altro, minore, posto dal codice di procedura civile.
Un approfondito riesame delle norme in discussione induce il
collegio nel convincimento che sia più corretta l'interpretazione secondo la quale alla riassunzione del giudizio sospeso debba apli carsi l'art. 297 c.p.c.
La «riassunzione d'istanza» è regolata, per i giudizi innanzi
alla Corte dei conti, dall'art. 13 del regolamento di procedura n. 1038 del 1933 che cosi testualmente prescrive: «Per la riassun
zione d'istanza valgono le norme del codice di procedura civile.
Tali norme non si applicano nei giudizi ordinari di conto».
La chiarezza delle espressioni usate nella norma è tale che non
può in alcun modo condividersi la interpretazione limitativa della
sua portata sostenuta nella decisione n. 313 del 1982 di queste sezioni riunite.
Si sostiene, infatti, che l'art. 13 del regolamento 1038 del 1933
può trovare applicazione solo per quanto riguarda le cause che
danno luogo alla riassunzione, il termine iniziale nonché le forme
in cui la riassunzione stessa deve concretarsi, restando, invece, fuori dall'ambito della norma la durata del termine perentorio,
per la quale opera il termine più generale previsto dall'art. 75
t.u. 1214 del 1934.
A sostegno della tesi si richiama l'art. 26 del regolamento di
procedura per il quale nei procedimenti contenziosi di competen za della Corte dei conti si osservano le norme e i termini della
procedura civile «in quanto siano applicabili e non siano modifi
cati» dalle disposizioni del regolamento stesso.
Ora, in primo luogo il collegio osserva che l'art. 26 è norma
di chiusura in forza della quale tutto ciò che non è disciplinato dal regolamento di procedura ricade nell'ambito del codice di pro cedura civile, ma allorquando è proprio il regolamento a rinviare
a quest'ultimo per tutto quanto attiene alla riassunzione (art. 13) sembra del tutto ininfluente il richiamo all'art. 26 perché nel caso
di specie l'istituto rimane disciplinato proprio attraverso l'espres so rinvio al codice di procedura civile e non attraverso l'interven
to di quest'ultimo per coprire un'area scoperta. In secondo luogo assume rilevanza il fatto che l'inerzia proces
suale in conseguenza della quale l'art. 75 del t.u. pone come san
zione l'autonomo istituto dell'abbandono è colpita da una norma
che ha carattere generale (in tal senso cfr. sez. riun. n. 353/A
del 1983), ma che appunto per questo suo carattere deve arrestar
si e cedere necessariamente il passo alla norma speciale (quale
può essere classificato l'art. 13 del regolamento) in quanto que st'ultima specificamente disciplina l'istituto della riassunzione in
ogni suo aspetto (restandone esclusi solo i giudizi ordinari di
conto). In terzo luogo, poiché l'art. 13 citato espressamente esclude
dal rinvio alla procedura civile «i giudizi ordinari di conto», deve
logicamente concludersi che ove si fosse inteso escludere dall'e
spressione «valgono le norme» anche soltanto una parte di que
ste, e precisamente quella riferentesi alla durata del termine (come sostenuto nella dee. 313 già richiamata), ciò sarebbe stato espres samente detto o con un richiamo all'art. 26 dello stesso regola mento oppure con una riserva di applicazione dell'art. 75 del t.u.
1214, oppure con l'espressione «salvo che non sia disposto altri menti» od altra equivalente.
Conclusivamente, sul punto deve convenirsi con l'orientamen
to espresso da queste sezioni riunite nella decisione n. 56/C dell'8
giugno 1982, secondo cui la riassunzione del giudizio soggiace
per intero alle norme del codice di procedura civile e quindi, quanto alla durata del termine, ai sei mesi previsti dell'art. 297.
Pur non essendo qui in contestazione la decorrenza, tuttavia
pare opportuno precisare che il dies a quo non può essere, come
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
affermato nella decisione qui appellata, quello segnato dal pas
saggio in giudicato della sentenza penale, bensì', secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale (sent. n. 34 del 4 marzo 1970,
id., 1970, I, 681), da quando le parti del processo sospeso abbia
no avuto conoscenza della cessazione della causa che ha determi
nato la sospensione del giudizio. Alla conclusione cui è pervenuto il collegio segue la rilevanza
del secondo quesito e cioè se il decorso del termine di sei mesi
debba essere rilevato d'ufficio dal giudice oppure debba essere
eccepito dalla parte interessata.
Anche qui soccorre, per una risposta al quesito, il «significato
proprio delle parole, secondo la connessione di esse» (art. 12 pre
leggi) quale appare dall'art. 13 del regolamento. Non sarà superfluo ricordare che il citato art. 13 prevede che
«per la riassunzione d'istanza valgono le norme del codice di pro cedura civile». È difficile, con un rinvio cosi ampio, escludere, come la decisione qui appellata ha escluso, l'applicabilità delle
norme processuali che regolano l'effetto della inosservanza del
termine di riassunzione e cioè l'estinzione del giudizio. Per sostenere l'inaplicabilità si afferma che la peculiarità del
processo per responsabilità amministrativa non consente il libero
«gioco» delle eccezioni per la tipicità dei poteri sindacatori del
giudice e per il ruolo del p.m. che deve anzitutto garantire l'os
servanza della legge. La tesi non può condividersi, anche perché torna a presentare
a supporto una peculiarità del processo di responsabilità ammini
strativa che nella specie è del tutto fuor di luogo, perché altri
menti l'art. 13 non avrebbe alcun valore, stante le limitazioni
che gli si vorrebbero imporre. In primo luogo la tipicità dei poteri sindacatori del giudice non
sottrae questi al rispetto delle norme che, pur imponendo delle
conseguenze al decorso del tempo, ne subordinano l'effetto alla
eccezione della parte interessata (così come, ad esempio, la pre scrizione che non può essere applicata d'ufficio).
In secondo luogo l'osservanza della legge alla quale è tenuto
il p.m. non esclude una pari osservanza da parte del convenuto
in giudizio e tantomeno del giudice che deve rispettare l'art. 307, ultimo comma, c.p.c. cosi come ogni altra norma procedurale.
Nulla, quindi, se non una arbitraria interpretazione, autorizza
ad escludere una applicazione integrale delle norme che nella pro cedura civile regolano la riassunzione del giudizio, ragione per
cui, in carenza di un reale supporto che limiti la portata dell'art.
13, al di fuori di un generico richiamo ad una peculiarità del
processo di responsabilità amministrativa, cosi come, invece, è
limitata per il giudizio ordinario di conto, deve concludersi per
l'applicabilità dell'art. 307 c.p.c. anche nella fattispecie in esame.
Per le esposte considerazioni l'appello del p.g. va accolto per ché fondato e gli atti vanno restituiti al giudice di primo grado
per l'esame di merito della chiamata in giudizio degli eredi Muscari.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA ZIO; sezione II; sentenza 24 maggio 1988, n. 717; Pres. Ele
fante, Est. D'Agostino; Di Napoli Rampolla (avv. Zupo) c.
Min. beni culturali e ambientali (Avv. dello Stato Corsini).
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA ZIO; sezione II; sentenza 24 maggio 1988, n. 717; Pres. Ele
Archivi di Stato, pubblici e privati — Archivio privato di interes
se storico — Deposito coatto — Presupposti (D.p.r. 30 settem
bre 1963 n. 1409, norme relative all'ordinamento ed al personale
degli archivi di Stato, art. 43). Archivi di Stato, pubblici e privati — Archivio privato di interes
se storico — Deposito coatto — Invito al proprietario — Suc
cessivo provvedimento autoritativo — Contraddittorietà —
Esclusione (D.p.r. 30 settembre 1963 n. 1409, art. 38, 43).
Archivi di Stato, pubblici e privati — Archivio privato di interes
se storico — Violazione da parte del proprietario dell'obbligo
di consenso alla consultazione — Deposito coatto — Irrilevan
za — Procedimento espropriativo (D.p.r. 30 settembre 1963
n. 1409, art. 43, 45). Archivi di Stato, pubblici e privati — Archivio privato di interes
se storico — Deposito coatto — Compilazione dello stato di
consistenza — Condizione — Esclusione (D.p.r. 30 settembre
1963 n. 1409, art. 43).
Il Foro Italiano — 1988.
Archivi di Stato, pubblici e privati — Archivio privato di interes
se storico — Deposito coatto — Ipotizzato pericolo per inade
guatezza dei locali — Archivio di Stato — Irrilevanza (D.p.r. 30 settembre 1963 n. 1409, art. 43).
Archivi di Stato, pubblici e privati — Archivio privato di interes
se storico — Deposito coatto — Mancata prefissione del termi
ne finale — Irrilevanza — Richiesta di restituzione da parte del proprietario — Presupposti (D.p.r. 30 settembre 1963 n.
1409, art. 38, 39, 43). Archivi di Stato, pubblici e privati — Archivio privato di interes
se storico — Deposito coatto — Sottoscrizione del provvedi mento da parte del sottosegretario di Stato delegato —
Legittimità — Illeggibilità della sottoscrizione — Irrilevanza
(D.p.r. 30 settembre 1963 n. 1409, art. 43)
È legittimo il provvedimento che dispone il deposito coatto d'ar
chivio storico ai sensi dell'art. 43 d.p.r. 30 settembre 1963 n.
1409 sulla base della sola valutazione tecnica sull'importanza
dell'archivio, sulla rilevanza dei danni causati e/o incombenti, sull'interesse pubblico alla conservazione del bene, senza alcun
riferimento alla condotta del proprietario ed a sue eventuali
responsabilità, trattandosi di istituto con fine cautelare e non
sanzionatorio. (1) Non sussiste contraddittorietà fra l'invito rivolto dalla soprinten
denza al proprietario di archivio storico per la collaborazione
alla salvaguardia del bene ed alla sua utilizzazione da parte
degli studiosi, ai sensi dell'art. 38 d.p.r. 30 settembre 1963 n.
1409, ed il successivo provvedimento di deposito coatto adotta
to, ai sensi dell'art. 43 dello stesso decreto, dopo che il pro
prietario non abbia neppure consentito la attività sostitutoria
della pubblica amministrazione prevista dal citato art. 38 e ri
chiamata nelle diffide. (2) La violazione da parte del proprietario dell'obbligo di consenso
alla consultazione di archivio storico notificato, non è un pre
supposto del procedimento di deposito coatto previsto dall'art.
43 d.p.r. 30 settembre 1963 n. 1409, ma costituisce un sicuro
parametro ai fini del procedimento di espropriazione per pub blica utilità previsto dall'art. 45 d.p.r. 1409. (3)
La compilazione dello stato di consistenza o inventario dei beni
di un archivio storico non è prevista dalla legge come condizio
ne del provvedimento di deposito coatto ex art. 43 d.p.r. 30
settembre 1963 n. 1409, ma, anzi, la sua mancanza ne costitui
sce presupposto, trattandosi di obbligo facente carico al pro
prietario. (4) È legittimo il provvedimento di deposito coatto di archivio stori
co adottato dalla soprintendenza ai sensi dell'art. 43 d.p.r. 30
settembre 1963 n. 1409, ancorché il proprietario ipotizzi, ma
non provi, il pericolo di un ulteriore deterioramento conseguente ad una pretesa condizione di inadeguatezza dei locali dell'ar
chivio di Stato genericamente affermata. (5) È legittimo il provvedimento di deposito coatto di archivio stori
co adottato ex art. 43 d.p.r. 30 settembre 1963 n. 1409 senza
la prefissione del termine finale del deposito, atteso che l'incer
tezza dell'an e del quando dell'obbligo di restituzione deve rife rirsi all'adempimento da parte del proprietario degli obblighi
previsti dall'art. 38 d.p.r. 1409/63 e che lo stesso proprietario
può sempre richiedere la restituzione dell'archivio, ai sensi del
l'art. 39, obbligandosi al mantenimento di tutti gli obblighi pre visti dal citato art. 38. (6)
È legittimo il provvedimento di deposito coatto di archivio stori
co, ai sensi dell'art. 43 d.p.r. 30 settembre 1963 n. 1409, sotto
scritto (anche se con firma illeggibile) dal sottosegretario di Stato
delegato dal ministro per i beni culturali e ambientali per la
trattazione e la risoluzione di un complesso di materie tra cui
la tutela del patrimonio storico-archivistico. (7)
(1-7) Nulla in termini, salvo Pret. Roma 27 luglio 1987, in questo fasci
colo, I, 3454, con nota di richiami di G. Albenzio, che si è pronunciata sulla medesima controversia, in sede di procedimento ex art. 700 c.p.c.
La decisione in rassegna affronta per la prima volta il problema della
esperibilità del procedimento per il deposito coatto di archivio di interes
se storico ai sensi dell'art. 43 d.p.r. 1409/63, con una decisione ad ampio
raggio che fornisce un quadro completo e chiarificatore in materia.
In dottrina si segnalano: per l'argomento specifico, V. Sgroi, Espro
priazione di documenti privati di notevole interesse storico e tutela della
riservatezza e dell'inedito, in Studi in memoria di Andrea Torrente, Giuf
frè, Milano, 1968; per accenni nell'ambito di notazioni più generali, M.
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