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Sezioni unite —Udienza 21 giugno 1878, Pres. Duchoqué, Est. Benetti —Ric. CassoloSource: Il Foro Italiano, Vol. 3, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1878), pp.133/134-135/136Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23083037 .
Accessed: 18/06/2014 03:26
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133 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 134
negativa della Corte dei conti, e per il pubblico mini
stero dal giorno della liquidazione o della delibera
zione negativa;
Considerando che il procedimento per la presenta zione dei ricorsi alla Corte dei conti non è diverso da
quello prescritto dal Codice di procedura civile per i
ricorsi in Cassazione. E tanto la legge comune quanto la legge speciale pel procedimento presso la Corte dei
conti prescrivono che il ricorso, coi documenti annessi
e coll'atto originale di notificazione, debba essere pre sentato alla segreteria della Corte nei termini fissati
dalla legge. Ogni consegna o presentazione fatta fuori
gli uffici di segreteria della Corte è inefficace. Impe
rocché, ove si ammettesse per poco di potersi presen tare i ricorsi negli uffici o segreterie delle Prefetture
0 Sotto-prefetture, o di altre autorità amministrative
e giudiziarie, potrebbero essere senz'altro frustrati ed
esclusi i termini imposti dalla legge, nel senso di pro
lungarli oltre il tempo prefisso. E di ciò prova ne sia
il ricorso stesso della Sedelmajer, la quale, sapendo che
1 termini per ricorrere scadevano nel 21 agosto 1873, e non essendovi tempo sufficiente per presentare alla
Corte dei conti in Roma il suo ricorso, un giorno prima della scadenza del termine legale lo presentò alla Pre
fettura di Reggio di Calabria. Di fatto, il Ricorso non
giunse alla Corte che nel 2 settembre, sicché il ter
mine a favore della Sedelmajer non sarebbe più di 90
giorni, secondo le prescrizioni della legge, ma di 102; Considerando che la sapienza delle leggi e dei giure
consulti dell'antica Roma fece del termine legale, sotto
determinate condizioni, un principio della più alta ri
levanza nelle transazioni della vita civile, e lo ritenne
capace di trasformare in diritti sin le tolleranze pa cifiche o le negligenze, relativamente al decorso del
tempo; di rendere inefficaci le obbligazioni, e di niuno
effetto tanto le azioni reali che le personali. Per la
qual cosa il diritto romano riguardò il giorno come
unità indivisibile, e stabilì la regola che un dato ter
mine si debba ritenere per compiuto, principiato che sia
l'ultimo giorno civile : quia annum civiliter, non ad
momenta temporum, sed ad dies numeramus (D. L. 16, de verb, signif.) ;
Considerando che il legislatore italiano non si allon
tanò dalle massime delle antiche leggi romane, e non
diede minore efficacia di quelle ai termini legali. Im
perocché anche egli stabilì nel Codice civile che col
decorso del tempo, e sotto condizioni determinate, si
può acquistare un diritto, od essere liberato da un'ob
bligazione (art. 2105). Anche egli volle che il tempo si
computi a giorni interi e non ad ore, e che il mese
legale sia di 30 giorni (art. 2133), e che nel computo dei termini misurati a giorni non si comprenda il giorno della notificazione (art. 43 della proc. ci v.), ma la pre scrizione si compia allo scadere dell'ultimo giorno del
termine (art. 2134 Cod. civ.); Considerando che la ricorrente presentò nell'89" giorno
del termine fissato dalla legge del 26 luglio 1868 il suo
ricorso, e lo presentò alla Prefettura di Reggio Cala
bria, ufficio estraneo a quello previsto dalla medesima
legge per la presentazione dei ricorsi alla Corte dei
conti in Sezioni unite;
Considerando che il ricorso della Sedelmajer pervenne alla Corte dei conti il 2 settembre 1873, cioè, non nel
termine di 90 giorni prescritto dalla legge, ma dodici
giorni dopo scorso il termine legale.
Per questi motivi, la Corte, in Sezioni unite, dichiara
irricevibile il ricorso, ecc.
CORTE DEI CONTI. Sezioni unite — Udienza 21 giugno 1878, Pres. Du
choqué, Est. Benetti — Ric. Cassolo.
Pensiono — Anniento — Stipendio — (Legge
14 aprile 1864, art. 14, 16).
A senso della legge 14 aprile 1864, nella formazione della media delle retribuzioni percette dall' impie
gato nell' ultimo triennio di effettivo servizio vanno
computati anche gli aggi, ma da ciò non ne deriva
che anche per Vaumento di cui all'art. 16 debbansi
calcolare gli aggi insieme allo stipendio.
La Corte, ecc. — Considerando che certamente, a
senso dell'art. 14 della legge 14 aprile 1864, nella for
mazione della media delle retribuzioni percette dall'im
piegato nell' ultimo triennio di servizio effettivo vanno
computati collo stipendio anche gli aggi, questi ultimi
però colle limitazioni ivi prescritte, ma da ciò non de
riva che anche per l'aumento, di cui all'art. 16, deb
bansi calcolare insieme gii stipendi e gli aggi; Considerando che il citato art. 16 parla solamente
di aumento di stipendio, e che questo debba intendersi
in senso stretto, cioè del vero e proprio stipendio, è
consono allo spirito ed al fine cui mira l'articolo
stesso. Infatti la legge volle compensare coloro che
nell'ultimo dodicennio di servizio non ottennero aumento
di stipendio o soltanto in tenue misura, ma questo con
fronto fra il principio del dodicennio e la fine del me
desimo non può farsi che sopra un elemento fisso, non
incerto nè variabile; Considerando che, se trattasi d'impiegato, il quale
nell'ultimo dodicennio non abbia avuto che aggi senza
stipendio fisso, certo è che non potrebbe parlarsi di
aumento, stantechè il più o il meno dell'ammontare an
nuale dell'aggio non indica un ritardo od avanzamento di
carriera, dipendendo l'aggio dall'ammontare dell'entrate
riscosse dall'impiegato, e questo da varie circostanze
accidentali, spesso indipendenti dall'opera dell'impie
gato e del Governo; Considerando che per la stessa ragione non può te
nersi conto degli aggi per un impiegato che avesse
percetto aggi e stipendio insieme, dipendendo anche qui le variazioni degli aggi da moltiplici accidentalità che
tolgono la base d'un regolare confronto ed escludono
l'idea di ritardo od avanzamento di carriera; Considerando che pertanto al ricorrente va fatto
l'aumento soltanto sullo stipendio con esclusione degli
aggi, ed in ciò è quindi infondato il ricorso;
Considerando, d'altra parte che, escludendo ogni ri
guardo agli aggi, quando il tenerne conto gravasse al
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135 PARTE TERZA 136
l'impiegato, impone di non tenerne conto nemmeno a
suo danno; il che d'altronde non è fondato sopra alcuna
disposizione di legge o sopra qualsiasi chiara inter
pretazione della medesima, e quindi compete al ricor
rente, che ha goduto nell' ultimo dodicennio sempre lo
stesso stipendio, l'aumento del quinto su questo sti
pendio, depurato dalla parte considerata come spese
d'ufficio, senza qualsiasi altra deduzione; Considerando infine che il ricorrente non può la
gnarsi se a titolo di spese d'ufficio viene dedotta la
quarta parte oltreché degli aggi anche degli stipendi,
perchè ciò fu disposto col citato decreto del 1852, e
conseguentemente non andò soggetto a ritenuta l'in
tero di lui stipendio, ma soltanto per tre quarti del
suo ammontare; d'altronde, ove si escludesse l'appli
cazione del citato decreto, egli non avrebbe più diritto
a che si computassero collo stipendio anche gli aggi
nella formazione della media per base della pensione,
trattandosi di aggi per entrate comunali, non pagati
dallo Stato ma dai Comuni.
Per questi motivi, accogliendo il ricorso nel punto
che l'aumento, di cui all'art. 16 della legge 14 aprile 1864,
va calcolato sullo stipendio netto dalle spese d'ufficio,
senza deduzione per differenza degli aggi percetti fra
il principio e la fine del dodicennio di servizio, decide
di rigettare il ricorso per ogni altro punto e rinvia
gli atti alla Sezione 2a della Corte per la liquidazione
dell'aumento riconosciuto competente sul solo stipendio.
RIVISTA DI GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Espropriazione forzata per causa <li pubblica uti lità — Consorzi idraulici d'interesse privato —
Opere — Compimento — Proroga.
Allorché sono trascorsi i termini concessi nel de creto di dichiarazione di pubblica utilità ad un privato o corpo morale (in ispecie, Consorzio idraulico) per eseguire le opere, non si può più far luogo ad alcuna
proroga; ma, rimanendo inefficace quella dichiarazione, si deve invece far luogo ad una nuova dichiarazione di pubblica utilità, per poter condurre a termine le
opere mediante espropriazioni (Legge 25 giugno 1865, art. 13).
Un Consorzio idraulico meramente volontario costi tuito tra i proprietari di terre vallive associatisi per rendere fruttiferi i loro beni col liberarli, mediante macchine idrovore, dalle acque stagnanti, senza mai
porre contributi ai proprietari dei fondi limitrofi non
compresi nel Consorzio, non può essere ravvisato alla
stregua di quelle opere grandiose di cui parla l'art. 9, n. 1, della legge sulle espropriazioni per pubblica uti
lità, né appellare alle bonifiche di cui all'art. 131 della
legge sui lavori pubblici ; esso non riguarda nè il pro sciugamento di un lago, nè il prosciugamento di una
palude, ma sibbene lo scolo di terreni vallivi; e quindi entra piuttosto nelle operazioni di scolo contemplate nell'art. 127 di quest'ultima legge.
Conseguentemente la dichiarazione di pubblica uti lità per opere da farsi in un tale Consorzio, e la pro roga del termine consentito, o infine la nuova dichia razione (se già il termine stabilito all'esecuzione dei lavori è scaduto) deve essere emessa dal prefetto a senso dell'art. 10 della legge 25 giugno 1865, non trat tandosi in ispecie di alcuno dei casi contemplati negli art. 9, 10, 11 e 84 della stessa legge, nei quali la di
chiarazione dev'essere fatta per legge, per decreto reale o ministeriale. (1)
Le disposizioni dell'art. 127 della legge sui lavori
pubblici riguardano non solo gli scoli naturali, ma anche gli scoli artificiali e i bonificamenti per asciu
gamento e per colmata; e quindi si applicano anche al caso di bonificamento di terreni vallivi col mezzo di macchine idrovore; così importando la lettera della
legge e il presunto animo del legislatore del 1865, il quale non poteva ignorare i prosciugamenti delle bassure con quelle macchine, già in uso allora per
supplire alla insufficienza degli scoli naturali. Se dall'esecuzione di un'opera di utilità pubblica (in
ispecie: Consorzio di scolo) possa derivare danno o
aggravamento di servitù a carico di fondi limitrofi, non è questa una ragione di negare per ciò solo la
dichiarazione di pubblica utilità, bastando che siano
salvi i diritti e le ragioni d'indennizzo da esperirsi nella competente sede, una quale riserva s'intende
sempre apposta all'esecuzione di ogni opera pubblica e privata.
L'articolo 609 e i seguenti del Codice civile riguar dano le condizioni dell'esercizio del diritto di scolo o
bonifica competente ai singoli, mentre la materia dei
Consorzi è regolata dalla legge sulle opere pubbliche; la quale, mentre determina la costituzione e il modo
di agire dei Consorzi, non esclude che, ove risulti danno
dalle opere da essi eseguite, debbano indennizzare se
condo le regole che di ragione.
(Consiglio di Stato, parere 23 marzo 1878, adottato — Istanza del Consorzio di Argenta e Filo: opposizioni del Comune di Comacchio — Giur. cons, st., 1878,316; Riv. amm., 1878, 571).
(1) Intorno a questo punto il Consiglio di Stato ha fatto le seguenti importanti considerazioni :
« La giurisprudenza del Consiglio e la pratica amministrativa non contraddicono a questa interpretazione delle citate disposizioni della legge sull'espropriazione e di quella sulle opere pubbliche.
« Infatti fu autorizzata per legge la bonifica dei terreni paludosi del 1. circondario di Ferrara, perchè non si trattava di Consorzio di interessati, ma di una Società ad essi estranea, la quale assumeva per proprio utile l'impresa, e pattuiva collo Stato alcune condizioni per le quali era necessario l'intervento dol potere legislativo (V. pa rere 20 giugno 1873 nella Riv. amm., 1874).
« Successivamente il Consiglio di Stato opinò che si negasse alla stessa Società anglo-italiana la facoltà di chiamare a Consorzio co attivo tutti i proprietari che si vantaggiavano degli effetti della bo nifica, perchè non pareva che il potere esecutivo avesse facoltà di estendere il campo d'azione di un'impresa autorizzata per legge, nè si credè giusto di unire coattivamente alla fortuna della Società i proprietari che erano fin qui rimasti estranei alle sue operazioni (V. decisione ministeriale 28 febbraio 1878 nella Riv. amm., 1878, pag. 221).
« Il Consiglio di Stato opinò ugualmente che non fosse accolta la istanza dei promotori di un Consorzio coattivo tra gli interessati per l'asciugamento del lago di Massaciuccoli, nella Provincia lucchese, dichiarando essere necessaria una legge, e ciò non tanto per la vastità dell'opera, che si ritenne compresa tra quelle indicate al n. 1, art. 9, della legge sull'espropriazione, quanto ancora perchè non parve con veniente di sottoporre coattivamente a tutti gli eventi dell'impresa un numero grande di proprietari che in piccolissima parte avevano aderito alle proposte dei promotori.
« Ma questi casi sono in tutto difformi da quello di Argenta, nel quale si tratta di un Consorzio idraulico volontario d'interessati per opere di scolo di terreni vallivi, e se fu detto che per imprese gran diose di bonifiche, o per Consorzi coattivi di gravi conseguenze per i
proprietari consorziati, era necessario che la legge dichiarasse l'opera di pubblica utilità, gli argomenti allora addotti non potrebbero appli carsi al Consorzio di Argenta, che fu costituito nelle forme ordinarie della legge or son parecchi anni, e che ha quasi compiute le opere alle quali si era accinto.
« Ritenere illegale tutto quello che fu fatto dal Consorzio di Ar genta dal 1870 ad oggi e rimandare innanzi al potere legislativo tanti interessi compromessi, come non sembra giusto di fronte alla retta intelligenza della legge, così non sarebbe conseguente alla giurispru denza invalsa nella sua applicazione ».
Aw. A. MILLELIRE-ALBINI, Conredattore responsabile.
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