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Pastori e pecore al tempo della crisi - VESPA · Spada con i figli Pippo e Corradina. Il kebab di...

Date post: 21-Feb-2020
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47 VENERDÌ 1 LUGLIO 2016 LA GAZZETTA DELLO SPORT Daniele Savoldelli, sopra Franzo Spada con i figli Pippo e Corradina. Il kebab di montone proposto da Giuseppe Zen Pastori e pecore al tempo della crisi 1 Una filiera in difficoltà, un mestiere durissimo: ecco le storie di chi non si arrende Daniele Miccione A bbiamo il comparto ali- mentare più invidiato del mondo e i piccoli pro- duttori più interessanti. Una spruzzata di Internet, un marketing invitante e siamo a posto. Le pecore però non l’han- no ancora capito e si ostinano a fare quello che fanno da millen- ni: mangiare erba, belare, fare latte. Dunque sarà di sicuro col- pa dell’oscurantismo ovino se la filiera italiana della pecora (sia latte sia carne) traballa e in al- cune regioni è in crisi. Certo, averla lasciata in balia del caso e del mercato potrebbe aver avuto una qualche minima re- sponsabilità in materia. Ma non sottilizziamo. Noi consumatori che possiamo fare? Leggere, in- formarci, orientare gli acquisti. LA RICERCA Ernesto Beretta, dell’università di Veterinaria di Milano, è uno specialista negli allevamenti: «In Italia non esi- ste una vera filiera della carne ovo-caprina. Il mercato fatica a reggere i prezzi dei prodotti che arrivano dall’estero. Eppure va di moda la carne grass-fed, da animali al pascolo. E allora puntiamo sulle pecore visto che in Italia abbiamo due razze gi- ganti da carne, la bergamasca e la biellese, che sono le migliori del mondo». Intanto il diparti- mento Vespa di Milano lavora con la Regione Lombardia per tracciare le vie di transumanza grazie alle nuove tecnologie: un collare Gps applicato alle peco- re di 10 greggi sui 67 presenti nella regione. LA CUCINA Giuseppe Zen, il cuoco di Mangiari di Strada, tempio milanese dello street fo- od, ha lanciato l’anno scorso al- la Darsena la Macelleria Popo- lare, che serve solo carne da pa- scolo. La pecora è un punto for- te. «Ma chi l’ha detto che la carne ovina non piace? Noi compriamo le pecore intere e poi facciamo arrosticini, scotta- dito indimenticabili, pecora in cappotto sarda, tagliata, ham- burger». Gli animali arrivano dall’agropontino o dall’Appen- nino tosco-emiliano. «Nelle ma- cellerie vendono l’agnello della Nuova Zelanda. Mi dite che senso ha fargli percorrere mi- gliaia di chilometri quando hai gli allevamenti dietro casa?». IL NORD Daniele Savoldelli, 35 anni, è un pastore del terzo mil- lennio. Mette assieme tradizio- ne e innovazione. Sperimenta l’uso del Gps per localizzare il gregge, ha il fuoristrada ma pu- re l’asino quando deve portare sui sentieri della transumanza gli agnelli appena nati. Siamo nella cintura di Milano, nei din- torni di Cologno Monzese, in un prato ai margini del pae- se. «Ho 2000 bergamasche divise in due greggi - raccon- ta -. Al Nord un vero mercato non c’è mai stato. Lavorava- mo con i meridionali, poi so- no arrivati gli immigrati mu- sulmani e il 90% degli agnel- li li comprano loro». Per tra- dizione alimentare e per celebrare la festa del sacrifi- cio che prevede l’uccisione di un montone. «Il mercato però diminuisce anno dopo anno, cambiano le abitudini. Ho già lanciato l’allarme». IL SUD Franzo Spada a Noto ha un gregge con 600 peco- re, razza sarda, e porta tutte le mattine una ricotta spetta- colare al Caffè Sicilia di Cor- rado Assenza. La vita di Franzo è di una pesantezza d’altri tempi: si sveglia alle 2.30 di notte e fino alle 7 è impegnato con la mungitu- ra, porta al pascolo le pecore e torna la sera per preparare ricotta e formaggi dalle 18 alle 22.30. Quando finisce mangia qualcosa, fa una doccia e va a dormire. Fran- zo è un pastore ribelle. «Per la lana chiedo un euro al chi- lo e mi offrono 10 centesimi. Io da 22 anni faccio un muc- chio e la brucio. Per gli agnelli chiedo 5 euro al chilo e me ne offrono 2. E io non li vendo. Perché? Se oggi mi dai uno schiaffo posso anche accettarlo. Ma se ci prendi gusto l’anno prossimo di schiaffi me ne darai due...». © RIPRODUZIONE RISERVATA CHATEAU DE PEZ UN BORDEAUX POP D omani l’Italia di Conte si gioca con la Germania l’accesso alle semifinali dell’Europeo a Bordeaux. Io conto di essere lì, rigorosamente in maglia azzurra, a tifare per la Nazionale e colgo l’occasione per segnalarvi uno dei miei rossi di Bordeaux preferiti nel rapporto qualità prezzo. Si tratta dello Chateau de Pez, che conosco da sempre e ho avuto modo di apprezzare anche in occasione delle ultime degustazioni di VinExpo. Lo Chateau de Pez 2013 è un classico Saint-Estéphe, frutto dalla leggendaria cura bordolese per la cantina e della qualità delle uve Merlot, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot. Al naso rivela profumi di bacche rosse appena velate da un tocco di cannella. Al gusto è aperto, comunicativo e godibile. Il tannino graffia leggermente, ma sapidità e persistenza vi conquisteranno. h K 3 $ SI ABBINA CON AGNELLO ARROSTO DI PAUILLAC DEGUSTARE ASCOLTANDO CHARLES AZNAVOUR «ETRE» IL VOTO 91/100 RAPPORTO QUALITÀ PREZZO CONVENIENTE La passione dei tre fratelli Tranfaglia, la natura dell’Irpinia e le moderne tecniche di frantoio sono gli ingredienti dell’azienda Fam che di oli di qualità ne produce sei tipi. La Ravece è l’ossatura dello splendido DOP Irpinia - Colline dell’Ufita, che si apre al naso con eleganti sentori erbacei e note di carciofo. Al gusto prevale un piacevole amaro. Per una ricca insalata o una grigliata di carne. Marino Giorgetti www.oliofam.it L’OLIO L’elegante Ravece per le grigliate di carne COLLINE DELL’UFITA A NAPOLI DA CERRONE A 12 E (0,5 L) I n Italia c’è meno tradizione ma la pa- tata dolce viene coltivata in Puglia e Veneto e da qualche tempo si trova facilmente nei mercati. Io preferisco quella a pasta arancione ma va benissi- mo anche quella bianca, il sapore cambia poco, è più una questione di colori per- ché mescolata alle classiche patate si presta a piatti divertenti e vivaci anche da un punto di vista della presentazione. Se come aspetto sembra una patata co- me struttura assomiglia più a una zucca. Si può fare al forno evitando però rosma- rino e salvia, erbe che danno una punta di amaro. Meglio aromi provenzali come maggiorana e origano o se si vuole esa- gerare funziona anche il the verde. Otti- ma per le chips, la patata dolce è buona per il purè e si presta ad essere mescolata alla patata comune in piatti classici come la spigola in crosta. Il consiglio SOSTIENE LO CHEF di EMILIANO LOPEZ LA PATATA DOLCE DIVENTA COCKTAIL Emiliano Lopez, 33 anni, argentino di Tandil, vive in Italia da 20 anni. Chef del Big Al di Roma fa una cucina dove mette assieme tradizione e fantasia. A volte con un goloso tocco argentino. L a tradizione sudamericana valorizza da sempre la patata dolce, che cambia nome in base al Paese ed entra nei piatti della tradizione popolare. Da noi in Argentina si chiama batata ed è servita in abbinamento con il bollito oppure in forma di gelatina per accompagnare formaggi saporiti. In Perù è conosciuta come camote ed è servita fritta o come accompagnamento al Ceviche. Ha un valore energetico superiore alla patata: meno carboidrati ma più vitamine, tanto che in Asia e Africa viene usata per i bambini che hanno carenze di vitamina A. Il sapore dolce è dovuto alla presenza di saccarosio, glucosio e fruttosio. Contiene anche tanta fibra e importanti quantità di antiossidanti. Io la uso per una variazione di cheese cake. Parto da una base di pasta brisè salata, aggiungo mascarpone o philadelfia per avere un elemento acido e fresco e poi il purè di batata con un tocco di zenzero e aneto. Completo con dei gamberi marinati nel lime. Lo servo in un bicchiere da cocktail, giusto per citare il vecchio cocktail di gamberi... BORDEAUX, CHATEAU DE PEZ, Saint-Estephe 2013. UVE: Merlot, Cab. Sauvignon e Ca. Franc e Petit Verdot. PREZZO: Circa 40 euro. SORSEGGIANDO di LUCA GARDINI GAZZAGOLOSA 1 Si può passare sopra un morso di lupo, ma non un morso di pecora. James Joyce (scrittore e poeta irlandese, 1882-1941) Pagina a cura di Pier Bergonzi e Daniele Miccione
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47VENERDÌ 1 LUGLIO 2016 LA GAZZETTA DELLO SPORT

Daniele Savoldelli, sopra FranzoSpada con i figli Pippo e Corradina. Il kebab di montone proposto da Giuseppe Zen

Pastori e pecoreal tempo della crisi1Una filiera in difficoltà, un mestiere durissimo: ecco le storie di chi non si arrende

Daniele Miccione

A bbiamo il comparto ali­mentare più invidiatodel mondo e i piccoli pro­

duttori più interessanti. Unaspruzzata di Internet, unmarketing invitante e siamo aposto. Le pecore però non l’han­no ancora capito e si ostinano afare quello che fanno da millen­ni: mangiare erba, belare, farelatte. Dunque sarà di sicuro col­pa dell’oscurantismo ovino se lafiliera italiana della pecora (sialatte sia carne) traballa e in al­cune regioni è in crisi. Certo,averla lasciata in balia del casoe del mercato potrebbe averavuto una qualche minima re­sponsabilità in materia. Ma nonsottilizziamo. Noi consumatoriche possiamo fare? Leggere, in­formarci, orientare gli acquisti.

LA RICERCA Ernesto Beretta,dell’università di Veterinaria diMilano, è uno specialista negliallevamenti: «In Italia non esi­ste una vera filiera della carneovo­caprina. Il mercato fatica areggere i prezzi dei prodotti chearrivano dall’estero. Eppure vadi moda la carne grass­fed, daanimali al pascolo. E allora

puntiamo sulle pecore visto chein Italia abbiamo due razze gi­ganti da carne, la bergamasca ela biellese, che sono le miglioridel mondo». Intanto il diparti­mento Vespa di Milano lavoracon la Regione Lombardia pertracciare le vie di transumanzagrazie alle nuove tecnologie: uncollare Gps applicato alle peco­re di 10 greggi sui 67 presentinella regione.

LA CUCINA Giuseppe Zen, ilcuoco di Mangiari di Strada,tempio milanese dello street fo­od, ha lanciato l’anno scorso al­la Darsena la Macelleria Popo­lare, che serve solo carne da pa­scolo. La pecora è un punto for­te. «Ma chi l’ha detto che lacarne ovina non piace? Noicompriamo le pecore intere epoi facciamo arrosticini, scotta­dito indimenticabili, pecora in cappotto sarda, tagliata, ham­burger». Gli animali arrivanodall’agropontino o dall’Appen­nino tosco­emiliano. «Nelle ma­cellerie vendono l’agnello dellaNuova Zelanda. Mi dite chesenso ha fargli percorrere mi­gliaia di chilometri quando haigli allevamenti dietro casa?».

IL NORD Daniele Savoldelli, 35anni, è un pastore del terzo mil­lennio. Mette assieme tradizio­ne e innovazione. Sperimental’uso del Gps per localizzare ilgregge, ha il fuoristrada ma pu­re l’asino quando deve portaresui sentieri della transumanzagli agnelli appena nati. Siamonella cintura di Milano, nei din­torni di Cologno Monzese, in

un prato ai margini del pae­se. «Ho 2000 bergamaschedivise in due greggi ­ raccon­ta ­. Al Nord un vero mercatonon c’è mai stato. Lavorava­mo con i meridionali, poi so­no arrivati gli immigrati mu­sulmani e il 90% degli agnel­li li comprano loro». Per tra­dizione alimentare e percelebrare la festa del sacrifi­cio che prevede l’uccisionedi un montone. «Il mercatoperò diminuisce anno dopoanno, cambiano le abitudini.Ho già lanciato l’allarme».

IL SUD Franzo Spada a Notoha un gregge con 600 peco­re, razza sarda, e porta tuttele mattine una ricotta spetta­colare al Caffè Sicilia di Cor­rado Assenza. La vita diFranzo è di una pesantezzad’altri tempi: si sveglia alle 2.30 di notte e fino alle 7 èimpegnato con la mungitu­ra, porta al pascolo le pecoree torna la sera per prepararericotta e formaggi dalle 18alle 22.30. Quando finiscemangia qualcosa, fa unadoccia e va a dormire. Fran­zo è un pastore ribelle. «Perla lana chiedo un euro al chi­lo e mi offrono 10 centesimi.Io da 22 anni faccio un muc­chio e la brucio. Per gliagnelli chiedo 5 euro al chiloe me ne offrono 2. E io non livendo. Perché? Se oggi midai uno schiaffo posso ancheaccettarlo. Ma se ci prendigusto l’anno prossimo dischiaffi me ne darai due...».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

CHATEAU DE PEZUN BORDEAUX POP

D omani l’Italia di Conte si gioca conla Germania l’accesso alle semifinali dell’Europeo a

Bordeaux. Io conto di essere lì, rigorosamente in maglia azzurra, a tifare per la Nazionale e colgo l’occasione per segnalarvi uno dei miei rossi di Bordeaux preferiti nel rapporto qualità prezzo. Si tratta dello Chateau de Pez, che conosco da sempre e ho avuto modo di apprezzare anche in occasione delle ultime degustazioni di VinExpo. Lo Chateau de Pez 2013 è un classico Saint­Estéphe, frutto dalla leggendaria cura bordolese per la cantina e della qualità delle uve Merlot, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot. Al naso rivela profumi di bacche rosse appena velate da un tocco di cannella. Al gusto è aperto, comunicativo e godibile. Il tannino graffia leggermente, ma sapidità e persistenza vi conquisteranno.

hK3$

SI ABBINA CONAGNELLO ARROSTO

DI PAUILLAC

DEGUSTARE ASCOLTANDOCHARLES AZNAVOUR

«ETRE»

IL VOTO

91/100RAPPORTO QUALITÀ PREZZO

CONVENIENTE

La passione dei tre fratelli Tranfaglia, la natura dell’Irpinia e le moderne tecniche di frantoio sono gli ingredienti dell’azienda Fam che di oli di qualità ne produce sei tipi. La Ravece è l’ossatura dello splendido DOP Irpinia - Colline dell’Ufita, che si apre al nasocon eleganti sentori erbacei e note di carciofo. Al gusto prevale un piacevole amaro. Per una ricca insalata o una grigliata di carne.

Marino Giorgetti www.oliofam.it

L’OLIO

L’elegante Raveceper le grigliate di carne

COLLINEDELL’UFITA

A NAPOLIDA CERRONE

A 12 E (0,5 L)

In Italia c’è meno tradizione ma la pa­tata dolce viene coltivata in Puglia eVeneto e da qualche tempo si trova

facilmente nei mercati. Io preferiscoquella a pasta arancione ma va benissi­mo anche quella bianca, il sapore cambiapoco, è più una questione di colori per­ché mescolata alle classiche patate sipresta a piatti divertenti e vivaci ancheda un punto di vista della presentazione.Se come aspetto sembra una patata co­me struttura assomiglia più a una zucca.Si può fare al forno evitando però rosma­rino e salvia, erbe che danno una puntadi amaro. Meglio aromi provenzali comemaggiorana e origano o se si vuole esa­gerare funziona anche il the verde. Otti­ma per le chips, la patata dolce è buonaper il purè e si presta ad essere mescolataalla patata comune in piatti classici comela spigola in crosta.

Il consiglio

SOSTIENE LO CHEFdi EMILIANOLOPEZ

LA PATATA DOLCEDIVENTA COCKTAILEmiliano Lopez, 33 anni, argentino di Tandil, vive in Italia da 20 anni. Chef del Big Al di Roma fa una cucina dove mette assieme tradizione e fantasia. A volte con un goloso tocco argentino.

L a tradizione sudamericana valorizza da sempre la patata dolce, che cambia nome in base al

Paese ed entra nei piatti della tradizione popolare. Da noi in Argentina si chiama batata ed è servita in abbinamento con il bollito oppure in forma di gelatina per accompagnare formaggi saporiti. In Perù è conosciuta come camote ed è servita fritta o come accompagnamento al Ceviche. Ha un valore energetico superiore alla patata: meno carboidrati ma più vitamine, tanto che in Asia e Africa viene usata per i bambini che hanno carenze di vitamina A. Il sapore dolce è dovuto alla presenza di saccarosio, glucosio e fruttosio. Contiene anche tanta fibra e importanti quantità di antiossidanti. Io la uso per una variazione di cheese cake. Parto da una base di pasta brisè salata, aggiungo mascarpone o philadelfia per avere un elemento acido e fresco e poi il purè di batata con un tocco di zenzero e aneto. Completo con dei gamberi marinati nel lime. Lo servo in un bicchiere da cocktail, giusto per citare il vecchio cocktail di gamberi...

BORDEAUX, CHATEAU DE PEZ, Saint-Estephe 2013. UVE: Merlot, Cab. Sauvignon e Ca. Franc e PetitVerdot. PREZZO: Circa 40 euro.

SORSEGGIANDOdi LUCAGARDINI

GAZZAGOLOSA 1Si può passare sopra un morso di lupo, ma non un morso di pecora.James Joyce (scrittore e poeta irlandese, 1882-1941)

Pagina a cura diPier Bergonzi

e Daniele Miccione

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