47VENERDÌ 1 LUGLIO 2016 LA GAZZETTA DELLO SPORT
Daniele Savoldelli, sopra FranzoSpada con i figli Pippo e Corradina. Il kebab di montone proposto da Giuseppe Zen
Pastori e pecoreal tempo della crisi1Una filiera in difficoltà, un mestiere durissimo: ecco le storie di chi non si arrende
Daniele Miccione
A bbiamo il comparto alimentare più invidiatodel mondo e i piccoli pro
duttori più interessanti. Unaspruzzata di Internet, unmarketing invitante e siamo aposto. Le pecore però non l’hanno ancora capito e si ostinano afare quello che fanno da millenni: mangiare erba, belare, farelatte. Dunque sarà di sicuro colpa dell’oscurantismo ovino se lafiliera italiana della pecora (sialatte sia carne) traballa e in alcune regioni è in crisi. Certo,averla lasciata in balia del casoe del mercato potrebbe averavuto una qualche minima responsabilità in materia. Ma nonsottilizziamo. Noi consumatoriche possiamo fare? Leggere, informarci, orientare gli acquisti.
LA RICERCA Ernesto Beretta,dell’università di Veterinaria diMilano, è uno specialista negliallevamenti: «In Italia non esiste una vera filiera della carneovocaprina. Il mercato fatica areggere i prezzi dei prodotti chearrivano dall’estero. Eppure vadi moda la carne grassfed, daanimali al pascolo. E allora
puntiamo sulle pecore visto chein Italia abbiamo due razze giganti da carne, la bergamasca ela biellese, che sono le miglioridel mondo». Intanto il dipartimento Vespa di Milano lavoracon la Regione Lombardia pertracciare le vie di transumanzagrazie alle nuove tecnologie: uncollare Gps applicato alle pecore di 10 greggi sui 67 presentinella regione.
LA CUCINA Giuseppe Zen, ilcuoco di Mangiari di Strada,tempio milanese dello street food, ha lanciato l’anno scorso alla Darsena la Macelleria Popolare, che serve solo carne da pascolo. La pecora è un punto forte. «Ma chi l’ha detto che lacarne ovina non piace? Noicompriamo le pecore intere epoi facciamo arrosticini, scottadito indimenticabili, pecora in cappotto sarda, tagliata, hamburger». Gli animali arrivanodall’agropontino o dall’Appennino toscoemiliano. «Nelle macellerie vendono l’agnello dellaNuova Zelanda. Mi dite chesenso ha fargli percorrere migliaia di chilometri quando haigli allevamenti dietro casa?».
IL NORD Daniele Savoldelli, 35anni, è un pastore del terzo millennio. Mette assieme tradizione e innovazione. Sperimental’uso del Gps per localizzare ilgregge, ha il fuoristrada ma pure l’asino quando deve portaresui sentieri della transumanzagli agnelli appena nati. Siamonella cintura di Milano, nei dintorni di Cologno Monzese, in
un prato ai margini del paese. «Ho 2000 bergamaschedivise in due greggi racconta . Al Nord un vero mercatonon c’è mai stato. Lavoravamo con i meridionali, poi sono arrivati gli immigrati musulmani e il 90% degli agnelli li comprano loro». Per tradizione alimentare e percelebrare la festa del sacrificio che prevede l’uccisionedi un montone. «Il mercatoperò diminuisce anno dopoanno, cambiano le abitudini.Ho già lanciato l’allarme».
IL SUD Franzo Spada a Notoha un gregge con 600 pecore, razza sarda, e porta tuttele mattine una ricotta spettacolare al Caffè Sicilia di Corrado Assenza. La vita diFranzo è di una pesantezzad’altri tempi: si sveglia alle 2.30 di notte e fino alle 7 èimpegnato con la mungitura, porta al pascolo le pecoree torna la sera per prepararericotta e formaggi dalle 18alle 22.30. Quando finiscemangia qualcosa, fa unadoccia e va a dormire. Franzo è un pastore ribelle. «Perla lana chiedo un euro al chilo e mi offrono 10 centesimi.Io da 22 anni faccio un mucchio e la brucio. Per gliagnelli chiedo 5 euro al chiloe me ne offrono 2. E io non livendo. Perché? Se oggi midai uno schiaffo posso ancheaccettarlo. Ma se ci prendigusto l’anno prossimo dischiaffi me ne darai due...».
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CHATEAU DE PEZUN BORDEAUX POP
D omani l’Italia di Conte si gioca conla Germania l’accesso alle semifinali dell’Europeo a
Bordeaux. Io conto di essere lì, rigorosamente in maglia azzurra, a tifare per la Nazionale e colgo l’occasione per segnalarvi uno dei miei rossi di Bordeaux preferiti nel rapporto qualità prezzo. Si tratta dello Chateau de Pez, che conosco da sempre e ho avuto modo di apprezzare anche in occasione delle ultime degustazioni di VinExpo. Lo Chateau de Pez 2013 è un classico SaintEstéphe, frutto dalla leggendaria cura bordolese per la cantina e della qualità delle uve Merlot, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot. Al naso rivela profumi di bacche rosse appena velate da un tocco di cannella. Al gusto è aperto, comunicativo e godibile. Il tannino graffia leggermente, ma sapidità e persistenza vi conquisteranno.
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SI ABBINA CONAGNELLO ARROSTO
DI PAUILLAC
DEGUSTARE ASCOLTANDOCHARLES AZNAVOUR
«ETRE»
IL VOTO
91/100RAPPORTO QUALITÀ PREZZO
CONVENIENTE
La passione dei tre fratelli Tranfaglia, la natura dell’Irpinia e le moderne tecniche di frantoio sono gli ingredienti dell’azienda Fam che di oli di qualità ne produce sei tipi. La Ravece è l’ossatura dello splendido DOP Irpinia - Colline dell’Ufita, che si apre al nasocon eleganti sentori erbacei e note di carciofo. Al gusto prevale un piacevole amaro. Per una ricca insalata o una grigliata di carne.
Marino Giorgetti www.oliofam.it
L’OLIO
L’elegante Raveceper le grigliate di carne
COLLINEDELL’UFITA
A NAPOLIDA CERRONE
A 12 E (0,5 L)
In Italia c’è meno tradizione ma la patata dolce viene coltivata in Puglia eVeneto e da qualche tempo si trova
facilmente nei mercati. Io preferiscoquella a pasta arancione ma va benissimo anche quella bianca, il sapore cambiapoco, è più una questione di colori perché mescolata alle classiche patate sipresta a piatti divertenti e vivaci ancheda un punto di vista della presentazione.Se come aspetto sembra una patata come struttura assomiglia più a una zucca.Si può fare al forno evitando però rosmarino e salvia, erbe che danno una puntadi amaro. Meglio aromi provenzali comemaggiorana e origano o se si vuole esagerare funziona anche il the verde. Ottima per le chips, la patata dolce è buonaper il purè e si presta ad essere mescolataalla patata comune in piatti classici comela spigola in crosta.
Il consiglio
SOSTIENE LO CHEFdi EMILIANOLOPEZ
LA PATATA DOLCEDIVENTA COCKTAILEmiliano Lopez, 33 anni, argentino di Tandil, vive in Italia da 20 anni. Chef del Big Al di Roma fa una cucina dove mette assieme tradizione e fantasia. A volte con un goloso tocco argentino.
L a tradizione sudamericana valorizza da sempre la patata dolce, che cambia nome in base al
Paese ed entra nei piatti della tradizione popolare. Da noi in Argentina si chiama batata ed è servita in abbinamento con il bollito oppure in forma di gelatina per accompagnare formaggi saporiti. In Perù è conosciuta come camote ed è servita fritta o come accompagnamento al Ceviche. Ha un valore energetico superiore alla patata: meno carboidrati ma più vitamine, tanto che in Asia e Africa viene usata per i bambini che hanno carenze di vitamina A. Il sapore dolce è dovuto alla presenza di saccarosio, glucosio e fruttosio. Contiene anche tanta fibra e importanti quantità di antiossidanti. Io la uso per una variazione di cheese cake. Parto da una base di pasta brisè salata, aggiungo mascarpone o philadelfia per avere un elemento acido e fresco e poi il purè di batata con un tocco di zenzero e aneto. Completo con dei gamberi marinati nel lime. Lo servo in un bicchiere da cocktail, giusto per citare il vecchio cocktail di gamberi...
BORDEAUX, CHATEAU DE PEZ, Saint-Estephe 2013. UVE: Merlot, Cab. Sauvignon e Ca. Franc e PetitVerdot. PREZZO: Circa 40 euro.
SORSEGGIANDOdi LUCAGARDINI
GAZZAGOLOSA 1Si può passare sopra un morso di lupo, ma non un morso di pecora.James Joyce (scrittore e poeta irlandese, 1882-1941)
Pagina a cura diPier Bergonzi
e Daniele Miccione