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Per la storia della mutualità in Friuli: la Società ... · La rivoluzione industriale in...

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Carlo Di Vito Per la storia della mutualità in Friuli: la Società Operaia di Mutuo Soccorso ed Istruzione di Cividale 1869 - 1923) UDINE Università degli Studi Facoltà di Economia Corso di Laurea in Economia Bancaria Anno accademico 1999 - 2000
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Carlo Di Vito

Per la storiadella mutualità inFriuli:la Società Operaiadi Mutuo Soccorsoed Istruzione diCividale1869 - 1923)

UDINEUniversità degli StudiFacoltà di EconomiaCorso di Laurea in Economia Bancaria

Anno accademico 1999 - 2000

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CAPITOLO I

CENNI SUL MOVIMENTO MUTUALISTICO IN EUROPA E IN

ITALIA DOPO L’UNITÀ

1. Origini e diffusione in Europa del mutuo soccorso

La rivoluzione industriale in Inghilterra non fu semplicemente un fenomeno

di natura economica. Accanto al cambiamento dei processi tecnici di produzione e

alla meccanicizzazione delle lavorazioni, si assistette a profondi cambiamenti del

tessuto sociale e culturale. Come rilevato da molti studiosi, per leggere

criticamente il fenomeno non bisogna escludere nessun aspetto di cambiamento

occorso in quel periodo. Bisogna anzi evidenziare la stretta complementarietà tra

fenomeni solo apparentemente non correlati, che contribuirono in svariate

direzioni al processo di sviluppo.

Le organizzazioni di mutuo soccorso, che per prime si svilupparono in

Inghilterra, furono dunque il frutto di un complesso mutamento sociale e non solo

economico che attraversò tutto il proletariato di fabbrica a partire dalla seconda

metà del ‘700. La classe operaia e le categorie artigiane più deboli si fecero

promotrici di un movimento di solidarietà basato sulla ricerca di soluzioni

concrete ai problemi legati ai cambiamenti sociali in corso, alla difficoltà di alcuni

soggetti di rimanere sul mercato, alle aspettative di un miglioramento sia

economico che sociale.

Accanto a questi aspetti bisogna ricordare la quasi totale assenza di una

legislazione sociale in buona parte dei Paesi europei. In particolare in Inghilterra

la poor law, pur offrendo condizioni minime di sopravvivenza, privava il cittadino

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di tutti i suoi diritti civili e politici, rendendolo completamente privo di ogni

dignità sociale.

Le prime forme di organizzazioni assicurative, nate per soccorrere in caso di

bisogno i lavoratori, furono i box clubs, a cui seguirono poco dopo i penny clubs e

gli halfpenny clubs1. Queste istituzioni erano ancora prive delle caratteristiche

tipiche delle società di mutuo soccorso, ma cominciavano a offrire risposte

concrete ai lavoratori espulsi dal processo produttivo o venutisi a trovare in

condizione di particolare bisogno. La forbice tra i ricchi e i poveri in Inghilterra

assunse dimensioni sempre più ampie e alla condizione di disagio e di insicurezza

tipica dei lavoratori di fabbrica si unirono anche gli artigiani, i dipendenti delle

piccole produzioni e i lavoratori dediti all’industria a domicilio. La risposta a

questo disagio venne dalle friendly societies, le prime società di mutuo soccorso

in senso moderno, costituite da soci di diverse estrazioni ma con i medesimi

problemi. Esse si rivolgevano a tutti i lavoratori esposti al rischio di malattia,

infortunio o disoccupazione, indipendentemente dall’appartenenza al “proletariato

di fabbrica”.

Inoltre furono lo strumento grazie al quale si organizzarono i lavoratori nelle

loro prime campagne di rivendicazione dei propri diritti nei confronti dei

proprietari. Queste organizzazioni diedero di fatto sostanziosi contributi ai

lavoratori impegnati nelle loro battaglie per ottenere migliori salari e più umane

condizioni di lavoro. Si può dunque pensare alle organizzazioni mutualistiche

come nuove forme associative dei lavoratori, una sorta di proto sindacato, ma con

caratteristiche differenti rispetto alle vecchie corporazioni di mestiere.

Nell’arco di pochi anni le friendly societies si diffusero raccogliendo

l’adesione entusiasta di moltissimi lavoratori: all’inizio dell’Ottocento le società

erano circa 7000 con 600.000 soci. La potenza espressa da una simile

organizzazione non poteva non turbare il Parlamento inglese, che a causa dei

crescenti tumulti e delle rivendicazioni avanzate dai rappresentanti dei lavoratori,

1 Queste ultime due prendevano il nome dall’ammontare del versamento che ciascun socio

sosteneva periodicamente.

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emanò leggi restrittive sulla libertà di associazione. Ciò pose le società di mutuo

soccorso in condizione di clandestinità, esasperando gli animi di molti lavoratori2.

Solo nel 1825, dopo l’abrogazione delle Combination Laws, a seguito di un

crescente stato di disagio delle masse popolari, riprese corpo l’idea del mutuo

soccorso, non più visto come strumento a tutela del povero inteso come soggetto

“socialmente pericoloso”, ma come mezzo di auto-aiuto per le persone in

difficoltà, peraltro titolari dei diritti civili. Accanto alle società di mutuo soccorso

cominciarono a operare anche i primi sindacati organizzati dei lavoratori e

movimenti politici con precise istanze da sostenere nelle sedi istituzionali. Alle

società mutualistiche rimase solo un compito di soccorso materiale e non più

anche di rivendicazione, ruolo avocato ora da altre organizzazioni. Ciò però non

frenò il movimento mutualistico che si espanse durante tutto l’Ottocento.

In altri Paesi europei il movimento si diffuse con ritardo e con un tasso di

crescita legato al vario percorso politico ed economico affrontato. In Francia, ad

esempio, il processo sia pure non rapidissimo di industrializzazione e il vivace

dibattito sociale intorno alle condizioni del proletariato portarono in poco tempo a

una massiccia diffusione delle società di mutuo soccorso3.

Nella statistica sulle società di mutuo soccorso del 1878 sono contenuti i

dati relativi alla dimensione del fenomeno nei principali Paesi europei. Le cifre si

riferiscono nella maggioranza dei casi a dati raccolti nel corso del 1878,

permettendo una piena comparabilità con l’Italia.

Il Paese di maggior diffusione del fenomeno mutualistico era l’Inghilterra,

che toccava la cifra ragguardevole di 24.137 società. Il numero complessivo di

soci era decisamente sopra la media rispetto a ogni altro Paese europeo: 4.692.175

soci, cinque volte superiore al secondo Paese per numero di iscritti4. Il totale delle

2 L. GHEZA FABBRI, Solidarismo in Italia fra XIX e XX secolo, Torino 1996, p. 9.3 Luzzatti cita come esempio da imitare la societé de secours mutuel et de prêts d’honneur,

associazione che in Francia contribuiva sia alla crescita del ceto proletario che alla diffusione del

credito popolare basato sul prestito d’onore (L. LUZZATTI, La diffusione del credito e le banche

popolari, a cura di P. PECORARI, Venezia 1997, pp. 113-114).4 La statistica inglese era solo parzialmente attendibile in quanto solo 12.300 società diedero

notizie particolareggiate. I dati relativi agli iscritti erano pertanto approssimativi. Inoltre la

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Tabella 1. Le società di mutuo soccorso in Europa nel 1878

entrate delle società inglesi era pari a 303.715.325 lire, contro i 17.624.212 di

quelle italiane. A seguire si collocava la Francia, dov’erano attive 6.293 società, di

cui 4.474 approvate e solo 1.819 autorizzate5.

Un altro Paese in cui era particolarmente diffuso il fenomeno del mutuo

soccorso era la Prussia. I dati riferiti al 1874 segnalavano la presenza di 4.877

società con 785.280 soci. Nel computo delle società censite non erano incluse 88

casse fra minatori (knappsschaftskasse), le quali contavano tra soci ordinari e

straordinari 263.000 iscritti circa. Le entrate di queste casse erano superiori

persino al totale raccolto dalle classiche società di mutuo soccorso.

Veniva successivamente un altro Paese anglosassone, la Scozia, con sole

753 società ma ben 592.275 iscritti, quindi la Baviera, con 1.695 società e 465.212

aderenti e infine l’Austria con 860 sodalizi e 306.678 soci6.

classificazione delle società censite evidenziava la seguente distribuzione: su 12.300 società,

10.105 erano friendly societies, 1.996 societies with branches, 42 working man’s clubs e quindi

una serie minore di altre tipologie di società (M.A.I.C., Statistica delle Società di mutuo soccorso.

Anno 1878, Roma 1880, p. XXII).5 Le società approvate erano quelle riconosciute legalmente secondo il decreto del 1852, mentre le

autorizzate erano quelle semplicemente conformi alla normativa del codice penale. (Ibid., p. XX).6 Anche in Austria, come in Prussia, oltre alle società di soccorso classiche (gewerbliche

hilfskasse), erano molto diffuse le corporazioni tra minatori (knappsschafs-bruderladen).

Stato Società Soci N. soci medio

Patrimonio Patrimonio

medio Inghilterra 24.137 4.692.175 194 303.715.325 12.583 Francia 6.293 842.177 134 85.732.388 13.623 Prussia 4.877 785.280 161 15.260.291 3.129 Scozia 753 592.275 787 16.684.150 22.157 Baviera 1.695 465.212 274 39.816.620 23.491 Austria 860 306.678 357 7.645.035 8.890 Italia 2.091 288.999 138 17.624.212 8.429 Danimarca 744 97.905 132 2.091.094 2.811 Belgio 246 45.673 186 1.841.908 7.487 Irlanda 503 42.551 85 3.795.600 7.546 Mecklenburg - Scwerin

259 40.668 157 - -

Baden 215 25.804 120 262.247 1.220 Norvegia 131 17.800 136 1.511.277 11.536 Wuttemberg 36 4.843 135 255.425 7.095 Totale 42.840 8.248.040 - 496.235.572 -

Fonte: Statistica delle Società 1878 cit., pp. XX-XXIII.

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In Italia la situazione era decisamente meno prospera: le società erano

2.091, ma i soci raggiungevano la modesta cifra di 288.999 unità.

2. La diffusione dell’esperienza mutualistica in Italia

Il mutuo soccorso prese piede in Italia con molto ritardo rispetto ad altri

Paesi europei. Tale ritardo è imputabile a diversi fattori. in primo luogo l’elevata

frammentazione del Paese in piccoli Stati non facilitava il diffondersi omogeneo

di queste istituzioni. In particolare non bisogna dimenticare che le legislazioni

erano diverse tra Stato e Stato e che pertanto, a fronte di un’apertura a fenomeni

associativi tra i lavoratori in alcune zone, si verificava una chiusura abbastanza

netta in altre. Il caso piemontese è un esempio indicativo di questa realtà

composita. Lo Statuto albertino, ad esempio, prevedeva la possibilità di

associazione tra i lavoratori e tale disposto ne faceva una carta statutaria

notevolmente all’avanguardia in quel momento in Italia. La maggiore apertura

istituzionale verso le associazioni di mutuo soccorso non è però sufficiente a

spiegare le ragioni per cui nelle regioni del nord-ovest si svilupparono con

maggiore rapidità società mutualistiche già nel corso dei primi anni

dell’Ottocento. Una delle spiegazioni si ricollega al processo di

industrializzazione che comunque sembra affiorare con una certo anticipo in

queste zone del Paese, ma anche al legame con il vecchio corporativismo, di cui le

prime SMS portavano alcuni segni identificativi. In questa fase iniziale delle

organizzazioni mutualistiche prevalse una struttura professionale, molto simile

esteriormente alle vecchie organizzazioni corporative. Nel periodo successivo

alcuni sodalizi nacquero con una diversa natura: non si rivolgevano più

esclusivamente a una precisa categoria, ma ambivano ad accogliere quanti più

soci possibile delle più varie estrazioni ma uniti dagli stessi bisogni. Molto spesso

la creazione di una società di mutuo soccorso avveniva per volontà di soci

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filantropi, imprenditori o sacerdoti, che così ripercorrevano a distanza di molti

anni l’esperienza delle prime friendly societies inglesi.

Con l’Unità e con l’avvio del processo definito di “piemontizzazione” degli

Stati annessi al nuovo Regno, la diffusione delle società di mutuo soccorso fu

rapida. Un evidente ritardo permaneva nelle province venete e in quella romana,

dove solo in un secondo momento il processo prenderà corpo.

Dal 1861 in poi gli istituti si moltiplicarono con rapidità e anche con una

certa capillarità su tutto il territorio nazionale. Se prima di quella data in

Piemonte, e in misura minore in Lombardia, le società di mutuo soccorso erano

già presenti, altrettanto non si poteva dire per il resto dei compartimenti del Paese.

Dai dati riportati nella terza statistica ministeriale sulle SMS7 si evince che

l’Umbria, le Marche, gli Abruzzi e praticamente tutto il Mezzogiorno non

conoscevano le possibilità offerte dal mutuo soccorso.

7 Le precedenti rilevazioni erano state effettuate per conto del ministero dell’Agricoltura Industria

e Commercio nel 1862 e nel 1873.

A n te r io re a l 1 8 5 0

D a l 1 8 5 0 a l 1 8 6 1

F in o a l 1 8 7 8

P ie m o n te 1 4 1 0 6 3 8 7 4 9 3L ig u r ia 1 7 6 6 8 3L o m b a rd ia 1 0 3 1 3 1 2 3 4 3V e n e to 5 1 0 1 4 6 1 5 6E m ilia 1 0 9 1 9 0 1 9 9U m b r ia 1 4 8 4 8M a rc h e 1 1 1 0 6 1 0 7T o sc a n a 6 7 2 1 3 2 2 0R o m a 1 1 5 2 5 3A b ru z z i e M o lise

- - 4 3 4 3

C a m p a n ia - 1 7 9 8 0P u g l ie - - 7 1 7 1B a s il ic a ta - - 1 2 1 2C a la b r ie - - 2 6 2 6S ic il ia 1 1 1 1 6 1 1 7S a rd e g n a 1 2 3 3 3 5R e g n o 5 0 1 8 6 1 9 0 0 2 0 8 6

C o m p a r tim e n tiA n n o d i fo n d a z io n e

T o ta le

Fonte: Statistica delle Società 1878 cit., p.VI.

Tabella 2. Società di mutuo soccorso presenti in Italia prima dell’Unità e

successiva diffusione fino al 1878

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Il Piemonte era dunque capofila nel mutuo soccorso8, ma nel corso di pochi

anni emersero, per la vivacità con cui prendeva piede l’iniziativa, anche la

Lombardia e in particolare l’Emilia, la Toscana e il Veneto. Nell’arco di poco

meno di un ventennio gli istituti decuplicarono, concentrando la propria

distribuzione nel nord del Paese. Le ragioni di tale dislocazione furono in parte

politiche e in parte economiche. Il Meridione nel periodo successivo

all’unificazione accolse con freddezza l’estensione del sistema fiscale e del

centralismo piemontese. Ciò era in spiegabile con l’incapacità da parte della

classe politica unitaria di interpretare e dare risposte alle istanze sociali che

venivano dal sud del Paese. Il fenomeno del brigantaggio non fu altro che

un’espressione del disagio di una comunità che vedeva aggravare la propria

miseria e vedeva pertanto spegnersi le proprie capacità di riscatto sociale. Nel

Mezzogiorno l’attività economica si concentrava in agricoltura e, alla luce di

quanto riportato nell’inchiesta ministeriale, poche società di mutuo soccorso

annoveravano tra i propri soci gli agricoltori. Delle 1900 società censite solo 217

confermavano la presenza di contadini e braccianti agricoli tra le proprie fila ma, a

confermare ulteriormente la scarsa capacità di penetrazione nel sud del Paese di

queste istituzioni, la gran parte si concentrava in Piemonte9.

Il numero complessivo di soci nel 1878 era di poco superiore alle 331 mila

unità, con un saldo positivo rispetto al 1873 di 113 società e di 220 mila soci

rispetto al 1862. Le società censite nel 1878 raccoglievano un patrimonio

complessivo di circa 21 milioni (l’equivalente di circa 123 miliardi di lire del

199910), per un totale di entrate annue pari a 5.179.322 lire e spese per 3.565.490.

Inoltre ciascuna società richiedeva ai propri iscritti una tassa d’ammissione, che in

alcuni casi era unica mentre in altri variava in base all’età di ciascun socio. Nel

primo caso la media della tassa era di 2,84 lire, mentre nel caso di tasse variabili si

passava da una media minima di 1,93 lire a una massima di 10,87 lire.

8 La sola città di Torino nel 1878 contava 186 società (Statistica delle Società 1878 cit., p.VI).9 Ibid., p.VII.10 http://www.istat.it/Anotizie/Acom/bildem/serie.html

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Tabella 3. Le società di mutuo soccorso in Italia per regioni e gli iscritti tra il 1885 e

il 1904

Fonte: rielaborazione da FABBRI, Solidarismo in Italia cit., pp.44-45 e p. 63.

Analogo discorso valeva per i contributi annuali che i soci versavano alla

società. La media dei contributi nel caso questi fossero stati unici era di 9,40 lire,

oscillavano da un minimo di 7,61 a un massimo di 14,34 lire nel caso di contributi

variabili in base all’età del socio. La composizione della base sociale era

difficilmente qualificabile in base alle professioni svolte dai soci. In particolare

più del 66 per cento dei soci era iscritto in società genericamente definite operaie

o di mutuo soccorso senza alcun’altra specificità. Tra le società categoriali o

multiprofessionali riscuotevano il maggior numero di adesioni quelle tra

agricoltori, braccianti e artieri (12 per cento del totale degli iscritti su base

nazionale), le mutue tra ex militari, reduci e veterani (4,8 per cento), le società tra

commercianti e commessi (1,4 per cento) e quelle tra maestri, professori e

insegnanti in genere (1,1 per cento)11. Rimanevano altri 33 tipi di società

professionali di minore rilievo.

11 M.A.I.C., Annuario statistico italiano 1889-1890, Roma 1891, p. 305.

Società Iscritti Società Iscritti Società Iscritti Società Iscritti

Piemonte 816 125.310 1.330 184.405 1.339 178.300 9 6.105-

Liguria 254 35.100 360 38.020 335 40.695 -25 2.675

Lombardia 667 107.238 1.025 170.796 1.179 197.427 154 26.631

Veneto 342 54.425 559 87.752 694 97.928 135 10.176

Emilia 427 80.649 511 85.417 520 104.214 9 18.797

Umbria 108 14.109 170 20.354 175 20.884 5 530

Marche 218 28.402 342 43.122 360 41.150 18 1.972-

Toscana 434 64.848 595 86.106 639 90.429 44 4.323

Roma 145 23.329 274 40.956 185 27.951 -89 13.005-

Abruzzi e Molise 162 23.196 193 23.958 133 13.112 -60 10.846-

Campania 403 63.570 500 58.718 318 40.531 -182 18.187-

Puglie 245 37.350 210 26.613 109 13.262 -101 13.351-

Basilicata 99 12.855 78 8.802 43 4.444 -35 4.358-

Calabrie 105 14.434 158 18.009 113 10.696 -45 7.313-

Sicilia 433 41.224 349 36.564 344 39.086 -5 2.522

Sardegna 38 4.436 68 7.094 49 5.917 -19 1.177-

Regno 4.896 730.475 6.722 936.686 6.535 926.026 -187 10.660-

Anno

Saldo tra 1904 e 1894

190418941885Regioni

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Tabella 4. Popolazione, società e grado di diffusione delle SMS nel 1885.

L’evoluzione del mutuo soccorso fu molto rapida negli ultimi decenni del

secolo.

Nelle rilevazioni statistiche del 1885, del 1894 e infine del 1904 furono

inseriti i dati relativi all’intera dimensione del fenomeno in Italia. Il numero delle

società crebbe in modo significativo e quasi sempre generalizzato tra il 1878 e il

1894. In questo intervallo le SMS erano più che triplicate, raggiungendo una

discreta diffusione su tutto il territorio nazionale.

La rielaborazione dei dati dell’inchiesta del 1885 permette di valutare anche

il grado di radicamento delle società di mutuo soccorso tra la popolazione.

Confrontando i dati relativi alle società e agli iscritti su base regionale con quelli

della popolazione calcolata al termine del 1888 è possibile analizzare in che modo

le società raccogliessero nella popolazione delle varie regioni consenso ed iscritti.

Il Piemonte anche in questo caso ricopriva il ruolo di regione leader per il

livello di iscritti rispetto alla popolazione. A seguire si trovava la Liguria che,

Fonte: rielaborazione da Annuario statistico italiano cit., pp. 58-63.

Piemonte 3.264.643 816 4.001 154 3,8%Liguria 938.070 254 3.693 138 3,7%Lombardia 3.963.499 667 5.942 161 2,7%Veneto 3.055.425 342 8.934 159 1,8%Emilia 2.326.182 427 5.448 189 3,5%Umbria 616.287 108 5.706 131 2,3%Marche 1.008.724 218 4.627 130 2,8%Toscana 2.360.609 434 5.439 149 2,7%Lazio 969.965 145 6.689 161 2,4%Abruzzi e Molise

1.417.732 162 8.751 143 1,6%

Campania 3.084.508 403 7.654 158 2,1%Puglie 1.711.105 245 6.984 152 2,2%Basilicata 550.458 99 5.560 130 2,3%Calabrie 1.342.453 105 12.785 137 1,1%Sicilia 3.225.916 433 7.450 95 1,3%Sardegna 729.612 38 19.200 117 0,6%Regno 30.565.188 4.896 6.243 149 2,4%

Iscritti per ogni società

Percentuale iscritti sulla popolazione

RegioniSocietà esistenti

Popolazione Popolazione per singola

società

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sebbene vantasse un numero esiguo di società, aveva un rapporto iscritti-

popolazione molto alto. In generale, si nota come tutto il Mezzogiorno si

collocasse sotto la media nazionale (anche se Puglia e Basilicata erano vicine al

dato medio italiano). Tra le regioni del Nord, l’unico dato fortemente in contrasto

con l’andamento medio era quello del Veneto, regione in cui la diffusione delle

SMS era decisamente tra le più basse (circa la metà rispetto al Piemonte e alla

Liguria e superiore solo ad Abruzzo, Calabria, Sicilia e Sardegna).

Il periodo tra il 1894 e i primi anni del secolo segna una fase di

rallentamento nel processo d’espansione. Non si può parlare in modo univoco di

fase di recesso del mutuo soccorso, poiché i dati evidenziano alcune difformità

specie se il fenomeno è letto per aree geografiche. Mentre nel nord e nel centro

del Paese la mutualità continuava a riscuotere successo e a crescere, nelle regioni

del Sud si assisteva a un rapido calo sia delle società che dei soci. Tra le due

ultime rilevazioni il numero complessivo di società diminuì nel complesso, ma,

mentre nel nord le società nell’insieme aumentarono, nel sud si assistette a una

contrazione di circa il 30 per cento delle società esistenti. Il processo di

scioglimento di alcune società era in realtà cominciato alcuni anni prima: già nel

1894 in alcune regioni meridionali si registrava una diminuzione delle società

rispetto all’85. Il fenomeno è parzialmente spiegabile con il mancato sviluppo

industriale e artigiano delle regioni meridionali ma ciò non giustifica le ragioni

che portarono a una prima esplosione del fenomeno e a un rapido

ridimensionamento dello stesso. Secondo alcuni studiosi del problema

meridionale del mutuo soccorso, il rapido ridimensionamento delle società fu in

parte attribuibile a una gestione personalistica dei sodalizi, molto spesso usati

come serbatoio di voti per il raggiungimento di cariche importanti e poi

abbandonati al loro destino. Altri trovano nel legame tra proprietà latifondista e

monarchia una delle possibili ragioni dello scarso riscontro ottenuto dal

mutualismo al Sud. Scrive a tale proposito Saccomanno:

La monarchia attua nella logica della conquista regia, la piemontizzazione dell'Italia, e così

inglobò nei suoi meccanismi assistenziali e paternalistici, le varie organizzazioni mutualistiche,

che proprio per essere istituzionalizzate finirono per espandersi a macchia d'olio […] Nelle

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campagne, in cui la proprietà nella stragrande maggioranza è a carattere latifondistico, vige una

feudalità intoccabile, per cui due classi si distinguono nettamente: i proprietari, spesso deleganti ai

"fattori" l'immediato sfruttamento delle terre e dall'altra i contadini poveri, le cui condizioni di

arretratezza e sfruttamento sono ben comprensibili sapendo che non solo erano lontani da un

rapporto di mezzadria, ma spesso non garantiti da alcun contratto.

La feudalità meridionale, incoraggiata e favorita subito dopo l'unificazione, e che pertanto

si era resa degna alleata nell'espansione a tutta la penisola del potere sabaudo, dopo questa prima

fase di assestamento era divenuta un peso per la formazione di uno stato unitario moderno […] La

feudalità invece era legata a un modo di produrre e di vegetare, non certo adeguato ai tempi, senza

dire (è questo è il fatto più importante) che il meridione veniva accettato nella sua funzione di

arretratezza come serbatoio di manodopera e che per questa ragione trovava il latifondista

meridionale e l'industriale del nord su sponde completamente opposte: una situazione analoga a

quella che largo modo si era verificata in Inghilterra e che aveva fatto dire a Riccardo: "l'interesse

del proprietario terriero è sempre in contrasto con quella di tutte le altri classi sociali"12.

Alla diminuzione delle società mutualistiche era corrisposto un calo anche

nel numero degli iscritti, benché in misura inferiore (circa l’1 per cento secondo i

dati del 1904). Nel Centro-Nord i soci erano addirittura aumentati, ad eccezione

del Piemonte, delle Marche e del Lazio (qui il calo fu particolarmente sensibile

con 13.000 iscritti in meno in un decennio). Nel Meridione i soci tendevano a

calare a una velocità impressionante: 52.710 iscritti in meno in soli 10 anni, pari al

29 per cento degli iscritti di tutto il Mezzogiorno.

I patrimoni delle società al termine del 1904 erano molto cresciuti. Questo

fu possibile da un lato, grazie alla costante superiorità delle entrate sulle uscite,

ma anche in virtù del modesto peso sino a quel momento ricoperto dalla voce

“pensioni” sugli esborsi sostenuti dalle società13.

12 R. P. SACCOMANNO, Storia sociale del comune di Grimaldi (1905-1925), pubblicato sul sito

http://digilander.iol.it/grimaldi.13 Le cifre in grassetto sono espresse in lire correnti dell’epoca. Le cifre sottostanti sono espresse

in miliardi di lire mediante la rivalutazione rispetto al 1999 del valore di una lira nei rispettivi anni.

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Fonti: FABBRI, Solidarismo in Italia cit., p. 73; Statistica delle Società 1878 cit.,

p. XIV-XV; Annuario statistico italiano cit., p. 319.

I patrimoni delle società manterranno il proprio potere d’acquisto fino

all’inizio della prima guerra mondiale, quando nel 1919 la lira si sarà svaluterà di

due volte e mezzo rispetto al 1914. In quel momento la sopravvivenza di molte

società sarà messa a dura prova e solo pochi sodalizi saranno in grado di

sopravvivere.

1. Caratteri del mutualismo italiano

L’attività mutualistica è stata considerata a lungo un fenomeno marginale e

accessorio del cooperativismo. La crescente importanza che assunse, con il

passare degli anni, il movimento cooperativo spiega in parte le ragioni che fecero

passare in secondo piano l’importanza della mutualità in Italia

Ciò non toglie che il cooperativismo e il mutuo soccorso abbiano avuto un

legame molto stretto nella loro fase iniziale. Il movimento mutualistico, in molte

occasioni, diede impulso alla nascita di cooperative di consumo e di produzione.

In questo tipo di esperienza si evidenzia come la radice ideale e morale delle due

forme associative fosse comune, anche se entrambe offrivano risposte differenti

9.351.580 21.141.662 32.200.840 72.395.544 58,3 124,3 208,8 450,4

3.207.950 5.179.322 7.566.128 14.532.425 20,0 30,5 49,1 90,4

2.098.391 3.565.490 5.404.205 11.790.028 13,1 21,0 35,0 73,3

Uscite

1873 1878 1885 1904

Patrimonio

Entrate

Tabella 5. Il patrimonio delle società di mutuo soccorso in Italia tra il

1873 e il 1904.

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sulla base ciascuna delle proprie specificità. Da un lato vi era la volontà, da parte

delle società di mutuo soccorso, di garantire ai lavoratori strumenti di difesa e di

tutela della propria condizione che il sistema di garanzia sociale non era in grado

di offrire, dall’altro lato le cooperative avevano come scopo, tra gli altri, quello di

creare nuove opportunità di lavoro e condizioni di consumo più favorevoli per i

propri soci. Le diverse direzioni in cui il cooperativismo si mosse costituirono una

delle ragioni fondamentali del successo e della durata nel tempo di queste

particolari imprese. La forma cooperativa fu usata per rispondere alle domande di

credito, di consumo di prodotti alimentari, di abitazione di molti soggetti deboli.

La cooperativa, intesa come tipologia d’impresa economica, seppe raccogliere le

domande di piccoli produttori e consumatori offrendo loro risposte convenienti.

Seppe inoltre adattarsi, sino ai giorni nostri, alle mutevoli condizioni

dell’economia, riuscendo a modificare la propria organizzazione ma mantenendo

lo spirito solidaristico iniziale.

Il cooperativismo divenne anche veicolo di sviluppo delle idee politiche per

diversi gruppi, dai moderati ai mazziniani. In particolare per Mazzini la forma

cooperativa era vista come l’associazione di capitale e lavoro, una forma di

organizzazione sociale che lo Stato si doveva impegnare a promuovere14. La

cooperativa era dunque ritenuta un’organizzazione interclassista, in grado di

promuovere un percorso di emancipazione del lavoratore, rendendolo protagonista

dello svolgimento economico e produttivo del sistema.

A differenza di quest’ultima, la mutua assistenza tra i lavoratori ha assolto i

suoi scopi per un periodo più limitato, essendo gradualmente superata nei suoi

scopi da una maggiore attenzione verso le problematiche sociali da parte della

legislazione del nuovo Stato unitario.

Gli interventi legislativi che nel 1883 istituirono la Cassa Nazionale di

assicurazione contro gli infortuni e nel 1898 l’assicurazione obbligatoria per gli

operai furono gli esempi più significativi di come lo Stato si sia preso carico dei

problemi dei lavoratori, superando le concezioni volontaristiche e privatistiche di

14 Z. CIUFFELOTTI, Dirigenti e ideologie, in Il movimento cooperativo in Italia. Storia e problemi,

a cura di G. SAPELLI, Torino 1981, p. 92.

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autotutela degli operai. Questo processo di graduale estensione delle leggi del

nuovo welfare produsse un progressivo indebolimento del movimento

mutualistico che, nel corso di alcuni anni, perse buona parte delle originarie

ragioni che ne avevano guidato lo sviluppo15.

Limitare l’importanza delle Società di mutuo soccorso, considerandole una

parentesi durata poco più di una cinquantina d’anni, sarebbe scorretto e non

contribuirebbe a chiarire le ragioni di un progressivo mutamento sociale e politico

della classe operaia in Italia.

Per alcuni, oltre a essere state una radice indispensabile della cooperazione,

le SOMSI hanno rappresentato una prima forma di rappresentanza organizzata

tesa a far fronte ai problemi legati al primo timido sviluppo industriale del

Paese.Le Società operaie si inserirono in un vuoto creato dalla crisi delle

tradizionali istituzioni caritative e dalla contemporanea assenza di una moderna

legislazione sociale. La crisi delle vecchie strutture a protezione dei lavoratori e i

mutamenti degli stessi nuclei familiari causarono numerosi problemi, che si cercò

di superare con la costituzione di strutture e organizzazioni idonee a fornire

un’adeguata difesa a soggetti deboli in questa fase di transizione storica e

culturale. Pertanto le società di mutuo soccorso furono, prima ancora che una

concreta risposta ai nuovi problemi economici e sociali, una prima forma

organizzativa dinanzi alla crisi dei vecchi ordinamenti. Le SOMSI possono quindi

essere considerate elemento anticipatore in attesa che maturasse un reale sviluppo

industriale e che altre organizzazioni si facessero carico delle istanze dei

lavoratori.

Gli scopi che si prefiggevano le società di mutuo soccorso erano stabiliti

negli statuti approvati dalle singole assemblee generali. Analizzandone alcuni si

riscontra una tendenziale analogia nel loro insieme. Piccole differenze erano

dovute o ai caratteri specifici dei singoli sodalizi o a minime differenze

terminologiche che comunque non modificavano il significato e lo scopo

perseguiti da ciascuna società:

15 FABBRI, Solidarismo in Italia cit., p. 18.

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Scopo principale della Società è di recarsi mutuo soccorso fra gli operai con i fondi

sociali all’occasione che o per malattia o per vecchiaia derivi incapacità, di provvedere coll’opera

propria ai necessari bisogni della vita […] La Società ha pure fra i suoi intendimenti quello di

favorire, promuovere e diffondere la istruzione, la moralità e il sincero affratellamento nelle classi

operaie; nonché di recare qualche alleviamento nei più gravi casi eziandio alle vedove e agli orfani

di queste classi..16

Appare evidente come le società mutualistiche avessero come principale

progetto il superamento delle drammatiche condizioni di incertezza in cui si

trovavano quanti ricavavano dal proprio lavoro lo stretto necessario per vivere. Il

soccorso avveniva tra pari, sia mediante il reciproco aiuto, aspetto, questo, tipico

delle confraternite, sia mediante la costituzione di un sistema mutualistico dove

era possibile assicurarsi per quasi tutte le sventure che potevano occorrere ai

lavoratori.

Si diede vita insomma a dei primordiali e spesso insufficienti

“ammortizzatori sociali”, strumenti che, con il passare degli anni e l’incedere

veloce, anche se tardivo, del processo di industrializzazione nel nostro Paese,

furono pienamente accolti nel novero delle leggi fondamentali e imprescindibili

dello Stato.

Come in ogni fenomeno innovativo e allo stesso tempo di transizione, è

difficile trovare un indirizzo univoco o elementi universalmente validi per

spiegare il fenomeno nelle sue diverse fasi. La realtà delle società di mutuo

soccorso è tanto più varia quanto più sono estesi l’ambito geografico di

osservazione e il periodo di riferimento. Le diverse anime che attraversarono il

movimento non permettono di collocare questo fenomeno all’interno di una

precisa linea di pensiero o corrente politica.

E’ certo che le società mutualistiche furono in grande maggioranza

portatrici di idee di progresso nel campo sociale, basandosi su una morale

attivistica e laica, almeno in una prima fase. L’avversione di alcuni dei fondatori

verso i precetti della Chiesa ma non verso le massime evangeliche spiegano in

16 SOMSI, Statuto con disposizioni regolamentari della Società di mutuo soccorso fra gli operai di

Cividale, Cividale 1869, art. 2 e 3.

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parte le ragioni del riconoscimento che lo stesso Pio IX conferì a questi sodalizi

nel 184917. Ciò non toglie che in alcuni casi le organizzazioni cattoliche ebbero la

capacità di costituire società di mutuo soccorso tra gli agricoltori, in quanto nelle

campagne e nel mondo rurale rimanevano fortemente radicati le tradizioni e il

senso di appartenenza alla Chiesa cattolica. Nelle zone a più forte

industrializzazione, al contrario, prevalse una crescita delle società di matrice

laica e anticlericale.

Esiste peraltro una differenza tra la posizione laica e quella anticlericale

assunta da alcune società. La scelta laica era interpretabile come un’opzione di

neutralità rispetto alle ingerenze dirette della Chiesa all’interno del movimento

mutualistico. Per taluni versi la laicità del sodalizio garantiva un’equidistanza sia

rispetto alle posizioni confessionali sia a quelle più rigidamente antiecclesiastiche.

L’anticlericalismo praticato da alcuni sodalizi si inseriva invece in un processo di

forte caratterizzazione ideologica. Sotto questo profilo la nascita di società

qualificatesi come cattoliche, democratiche, mazziniane, socialiste, fu il segnale di

una contrapposizione ideologica forte che puntava a contrassegnare il territorio e

certi ambiti sociali.

In una prima fase le società nascevano con scopi puramente mutualistici e

senza uno specifico orientamento politico. In questo periodo ebbero un grande

sviluppo le società di stampo professionale, all’interno delle quali si trovavano

lavoratori che svolgevano il medesimo tipo di attività. Analogie si possono

riscontrare con le vecchie corporazioni di arti e mestieri, anche se, rispetto a

queste ultime, vi era una diversità di approccio al problema della tutela dei

lavoratori. Mentre nelle corporazioni si tendeva a manifestare uno spirito di

solidarietà completamente volontaristico e occasionale, nelle società di mutuo

soccorso si affermò, sia pure con una certa approssimazione, il principio del

“diritto alla prestazione”. E’ evidente la differente impostazione tra le due

tipologie che, nel primo caso, era riconducibile a un interventismo assistenziale a

tutela anche del decoro della corporazione, mentre nel secondo alla costruzione di

un sistema di intervento caratterizzato dall’aiuto economico, dalla solidarietà,

17 FABBRI, Solidarismo in Italia cit., p. 23.

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dalla comunanza dei fondi e da un preciso ordinamento statutario che non sancisse

semplici possibilità per i soci ma precisi diritti.

Numerose società al loro interno annoveravano figure di soci non effettivi,

spesso coincidevano con soggetti non appartenenti al mondo artigiano od operaio:

si trattava di notabili, filantropi, benestanti e, più in generale, di esponenti della

borghesia cittadina che si riconoscevano nell’ala più “progressista” della società e

che si rendevano promotori dei sodalizi. I loro contributi consistevano spesso in

elargizioni di denaro o in prestazioni gratuite inerenti alla propria attività

professionale, qualora si trattasse di medici, avvocati o altro.

I motivi che spingevano a partecipare alla creazione e alla diffusione di tali

sodalizi variavano da luogo a luogo e da circostanza a circostanza. In alcuni casi si

trattava di un’iniziativa meritoria senza alcun fine se non quello di giovare a

quanti versavano in condizioni economiche di difficoltà o di incertezza; in altri

casi si trattava di creare una struttura che potesse fungere da veicolo delle proprie

idee politiche, le quali influivano sull’orientamento e la gestione delle società.

Questo secondo caso è stato forse il più diffuso in Italia nel periodo

immediatamente successivo all’Unità. Intorno alle società di mutuo soccorso si

scatenò una dura lotta che vide coinvolte tutte le forze politiche e sociali

dell’epoca.

Lo sviluppo del movimento che, con il passare degli anni, aumentava le

proprie dimensioni rendeva la guida e la funzione di indirizzo dello stesso molto

ambita. Numerosi furono gli scontri tra le parti che vivacemente si affrontavano

sul terreno politico per l’acquisizione del controllo del movimento mutualistico.

Le prime schermaglie si manifestarono subito dopo l’unificazione del Regno,

quando le posizioni del Mazzini, che da molti anni si era reso promotore di un

radicale cambiamento all’interno delle nascenti associazioni, furono formalmente

ufficializzate al congresso delle società operaie del 1861 a Firenze. L’idea di

Mazzini era incentrata sulla costituzione di una federazione delle società operaie

che divenisse la base sulla quale costruire un’opposizione antimonarchica e

antigovernativa. Egli voleva affermare il ruolo autonomo delle società

mutualistiche dallo Stato, anche se esse ne surrogavano le funzioni nei settori

della previdenza e dello sviluppo sociale del lavoratore.

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La posizione dei moderati sosteneva la totale estraneità delle società operaie

alle vicende politiche che attraversavano il Paese18. È evidente come anche tale

posizione fosse espressione di una determinata concezione politica. Sono

eloquenti in proposito le osservazioni del ministro dell’Agricoltura, pubblicate in

margine alla relazione sulle società di mutuo soccorso del 1864. Egli sosteneva

che l’autonomia delle società era essenziale per permetterne lo sviluppo, e ai soci

il governo doveva solamente garantirne la libertà e la sicurezza. Un’eccessiva

politicizzazione di queste istituzioni avrebbe fatto smarrire gli obiettivi per cui

erano nate. Sul tema riguardante l’organizzazione interna della società il ministro

riteneva necessaria un’impostazione che decentrasse il potere amministrativo e

organizzasse le società secondo categorie professionali. Queste considerazioni,

invero, costituivano un limite al principio del mutuo soccorso: la nascita delle

società mutualistiche in Italia e in tutta Europa fu riconducibile al superamento di

una logica di tipo corporativistico che sino a quel momento aveva caratterizzato

l’associazionismo. Una prima preoccupazione del governo consisteva nella

possibilità che si formasse una federazione per raccogliere le varie società sul

territorio nazionale (come auspicato dal Mazzini); una ulteriore era legata al

timore che la creazione di società generali potesse mettere in relazione ambienti

associativi differenti tra loro con pericolosi sviluppi dal punto di vista politico. Le

differenti letture del fenomeno mutualistico sono dunque connaturate alle diverse

angolature politico-ideologiche dell’epoca.

Nonostante le raccomandazioni della commissione permanente incaricata di

preparare il congresso di Firenze per evitare che si affrontassero temi di natura

politica durante il congresso stesso, le discussioni si orientarono da subito in

quella direzione. I moderati affrontarono i democratici e i mazziniani, sostenendo

la necessaria estraneità della politica dalla vita delle società, ma l’approvazione

dell’ordine del giorno in cui si riconosceva la legittimità di affrontare questioni

18 Esponente di spicco di questa scuola di pensiero fu Luigi Luzzatti, il quale sostenne con forza la

teoria del self-help in campo economico. Nel suo saggio sulle banche popolari Luzzatti individuò

nelle società di mutuo soccorso uno strumento utile per raggiungere questo scopo (CIUFFELETTI,

Dirigenti e ideologie cit, p. 99).

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politiche ritenute utili alla crescita delle società e a un loro consolidamento, portò

all’abbandono da parte dei moderati del congresso, il che aprì una scissione

all’interno del movimento. Ciò diede la possibilità alla corrente mazziniana di far

approvare all’assemblea generale le proprie istanze: suffragio universale,

unificazione delle società, laicità dell’istituzione, promozione di una cultura

operaia e sociale19.

Quel congresso segnò dunque la prima sconfitta da parte della componente

liberale e moderata che nella prima fase aveva guidato il mutuo soccorso in Italia.

Ciò non significò che le forze liberali che si riconoscevano nella Destra storica

abbiano abbandonato il terreno della mutualità, anche se tra le società e il governo

crebbe in tal modo il distacco politico.

In una fase successiva della storia delle società di mutuo soccorso i sodalizi

divennero anche uno strumento per sostenere la lotta dei lavoratori. In questa

materia le posizioni delle società furono diverse: molte di esse passarono dalla

sostanziale estraneità al pieno appoggio della causa dei salariati.

In Italia diverse società supportarono le lotte dei lavoratori per il

raggiungimento di migliori condizioni di vita e di lavoro. Si assistette in alcuni

casi al passaggio da una ragione “sociale” dell’attività di queste istituzioni a una

vera e propria ragione “sindacale”. Alcune società fecero passi decisi in questa

direzione, altre sostennero posizioni più ambigue, ma ciò non tolse che in alcuni

casi si sia cominciato ad accostare alla classica attività mutualistica anche una

forma di soccorso ai lavoratori per far fronte ai mancati guadagni derivanti

dall’adesione ai primi scioperi20. Si trattava di un appoggio indiretto alla causa dei

lavoratori delle società di mutuo soccorso, le quali, non potendo sostenere la causa

19 R. ZANGHERI, Nascita e primi sviluppi, in ZANGHERI-GALASSO-CASTRONOVO, Storia del

movimento cooperativo in Italia 1886-1986, Torino 1987, pp. 6-12.20 I. BARBADORO Il sindacato in Italia. Dalle origini al 1908, Milano 1979, p. 11. In alcune società,

inoltre, conviveva accanto al fine mutualistico lo spirito di rappresentanza categoriale. In certi casi,

nelle società di mutuo soccorso professionali, la dirigenza svolgeva anche un ruolo di

rappresentanza locale della categoria nelle vertenze con i proprietari.20 Ciò era possibile specie in quelle società ove più marcata risultava la presenza delle componenti

di matrice socialista e del movimento operaio.

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dei lavoratori in modo esplicito, permettevano a questi ultimi di adoperare lo

strumento dello sciopero senza subirne le ricadute economiche21. Queste posizioni

furono diversamente accolte all’interno del movimento mutualistico.

Emerse già dai primi congressi delle SOMSI la tendenza di una parte degli

studiosi e promotori del movimento a inglobare la mutualità organizzata

all’interno del più generico corpus del movimento operaio. Questa tendenza fu

rigettata da altre componenti del mutualismo, le quali sostenenevano che la

funzione di tutela delle esigenze dei settori più deboli della società svolta dalle

mutue non poteva coincidere con il sistematico inserimento delle stesse all’interno

degli strumenti di lotta del nascente movimento operaio. Nel congresso del 1861

era emersa una netta disapprovazione dell’utilizzo dello strumento dello sciopero,

in quanto elementi di scissione tra imprenditori e operai22.

Nuove tensioni e forti contrapposizioni sui temi organizzativi delle società

di mutuo soccorso si manifestarono con l’affermarsi del socialismo organizzato in

Italia. La piena maturazione e la reale penetrazione nel territorio dei socialisti

avvenne solo in una fase di sviluppo avanzato del mutualismo. Secondo alcuni, la

progressiva ascesa socialista coincise addirittura con la prima fase di declino delle

società operaie. L’azione sindacale contro lo sfruttamento capitalistico acquisiva

forma e sostanza dopo la maturazione dell’autocoscienza delle condizioni di

lavoro imposte e dei bisogni operai. Le rivendicazioni dei socialisti non sempre si

avvalsero, come strumento di propaganda, delle strutture del mutualismo al quale

peraltro rivolsero dure accuse e verso cui manifestarono un atteggiamento di

chiusura. L’ala più avanguardista del sindacato e del socialismo non esitava a

definire “vecchiume mutualistico” le società operaie che, a suo giudizio, erano

spesso troppo compromesse a causa della composizione sociale spiccatamente

interclassista23. Essa vedeva nella continua espansione dei sodalizi un forte freno

allo sviluppo della classe operaia. La presenza numericamente imponente di soci

21 Questa posizione rispecchiava fedelmente la visione dei democratici e dei mazziniani, che

sostenevano contro la lotta di classe l’interclassismo nella sue varie forme (cooperative e società di

mutuo soccorso principalmente).

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filantropi, animati da spirito paternalistico, alla guida delle società rendeva i

sodalizi istituzioni non “degli operai” e dei lavoratori in genere, bensì semmai

delle istituzioni “per gli operai”. Sarebbe mancata in sostanza un’autonoma

organizzazione delle società mutualistiche, tanto che alcuni temettero che esse si

potessero trasformare in un tranello per il povero e in una sicurezza solo per il

ricco. L’interpretazione socialista tendeva a considerare le SOMSI lontane dalle

esigenze concrete dei lavoratori, nonché strumento di controllo e di mantenimento

della pace sociale al servizio delle forze moderate. Si sosteneva, a esempio, che le

organizzazioni mutualistiche si sarebbero dovute occupare di una politica volta al

miglioramento delle condizioni di lavoro dell’operaio, prevenendo in questo senso

le malattie e gli infortuni, piuttosto che prodigarsi nella raccolta di denaro da

ridistribuire al lavoratore ammalato o infortunato. In questo senso appare evidente

come la polemica tra le emergenti leghe di resistenza, di ispirazione socialista e

anarchica, e i sodalizi mutualistici avesse come fondamento il diverso scopo che

le associazioni avrebbero dovuto raggiungere (per i liberali e i moderati il

controllo e la conservazione dell’ordine sociale vigente, per i mazziniani la

creazione di un sistema democratico e repubblicano). La critica alle società di

mutuo soccorso provenne esclusivamente da quella parte che maggiormente

metteva in discussione il loro ruolo, e che ne relativizzava l’effettiva influenza

sociale, ritenendole anzi un semplice lenimento di un malessere sociale molto

acuto. Nel corso dell’ultimo ventennio dell’Ottocento questa posizione divenne

sempre più accentuata e giunse a considerare le società di mutuo soccorso

completamente prive di ogni attributo classista e “proletarie” solamente perché

composte in prevalenza da operai24. Queste valutazioni non evitarono che

esponenti socialisti partecipassero con interesse ai sodalizi, a volte con il semplice

scopo di limitare l’influenza delle componenti politiche moderate già presenti nei

23,BARBADORO,Il sindacato in Italia cit.,pp. 8-9.24 I socialisti guardavano criticamente alle società di mutuo soccorso generiche, in cui erano

rappresentati soci di estrazione e professioni differenti. Ritenevano, infatti, che questo non

contribuisse alla maturazione di una coscienza di classe, elemento indispensabile per

l’emancipazione dei lavoratori.

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consigli delle società, in altri casi con il preciso obiettivo di ottenere il controllo

degli organi di governo delle SOMS.

I sindacalisti si trovarono a sostenere, contro i democratici, posizioni vicine

a quelle espresse, alcuni anni prima, dagli esponenti della Destra storica circa

l’inopportunità di costituire società multiprofessionali. Mentre da un lato si

temeva la diffusione tra diversi settori e professioni delle idee mazziniane, per la

componente socialista l’interclassismo non avrebbe mai permesso la nascita di

una coscienza operaia, confusa dalla presenza di idee e istanze diverse tra loro. In

realtà è difficile pensare che nelle città di modeste dimensioni potessero sorgere

associazioni professionali, per ragioni strettamente pratiche. Mentre nelle grandi

città, nelle quali si era già avviato un processo di industrializzazione, era possibile

raccogliere un numero di soci con professioni omogenee se non uguali, nei piccoli

centri della periferia o nelle città dove solo da poco avevano preso piede nuove

attività produttive, era spesso difficile raccogliere anche solo un numero minimo

di soci che potessero permettere di fondare un’associazione professionale.

Infine la forte contrapposizione tra la resistenza e le società mutualistiche fu

in parte dovuta al differente riferimento culturale e sociale. La riproposizione di

idee elaborate a difesa di un proletariato di fabbrica non italiano, che viveva in

sistemi in cui già da tempo si era avviato un processo spinto di industrializzazione

e dove il capitalismo aveva già mostrato alcuni dei sui aspetti deteriori, non

sempre poteva essere aderente alla realtà nazionale. La rapida velocità di

circolazione delle idee determinò l’adesione ai principi e alle rivendicazioni di una

classe operaia europea sostanzialmente diversa da quella italiana di fine

Ottocento. Le strutture delle società anglosassoni sul cui modello erano sorte

quelle italiane, presentavano livelli numerici decisamente superiori di aderenti e

una longevità che le consorelle italiane ancora non potevano vantare. In Italia la

classe sociale predominante nelle SMS non sempre era in grado di recepire le

istanze di progresso espresse dal lavoratore inglese, in quanto permaneva un forte

legame con attività agricole e artigianali; la fabbrica moderna rivestiva ancora un

ruolo marginale nel processo di sviluppo economico del Paese.

Il lento percorso di industrializzazione di alcune aree del Paese portò a un

irrigidimento delle posizioni politiche sia nell’ambito delle società, sia all’esterno

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di esse. In questo quadro l’aumento della conflittualità tra le parti condusse da un

lato alla nascita di nuove organizzazioni a tutela dei lavoratori (sindacati e

confederazioni operaie), dall’altro al progressivo allontanamento degli operai

dalle SOMSI. Questo ulteriore sviluppo, accanto al parziale trasferimento delle

funzioni delle società allo Stato, contribuì alla fase di declino del movimento. In

questo contesto si venne a formare una larga base di lavoratori che nei primi anni

del nuovo secolo assunse le connotazioni di una vera e propria classe: quella degli

artigiani, dei piccoli imprenditori, dei commercianti, dei minori proprietari

terrieri. Venne a delinearsi una classe che aveva come principale caratteristica la

propria autonomia economica e sociale, tale da renderla equidistante tanto dalla

classe dominante borghese o agraria che dal cosiddetto “proletariato”. Sempre più

le proposte di parte moderata e quelle mazziniane di associazione del capitale con

il lavoro furono ritenute come utile strumento per appianare il conflitto sociale e

tuttavia non come reali soluzioni ai problemi della nascente classe operaia.

2. Nascita e sviluppo del mutualismo in Friuli.

Il mutualismo friulano si sviluppò subito dopo l’Unità. La nascita delle

prime società di mutuo soccorso rappresentava un ulteriore passo verso la piena

integrazione dei territori friulani nel sistema politico e sociale del Regno d’Italia.

Furono gli stessi esponenti del governo a sostenere la necessità che anche in

queste zone del Paese sorgessero delle istituzioni che offrissero un segno del

cambiamento in corso nella società e nel sistema politico.

In Friuli, al pari delle altre realtà italiane, la nascita delle SMS trovarono

impulso anche se non confessato, nel bisogno di proselitismo che animava uomini

e partiti politici. Per tale ragione molti esponenti di spicco della politica locale e

nazionale le tennero a battesimo e le considerarono come un proprio feudo, del

quale servirsi per la propaganda. Con questo processo di politicizzazione, volto a

mantenere il controllo su di una fascia dell’elettorato assecondandone le richieste,

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25

si realizzò nello stesso tempo anche la prima forma di contributo popolare alla

vita pubblica25.

La nascita delle società di mutuo soccorso in Friuli non avvenne

casualmente subito dopo l’unificazione. Nel progetto del Sella, allora

commissario del re al seguito dell’esercito in Friuli, le organizzazioni di mutuo

soccorso tra gli artigiani avrebbero dovuto sostenere la parte moderata dei liberali

(della quale era esponente autorevole) contro quella più progressista, democratico

garibaldina. La preoccupazione del Sella era giustificata dalla nascita a Udine di

organizzazioni mazziniane che spesso si raggruppavano intorno a delle

pubblicazioni giornalistiche, come ad esempio “La voce del popolo”, primo

quotidiano del Friuli libero, nato nel luglio del 1866 e di ispirazione liberal

progressista. Già nel 1865 a Udine uscì il settimanale “L’artiere”, giornale diretto

da Camillo Giussani, il cui scopo era quello di offrire delle risposte alle

problematiche sociali della “classe lavoratrice”. Nelle colonne di questa

pubblicazione già si parlava della possibilità di costituire in Friuli delle mutue tra

lavoratori, seguendo l’esempio di molte altre città del Regno26. La pubblicazione

divenne per un brevissimo periodo organo di stampa ufficiale della società di

mutuo soccorso di Udine in quanto cessò le pubblicazioni nel 1867 dopo poche

uscite.

Per attuare il suo progetto il Sella si affidò alle proprie capacità e all’aiuto di

uno dei più importanti esponenti del giornalismo friulano di fine Ottocento:

Pacifico Valussi. L’esponente del governo capì l’importanza della stampa come

mezzo per far diffondere i propri progetti tra i cittadini friulani e per tale ragione

conferì al noto giornalista friulano la direzione di un giornale che facesse da

contro altare alla “Voce del popolo”.

Il Valussi dal canto suo nell’accettare l’incarico espose al Sella la necessità

di procedere con rapidità nella soluzione di alcuni tra i più importanti problemi, e

25 T. TESSITORI, Le società operaie di mutuo soccorso nella storia politica del Friuli, in S.O.M.S.I.

CIVIDALE DEL FRIULI, Cenni storici nel centenario di Fondazione. Cividale 1970, p. 15.

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tra questi vi era anche la costituzione, prima in Udine e poi nei maggiori centri

della regione, di una società di mutuo soccorso tra gli operai27. Il Sella, nel dare

attuazione a questo progetto, da un lato profuse il proprio impegno diretto a

sostegno dell’iniziativa di cui condivideva lo scopo e nelle quali individuava un

fruttuoso ritorno in termini politici; dall’altro coinvolse coloro che meglio

avrebbero potuto incidere sull’opinione pubblica, evitando così una pericolosa

deriva progressista. Il Sella partecipò ad incontri pubblici nei quali spese parole di

elogio nei confronti di chi si rendeva promotore di iniziative meritorie e dirette al

benessere pubblico. Ne fu un esempio l’incontro che tenne a Pordenone

nell’ottobre del 1866 durante il quale, oltre ad elencare le molteplici funzioni delle

società operaie, conferì un primo contributo ai fondatori del sodalizio28. Per dar

vita al sodalizio udinese, Sella convocò presso la propria residenza 32 tra gli

artigiani di maggior fama, i quali, compresa l’importanza e la bontà dell’iniziativa

sottoscrissero una prima bozza dello statuto. Il commissario diede inoltre lettura di

una lettera del podestà Giacomelli29 in cui si manifestava il pieno appoggio

morale e materiale all’iniziativa, garantendo una sede presso gli uffici comunali e

un primo lauto contributo per le spese d’impianto30.

Le prime società friulane furono dunque quelle di Udine e di Pordenone,

entrambe sorte nel 1866 a distanza di pochi mesi, cui seguì poi S. Vito (1867),

Spilimbergo (1868) e Cividale (1870). In particolare, il sodalizio udinese nacque

sulla base dello schema predisposto dalla consorella di Vicenza, dalla quale mutuò

ordinamento e disposto statutario. Da quel momento in poi il movimento

26 La costituzione di una società di mutuo soccorso a Udine era stata proposta nel 1865 senza

risultati di fatto, causa lo scarso interesse con cui il municipio accolse la proposta (C. GIUSSANI,

Parole e fatti, «L’ARTIERE UDINESE», 8 ottobre 1865, pp. 113-114.).27 C. RINALDI , Il giornalismo politico friulano dall’Unità d’Italia alla resistenza, Udine 1986, p.

75-76.28 P. GASPARDO, Un secolo, oggi: la storia dell'Operaia e di Pordenone nella scuola di disegno

"Andrea Galvani" 1872-1975, Pordenone 1977, p. 11.29 Lo stesso Giacomelli sostenne più volte la necessità di costituire una società di mutuo soccorso

dalle pagine de “L’ARTIERE UDINESE”.

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mutualistico in regione crebbe e di diffuse con una discreta capillarità toccando

principalmente i centri più importanti dal punto di vista artigianale, commerciale e

industriale del territorio.

In questa prima fase la lotta per il controllo delle società era limitata alle due

componenti liberali del panorama politico, entrambe caratterizzate da una forte

posizione anticlericale. Il dibattito tra Destra e Sinistra storica catalizzò

l’attenzione dell’opinione pubblica nel corso dei primi anni dopo l’annessione,

cominciando a marcare delle differenze programmatiche all’interno dello

schieramento liberale31. La successiva ascesa della Sinistra al governo del Paese

cui si legò il fenomeno del trasformismo scossero il quadro politico regionale,

dando possibilità a nuove formazioni di guadagnare gradatamente la scena.

La situazione della mutualità nella provincia friulana in questo periodo è

descritta nella statistica ministeriale del 1878. In Friuli a quella data furono

censite 16 società di mutuo soccorso, di cui 7 nella sola Udine. Tra le più

importanti oltre a quella operaia udinese vi erano quelle di Pordenone, di S. Vito,

di Cividale, di Spilimbergo e di S. Daniele e la società con sede a Udine che

raccoglieva e reduci delle patrie battaglie.

L’intera provincia contava 3.270 soci iscritti alle mutue, di cui solo una

minima parte donne. A questo proposito la società di Cividale fu quella che

raccolse il maggior numero di lavoratrici in rapporto al numero complessivo dei

soci (circa il 23 per cento del totale degli iscritti). La società udinese raccolse

nell’arco di poco più di un decennio 1.007 soci, una cifra davvero ragguardevole e

pari a un terzo degli iscritti dell’intera provincia. A seguire per numero di iscritti

si trovava la società di mutuo soccorso di Pordenone, con 549 iscritti (solo

uomini), quella tra gli ex combattenti di Udine (364 soci), quindi quella tra gli

30 JACOB e COLMEGNA, Società di mutuo soccorso ed istruzione di operaj, «L’ARTIERE UDINESE»,

26 agosto 1866, pp. 278-279.31 Gli stessi Valussi e Giussani, rispettivamente direttore e vicedirettore del “Giornale di Udine”

cominciarono a far emergere posizioni differenti: il primo, liberale conservatore; il secondo più

aperto alla questione sociale. Per tale ragione, con la vittoria della Sinistra storica nel 1876,

Giussani si staccò definitivamente dal “Giornale di Udine” per fondare e dirigere “La patria del

Friuli” (R INALDI , Il giornalismo politico friulano cit., p. 96.).

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operai del distretto di S. Vito (349) e quella di Cividale (236). La società udinese

era la più importante per numero di soci iscritti anche rispetto alle vicine province

del trevigiano e di Venezia32. A Venezia, ad esempio, le società di mutuo soccorso

erano complessivamente 18, per la gran parte professionali, e tra queste solo

quella tra gli operai meccanici e i fabbri superava i 300 soci33.

L’ammontare del patrimonio delle società variava notevolmente da società a

società: la SMS di Udine disponeva di un patrimonio pari a 111.099 lire,

equivalente alla metà del totale dei patrimoni dei sodalizi friulani e pari a ben otto

decimi del totale dei patrimoni delle società della provincia di Treviso. La società

udinese possedeva anche il miglior rapporto di capitalizzazione rispetto alle altre

società, raggiungendo la soglia delle 110 lire di patrimonio pro capite (la media

nazionale era di 64,49 lire e quella del Veneto di 69,32). Solo le società di

Pordenone, Spilimbergo e il Consorzio filarmonico udinese avevano un

patrimonio pro capite superiore alla media regionale ma il dato è giustificabile in

alcuni casi dalla giovane età dei sodalizi, in gran parte nati dopo il 1870. I sussidi

medi giornalieri oscillavano tra le 1,5 lire e i 50 centesimi. Ogni società decideva

autonomamente la cifra da concedere ai propri soci in caso di malattia e il periodo

massimo di soccorso, commisurando il contributo alla propria capacità

patrimoniale. Le società con un maggior numero di anni potevano offrire con il

passare e grazie all’accumulazione di patrimoni via via maggiori, sussidi più alti,

salvo mantenere sempre l’equilibrio di bilancio.

Nella successiva statistica del 1885 le società friulane erano 39, di cui solo

36 risposero ai questionari ministeriali. Durante questo periodo erano nate diverse

società tra cui quelle di Codroipo (1878), di Latisana e Tolmezzo (entrambe nel

1881)34 e di Tarcento. (1883). I soci effettivi ammontavano complessivamente a

6.549, mentre il numero di sussidiati durante l’anno era stato pari a 1.364 unità. Il

patrimonio delle 36 società censite era di 451.555 lire, secondo solo a quello della

32 N. PANNOCCHIA, Il movimento sindacale e cooperativo nella sinistra Piave dalle origini al

primo dopoguerra, Portogruaro 1994, pp. 52-55.

33 Statistica delle società 1878 cit., pp. 174-177.

34 E. MARIGLIANO, Figli dell’officina, siam figli della terra, Pordenone 1998, p. 20.

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Tabella 6. Le Società di mutuo soccorso in Friuli nel 1878.

provincia di Venezia e di poco inferiore a quello della provincia patavina. I sussidi

concessi erano pari a 28.028 lire.

La sconfitta della Destra storica e il trasformismo della Sinistra succedutagli

al governo, diedero spazio alla nascita di numerosi schieramenti politici. Anche i

cattolici, fino a quel momento estranei alla vita politica cominciarono a prendere

coscienza del proprio ruolo all’interno del sistema sociale e dell’opinione

Fonte: M.A.I.C., Statistica delle società 1878 cit., pp. 284-287 e pp. 174-177.

Comune DenominazioneData di fondaz.

Soci al 1878

Patrimonio al 1878

Patrimonio procapite

Sussidi erogati

Sussidi giorn. medio

Udine S.O.M.S.I. 1866 1.007 111.099 110,3 6.315 1,5Pordenone S.O.M.S.I. 1866 549 40.453 73,7 3.295 1,3S. Vito al Tagliamento

S.M.S. fra gli operai del distretto

1867 349 4.720 13,5 1.717 1,0

Spilimbergo S.M.S. fra gli operai 1867 122 9.767 80,1 675 0,7

Cividale S.O.M.S.I. 1870 236 12.752 54,0 798 1,1

S. Daniele S.O.M.S. I. 1870 171 10.759 62,9 494 1,0

UdineAss. operai tipografi italiani

1874 23 137 6,0 70 1,0

Gemona S.M.S. fra gli operai 1875 70 2.771 39,6 73 1,3

Udine Società dei sarti 1875 51 914 17,9 117 1,0

UdineConsorzio filarmonico udinese

1875 27 2.224 82,4 90 1,5

Moggio Udinese

S.O. Nodo ferreo 1875 16 971 60,7 - -

Buttrio S.O.M.S 1876 94 1.244 13,2 - -

UdineSoc. fra parrrucchieri e barbieri

1876 45 571 12,7 52 0,5

UdineSocietà dei reduci delle patrie battaglie

1878 364 1.367 3,8 - -

PordenoneSocietà dei reduci delle patrie battaglie

1878 81 - - - -

UdineSoc. dei falegnami, cooperativa di lavoro

1878 65 483 7,4 - -

Totale 3.270 200.232 43 13.696 1,1

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pubblica. Gli atteggiamenti anticlericali dei liberali avevano scavato un solco

netto tra le forze che sostenevano la Chiesa e il mondo politico, costringendo

queste ultime a dotarsi di autonome strutture sino a quel momento in mano ai

liberali. Queste strutture interessavano vari aspetti della vita dei cattolici: si

trattava di casse di risparmio, di mutue per il bestiame e di società di mutuo

soccorso35. Il fiorire di queste istituzioni non cancellava il ritardo della diocesi

udinese rispetto a quelle venete, anche se da quel momento era possibile

intravedere un ritrovato spirito di aggregazione intorno alle opere confessionali

anche in Friuli36. Tali iniziative furono principalmente introdotte nel mondo

rurale, dove maggiore era l’attaccamento delle persone ai valori diffusi dal clero.

Nelle campagne si favorirono largamente le scuole serali, gli acquisti collettivi di

concimi, di attrezzi per l’agricoltura e di quanto necessario per aiutare i contadini

nella loro opera. Allo sviluppo del movimento cooperativistico cattolico contribuì

in modo particolare l’Enciclica “Rerum Novarum” del 1891 di papa Leone XIII37.

Il movimento così descritto assumeva sempre più i connotati di una forza politica

numericamente rilevante e ben organizzata, anche se non ancora ufficialmente38.

Al risveglio dei cattolici, rispondevano i socialisti i quali, affacciatisi sullo

scenario politico della provincia solo a fine Ottocento, riscuotevano crescente

consenso tra i lavoratori. La posizione dei socialisti friulani rispetto alle società di

mutuo soccorso cambiò nel corso degli anni. In una prima fase tra i socialisti

prevalse la diffidenza verso le SMS, dominate a fine Ottocento dalle personalità

35 Nel 1901 le società di mutuo soccorso cattoliche erano 12, tra cui emergevano per importanza

quelle di Udine, Buia, Gemona e Cividale (TESSITORI, Le società operaie cit., p. 17.).36 T. TESSITORI, Storia del movimento cattolico in Friuli, Udine 1989, p. 6237 Elementi per la storia della cooperazione nel Friuli-Venezia Giulia, a cura della REGIONE

AUTONOMA FRIULI-VENEZIA GIULIA , Trieste, p. 43.38 Accanto al movimento cattolico “ortodosso”, nel periodo immediatamente successivo

all’annessione, si era sviluppato un movimento riformista e scismatico alla cui guida si collocò il

sacerdote Giovanni Vogrig. Questi sosteneva, in contrasto con la Chiesa romana, la necessità una

riforma della Chiesa cattolica su basi democratiche e in armonia con lo stato laico (RINALDI , Il

giornalismo politico friulano cit., pp. 165-168.).

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della borghesia liberale. Il congresso delle società operaie friulane che si tenne a

Udine nel 1896, avvalorò ulteriormente la tesi dei socialisti i quali scrissero:

Il congresso operaio di domenica scorsa al Minerva a noi ha fatto l’effetto né più né meno

che di uno scambio di idee tra alcuni valentuomini – non v’ha dubbio – ma che di operaio non han

veste ne nome. Come assemblea operaia, il congresso è stato dunque una disillusione. […] Se

alcuni avvocati, professori, proprietari e direttori di imprese industriali non possono e non devono

essere – quali si atteggiano – i soli naturali e legittimi tutori e rappresentanti degli interessi del

proletariato, la colpa è più di questo che di quelli, ai quali è abdicato, con l’inerzia e l’incoscienza,

le sue funzioni e i suoi diritti. […] Una sola nota stridente ci fu e passò inavvertita (o non la si

volle rilevare, forse per quella tale preoccupazione di non sciupare l’idillio generale, sul quale in

buona parte fonda anche l’equivoco delle società di mutuo soccorso): l’attacco abbastanza violento

per quanto non esplicito, al nostro partito, da parte del repubblicano avvocato Policretti39.

Le posizioni intransigenti dei socialisti erano in realtà più propagandistiche

che concretamente percorribili. Escludere dalle società tutti coloro che non fossero

appartenuti alla classe operaia e trasformare le mutue in strumenti al servizio della

lotta di classe era irrealizzabile40. I toni esasperati del primo periodo socialista si

smorzarono e lasciarono spazio ad una fase di dialogo, più improntata ad un

riformismo graduale delle società che a delle autentiche rivoluzioni strutturali. Il

cambiamento divenne lampante quando esponenti illustri del socialismo friulano

riuscirono a raggiungere il controllo di talune società, come a Udine nel 1907.

L’avvocato Giovanni Cosattini, esponente di spicco dei socialisti udinesi,

nominato relatore della commissione per le modifiche allo statuto della Società

dichiarò in un’intervista:

Noi intendiamo di dare alla società un nuovo indirizzo in tutta la sua manifestazione; un

indirizzo “commerciale” su tutta la linea. Per spingerla occorrono molte cose e molta buona

volontà. Intanto bisogna fare molta reclame: reclame sui giornali, reclame murale, numeri unici,

conferenze. Insomma, grande propaganda. L’orientamento moderno ha bisogno di essere fatto

conoscere: la cosa bisogna lanciarla nel suo essere fuori della politica. Io credo che in questo modo

la Società riuscirà ad attrarre – coi vantaggi offerti – certo quattro-cinque mila soci. [La Società]

39 Il congresso delle società operaie del Friuli, «L’OPERAIO», 17-18 ottobre 1896.40 TESSITORI, Le società operaie di mutuo soccorso cit., pp. 18-19

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dovrà pensare a costruire un capace locale per fare la casa del popolo, casa nella quale dovranno

trovar sede tutte le associazioni e le istituzioni: operaie, politiche e sociali, dal circolo socialista al

circolo costituzionale41.

In quella circostanza il Cosattini si dimostrò favorevole anche all’adesione

della Società udinese alla Cassa nazionale di previdenza, nonostante la posizione

nazionale della CGL, esposta al VII congresso nazionale delle società di

resistenza42, che ne decretava il fallimento dal punto di vista pratico. Da queste

posizioni emerse il dualismo interno al movimento socialista: da una parte la

corrente più rigida e classica, dall’altra quella più elastica ed attenta ai fermenti

degli ambienti democratico-borghesi di cui il Cosattini si fece portavoce.

Ambedue le componenti erano essenziali sia in termini di elettorato che in termini

di presenza nell’ambito della società friulana. Questo tipo di atteggiamento fu

dunque necessario per non perdere ulteriore terreno nei confronti del movimento

cattolico nei confronti del quale si cominciavano a perdere posizioni43.

41 Nuovi orizzonti alla Soc. Operaia, «IL LAVORATORE FRIULANO», 25 luglio 1908.42 A. CABRINI, P. CHIESA, Proposte di assicurazioni sociali in Italia, a cura della

CONFEDERAZIONE GENERALE DEL LAVORO, Torino 1908, p.10-11.43 G. RENZULLI, Economia e società in Carnia fra 800 e 900. Dibattito politico e origini del

socialismo, Udine 1978, p. 285.

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33

CAPITOLO II

LA CONDIZIONE SOCIO ECONOMICA DEL DISTRETTO DI

CIVIDALESE TRA FINE OTTOCENTO E PRIMO NOVECENTO

1. L’andamento demografico a Cividale tra il 1862 e il 1921

Per meglio cogliere alcuni aspetti del mutamento delle condizioni

socioeconomiche avvenute nella città nel corso di un sessantennio, è necessario

porre attenzione anche all’andamento demografico. Di seguito sono riportati

alcuni dati statistici inerenti all’evoluzione della popolazione nel distretto di

Cividale e in particolare nella città stessa, il cui esame permette di dimensionare il

fenomeno e di compararlo rispetto ad altre realtà della provincia.

Si può partire anzitutto dall’analisi dei dati forniti dal Ciconi44, il quale nel

1862, in epoca antecedente all’annessione, tracciò un profilo della provincia

friulana sotto molteplici angolature. I dati offrono nel complesso un quadro

sufficientemente ricco anche se molto sintetico. Oltre al censimento della

popolazione, sono indicati la superficie dei singoli comuni, il numero di famiglie,

di abitazioni, delle ditte censite, delle frazioni e inoltre la rendita in lire austriache

accertata in ogni comune. In alcuni casi le cifre paiono incomplete o scarsamente

decifrabili, in altri mancano indicazioni che rendano comparabili i dati con quelli

relativi a censimenti successivi. In ogni caso queste rilevazioni sono utili per

offrire una panoramica generale sulla condizione dei comuni del Cividalese.

I dati riportati dal Ciconi, seppure utili a comprendere nelle linee generali le

condizioni della provincia friulana, sarebbero stati di maggiore interesse se più

specifici in alcuni aspetti qualitativi: ad esempio avrebbero potuto permettere di

44 T. CICONI, Udine e la sua provincia, Udine 1862, p. 502.

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capire la composizione di un nucleo familiare oppure la tipologia produttiva o

commerciale delle ditte censite45, o ancora la composizione della rendita.

Tabella 7. Il distretto di Cividale nel 186246

Fonte: CICONI, Udine e la sua provincia cit., p. 502.

Tra i pochi dati non soggetti a eventuali interpretazioni, ci sono quelli

inerenti alla popolazione e alla superficie del comune e del distretto. La densità

45 Nella relazione del comizio agrario di Cividale del 1870 le ditte censite dedite alll’attività

agricola sono ben 16.160, (M. DE PORTIS, Sullo stato dell’agricoltura nel distretto di Cividale

nell’anno 1870. Relazione del Comizio agrario di Cividale, «Bullettino dell’Associazione agraria

friulana», XIV, (1871); con tutta probabilità, data la tendenziale coincidenza, il numero delle ditte

riportato dal Ciconi era riferito a quelle dedite all’attività agricola.46 Il dato della superficie è indicato senza alcuna specifica unità di misura. Sembra in ogni caso

scontato ritenere che il valore espresso sia da considerarsi in chilometri quadrati, riferendosi

all’estensione di ciascun comune.

Comuni

Fra

zion

i

Abitanti

Fam

iglie

Cas

e

Ditte Censite SuperficieRendita in L.

austr.

Cividale 8 7.166 1.970 47,741 122.220 Attimis 8 2.707 1.211 33,347 28.365

Butrio 5 2.944 830 27,250 69.486 Castel del monte 6 795 518 17,375 8.923

Corno di Rosazzo 5 1.331 394 11,766 24.050 Faedis 8 3.530 2.068 43,605 47.217

Iplis 2 910 298 10,820 17.163

Manzano 6 2.624 650 26,905 56.515

Moimacco 2 1.066 464 10,940 28.277

Povoleto 10 2.904 1.728 33,077 61.629 Premariaco 2 1.249 700 14,740 34.721

Prepoto 5 935 340 17,483 11.306 Remanzaco 4 2.526 1.326 27,475 55.006 S. Giovanni di Manzano

5 2.256 714 21,600 54.266

Torreano 7 2.511 2.025 33,481 32.740

Totali 83 35.454 15.236 377,605 651.884

6791

6631

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media di abitanti per chilometro quadrato a Cividale era circa doppia (150

ab./Km2) rispetto a quella di altri comuni fatta eccezione per Buttrio, Corno e San

Giovanni dove la densità superava i 100 abitanti per chilometro quadrato. Il

rapporto tra il numero di abitanti e il numero delle ditte censite si può considerare

come un valido indice del grado di frammentazione della proprietà.

Mediamente nel distretto si contava una ditta ogni 2,5 abitanti, con punte

massime nel Manzanese (4 abitanti per ditta) e minime a Torreano, (1,2 abitanti

per ditta). Considerando inoltre che il numero medio di componenti per famiglia

nel distretto era di 5 persone, appare chiaro come in alcuni casi vi fossero,

statisticamente, fino a 3 ditte per famiglia. Operando un raffronto con le realtà dei

distretti che meno presentavano una vocazione agricola, sia per lo sviluppo

dell’industria sia per la concentrazione di parte delle attività nel commercio,

risulta evidente come l’orientamento produttivo di alcune aree del distretto

cividalese fosse marcatamente agricolo.

L’andamento della popolazione nel periodo successivo all’annessione del

Friuli al Regno si può osservare dall’analisi dei censimenti ministeriali47. In primo

luogo può essere utile effettuare un’analisi comparata delle cifre inerenti alla

popolazione residente e a quella presente, dalla quale emerge, se esiste,

l’eventuale flusso migratorio del mandamento o del comune.

47 ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA, Popolazione residente e presente dei comuni. Censimenti

dal 1861 al 1971, tomo 1, pp. 198-203, Roma 1977.

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Residenti PresentiSaldo (P-R)

Residenti PresentiSaldo (P-R)

Residenti PresentiSaldo (P-R)

Residenti PresentiSaldo (P-R)

Residenti PresentiSaldo (P-R)

Cividale 8.413 8.238 -175 8.118 8.205 87 9.041 9.061 20 10.031 9.886 -145 11.622 11.409 -213Attimis 2.726 2.624 -102 2.793 2.714 -79 3.468 3.439-29 3.993 3.108 -885 4.099 3.851 -248

Buttrio 1.986 1.946 -40 2.008 1.958 -50 2.240 2.219-21 2.445 2.413 -32 2.610 2.583 -27

Corno di Rosazzo 0 0 0 0 0

Faedis 4.056 3.935 -121 4.026 3.874 -152 4.863 4.785-78 5.314 4.569 -745 5.637 5.295 -342

Ipplis 0 0 0 0 0

Manzano 2.870 2.808 -62 2.784 2.784 0 3.399 3.370-29 3.930 3.845 -85 3.983 4.033 50

Moimacco 1.164 1.139 -25 1.131 1.089 -42 1.253 1.239-14 1.333 1.225 -108 1.390 1.345 -45

Povoletto 3.336 3.315 -21 3.505 3.424 -81 4.005 3.950-55 4.498 3.995 -503 4.606 4.314 -292

Premariacco 3.577 3.482 -95 3.443 3.416 -27 3.806 3.8159 3.925 3.669 -256 3.950 3.755 -195

Prepotto 0 0 0 0 0

Remanzacco 2.850 2.796 -54 2.861 2.762 -99 3.218 3.213-5 3.529 3.208 -321 3.840 3.695 -145

San Giovanni 2.290 2.253 -37 2.330 2.298 -32 2.708 2.684-24 3.089 3.049 -40 3.267 3.285 18

Torreano 2.706 2.661 -45 2.775 2.720 -55 3.151 3.096-55 3.505 3.197 -308 3.607 3.470 -137

Totale distretto 35.974 35.197 -777 35.774 35.244 -530 41.152 40.871 -281 45.592 42.164 -3.428 48.611 47.035 -1.576

1911 1921Comune

1871 1881 1901

Tabella 8 Popolazione presente e residente del distretto di Cividale nei censimenti dal 1871 al 1921

Fonte: ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA, Popolazione residente e presente dei comuni. Censimenti dal 1861 al 1971.

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37

L’analisi del flusso della popolazione nel corso del cinquantennio evidenzia

sia a Cividale sia nell’intero distretto una continua crescita. La differenza tra

popolazione residente e popolazione presente a una certa data dovrebbe

corrispondere approssimativamente al numero degli emigranti temporanei48.

E’ bene tuttavia precisare che i dati qui riprodotti, relativi ai censimenti

della popolazione, non riguardano specificamente i fenomeni migratori. A questo

proposito va ricordato che alcuni studi effettuati nel corso dei primissimi anni del

Novecento dimostrarono la reale incidenza del fenomeno migratorio nel Friuli. In

particolare, Giovanni Cosattini, membro del consiglio direttivo del Segretariato

dell’emigrazione di Udine, fornì un quadro presumibilmente attendibile del

fenomeno migratorio temporaneo nella provincia. Alcuni dati sono discordanti

con quelli del censimento ministeriale, ma si deve ritenere il lavoro del Cosattini

maggiormente attendibile, quantomeno per la ricchezza dei dati e della

documentazione49.

Per quanto concerne più specificamente la realtà di Cividale, si osserva

nell’intervallo che intercorre tra il primo censimento e quello del 1921 una

crescita della popolazione di circa il 38 per cento. Il livello di crescita è in linea

con quello dei comuni del distretto, in alcuni casi talora, il tasso di incremento ha

superato persino il 50 per cento: un esempio di questo fenomeno si riscontra nel

comune di Attimis, dove la popolazione nel corso di mezzo secolo crebbe del 50,3

per cento.

48 Nella presentazione del volume riepilogativo dei dati dei censimenti della popolazione si

legge: “La popolazione residente di ciascun comune è costituita dalle persone aventi dimora

abituale nel comune, anche se lontani dal comune alla data del censimento perché

temporaneamente in altro comune o all’estero. La popolazione presente è costituita dalle persone

presenti nel comune alla data del censimento e aventi in esso dimora abituale, nonché dalle

persone presenti nel comune stesso ma aventi dimora abituale in altro comune o all’estero.”.

ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA, Popolazione residente e presente cit.49 G. COSATTINI, L’emigrazione temporanea del Friuli, Udine 1903 (ristampa anastatica a cura

della Direzione regionale del Lavoro Assistenza Sociale ed Emigrazione della Regione Autonoma

Friuli-Venezia Giulia, Udine-Trieste 1983), pp.6-7.

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38

E’ interessante notare come, nello stesso comune, il tasso di scostamento tra

la popolazione presente e quella residente tocchi un saldo negativo nel corso dei

primi anni del ‘900 di circa il 22 per cento. Pur prevalendo la popolazione

residente rispetto a quella presente, è da notare come Cividale, nei censimenti del

1881 e del 1901, presenti dei dati in controtendenza rispetto agli altri comuni del

distretto. Questa situazione è in parte spiegabile con la presenza nel comune di

numerosi abitanti della vicina Slavia, i quali erano impiegati come forza lavoro

per un certo periodo dell’anno nelle campagne del comune. Questi lavoratori

erano particolarmente apprezzati per le loro qualità caratteriali e per la loro

abnegazione. Erano soliti affittare delle abitazioni nelle campagne limitrofe alle

mura della città, dove trascorrevano buona parte dell’anno impiegati nei lavori

agricoli. Nonostante quest’afflusso, nel comune di Cividale vi era una sostanziale

coincidenza tra presenti e residenti: lo scostamento difficilmente superava il 2 per

cento della popolazione residente, dato questo che si colloca ben al disotto della

media dell’intero distretto.

Tabella 9.Differenza percentuale tra popolazione presente e residente

1871 1881 1901 1911 1921

Distretto -2.1 % -1,48% -0,68% -7,5% -3,2%

Cividale - 2% 1% 0,22% -1,4% -1,8%

Fonte: Elaborazione da ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA, Popolazione residente e presente cit.,

p.

La città di Cividale non sembra particolarmente interessata da fenomeni

migratori anche se esprimere un giudizio netto a tal riguardo, basandosi

sull’esclusiva lettura del saldo tra presenti e residenti, potrebbe apparire

un’eccessiva forzatura. Secondo il Cosattini, le differenze tra i dati dei censimenti

e quelli da lui raccolti sono rilevanti. Mentre il dato sull’emigrazione temporanea

nel distretto di Cividale nel 1879 è in linea con quello desumibile dal censimento,

nel dato del 1889 la forbice tra le due rilevazioni si allarga. Dal confronto poi dei

dati del censimento del 1901, riferiti alla differenza tra residenti e presenti,

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emerge una sensibile discrepanza rispetto al quelli forniti dal Cosattini,50 che per

l’intero distretto quantifica il fenomeno dell’emigrazione temporanea in quasi

2300 unità.51

Si può però osservare come altrove, in altri comuni contermini al capoluogo,

la situazione fosse ben diversa, assumendo connotazioni marcatamente rilevanti

anche da un punto di vista sociologico. In questi casi il fenomeno migratorio si

rifletteva anche sulle abitudini e sugli usi tipici della popolazione, facendo

maturare un cambiamento culturale internamente alle famiglie interessate dal

fenomeno.

Alcune valutazioni sono ugualmente possibili, anche tenendo in debita

considerazione i giudizi storici espressi nel corso degli anni sul fenomeno

migratorio e sui suoi vari aspetti.

In primo luogo è necessario evidenziare come nel corso degli anni in Friuli,

vi sia stata una progressiva discesa delle popolazioni che abitavano la montagna in

direzione della pianura. Questo processo è stato in parte indotto dal progressivo

sviluppo industriale delle zone del piano. Nel caso specifico del Cividalese i più

intensi flussi migratori riguardarono la zona della Slavia e non tanto i territori del

distretto stesso. Le Valli del Natisone presentavano una frammentazione della

proprietà terriera talmente elevata da non permettere a tutte le famiglie di coltivare

con profitto i propri campi. In alcuni casi, un campo (3.505 metri quadrati) a San

Pietro al Natisone portava spesso 70 e anche 80 numeri mappali52. Secondo alcuni

studiosi del problema migratorio in Friuli, tra le ragioni dell’emigrazione sono

dovute alle relazioni che intercorrevano tra padrone e colono53. Molto spesso

difatti, dopo la scomparsa del capofamiglia, il padrone affidava la conduzione dei

50 In realtà nello stesso censimento del 1901 compaiono dati inerenti alla popolazione presente sia

abitualmente sia occasionalmente. Tra i presenti occasionali nella sola Cividale figuravano ben

204 persone. Inoltre compare anche il dato degli assenti, che ammontano complessivamente a 184

unità. Il numero di assenti riferito all’intero distretto ammonta a 764 persone, di cui 421 in altro

comune del Regno, 75 presso altre famiglie del comune e 268 all’estero.51 COSATTINI, L’emigrazione temporanea cit., p. 30.52

B.M. PAGANI, L’emigrazione friulana dalla metà del secolo XIX al 1940, Udine 1968, p. 106.53 Ibid., pp. 107-109.

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propri terreni al figlio del colono che riteneva degno di maggior fiducia,

inducendo i restanti componenti del nucleo familiare a cercare un altro tipo di

lavoro o a recarsi all’estero per sfuggire alle condizioni, spesso sfavorevoli, che si

prospettavano rimanendo in patria.

L’andamento dei salari nelle campagne evidenziava una certa stabilità nel

corso degli anni.54 Alcuni miglioramenti si erano verificati, ma servivano a mala

pena a compensare l’aumento del costo della vita. Nel frattempo anche

l’andamento dei prezzi all’ingrosso, tendenzialmente stabile sino al periodo

precedente la prima guerra mondiale, non rendeva molto redditizio il commercio

dei prodotti agricoli, erodendo ulteriormente il reddito delle famiglie coloniche. Il

livello medio dei salari nel comparto agricolo era, in ogni caso, minore rispetto al

livello delle retribuzioni percepite dagli operai impiegati nelle poche industrie. La

sia pure modesta spinta industriale che Cividale seppe creare nel corso degli anni

fu in grado di assorbire, almeno in parte, coloro che abbandonavano il settore

primario. Pertanto i fenomeni migratori verso altri centri maggiormente dinamici

dal punto di vista industriale, furono modesti. Bisogna inoltre aggiungere la forte

tradizione commerciale della città e lo sviluppo del settore dei servizi.55

Come spiegato precedentemente, l’affermare che la popolazione non fosse

sensibile al fenomeno migratorio è da prendere con le dovute cautele. Nella

tabella sotto esposta si può rilevare come a Cividale si riscontri un elevato tasso di

popolazione assente rispetto al totale della popolazione presente. La peculiarità

del capoluogo, rispetto ad altri comuni del distretto, risiede nella capacità di

54 Secondo la relazione del De Portis, il livello medio del salario giornaliero nel 1870 durante il

periodo estivo nelle campagne si aggirava intorno a 1,3 lire. Dall’inchiesta sulle condizioni del

lavoro salariato e dei coloni, emerge che il salario medio nel 1911 era di circa 1,45 lire al giorno. Il

salario era dunque cresciuto mediamente dell’11,5%, a fronte di un aumento del costo della vita

nello stesso periodo di circa 15 punti percentuali.55 Nel 1925 Antonio Rieppi censisce nella sua guida ben 327 attività commerciali e piccolo-

industriali E 43 professionisti tra avvocati, ragionieri, geometri e medici (A. RIEPPI, Forum Julii.

Guida popolare di Cividale e del circondario, Cividale 1925, pp. 147-162).

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41

compensare l’emigrazione verso l’estero e verso altri comuni del Regno con quasi

pari livello d’immigrazione.56

56 Si potrebbe ipotizzare che la popolazione presente occasionalmente corrisponda verosimilmente

alla popolazione proveniente da altri comuni o distretti. Particolarmente interessante è notare come

le assenze di cittadini recatisi all’estero si concentrassero più nel centro cittadino che nelle

periferie. Considerando che la gran parte degli abitanti del centro costituivano la componente non

agricola della forza lavoro, sembrerebbe così avvalorato il dato provinciale che evidenzia una

crescita non solo quantitativa dell’emigrazione, ma anche qualitativa sotto il profilo professionale.

Totale Abituale Occasionale Totale In altri comuni Estero

Attimis 4071 4021 50 306 212 94 7,5

Buttrio 2583 2547 36 63 59 4 2,4

Cividale 11409 10791 618 831 407 424 7,3

Corno di Rosazzo

1949 1928 21 48 45 3 2,5

Faedis 5075 5048 27 361 254 107 7,1

Ipplis 1035 1017 18 90 53 37 8,7

Manzano 4033 3862 171 121 109 12 3,0

Moimacco 1345 1316 29 74 51 23 5,5

Povoletto 4314 4310 4 296 262 34 6,9

Premariacco 2720 2714 6 129 98 31 4,7

Prepotto 2222 2206 16 110 73 37 5,0

Remanzacco 3742 3724 18 110 73 37 2,9

San Giovanni 3285 3226 59 41 28 13 1,2

Torreano 3470 3434 36 173 107 66 5,0

Totale 51253 50144 1109 2753 1831 922 5,4

Popolazione presente Popolazione assenteComune

Assenti/ Presenti

(%)

Tabella 10. Popolazione presente e assente a Cividale nel 1921

Fonte: MAIC, Censimento della popolazione del Regno d’Italia al 1° dicembre 1921, XVIII: Veneto,

Roma 1927, pp. 44-48.

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Il fenomeno migratorio tese a concentrarsi in quelle zone del distretto ove

maggiore era la tradizione agricola e dove le industrie mancavano quasi del tutto.

A questo proposito è interessante notare che due realtà industriali emergenti, come

Manzano e San Giovanni al Natisone, videro invertita la tendenza passando da un

saldo presenti/residenti negativo a uno positivo, segno di un processo di

industrializzazione avviatosi con decisione nel dopoguerra.

Secondo alcuni, l’emigrazione era invece da considerarsi come un fattore

prioritario al successivo sviluppo industriale, grazie all’apporto di risorse che gli

stessi emigranti riversavano sulle famiglie rimaste in patria. L’emigrazione

temporanea, in effetti, spesso dava luogo al trasferimento nelle zone di residenza

di capitali destinati al miglioramento della piccola proprietà agricola. Il processo

d’accorpamento della proprietà agricola, sino a quel momento molto frammentata,

avrebbe costituito uno dei fattori prioritari per la crescita dei capitali necessari

all’industria. Accanto a questo aspetto bisogna però osservare come la rimanente

parte dei risparmi in possesso degli emigranti non sempre fosse diretta a

finanziare le poche industrie nate nelle zone di residenza. Spesso infatti gli stessi

risparmi non investiti in acquisti di terreni nel paese di provenienza prendevano la

strada dell’estero, andando a finanziare gli stessi imprenditori che offrivano

lavoro, agevolati così a promuovere ulteriore l’immigrazione. Il lavoratore dunque

sosteneva con il proprio risparmio l’emigrazione, facendo così un servizio a di

coloro che cercavano miglior sorte all’estero57.

57 PAGANI, L’emigrazione friulana cit., p. 115

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2. La popolazione del distretto di Cividale nel 1871

La fotografia della popolazione nella sua distribuzione per professioni così

come emerge dal del censimento del 1871, costituisce un elemento significativo

del quadro sociale di Cividale nel periodo successivo all’annessione.

A differenza di quanto si potrà leggere nel censimento del 1911, i dati

raccolti in quello del 1871 si riferiscono esclusivamente alla popolazione. Quello

di seguito riportato è il quadro complessivo degli abitanti del distretto suddivisi

per tipo di attività lavorativa.

In primo luogo emerge la chiara prevalenza dell’attività agricola rispetto

alle altre attività produttive. L’agricoltura, la pastorizia, l’allevamento del

bestiame e la silvicoltura erano le principali attività produttive del distretto, con

circa il 40% di occupati sul totale. Come in quasi in tutte le attività lavorative, il

lavoro era svolto prevalentemente dagli uomini, che su un totale di 14.494 addetti

erano ben 10.720.

La categoria dei lavoratori impiegati nelle produzioni industriali, forse la più

eterogenea, è scarsamente comparabile tra tutte quelle elencate: vi si affollano

categorie tra loro molto differenti, che difficilmente possono essere considerate

industriali in senso proprio. Riepilogando il dato relativo alla popolazione, con

molta probabilità all’interno di ogni comparto produttivo sono state inserite tutte

quelle attività di natura e dimensione artigiana, che in altre successive rilevazioni

saranno escluse dal novero delle officine industriali vere e proprie. E’ tuttavia

possibile osservare come le produzioni più sviluppate fossero, nell’ordine, la

produzione di tessuti, le attività nel campo dell’alimentazione, del vestiario, e

infine le attività edili e di manutenzione delle strade. Una certa rilevanza denotano

infine le industri metalliche, anche se con tutta probabilità si trattava di semplici

laboratori fabbrili artigianali. Solo nell’industria alimentare, che peraltro non è

facile capire a che cosa si riferisca, l’attività lavorativa era svolta quasi per il 50

per cento da donne. Emerge chiaramente la limitata eloquenza di questi dati da un

punto di vista qualitativo, non essendo possibile risalire alle singole manifatture

all’interno di ciascuna categoria produttiva.

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Questo limite risulta ancor più evidente nell’analisi del dato relativo al

commercio. In questo caso il dato non e disgregato in ulteriori sottocategorie,

limitandosi alla sola risultanza complessiva dell’indagine. Bisogna notare che la

distinzione tra fabbricanti e negozianti, prevalentemente di tessuti e manifatture,

non sempre fu fatta, in quanto molti uffici comunali riunirono fabbricanti e

negozianti nella medesima categoria58. La categoria dei commercianti ne risultava

così danneggiata, mentre la manifattura industriale risultava eccessivamente

gonfiata. Analogo discorso vale per le produzioni industriali dell’industria

alimentare, che comprendeva i commercianti di prodotti alimentari.

Nella categoria dei trasporti figuravano anche i conduttori di alberghi e

coloro che affittavano camere o immobili ammobiliati; erano esclusi dal novero di

queste attività coloro che svolgevano semplice attività di ristorazione o mescita di

bevande, salvo offrissero ospitalità al forestiero. In ordine alla proprietà occorre

precisare che non tutti i proprietari censiti erano proprietari di beni immobili: della

categoria facevano parte anche i capitalisti, i percettori di vitalizi, i pensionati e

altre figure, senza che fosse possibile distinguere tra coloro che possedevano terre,

immobili o altri beni. Nel censimento si tentò di attuare una distinzione tra

proprietari ed esercenti, senza però riuscirvi. Non era certo il censimento lo

strumento più utile per tale scopo.

E’ poco probabile che coloro che svolgevano più di un’occupazione

indicassero la loro particolare posizione, sebbene nelle istruzioni stampate a tergo

della scheda del censimento si raccomandasse di indicare, con riferimento alla

professione o condizione, quella che ciascuno reputava essere la principale: in

altre parole, quella che forniva la maggior parte dei mezzi di sussistenza, senza

tralasciare di indicare le occupazioni secondarie.

58 STATISTICA DEL REGNO D’I TALIA , Popolazione classificata per professioni. Culti e infermità

principali. Censimento 31 dicembre 1871, III, Roma 1876, pp. VII – XI.

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Categorie 1871 1911 Differenza

Produzione delle materie prime

14494 25038 10544

Produzioni industriali 3070 4798 1728

Commercio 99 1127 1028

Trasporti 65 188 123

Proprietà mobiliare ed immobiliare

453 -453

Personale di servizio 611 693 82

Difesa del Paese 18 468 450

Amministrazione pubblica e privata

251 106 -145

Culto 186 182 -4

Giurisprudenza 18 19 1

Professioni sanitarie 35 58 23

Istruzione ed educazione 50 156 106

Belle Arti 4 8 4

Lettere e scienze 14 27 13

Professioni girovaghe 8 -8

Personale di fatica non fisso 59 -59

Senza professione e a carico 19156 11888 -7268

Totale 38591 44756 6165

Fonte: M.A.I.C., Censimento della popolazione al 31 dicembre 1871, vol. III,

Roma, pp. 152-153.

Tabella 11. Popolazione al 31 dicembre 1871 divisa per gruppi e

categorie di professioni. Distretto di Cividale del Friuli

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3. Agricoltura e commercio

Un quadro indicativo delle condizioni dell'agricoltura e dell'allevamento nel

distretto di Cividale intorno al 1870 si trova nella relazione del Comizio agrario di

Cividale59, redatta dal suo segretario, il dott. Marzio De Portis60.

La relazione, particolarmente dettagliata e articolata, consente di analizzare

il livello di sviluppo dell'attività agricola nel distretto di Cividale61, con particolare

attenzione al capoluogo. Essa, svolgendosi per punti, tocca tutti gli aspetti critici e

di maggiore importanza della condizione agraria, nonché vari aspetti sociali,

tecnici ed economici, offrendo un quadro sufficientemente esaustivo.

Il lavoro descrive anzitutto le caratteristiche podologiche del distretto le

principali colture, rappresentate da frumento, sorgoturco, orzo, segala,

cinquantino, fagioli, erba medica, trifoglio, ravizzone, rape, viti, gelsi, frutta (Va

rilevata la scarsa formazione dei contadini, escluse rare eccezioni; ciò comportava

una coltivazione basata ancora su tecniche tramandate oralmente di padre in

figlio. Inoltre la scarsa presenza di bestiame rapportato all’estensione di superficie

coltivata determinava un’insufficienza di concime, che tra l'altro era prodotto con

poca cura e scarso vantaggio. Questo insieme di fattori, a cui si dovevano unire la

elevata frammentazione della proprietà agricola, l'incidenza delle imposte e la

59 M. DE PORTIS, Sullo stato dell’agricoltura nel distretto di Cividale nell’anno 1870. Relazione

del Comizio agrario di Cividale, «Bullettino dell’Associazione agraria friulana», XIV, (1871) pp.

531–553.60 Il conte Marzio De Portis, ingegnere, fu relatore del Comizio agrario di Cividale e contribuì alla

raccolta di dati e informazioni per la stesura dell’inchiesta agraria Jacini, per la quale fece da

corrispondente per il distretto di Cividale. Fece inoltre parte della Società nazionale, comitato

segreto che operò nella fase precedente alla seconda guerra di indipendenza, strumento della

politica del Cavour, il cui scopo era quello di perseguire un modello di Stato unitario e

indipendente sulla base di quello piemontese, fortemente ispirato a principi liberali e di buon

governo.61 Del distretto di Cividale facevano parte 14 comuni oltre il capoluogo: Attimis, Buttrio, Castello

del Monte, Corno di Rosazzo, Faedis, Ipplis, Manzano, Moimacco, Povoletto, Prepotto,

Premariacco, Remanzacco, S. Giovanni e Torreano.

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carenza di capitali, rendeva le coltivazioni dei grani addirittura sotto il profilo

economico. Le malattie dei gelsi e delle viti, che, particolarmente negli anni

precedenti avevano colpito la zona non concorsero certo allo sviluppo del settore

agricolo Cividalese.

Un ulteriore elemento d’analisi riguarda l'organizzazione dell'attività

all'interno dei fondi. Molto spesso sullo stesso terreno si effettuavano

contemporaneamente differenti colture; difficilmente nell'agricoltore si

riscontrava l'interesse ad adeguare la qualità delle coltivazioni alle caratteristiche

dei terreni. Occorre ricordare come nel distretto di Cividale i terreni presentassero

conformazioni e qualità differenti, che si adattavano a determinati tipi di colture, e

che, se coltivati in modo adeguato, avrebbero offerto buoni risultati.

La condizione sinora descritta non era la stessa per tutto il distretto. In

alcune zone, tra cui Cividale, Moimacco, Premariacco, Buttrio, Manzano e S.

Giovanni, il livello di sviluppo dell'attività agricola non era da considerarsi basso.

Anzi, in specie per alcuni tipi di colture, si ottenevano ottimi risultati. Differente

la situazione di Remanzacco, ove la gran parte della popolazione contadina

riteneva maggiormente remunerativo commerciare il fieno, utilizzando i bovini a

propria disposizione per il trasporto di questo o di altri prodotti da vendere su

mercati lontani, privando i campi coltivabili di concimazione e di manodopera e

impoverendoli ulteriormente. La produzione agricola subì un vistoso calo tra il

1869 e il 1870.

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Tabella 12. Produzione cerealicola e superficie coltivata tra 1869 e il 1870

Fonte: Elaborazione da DE PORTIS, Sullo stato dell’agricoltura cit., p. 533.

In realtà nella stesura della relazione il Comizio agrario dovette fare i conti

con la reticenza e la diffidenza dei contadini nei confronti di coloro che

raccoglievano dati e statistici: il dato raccolto, quindi, molto spesso era di

carattere approssimativo e stimato nel suo ammontare complessivo.

La coltivazione di piante da frutto era in fase di espansione. Di particolare

interesse era la coltivazione di susine, ciliegie e pesche. Anche la qualità dei

prodotti era eccellente e tutto ciò favoriva una produzione superiore alle necessità

del consumo, che trovava molto spesso la via dei mercati esteri.

Interessante è la descrizione della viti-vinicoltura. Da quanto riportato nella

relazione del De Portis, la viticoltura fu l'attività in cui si manifestò un primo

grande cambiamento nelle tecniche sia di coltura che di trasformazione del

prodotto. In precedenza la coltivazione della vite aveva subito dei duri colpi,

anzitutto per il diffondersi di malattie e, in seconda battuta, per la scarsa

applicazione di tecniche più razionali di coltivazione. I filari erano distanti tra loro

da 3 a 10 metri e ciascun filare si presentava costituito da alberi distanti tra loro

circa 2,5 metri tra i quali si innestavano le viti. Questo sistema di coltura, specie

Prodotti

Superficie

coltivata

(in ettari)

Raccolto

1869

(in quintali)

Raccolto

1870

(in quintali)

Differenza

Frumento 6.600 60.000 48.000 -12.000

Sorgo 4.400 52.000 40.000 -12.000

Fagioli 1.200 1.000 -200

Segale 1.800 1.500 -300

Foraggi di prati

artificiali4.700 164.500 61.100 -103.400

Foraggi di prati

naturali6.600 92.400 56.100 -36.300

Totali 22.300 371.900 207.700 -164.200

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nelle zone pianeggianti del distretto, poco si prestava a conseguire una buona resa,

poiché non favoriva l'esposizione delle viti al sole né la loro aerazione. Ne

derivava una produzione di uva non perfettamente matura e quindi di vini acerbi e

non conservabili. Dopo una fase di stasi, a seguito dell'introduzione del solfato, la

coltivazione riprese vigore. Furono innestati nuovi vitigni di uve scelte, passando

dalle viti straniere, per la maggior parte ungheresi, a quelle nostrane; si introdusse

la coltivazione della vite non più maritandola con alberi, bensì con pali, tecnica

ritenuta più redditizia. Queste trasformazioni dunque rilanciarono la produzione

vitivinicola, che nelle zone collinari, e del Collio in particolare, raggiunse il suo

massimo risultato. In queste plaghe si producevano vini tipici, quali la ribolla, il

piccolit, il refosco e il marzamino; sopra tutti primeggiava però il cividino, vino

bianco da imbottigliamento, tipico del Cividalese.62

In generale però la produzione di vino non si poteva dire di qualità: i vini

spesso erano "fiacchi", poco coloriti, scarsamente conservabili e spesso soggetti

ad acidificazione. Queste deficienze non favorirono la commercializzazione del

prodotto che, per essere appetibile, avrebbe dovuto godere di una buona durata nel

tempo e di uno standard di qualità costante.

Il commercio dei prodotti agrari rappresentò per Cividale un fattore di

sviluppo e di crescita economica: la città costituì un importante riferimento

commerciale sia per il distretto sia per la parte della Slavia italiana.

La produzione di cereali calcolata in un arco decennale era in media

superiore al consumo. Parte della produzione del distretto veniva venduta nei

mercati che si tenevano a Cividale durante l'anno.

Prima del 1867 i dati relativi al commercio settimanale di alcuni prodotti

agricoli erano i seguenti:

62 Le zone collinari coltivate a viti erano stimate in circa 2000 ettari, con terreni argillo-calcare-

marnosi che molto bene si prestavano alla produzione di uve di qualità (M. DE PORTIS, Sullo stato

dell’agricoltura, cit., pp.534-535).

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Il commercio dei prodotti agrari, a partire dal 1867, subì un crollo dovuto

in grande misura al venir meno del commercio con la Carinzia e con le zone

confinanti rimaste all'Austria. Le quantità di cereali commerciati quasi di

dimezzarono. La causa del mancato commercio dei prodotti agricoli era

imputabile all'introduzione, da parte dell'Austria, dei dazi doganali sui prodotti

provenienti dai territori italiani. In realtà il commercio con la vicina Austria era

una forma di scambio di prodotti tipici, sia agricoli che animali, di cui i due paesi

abbondavano. L'acquisto di prodotti cerealicoli da parte dei carinziani e delle

popolazioni del Collio a sud-est di Cividale si bilanciava con la vendita di prodotti

quali burro, frutta, legna, capretti e altro sul mercato locale.

I difficili rapporti commerciali tra questi territori danneggiavano le

economie di entrambi i Paesi, anche se la situazione più svantaggiosa si

riverberava sull'economia dei produttori di vino del distretto di Cividale. Il vino

acquistato sino a quel momento sui mercati locali e quindi trasportato in Austria

venne sostituito con quello prodotto nelle zone del Collio rimaste sotto la

dominazione austriaca. Ciò era reso particolarmente conveniente dalla possibilità

di usufruire di apposite bollette di transito, che accompagnavano le merci

acquistate nel loro trasporto attraverso il distretto. Questa attività era spesso

Quantità

EttolitriGranoturco 250Frumento 30Segala 8Avena 8Fagioli 10Farro 4

Quintali l'annoCastagne, marroni 5.000Pomi di terra 1.000Fieno 8.000

Prodotto

Tabella 13. Prodotti agricoli commercializzati a

Cividale nel 1867

Fonte: DE PORTIS, Sullo stato dell’agricoltura cit., p.

535-536

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interpretata come una beffa verso i contadini costretti a subire le conseguenze

della drastica riduzione del commercio del vino.

Da questa denuncia venne l’invito rivolto alle autorità di abolire la bolletta

di transito sulle merci acquistate nelle zone del Collio, favorendo in tal modo una

rinascita del commercio del vino e di altri prodotti con la Carinzia. Per supplire ai

mancati introiti del commercio con l'estero dei vini, il mercato cividalese di

questo prodotto tenderà a spostarsi verso il circondario udinese.

Tra le altre attività di scambio di prodotti agricoli bisogna ricordare l'attivo e

lucroso commercio della frutta: in particolare le prugne e il relativo distillato, le

castagne e i marroni, commercializzate principalmente con l'Ungheria e la

Germania.

Per quanto riguarda il progresso tecnico e le macchine impiegate nello

svolgimento dell'attività agricola, ben poco si può dire. L'attività era svolta ancora

per la maggior parte con strumenti arcaici. Alcuni miglioramenti furono possibili

grazie all'introduzione di aratri di nuova concezione che però erano privilegio di

pochi, dato il loro elevato costo. A San Giovanni di Manzano un fabbro

produceva strumenti a costo più basso rispetto alla media, assai diffusi in quella

zona. A Cividale erano operanti un trebbiatoio ad acqua e due trebbiatoi a vapore,

locomobili di proprietà di Edoardo Foramiti. Questi due ultimi strumenti erano

fatti circolare sul territorio del distretto nel periodo della trebbiatura con buoni

risultati. In cambio del servizio reso i contadini corrispondevano una tassa di

trebbiatura, variabile tra il 5 e il 6 per cento.63

La situazione del bestiame nel distretto si presentava non particolarmente

rosea: in particolare, la situazione dei bovini non era delle migliori, a causa di una

generale scarsità di animali da lavoro rispetto all’estensione totale delle superfici

arabili64. Le superfici coltivate a grano erano nell'insieme pari a 18.736 ettari e

quelle lasciate a prato a 7.195 ettari, a fronte di un numero di capi bovini,

63 DE PORTIS, Sullo stato dell’agricoltura cit., p. 537.64 Nel distretto si lamentava soprattutto la quasi assenza di tori, che potevano garantire un

incremento del numero di capi. La proporzione tra tori e mucche risulta di 1 a 453. Spesso quindi

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compresi i vitelli, di circa 12.300 unità, con la media di un capo ogni 1,5 ettari di

terreno coltivato a grano e di 2,1 ettari compresi anche i prati. Una situazione di

deficienza dunque, anche se in fase di miglioramento rispetto a decenni

precedenti.

I cavalli nell'intero comprensorio erano 848, dei quali la maggioranza era

importata. Per la gran parte venivano dalla Carinzia, dalla Croazia, dalla bassa

Friulana e dalle zone di confine austriache.

Gli ovini erano nel loro complesso circa 4.000, per lo più montoni e pecore;

i prodotti della pastorizia erano pochi: prevalentemente burro, di scarsa qualità, e

formaggio in limitate quantità per il consumo delle famiglie più povere.

I suini, presenti quasi nelle stesse proporzioni, 4.500 circa, erano bestie di

buona qualità diffuse presso quasi tutte le famiglie contadine.

Cividale risultava il centro di più importante del distretto per la

macellazione e il relativo smercio delle carni65. Il commercio del bestiame

avveniva in soli tre comuni del distretto: Cividale, dove aveva sede un mercato

mensile e tre fiere annuali, Attimis e Faedis. Interessante è il dato relativo al

numero di macellazioni di suini e bovini nel 1870:

si doveva ricorrere all'utilizzo di tori di fuori distretto, il che comportava notevoli difficoltà date

dalla scarsità di questi animali in provincia.65 A testimonianza di ciò è da rilevare l'aumento del numero di macellai presenti a Cividale, che da

tre passò a quattro, più uno nelle frazioni. Inoltre, al contrario di quanto accadeva prima, non

avvenivano più gli acquisti di bovini da ingrasso su altre piazze, ma anzi se ne esportavano sia

verso Gorizia che verso Trieste

Cividale Intero distretto %

buoi 196 198 99,0%

vacche 30 43 69,8%

vitelli sotto 6 mesi 894 894 100,0%

vitelli sotto l'anno 42 532 7,9%

vitelli sopra l'anno 26 0,0%

800 3264 24,5%Suini

Bovini

Fonte: DE PORTIS, Sullo stato dell’agricoltura cit., p. 535-536

Tabella 14. Numero di capi bovini e suini macellati a Cividale e nel distretto

durante l’anno 1870 (tra parentesi la percentuale rispetto all’intero distretto)

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Nel corso del 1870 negli undici mercati svoltisi a Cividale si posero in

vendita ben 7.322 capi bovini di oltre un anno. Fu impossibile raccogliere i dati

sia per le quantità di vitelli che per il numero di suini e ovini commerciati; da

notare cheper queste ultime due specie si svolgevano mercati con frequenza

settimanale.

Il mercato dei bovini rappresentava il fiore all'occhiello degli scambi con

altri distretti e regioni. I bovini da ingrasso e i vitelli sotto i 6 mesi venivano

venduti anche sulle piazze di Udine, Gorizia e Trieste e in alcune località oltre il

Tagliamento. Molti animali giovani erano smerciati con la Toscana, dove la razza

nostrana dava buoni risultati. Gli allevatori del distretto partecipavano, oltre che ai

mercati locali, anche a quelli di Udine, Palmanova, Tricesimo e Tarcento.

Il commercio degli ovini era invece piuttosto fiacco: le poche esportazioni

di questi capi erano dirette in prevalenza verso Venezia e il Trevigiano.

Un commercio piuttosto fiorente era quello dei polli, rivolto soprattutto al

mercato di Trieste: il mercato settimanale del bestiame minuto era affollato di

commercianti triestini che spesso acquistavano quantitativi elevati di capi. Si

stimava l'ammontare annuo del commercio di tali prodotti in complessive 100-

120.000 lire.66

4. Proprietà, struttura sociale e vita rurale.

Un primo dato di assoluta rilevanza è quello concernente la divisione della

proprietà e il valore della stessa.

Il valore dei terreni attorno al 1870 si collocava tra un minimo di 420 e un

massimo di 2.000 lire l’ettaro. Nell’intero distretto risultavano esservi ben 81.259

appezzamenti in proprietà di 16.160 ditte censuarie67. La frammentazione della

proprietà era dunque elevatissima, in particolar modo nelle zone montane del

distretto, ma, sia pure in misura minore, nelle aree del piano. Nel comune di

66 M. DE PORTIS, Sullo stato dell’agricoltura nel distretto di Cividale cit., pp. 538-542.67 Ibid., pp. 16-17.

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Torreano, ad esempio, la misura media di ogni appezzamento era pari a 1,89 ettari

e il rapporto tra popolazione e ditte era pari a 1,2. La situazione muta nel

Manzanese, dove la misura media di ogni appezzamento raggiungeva i 4,64 ettari

e il rapporto tra popolazione e numero delle ditte era di 4,42. Il valore medio

riferito al complesso di tutti i comuni del distretto era di 2,33 ettari per

appezzamento, con un rapporto ditte/popolazione di 2,3. La rendita media minima

di ogni ditta era di 31,81 lire, con punte minime e massime rispettivamente di

13,29 lire nel comune di Castello del Monte e di 72,98 lire nel comune di

Manzano. Tuttavia nel 1882 i dati relativi al valore, alla rendita lorda e a quella

netta dei terreni risultavano mutati. Nell’inchiesta agraria Jacini sono contenute

delle informazioni più chiare e dettagliate circa il rendimento dei terreni. Per ciò

che concerne il valore di un ettaro di terra, nel distretto di Cividale nell’anno 1880

esso si aggirava sulle 1.845 lire per un terreno di ottima qualità, sulle 1.174 lire

per uno mediocre e sulle 637 lire l’ettaro per quello più scadente68. La rendita

lorda di un’annata di media produzione era, per un ettaro di ottima qualità, di 320

lire, per uno di media qualità di 242 lire, e infine per quelli più scadenti di 138

lire. Ma intercorrevano differenze notevolissime perché, ad esempio, mentre per

un ettaro di ottima qualità a Buttrio la rendita arriva a sorpassare le 500 lire, a

Torreano si raggiungevano appena le 220 lire; così pure avveniva per i terreni di

bassa qualità: nel comune di Faedis, ad esempio, raggiungevano una rendita di

170 lire, mentre in comune di Corno arrivavano appena a 42 lire. Nel distretto non

vi erano poderi di qualche ampiezza coltivati direttamente dai proprietari, né da

grossi fittaioli.

La rendita media netta del proprietario, per ettaro, si può ritenere fosse di 60

lire e quella del colono di 184 lire. Vi erano però ampi divari: Povoletto con 26

lire rappresentava la minima rendita del proprietario, e Torreano con 92 lire la

68 E. MORPURGO, Le condizioni della proprietà rurale e della economia agraria ne Veneto, in Atti

della giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, IV, Roma 1882, p.

346.

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minima del colono, mentre Premariacco la massima del proprietario con 91,42 lire

e del colono con 251,18 lire.69

Il patto colonico si modificava secondo le diverse zone e la qualità dei

terreni. L’uso era di affittare i fondi per una data quantità di frumento, in ragione

della superficie e della qualità del terreno coltivato. A Cividale si commisurava il

canone d’affittanza in modo da lasciare al contadino una discreta remunerazione

delle sue fatiche; gli aumenti avevano luogo solo per l’accresciuta fertilità del

suolo o per sopperire all’incremento delle pubbliche imposte70. Nella zona dei

colli, il pagamento dell’affitto consisteva in una modesta quota di frumento o

granturco e nella cessione di una certa quantità d’uva e di due terzi del vino

ottenuto con il rimanente prodotto. A questo si aggiungeva spesso anche la

cessione di metà della frutta coltivata e raccolta sui fondi. A pagare l’affitto delle

case coloniche si provvedeva con il versamento di una determinata somma di

denaro, cui spesso si aggiungevano diverse regalie, quali pollame, uova, o

particolari prestazioni bracciantili. La durata delle affittanze era solitamente di un

anno, anche se alle volte venivano stipulati contratti con durata pluriennale.

L’inizio dell’anno agrario si calcolava dall’11 novembre.

La condizione dei coloni era di sufficiente agiatezza: quasi tutti

possedevano una propria attrezzatura rurale e le stalle garantivano un’ulteriore

risorsa in termini di prodotti sia da consumare sia da vendere. Anche

l’alimentazione si realizzava con il consumo di tre pasti giornalieri,

sufficientemente abbondanti e regolari71.

69 M.A.I.C., Atti della giunta per l’inchiesta agraria cit., pp. 378-379.70 Si legge nella relazione del corrispondente cividalese dell’inchiesta agraria: “Quei pochi

proprietari che nel determinare l’affitto vogliono avere almeno un reddito del 5% del capitale

investito, trovano qualche volta coloni, ma quasi sempre gente disperata o viziosa, che è larga di

promesse e alla quale, in fin dei conti, il padrone è costretto a condonare il debito perché se ne

vada. Negli anni dell’emigrazione duravasi fatica a trovare coloni. Molti fittaioli sono indebitati

per le cattive annate, il vino e i bozzoli essendo andati perduti e perfino la rendita della stalla

essendo compromessa” (Ibid, pp. 465-466).71 L’ordinaria alimentazione dei coloni si basava sul consumo di tre pasti: “La mattina, il più

spesso, polenta sola, al mezzodì polenta e una minestra, generalmente di leguminose, e talvolta

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Negli atti dell’inchiesta agraria Jacini si trovano alcune informazioni circa il

consumo medio di alcune dettate alimentari nelle famiglie contadine:

per famiglia composta di sei persone tra uomini e donne grandi e piccoli, si

può calcolare pel mantenimento occorrere annualmente: granturco ettolitri 31,89,

minestre leguminose ettolitri 2,30, un suino del medio peso di 120 kg, olio kg.

12,50, sale kg. 70. Per vestirsi si può calcolare una spesa media per anno di lire

400.

Tra le varie figure che popolavano le campagne cividalese in quel periodo si

trovava anche una particolare classe di villici, i sottani, lavoratori giornalieri che

prendevano in affitto una casa con piccoli terreni aratori circostanti e lavoravano

alle dipendenze del padrone di casa, di alcuni coloni o della municipalità per

svolgere i lavori pubblici disposti. La retribuzione giornaliera di questi lavoratori

si aggirava mediamente tra le 1,3 lire del periodo estivo, dove maggiore era la

richiesta di manodopera nei campi, e le 0,86 di quello invernale.

Interessante è osservare come gli eventuali danni derivanti dalle grandini

fossero ripartiti tra proprietari dei terreni e coloni. Il colono corrispondeva al

proprietario l’equivalente in denaro del grano stabilito per canone, mentre il

proprietario concedeva una riduzione della metà della quantità pattuita in vino,

frutta e bozzoli.

Molti dei fondi erano gravati da censi e decime in favore di chiese o di

privati e quasi tutto il territorio era gravato dal quartese, a favore dell’ex Capitolo

dei canonici di Cividale, della mensa arcivescovile di Udine o dei singoli parroci.

una piccola porzione di carne di suino, la sera polenta con verdura cotta o cruda, discretamente

condita.” La dieta dei sottani era sempre a base di polenta, più povera e peggio condita rispetto

quella dei coloni, ma in ogni caso la quotidiana alimentazione si componeva sempre di tre pasti.

“Prima d’ora nei paesi vinicoli i coloni avevano la loro piccola scorta di vino per le feste e per

l’epoca dei maggiori lavori; ora pochi ne hanno; in generale però anche in giornata si fanno una

bibita di acqua, fatta fermentare con le vinacce riscaldate con la fermentazione, di cui usano

specialmente nei lavori d’estate. Nel rimanente dell’anno la loro bibita è l’acqua. Il contadino che

può spesso ricorre all’osteria per bere un po’ di vino.” (MORPURGO, Patologia del contadino

veneto, in Atti della giunta per l’inchiesta agraria cit., p.150).

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Un approfondimento merita il tema del frazionamento della proprietà rurale,

fenomeno assai diffuso in Veneto, debitamente analizzato nell’inchiesta agraria,

che fornisce cifre e dati illuminanti.

Il frazionamento della proprietà si può analizzare sotto una duplice

angolatura: dal punto di vista del valore morale, si deve ritenere che la piccola

proprietà svolgesse una funzione conservatrice dei vincoli sociali e domestici,

stimolando le capacità lavorative e favorendo l’attaccamento alla terra da parte dei

contadini; per quanto riguarda il valore economico, la piccola proprietà presenta

invece un risvolto negativo, poiché essa non era in grado di promuovere lo

sviluppo dell’economia per l’impossibilità da parte dei piccoli proprietari terrieri

di disporre dei capitali necessari.

La speranza di ottenere condizioni migliori di vita e il tentativo di emulare

le classi più abbienti portava molto spesso i contadini a un ulteriore frazionamento

della proprietà a seguito degli acquisti di piccoli lotti di terreno. Tutto ciò

comportava una minore capacità di raccogliere capitali e di coltivare i terreni con

profitto e con economie di scala. Dall’inchiesta agraria emerge che anche a

Cividale la proprietà era suddivisa in tante diverse mani, che certo non

costituivano un unico stato sociale differentemente a quanto avveniva in passato72.

In assoluto il distretto di Cividale contava, tra i distretti friulani, il numero

maggiore di proprietari con rendita fondiaria, complessivamente 23.224. Di questi

possedeva una rendita fondiaria inferiore alle 100 lire il 96 per cento del totale,

pari esattamente alla media provinciale. La punta massima si raggiungeva a

Moggio con il 100 per cento dei proprietari con rendita fondiaria inferiore alle 100

lire e quella minima a Codroipo con il 92 per cento, segno evidente che

nell’insieme la piccola proprietà con rendita bassa era assai diffusa. Il dato

complessivo della provincia di Udine era il più alto subito dopo Belluno, mentre

per le altre province venete la percentuale oscillava tra il 90 e il 79 per cento.

72 “A Cividale vi sono proprietari dissestati che debbono cedere la terra posseduta, contadini che

raggruzzolano laboriosamente qualche capitaluccio, mediocri negozianti che desiderano di avere

una piccola proprietà, non per guadagno ma a conforto della vita.”, MORPURGO, Altre notizie sul

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Sebbene il problema dell’elevato frazionamento della proprietà fosse presente in

tutto il Veneto, in Friuli il fenomeno assumeva una valenza maggiore. Da molti

considerata un limite allo sviluppo agrario, l’atomizzazione della proprietà era

fortemente diffusa nel distretto di Cividale. Benché il territorio contasse

un’estensione di superficie coltivabile tra le più elevate nella provincia di Udine,

nei comuni del Cividalese si contavano 2,3 ettari di terreno per ogni proprietario,

circa mezzo ettaro in meno rispetto alla media provinciale. Moltiplicando la

rendita media per ettaro con il numero medio di ettari di terreno per proprietario,

si ottiene la rendita media per proprietario, che risultava essere di circa 30 lire

contro le 25,6 della media provinciale.

La rendita censuaria media per proprietario in provincia, se raffrontata con

quelle delle altre province venete, era inferiore, a eccezione della provincia di

Belluno Infatti la rendita censuaria media per proprietario calcolata nelle

rimanenti province del veneto era di 122 lire, con punte massime di 198 a Venezia

e minime a Vicenza con 58 lire.

Ulteriore elemento d’interesse nell’analisi della proprietà e della sua

frammentazione è quello legato al numero e al valore dei trasferimenti di proprietà

effettuati nel distretto tra il 1871 e il 1879. In questi nove anni nel distretto si

conclusero ben 8.366 vendite volontarie di terreno, per un ammontare

complessivo di 10.665 ettari di superficie coltivabile. Tali trasferimenti di

proprietà riguardavano generalmente appezzamenti di terreno di modeste

dimensioni, mediamente poco meno di 1,3 ettari ciascuno. La superficie

produttiva trasferita di proprietà fu pari al 20 per cento del totale, e interessò circa

il 36 per cento dei proprietari. Il valore medio di un ettaro di terreno trasferito era

pari a 1032 lire. Le vendite con importi al di sotto delle 3.000 lire, inferiori

pertanto a circa tre ettari di terreno, furono il 64 per cento del totale (circa 5.400) e

riguardarono complessivamente 7.094 ettari73.

valore commerciale della terra e sul suo credito, in Atti della giunta per l’inchiesta agraria cit., p.

351.73 MORPURGO, Le condizioni della proprietà cit., p. 326

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L’analisi dei dati evidenzia come intorno alla piccola e media proprietà il

movimento fu particolarmente vivace. Queste osservazioni offrono una duplice

chiave di lettura della dinamica: se le vendite di terreni di piccole e medie

dimensioni avessero portato a una diminuzione dei proprietari, e quindi a un

aumento della superficie coltivabile per agricoltore, si potrebbe considerare il

fenomeno positivamente, in quanto diretto a compattare la proprietà

eccessivamente frammentata. Se invece i terreni avessero esclusivamente avessero

cambiato titolarità, nessun beneficio legato alla crescita delle singole ditte si

sarebbe manifestato. Non è possibile giungere a una conclusione univoca su

questa complessa realtà. Una delle poche considerazioni che si possono fare

riguarda il trend delle cessioni: mentre in Friuli il movimento della proprietà

atteneva quasi esclusivamente ai piccoli poderi, nel Veneto la compravendita dei

terreni riguardava in modo più vario sia i piccoli appezzamenti che i medi e i

grandi.

Interesse maggiore costituisce l’analisi del valore complessivo della

proprietà trasferita a Cividale: un ammontare di poco superiore agli 11 milioni di

lire, pari a circa un quinto del valore complessivo dei trasferimenti dell’intera

provincia. Le ragioni di questi cambi di proprietà furono diverse: in primo luogo

le vendite potevano essere stimolate dall’emigrazione permanente. Per coloro che

lasciavano per sempre la propria terra nasceva l’esigenza di cederne la proprietà.

Per altro verso i lavoratori stagionali potevano investire i risparmi raccolti

all’estero, o comunque lontano dal proprio domicilio, nell’acquisto di terreni: in

questo modo domanda e offerta avevano buone possibilità di incontrarsi, grazie

anche al progressivo abbandono della vita rurale da parte di quanti trovavano

occupazione nell’industria. Un’ulteriore spiegazione potrebbe essere data dalle

difficoltà economiche legate alla conduzione della piccola proprietà, molto spesso

gravata da un’elevata fiscalità e spesso non in grado di offrire al contadino nulla

di più dello stretto necessario. In tal senso una possibile via d’uscita da questa

condizione poteva consistere in un maggiore sacrificio per acquistare nuovi terreni

da aggiungere a quelli già posseduti, trasformando la propria attività di semplice

sussistenza in un’ “attività d’impresa”, attuando una produzione basata su criteri

di maggiore economicità e su tecniche innovative. L’investimento in fondi da

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parte dei risparmiatori si lega anche al mancato decollo industriale dell’economia

cividalese: il capitale necessario per l’acquisto di terreni si può considerare come

un mancato investimento di risorse nella produzione industriale, priva di

dinamismo proprio ma anche di una solida struttura finanziaria74.

74 MORPURGO, Le condizioni della proprietà cit., p. 322

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da 1 a 100 da 101 a 1000

più di mille

Totale

Cividale 22.083 1.050 91 23.224 96 53.440 2,3 40.131 2 698.729 17,41 13

Moggio 8.452 198 3 8.474 100 36.039 4,2 13.545 2 58.412 4,31 2

Pordenone 19.954 759 76 20.789 96 14.407 0,69 59.488 3 658.387 11,07 46

San Daniele 16.180 466 30 16.676 97 22.796 1,4 30.977 2 363.871 11,78 16

Spilimbergo 18.414 344 17 18.775 98 40.270 2,1 34.415 2 284.915 8,27 7

Tolmezzo 21.273 456 45 21.774 98 66.170 3 35.194 2 228.403 6,48 3

Udine 20.007 1.118 83 21.208 95 35.633 1,7 69.143 3 768.584 11,12 22

Provincia 200.590 7.016 643 208.249 96 496.137 2,4 495.016 2,2 5.350.737 10,81 10,7

Ab

itan

ti /

Pro

pri

etar

i

Ren

dita

ce

nsu

aria

Numero dei proprietari aventi rendita fondiaria pari a lire

Pro

pri

etai

co

n

ren

dita

in

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ore

a 1

00

Distretti

Su

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ari p

er

pro

pri

etar

io

Po

po

lazi

on

e al

31

/12

/18

78

Tabella 15. Dati numerici sulla superficie, sulla proprietà, sulla rendita censuaria e sul numero dei proprietari nella provincia di

Udine e in alcuni suoi distretti

Fonte: MORPURGO, Le condizioni della proprietà cit., p. 312.

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1. La viabilità principale e secondaria nel distretto

Un problema assai sentito da tutta la popolazione e dai commercianti in

particolare era quello della viabilità. La carenza della rete viaria del distretto fu

una questione già sollevata da Pacifico Valussi75quando, allora presidente della

Camera di Commercio di Udine, stese la relazione sulle condizioni economiche

della provincia friulana all’inizio dei primi anni cinquanta dell’Ottocento. Questa

situazione si riverberava sulle possibilità di sviluppo economico di tutto il

distretto, che con nuove e sicure vie di comunicazione avrebbe potuto estendere il

commercio dei propri prodotti su altri mercati. In realtà le cronache del tempo

riferiscono di una sufficientemente completa rete stradale nelle zone pianeggianti

del distretto, anche se erano ancora pochi i ponti che attraversavano i diversi corsi

d’acqua. Questa carenza era particolarmente avvertita nelle zone in cui la strada

che da Cividale portava a Udine attraversa i torrenti Torre e Malina. Dopo le

piogge questa arteria primaria tra le due città rimaneva inagibile per due o tre

giorni, specie ai carichi pesanti, con grave danno sia per il commercio che per

l’agricoltura. Nella zona montana del distretto rimanevano poco praticabili le vie

di comunicazione, sia per il carattere accidentato del territorio, sia per l’elevato

costo della messa in costruzione delle opere necessarie. Spesso si sollecitava un

concorso tra gli abitanti di queste zone, i relativi comuni e il governo per

provvedere in economia ad aprire sentieri percorribili dai carri, ma risultava

impossibile far accordare reciprocamente abitanti di diverse zone e con diverse

esigenze .

In particolare si lamentava la mancanza di due strade, di cui però si era già

effettuata la progettazione: la strada che da Attimis avrebbe portato a Nimis,

comune del distretto di Tarcento, indispensabile per mettere in comunicazione i

due distretti di Tarcento e di Cividale. Essa avrebbe completato la strada

75 P. VALUSSI, Rapporto sullo stato dell’industria e del commercio della provincia del Friuli negli

anni 1851 e 1852, Udine 1853 (riedizione: Archivio storico dell’industria italiana, Bologna 1983,),

p.138-140

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pedemontana di collegamento tra le valli del Tagliamento, del Natisone e dello

Judrio. Occorreva inoltre costruire la strada che da Albana, lungo la sponda destra

dello Judrio, in territorio italiano, avrebbe dovuto portare sino nella valle

omonima. Essa avrebbe aperto un facile sbocco al commercio dei prodotti di

quella fertile vallata e avrebbe evitato i numerosi passaggi da uno Stato all’altro,

come fino a quel momento accadeva. Da sottolineare che la costruzione di questo

tratto stradale avrebbe potuto incontrare il concorso di tutti gli abitanti della

sponda austriaca, che fino a quel momento erano anch’essi sprovvisti di una

comoda via di comunicazione.

Sempre con riferimento alle comunicazioni e ai trasporti, decisiva per lo

sviluppo di Cividale fu la costruzione della linea ferroviaria che la univa a Udine.

Terminata nel 1885, essa diede la possibilità di collegare la città con il capoluogo

di provincia sia per il trasporto passeggeri che per quello merci e dei prodotti

agricoli e industriali. La funzione strategica della ferrovia permise l’insediamento

e lo sviluppo di grandi industrie nel periodo che precedette e seguì la prima guerra

mondiale, nonché l’incremento dei mercati di bestiame e prodotti agricoli. Lo

stesso insediamento della Società italiana cementi sorse, nel 1910, nelle

immediate adiacenze della ferrovia, e il cui tracciato non si discostava molto

dall’ubicazione dei maggiori plessi industriali della città.

Nel corso del primo decennio del Novecento prese corpo l’idea di

prolungare la linea ferroviaria da Cividale in direzione dei territori austriaci

attraverso le valli del Natisone76. Questo progetto fu a lungo discusso in sede

provinciale, ma il precipitare degli eventi che portarono allo scoppio del conflitto

nel 1914, fu un ostacolo insormontabile alla realizzazione dell’opera. In questo

modo l’espansione e la crescita economica del Cividalese e delle valli prospicienti

dovettero subire un drastico ridimensionamento. Durante la guerra fu costruita

una ferrovia a scartamento ridotto per uso militare che conduceva sino a Caporetto

truppe e mezzi occupati al fronte. Al termine del conflitto la tratta passò sotto il

76 Il tragitto della linea ferroviaria, secondo l’ultimo progetto, avrebbe interessato Cividale, Azzida

e infine Canale, in territorio allora austriaco e oggi sloveno (P. PETRICIG, Quella ferrovia non s’ha

da fare. Nesojena zeleznica, San Pietro al Natisone 1999, pp.85-97).

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controllo e l’amministrazione della Società veneta, che gestiva anche la Udine-

Cividale. Non pochi erano però i problemi da risolvere: un numero insufficiente di

corse giornaliere, lo scartamento ridotto e il tracciato troppo tortuoso. Tra

proclami e impegni assunti a vari livelli amministrativi, la vita della tratta

Cividale-Caporetto terminò nel 1933 senza suscitare particolari clamori né tra la

popolazione né tra gli esponenti politici dell’epoca77.

Bisogna infine ricordare che nel 1921 fu costruita dalla Società italiana dei

cementi una ferrovia a scartamento ridotto lunga circa 10 km. che allacciava le

cave di marna esistenti nel comune di Tarcetta, nelle valli del Natisone, allo

stabilimento di Cividale.

77 PETRICIG, Quella ferrovia non s’ha da fare cit., pp.85-97.

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2. Le condizioni dell’industria cividalese nella statistica

ministeriale del 1890

L’analisi della condizione industriale e commerciale è più complessa

rispetto a quella inerente all’attività agricola che anche in prosieguo di tempo

risulterà l’attività prevalente e con il maggior numero di addetti del Cividalese.

Ciò non significa che nel distretto e nel suo capoluogo non vi fosse la

presenza di attività industriali, ma lo sviluppo del settore fu inferiore rispetto alle

possibilità e alle attese. Nonostante Cividale rappresentasse un centro di

riferimento sia sotto l’aspetto culturale che commerciale per l’intero Friuli, il

numero dei plessi industriali fu sempre modesto e raramente di primo livello.

Nella statistica industriale redatta tra il 1889 e il 1890 per conto del

ministero di Industria Agricoltura e Commercio si trovano alcune importanti

indicazioni circa la condizione delle industrie nella Provincia di Udine78.

Dall’insieme delle notizie riferite è possibile estrapolare alcuni dati sulle

condizioni specifiche del Cividalese; è possibile inoltre compararli con le

condizioni dell’intera provincia o di alcune dei maggiori centri friulani.

La statistica ministeriale riguarda comparti differenti dell’industria friulana,

individuandone quattro categorie: 1) le industrie minerarie, metallurgiche,

meccaniche e chimiche; 2) le industrie per le lavorazioni alimentari; 3) quelle

tessili; 4) le industrie “diverse” 79. Ciascuna categoria risulta suddivisa in modo

più analitico i diverse tipologie specifiche d’industrie censite.

In riferimento alla prima categoria d’industrie, si osserva come fossero

scarsamente presenti nel Cividalese fabbriche meccaniche e chimiche, mentre un

78 M.A.I.C., Statistica industriale. Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Udine,

Roma 1890, (riedizione anastatica promossa dall’Associazione degli industriali della provincia di

Udine, Bologna, 1982).79 Tra le industrie diverse figurano molteplici tipologie manifatturiere. Tra le più importanti

sicuramente quelle inerenti alla produzione di oggetti e strumenti in legno, ma anche le concerie di

pelli, le fabbriche di cappelli sia di lana che di paglia, le tipografie.

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certo interesse ricoprì l’attività estrattiva e quella metallurgica. In merito a

quest’ultima produzione, bisogna precisare che la statistica non comprende le

attività fabbrili, che presentavano caratteristiche più marcatamente di bottega

artigiana che di opificio in senso proprio. In effetti sono riportate solo le principali

attività di carattere industriale svolte in modo organizzato e che potevano definirsi

come attività di fabbrica. Questo criterio non considerò quindi la numerosa

schiera di lavoratori che, pur operando in settori in qualche modo legati al

secondario, non erano occupati in aziende con i caratteri organizzativi

dell’impresa. A Cividale esistevano e operavano con successo diversi laboratori

fabbrili, le così dette “farie”, che però mantenevano una connotazione più simile

alla bottega artigiana che all’officina industriale. La statistica stessa precisa come,

a esempio, nella sola città di Udine fossero presenti circa 100 officine di fabbro

ferraio, oltre a numerose altre attività non inserite nel computo delle attività

industriali della città. Quanto emerge dallo studio industriale sulla provincia è

dunque solo una parte dell’attività del settore secondario svolta sul territorio, alla

quale si dovrebbe aggiungere anche una statistica sulle attività minori.

Una delle principali attività presenti sul territorio del distretto era quella

legata all’estrazione di pietre dalle numerose cave della zona. In questo senso

nelle colline prospicienti a Cividale il territorio era ricco di cave di pietra da

taglio, di ghiaie e di sabbie. L’attività estrattiva per la verità non riguardava solo

Cividale, ma anche numerosi comuni delle immediate vicinanze. E’ opportuno

ricordare che, a seguito dell’introduzione dei dazi doganali, i fiorenti commerci di

pietre con i paesi austriaci e del Carso subirono un brusco rallentamento e in

alcuni casi addirittura cessarono dopo il 1866, mentre si mantenne vivo solo il

commercio locale nell’ambito della provincia.

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Appare evidente come la gran parte dell’attività di estrazione di pietre e

ghiaia della provincia di Udine si concentrasse nel Cividalese e nelle limitrofe

valli del Natisone. Le cave presenti nei due distretti costituivano più della metà

delle risorse dell’intera provincia, occupando circa il 40 per cento del totale degli

addetti del settore.

Altra attività importante in termini sia quantitativi di produzione sia di

occupazione era quella legata alle fornaci di calce e laterizi80. La statistica censì 5

fornaci attive nel territorio del comune, delle quali 4 intermittenti e 1 di tipo

80 La presenza di diverse fornaci di modeste dimensioni, sparse su tutto il territorio friulano, è in

parte dovuta alle caratteristiche del prodotto da costruzione edile, di modesto valore unitario e di

notevole peso e ingombro. Il trasporto avrebbe aumentato il costo del prodotto e sarebbe stato

comunque difficoltoso a causa del sistema viario poco sviluppato.

AdultiSotto i 15

anniTotale

Cividale 1Pietra

piacentina2 3 - 3 200

Corno di Rosazzo 3Pietra

comune4230 18 - 18 150

Faedis 4Pietra

arenaria420 20 - 20 200

Torreano 14Pietra

piacentina600 34 9 43 230

Totale distretto di Cividale

22 - - 75 9 84 195

Totale distretto S. Pietro al Nat.

11 - - 46 3 49 231

Totale provincia Udine

62 - - 316 32 348 200

ProdottoN°

CaveComuni

Numero dei lavoratori maschi

Produzione annua media (tonnellate)

Numero medio dei

giorni lavorati

Tabella 16. Attività estrattiva nel distretto di Cividale e nelle zone limitrofe nel 1890

Fonte: M.A.I.C., Statistica industriale cit., p.

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Hoffmann a 12 camere. Gli addetti del settore erano complessivamente 97, tutti

maschi, di cui 84 adulti e 13 di età inferiore a 15 anni81.

Lo stabilimento di maggiore importanza era senza dubbio quello sorto

nell’immediata periferia di Cividale, in località Rubignacco, ad opera di una

società in nome collettivo, le “Fornaci di Rubignacco”; costituitasi con un capitale

di 53.480 lire, operava con una fornace a ciclo continuo per la produzione di calce

comune82e con un forno Hoffmann a 12 camere per la produzione di laterizi83. Lo

stabilimento era in grado di produrre circa 2.142.000 pezzi l’anno grazie a questo

forno. La produzione occupava gli addetti per 7 mesi continuativi. Delle rimanenti

fornaci censite non vi sono particolari notizie: erano destinate alla produzione di

calce comune trattandosi prevalentemente di piccoli forni a fuoco intermittente

che producevano quasi esclusivamente per il commercio locale. Queste fornaci

erano presenti in molti comuni del territorio provinciale, ma nel complesso

avevano un ruolo marginale rispetto agli opifici di maggiori dimensioni. Erano

sfruttate materie prime raccolte in loco, sia per la trasformazione sia per la

combustione, e il funzionamento nel corso dell’anno non superava quasi mai i 20

giorni di attività.

Come già ricordato, la produzione chimica a Cividale e più in generale nel

distretto era quasi completamente assente, eccezion fatta per un piccolo

stabilimento dedito alla produzione di olio di colza, il cui proprietario, Miani

Pietro, occupava nella produzione solo due operai per complessivi 100 giorni di

lavoro l’anno84.

Le industrie alimentari del territorio non erano particolarmente sviluppate.

Lo studio del ministero non riportava dati specifici sui singoli mulini per la

macinazione dei cereali. Nel 1889, secondo i dati statistici, operavano in provincia

614 mulini con 1096 operai addetti. Il numero molto elevato di mulini e quello

relativamente basso degli addetti evidenziano come molti degli esercizi censiti

81 M.A.I.C., Statistica industriale cit., p. 6082 La produzione di calce comune nel territorio del comune di Cividale ammontava

complessivamente a 1.010 quintali l’anno.83 M.A.I.C., Statistica industriale cit., p. 57

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svolgessero un’attività di modeste dimensioni. Il 92 per cento dei mulini macinava

un quantitativo di cerali inferiore ai 5.000 quintali l’anno (1.668 quintali in media

a mulino). A Cividale, come in gran parte della provincia, la macinazione si

svolgeva in piccoli mulini azionati da motori idraulici.

Nonostante l’assenza di grandi mulini per la macinazione dei cereali, a

Cividale era presente una fabbrica per la produzione di paste da minestra. La ditta

di Strazzolini Feliciano produceva circa 2 quintali di pasta al giorno, occupando

per 260 giorni all’anno 2 operai85.

Un’attività di rilievo svolta nel distretto riguardava la fabbricazione di

spiriti: delle 238 distillerie agrarie attive presenti nella provincia di Udine, ben

148 operavano nel distretto cividalese, impiegando 296 operai su 438 addetti

complessivi in provincia86. Oltre a queste distillerie era presente nel 1870 a

Cividale una fabbrica di birra, sorta alcuni anni prima87. Dopo un primo periodo

in cui essa godette di ottima fama e di un buono smercio anche su altri mercati,

l’azienda interruppe la produzione della bevanda dopo pochi anni, a causa del

modesto quantitativo di produzione e del peggioramento qualitativo del prodotto.

Sempre in riferimento alle industrie alimentari, bisogna ricordare come tra

le cinque fabbriche di acque gazzose operanti in provincia una svolgeva la propria

attività a Cividale, impiegando un solo addetto.

Altro comparto di notevole interesse nel comune di Cividale fu quello

tessile, in cui lo sviluppo occupazionale fu maggiore, coinvolgendo tra l’altro un

gran numero di donne escluse dall’inserimento in altri tipi di industrie. L’attività

tessile si svolgeva prevalentemente nell’ambito della seta e in quello del cotone. A

Cividale erano attivi ben 8 opifici serici, in cui si praticava principalmente la

trattura. Le altre fasi della sericoltura, ovvero la torcitura, la lavorazione dei

cascami e la tessitura, erano poco praticate in regione e comunque svolte in pochi

opifici di maggiori dimensioni.

84 M.A.I.C., Statistica industriale cit., p. 69.85 Ibid., p. 77.86 Ibid., p. 78.87 DE PORTIS, Stato dell’agricoltura cit., p. 14.

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La trattura della seta era un’attività già da tempo largamente diffusa. Nel

1870 nel comune erano state censite complessivamente 40 filande per un numero

complessivo di 526 occupati88. Nel 1890 negli 8 stabilimenti le bacinelle attive

erano complessivamente 81, di cui 64 a vapore e 17 a fuoco diretto, mentre quelle

inattive erano 46. Il personale occupato comprendeva solo su 3 maschi adulti,

mentre il rimanente era composto da donne, di cui 155 adulte e 14 sotto i 15 anni

di età. La forza lavoro complessivamente impiegata ammontava pertanto a 172

unità, con una media annua di 204 giorni lavorati.

Passando all’industria del cotone, bisogna rilevare come tale attività

ricoprisse un ruolo non irrilevante nel panorama industriale del distretto. Il

numero di occupati nella tessitura, ad esempio, era inferiore solo a quello di

Pordenone, Udine, Osoppo e Fiume. In questi centri però, operavano

prevalentemente telai di tipo meccanico a una o più navette e in misura

mediamente doppia rispetto a quelli semplici manuali presenti a Cividale.

In particolare a Cividale nell’industria della tessitura del cotone operava

esclusivamente un opificio di grandi dimensioni, quello di Biagio Moro, dedito

alla produzione di tele colorate. In questa attività erano impiegati ben 70 telai a

mano a una e più navette, con 125 operai tra maschi e femmine (inclusi gli addetti

alla tintoria), occupati mediamente per 270 giorni l’anno. Per i lavori preparatori

alla tessitura l’azienda faceva uso di 2 motori idraulici della potenza di 4 cavalli

ciascuno. Presso lo stabilimento funzionava una tintoria, che era annoverata tra le

principali della provincia sia per dimensione che per qualità. Sempre presso lo

stesso stabilimento avveniva la lavorazione della canapa e del cotone misto al lino

o alla canapa, cui erano dedicati 10 telai. Altri telai in opifici minori operavano

questo tipo di produzione, facendo di Cividale, insieme a Verzegnis, Lauco e

Tolmezzo, uno dei centri più importanti di questa produzione in tutto il Friuli.

Sempre in territorio comunale operava un piccolo opificio di proprietà di

Giuseppe Caneva, nel quale erano occupate 10 operaie con nove telai a mano.

L’attività svolta da questa piccola fabbrica era rivolta alla produzione di scialli

88 Ibid., p. 12.

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reticolati in lana e seta. La produzione complessiva raggiungeva le 2.000 unità

annue e occupava le lavoratrici circa 300 giorni l’anno.

Complessivamente sul territorio del comune erano dislocati 110 telai a

mano, i quali occupavano 110 maschi adulti, 39 ragazzi sotto i 15 anni e 28

donne, per un totale di 177 addetti, con una media di giorni lavorati di circa 270.

Le tintorie esistenti erano 6 (di cui una con motore idraulico) e disponevano

in totale di 46 caldaie e vasche, occupando 20 lavoranti per circa 300 giorni

l’anno.

Nel distretto era diffusa l’industria tessile casalinga. Questo fenomeno non

era limitato al solo distretto di Cividale ma si estendeva a tutta la provincia. La

produzione era prettamente limitata all’autoconsumo o a soddisfare le commesse,

da parte delle industrie maggiori. Era infatti abitudine diffusa lasciare presso il

domicilio delle tessitrici alcuni telai di proprietà delle fabbriche, sfruttando in tal

modo il lavoro domestico di donne che non esercitavano la tessitura a tempo

pieno89. Questo aspetto deve essere debitamente considerato perché in alcuni casi

i telai dichiarati dalle imprese comprendevano anche quelli domiciliati presso le

abitazioni.

Rimangono da analizzare le poche altre industrie di vario tipo presenti nel

comune. Il censimento statistico segnalava la presenza di una fabbrica di cappelli,

che occupava 4 persone, di cui 2 maschi, 1 donna e 1 fanciullo e che garantiva un

numero medio di giornate lavorate di circa 210.

89 Nel 1857 a Cividale iniziò la propria attività la ditta Spezzotti, la quale, facendo lavorare per

proprio conto circa 100 telai, riuniti in quelle che allora erano definite botteghe, occupò buona

parte della popolazione residente in Borgo S. Domenico e parte di quella di Borgo Brossana.

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Vi era poi una conceria, di proprietà dei fratelli Vuga, con 20 vasche e tini

di concia. L’attività di conceria era un tempo assai diffusa in tutta la provincia,

ma, dopo l’introduzione dei dazi doganali del 1866 con l’Impero austriaco, il

mercato di questi prodotti subì un forte ridimensionamento. L’attività dei fratelli

Vuga esportava però con dazio ridotto cuoio da suola in tutto l’Illirico e in Istria.

La fabbrica occupava 10 maschi adulti per circa 300 giorni l’anno.

Era poi presente a Cividale una cartiera, dotata di un motore idraulico da 12

cavalli, che occupava 12 persone (6 maschi e 6 femmine) per complessivi 260

giorni l’anno, e una tipografia, dotata di due macchine celeri e di un torchio

semplice, in cui erano occupati 10 maschi, 1 donna e 2 ragazzi sotto i 15 anni di

età per 300 giorni l’anno.

Dalla statistica non emergono ulteriori industrie, fossero esse segherie,

fabbriche di sedie, di mobilio, di lavori in legno o altro. Questo, come ricordato, è

in parte imputabile alla natura artigianale di alcuni laboratori, non inseriti perciò

lana cotonelino,

canapamaterie miste

Attimis - 16 10 4 30 180Buttrio - 7 7 - 14 60

Cividale - 8 5 2 15 200Corno di Rosazzo

- - - 8 8 250

Manzano - - - 8 8 180

Moimacco - - 1 1 2 300

Povoletto - - 5 - 5 60

Remanzacco - - - 10 10 90S. Giovanni di Manzano

- - - 13 13 290

Torreano - - - 10 10 200Totale - 31 28 56 115

Numero medio annuo

giorni di lavoro

ComuniTotale

Tessuti

Telai

Tabella 17. Telai a mano per la tessitura casalinga nel distretto di Cividale

(1890)

Fonte: Statistica industriale cit., p.97

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all’interno della statistica industriale. Dai dati estrapolati dalla statistica è

possibile tracciare un quadro riassuntivo del numero di persone complessivamente

impiegate nell’industria a Cividale.

.

Uomini Donne Totale

Cave 1 3 - 3

Fornaci 5 97 - 97

Fabbriche olio di colza

1 2 - 2

Fabbrica pasta da minestra

1 2 - 2

Fabrica acque gazzose

1 1 - 1

Trattura della seta 8 3 169 172

Tessitura del cotone 1 149 28 177

Fabbricazione tessuti reticolati

1 - 10 10

Tintorie 6 - - 20

Fabbriche di cappelli

1 3 1 4

Concerie 1 10 - 10

Cartiere 1 6 6 12

Tipografie 1 12 1 13

Totale 29 288 215 523

Numero dei lavoratoriIndustria

Numero degli esercenti

Fonte: M.A.I.C., Statistica industriale cit., p. 112-113

Tabella 18. Riepilogo delle industrie presenti a Cividale nel 1890

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3. L’evoluzione delle condizioni rurali e industriali nei primi

anni Novecento

Ulteriori informazioni sulla condizione dell’industria e del lavoro nel

Cividalese si possono ricavare dall’analisi dell’Inchiesta sulle condizioni di lavoro

dei salariati e dei coloni nella provincia di Udine” 90. Questa indagine fu condotta

dall’Ufficio provinciale del lavoro con la finalità di conoscere la condizione dei

salariati dell’industria, del commercio e dell’agricoltura. I dati sono disaggregati

per mandamento: di ciascuno di essi è riportato il numero complessivo di salariati

diviso per mestiere, età, sesso, ore di lavoro, salario, lavoro notturno, nonché la

presenza di organizzazioni di mestiere sia dei datori sia dei lavoratori. L’inchiesta,

approvata dal Consiglio dell’Ufficio provinciale del lavoro nel 1908, fu portata a

termine nel 1909 e in seguito pubblicata nel Bullettino dell’associazione agraria

friulana nel 191191.

I dati raccolti per la compilazione dei prospetti sintetici dell’inchiesta, si

debbono ritenere incompleti, non sufficientemente chiarificatori circa le

dimensioni del fenomeno industriale. Nel caso delle industrie cividalesi appare

incongruo il dato riferito alle poche tipologie di imprese individuate e soprattutto

non coincidono i dati dell’inchiesta con quelli del censimento di pochi mesi

successivo. I dati relativi all’industria tessile a Cividale, alla data del censimento

nazionale (10 giugno 1910), evidenziano la presenza di 18 imprese con un totale

di 178 occupati. Analizzando i dati contenuti nell’inchiesta provinciale, risultano

operanti a Cividale diverse imprese del settore tessile, ma esclusivamente

setifici92, che occupavano complessivamente 60 persone. I dati raccolti sarebbero

dunque incompleti anche se, è bene precisarlo a parziale giustificazione dello

90 UFFICIO PROVINCIALE DEL LAVORO, Inchiesta sulle condizioni di lavoro dei salariati e dei

coloni nella provincia di Udine, Udine 1911.91 La versione pubblicata sul Bullettino riporta solo parzialmente i dati dell’inchiesta, evitando in

particolare di esporre i dati inerenti ai salariati del settore industriale.92 In realtà nei dati contenuti nell’inchiesta non compare il numero d’imprese facenti parte di una

categoria di aziende.

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scostamento rispetto al dato del censimento, l’inchiesta si concentrava sui salariati

nell’industria. Sembra tuttavia emergere un divario troppo marcato tra le due

rilevazioni, che non permette di accettare come indicativi i dati statistici forniti

dall’Ufficio provinciale del lavoro.

Si possono ora analizzare altri aspetti della ricerca che possono aiutare a

ricostruire un quadro più completo delle condizioni del salariato nell’ industria del

primo Novecento. L’orario di lavoro impegnava tra le 10 e le 11 ore giornaliere,

in linea con la media delle ore di lavoro degli operai nelle imprese di tutta la

provincia. Vi erano differenze negli orari spesso legate alle tipologie di attività

svolte e non tanto all’organizzazione specifica della singola impresa.

Prevalentemente la giornata lavorativa si svolgeva durante il giorno, salvo delle

rare eccezioni. Il lavoro notturno era comunque limitato a poche fattispecie di

industrie, in prevalenza a quelle legate alla produzione di energia elettrica e alle

fornaci.

Il salario medio giornaliero calcolato nel distretto era per gli uomini pari a

2,85 lire, mentre per le donne si aggirava intorno a 1,45 lire. Il dato calcolato sulle

poche rilevazioni raccolte è pienamente corrispondente con quello calcolato per le

industrie del comune di Udine, dove la retribuzione media giornaliera era

calcolata in lire 2,86 per gli uomini e in 1,62 lire per le donne93.

La retribuzione delle donne era dunque mediamente inferiore a quella degli

uomini, salvo rare eccezioni. Per gli uomini, poi, le retribuzioni potevano essere

molto diverse all’interno dello stesso comparto produttivo o dello stesso opificio. I

salari più elevati raggiungevano mediamente le 6 lire al giorno, solitamente nelle

aziende e nei settori ove maggiormente erano sviluppate produzioni su larga

scala94. In queste imprese si trovavano anche le maggiori differenze retributive,

dovute alle diversità di mansioni e di ruoli che ciascun salariato doveva svolgere.

93 Nel distretto di Pordenone la retribuzione media per gli uomini era di lire 2,48, mentre per le

donne di 1,3 lire. Particolarità di questo distretto era la forte occupazione nel comparto industriale

delle donne, in rapporto di circa 2 a 1 con gli uomini.94 La retribuzione più elevata veniva corrisposta a Udine ad alcuni salariati occupati nel settore del

lavorazione del ferro, del rame e di altri metalli. Anche in questo caso il salario minimo era di sole

0,25 lire mentre quello massimo raggiungeva le 10 lire al giorno.

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Il progressivo avanzamento del processo di crescita dell’industria nel corso

degli anni si associò a un’analoga crescita delle strutture sindacali. La presenza di

organizzazioni di mestiere all’interno degli opifici può essere considerata come un

indice del grado di maturità del lavoratore rispetto alla propria condizione di

salariato e del livello di sviluppo del sistema industriale. Per ciò che concerne il

Friuli bisogna osservare come, nella provincia di Udine, vi fosse la quasi totale

assenza di organizzazioni sia di lavoratori che di padroni. L’unica eccezione

riguardava alcune imprese operanti nel settore tessile del Pordenonese, le cui

dimensioni erano le maggiori della provincia e assorbivano la quasi totalità degli

operai locali.

Con riferimento all’intero distretto di Cividale, alcune notizie sono riportate

nelle note e osservazioni a margine dell’inchiesta. In particolare emergeva la

domanda, da parte degli imprenditori, di costituire dei consorzi o delle

“federazioni” per la commercializzazione delle sedie prodotte a Manzano e a San

Giovanni al Natisone, industria che occupava in quel periodo circa 600 addetti.

Dalla parte dei lavoratori dell’industria della sedia del Manzanese (circa 400)

cominciavano a emergere le richieste di un aumento dei salari, della costruzione di

case operaie e delle cooperative di consumo95.

Nel distretto di Cividale gli occupati nel commercio sarebbero ammontati a

107 persone, di cui 99 uomini e 8 donne. Tuttavia secondo il censimento del 1911

nel settore erano occupate ben 1.127 persone. Il commercio era svolto

principalmente da piccole botteghe a conduzione familiare, in cui si faceva

affidamento sul lavoro dei familiari e solo in qualche caso di personale

dipendente. In particolare, a Cividale i salariati del commercio operavano nel

comparto delle ferramenta (7 addetti), in quello del commercio dei coloniali e dei

cereali (23 addetti) e nelle manifatture (23 addetti). Le ore di lavoro giornaliere

erano mediamente 11 e non si segnalava alcun caso di lavoro notturno. Il salario

giornaliero era compreso tra 1,3 e 5 lire, decisamente superiore rispetto alla

95 UFFICIO PROVINCIALE DEL LAVORO DI UDINE, Inchiesta sulle condizioni di lavoro, cit., p. 23

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retribuzione percepita dai lavoratori maschi di Udine occupati nello stesso settore,

anche se su quella piazza la natura dei commerci era molto più varia96.

Non era presente nella provincia di Udine alcuna organizzazione di

categoria sia tra i salariati che tra i padroni, in ambito commerciale: i dipendenti

delle singole aziende erano assai pochi e distribuiti in numerose attività, quindi la

coscienza di classe che poteva animare gli operai riuniti nelle fabbriche era meno

sentita tra questi lavoratori.

Il lavoro salariato in agricoltura costituiva la principale fonte di occupazione

nel mandamento e nel comune. I dati riportati sono suddivisi, in riferimento al

comune di Cividale, per stagione, data la variabilità di personale occupato

nell’attività agricola nelle diverse fasi dell’anno. Nel periodo invernale l’impiego

di salariati nell’agricoltura era limitato a 1500 uomini, che prestavano il proprio

lavoro per 7 ore giornaliere e con un salario di 1,3 lire. Nel periodo primaverile e

autunnale la manodopera aumentava di più del doppio, mentre nel periodo estivo

cresceva ulteriormente, anche se solo di poche centinaia.

Il numero di salariati impiegati in agricoltura nel comune di Cividale era il

più alto di tutti i comuni della provincia di Udine, con circa 4/5.000 addetti. Il

dato è il più rilevante anche sul piano mandamentale, con grossomodo 10.500

96 Facendo specifico riferimento alle tipologie merceologiche analoghe, la retribuzione dei salariati

in Udine era pari a 3.34 lire, pressoché analoga a quella dei lavoratori di Cividale.

Da 12 a 15 anni

SalarioPiù di 15

anniSalario

Da 12 a 21 anni

SalarioPiù di 21

anniSalario

Inverno 7 - - 1500 1.03 - - - -

Autunno Primavera

10 500 1 2000 1.06 300 0.09 1000 1.02

Estate 11 500 1.02 2000 2 400 1.01 1200 1.05

Totale 1000 5500 700 2200

StagioneOre di lavoro

Uomini Donne

Tabella 19. Retribuzione media dei salariati in agricoltura nel 1909

Fonte: UFFICIO PROVINCIALE DEL LAVORO DI UDINE, Inchiesta sulle condizioni di lavoro cit., p.

42.

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salariati in totale. Il resto del distretto contava 5.592 addetti, circa la metà di quelli

censiti nella sola città ducale.97 Buona parte degli assunti del periodo estivo non si

possono considerare dei salariati in senso proprio, ma degli stagionali, presi alle

dipendenze durante l’estate a supporto degli altri lavoratori. Le stesse industrie

che non sempre offrivano lavoro per un intero anno ai propri dipendenti

lasciavano l’opportunità all’operaio di impiegare parte del proprio tempo nel

lavoro dei campi. Se le cifre raccolte nell’inchiesta fossero effettivamente reali, è

comunque curioso osservare come l’intera città nel periodo estivo abbandonasse

le altre attività per dedicarsi esclusivamente all’attività agricola.

Nel complesso la condizione dei salariati dell’intero mandamento di

Cividale non era tale da suscitare proteste: solo nel Manzanese e a San Giovanni

al Natisone alcuni lavoratori si lamentavano per il livello della retribuzione,

peraltro in linea con quella percepita dai salariati di Cividale, e per le troppe ore di

lavoro. I padroni, per contro, protestavano per l’elevato livello dei salari,

esprimendo il desiderio di vederli ridotti. Inoltre si auspicavano la realizzazione in

tempi rapidi di società agricole, di uffici per l’esportazione dei prodotti e di

mercati per lo smercio dei prodotti in loco. A Remanzacco la richiesta che veniva

dai proprietari terrieri era invece di poter accedere ai servizi della rete ferroviaria

per il trasporto dei prodotti, usufruendo di riduzioni sulle tariffe.

Nelle note dell’inchiesta si legge, tra l’altro, che buona parte dei lavoratori

salariati agricoli a Cividale appartenevano a famiglie coloniche. Questo dato

permette di cogliere con maggiore precisione alcuni aspetti legati alla condizione

dei coloni nel comune e nel mandamento.

97 Le dimensioni del fenomeno così come presentate dall’inchiesta dell’Ufficio provinciale del

lavoro, inducono a considerare le cifre non attendibili. Confrontandole infatti con quelle relative

alla popolazione del comune come desunte dal censimento del 1911, in cui gli abitanti

complessivamente erano circa 11.000, appare incongruo che ben 9.400 potessero essere occupati

come lavoratori salariati nell’agricoltura. E’ possibile stimare i lavoratori del settore primario in

circa 4-5000 unità, in altre parole la somma dei lavoratori abitualmente dediti all’attività agricola

più quelli che stagionali (saldo tra i lavoratori occupati nel periodo meno quelli occupati nel

periodo precedente. Vedi tab. 13).

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Il patto colonico era molto diffuso nelle campagne. Nel solo comune di

Cividale si contavano circa 700 coloni, mentre i familiari ammontavano a 4.900.

Molte persone della famiglia colonica lavoravano come salariati nei campi,

alleggerendo in parte il peso del proprio mantenimento che gravava sul nucleo

familiare.

Le condizioni dell’affittanza erano diverse, sia in considerazione della

diversità di contratto, sia in relazione alla diversa fertilità dei territori. In generale

era possibile individuare tre tipi di contratti. Nel caso di conduzione a mezzadria,

il costo a campo dell’affittanza era compreso tra le 35 e le 40 lire, nel caso di

affitto si stimava in 45 lire e per l’affittanza promiscua la tariffa si fissava tra le 40

e le 60 lire a campo.

Per ciò che concerne le condizioni della vita colonica, alcune considerazioni

svolte a margine dell’inchiesta possono essere interessanti. In primo luogo la

crescita elevata della popolazione negli ultimi anni portava sempre più ad

abbandonare le proprie città e a cercare lavoro altrove. In particolare, sia nelle

zone della Slavia che in quelle collinari della cintura del Cividalese, la mancanza

di una buona rete stradale carreggiabile ostacolava lo sviluppo dell’economia

agraria. In queste condizioni era assai difficile costruire le case e le pertinenze

murarie per i coloni, a causa della problematicità e dell’elevato costo di trasporto

delle materie prime edili, rendevano così anche l’allevamento del bestiame poco

redditizio. Anche i terreni montuosi, particolarmente fertili, sarebbero stati

difficilmente sfruttabili a causa della carenza di vie di comunicazione. Nelle zone

pianeggianti del mandamento le condizioni dell’affittanza erano molto varie, in

virtù anche del differente stato di manutenzione dei fabbricati colonici, anche se si

notava un certo miglioramento delle loro condizioni. Uno studio sul patto

colonico, specie per le zone collinari, avrebbe potuto certamente introdurre delle

modifiche vantaggiose sia per i coloni che per i proprietari dei terreni.

I proprietari esprimevano il desiderio che i coloni fossero maggiormente

attaccati al loro lavoro nelle campagne e lamentavano che spesso fossero attratti

da affari estranei alla ordinaria conduzione dell’azienda. D’altro canto la richiesta

dei coloni era quella di poter allungare i contratti di affittanza, portandoli a

scadenze superiori a un anno. Inoltre essi auspicavano un miglioramento dei

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fabbricati colonici, per dare impulso sia all’allevamento sia alla bachicoltura.

Infine chiedevano che venissero aumentate le quote loro assegnate per le giornate

di lavoro obbligatorie svolte per conto del proprietario.

Nel complesso le condizioni dell’agricoltura nel distretto risultarono

migliorate nel corso degli anni anche grazie all’opera delle cattedre ambulanti di

agricoltura. Queste istituzioni contribuirono in quel periodo a diffondere nei

comuni del circondario importanti informazioni sulle nuove tecniche colturali,

attraverso conferenze e campi dimostrativi. Una delle carenze ripetutamente

rilevate da molti osservatori del periodo era quella di una scuola mirata alla

diffusione delle conoscenze agronomiche per spingere i giovani studenti a

conseguire una più elevata produttività agricola. In tal senso lo stesso Valussi già

nel 1852 aveva deplorato che il territorio, a fortissima vocazione agricola, fosse

carente di idonei istituti di formativi98. Il comizio agrario di Cividale cercò di

individuare una possibile soluzione a questo problema mediante la trasformazione

delle scuole rurali in scuole elementari agricole, nelle quali l’insegnamento fosse

svolto da maestri formati presso un istituto tecnico. Inoltre si proponeva di

istituire concorsi per la stesura di appositi manuali contenenti le nozioni

fondamentali della pratica agricola, compilati in linguaggio non troppo tecnico e

di facile comprensione sia per i giovani studenti che per gli adulti frequentanti i

corsi serali. Questo tipo di attività era ostacolata dal forte attaccamento alla

tradizione orale, specie negli adulti, particolarmente refrattari alle novità.

La cattedra ambulante, il comizio agrario e, più in generale, l’opera della

Associazione agraria friulana, furono gli unici veicoli di diffusione delle nuove

tecniche agrarie99, consentendo il sorgere nei primi anni del Novecento a Cividale

di alcune importanti società volte a promuovere gli interessi dei lavoratori

agricoli. Tra queste si possono ricordare: nel 1903 la Banca agricola, nel 1920

98 VALUSSI, Rapporto sullo stato dell’industria e del commercio cit., pp.138-140.99 Solo a partire dal 1920 è possibile individuare a Cividale la nascita in forma embrionale di un

istituto scolastico che, col passare del tempo, porterà al consolidamneto di un Istituto tecnico per il

conseguimento del diploma di perito agrario. A questo proposito si veda C. MATTALONI , Colonia

agricola e agenti rurali. Alle origini dell’istruzione agraria a Cividale, in Un bel percorso. I primi

quarant’anni dell’Istituto Tecnico Agrario di Cividale, Udine 1997, pp. 18-29.

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l’Essiccatoio cooperativo bozzoli, le numerose camere d’incubazione per la

nascita in comune dei bachi, nel 1924 la Latteria sociale, che arrivò ben presto a

contare 180 soci, alcune cooperative agricole e infine i comitati permanenti per

l’organizzazione dei mercati del bestiame100.

Nell’ambito di un complessivo processo di sviluppo economico del

territorio si deve rilevare il ritardo con cui si approntarono gli strumenti per far

progredire anche il settore primario; ritardi tanto più gravi se si considera quanto

importante fosse per il complesso dell’economia cividalese l’attività agricola.

4. Lo sviluppo dell’industria tra il 1890 e il 1921

Lo sviluppo industriale del distretto cividalese raggiunse il suo punto più

alto nel periodo compreso tra il 1890 e il 1911. Dalle notizie raccolte all’inizio e

alla fine di quel periodo emerge chiaramente che l’industria e le attività

commerciali raggiunsero l’apice della propria crescita. Dai dati relativi il

censimento del 1871 e allo stato dell’industria del 1890 si evidenzia l’incremento

di addetti al settore secondario. Questo fenomeno si collega con il processo di

sviluppo complessivo che coinvolge l’Italia in età giolittiana, seguendo il

passaggio da una fase depressiva a un vivace risveglio dell’economia e della

produzione agraria. E’ utile esaminare la crescita del settore industriale anche in

relazione a fenomeni di tipo demografico connessi ad altre realtà territoriali. In

questo senso, se è vero che il Friuli attraversò il processo industrializzazione

tipico di altre zone d’Italia con più lentezza, è altrettanto vero che non mancarono

spinte al passaggio da un’economia fortemente orientata al settore primario a una

industriale.

Dalle evidenze dell’inchiesta del 1890 e del censimento del 1911 emerge

che gli occupati nel settore industriale a Cividale passarono da 523 a 895. Questo

dato è ancor più significativo se si considera che le cifre per l’anno 1911 erano

100 A. RIEPPI, Forum Julii. Guida popolare di Cividale e del circondario, Cividale 1925, pp. 121-

124.

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riferite alle imprese esercitate in apposito locale da non meno di due persone e

attive al 10 giugno di quell’anno o nei precedenti 12 mesi101. Il criterio di

classificazione era dunque più rigido rispetto a quello utilizzato nel 1890. Le

industrie con il maggior numero di addetti erano quelle del comparto edile e della

lavorazione dei minerali, seguite da quelle di trasformazione dei prodotti

alimentari e da quelle tessili. In primo luogo emerge un notevole

ridimensionamento dell’industria tessile. Questo comparto, che nel 1890 fungeva

da motore dell’industria locale, era relegato al terzo posto per importanza nel 1911

con un numero di addetti dimezzato. Il tessile, che quasi ovunque ebbe carattere

trainante nelle prime fasi di industrializzazione, subì un netto ridimensionamento,

senza però che si registrasse un sensibile incremento in nuovi comparti industriali.

Come nota il Parmeggiani, l’industria della provincia friulana, e di Cividale, non

compì il passaggio da un settore industriale tradizionale tipico delle economie

primordiali, a uno a più elevata intensità di capitali. Non si effettuò in pratica

l’evoluzione dai settori tradizionali, come quello del legno, dell’alimentare, dei

materiali da costruzione, a settori più innovativi come il metalmeccanico, il

chimico e quello per la produzione di energia. Analogamente a quanto accadde in

altre realtà, i comparti tipici della prima industria svolsero un ruolo polarizzante

delle risorse e allo stesso tempo di freno allo sviluppo di industrie in settori nuovi

e più dinamici. Fece eccezione il Pordenonese, dove l’ingente capitale investito

nell’industria tessile fu in grado di indirizzarsi negli anni anche verso altri

comparti produttivi102.

A Cividale la condizione di alcuni comparti industriali, oltre a non

realizzare il passaggio verso forme di industria più progredite, non consentì

neanche un accentramento delle risorse e della produzione in grandi opifici. Ciò

può essere interpretato come una delle ragioni della mancata espansione del

settore. Se da un lato si può ritenere che il passaggio da un’industria tradizionale,

101 M.A.I.C., Censimento degli opifici e delle imprese industriali al 10 giugno 1911. Dati

riassuntivi concernenti il personale e la forza motrice delle imprese censite, I, Roma 1913, p. 223.102 N. PARMEGGIANI, Gli stadi dello sviluppo industriale nella provincia di Udine. Ricognizione

storica dal primo Ottocento ad oggi, Udine 1966, p 48-50.

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tipica della prima fase dello sviluppo, a una a capitale più intensivo non sia un

automatismo, è anche vero che il reperimento di capitali ingenti non è possibile se

le industrie esistenti sono molte e di modeste dimensioni. Inoltre, come già

accennato, la frammentazione della proprietà agricola costituiva un ulteriore

limite al trasferimento di risorse dal settore primario a quello industriale. A

Cividale, il dato medio di persone addette a ciascuna impresa nel settore della

trasformazione dei prodotti agricoli e dell’allevamento oscillava tra le tre e le

quattro unità. Nel settore tessile la media di addetti era di 10 per opificio e nel

settore dell’edilizia e della lavorazione dei minerali la cifra saliva a 22 addetti. Le

industrie erano dunque di piccola o media dimensione, fatte poche eccezioni. Una

menzione particolare merita il settore delle industrie che operavano nel campo

delle costruzioni. Un notevole impulso alla crescita di questo comparto venne dal

finanziamento delle opere pubbliche realizzate nel comprensorio: le più importanti

furono la costruzione della tratta ferroviaria di collegamento con Udine,

l’acquedotto Poiana, le scuole, alcuni stabilimenti industriali e diverse opere

pubbliche cittadine, tra le quali palazzi e rete viaria.

Sintetizzando i risultati relativi all’intero distretto è possibile notare che se

da un lato la situazione industriale sembrò migliorare, sia pure con molti limiti e

contraddizioni, dall’altro l’iniziale periodo di sviluppo a cavallo tra i due secoli,

manifestò la tendenza a ridimensionarsi tra le due guerre. I dati del censimento del

1911 e quelli del 1921103, se raffrontati tra loro, evidenziano una fase stazionaria

nel processo di sviluppo industriale.

Mentre emersero nuove realtà industriali come Manzano e San Giovanni al

Natisone104, alcune piccole unità produttive scomparvero e non vengono sostituite

da nuove aziende. La carenza del settore metalmeccanico e in generale

dell’industria pesante è già sufficiente a spiegare il mancato sviluppo industriale

in queste aree e fu il segno inequivocabile di una scarsa propensione del capitale a

103 M.A.I.C., Censimento della popolazione 1921 cit., pp. 360 – 385.104 Gli occupati nelle produzioni di sedie e laterizi nei due comuni, nei dati dell’inchiesta promossa

dall’Ufficio provinciale del lavoro nel 1911, ammontavano complessivamente a 745 (UFFICIO

PROVINCIALE DEL LAVORO DI UDINE, Inchiesta condizioni di lavoro, cit., pp. 10-11).

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indirizzarsi verso investimenti industriali. Nel periodo bellico, sia pure tra luci e

ombre, l’industria pesante e meccanica ebbe un notevole impulso produttivo, che

sebbene in parte riassorbito al termine del conflitto, diede il via a una marcata

caratterizzazione di alcune aree produttive del Paese105. Nella provincia friulana la

prevalenza di una struttura labour intensive fu un grave limite anche allo sviluppo

successivo dell’industria.

A questo fenomeno di carattere economico bisogna associare anche un

aspetto di carattere sociale. L’emigrazione in Friuli, che potrebbe essere un effetto

del mancato sviluppo, può essere considerata una delle concause del fenomeno.

Scrive giustamente il Parmeggiani:

Quando in altri termini una popolazione dotata di grandi energie lavorative comincia ad

assumere come costume tipico della sua esistenza economica la ricerca di un lavoro oltre i confini

del proprio ambito geo-economico e quando con il trascorrere del tempo questo costume diviene

un ambito professionale, […] si finisce con l’accogliere il fenomeno migratorio come una costante

nell’ambito della politica economica generale e si cessa di considerarlo per quello che esso è: una

variabile patologica che deve essere eliminata 106.

Mancata industrializzazione ed emigrazione possono essere considerati

fenomeni collegati tra loro in modo circolare e quindi interdipendenti. Era peraltro

difficile ipotizzare che nel clima socioeconomico e culturale di fine Ottocento e

inizio Novecento la possibilità di un intervento dello Stato per cercare di porre un

freno ai fenomeni migratori. Non era avvertita l’esigenza di intervento diretto per

indirizzare lo sviluppo economico. In questo senso, se il problema della mancanza

di opportunità per i lavoratori e per alcune qualifiche professionali poteva essere

risolto con l’emigrazione, si accettava questo fenomeno come soluzione del

problema. In virtù di questa logica si fece poco per accelerare lo sviluppo della

regione e dei suoi distretti: tutto era lasciato all’iniziativa dei singoli capitalisti e

imprenditori.

105 LEONARDI, Dalla guerra alla “grande crisi”, in LEONARDI-COVA-GALEA , Il novecento

economico italiano. Dalla grande guerra al “miracolo economio”, Bologna 1997, pp. 65-67.106

PARMEGGIANI, Gli stadi dello sviluppo cit., pp. 52-53.

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Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

Agricoltura caccia pesca e allevamento 14153 10637 24790 17454 9161 26616Industrie estrattive del sottosuolo 248 - 248 30 - 30

Industrie che lavorano e utilizzano i prodotti dell'agricoltura, della caccia e della pesca

1396 644 2040 1431 313 1744

Legno 767 41 808

Materie analoghe al legno 12 542 554

Cereali 304 49 353 270 21 291

Frutti, verdura, semi 4 - 4 - - -

Prodoti animali 23 1 24 9 - 9

Spoglie animali 269 1 270 275 8 283

Carta 17 10 27 1 - 1

Industrie che lavorano e utilizzano i metalli 282 1 283 361 0 361

Successive lavorazioni dei metalli comuni 234 - 234 320 - 320

Costruzioni meccaniche e grosse costruzioni metalliche per l'agricoltura e i trasporti

33 - 33 34 - 34

Altre costruzioni meccaniche e lavorazione dei metalli preziosi

15 1 16 7 - 7

Industrie che lavorano i minerali e costruzioni edilizie, stardali, idrauliche

1142 45 1187 1356 9 1364

Preparazione e lavorazione dei minerali 587 39 626 183 3 185

Costruzioni edilizie, stradali e idrauliche 555 6 561 1173 6 1179

Industrie che lavorano e utilizzano le fibre tessili 303 903 1206 269 832 1101

Seta 8 271 279

Lino 1 1 2

Tessuti speciali 2 8 10 1 9 10

Vestiario e arredamento domestico 242 623 865 251 754 1005

Lavorazione di fibre non specificate 50 - 50 - - -

Industrie chimiche 59 2 61 7 - 7Industrie e servizi corrispndenti a bisogni collettivi

221 21 242 449 19 468

Industrie poligrafiche 16 - 16 19 3 22Produzione e distribuzione di forza motrice, luce, acqua e calore

12 - 12 27 - 27

Trasporti 188 21 209 403 16 419Servizi pubblici riguardanti l'igene, la sanità e l'estinzione di incendi

5 - 5 - - -

Industrie non specificate - - - 260 34 294

86

Professioni o condizioni suddivise per categoria

Censimento 1921Censimento 1911

876 284 1160

17 69

Tabella 20 Professioni o condizione della popolazione del distretto di Cividale suddivisa

per categoria secondo i dati dei censimenti del 1911 e del 1921.

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Fonte: Rielaborazione da .M.A.I.C., Censimento della popolazione al 10 giugno 1911, IV,

Roma 1915, pp. 346-349 e M.A.I.C.; Censimento della popolazione 1921 cit., pp. 360-385.

Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

Commercio 632 495 1127 779 332 1111

Venditra di merci e derrate all'ingrosso e al inuto 261 252 513 250 78 328

Vendito di merci e derrate non specificate 58 - 58 171 75 246

Esercizi pubblici 242 242 484 230 177 407

Credito e cambio, assicurazione, mediazione, commissioni, rappresentanze commerciali

71 1 72 128 2 130

Amministrazione pubblica e privata, professioni liberali

946 771 1717 1310 915 2225

Amministrazione pubblica 84 8 92 80 1 81

Amministrazione privata 14 - 14 20 2 22

Domestici e lustrascarpe 78 615 693 77 554 631

Difesa del paese 468 - 468 842 842

Culto 154 28 182 123 59 182

Insegnamento 63 93 156 52 229 281

Professioni sanitarie 33 25 58 48 66 114

Professioni e aziende legali 19 - 19 15 15

Lettere e scienze applicate 27 - 27 44 2 46

Arti belle 6 2 8 9 2 11

Condizioni non professionali 1945 9943 11888 2335 14359 16694Professioni e condizioni non specificate - - - 227 - 227

26008 25940 51948

Professioni o condizioni suddivise per categoria

Censimento 1911 Censimento 1921

Totale 21327 23462 44789

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Dai dati dei censimenti si possono trarre significative considerazioni circa le

dinamiche industriali del Cividalese. Nel 1871 l’ammontare complessivo di

occupati nell’industria era di 3.070, cifra che salì a 5.474 nel 1911 e che si attestò

a 5.369 nel 1921. Nell’ultimo decennio, a causa anche degli eventi bellici,

l’attività industriale subì una significativa flessione. Tale tendenza è ancor meglio

percepibile confrontando il numero di addetti rispetto al totale della popolazione:

se nel 1871 i 3.070 addetti al settore industriale rappresentavano circa l’8 per

cento della popolazione complessiva, nel 1911 si raggiungeva la soglia del 12 per

cento, che diminuiva a poco più del 10 per cento nel 1921.

Nel settore primario la situazione mutò, segnando un incremento

complessivo degli addetti. Dal 1871 al 1911 la percentuale di persone impiegate

nell’agricoltura passò dal 37,5 per cento al 55,3 per cento, mentre nel 1921 si

collocò attorno al 51,2 per cento. È interessante notare come buona parte

dell’incremento degli occupati del settore sia derivato dall’aumento delle donne

dedite all’attività agricola, le quali passano dal 25 per cento del 1871 al 43 per

cento dell’11, per poi ridiscendere al 34,4 per cento nel ’21. L’occupazione

femminile raggiunse il punto di massima espansione nel primo decennio del

Novecento, contraendosi poi nel periodo bellico e postbellico. Complessivamente

tra il 1911 e il ’21 le donne senza una condizione professionale aumentarono di

4.400 a fronte di un aumento complessivo della popolazione femminile di poco

inferiore alle 2.500 unità. La fuoriuscita delle donne dal mondo del lavoro si

verificò in misura maggiore nel settore dell’agricoltura, ma anche i comparti

tessile, della lavorazione del legno e dei prodotti affini furono molto penalizzati.

L’attività industriale del distretto, sebbene non in espansione, presentava

alcune interessanti realtà. Oltre ad alcuni opifici tessili di cui si è già detto, una

delle maggiori attività industriali di Cividale sorse nel 1910 ad opera della Società

italiana dei cementi, che costruì nelle immediate adiacenze della stazione

ferroviaria uno stabilimento per la produzione di cemento Portland. Lo sviluppo di

questo comparto si consolidò nei primi anni del Novecento. Grazie agli studi che

il Malignani dedicò a questo tipo di produzione, vennero scoperti nel Cividalese

in zone limitrofe delle valli del Natisone alcuni importanti giacimenti marnosi.

L’elevata qualità della materia prima avrebbe consentito di ottenere ottimi

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prodotti finiti: si decise così di dare il via a una consistente produzione di cementi.

L’intero comparto si sviluppò in tempi rapidi, arrivando a contare nel dopoguerra

circa 1.000 addetti. A Cividale, nonostante la guerra avesse semidistrutto la

fabbrica, l’attività si sviluppò con notevoli investimenti. Il numero di operai

impiegati in un primo momento raggiunse le 250 unità, crescendo con il passare

degli anni e con l’aumento della produzione. Una crescita che secondo alcuni

avrebbe dato la possibilità di porre parzialmente rimedio alla disoccupazione

operaia e all’emigrazione locale107.

Un’ulteriore realtà industriale con l’investimento di capitali locali fu

l’opificio della società “Stabilimenti estratti tannici” che nel 1923 investì in

macchinari, terreni e strutture ben 3.000.000 di lire per la produzione di estratti da

concia. Impiegati nella fabbrica erano 100 operai. La produzione di ottima qualità

diede lustro in brevissimo tempo all’azienda che riuscì a vendere i suoi prodotti

sia nel Regno che all’estero.

Accanto a queste attività proliferò una moltitudine eterogenea di realtà di

tipo artigianale, numerose attività commerciali e diversi mercati di merci e

bestiame.

Eccetto pochi singoli casi, il tessuto economico cividalese non sembrò

essere connotato da decise spinte in direzione di un cambiamento. Si potrebbe

ritenere l’assetto economico della città equilibrato e composito allo stesso tempo.

La presenza industriale, come già nella prima metà dell’Ottocento, non prese il

sopravvento sulla produzione agraria che mantenne la propria posizione di

predominio. L’attività agricola, con il nascere dell’industria e con il suo sviluppo,

non perse assolutamente il suo ruolo né indebolì il suo peso nell’economia del

distretto. In realtà bisogna anche rilevare una certa resistenza latente al

cambiamento, a causa dell’influenza che alcuni ambienti economici e religiosi

avevano sulla popolazione. Emblematico è il caso del comparto agricolo, mai

supportato da un sistema finanziario adeguato alle esigenze dei contadini del

distretto.

107 RIEPPI, Forum Julii, cit., pp. 140-141

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CAPITOLO III

LA NASCITA DELLA SOCIETÀ OPERAIA DI MUTUO SOCCORSO DI

CIVIDALE E I SUOI PRIMI ANNI DI ATTIVITÀ

1. La nascita della Società Operaia di Cividale.

La nascita della Società operaia di mutuo soccorso di Cividale si lega al

processo di graduale espansione dei confini del Regno d’Italia. Solo con

l’annessione nel 1866 dei territori friulani al Regno infatti cominciarono a

diffondersi in molte località della provincia le istituzioni mutualistiche. Cividale

non rimase indifferente a questo processo di sviluppo delle istituzioni sociali. La

redenzione politica del Friuli fece affiorare nelle coscienze dei i più “illuminati”

una spinta riformatrice e innovatrice, che avrebbe permesso anche ai nuovi

territori di rinascere sia economicamente sia culturalmente.

L’artigianato locale e la popolazione contadina stavano vivendo una grave

crisi, legata alla completa mancanza di forme d’assistenza, di tutela del lavoro e di

formazione professionale. Lo scarso sviluppo intellettuale delle classi meno

abbienti indusse quanti erano più sensibili a tali problemi a di dotare le comunità

cittadine di strutture in grado di soddisfare, anche solo parzialmente, le nuove

esigenze dei lavoratori.

Iniziative per la creazione di un’associazione che raccogliesse attorno a sé il

numero più ampio possibile di operai e artigiani erano state avviate diversi anni

prima della costituzione ufficiale. Le prime notizie ufficiose a tale riguardo

risalgono al 1865, ancora nella fase della dominazione austriaca. Cronisti

dell’epoca informarono alcune notizie sull’impegno profuso da cittadini di

Cividale e di Pordenone per dar vita a società di mutuo soccorso tra gli artieri108.

108 Società di mutuo soccorso pegli artieri in Udine, «L’artiere Udinese», 30 luglio 1865, p. 33.

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Gli studi effettuati portarono alla stesura di uno statuto, successivamente inviato a

Venezia per ottenerne l’approvazione delle autorità. Salve poche modifiche, lo

statuto fu redatto in conformità a quello che reggeva la Società di mutuo soccorso

di Venezia. Questa carta statutaria era stata infatti approvata dal governo austriaco

e proposta come modello nelle altre province. Tuttavia questo iniziale tentativo di

costituire una società di mutuo soccorso in Friuli non portò in un primo momento

a risultati concreti. Le risposte delle autorità tardarono e la medesima sorte toccò

poi all’iniziativa intrapresa dai pionieri del mutuo soccorso di Udine. I tempi

lunghi della burocrazia fecero scemare molto spesso l’iniziale entusiasmo e

lasciarono cadere nel dimenticatoio le buone idee e i buoni propositi. In altre

province venete la situazione era differente: la Società di Vicenza, presieduta da

Fedele Lampertico, nel 1865 contava più di mille soci e anche a Venezia

esercitavano la loro attività 4 società che raccoglievano più di 500 soci. La totale

mancanza di società di mutuo soccorso in Friuli prima della liberazione non

sembra dunque attribuibile a una mancanza di iniziativa da parte dei lavoratori,

ma a una precisa volontà politica del governo austriaco. A questa volontà si

associava la lentezza con cui i municipi, sotto la cui ala sarebbero dovute nascere

le società, procedevano nell’evadere le necessarie formalità109.

La stampa friulana esortò tutte le forze produttive a sostenere la causa del

mutuo soccorso, offrendo non solamente contributi ideali ma anche e soprattutto

finanziari. Queste tesi furono sostenute con vigore anche da Pacifico Valussi,

all’epoca direttore del Giornale di Udine e parlamentare eletto nel collegio di

Cividale. Valussi, che godeva della stima di Quintino Sella di cui aveva ripreso in

Friuli il progetto politico, sottolineò in vari interventi il ruolo delle società di

mutuo soccorso, quali istituti volti al bene comune e alla crescita socioculturale

della popolazione. In particolare, avuta notizia nel 1869 del tentativo di costituire

una società a Cividale, non mancò di elogiare i cittadini resisi promotori

dell’iniziativa110. In realtà sia per il Valussi che per il Sella la funzione di questi

istituti doveva essere quella di fornire una soluzione alternativa all’intervento

109 Parole e fatti, «L’artiere Udinese», 8 ottobre 1865, p. 113.110 «Giornale di Udine», 12 agosto 1869.

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dello Stato nel settore della previdenza e dell’assicurazione contro gli infortuni sul

lavoro e la malattia; uno strumento per evitare l’esplosione delle rivendicazioni

operaie e la diffusione di idee socialiste che, anche in queste zone, si andavano

diffondendo con rapidità. L’intero mondo liberale vide di buon occhio

l’espansione delle società operaie nel Paese, auspicandone l’apporto in materia

d’istruzione e soccorso dell’operaio. L’attività di questi sodalizi copriva un vuoto

dello Stato liberale dell’epoca, il quale non ipotizzava ancora un intervento diretto

in questa materia. Il ruolo e gli scopi del sodalizio, dato il loro lodevole fine, non

potevano essere avversati da alcuno schieramento politico. Il problema riguardava

semmai il modo con cui attuare gli scopi sociali, ambito, questo, in cui anime

diverse, con programmi e visioni differenti, si scontravano all’interno dei consigli

e nelle assemblee delle singole società. La separazione interna al movimento

liberale tra moderati e democratici e la presenza rilevante in alcune zone delle

forze clericali determinarono scontri vivaci all’interno delle società. A farne le

spese spesso erano le società stesse, che, dovevano mediare tra posizioni

contrapposte, assumevano talora decisioni di compromesso scarsamente efficaci.

Inoltre questi scontri spesso rischiavano di radicalizzare il conflitto, contribuendo

ad accrescere l’isolamento delle società e la diffidenza della comunità verso

queste iniziative. Questo e altri problemi affiorarono nel periodo immediatamente

successivo alla costituzione del sodalizio cividalese.

La prima riunione pubblica che coinvolse un cospicuo gruppo di cittadini si

svolse il 6 agosto 1869. All’assemblea, tenutasi presso la Birreria nazionale,

l’avvocato Pietro Brosadola, nominato per acclamazione presidente

dell’adunanza, ricordati brevemente i benefici delle società di mutuo soccorso,

chiese ai numerosi intervenuti di deliberare circa l’opportunità di costituire un

simile sodalizio anche a Cividale. Accolta la richiesta, fu nominata una

commissione di dodici membri scelti tra le varie arti, con il compito di raccogliere

le firme di tutti coloro che avessero manifestato l’intenzione di iscriversi al

sodalizio111. L’iniziativa intrapresa destò vivo interesse e motivo di grande

111 ASC, cart. 1: Atti amministrativi, fasc. 1: Anno 1869, doc.: Verbale assemblea del 6 agosto

1869.

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soddisfazione da parte di tutti coloro che vedevano nella nascita della Società una

opportunità per potersi affrancare da una condizione di subalternità sia culturale

che economica. In realtà l’entusiasmo iniziale ebbe vita breve e l’azione

“guastatrice” di alcune forze molto radicate nella società civile non tardò a farsi

sentire.

Gettate le fondamenta del nascente sodalizio, l’attenzione dei promotori si

rivolse alla stesura dello statuto e alla nomina delle cariche sociali, incombenza

delicata che avrebbe in buona parte condizionato il successo dell’iniziativa. Nello

statuto si sarebbero infatti inserite le regole per lo svolgimento dell’attività, sia in

campo mutualistico che sociale. A tale scopo il 14 ottobre la commissione

convocò, a mezzo di avviso pubblico alla cittadinanza, un’assemblea per il 18

dello stesso mese, nella quale si sarebbe proceduto all’approvazione del nuovo

statuto e all’elezione del presidente della Società. Si ricordava inoltre ai cittadini

che nei principali luoghi pubblici della città era possibile associarsi al nuovo

sodalizio, apponendo la propria firma, sia come soci “protettori” sia come

“effettivi”. Il 18 ottobre furono raccolte le firme di coloro che si rendevano

disponibili ad aderire all’iniziativa. Le adesioni raccolte sino a quel momento

furono 153, di cui molte però erano condizionate alle disposizioni statutarie

regolanti il funzionamento della Società112: ciascun socio, infatti, si riservava la

possibilità di ritirare la propria firma fino all’approvazione dello statuto.

Persisteva in molti sottoscrittori qualche perplessità sulla Società e su chi se ne

avrebbe assunto la guida, segno evidente che il sodalizio non nasceva

completamente affrancato da vincoli e da pressioni di gruppi diversi connotati in

senso liberale moderato, progressista e cattolico.

Nel corso della riunione del giorno 18 ottobre intervennero 72 sottoscrittori

e i lavori si incentrarono sulla nomina delle cariche sociali113. Su proposta

dell’avv. Antonio Pontoni fu nominato presidente interinale della società Gio.

Batta Vuga e, su proposta di quest’ultimo, segretario Brosadola. Si approvò quindi

112 ASC, cart. 1: Atti amministrativi, fasc. 1: Anno 1869, doc. Dichiarazione di sottoscrizione.

Elenco delle firme.113 ASC, cart. 1: Atti amministrativi, fasc. 1: Anno 1869, doc. Verbale assemblea 18 ottobre 1869.

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la nomina della commissione per lo statuto, che si sarebbe dovuta comporre di 4

membri eletti dall’assemblea e di un presidente. Uno dei soci, Zanuttigh

Ferdinando, eccepì l’inutilità della commissione, in quanto sarebbe stato

sufficiente modificare uno degli statuti già in uso in Lombardia da molti anni. Il

segretario respinse la richiesta senza che alcuno intervenisse ulteriormente

sull’argomento. Si nominò quindi la commissione, il cui presidente risultò il dott.

Paolo Dondo114. Un gruppo di soci pose al giudizio del segretario una questione di

legittimità circa l’elezione per acclamazione del presidente, aprendo in seno

all’assemblea un lungo dibattito sulle regole per le votazioni. Alcuni ritenevano

necessario introdurre il voto a scrutinio segreto, altri procedere per voto palese.

L’assemblea approvò quindi la proposta del segretario che stabilì il voto

preventivo dell’assemblea sulle regole da adottare nelle votazioni.

I lavori della commissione non furono particolarmente lunghi, tant’è che a

distanza di meno di un mese dalla nomina fu possibile discutere la proposta di

statuto avanzata dagli incaricati. Le assemblee si concentrarono nella settimana tra

il 17 e il 23 novembre e raccolsero ogni sera presso la Birreria nazionale numerosi

sottoscrittori. Nel corso di queste assemblee gli interventi si susseguirono

numerosi e spesso fu difficile discutere più di una decina di articoli per sera. Tra

le questioni che maggiormente coinvolsero i presenti vi furono quelle legate

all’elargizione dei sussidi in caso di malattia. Alla posizione di alcuni soci, fautori

della necessità di una maggiore generosità verso i bisognosi di e minore rigidità

nella concessione dei sussidi115, rispondeva la commissione raccomandando

prudenza e serietà, specie nella prima fase di vita del sodalizio116. Inoltre

l’assemblea cassò la proposta di offrire sussidi anche nel caso di mancanza di

lavoro e di istituire un ufficio per procurare impiego ai soci presso i capibottega

della città. Questa indicazione, benché in sintonia con i principi ispiratori della

114 I membri eletti nella commissione erano i signori Piani Giuseppe con 56 voti, Cirant Antonio

con 52, Piutti Lorenzo con 44 e Braida Edoardo con 38 preferenze (Ibid.).115 In particolare ci si riferiva al disposto dell’art. 22 che prevedeva l’accertamento della

condizione di bisogno del socio e fissava un importo del sussidio definito e uguale per tutti.116 ASC, cart. 1: Atti amministrativi, fasc. 1: Anno 1869, doc.: Verbale assemblea del 18 novembre

1869.

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società e utile ad allontanare i dissapori che sarebbero potuti nascere tra i soci, fu

considerata dannosa perché avrebbe messo la rappresentanza sociale in

difficoltà117.

Il 23 novembre le assemblee si conclusero con l’approvazione finale degli

88 articoli definitivi dello statuto e delle norme transitorie. Il giorno 26 novembre

la presidenza interinale della Società invitava tutti i soci e i cittadini che avessero

voluto prendere parte al sodalizio a intervenire all’assemblea per la votazione

degli uffici provvisori della Società ai sensi delle norme del nuovo statuto. A tale

riunione furono votati i 18 membri del consiglio e il vicepresidente. Quest’ultima

carica fu affidata all’avv. Dondo118, mentre le schede con i nomi dei consiglieri

furono spogliate il giorno successivo119. Sempre nella stessa data fu stabilita come

sede provvisoria della Società casa Hoffmann, in via Ristori.

A partire dal 3 gennaio 1870 si cominciarono a raccogliere le domande

d’ammissione a soci complete e definitive, invitando pertanto anche i soci che

sino a quel momento si erano iscritti come soci provvisori a regolare la propria

posizione. Con la successiva assemblea, svoltasi in data 20 marzo, furono

confermate le cariche sociali di tutti gli organi e il sodalizio divenne ufficialmente

operativo. La sottoscrizione definitiva del patto sociale contò 185 soci “operai”, di

cui 12 donne120.

L’entusiasmo iniziale con cui molti cittadini avevano aderito all’iniziativa si

smorzò già nel corso del primo anno di vita del sodalizio. Al termine del 1870 gli

iscritti scesero a 91, dimezzandosi rispetto al mese di marzo. L’emorragia

continuò anche l’anno successivo e al termine del 1871 i soci rimasti erano 53121.

117 ASC, cart. 1: Atti amministrativi, fasc. 1: Anno 1869, doc. Verbale assemblea del 16 novembre

1869.118 ASC, cart. 1: Atti amministrativi, fasc. 1: Anno 1869, doc. Verbale assemblea del 26 novembre

1869.119 ASC, cart. 1: Atti amministrativi, fasc. 1: Anno 1869, doc. Verbale assemblea del 27 novembre

1869.120 SOMSI, 40 anni di vita della Società operaia di mutuo soccorso e istruzione di Cividale,

Cividale 1911, p. 6.121 Idid., tavole.

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Nel 1870 la politica italiana dovette affrontare la spinosa questione dei rapporti

Chiesa-Stato. L’ingresso a Roma dell’esercito nel settembre segnò la fine del

potere temporale dei papi. Nello stesso anno nel collegio di Cividale le elezioni

politiche videro l’affermazione netta del nobile avvocato Giovanni De Portis, già

sindaco della città, che espresse una posizione di moderata apertura nei confronti

del mondo cattolico, visto in quella fase storico-politica come nemico dell’unità

italiana122. Il sostegno a posizioni apertamente anticlericali non avrebbe garantito

l’appoggio degli ambienti ecclesiastici, in quella fase molto influenti in città.

Anche all’interno della Società le posizioni sostenute da una parte dei soci

assumevano una colorazione, a giudizio di alcuni, eccessivamente politica. Lo

dimostrò l’accesa discussione avvenuta nell’assemblea generale per nominare

Garibaldi presidente onorario. Alcuni tra i soci più rappresentativi del sodalizio si

scontrarono sulla questione, chi sostenendo l’importanza di questa decisione, chi

criticandone la convenienza. La scelta inoltre di conferire la presidenza onoraria

della Società a Giuseppe Garibaldi parve ad alcuni un gesto troppo “ardito”, non

opportuno tenendo conto dell’ambiente. La nomina dell’eroe dei due mondi aveva

un chiaro significato politico, sebbene il socio Adolfo D’Orlandi, presentando la

mozione ne avesse escluso una tale finalità123. Probabilmente furono il clima

122 Alla candidatura di De Portis fu contrapposta quella di Antonio Pontoni, avvocato di

Premariacco, che esercitò la professione nel Bellunese e dopo i fatti del ’48 fu mandato al confino

a Cividale. Rappresentante della Sinistra, vagamente progressista, fu consigliere comunale nonché

uno dei primi soci sottoscrittori della Società operaia. Venne eletto alla Camera dei deputati nel

1874 e nel 1876 (C. RINALDI , I deputati friulani a Montecitorio nell'età liberale, 1866-1919,

Udine 1979, pp. 361-362).123 Il dibattito fu particolarmente acceso: vi fu chi chiese il ritiro della mozione, chi sostenne la

totale ininfluenza di tale atto rispetto ai reali interessi della Società (regolare riscossione delle

contribuzioni), chi ritenne necessaria una modifica allo statuto, chi propose il rinvio della

decisione, chi ricordò l’importanza di altre figure altrettanto meritevoli di ricoprire quel ruolo e

chi, infine, propose polemicamente di nominare presidenti onorari della Società i principi di casa

Savoia, cambiando la denominazione del sodalizio con “Società Operaia Reale”. Giunti al voto,

alcuni soci (G. Gabrici, E. Braida, G. Trevisan e G.P. D’Orlandi) si allontanarono dalla sala non

partecipando al voto, in aperto dissenso con la maggioranza dell’assemblea (ASC, cart. 1: Atti

amministrativi, fasc. 2: Anno 1870, doc. Verbale assemblea generale del 12 giugno 1870).

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esterno alla vita della Società operaia e lo scontro interno che suggerirono ad

alcuni iniziali promotori dell’iniziativa mutualistica di prendere le distanze

dall’istituzione. Nel primo periodo di vita non mancarono gli attacchi rivolti ai

dirigenti, colpevoli di voler mischiare la politica con gli scopi nobili del sodalizio.

Dal canto loro questi si difesero a proprio merito i risultati che di mese in mese il

sodalizio raggiungeva e fissando nuovi traguardi nell’interesse dei soci lavoratori

e della collettività124.

2. Aspetti di vita politica a Cividale e nella SOMSI tra fine

Ottocento e inizio Novecento

I primi anni di vita della Società videro dunque contrapporsi elementi del

liberismo sia moderato che progressista con rappresentanti dell’intransigentismo

cattolico. Nelle elezioni amministrative del 1873 si fronteggiarono uno

schieramento liberale e la lista clericale, che riuscì a prevalere. Il caso è

abbastanza singolare, in quanto solo in pochi comuni i clericali partecipavano con

proprie liste nelle competizioni elettorali. Il clima era molto incerto e i dibattiti

politici assai accesi.

Con l’elezione dell’avv. Pontoni al parlamento nel 1874, gli ambienti

liberali più progressisti colsero le prime affermazioni nella città125. Ma la politica

del trasformismo di Depretis tradì l’iniziale spinta riformista che caratterizzò i

primi anni di governo della Sinistra. L’ala più progressista si staccò dunque dallo

schieramento liberale, richiamandosi ai valori originari del riformismo liberale.

Anche sulla stampa locale cominciò a emergere una distanza sempre maggiore tra

gli esponenti vicini al Depretis e l’ala di parte progressista. Alla candidatura di

124 P. TURCO, Appunti su alcuni problemi di storia della Società operaia di Cividale, in Cenni

storici cit., p. 31-32.125 L’avv. Pontoni fu uno dei soci promotori della Società operaia di Cividale

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Vincenzo Bassecourt126 nel collegio di Cividale nel 1880, i progressisti

cominciarono a contrapporre propri candidati, peraltro con scarsi risultati. Nel

frattempo alcuni esponenti di prima fila della Società operaia cominciarono a

ottenere il consenso cittadino anche sotto il profilo politico. Nel luglio 1886 fu

infatti nominato sindaco Giacomo Gabrici, allora presidente della SOMSI. Il ruolo

che sarebbe spettato al giovane industriale era quello di “estirpare dal Consiglio

comunale il seme della discordia”, ridonando tranquillità alla vita amministrativa

e politica del Comune127.

La successiva elezione nel 1890 di Luigi De Puppi128 alla Camera dei

deputati segnava l’affermazione del liberalismo conservatore ma, allo stesso

tempo, l’ascesa del movimento radical-liberale-democratico cividalese, i cui

esponenti di maggior spicco erano l’avv. Carlo Podrecca, l’avv. Antonio Pollis e

Ruggero Morgante, all’epoca tutti soci della SOMSI.

Nel 1895 l’elezione del barone Elio Morpurgo nel collegio di Cividale

vedeva riaffermarsi con autorevolezza la componente cattolica cividalese. Il

Morpurgo, sebbene di origine ebraica, riuscì a costituire un comitato tra i notabili

cividalesi e a ottenere l’appoggio dei cattolici cividalesi che, come in gran parte

del Friuli, sostenevano gli esponenti liberali moderati. A Cividale il sogno delle

forze clericali si coronò nel 1909, quando alle elezioni amministrative comunali

una lista composta dai più illustri esponenti cattolici della città riuscì a

prevalere129. Oltre alla lista clericale, alla competizione elettorale si presentarono

la lista democratica e quella socialista. All’interno di ciascuna lista erano presenti

126 Vincenzo Bassecourt aderì alla Sinistra storica condividendo pienamente le posizioni del

trasformistiche di Depretis (RINALDI , I deputati friulani cit., pp. 183-184).127 Habemus Pontificem, «Forumjulii», 10 luglio 1886.128 De Puppi, che già nelle precedenti elezioni venne indicato come candidato per lo schieramento

conservatore, si schierò nella destra parlamentare. Alle elezioni sconfisse il candidato progressista

cav. ing. Francesco Zampari, illustre esponente della Società operaia di Cividale.129 TESSITORI, Storia del movimento cattolico cit., p. 229.

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elementi della Società operaia, distribuiti in prevalenza nella lista democratica130.

Ciò testimoniava che la Società si poneva al disopra delle parti politiche. I

cattolici riuscirono a eleggere tutti i 16 componenti del loro schieramento, mentre

solo 4 seggi di consigliere comunale furono aggiudicati ai democratici. Fu quindi

eletto sindaco della città l’avv. Giuseppe Brosadola, uno dei più influenti

esponenti del cattolicesimo friulano. Lo scarso favore incontrato in sede elettorale

dai socialisti non rispecchiava l’apprezzamento che essi riscuotevano in seno alla

SOMSI. Nello stesso anno fu infatti chiamato a ricoprire l’incarico di presidente

della Società operaia Ettore Zanuttini, esponente di punta dei socialisti

cividalesi131. Zanuttini ricoprì l’incarico fino al 1925, contribuendo a dare al

sodalizio una connotazione sempre più chiaramente politica. Negli anni seguenti

anche le elezioni politiche confermarono la vittoria dello schieramento liberale

moderato con il Morpurgo, segnando l’affermazione sempre più netta dei cattolici

su socialisti e forze radicali e progressiste132.

Il conflitto politico, particolarmente acceso, tra socialisti e fascisti porterà a

una crisi interna alla Società di mutuo soccorso durante i primi anni del governo

Mussolini. Verso la fine del 1925 le cronache così riferirono:

La Società operaia, infatti, in mezzo al rivolgimento che ha rinnovato l’anima popolare, è

rimasta appannaggio e roccaforte del socialismo cividalese impersonato in una sparuta e torbida

congrega di faziosi i quali, per alcuni mesi, non hanno fatto che attendere il Messia nel cecchino

assassinatore che avrebbe loro permesso di dare sfogo alla cocente brama di vendetta covata nel

cuore settario […] Per la prima volta dunque, domenica scorsa il Fascio prendeva risolutamente

posizione per entrare ufficialmente e decisamente nella vita di questo sodalizio presentando una

propria lista in transigentissima, di candidati per le cariche da rinnovare […] Tale mossa ha

sconcertato i dirigenti della Società, i quali hanno deciso di soprassedere alle annunciate elezioni

130 I soci della SOMSI erano così distribuiti nelle diverse liste: 4 soci su 16 candidati nella lista

clericale, 6 soci su 14 in quella democratica e 3 soci su 4 candidati nella lista socialista. (Elezioni

amministrative, «ForumJulii», 14 agosto 1909).131 Fu inoltre direttore della Banca agricola cividalese fino a quando ne si dichiarò il fallimento

avvenuto nel 192 .132 Il Morpurgo sarà rieletto ininterrottamente nel collegio di Cividale fino al 1919 (RINALDI , I

deputati friulani cit., p. 321).

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per deliberare le dimissioni dei quindici consiglieri che avrebbero dovuto rimanere in carica […]

Poiché mancano le necessarie garanzie per il normale funzionamento dell’Ente; poiché l’attuale

consiglio non rappresenta più l’indirizzo politico del governo […] è bene che questi si ritirino

spontaneamente dalle cariche che ancora ricoprono per dare il passo a coloro che, sono designati ,

ormai, dall’unanime consenso a reggere le sorti del nostro popolo133.

Il clima interno alla Società era mutato e la convergenza delle varie anime

politiche intorno allo Zanuttini non sembrava più così netta134. Fu quindi facile

per i fascisti ottenere le redini del sodalizio, imponendo le dimissioni di tutti i

membri scomodi fino ad allora presenti negli organismi di governo della

SOMSI135. Il ruolo della Società di mutuo soccorso si era in realtà fortemente

ridimensionato. Molte delle competenze in materia previdenziale erano state

trasferite dalle società allo Stato, come ebbe a sottolineare anche il commissario,

nominato dal prefetto, che si occupò dell’amministrazione nel 1926136. La lotta

che pertanto si scatenò intorno al sodalizio e che si concluse con l’abdicazione a

favore delle forze filo governative, assunse più il carattere della battaglia

ideologica che del conflitto su questioni tecniche e organizzative. Lo scopo del

fascismo fu dunque quello di colpire la Società per ciò che essa rappresentava

idealmente, ossia per i suoi valori di democrazia e libertà, tralasciandone il ruolo

sociale ed economico e rendendola poco più che un ufficio alla totale dipendenza

del governo.

133 La crisi della Società operaia di M. S., «Giornale del Friuli», 24 dicembre 1925.134 La figura di Ettore Zanuttini si legherà al processo celebrato, dinnanzi al Tribunale per la difesa

dello Stato, per il fallito attentato al Duce del novembre 1925 da parte di Zaniboni. In particolare,

lo Zanuttini, descritto come “fanatico socialista unitario”, avrebbe partecipato all’attentato

indirettamente garantendo all’attentatore la somma di lire 10.000 per finanziare le spese. Tale

somma sarebbe stata sottratta alla disponibilità della Banca agricola cividalese, fatto questo di cui

l’accusa non si riuscì a dimostrare la veridicità (Ettore Zanuttini dinanzi al Tribunale per la difesa

dello Stato, «La Patria del Friuli», 8 luglio 1927).135 Solo due membri su 20 del consiglio di amministrazione del 1925 furono rinominati nel 1927.136 ASC, cart. 17:Atti amministrativi dal 1926 al 1927, fasc. 1: Anno 1926, doc. Discorso ai

consiglieri e ai sindaci del commissario prefettizio.

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3. Lo statuto della Società Operaia

Uno dei primi problemi che la Società dovette affrontare fu la stesura di uno

statuto che definisse con chiarezza scopi, diritti e doveri dei soci, cariche e organi

sociali, natura dei soccorsi e quant’altro si fosse reso utile per il corretto

svolgimento della propria attività. Lo statuto rappresentava per la Società il

documento fondamentale con cui regolare i rapporti tra gli organi amministrativi e

i soci, una garanzia per gli iscritti circa i diritti che la propria posizione offriva, un

patto sociale con riferimento all’indirizzo e all’attività dell’associazione.

La Commissione nominata per procedere alla stesura della prima versione

del testo statutario, s’ispirò nella sostanza all’impianto normativo inserito nello

statuto della Società udinese, nata nel 1866. Il riferimento esplicito a tale fonte fu

fatto dalla Commissione, nel tentativo di armonizzare il proprio con gli altri statuti

delle associazioni consorelle che già operavano con fini analoghi137.

Lo statuto subì nel corso degli anni delle modifiche, che cambiarono parte

delle iniziali regole poste a fondamento della mutua, sia in senso organizzativo sia

in senso più propriamente tecnico, contabile e finanziario. Di seguito saranno

riportati alcuni dei principali nuclei normativi degli statuti succedutisi nei primi

anni di vita del sodalizio, cercando di offrire un quadro quanto più possibile

esaustivo delle principali norme fissate e delle eventuali modifiche138.

Negli articoli 2 e 3 del primo statuto erano contenuti gli scopi che la Società

si prefiggeva di raggiungere tramite la propria attività. Per le società operaie

sarebbe limitativo considerare come unico scopo perseguito l’attività di mutuo

soccorso. I sodalizi di questo tipo furono impegnati in diverse sfere della vita dei

propri soci, affiancando alla funzione più propriamente mutualistica anche una

serie d’iniziative e interventi volti a elevare intellettualmente e moralmente i

137 SOMSI, Statuto con disposizioni regolamentari della Società di Mutuo Soccorso fra gli operai

di Cividale, Cividale 1869. A chiarimento delle scelte della Commissione per lo statuto, nella

pubblicazione dello statuto fu inserito anche il rapporto di rassegna del progetto, esposto al

presidente della Società da parte del relatore della Commissione.

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propri iscritti. La presenza di altri scopi rendeva queste istituzioni importantissime

nel contesto sociale. Difficilmente si sarebbe potuta ipotizzare una crescita delle

SMS se queste avessero occupato interamente il proprio tempo, e i fondi raccolti,

esclusivamente nel portare aiuti economici ai bisognosi. Affratellati dalla bandiera

comune del mutuo soccorso, tra i soci si sviluppava una rete relazionale che

rendeva le società dei micro sistemi sociali. In questo modo l’aspetto prettamente

economico assumeva un peso sì rilevante, ma non decisivo per il successo e la

crescita dei sodalizi: era necessario offrire, oltre al supporto materiale, anche

nuovi strumenti di crescita per coloro che s’iscrivevano alla Società. Si può quindi

affermare che agli scopi materiali si accompagnavano obiettivi di crescita

intellettuale, morale e in taluni casi di maturazione politica della classe operaia.

L’obiettivo prioritario determinato nell’art. 2 era quello di recare soccorso ai

propri soci, mediante l’utilizzo dei fondi sociali. Tali fondi avrebbero provveduto

ai necessari bisogni della vita del socio, qualora si fossero verificate malattie o

incapacità dovute alla vecchiaia. I fondi erano costituiti con il risparmio degli

operai, che si facevano carico del versamento dei relativi contributi mensili. La

Società realizzò tra i propri soci un grande valore, quello del solidarismo

attraverso la mutualità. Molto spesso il sussidio offerto non era in grado di

garantire il bisogno vitale di sicurezza del socio colpito da malattia o da

infortunio; alle volte era sufficiente a soddisfare solo le spese strettamente

necessarie alla sopravvivenza del socio e della sua famiglia. Nonostante ciò lo

spirito solidaristico dei soci non si affievolì, anzi si consolidò di fronte alla

possibilità di recare anche un piccolo giovamento a chi versava nel bisogno.

Tra le altre iniziative che in concreto la Società si riservava di poter attuare,

vi era quella di accorrere in soccorso delle vedove e delle famiglie dei soci

defunti, qualora si fossero trovate in condizioni di reale bisogno.

La SOMSI si rese inoltre promotrice di diverse iniziative sia di carattere

sociale sia economico. Tra le più importanti si ricordano l’istituzione di un

giardino infantile nel 1876, la fondazione di un Corpo di pompieri nel 1877,

138 In particolare con riferimento agli statuti entrati in vigore nel 1869, 1874, 1880, 1895, 1903 e

1922.

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l’istituzione della Banca popolare cooperativa nel 1886; il tentativo di realizzare

un forno cooperativo nel 1901. Molte altre iniziative di minore rilievo sarebbero

da ricordare.

L’appartenenza alla Società imponeva ai soci anche doveri d’ordine morale.

A fronte delle opportunità che il sodalizio offriva ai singoli soci, era richiesto a

questi ultimi di non mantenere comportamenti pregiudizievoli l’onore della

propria persona, come ad esempio non subire condanne per reati di lucro,

assassinio, tradimento e altri simili. Tra le possibili cause d’esclusione, oltre l’aver

mentito o protratto oltremodo i tempi della malattia, vi era una serie di cause

inerenti al comportamento del socio, il quale per nessun motivo si sarebbe potuto

rendere colpevole di atti volti a screditare e disonorare la Società. Uno degli scopi

maggiormente perseguiti dall’associazione fu di combattere l’alcolismo, una delle

piaghe che più largamente affliggevano la popolazione di estrazione più umile.

Sotto questo profilo furono molte le battaglie e l’opera di sensibilizzazione che la

Società pose in essere per cercare di arginare un tale fenomeno, in primo luogo tra

i propri soci, ai quali era imposta una condotta dignitosa e priva d’eccessi139.

L’intento di fornire una adeguata formazione di base e professionale ai

propri soci era diffuso tra tutte le società, anche se nel caso di quella cividalese

l’attività d’istruzione ricoprì uno spazio e fruì di un investimento di risorse

davvero notevoli. Provvedere all’istruzione dei soci e dei propri figli divenne

scopo prioritario, da perseguire con ogni risorsa a disposizione. Tale

convincimento portò nell’arco di pochi anni all’istituzione di una scuola per i soci

e per i loro figli. All’art. 55 del primo statuto sono alcune indicazioni in questo

senso. Tra i diversi compiti che spettavano alla direzione, vi si includevano anche

quelli di curare che si formasse

una Commissione, la quale assum[esse] di riconoscere, se i mezzi di istruzione esistenti in

Cividale [fossero] sufficienti per una istruzione popolare adeguatamente alle esigenze dei tempi; e,

se, ed in quanto ne fosse ritenuto il difetto, la stessa procur[asse] l’opportuno provvedimento a

139 Nello statuto (art. 33) fu stabilito che le eventuali malattie veneree o provenienti dall’abuso di

sostanze alcoliche e le ferite riportate per risse non avrebbero dato diritto ad alcun sussidio

(SOMSI, Statuto con disposizioni regolamentari […] 1869 cit., p. 20).

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seconda delle forze sociali, e della filantropica coadiuvazione de’ sinceri amatori del popolo e del

pubblico bene140”.

E’ qui evidente l’impegno manifestato per la diffusione della cultura e delle

competenze professionali da parte della SOMSI. In particolare è da osservare che

la funzione di istruzione di cui si faceva promotrice la Società non voleva essere

in concorrenza con quella offerta dalle pubbliche scuole, ma integrativa e

accessoria a quanto già offerto dalle istituzioni del Regno (che era peraltro poco).

Per attuare questo progetto la Società ricorse a tutte quelle componenti sociali

animate dalla sincera volontà di migliorare le condizioni delle classi più deboli.

Inoltre si cominciò ad avvertire l’esigenza di organizzare gli insegnamenti

scolastici secondo metodi innovativi per l’epoca, il che significava offrire

all’alunno non solo cognizioni di cultura generale, ma soprattutto competenze

professionali utili nello svolgimento del proprio lavoro.

Oltre a organizzare un’attività scolastica diretta a fini professionali, la

Società operò anche in settori educativi diversi, quali quello musicale, della

cultura popolare e dello sport141.

Tra i vari impegni assunti dai soci vi fu anche quello politico-

amministrativo. Negli statuti della Società non fu mai fatto alcuno specifico

riferimento a propositi di carattere politico che essa si prefiggeva. In realtà le

attività stesse del sodalizio e alcune scelte significative furono un messaggio

chiaro sull’orientamento che la Società intendeva seguire. Alcuni dei soci più

illustri del sodalizio entrarono dagli anni ’80 negli organi amministrativi della

città, sino a giungere a ricoprire numerose cariche di prestigio all’interno della

municipalità. Nel condurre l’attività tipica dell’istituzione si rimase sempre fedeli

al principio secondo cui le società operaie avevano come solo scopo il

140 SOMSI, Statuto con disposizioni regolamentari […] 1869 cit., pp. 26-27.141 La Società di Cividale si rese promotrice e sostenne negli anni il circolo musicale “Jacopo

Tomadini”; come pure la banda cittadina dal 1886 fino al 1923. Nel campo dell’istruzione

promosse nel 1902 la scuola educativa popolare, sostenne la scuola serale per emigranti, favorì

l’università popolare offrendole a disposizione i locali per le lezioni, organizzò incontri e

conferenze su temi di attualità. Nel campo dello sport creò una società di ginnastica, la quale però

non ebbe lunga durata.

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miglioramento materiale e morale delle classi operaie e non quello alimentare la

lotta di classe.

4. I soci

Un carattere distintivo della Società cividalese si ritrova nella qualifica dei

soci. A differenza di quanto accadeva in molte società sorte altrove, a Cividale si

preferì di non individuare differenti tipologie di soci, accomunandoli tutti sotto la

medesima disciplina contributiva. La ragione di questa scelta, ampiamente

discussa in sede di stesura dello statuto, fu motivata con forza in occasione della

presentazione del documento. La distinzione tra soci effettivi e soci onorari fu

evitata sulla base di una serie di informazioni raccolte da altre consorelle circa

l’ordinamento sociale da dare al sodalizio. La Commissione ritenne che la figura

del socio onorario, così come configurata in alcune società, fosse non consona allo

spirito dell’associazione e ai suoi scopi. In pratica il socio onorario, così come

previsto in altri ordinamenti, pur rinunciando al diritto di sussidio ed

impegnandosi ugualmente al versamento delle contribuzioni, manteneva sia il

diritto di voto sia il diritto di eleggibilità alle cariche sociali. Inoltre, anche

nell’eventualità che il socio onorario venisse a trovarsi in precarie condizioni

economiche, era previsto che nulla gli si sarebbe corrisposto nonostante avesse

regolarmente adempiuto l’obbligo di contribuzione. Una tale figura di socio non

poteva quindi che essere espressione dell’aristocrazia benestante dell’epoca. La

rinuncia ai benefici economici derivanti dal versamento delle quote contributive

evidenziava, secondo alcuni, da un lato il fine filantropico di questi soggetti e

dall’altro l’intento di ricoprire all’interno dell’istituzione un ruolo di prestigio o di

responsabilità. Questo tipo di atteggiamento era considerato rischioso, poiché si

temeva potesse snaturare lo spirito e lo scopo della Società. La contribuzione del

socio onorario era vista più come una sorta di carità fatta all’operaio, piuttosto che

una forma di uguaglianza di trattamento tra le parti. Se lo scopo della Società era

di dare la possibilità al lavoratore di risollevarsi anche moralmente dalla

condizione di asservimento in cui si trovava rispetto alle classi sociali più agiate,

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figure di questo tipo avrebbero finito per destabilizzare l’equilibrio sociale

interno.

La Società non volle però escludere a priori la figura del socio filantropo,

prevedendo nello statuto all’art. 5 la possibilità di qualificare come soci ad onore

quanti, pur non partecipando direttamente al mutuo soccorso, svolgevano

prestazioni umanitarie verso la SOMSI e verso i lavoratori bisognosi. A costoro

veniva dunque concessa la titolarità di socio ma svuotata dei suoi contenuti: essi,

infatti, non potevano godere dei diritti elettorali sociali sia attivi che passivi.

Un’ulteriore particolarità concernente la condizione di socio all’interno

della Società cividalese riguarda la qualifica di operaio. A tale proposito la

Commissione volle da subito precisare nell’art. 1 che per operai s’intendevano

tutti gli individui, sia uomini che donne, i quali ritraessero il necessario per i

bisogni quotidiani della vita dall’esercizio di un’arte, industria, commercio,

professione o mestiere. All’interno della Società potevano convivere perciò

l’avvocato con il lavoratore di fabbrica, senza preclusione nei confronti di

chiunque. In questo modo si realizzava un grande principio di democrazia interna

alla SOMSI, anche se una simile valutazione avrebbe potuto comportare non

pochi rischi per la vita del sodalizio. La scelta di non accettare la figura del socio

onorario, associata a una così ampia qualificazione del “socio operaio”, che

conseguenze poteva portare nella vita della Società?

L’insieme delle scelte fatte portò ad una serie di conseguenze non

congetturate a quell’epoca, forse per superficialità o per mancata lungimiranza di

chi predispose lo statuto. In primo luogo non è paragonabile il sacrificio sostenuto

dall’operaio per le contribuzioni rispetto a quello del professionista o del

commerciante. Per il lavoratore salariato l’entità delle contribuzioni incideva

sensibilmente sulla valutazione di adesione alla società, in quanto poteva essere

considerata troppo gravosa in rapporto alla propria condizione, a fronte dello

scarso onere che essa ricopriva in relazione alla condizione economica di altre

figure professionali.142 Non ultimo, vi era un aspetto di carattere psicologico che

142 In alcune annate l’esclusione di soci dovuta al mancato pagamento delle quote mensili fu

particolarmente alta.

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incideva sulle scelte e sulla partecipazione del soci più umili e meno istruiti alla

vita sociale, che vivevano con sudditanza il proprio rapporto con le figure che

all’interno della Società ricoprivano posizioni di maggiore influenza e

responsabilità. Essi naturalmente tendevano a delegare loro le cariche di

rappresentanza e di governo della società. I lavoratori più umili alle volte non

erano, o non si ritenevano in grado di contribuire in modo attivo alla vita sociale,

limitandosi pertanto a fruire dei benefici offerti dalla mutualità in cambio della

propria contribuzione.

Se a queste considerazioni si associa il contenuto di alcune disposizioni

statutarie, che ad esempio prevedevano che il socio ritenuto benestante comunque

non potesse usufruire dei sussidi in caso di malattia, ecco che la figura del socio

onorario, avversata in termini teorici, era, di fatto, legittimata per altra via dallo

statuto.

Il numero dei soci iscritti poteva essere illimitato, e originariamente

potevano presentare domanda d’iscrizione tutti gli operai dei distretti di San Pietro

e di Cividale aventi dimora fissa o abituale nella città. Questa disposizione fu poi

modificata nella successiva edizione dello statuto del 1874, in cui si eliminò il

criterio di provenienza mantenendo esclusivamente quello di residenza.

L’ammissione del socio avveniva con deliberazione votata a scrutinio

segreto dal consiglio. I requisiti che il socio doveva soddisfare per poter essere

ammesso a far parte del sodalizio, oltre a quello già ricordato della residenza,

erano quelli di: a) avere almeno 14 e al massimo 50 anni se uomo143 e almeno 16 e

al massimo 40 anni se donna; b) non essere affetti da malattie che avrebbero

potuto pregiudicare l’esercizio della propria attività lavorativa; c) esercitare una

delle professioni o mestieri qualificanti lo condizione di operaio; d) effettuare il

pagamento della tassa d’ammissione.Su quest’ultimo requisito molto spesso

furono apportate modifiche allo statuto. Nel corso degli anni si assistette a

numerose modifiche dell’importo della tassa d’ammissione e delle contribuzioni

143 Con le modifiche dello statuto del 1903 l’età massima per l’ammissione venne portata a 45 anni

(SOMSI, Statuto della Società operaia di mutuo soccorso fra gli operai in Cividale entrato in

vigore il 1° gennaio 1904, Cividale 1903, p. 6).

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mensili. Le tasse d’ammissione per gli uomini e per le donne erano fissate nei vari

anni come segue:

Per gli uomini:

Età 1870 1874 1880 1895 1903 1922

14 – 20 0.5 0.7 1 1 1 1

20 – 30 1 1.2 1.5 1.5 1.5 2

30 – 40 1.5 1.7 2 2 2 3

40 – 50 2 2.2 3 6 6 6

Per le donne:

Età 1870 1874 1880 1895 1903 1922

16 – 20 0. 0.7 1 1 1 1

20 – 30 1 1.2 1.5 1.5 1.5 2

30 – 40 1.5 1.7 2 4 4 4

La tassa d’ammissione di ciascun socio era dunque commisurata all’età e al

sesso dello stesso. In particolare le somme aumentavano all’aumentare dell’età del

socio, evidentemente per compensare la minore contribuzione che avrebbe offerto

l’iscritto anziano alla costituzione del fondo sociale.

Il socio, una volta iscritto alla Società s’impegnava a rispettare le norme

dello statuto, rinunciando a rivolgersi alle autorità, comprese anche quelle

giudiziarie, in caso di controversie riguardanti i rapporti di diritto-dovere con la

Società144. In questo senso il valore della norma assumeva un significato

particolare, poiché qualificava il contratto d’adesione del socio al sodalizio come

un puro rapporto privatistico, le cui controverse interpretazioni erano sottoposte

esclusivamente alla valutazione degli organi sociali. Con quest’articolo dello

statuto la SOMSI introduceva una norma di autotutela che evitava ogni possibile

ingerenza da parte delle autorità giudiziarie in ordine a eventuali controversie, ma

144 SOMSI, Statuto con disposizioni regolamentari […] 1869 cit., art.17 , pp. 15-16

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allo stesso tempo privava il socio di qualsiasi possibilità di tutela esterna rispetto a

decisioni a lui avverse145.

La discrezionalità concessa in alcuni casi agli organi sociali in rapporto a

scelte e decisioni riguardanti il singolo socio poteva costituire per quest’ultimo un

motivo d’incertezza e preoccupazione. In particolare ci si riferisce alle norme

riguardanti la messa in mora del socio, la sua esclusione dalla società, la

concessione di sussidi per invalidità, l’assegnazione di sussidi alla vedova e ad

altre disposizioni secondo cui le decisioni sarebbero spettate al consiglio, che

avrebbe valutato su parametri molto discrezionali.146

Quanto sino a questo momento osservato deve essere inquadrato nei fini

sociali che la SOMSI si poneva. L’ampiezza interpretativa attribuibile ad alcuni

articoli dello statuto poteva essere spiegata anche come la volontà di non

sottoporre a eccessive rigidità alcune procedure inerenti al soccorso del socio. In

questo senso si potrebbe pensare che alcune norme fossero volutamente

discrezionali, al fine di non dover privare il socio bisognoso della possibilità di

ottenere un sostegno dalla Società o di presentare le proprie ragioni a

giustificazione della sua posizione nei confronti degli organi sociali

Non bisogna dimenticare che lo scopo della Società era quello di garantire

soccorso ai soci che ne avessero avuto bisogno, e che pertanto, se da un lato vi

poteva essere l’interesse a escludere il socio che fraudolentemente cercava di

145 La norma, mutata nella forma ma non nel contenuto, rimase inserita nelle successive versioni

dello statuto. Neanche il riconoscimento giuridico servì a eliminare la possibilità di non

assoggettare le decisioni degli organi sociali all’autorità giudiziaria.146 In riferimento alla concessione di sussidio l’art. 76 dello statuto specificava che: “nel

riconoscere lo stato di bisogno inteso all’art. 22 (il visitatore) non se lo formerà sulle basi di una

indiscreta discriminazione, né esigendo dal socio rivelazioni non spontanee; ma bensì calcolando

con giusta avvedutezza su quella comune opinione, che al momento gira rispetto allo stato

economico del socio medesimo”. E’ evidente il carattere discrezionale e la facile contestabilità da

parte del socio oggetto di decisione, circa le eventuali scelte effettuate dal visitatore della Società.

Nella revisione dello statuto operata nel 1874 questa norma fu abrogata con il relativo

accertamento dello stato di bisogno (SOMSI, Statuto con disposizioni regolamentari della Società

operaia di mutuo soccorso fra gli operai di Cividale giusta la revisione del 1874, Cividale 1874,

pp. 11-17).

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ottenere quanto non gli spettasse, dall’altro il principio ispiratore doveva essere

quello di garantire il più possibile un concreto sostegno. Alcune disposizioni con

il tempo subirono delle modificazioni, riconducendo a un principio di maggiore

equità e certezza le decisioni assunte dalla Società, eliminando le possibili cause

di contestazione da parte del socio.

Un altro carattere distintivo della SOMSI di Cividale risiedeva nella

partecipazione delle donne al sodalizio. Sotto questo profilo emerse da subito lo

spirito riformatore e progressista della Società. La presenza era però limitata alla

sola partecipazione al voto, poiché le donne non potevano essere elette in nessuna

carica o ufficio. In Friuli, secondo l’inchiesta ministeriale del 1878, solo poche

società accettavano le donne come socie147.

Al socio spettava diritto di voto solo se maggiorenne. Dal 1880 il diritto di

voto fu esteso a ogni socio, ma rimase il divieto di eleggere minorenni e donne a

ricoprire cariche sociali. Con le modifiche dello statuto del 1903, che poi sarà

allegato ai documenti per ottenere il riconoscimento giuridico, fu fissata l’età

minima per esercitare il proprio diritto di voto in 18 anni, mentre rimase sino a

quel momento preclusa l’elezione a qualsiasi carica sociale per le donne.

5. Cariche e uffici

Nel primo statuto e nelle successive modifiche furono inserite dettagliate

regole circa il funzionamento e la nomina degli organi e delle cariche sociali.

La nomina del presidente della Società spettava all’assemblea generale,

nella seduta di fine anno. L’elezione avveniva a maggioranza assoluta dei

partecipanti alle votazioni e, qualora non fosse stata raggiunta, si sarebbe

proceduto a un successivo turno di ballottaggio tra i due candidati con il maggior

numero di preferenze raccolte. La carica di presidente, oltre ad essere motivo di

onore per chi la copriva, era fondamentale per la vita della SOMSI. Tra le

attribuzioni conferite al presidente vi erano quelle di direzione sia delle assemblee

che dei consigli di direzione. Accanto a questo compito ve n’era un altro di

147 M.A.I.C., Statistica delle Società di mutuo soccorso. Anno 1878, Roma 1880, pp. 174-177.

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importanza pari se non superiore: quello di rappresentanza della Società in

giudizio e all’esterno. Tale compito si ritiene dovesse essere particolarmente

delicato, poiché l’immagine stessa che la Società avrebbe offerto fuori delle

proprie mura coincideva spesso con quella del suo presidente. Per tale ragione la

scelta del presidente doveva ricadere su persone la cui stima interna ed esterna al

sodalizio fosse la più ampia possibile.

Anche per questo motivo con la revisione dello statuto del 1880 fu

introdotta la figura del presidente onorario, che al pari di quello effettivo non

poteva godere né di diritti di voto né dell’eleggibilità a nessuna carica sociale148.

Nello svolgimento delle proprie mansioni interne alla Società, il presidente oltre a

vigilare sul rispetto dello statuto da parte dei soci, degli organi e degli uffici

sociali, doveva rilasciare i mandati di pagamento sia per i sussidi sia per tutte le

eventuali spese debitamente approvate. Era dunque il primo responsabile anche da

un punto di vista finanziario e contabile, sebbene in questo ruolo coadiuvato da

appositi uffici.

Oltre al presidente era prevista l’elezione anche di un vicepresidente, la cui

nomina in un primo momento venne stabilità con analoga regola prevista per il

presidente. Successivamente tale incarico fu affidato d’ufficio al membro più

anziano della direzione. Con la riforma dello statuto del 1895 la carica di

presidente, come anche quella di membro della direzione, diventerà biennale, e

infine triennale dal 1903.

La direzione, d’emanazione consiliare, era eletta ogni anno per ricoprire

l’incarico di governo del sodalizio, facendosi carico di attuare le deliberazioni

prese dal consiglio. In particolare doveva sovrintendere agli interessi

amministrativi della Società, proponendo ciò che più si riteneva utile per la stessa,

avendo riguardo che i fondi raccolti fossero custoditi con cura e possibilmente

impiegati con profitto. L’orientamento della direzione circa l’impiego delle

somme raccolte non poteva prescindere dal consenso preventivo del consiglio.

Inoltre la direzione operava a stretto contatto con il cassiere della Società, dal

148 SOMSI, Statuto con disposizioni regolamentari della Società di Mutuo Soccorso fra gli operai

di Cividale entrato in vigore col dì 1 dicembre 1880. Cividale 1886, pp. 3-4.

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quale esigeva mensilmente i conti verificandone ovviamente l’esattezza. Era

infine compito di quest’organo provvedere al personale di servizio presso la

Società, al materiale di cancelleria e al mobilio da destinare agli uffici.

Il numero di componenti della direzione, la cui scelta doveva ricadere tra i

membri il consiglio, era fissato originariamente in due persone più il presidente;

successivamente fu elevato a quattro soci con le modifiche statutarie del 1874.

Nel 1880 s’introdusse anche l’obbligo della verbalizzazione delle adunanze tenute

dalla direzione e dal consiglio, pena la nullità dell’adunanza stessa e delle

eventuali deliberazioni prese.

Spettava infine alla direzione la ricerca delle persone ritenute più idonee a

ricoprire gli uffici di medico sociale, cassiere, collettore e segretario, cercando le

persone più meritevoli di fiducia e disposte a ricoprire questi incarichi

possibilmente in maniera gratuita.

Il consiglio in seduta rappresentava l’assemblea della Società, entro i limiti

dettati dallo statuto. Era nominato dall’assemblea generale sulla base dell’esito

delle votazioni e dei risultati riportati da ciascun candidato. Il numero di

consiglieri inizialmente fu fissato in 18, in seguito fu portato a 20. Le sue funzioni

erano quelle di vigilare sul corretto svolgimento della vita sociale, con particolare

attenzione all’amministrazione economica e al decoro dell’istituzione. Il consiglio

si riuniva normalmente ogni due domeniche, salvo casi di particolare urgenza o

gravità. Tra i compiti consiliari vi era quello di nominare i membri della

direzione, i revisori dei conti e i visitatori.

I membri del consiglio, così come il presidente, la direzione, i revisori e i

visitatori, duravano in carica un anno solamente. Le prime disposizioni statutarie

prevedevano inoltre l’impossibilità di rielezione per più di due anni successivi,

con eventualità di deroga solo per i visitatori. Del consiglio non avrebbero potuto

far parte più di quattro soci appartenenti alla medesima arte, industria o

professione. In un secondo tempo le regole per la nomina dei consiglieri

mutarono: mentre precedentemente si nominava l’intero consiglio ogni anno, dal

1875 si sarebbe eletto solo un quinto dei venti membri. La sostituzione per il

primo anno avrebbe riguardato cinque membri estratti a sorte tra quelli eletti nel

’74, ma dagli anni successivi avrebbe interessato i cinque membri tra i più anziani

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di nomina. In questa maniera nell’arco di quattro anni vi sarebbe stata una

completa rotazione dei componenti, anche se in realtà non vi era alcun limite alla

rieleggibilità del socio uscente. Lo scopo di questa norma era di mantenere una

certa continuità nelle scelte e nell’operato della SOMSI, evitando completi

stravolgimenti nella composizione dell’organo più rappresentativo della base

sociale.

Il consigliere eletto sarebbe rimasto in carica per quattro anni, fino a

diventare “anziano” nel consiglio ed essere poi sostituito. Dal 1903 il socio

consigliere decaduto per anzianità non poteva però essere rieletto se non dopo la

pausa di un anno.

La carica di visitatore, che rimarrà in vigore solo per pochi anni, era affidata

dal consiglio ad alcuni soci eletti dallo stesso. Ai visitatori competeva la facoltà di

visita, sorveglianza e controllo in ordine al perdurare delle cause che portavano il

socio a sospendere l’attività lavorativa e a richiedere il sussidio. Nel caso essi

avessero riscontrato delle irregolarità circa la concessione di un sussidio,

avrebbero dovuto informare con solerzia la presidenza della Società. Il visitatore

doveva anche accertare l’effettivo stato di bisogno del socio, effettuando una

classificazione sulla base delle condizioni economiche. I soci erano suddivisi in

ricchi, agiati, in condizioni di mediocrità, di ristrettezza, o poveri. I soci

appartenenti alle prime due classi non avrebbero ottenuto alcun sussidio in caso

d’incapacità al lavoro, mentre per gli altri si sarebbe proceduto con l’erogazione

del sussidio. L’incarico di visitatore fu abolito nel 1874 con la modificazione

dello statuto.

Nel 1895 in ottemperanza alle disposizioni del nuovo statuto, fu costituito

un comitato sanitario composto di cinque membri nominati dal consiglio, il cui

compito sarebbe stato quello di visitare almeno una volta la settimana i soci

malati, vigilando perché seguissero le prescrizioni mediche e fosse loro

regolarmente corrisposto il sussidio. Analogo comitato era previsto anche per le

socie, però con un numero di tre sole visitatrici149.

149 SOMSI, Statuto della Società di mutuo soccorso ed istruzione fra gli operai in Cividale entrato

in vigore il 15 settembre 1895, Cividale 1895, p. 31.

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Questa materia era considerata particolarmente delicata, come dimostra

anche la soppressione e la successiva reintroduzione della figura del visitatore.

L’accertamento delle effettive condizioni per la concessione del sussidio era

indispensabile per evitare che i fondi destinati ai sussidi fossero indebitamente

elargiti, e inoltre costituiva un mezzo per verificare la correttezza e l’onestà del

socio che, qualora avesse mentito, si sarebbe esposto al provvedimento di

esclusione dal sodalizio.

Tra le altre cariche previste dallo statuto bisogna accennare a quella dei

revisori dei conti, che avevano l’obbligo di visionare la contabilità della Società

con cadenza mensile, segnalando eventuali errori e verificando la corrispondenza

delle uscite e delle entrate con le pezze giustificative. Dovevano inoltre

predisporre il resoconto annuale sull’andamento dei conti del sodalizio. Altro

compito molto importante era ricoperto dai collettori e dal cassiere. I primi si

occupavano di riscuotere le mensilità a carico dei soci, rilasciando ricevuta

dell’avvenuto pagamento, mentre il cassiere aveva l’obbligo di effettuare i

pagamenti autorizzati dal presidente e di gestire il denaro contante. Il segretario si

occupava di conservare e custodire i documenti e gli atti della direzione, di

redigere il verbale delle adunanze del consiglio e dell’assemblea, di tenere la

corrispondenza d’ufficio e di produrre le statistiche riguardanti la Società. Qualora

avesse svolto il proprio incarico gratuitamente, avrebbe avuto la possibilità di

essere coadiuvato nel suo ufficio da un supplente segretario. Con lo statuto del ’74

al segretario fu conferito anche il diritto di voto consultivo. Infine l’ultimo ufficio

era costituito dal medico sociale, che aveva come principale incombenza quella di

praticare la visita medico-sanitaria a tutti i soci malati e a coloro che intendevano

entrare a far parte della SOMSI. Al termine della visita era rilasciato il certificato

medico, da utilizzare come giustificativo per la richiesta del sussidio o per

certificare l’assenza di particolari patologie negli aspiranti soci.

La durata delle cariche e degli uffici, con l’eccezione dei revisori, era in un

primo momento illimitata, salvo la facoltà della Società di revoca. I revisori

duravano in carica un solo anno. Con le modifiche del 1880, lo statuto prevedeva

che la durata di ogni carica e ufficio non fosse superiore a un anno con scadenza

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al 31 dicembre, fatta eccezione per il segretario che poteva rimanere in carica per

tre anni150.

Nello statuto entrato in vigore il 1° gennaio 1904 fu inserito, tra i vari uffici

della Società, il bidello della Scuola d’arte e mestieri, che lavorava alle dirette

dipendenze della SOMSI e doveva attenersi strettamente al regolamento

predisposto dal consiglio.

Sempre con lo stesso statuto si estendeva a cinque anni la durata di ciascun

ufficio della Società, a eccezione di quello legato al comitato sanitario, la cui

nomina era annuale. In tutti i casi rimaneva la possibilità di riconfermare nei

propri uffici i rispettivi titolari.

6. La legge Berti sul riconoscimento giuridico delle società di

mutuo soccorso

La legge che portò al riconoscimento giuridico delle società operaie ebbe un

iter lungo e travagliato. La definitiva soluzione del problema si ebbe solo nel 1886

con l’approvazione del progetto dell’allora Ministro dell’agricoltura industria e

commercio Domenico Berti.

La questione del riconoscimento giuridico delle SOMSI si presentò sin dai

primi anni di vita di queste istituzioni. All’interno del movimento mutualistico le

posizioni sull’argomento erano diverse. Alcuni sostenevano la necessità di

concedere la personalità giuridica a tutte le società che ne avessero fatto richiesta,

semplicemente con la registrazione presso gli uffici del proprio comune, sul

modello della legge in vigore in Inghilterra. Altri erano dell’opinione che lo status

di persona giuridica per le associazioni mutualistiche si sarebbe dovuto concedere

solo su richiesta dei sodalizi; istanza da sottoporre al vaglio di un’apposita

commissione nominata dalle stesse società, la quale valutate le caratteristiche

delle richiedenti avrebbe dovuto esprimere parere favorevole o contrario.

Il primo progetto di legge presentato in Parlamento nel 1877 sul

riconoscimento giuridico, firmato dal ministro Majorana, muoveva in quest’ultima

150 Ridotti a due con le modifiche del 1895.

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direzione. Nel disegno del ministro era previsto il rispetto di precisi requisiti da

parte di ciascuna società che avesse voluto ottenere la personalità giuridica:

l’attinenza al mutuo soccorso degli scopi del sodalizio, il mantenimento del libro

dei soci e delle tavole di malattia e mortalità e l’indicazione del tasso d’interesse

adottato per le tariffe applicate. Il motivo di questa rigidità era giustificato dalla

necessità di tutela dei singoli iscritti, ma allo stesso tempo non teneva conto della

realtà delle singole società. Queste molto spesso si reggevano sulla semplice

attività volontaristica di alcuni soci e di alcuni filantropi, ai quali non era

opportuno richiedere un numero elevato di adempimenti amministrativi151.

Nel dibattito svoltosi in occasione del primo congresso delle società di

mutuo soccorso, tenutosi a Bologna nel 1877, la maggioranza dei delegati delle

377 operaie convenute si espresse a favore di un modello simile a quello inglese,

secondo il quale, con l’iscrizione al municipio della propria città, si sarebbe

garantito lo status giuridico alla società. In questo caso la personalità giuridica

non diventava una concessione dell’autorità, ma un semplice atto dovuto,

indipendente dal parere favorevole o meno di qualsiasi tipo di commissione

all’uopo costituita.

L’orientamento contrario, espresso in quella sede, rispetto al contenuto del

progetto ministeriale fece in modo che il disegno di legge non arrivasse neanche

alla discussione parlamentare. L’approvazione di quel progetto, la cui

impostazione era avversata dagli stessi beneficiari, sarebbe stato un atto

politicamente poco opportuno per il Parlamento, specie in considerazione

dell’importanza assunta dal mutuo soccorso in Italia152.

Nel 1880 il Congresso nazionale delle società operaie, svoltosi a Bologna,

discusse nuovamente il problema relativo al riconoscimento giuridico delle

151 L.GHEZA FABBRI, Solidarismo in Italia tra XIX e XX secolo, Torino1996, pp. 27-28.152 Ibid, p. 28. La partecipazione degli onorevoli Sella e Luzzatti al convegno di Parigi sulle

istituzioni di previdenza sociale tenutosi nel 1878 dimostrò l’interesse con cui il mondo politico

guardava a queste istituzioni. In particolare lo stesso Luzzatti sottolineò il ruolo delle società di

mutuo soccorso, considerate istituzioni utili alla crescita morale e civile delle classi più deboli (L.

LUZZATTI, La diffusione del credito e le banche popolari, a cura di P. PECORARI, Venezia 1997,

pp. 108-117).

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istituzioni, prendendo in analisi il progetto di legge Miceli. In questo disegno di

legge erano previste tre sole condizioni necessarie e sufficienti per ottenere la

personalità giuridica: a) la congruità dei contributi richiesti ai soci in rapporto ai

sussidi e alle pensioni promesse; b) un numero di soci minimo tale da garantire il

probabile verificarsi delle medie statistiche sulla cui base erano promessi gli

emolumenti; c) la separazione dei libri contabili e dei fondi in base ai diversi rami

di attività della società. Lo scopo di questi paletti era che le società di mutuo

soccorso si dotassero di strumenti tecnici e professionali da utilizzare nel settore

dell’assistenza e dell’assicurazione153.

Il progetto fu approvato in Senato, ma successivamente, giunto al vaglio

della Camera, venne contrapposto ad un progetto della Commissione consultiva,

nel quale si prevedeva il superamento del rispetto dei parametri tecnici. La

discussione si arenò nuovamente e per l’approvazione della legge fu necessario

aspettare ancora alcuni anni.

Nel 1886 fu definitivamente approvata dal Parlamento la legge n. 3818 sul

riconoscimento giuridico delle società di mutuo soccorso, meglio nota come legge

Berti. Con questo provvedimento l’ottenimento della personalità giuridica si

basava sull’esistenza di un’unica condizione necessaria e sufficiente: la “finalità

di mutuo soccorso”. Il significato di questa dicitura era contenuto nell’art. 1 del

provvedimento, secondo cui il conseguimento della condizione legale di persona

giuridica era vincolato al perseguimento di almeno uno tra i seguenti fini:

assicurare ai soci un sussidio nei casi di malattia, d’impotenza al lavoro o di

vecchiaia, oppure soccorrere le famiglie dei soci defunti.

Non erano queste le uniche attività che una società di mutuo soccorso

poteva svolgere. Era previsto dall’art. 2 che i sodalizi potessero cooperare

all’istruzione dei soci e delle loro famiglie, che dessero un aiuto per acquistare di

attrezzature di lavoro e infine esercitassero ogni altro ufficio proprio delle

istituzioni di previdenza economica. Per fare questo genere di attività era

necessario che ciascuna società indicasse distintamente l’ammontare della spesa e

il modo in cui si sarebbero raccolti i fondi necessari, affinché il patrimonio della

153 GHEZA FABBRI, Solidarismo in Italia cit., p. 30.

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società non fosse dissolto in attività estranee a quelle previste dalla legge e dallo

statuto dell’associazione. Questo aspetto della normativa frenò l’orientamento

delle società di richiedere il riconoscimento giuridico. In alcune realtà

l’impossibilità di effettuare spese estranee al fine mutualistico era considerata

come un vincolo al sostegno delle lotte sindacali degli operai. Lo scarso peso del

sindacato, ancora non sufficientemente maturo e radicato sul territorio, e le dure

lotte operaie con i primi scioperi rendevano talvolta indispensabile il contributo

economico delle società di mutuo soccorso a sostegno dei lavoratori.

Dopo l’approvazione, la legge Berti non raggiunse gli scopi che si

prefiggeva originariamente: a distanza di dieci anni il ministero osservava che

solo il 20 per cento delle società censite aveva richiesto il riconoscimento

giuridico. In parte le ragioni di questo fallimento erano imputabili anche alla

progressiva sfiducia dei cittadini nei confronti dello Stato, atteggiamento, questo,

rafforzato dalle manovre speculative e dalle crisi bancarie in corso in quegli anni.

Il ministro Grimaldi, titolare del dicastero di Agricoltura Industria e Commercio

all’epoca dell’emanazione della legge, svolse alcune indicative considerazioni in

proposito, inserite nella relazione accompagnatoria al testo normativo e diffuse a

tutte le società operaie fino a quel momento censite154. Il governo non mancò di

rilevare lo stampo marcatamente liberale della legge approvata in Italia, la quale

non consentiva alcuna ingerenza pubblica nella vita delle associazioni. Tutto ciò,

si legge, in sintonia con la volontà più volte manifestata da parte delle società di

non essere assoggettate a nessun tipo di controllo statale. La scelta del Parlamento

di non subordinare la concessione della personalità giuridica a particolari

parametri economici e finanziari non garantiva sufficientemente il ministero sulla

stabilità e solidità dei sodalizi. Il ministro non dimenticò di rilevare come ciascuna

società si sarebbe in ogni caso dovuta impegnare, anche se solo per proprio senso

di responsabilità, a seguire alcune norme minime nello svolgimento dell’attività.

In particolare, nel progetto originale disposto dal ministero era prevista la

154 ASC, cart. 12: Atti amministrativi dal 1903 al 1906, fasc. 3: Anno 1905, sottofasc.

Riconoscimento giuridico dell’ente. Contiene il testo della legge sul riconoscimento delle società

di mutuo soccorso corredata dalla relazione dell’allora ministro del M.A.I.C. Grimaldi.

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costituzione di un ufficio speciale che, su richiesta delle società, avrebbe dovuto

fornire le indicazioni necessarie a garantire un adeguato supporto informativo sia

in materia legale che finanziaria. Il Parlamento cancellò questa disposizione,

asserendo che il ministero sarebbe stato in ogni caso in grado di fornire un

adeguato sostegno alle società, anche senza la creazione di un ufficio speciale. Per

tale motivo il ministro pose l’accento più volte sull’opportunità da parte degli

amministratori dei sodalizi di rivolgersi all’autorità governativa, specie per

ottenere indicazioni sull’amministrazione del patrimonio e l’elargizione dei

sussidi.

Il disposto dell’art. 2, combinato con le norme contenute nell’art. 10 inerenti

all’obbligo di inviare al ministero copia del bilancio e informazioni statistiche

sull’andamento della gestione, garantiva comunque all’autorità governativa un

potere di controllo molto forte sulle società. Si trattava in realtà di un controllo

successivo al conseguimento della personalità giuridica, mentre il vincolo di

bilancio era imposto solo sulle attività accessorie al mutuo soccorso, ma nel

complesso era sufficiente a evitare che i sodalizi svolgessero un’attività non

connessa agli scopi strettamente sociali.

La legge Berti escludeva la possibilità per le SOMS di ottenere il

riconoscimento giuridico qualora avessero solo erogato pensioni, poiché

quest’attività non era prevista tra quelle sufficienti a individuare il fine

mutualistico. E’ utile precisare che in questo caso il riconoscimento si poteva

ottenere solo mediante regio decreto secondo quanto disposto dal Codice civile

vigente. In realtà le società che si occupavano dell’erogazione delle pensioni in

senso proprio erano davvero poche. Generalmente le pensioni erogate erano simili

a sussidi più o meno prolungati nel tempo, che la società concedeva generalmente

dopo un certo periodo continuato di partecipazione del socio al sodalizio e previa

un’adeguata disponibilità di denaro.

Nel caso della SOMSI di Cividale già nel 1879 si pensò di istituire un

“fondo pensioni” per poter assistere i lavoratori iscritti da almeno 15 anni che per

ragioni di malattia cronica, vecchiaia o altro difetto non avessero più potuto

svolgere la propria attività lavorativa. La decisione presa mirava a costituire un

fondo sufficientemente solido per garantire al socio un decoroso sostegno

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finanziario in caso di bisogno. Per tale ragione si fissò un limite minimo di

capitalizzazione del fondo prima di potervi fruire, in un primo momento pari a

20.000 lire, poi elevato a 30.000. Fino a quel momento il soccorso ai soci

bisognosi si sarebbe effettuato mediante l’utilizzo delle somme accantonate per il

mutuo soccorso.

L’attività svolta dalla Società non poteva considerarsi in senso stretto come

pensionistica. Per tanto, per ottenere la personalità giuridica, non dovette ricorrere

all’emanazione di un regio decreto, ma poté semplicemente rispettare l’iter

semplificato previsto dalla legge Berti

7. Il riconoscimento giuridico della SOMSI di Cividale

Il riconoscimento giuridico della Società cividalese avvenne su delibera

dell’assemblea presa in data 4 luglio 1905155. In quella sede si conferì alla

direzione l’incarico di procedere con le necessarie pratiche, in modo che la

Società fosse dotata in tempi rapidi di propria personalità giuridica. Ottenuta

l’autenticazione dello statuto presso lo studio del notaio Paciani il 26 settembre

1905, la documentazione venne spedita al tribunale civile di Udine, il quale con

decreto n. 2136 del 12 ottobre 1905 concesse alla Società operaia di Cividale la

personalità giuridica, ordinando la trascrizione e la pubblicazione dello statuto.

La decisione assunta nell’assemblea del 4 luglio fu l’atto conclusivo di un

lungo dibattito sull’opportunità o meno di richiedere la personalità giuridica. La

relazione della commissione appositamente costituitasi per studiare la questione,

di cui facevano parte l’allora presidente del sodalizio dottor De Pollis e i soci

Vuga e Del Torre, costituì l’occasione per gli intervenuti di esternare le proprie

perplessità e diffidenze verso l’iniziativa156. La relazione si articolò sull’analisi dei

155 ASC, cart. 12 Atti amministrativi, fasc. 3: Anno 1905, sottofasc. Riconoscimento giuridico

dell’ente, doc. Verbale dell’assemblea generale dei soci del 4 luglio 1905.156 ASC, cart. 12: Atti amministrativi, fasc. 3: Anno 1905, sottofasc. Riconoscimento giuridico,

doc. Relazione della Commissione per il riconoscimento giuridico al consiglio della Società

operaia di mutuo soccorso di Cividale.

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vantaggi e dei possibili svantaggi derivanti dal legale riconoscimento. Tra i

vantaggi prospettati vi era in primo luogo quello di poter godere di diritti pari a

quelli spettanti a ciascuna persona fisica. La Società avrebbe pertanto potuto

accogliere in nome proprio eventuali donazioni o lasciti testamentari e ricorrere in

giudizio contro le decisioni avverse. Inoltre si riteneva che il riconoscimento

avrebbe accresciuto l’importanza morale rispetto a quella di cui la Società godeva

sino a quel momento. Altra ragione che muoveva in direzione favorevole

all’accoglimento della richiesta della commissione era data dai vantaggi

economici ottenibili con la registrazione al tribunale. Erano particolarmente

accattivanti le esenzioni dal pagamento delle imposte di bollo, di registro e

dall’imposta di ricchezza mobile.

Le ragioni contrarie al progetto, contenute nella relazione, erano in massima

parte legate al timore dell’ingerenza del governo e dell’autorità giudiziaria nella

vita del sodalizio. Su tale questione il relatore considerava la Società

sufficientemente tutelata, sostenendo la scarsa possibilità da parte del governo di

poter interferire sugli orientamenti sociali. Per quanto concerneva poi l’autorità

giudiziaria, questa aveva esclusivamente il compito di accertare l’esistenza delle

condizioni estrinseche fissate dalla legge e il loro rispetto successivo. Il parere

della commissione era dunque certamente favorevole all’accoglimento della

proposta discussa.

Dall’altro lato, coloro che nutrivano dubbi circa la convenienza

dell’operazione avevano per anni avversato il progetto in base a motivazioni più o

meno valide. Le ragioni di costoro furono analizzate in una lunga relazione inviata

alla SOMSI di Cividale dalla consorella udinese. La relazione era la stessa

discussa in sede assembleare dalla Società di Udine nel 1890, quand’era stato

proposto all’assemblea dei soci il riconoscimento giuridico157. Il documento

traccia un quadro esaustivo delle ragioni sia a favore sia contro il progetto di legge

ministeriale, offrendo inoltre interessanti notizie sulle cause del ritardo con cui,

157 ASC, cart. 12: Atti amministrativi, fasc. 3: Anno 1905, sottofasc. Riconoscimento giuridico

dell’ente, doc. Relazione sul riconoscimento giuridico della Società operaia Generale di Udine.

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dopo l’approvazione della legge, le società chiesero di ottenere la personalità

giuridica.

Le ragioni del ritardo con cui fu recepito il provvedimento legislativo erano

parzialmente imputabili alle sentenze e alle decisioni dell’autorità giudiziaria

sull’interpretazione di alcuni articoli della legge. Molte società ritenevano

necessario che il governo riformasse la legge in senso migliorativo o che

quantomeno emanasse un regolamento attuativo che dirimesse le controversie. La

commissione consultiva sulle istituzioni di previdenza sostenne a questo proposito

che sarebbe stata sufficiente un’interpretazione meno letterale della normativa per

superare i problemi fino a quel momento affiorati, consentendo così alle

associazioni di eliminare le eventuali diffidenze.

Le ragioni contrarie non si limitavano a questa considerazione, peraltro più

imputabile al ministero e agli organi giudiziari che alla volontà delle società

mutualistiche.

All’interno delle società vi erano molteplici ragioni di dissenso. In primo si

dubitava della possibilità di adattare gli statuti alla nuova normativa. Nelle società

di mutuo soccorso ed istruzione, ad esempio, una delle attività principali era

costituita dall’istruzione, funzione, questa, che non rientrava nel novero delle

attività caratterizzanti il mutuo soccorso. In questo senso il problema sembrava

facilmente risolvibile grazie al disposto dell’art. 2 che inseriva, tra le attività

collaterali, l’educazione dei soci e dei propri figli.

La seconda obiezione sollevata riguardava le norme che prevedevano per i

soci amministratori della società l’iscrizione al sodalizio in qualità di membri

effettivi e non come soci onorari. La norma, volta a diminuire il peso dei soci

onorari all’interno delle società, non costituiva un grosso ostacolo, poiché molto

spesso i soci onorari non potevano ricoprire per statuto alcuna carica societaria e

in ogni caso la casistica in questo senso era molto limitata. Nella fattispecie della

Società cividalese questo problema fu risolto alla radice, escludendo la possibilità

di accettare soci onorari senza che questi rinunciassero a tutti i diritti di voto e di

eleggibilità spettanti ai soci ordinari.

L’obiezione forse più rilevante si legava al problema delle pensioni. Alcuni

soci ritenevano che, in base al disposto della legge, una volta ottenuto il

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riconoscimento giuridico, le società non avrebbero potuto più erogare pensioni.

Questo punto, come già accennato, era tra i più controversi. In base alle

disposizioni dettate dal ministero di Grazia e Giustizia, i tribunali avrebbero

dovuto mantenere alto il livello di vigilanza su quelle società che stabilivano la

concessione di pensioni. Il richiamo era rivolto a vigilare su quelle società che

predisponevano contribuzioni non nella forma del sussidio ma di vitalizi veri e

propri. Per tale ragione, ritenendosi implicitamente ammessa l’elargizione di

sussidi continuativi, era importante distinguere tra pensioni e sussidi: le prime

erano determinate preventivamente ed erano accordate in misura fissa, mentre nel

caso dei sussidi si trattava di elargizioni non definite nell’ammontare (se non

nell’ammontare minimo) e legate alla disponibilità di fondi da parte della società.

La fianlità della norma era pertanto quella di evitare che alcune società attirassero

i soci promettendo loro delle pensioni decorso un certo numero di anni, senza però

che nessuna autorità vigilasse sul corretto mantenimento dei conti e della solidità

patrimoniale e finanziaria.

L’art. 1 della legge Berti stabiliva inoltre che il riconoscimento giuridico era

possibile solo per le società operaie di mutuo soccorso. Sorgevano pertanto alcuni

dubbi sulla natura delle società operaie: erano da ritenersi tali secondo la legge e

l’autorità amministrativa solo quelle che accoglievano operai o il criterio andava

interpretato in senso estensivo? L’amministrazione centrale, sulla scorta della

giurisprudenza prevalente, era indotta a considerare operaie le società che

comprendessero al loro interno anche commercianti, negozianti, coloni, maestri

elementari, impiegati comunali e simili. Nonostante ciò alcuni tribunali, specie nei

primi anni, respinsero le richieste d’iscrizione di alcune società perché non

formate da soli operai158.

158 Un caso di questo tipo accadde per la Società di mutuo soccorso di Casale, che vide

riconosciuto il proprio diritto a conseguire la personalità giuridica solo dopo sentenza favorevole

della cassazione di Torino sul provvedimento di diniego della corte d’appello di Casale. (ASC, cart

12: Atti amministrativi, fasc. 3: Anno 1905, sottofasc. Riconoscimento giuridico dell’ente, doc.

Relazione sul riconoscimento giuridico cit.).

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125

Il superamento dei problemi e delle ambiguità interpretative della legge,

permise nel corso degli anni di superare le forti resistenze manifestatesi

inizialmente.

Nell’assemblea in cui a Cividale si discusse circa il progetto di

riconoscimento giuridico, le posizioni ostili sembravano superate159. Solo alcuni

soci avanzarono considerazioni critiche, che furono però con prontezza

controbattute da precisi interventi del presidente della Società. In particolare tra

gli interventi vi fu quello del socio Rizzi, il quale osservava come, secondo alcune

recenti teorie, anche le società non legalmente riconosciute potessero esercitare

legalmente qualunque diritto. Il socio Barbirato propose un ordine del giorno con

cui l’assemblea rinviava ogni decisione sino allo svolgimento del congresso delle

società federate. In quella sede sarebbe stato compito del direttivo dell’organo

federale sottoporre al governo una richiesta di modifica della legge in direzione

meno vincolistica. Svoltasi la discussione, l’assemblea passò alle votazioni. Sui

56 soci intervenuti espressero pare contrario 6 soci, si astennero 2, si assentarono

al momento del voto 3 e diedero parere favorevole i restanti 45 soci.

8. La composizione della base sociale

Il numero dei soci iscritti alla Società operaia crebbe con regolarità nel

corso degli anni, raggiungendo il massimo sviluppo dopo una ventina di anni dalla

sua costituzione. Le iniziali difficoltà furono ben presto superate e già al termine

del secondo anno di attività facevano parte del sodalizio 149 soci, di cui 118

ammessi in quell’anno. Da quel momento in poi, per il periodo compreso tra il

1872 e il 1885, i soci aumentarono con un tasso medio di crescita annuo rispetto

all’anno precedente del 5,5 per cento circa. Al termine dell’anno 1885 i soci

complessivamente erano 346, di cui 252 uomini e 94 donne. Da questo momento

e fino al 1891 si assistette al periodo di massima crescita della Società: i soci

159 ASC, cart. 12 Atti amministrativi, fasc. 3: Anno 1905, sottofasc. Riconoscimento giuridico

dell’ente, doc. Verbale assemblea generale del 4 luglio 1905 cit..

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126

aumentarono con un tasso medio annuo di circa il 7 per cento, raggiungendo le

540 unità. Il 1889 è l’anno in cui si verificò in assoluto il numero massimo di

nuove iscrizioni al sodalizio, ben 126.

Nel periodo successivo, il tasso di crescita medio annuo quasi si azzerò,

con scostamenti annui in genere non significativi. In particolare dal 1889 al 1909

il tasso medio annuo si attestò intorno a valori prossimi al 9 per cento, e nel 1922

fu dell’8 per cento. Nei rimanenti anni l’oscillazione non assunse livelli

particolarmente indicativi, salvo che nel periodo immediatamente successivo alla

guerra, allorché si registrò un calo degli iscritti principalmente dovuto ai numerosi

decessi dei soci.

La presenza femminile all’interno della Società ebbe un’importanza

fondamentale sul piano del complessivo sviluppo del sodalizio. In un primo

momento il numero delle socie fu del tutto marginale, cominciando a crescere nel

corso dei primi anni Ottanta e raggiungendo l’apice nel 1892, quando raggiunse le

177 unità. Le socie raggiunsero il loro culmine nel 1895, quando si superò il

rapporto di una socia ogni due soci. A partire da quel momento il numero delle

donne iscritte alla Società si mantenne stabile nel corso del periodo seguente,

attestandosi mediamente sul valore di circa 140 presenze l’ anno.

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127

Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale Uomini Donne Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale1870 0 173 12 185 1 89 4 94 83 8 911871 83 8 91 0 1 29 4 34 53 4 571872 53 4 57 115 3 118 22 4 26 146 3 1491873 146 3 149 36 4 40 1 33 34 148 7 1551874 148 7 155 34 12 46 31 2 33 151 17 1681875 151 17 168 27 12 39 1 25 5 31 153 23 1761876 153 23 176 51 18 69 1 45 2 48 158 39 1971877 158 39 197 22 8 30 1 21 1 23 158 46 2041878 158 46 204 49 10 59 1 24 10 35 183 45 2281879 183 45 228 36 11 47 2 1 22 8 33 195 47 2421880 195 47 242 30 5 35 1 15 3 19 209 49 2581881 209 49 258 44 15 59 2 1 28 5 36 223 58 2811882 223 58 281 36 21 57 2 1 11 5 19 246 73 3191883 246 73 319 36 5 41 2 1 26 6 35 254 71 3251884 254 71 325 23 19 42 2 27 4 33 248 86 3341885 248 86 334 28 13 41 3 21 5 29 252 94 3461886 252 94 346 77 31 108 1 21 4 26 307 121 4281887 307 121 428 43 21 64 1 1 24 13 39 325 128 4531888 325 128 453 13 8 21 2 1 26 3 32 310 132 4421889 310 132 442 87 39 126 3 1 22 13 39 372 157 5291890 372 157 529 25 16 41 5 1 45 16 67 347 156 5031891 347 156 503 33 27 60 4 1 13 5 23 363 177 5401892 363 177 540 17 8 25 5 4 30 9 48 345 172 5171893 345 172 517 11 7 18 6 2 12 12 32 338 165 5031894 338 165 503 15 6 21 4 3 17 11 35 332 157 4891895 332 157 489 19 18 37 3 3 39 4 49 309 168 4771896 309 168 477 10 2 12 2 3 4 23 32 313 144 4571897 313 144 457 20 4 24 4 2 11 1 18 318 145 4631898 318 145 463 24 1 25 3 35 2 40 304 144 4481899 304 144 448 45 19 64 7 2 8 1 18 334 160 494

AnnoRimasti alla fine dell'anno

Cessati

Ammessi Esistenti

al principo dell'anno per morteper rinuncia,

decadenza, esclusione ecc.

Tabella 21. Soci esistenti, ammessi, cessati e rimasti suddivisi per anno

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128Fonte: Quarant’anni di vita della Società operaia cit, tavole; Quindi anni di operosità sociale cit., tavole.

Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale Uomini Donne Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale

334 160 494 7 1 8 6 1 18 12 37 317 148 465317 148 465 5 1 6 4 15 4 23 303 145 448303 145 448 5 4 9 4 3 8 1 16 296 145 441296 145 441 42 5 47 5 3 6 14 330 144 474330 144 474 30 7 37 5 2 28 7 42 327 142 469327 142 469 9 1 10 6 2 6 3 17 324 138 462324 138 462 22 4 26 6 14 1 21 326 141 467326 141 467 5 5 5 2 9 2 18 317 137 454317 137 454 10 2 12 9 2 5 1 17 313 136 449313 136 449 59 12 71 6 13 6 25 353 142 495353 142 495 25 6 31 5 3 8 370 148 518370 148 518 40 3 43 4 3 14 1 22 392 147 539392 147 539 13 1 14 2 1 17 4 24 386 143 529386 143 529 11 4 15 3 1 8 2 14 386 144 530386 144 530 16 5 21 8 1 8 2 19 386 146 532386 146 532 2 2 4 7 3 5 4 19 376 141 517376 141 517 3 1 4 10 3 3 16 366 139 505366 139 505 4 1 5 13 2 1 16 357 137 494357 137 494 0 14 5 19 343 132 475343 132 475 31 7 38 12 4 3 19 358 136 494358 136 494 50 11 61 7 3 14 4 28 387 140 527387 140 527 15 10 25 8 5 9 2 24 385 143 528385 143 528 48 19 67 6 4 10 3 23 417 155 572417 155 572 7 2 9 12 4 16 9 41 396 144 540396 144 540 13 1 14 10 1 8 3 22 391 141 532

Rimasti alla fine dell'annoper morte

per rinuncia, decadenza, esclusione

ecc.

Esistenti al principo dell'anno

Ammessi

Cessati

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Il numero di soci cessati, sia per morte che per rinuncia, decadenza,

reclusione o altra causa, fu mediamente pari al 9 per cento l’anno. Anche in

questo caso il maggior scostamento dei dati rispetto alla media si verificò nel

corso dei primi anni di vita, periodo in cui il turn over dei soci fu maggiormente

accentuato. Questo fenomeno è probabilmente imputabile alla necessità dei

lavoratori di poter meglio comprendere il funzionamento, gli scopi e l’importanza

dell’istituto mutualistico. Inoltre non bisogna dimenticare la naturale diffidenza

che molti provavano per forme di innovazione in campo sia culturale che

economico e sociale. I benefici derivanti dalla partecipazione alla Società non

erano immediati né sempre percepibili nel breve periodo. Era necessario che la

Società affrontasse un primo periodo di rodaggio, al quale sarebbe seguita una

definitiva crescita sia nel numero dei soci che nelle attività svolte.

Le professioni dei soci iscritti evidenziano come all’interno della Società

non vi fosse una componente professionale dominante sulle altre. La SOMSI di

Cividale non ricalcava i caratteri di quelle società categoriali o professionali che

accoglievano solo soci del medesimo ambito produttivo. Per tale ragione le

iniziative assunte dalla Società non potevano essere indirizzate ad una particolare

categoria di soci, ma tendevano a coinvolgere il più possibile tutti senza

discriminare alcuno.

La composizione della base sociale risultava molto eterogenea tra gli

uomini, meno tra le donne. Per verificare la rappresentatività di ciascuna categoria

all’interno della Società si sono comparati i dati relativi alla composizione

professionale dei soci in tre anni differenti160. Dal raffronto emergono le

variazioni nella compagine sociale nell’arco di un ventennio di vita del sodalizio.

Muratori, fabbri, falegnami e carpentieri, fornai, impiegati e scritturali e

infine negozianti erano le categorie più ampiamnete rappresentate: da solo questo

aggregato nel 1905 costituiva circa il 51 per cento dell’insieme di tutti i soci,

manifestandosi in crescita rispetto agli anni precedenti (era pari rispettivamente

42,3 per cento nel 1895 e 42 per cento nel 1883). Allo stesso tempo era possibile

160 I dati circa le professioni dei soci iscritti sono contenuti nei resoconti amministrativi degli anni

1883, 1895 e 1905.

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individuare altre 28 categorie professionali, di dimensioni mediamente modeste:

tra esse erano maggiormente rappresentative quelle dei liberi professionisti, dei

calzolai e degli osti, mentre le altre non erano formate che da pochi lavoratori.

Emerge dai dati una sostanziale mancanza di operai, intesi nel senso classico del

termine: la base sociale era fortemente caratterizzata da profili professionali che si

potrebbero definire artigiani più che operai. Se si sovrappongono i dati relativi

all’inchiesta industriale del 1890 con quelli qui riprodotti emerge che solo pochi

lavoratori operanti nell’industria tessile e in quella dei laterizi aderivano alla

Società. Considerando inoltre che nel complesso questi lavoratori erano circa 250,

l’anomalia appare ancora più palese. In realtà dunque, il successo crescente della

Società non era tanto ascrivibile alla capacità di attirare i lavoratori dell’industria,

quanto quelli dei settori dell’artigianato locale. Questa conclusione è

ulteriormente avvalorata dai dati relativi alla componente femminile della SOMSI.

Tra le donne la maggior parte delle socie svolgeva l’attività di casalinga

(questa categoria da sola superava il 50 per cento delle iscritte). A differenza degli

uomini, nel caso delle donne le rimanenti categorie non erano particolarmente

numerose: le cameriere, le ostesse e le albergatrici e infine le sarte costituivano il

40 per cento delle socie. Analogamente a quanto osservato nel caso degli uomini,

le molte operaie occupate nelle industrie di lavorazione della seta non risultavano

iscritte alla Società

La categoria degli agricoltori era solo in misura minima rappresentata

all’interno della Società. La scelta di non aprire al mondo contadino era in parte

legata alla chiusura nei confronti del mondo “clericale”, di cui gli agricoltori erano

generalmente portabandiera, e in parte alla diffidenza dei contadini nei confronti

di istituzioni nuove rispetto alla tradizione popolare. Tale atteggiamento era in

parte giustificato dall’ignoranza e dal basso livello di scolarizzazione degli

agricoltori, ma anche da una campagna volta a dissuadere questi ultimi dal

partecipare alla Società. Non si spiegherebbero altrimenti le ragioni per cui, a

distanza di alcuni anni, a Cividale sarebbe sorta una società di mutuo soccorso

agricola cattolica.

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132Fonte: ASC, RESOCONTI AMMINISTRATIVI DAL 1870 AL 1909, resoconti degli anni 1883, 1895 E1905.

Tabella 22. Soci iscritti raggruppati per sesso e professione

N.% sul totale

% sul sesso

N.% sul totale

% sul sesso

N.% sul totale

% sul sesso

Agenti di commercio 7 1,5% 2,1% 26 5,6% 8,5% 20 6,6% 8,5%Agricoltori e ortolani 5 1,1% 1,5% 2 0,4% 0,7% 2 0,7% 0,9%Artisti, pittori, decoratori, disegnatori e fotografi

6 1,3% 1,8% 4 0,9% 1,3% 3 1,0% 1,3%

Barbieri 12 2,6% 3,7% 8 1,7% 2,6% 5 1,7% 2,1%Calzolai 14 3,0% 4,3% 18 3,9% 5,9% 10 3,3% 4,3%Cappellai 1 0,2% 0,3% 3 0,6% 1,0% 5 1,7% 2,1%Capi mastri, muratori e scalpellini

30 6,4% 9,1% 20 4,3% 6,6% 10 3,3% 4,3%

Conciapelli 6 1,3% 1,8% 5 1,1% 1,6% 6 2,0% 2,6%Custodi, uscieri e guardie 5 1,1% 1,5% 5 1,1% 1,6% 6 2,0% 2,6%

Esercenti professioni libere 13 2,8% 4,0% 11 2,4% 3,6% 124,0% 5,1%

Fabbri, bandai e battirame 15 3,2% 4,6% 14 3,0% 4,6% 13 4,3% 5,6%Facchini, manovali e giornalieri

6 1,3% 1,8% 5 1,1% 1,6% 3 1,0% 1,3%

Falegnami e carpentieri 33 7,0% 10,1% 22 4,8% 7,2% 10 3,3% 4,3%Farmacisti 4 0,9% 1,2% 4 0,9% 1,3% 3 1,0% 1,3%Fattorini, camerieri e inservienti

5 1,1% 1,5% 5 1,1% 1,6% - - -

Ferrovieri 4 0,9% 1,2% - - - - - -Fornai, prestinai e offellieri 19 4,1% 5,8% 21 4,5% 6,9% 13 4,3% 5,6%Fruttivendoli - - - 2 0,4% 0,7% 1 0,3% 0,4%

Impiegati, scivani e studenti 33 7,0% 10,1% 18 3,9% 5,9% 22 7,3% 9,4%

Librai, cartolai e legatori 3 0,6% 0,9% 3 0,6% 1,0% - - -Macellai 5 1,1% 1,5% 4 0,9% 1,3% 4 1,3% 1,7%Mediatori e commissionati 3 0,6% 0,9% 2 0,4% 0,7% 4 1,3% 1,7%Negozianti, rivenditori 38 8,1% 11,6% 34 7,4% 11,1% 30 9,9% 12,8%Orologiai e orefici 9 1,9% 2,7% 10 2,2% 3,3% 5 1,7% 2,1%Osti, trattori, albergatori e caffettieri

11 2,3% 3,4% 17 3,7% 5,6% 13 4,3% 5,6%

Possidenti e pensionati 10 2,1% 3,0% 10 2,2% 3,3% 8 2,6% 3,4%Sarti 5 1,1% 1,5% 7 1,5% 2,3% 3 1,0% 1,3%Setaiuoli e linaiuoli 2 0,4% 0,6% 2 0,4% 0,7% 1 0,3% 0,4%Tappezzieri sellai 3 0,6% 0,9% 1 0,2% 0,3% 1 0,3% 0,4%Tessitori 3 0,6% 0,9% 4 0,9% 1,3% 2 0,7% 0,9%Tintori 8 1,7% 2,4% 8 1,7% 2,6% 8 2,6% 3,4%Tipografi 5 1,1% 1,5% 3 0,6% 1,0% 3 1,0% 1,3%Vetturali cocchieri stallieri 5 1,1% 1,5% 4 0,9% 1,3% 5 1,7% 2,1%Maestri - - - 3 0,6% 1,0% 3 1,0% 1,3%Totale 328 69,9% 100,0% 305 66,0% 100,0% 234 77,5% 100,0%

Casalinghe 75 16,0% 53,2% 86 18,6% 54,8% 36 11,9% 52,9%Cameriere e serve 14 3,0% 9,9% 20 4,3% 12,7% 5 1,7% 7,4%Fruttivendole 2 0,4% 1,4% 2 0,4% 1,3% 1 0,3% 1,5%Maestre 6 1,3% 4,3% 6 1,3% 3,8% 2 0,7% 2,9%Ostesse, albergatrici e caffettiere

17 3,6% 12,1% 16 3,5% 10,2% 10 3,3% 14,7%

Sarte, modiste e cucitrici 27 5,8% 19,1% 27 5,8% 17,2% 14 4,6% 20,6%Totale 141 30,1% 100,0% 157 34,0% 100,0% 68 22,5% 100,0%

Donne

Uomini

Anno1905 1895 1883

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9. Entrate, uscite e patrimonio sociale

I bilanci della Società operaia di mutuo soccorso sono la testimonianza

concreta dello sviluppo che la mutualità raggiunse nel Cividalese nel corso degli

anni, non solo da un punto di vista morale o politico, ma anche nell’ottica più

concreta del supporto materiale ai lavoratori.

Accanto alle risultanze contabili di ciascun anno è opportuno analizzare

alcune norme significative contenute nello statuto della Società operaia. Una

norma introdotta già nella prima versione del testo statutario riguardava l’impiego

dei fondi da parte della Società: già si era stabilito che gli importi raccolti fossero

impiegati in modo sicuro e fruttifero. A questo criterio si aggiungeva quello legato

al tipo di impiego possibile: le somme si sarebbero dovute investire in mutui a

ipoteca legale, nell’acquisto di fondi pubblici, in mutui o depositi presso banche

popolari, casse di risparmio o magazzini cooperativi161. La scarsa discrezionalità

sulle forme d’investimento riservate alla direzione si collegava al bisogno di

tutelare il più possibile il patrimonio della Società da eventuali erosioni,

imputabili a investimenti azzardati o poco sicuri. La solidità finanziaria della

Società era una condizione irrinunciabile alla quale si doveva prestare particolare

attenzione. Il patrimonio, oltre a svolgere una funzione di garanzia verso i terzi nei

confronti delle obbligazioni assunte dalla Società, costituiva anche garanzia per i

soci rispetto alla loro aspettativa mutualistica. Spesso l’aspetto economico è stato

scarsamente considerato nello studio del mutuo soccorso, subordinato dalle

valutazioni sociali e politiche sul movimento. In realtà un bilancio in attivo era

una condizione irrinunciabile per far sì che il mutuo soccorso si diffondesse con

capillarità nel territorio. La grande importanza socio-politica del mutuo soccorso

era frutto del numero elevato di soci aderenti al progetto, le quali in primo luogo

chiedevano alle strutture mutualistiche di intervenire economicamente in caso di

bisogno. L’impossibilità di far fronte ai propri impegni avrebbe significato per le

161 Il deposito delle somme raccolte dalle società mutualistiche costituiva spesso una voce

importante della raccolta degli istituti di credito. In particolare per le banche popolari e le casse di

risparmio fu determinante l’apporto di questi capitali nella fase iniziale dell’attività.

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Società la perdita di credibilità nei confronti dei soci e di credito politico e sociale

verso l’esterno162.

Con il passare degli anni il vincolo all’investimento dei fondi raccolti si

allentò. Nel 1895, con le modifiche introdotte allo statuto, si estese la possibilità

di investire in qualsiasi tipo di immobile e in valori pubblici; dal 1903 venne

superato definitivamente ogni tipo di limite all’investimento mantenendo solo il

criterio di fruttuosità. Tale scelta fu possibile grazie al consolidamento

dell’apparato amministrativo della Società, il quale sfruttava l’esperienza di ormai

numerosi anni di vita e la solidità patrimoniale acquisita.

Le decisioni sull’impiego dei fondi sociali erano di competenza del

consiglio d’amministrazione della Società o, in via più generale, dell’assemblea

dei soci. Le operazioni d’impiego erano effettuate dalla direzione, l’organo

amministrativo, la quale curava concretamente la gestione dei fondi. Nei primi

anni di vita del sodalizio lo statuto non concedeva alla direzione alcuna possibilità

di deliberare circa l’impiego o il ritiro di fondi; così come non era possibile

effettuare alcuna spesa se non autorizzata dal consiglio o dall’assemblea. Dal

1880 intervennero alcune modifiche volte a garantire un maggiore dinamismo

nella gestione. La direzione, nei casi di urgenza e nell’impossibilità di convocare

in tempi rapidi il consiglio, poteva effettuare spese per un ammontare massimo di

100 lire nel corso di un intero anno. Era evidente la necessità da parte della

Società di superare eccessive rigidità, che male si conciliavano con l’aumentato

numero di soci e il crescente volume di attività. L’esiguità dell’importo massimo

della spesa consentita e la responsabilità personale dei membri della direzione,

qualora non fosse stata approvata dal consiglio, inducevano in ogni caso a non

utilizzare con frequenza questo strumento. Nel 1922 furono eliminati i limiti alle

somme spendibili senza l’autorizzazione del consiglio, onde non dover procedere

a una modifica statutaria ogni qualvolta si fosse presentata l’esigenza di

aggiornare l’importo.

Le norme contenute nello statuto non consentivano alla Società di effettuare

manovre speculative o rischiose mediante l’utilizzo del capitale sociale. La

162 FABBRI, Solidarismo in Italia cit., p. 71.

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135

necessità di deliberare in seno agli organi collegiali sulla destinazione del

patrimonio poneva indubbiamente freno alla eventuale spregiudicatezza dei

singoli amministratori. La severità con cui la Società decise di operare in questo

campo non mancò di dare i suoi frutti: il patrimonio, nel corso degli anni, crebbe

quasi costantemente e garantì la possibilità di svolgere con proficui risultati

l’attività mutualistica per diversi decenni.

Le risorse su cui la Società poteva contare provenivano da diversi tipi di

entrate: alcune di esse mantenevano nel corso degli anni un andamento crescente

costante, altre erano occasionali e sporadiche, altre furono legate allo stato di

salute dell’istituzione e alla sua capacità di penetrazione nel territorio.

La principale entrata di cui disponeva la Società era costituita dalla

contribuzione dei soci e dalle tasse versate in occasione dell’ammissione di nuovi

iscritti. La rilevanza di questa risorsa per la Società dipendeva dal numero di soci

iscritti e dalla capacità da parte dei soci di versare con regolarità la contribuzione

mensile. Accadeva spesso che alcuni soci non fossero in grado di adempiere con

puntualità ai propri doveri. In questi casi, specie nei primi anni di vita, si

concedevano dilazioni sui tempi di pagamento ai soci in condizioni di particolare

difficoltà, sempre che si trattasse di situazioni di disagio temporanee. Sul totale

delle entrate i contributi e le tasse d’iscrizione costituivano mediamente il 50 per

cento. Queste somme crebbero inizialmente con l’aumento dei soci e con il

progressivo adeguamento subito dalle tariffe nel corso degli anni. Nei primi anni

di vita, i contributi costituirono fino all’80 per cento delle entrate, per poi perdere

gradualmente d’importanza a mano a mano che la Società si dotava di un

patrimonio stabile e consistente. I contributi e le tasse d’ammissione erano le

uniche leve su cui la Società poteva agire direttamente per accrescere le proprie

entrate, sicché la loro gestione era particolarmente delicata: da un lato consentiva

la possibilità alla Società di ottenere eventuali aggiustamenti in caso di sbilanci

patrimoniali, dall’altro un’azione troppo spregiudicata al rialzo rischiava di

compromettere la fiducia e l’adesione dei soci al sodalizio.

Con l’istituzione della scuola d’arte e mestieri la Società fu in grado di

fruire di una serie di contributi concessi da diversi enti pubblici e da privati,

direttamente rivolti a finanziare l’attività d’istruzione. Le entrate così raccolte non

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136

furono però sufficienti a coprire il reale costo della scuola, che rappresentò per

molti anni un capitolo di spesa assai rilevante nel bilancio della Società.

Le entrate straordinarie presentarono un andamento abbastanza altalenante.

L’origine di queste somme era la più disparata: balli sociali, pesche di

beneficenza, sottoscrizioni pubbliche, tombole, donazioni in denaro da parte delle

famiglie più benestanti dei soci defunti, contributi di enti per fini particolari e

altro. Tra le entrate straordinarie figura nel 1919 una somma particolarmente

elevata, derivante in parte dalla sottoscrizione di un prestito ottenuto dalla Banca

agricola per consentire alla Società di intervenire a favore degli esuli di guerra e

dei soci più gravemente colpiti dal conflitto. Questo intervento, eccezionale anche

per la sua entità economica, fece raggiungere alle entrate straordinarie un

ammontare complessivo pari al 32 per cento circa del totale incassato163. Senza

quella particolare circostanza, la voce delle entrate straordinarie non sarebbe

arrivata sopra il 15 per cento delle entrate, a riprova dell’importanza modesta che

questi introiti ricoprivano per la Società.

Una voce che crebbe con regolarità nel corso degli anni era rappresentata

dai redditi patrimoniali. Il loro continuo progresso derivò dal crescente patrimonio

e dal redditizio impiego che la Società riuscì a farne. I redditi patrimoniali

raggiunsero nel corso del periodo preso in esame il 16 per cento complessivo delle

entrate.

Le spese sostenute dalla Società sono raggruppabili in quattro grandi

categorie: le spese per il mutuo soccorso, quelle per l’istruzione, quelle generali

d’amministrazione e infine le spese straordinarie.

Tra le spese genericamente incluse nel mutuo soccorso vi erano sia le

indennità di malattia corrisposte ai soci e alle socie che le spese relative alla

concessione di sussidi di varia specie. Altra voce compresa tra le somme

pertinenti al mutuo soccorso era data dalle gratifiche pagate ai medici sociali per

l’attività svolta. Le indennità di malattia costituirono per il sodalizio la voce di

spesa più ingente: nel periodo preso in esame ammontarono complessivamente il

163 SOMSI, Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1919.

Anno Il, Cividale 1920, pp. 4-5.

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137

30 per cento circa del totale delle spese sostenute dalla Società. Le indennità per la

parte maggiore erano pagate ai soci maschi (più di due terzi del totale); per le

donne era però prevista una particolare indennità in caso di parto.

I sussidi che la Società concedeva ai propri soci erano di diverso tipo:

continui, per morte e per parto. Mentre le ultime due forme di sussidio non

pesarono che minimamente sul bilancio dell’associazione (entrambe per l’1 per

cento circa del totale delle uscite), i sussidi continui ebbero un peso sempre

maggiore sulle uscite. Considerati alla stregua di una vera e propria pensione, essi

furono erogati a partire dal 1899, e da quell’anno crebbero sino a superare le

indennità di malattia nel periodo immediatamente successivo alla guerra (1921).

Le gratificazioni ai medici e le spese straordinarie di beneficenza sarebbero

state poco rilevanti nel loro ammontare complessivo se nel 1919, al proprio

rientro dalla sede provvisoria in Roma, la Società non avesse badato a soccorrere i

soci e gli esuli tornati alle proprie abitazioni. L’intervento maggiormente urgente

da porre in atto nei confronti dei cittadini colpiti dalla disgrazia consisteva nel

fornire loro dei beni d’uso comune, quali stoviglie, lenzuola, coperte, utensili da

cucina e, se possibile, attrezzi per il lavoro. La Società si fece carico dell’acquisto

del materiale, che fu poi consegnato ai richiedenti in cambio dell’impegno di

restituire la cifra corrispondente al valore dei beni prelevati. Essa non intendeva

lucrare sull’iniziativa, chiedendo al beneficiario di rendere la somma equivalente

al prezzo di costo del materiale; non poteva però effettuare gratuitamente questa

operazione, dato l’ingente ammontare della cifra per cui si era esposta. L’acquisto

di materiale diede luogo a una spesa complessiva di 88.211,87 lire, importo

superiore all’intero patrimonio sino a quel momento accumulato dopo 50 anni di

attività164. Per la Società la somma stanziata rappresentava contabilmente un

credito concesso ai soci, i quali si sarebbero impegnati quanto prima a restituire il

dovuto. Tali ragioni spiegano come le spese straordinarie di beneficenza abbiano

raggiunto il 25 per cento delle spese totali.

164 SOMSI, Resoconto […] 1919 cit., p. 5.

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1870 6,64 1068,75 245,50 1320,89 72,00 339,36 25,5 436,86

1871 65,64 699,37 107,00 872,01 24,00 22,60 228,1 145 419,70

1872 72,12 884,30 631,26 1587,68 14,00 263,49 316,58 594,07

1873 77,64 1236,05 350,61 1664,30 137,00 5 377 37,7 556,70

1874 143,96 1535,67 353,56 2033,19 105,00 405,8 58 568,80

1875 76,00 1627,20 1010,12 2713,32 348,00 191,00 37,8 487,85 15 1079,65

1876 710,36 1907,60 820,20 3438,16 349,20 164,00 20,00 476,08 164,93 1174,21

1877 424,51 2105,95 609,73 3140,19 303,60 178,00 20,00 492,35 101,6 1095,55

1878 514,29 2217,95 494,25 3226,49 573,60 184,00 40,00 523,15 1320,75

1879 632,36 2453,80 230,00 852,88 4169,04 894,60 130,00 50,00 644,95 568,1 500 2787,65

1880 697,00 2905,95 225,00 2901,57 6729,52 538,20 343,00 40,00 435,43 808,59 395,49 2560,71

1881 779,47 3153,85 350,00 471,59 4754,91 1170,75 340,50 70,00 103,40 717,19 846,34 219,54 3467,72

1882 898,41 3668,00 350,00 1127,79 6044,20 1534,50 376,50 120,00 50,00 369,2 888,58 1009,53 4348,31

1883 1025,99 3773,40 450,00 2784,35 8033,74 1586,25 501,00 80,00 50,00 25,00 668,50 1032,60 830,214773,56

1884 1145,68 3976,15 450,00 839,89 6411,72 1740,75 446,00 160,00 20,00 200,00 675,70 920,12 502,454665,02

1885 1190,30 3887,80 650,00 462,21 6190,31 1260,50 504,00 120,00 57,00 863,15 956,95 127,93 3889,53

1886 1326,13 4600,05 900,00 695,02 7521,20 1653,00 634,50 140,00 40,00 1119,15 1137,90 190,964915,51

1887 1168,43 4899,70 750,00 448,46 7266,59 1788,75 743,00 180,00 40,00 762,00 1079,43 121,79 4714,97

1888 1191,05 4990,75 1400,00 569,12 8150,92 3246,00 883,00 160,00 80,00 150,00 1876,04 946,40 127,917469,35

1889 1319,42 5049,70 1150,00 790,15 8309,27 2752,25 829,00 100,00 40,00 150,00 1857,15 1028,28 2013,428770,10

1890 1341,25 5436,40 800,00 1184,94 8762,59 3558,50 1215,50 140,00 77,00 150,00 2249,17 1140,45 521,839052,45

1891 1327,10 5619,75 800,00 1674,42 9421,27 2994,75 1527,50 180,00 100,00 150,00 2153,03 1310,34 8415,62

1892 1450,67 5833,55 800,00 1062,00 9146,22 3390,75 1962,50 250,00 160,00 150,00 1701,72 1020,73 8635,70

1893 1384,65 5500,15 1000,00 424,81 8309,61 2628,75 1140,00 180,00 120,00 150,00 2063,66 952,25 231,737466,39

1894 1400,15 5349,80 923,50 369,94 8043,39 2431,75 1438,00 200,00 100,00 150,00 1725,33 866,69 436,547348,31

1895 1412,75 5117,15 934,00 312,45 7776,35 2190,25 1401,50 160,00 60,00 150,00 1727,81 1030,19 1429,59 8149,34

1896 1359,30 4861,40 632,50 56,77 6909,97 2411,00 1052,00 150,00 100,00 180,00 1649,35 36,00 927,93 22,00 6528,28

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Entrate Spese

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Indennità di malattia Sussidi

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Tabella 23. Entrate e uscite della Società operaia di Cividale tra il 1870 e il

1925.

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245,50 1320,89 72,00 339,36 25,5 436,86

107,00 872,01 24,00 22,60 228,1 145 419,70

631,26 1587,68 14,00 263,49 316,58 594,07

350,61 1664,30 137,00 5 377 37,7 556,70

353,56 2033,19 105,00 405,8 58 568,80

1010,12 2713,32 348,00 191,00 37,8 487,85 15 1079,65

820,20 3438,16 349,20 164,00 20,00 476,08 164,93 1174,21

609,73 3140,19 303,60 178,00 20,00 492,35 101,6 1095,55

494,25 3226,49 573,60 184,00 40,00 523,15 1320,75

230,00 852,88 4169,04 894,60 130,00 50,00 644,95 568,1 500 2787,65

225,00 2901,57 6729,52 538,20 343,00 40,00 435,43 808,59 395,49 2560,71

350,00 471,59 4754,91 1170,75 340,50 70,00 103,40 717,19 846,34 219,54 3467,72

350,00 1127,79 6044,20 1534,50 376,50 120,00 50,00 369,2 888,58 1009,53 4348,31

450,00 2784,35 8033,74 1586,25 501,00 80,00 50,00 25,00 668,50 1032,60 830,214773,56

450,00 839,89 6411,72 1740,75 446,00 160,00 20,00 200,00 675,70 920,12 502,454665,02

650,00 462,21 6190,31 1260,50 504,00 120,00 57,00 863,15 956,95 127,93 3889,53

900,00 695,02 7521,20 1653,00 634,50 140,00 40,00 1119,15 1137,90 190,964915,51

750,00 448,46 7266,59 1788,75 743,00 180,00 40,00 762,00 1079,43 121,79 4714,97

1400,00 569,12 8150,92 3246,00 883,00 160,00 80,00 150,00 1876,04 946,40 127,917469,35

1150,00 790,15 8309,27 2752,25 829,00 100,00 40,00 150,00 1857,15 1028,28 2013,428770,10

800,00 1184,94 8762,59 3558,50 1215,50 140,00 77,00 150,00 2249,17 1140,45 521,839052,45

800,00 1674,42 9421,27 2994,75 1527,50 180,00 100,00 150,00 2153,03 1310,34 8415,62

800,00 1062,00 9146,22 3390,75 1962,50 250,00 160,00 150,00 1701,72 1020,73 8635,70

1000,00 424,81 8309,61 2628,75 1140,00 180,00 120,00 150,00 2063,66 952,25 231,737466,39

923,50 369,94 8043,39 2431,75 1438,00 200,00 100,00 150,00 1725,33 866,69 436,547348,31

934,00 312,45 7776,35 2190,25 1401,50 160,00 60,00 150,00 1727,81 1030,19 1429,59 8149,34

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Entrate Spese

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lla Società operaia di mutuo soccorso e istruzione di Cividale, Cividale 1911, tavole; Quindici anni d’’operosità sociale, Cividale 1925, tavole.

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141

I costi relativi all’istruzione incisero in modo rilevante sul bilancio sociale.

Contabilmente furono distinte due diverse voci di spesa: quella relativa alle uscite

genericamente computabili alla gestione della scuola d’arte e mestieri e quelle

relative ad altre spese destinate a diverse attività sempre nel settore

dell’istruzione. Per la scuola il sodalizio investì il 16 per cento del totale di spesa,

mentre alle iniziative minori, destinò solo l’1 per cento. L’ammontare

complessivo dell’esborso per questo tipo di attività è sicuramente notevole,

considerando anche che il periodo in cui queste spese si concentrarono è

compreso tra il 1879 e il 1917.

Le spese generali di amministrazione costituirono il 12 per cento delle spese

sostenute, e riguardarono tutti gli oneri sostenuti dalla Società per l’ordinaria vita

del sodalizio e per permettere il migliore suo funzionamento.

Infine l’ultimo capitolo di spesa riguardava l’insieme delle somme utilizzate

per organizzare manifestazioni e feste in occasione di particolari avvenimenti

(anniversari di fondazione del sodalizio, inaugurazione della ferrovia Udine –

Cividale, festeggiamenti pro Casa del popolo, raccolta di fondi a scopo di

beneficenza e altro) e per provvedere all’acquisto e all’ammortamento del mobilio

da destinare alla sede. In questa voce sono incluse, a partire dal 1910, anche le

somme pagate dalla Società alla Cassa nazionale delle assicurazioni sociali, che se

in un primo momento ebbero poco peso, dal 1921, in seguito all’obbligatorietà

d’iscrizione di tutti i soci, crebbero notevolmente. Il totale delle spese

straordinarie raggiunse l’8 per cento delle uscite.

La differenza algebrica tra entrate e spese di ciascun anno costituiva la

somma da destinare all’incremento del patrimonio. La Società, grazie alla oculata

gestione delle proprie entrate e delle proprie spese, riuscì, quasi ogni anno,

nell’intento di accrescere le somme destinate sia al fondo mutuo soccorso che al

fondo pensioni. L’ammontare complessivo di questi due fondi avrebbe potuto

essere ancora maggiore se il sodalizio non si fosse impegnato in iniziative

particolarmente onerose per le finanze sociali, come a esempio l’attività di

istruzione. Nonostante ciò, il patrimonio raccolto raggiunse in tempi abbastanza

brevi livelli di assoluta importanza. La statistica ministeriale del 1878 evidenziava

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142

come, a soli otto anni dalla sua fondazione, la Società di Cividale era terza in

ordine di grandezza per ammontare del patrimonio sociale nella provincia di

Udine165.

Il patrimonio fu amministrato dalla Società ricorrendo a diverse forme di

investimento. Le diverse tipologie di strumenti finanziari e deposito utilizzatie

furono non solo orientati alla remunerazione del capitale, ma anche funzionali alla

particolare fase storica e politica attraversata.

Per i primi anni di vita del sodalizio non è facile recuperare fonti che

testimonino circa il tipo di investimento del capitale. Solo a partire dal 1875 una

parte cospicua del patrimonio fu prestata al comune di Cividale166. Per circa dieci

anni la Società mutuò al municipio delle somme di danaro sulle quali

l’amministrazione si impegnava a corrispondere un interesse annuale in misura

variabile tra il 4 e il 5 per cento. Negli ultimi anni in cui fu concesso a mutuo il

patrimonio della Società, l’ammontare del prestito raggiunse una somma

compresa tra le 14.000 e le 16.000 lire.

Dal 1879 la Società usufruì anche della possibilità di depositare le proprie

eccedenze contabili su due libretti di risparmio, aperti presso la cassa postale di

Cividale167. Su questi due libretti, di cui uno destinato in particolare ad accogliere

le somme destinate al fondo pensioni appena costituito, transitarono importi di

modesta entità e a partire dal 1887 entrambi vennero estinti, destinandone gli

importi ad altre forme di deposito.

Dal 1881 la Società investì parte del proprio capitale anche presso il Monte

di Pietà, unica istituzione creditizia in quel momento operante sul territorio

cividalese. Nel corso di circa vent’anni (fino al 1900) furono sottoscritte dalla

165 M.A.I.C., DIREZIONE DELLA STATISTICA GENERALE DEL REGNO, Statistica delle società di

mutuo soccorso. Anno 1878., Roma 1880, pp. 284-287.166 Le cifre e i dati relativi alla composizione e alle diverse forme d’investimento del patrimonio

sono contenuti nei resoconti amministrativi della Società. Gli anni presi in esame vanno dal 1870

al 1925 (ASC, Resoconti amministrativi dal 1870 al 1909; Resoconti amministrativi dal 1910 al

1931).167 SOMSI, Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1879.

Anno IX, Cividale 1880.

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143

Società diverse cartelle del prestito, per ammontare crescente e fino all’importo

massimo di lire 6.000. Nel 1883 inoltre furono aperte anche due cartelle del

Consolidato italiano, una per nominali 2.000 lire e l’altra per 1.000 lire. Queste

due cartelle furono mantenute fino a tutto il 1901, data in cui si preferì il rientro

dell’investimento.

Tra il 1885 e il 1888 la Società intrattenne rapporti di credito con due

banche udinesi. Nel 1885 fu decisa l’apertura di un libretto di risparmio presso la

Banca popolare friulana di Udine, sul quale fu versata parte dei mutui estinti con

il comune e parte dei depositi postali. L’anno successivo la Società aprì un conto

con la Cassa di Risparmio di Udine, sul quale fu versato l’ammontare rimanente

dei mutui municipali non ancora estinti (circa 14.000 lire). Queste operazioni

evidenziavano il bisogno sempre più sentito del sistema economico cividalese di

avere come controparti istituzioni finanziarie maggiormente dinamiche e in grado

non solo di offrire buone possibilità di investimento, ma anche finanziamenti a

condizioni favorevoli. In questo senso le due operazioni sopra ricordate non

furono che un passaggio interlocutorio che anticipò la nascita del rapporto con la

Banca cooperativa di Cividale168.

Nel 1887 cominciò a operare sul territorio la Banca cooperativa di Cividale,

istituzione creditizia fortemente voluta e promossa dalla Società di mutuo

soccorso. Lo stretto legame tra i due istituti portò, in brevissimo tempo, a

indirizzare la gran parte del patrimonio sui conti aperti presso il nuovo istituto di

credito. La decisione fu presa in sede di consiglio della Società su proposta di

alcuni soci che ritenevano doveroso collaborare all’avvio dell’attività della Banca.

Con il passaggio di buona parte del patrimonio sui conti aperti con la Banca

cooperativa si attuò anche per la prima volta una separazione contabile tra il fondo

pensioni e il fondo mutuo soccorso (o fondo sociale)169. In realtà la Banca in un

168 Il patrimonio della Società era fino a quel momento frazionato in piccoli investimenti con molti

soggetti. Tra il 1885 e il 1886 il patrimonio era suddiviso in 7 diverse tipologie di investimento,

segno questo evidente anche della difficoltà di trovare una controparte sufficientemente capace di

assorbire le sue disponibilità finanziarie.169 SOMSI, Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1886.

Anno XVI, Cividale 1887, pp. 11-14.

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144

primo momento aprì due soli conti, uno destinato ad accogliere integralmente il

fondo pensioni e l’altro di conto corrente per lo svolgimento delle operazioni di

ordinaria amministrazione. Successivamente fu aperto un ulteriore conto, nel

1888, sul quale fu versato l’ammontare dei depositi fino a quel momento presenti

sui conti delle banche udinesi e che costituì il deposito a fondo sociale. Il libretto

di conto corrente fu estinto dopo pochi anni, accentrando per quanto possibile

tutte le somme su due soli libretti di deposito. L’operazione di concentrazione dei

fondi patrimoniali si concluse nel 1901, quando la Società li convogliò nei due

libretti della Banca cooperativa.

Questo accentramento delle risorse ebbe però vita breve. Nel 1906 si ruppe

il rapporto esclusivo che legava la Società alla Banca cooperativa. Venne infatti

deciso di destinare in parti uguali l’intero ammontare del fondo pensioni ad altre

due banche nel frattempo divenute operanti a Cividale: la Banca agricola e la

Banca popolare di credito. Le ragioni di tale scelta sono riconducibili

principalmente a fattori di carattere economico: i due istituzioni creditizi offrivano

infatti una remunerazione maggiore sui depositi (rispettivamente il 4,6 per cento

la Banca agricola e il 4,5 per cento la Banca popolare) rispetto alle condizioni

praticate dalla Banca cooperativa (il 4 per cento)170. Sebbene la Banca cooperativa

invitasse a riconsiderare le offerte proposte alla Società dagli altri istituti di

credito, non mutò la decisione di differenziare l’investimento delle risorse, segno

tangibile del clima di concorrenza crescente nel sistema finanziario della città, che

avrebbe prodotto benefici in senso economico generale.

L’entrata in guerra nel 1915 comportò per il governo italiano uno sforzo

finanziario notevole. Per far fronte al costo del conflitto si dovette procedere alla

collocazione sul mercato finanziario di diverse emissioni del prestito nazionale.

Tale collocazione fu promossa da personalità politiche e dai comitati di assistenza

civile tramite appositi organi costituiti al loro interno e denominati commissioni di

propaganda per il Prestito Nazionale. Fu in particolare l’on. Morpurgo che

170 La vicenda diede origine ad un acceso dibattito che rischiò di provocare una crisi in seno alla

rappresentanza sociale (ASC, cart. 12: Atti amministrativi dal 1903 al 1906, fasc. 4: 1906, appunti

manoscritti sulla distribuzione dei fondi patrimoniali).

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145

sollecitò i cittadini di Cividale e del a intervenire a sostegno delle spese di guerra.

Le argomentazioni utilizzate per convincere i risparmiatori a sottoscrivere il

prestito erano di due ordini: da un lato si faceva leva sulle ragioni patriottiche,

dall’altro su quelle economiche. Il cittadino, che specie nelle zone del Cividalese e

delle Valli del Natisone meglio conosceva le difficoltà e il bisogno di mezzi per

l’esercito in guerra, era stimolato da continui richiami all’orgoglio nazionale e al

senso di sacrificio delle genti di queste zone:

In quest’ora solenne la Patria attende che ognuno compia il proprio dovere, che ognuno

cooperi come può al trionfo della grande impresa iniziata per la libertà dell’Italia, per la civiltà

dell’Europa. […] Ed ora, a soddisfare la necessità della guerra, il Governo chiama a raccolta una

nuova milizia, quella dei capitalisti e dei risparmiatori, grandi e piccoli, perché forniscano le armi

finanziarie che assicureranno la vittoria definitiva al diritto nazionale171.

Oltre a queste nobili ragioni i motivi che avrebbero dovuto spingere alla

sottoscrizione del prestito nazionale erano anche altri:

Non si tratta più, come in altri tempi, di dono, ma di prestito […] che offre condizioni

ottime di convenienza economica, che dà garanzia da esenzione da imposte presenti e future, di

inconvertibilità almeno decennale e di rimborso al valore nominale; che all’occorrenza, consente

facile il cambio in denaro, che è accessibile alle classi popolari perché frazionato in piccoli tagli e

con molte agevolezze di pagamenti rateali; che ha tutte le caratteristiche di un investimento sicuro

e proficuo. Il tasso supera il cinque per cento netto ed i nuovi provvedimenti fiscali danno il gettito

necessario per il pagamento dei futuri interessi.

Fu anche per queste ragioni che, dal 1915, la Società decise di

sottoscrivere quote del prestito, il primo anno si acquistarono 10.000 lire nominali

utilizzando parte dei depositi accantonati sul fondo sociale presso la Banca

cooperativa. L’anno successivo la Società decise di aumentare la propria quota di

investimenti nel prestito, sottoscrivendo ulteriori lire 20.000 nel terzo prestito

nazionale che furono pagate attingendo ai due conti della Banca agricola e della

Banca popolare contenenti il fondo pensioni. Nel 1917, con la collocazione del

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146

quarto prestito nazionale, la SOMSI provvide a sottoscrivere ulteriori lire 10.000

nominali di prestito e a convertire quello precedente con il nuovo. Per la

conversione, il governo garantiva un premio pari al 3 per cento del valore

nominale del vecchio prestito, da pagarsi in contanti fino all’importo di 500 lire e

da convertire in titoli per importi superiori172. Complessivamente l’operazione

diede luogo a una sottoscrizione complessiva per 41.000 lire. Infine nello stesso

anno furono investite ulteriori lire 10.000 nel quinto e ultimo prestito nazionale.

Al termine del conflitto il prestito fu denominato Debito pubblico del Regno

d’Italia e, come tale, conservato dalla Società. Risultava così che più della metà

del patrimonio sociale dopo la guerra fosse investito in titoli del debito pubblico.

Al termine della guerra la situazione patrimoniale della Società sembrava

non aver subito particolari conseguenze. In realtà il successivo acquisto di

materiale da distribuire agli esuli e alle famiglie più colpite comportò non pochi

problemi di ordine finanziario. Delle 88.211, 87 lire spese, solo una minima parte

fu coperta con fondi immediatamente disponibili presso la Società. Per una parte

consistente, si ricorse alla concessione di un prestito della Banca agricola per

64.627,17 lire. Sebbene alcuni beneficiari nel corso del 1920 avessero restituito

l’equivalente in denaro di quanto prelevato e nonostante il contributo stanziato

alla Società da parte del comitato di assistenza civile e dal ministero per le Terre

liberate, la situazione appariva più difficile del previsto. I ritardi del ministero nel

concedere i rimborsi per i danni di guerra, uniti a una certa lentezza nel ritorno

delle somme dovute da parte dei soci, impedivano alla SOMSI di rientrare dal

debito con la banca, sul quale peraltro maturavano interessi cospicui. Al termine

del 1920 era evidenziata ancora una esposizione per complessive 72.696,6 lire.

Nel 1921 si operò una scelta volta a ridurre il debito complessivo con la banca:

parte del fondo per il mutuo soccorso fu girato a parziale pagamento del debito

(27.334,7 lire) con l’inserimento a bilancio di un credito verso soci per lo stesso

171 E. MORPURGO, Ai miei elettori del Collegio di Cividale!, Buttrio 1916 (ASC, cart. 49: Pratiche

diverse 1886-1917, fasc. 3: Prestito nazionale).172 ASC, cart. 49: Pratiche diverse 1886-1917, fasc.: 3 Prestito nazionale, doc. Appunti

manoscritti.

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147

importo, riducendo in tal modo l’esposizione bancaria a 45.974 lire173. La

situazione con il passare degli anni non subì particolari modifiche. Nel 1923 si

temeva che buona parte del credito verso i soci ancora da riscuotere non potesse

più essere recuperato, anche se continuavano i pagamenti di alcuni beneficiari del

materiale. Dopo sette anni, nel 1926 la Società reputò conveniente eliminare il

debito con la Banca agricola, pagando l’ammontare del debito residuo, pari a

19.560,82 lire ed evidenziando questa volta nel fondo pensioni il corrispondente

credito verso i soci.

La manovra, che nel complesso non avrebbe dovuto costare nulla alla

Società, si dimostrò più dispendiosa di quanto fosse stato possibile prevedere.

173 SOMSI, Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1920.

Anno L, Cividale 1921, p. 4.

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149

Figura 1. Andamento patrimoniale della Società (1870 - 1924)

0

10.000

20.000

30.000

40.000

50.000

60.000

70.000

80.000

90.000

100.000

1870 1873 1876 1879 1882 1885 1888 1891 1894 1897 1900 1903 1906 1909 1912 1915 1918 1921 1924

Anni

Pa

trim

on

io

Fondo mutuo soccorso Fondo pensioni Patrimonio complessivo

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Fonte: 40 anni di vita della Società operaia cit., tavole; Quindici anni d’’operosità sociale cit., tavole.

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151

1870 884,03 884,03 884,03

1871 452,31 1.336,34 1.336,34

1872 993,61 2.329,95 2.329,95

1873 1.107,60 3.437,55 3.437,55

1874 1.464,39 4.901,94 4.901,94

1875 1.633,67 6.535,61 6.535,61

1876 2.263,95 8.799,56 8.799,56

1877 2.044,64 10.844,20 10.844,20

1878 1.905,74 12.749,94 12.749,94

1879 1.381,39 13.776,44 354,89 14.131,33

1880 4.168,81 16.374,64 1.925,50 18.300,14

1881 1.287,19 17.317,09 2.270,24 19.587,33

1882 1.695,89 18.326,79 2.956,43 21.283,22

1883 3.260,18 19.427,31 5.116,09 24.543,40

1884 1.746,70 20.584,29 5.705,81 26.290,10

1885 2.300,78 25.953,43 2.637,45 28.590,88

1886 2.605,69 24.182,47 7.014,10 31.196,57

1887 2.551,62 26.009,45 7.738,74 33.748,19

1888 681,57 25.970,20 8.459,56 34.429,76

1889 460,83- 24.962,12 9.006,81 33.968,93

1890 289,86- 24.048,46 9.630,61 33.679,07

1891 1.005,65 23.368,42 11.316,30 34.684,72

1892 510,52 22.866,94 12.328,30 35.195,24

1893 843,22 22.882,76 13.155,70 36.038,46

1894 695,08 22.865,49 13.868,05 36.733,54

1895 372,99- 21.903,25 14.457,30 36.360,55

1896 381,69 21.672,87 15.069,37 36.742,24

1897 451,06 21.521,16 15.672,14 37.193,30

1898 3.477,67 21.762,43 18.908,54 40.670,97

1899 469,17 21.124,65 20.015,49 41.140,14

1900 233,01 20.115,26 21.257,89 41.373,15

1901 1.959,85 20.955,21 22.377,79 43.333,00

1902 1.256,30 21.072,81 23.516,49 44.589,30

1903 1.265,35 21.223,21 24.631,44 45.854,65

1904 2.229,12 22.197,58 25.886,19 48.083,77

1905 974,87 21.957,89 27.100,75 49.058,64

1906 1.980,43 21.523,34 29.515,73 51.039,07

1907 932,04 21.043,02 30.928,09 51.971,11

1908 1.591,40 20.726,99 32.835,52 53.562,51

1909 2.434,06 21.390,40 34.606,17 55.996,57

1910 2.986,68 22.479,86 36.503,39 58.983,25

1911 1.953,78 23.303,61 37.633,42 60.937,03

1912 2.766,58 24.752,87 38.950,74 63.703,61

1913 1.782,50 25.284,47 40.201,64 65.486,11

1914 2.383,67 26.315,24 41.554,54 67.869,78

1915 799,65 25.736,29 42.933,14 68.669,43

1916 1.829,11 25.729,45 44.769,09 70.498,54

1917 2.643,64 24.898,93 48.243,25 73.142,18

1918 3.742,86 25.391,55 51.493,49 76.885,04

1919 550,32 23.993,10 53.442,26 77.435,36

1920 2.444,75 22.727,63 57.152,48 79.880,11

1921 4.452,51 22.790,94 61.541,68 84.332,62

1922 51,53 21.937,89 62.446,26 84.384,15

1923 7.452,14 28.646,38 63.189,91 91.836,29

1924 2.845,00 29.407,63 65.273,66 94.681,29

Anno Differenza tra entrate e

uscite

Patrimonio al 31 dicembre

Fondo Mutuo Soccorso ed Istruzione

Fondo Pensioni

Totale

Fonte: 40 anni di vita della Società operaia cit., tavole; Quindici anni d’’operosità sociale cit., tavole.

Tabella 3. Il patrimonio della Società operaia di mutuo soccorso di Cividale (1870-1924)

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152

10. La Società cattolica agricola di mutuo soccorso Leone XIII

La radicata presenza delle forze cattoliche nella città di Cividale e nelle

campagne circostanti permise, su iniziativa della Curia arcivescovile di Udine, di

costituire una società di mutuo soccorso di matrice cattolica. Il progetto si inseriva

nel novero delle molte iniziative che il movimento cattolico attuò sul finire del

secolo in tutto il Friuli. Fondata nel 1893, la Società non differiva molto rispetto

alle associazioni di mutuo soccorso laiche, delle quali ricalcava la struttura

organizzativa. Tra gli aspetti che maggiormente differenziavano questo tipo di

società rispetto alle consorelle vi era la marcata natura confessionale, che

imponeva ai soci una condotta di vita conforme ai precetti divini ed ecclesiastici.

La Società, benché dichiaratamente agricola, non sanciva nello statuto

l’impossibilità di iscriversi ad altri aspiranti soci dediti a mestieri differenti;

l’unica condizione indispensabile, non contemplata nella Società operaia, era che i

soci fossero devoti alla Chiesa cattolica. Nello statuto era infatti rimarcato che,

oltre al ruolo mutualistico, il sodalizio si proponeva di conseguire uno scopo

religioso mediante la diffusione di buone massime e lo scambio di buoni esempi

tra i soci174.

Alla Leone XIII non era concessa alle donne la possibilità di iscriversi:

potevano però figurare nel libro dei soci in qualità di socie benefattrici175. Tra le

cause di espulsione dei soci era prevista l’inosservanza dei doveri religiosi

prescritti dalla Chiesa, il mantenimento di una condotta infamante e l’adesione a

società o associazioni con spirito chiaramente contrario alla religione.

All’interno della Società era poi prevista la figura dell’assistente

ecclesiastico. Questi rappresentava l’autorità della Chiesa in seno al sodalizio ed

era nominato dall’Ordinario diocesano. Tra le sue funzioni vi era quella di fungere

da collegamento tra la Diocesi e la Società e di impedire che all’interno delle

assemblee si svolgessero discussioni o si prendessero deliberazioni concernenti la

174 Statuto della società cattolica agricola di mutuo soccorso Leone XIII, Cividale 1893, p. 5, art.

1.175 Erano considerati benefattori coloro che donavano alla Società qualche bene o elargivano

offerte in denaro (Ibid., p. 6, art. 4).

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fede o la morale. Ogni socio era tenuto al rispetto dell’assistente: i soci e

l’amministrazione era opportuno che tenessero conto delle sue osservazioni se

utili alla Società. Questa figura costituiva una sorta un ispettore inviato dalla

Curia, il cui scopo era di vigilare affinché la Società non tradisse il suo scopo

etico e religioso.

Sotto il profilo organizzativo una delle differenze maggiori rispetto alla

Società operaia consisteva nell’organizzazione territoriale: oltre alla direzione e

alla cassa, con sede a Cividale, la Società di mutuo soccorso cattolica poteva

costituire sezioni nelle parrocchie contermini, le quali erano a tutti gli effetti parti

integranti della Società. Le sezioni eleggevano un loro presidente, un segretario

con funzioni di cassiere, mentre il ruolo dell’assistente ecclesiastico era svolto dal

parroco o dal vice curato. Ogni presidente di sezione era di diritto consigliere

della Società madre. In questo modo il sodalizio riusciva a realizzare una

maggiore presenza sul territorio rispetto a quanto accadeva per la Società operaia;

ciò spiega come nel 1896, dopo pochi anni di attività, la Società potesse contare

già su 300 soci176. Essa cercò altresì di curare la partecipazione dei giovani al

sodalizio. Giacomo Guardiero, nel 1905, relazionando sulle società di mutuo

soccorso cattoliche, osservò che tra le sezioni giovanili maggiormente dinamiche

in Friuli una nota di merito spettava a quella di Cividale, che insieme a poche altre

operava attivamente sul territorio177.

Dalle poche norme contenute nello statuto si evince che l’attività di mutuo

soccorso si svolgeva in maniera analoga a quanto statuito nelle società laiche. La

tassa d’ammissione era più bassa di quella prevista per la Società operaia e anche

le contribuzioni mensili erano mediamente inferiori di due terzi (erano comprese

tra i 40 e i 60 centesimi, a differenza di quelle della Società operaia che andavano

da un minimo di 1 lira a un massimo di 1,8 lire). Le ragioni di tale scelta furono

presumibilmente legate alle condizioni di disagio in cui, specie nelle campagne,

vivevano molti lavoratori, ai quali non si poteva richiedere un contributo

maggiore. Il diritto al sussidio spettava dopo 6 mesi dall’iscrizione del socio ed

176 Il risultato fu possibile soprattutto grazie all’infaticabile opera svolta da don Luigi Mistruzzi,

fondatore e anima della Società (TESSITORI, Storia del movimento cattolico cit., p. 84).177 Ibid., p. 194.

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ammontava a 1 lira per i primi 90 giorni e a 50 centesimi per i successivi 90178(la

SOMSI concedeva il sussidio che ammontava a 1,5 lire per 90 giorni

complessivi). Dopo aver percepito per una volta il sussidio, il socio non aveva

diritto a percepirne un altro se non dopo 6 mesi dal primo.

Nello statuto non era poi contemplata la possibilità di concedere pensioni di

vecchiaia o sussidi continui per invalidità, manifestando la chiara volontà di non

offrire alcun trattamento previdenziale ai soci, viste le difficoltà della gestione di

questo settore e il notevole fabbisogno di fondi necessario allo scopo.

178 Statuto della società cattolica cit., p. 9, art. 12.

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155

CAPITOLO IV

L’ ATTIVITÀ MUTUALISTICA E PREVIDENZIALE

1. Ordinamento tecnico e norme statutarie della Società

durante il primo trentennio di vita.

All’interno dello statuto redatto nel 1869 erano contenute tutte le norme per

disciplinare lo svolgimento tecnico dell’attività mutualistica della Società operaia.

Oltre al pagamento di una tassa d’ammissione, ogni socio era tenuto al

versamento di una contribuzione mensile che i promotori ritennero opportuno

differenziare per fasce d’età e per sesso dei soci. Questa scelta discordava con

quella della maggioranza delle società di mutuo soccorso italiane che preferivano

adottare un’unica quota contributiva per i propri soci179. Per agevolare il

pagamento da parte dei soci fu prevista in un primo momento anche la

corresponsione con periodicità settimanale del contributo. Questa facoltà fu

sospesa dopo pochi anni a causa delle difficoltà e dell’aggravio di lavoro che tale

operazione comportava per il collettore. Le contribuzioni mensili in lire correnti

previste per i soci nei diversi anni furono fissate come segue:

Tabella: Contribuzioni mensili versate dai soci, uomini e donne,

della SOMSI (1869-1922)

per gli uomini

per le donne:

179 Secondo il ministero più di due terzi delle società di mutuo soccorso censite nel 1878 (oltre

1500) applicavano un contributo unico ai soci (Statistica delle Società 1878 cit., p.X).

Età 1869 1874 1880 1895 1903 192214 - 20 0,8 0,8 0,8 1 1 1,520 - 30 1 1 1 1,2 1,2 1,730 - 40 1,2 1,2 1,2 1,4 1,4 1,940 - 50 1,4 1,4 1,4 1,8 2 2,5

Età 1869 1874 1880 1895 1903 192216 - 20 0,5 0,5 0,5 0,9 0,9 1,420 - 30 0,75 0,75 0,75 1,1 1,1 1,630 - 40 1 1 1 1,3 1,3 1,8

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156

Il contributo mensile equivaleva mediamente alla retribuzione giornaliera di

un operaio o di un contadino ed era pertanto da ritenersi mediamente oneroso. Il

socio che non corrispondeva più di tre mensilità si riteneva decaduto, qualora non

avesse prodotto entro un mese delle adeguate giustificazioni. Spettava poi alla

direzione della Società verificarne l’accettabilità e stabilire i tempi e i modi per far

fronte ai pagamenti. Il socio moroso, ma non decaduto, non poteva comunque

godere di alcun sussidio fino al momento in cui avesse saldato quanto dovuto: se

non avesse corrisposto entro la data fissata l’importo concordato, la direzione

avrebbe provveduto a dichiararlo dimissionario e a cancellarlo dalla matricola dei

soci.

Dopo sei mesi dall’ammissione e dopo aver effettuato con regolarità i

pagamenti, il socio poteva richiedere di usufruire del sussidio giornaliero. Anche

il sussidio, come i contributi, variava in base al sesso dei soci e, negli ultimi anni

presi in esame, si differenziò in base al numero di giornate fruite dal socio.

Tabella: Sussidio percepito dai soci della Società operaia (1869-1922)

(in lire correnti)

Fonte….

Per poterne fruire, il socio doveva essere colpito da malattia e versare in

condizione di bisogno. La condizione di bisogno doveva essere verificata dal

visitatore, il quale era tenuto a valutare con la necessaria avvedutezza le

condizioni economiche del socio richiedente. Il visitatore era quindi chiamato a

classificare il socio in cinque classi distinte: ricco, agiato, in condizioni mediocri,

di ristrettezza e di povertà. Se il socio non avesse fatto parte delle prime due

Anno Uomini Donne1869 1 0,81874 1,2 11880 1,5 11895 1,5 11903 1,5 / 1 / 0,75 1 / 0,75 / 0,51922 1 / 2 1,5 / 0,75

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categorie avrebbe potuto usufruire del sussidio180. Il socio malato era inoltre

tenuto al versamento regolare del contributo mensile, che gli si sarebbe trattenuto

dal sussidio eventualmente elargitogli dalla Società.

La durata massima del sussidio era fissata in 90 giorni complessivi,

indipendentemente dal fatto che il socio ne usufruisse per una o più malattie nel

corso di un anno. Per il conteggio della decorrenza dell’anno cui imputare i giorni

di malattia la Società faceva riferimento al giorno in cui si percepiva il sussidio. Il

termine di 90 giornate non era però tassativo: era concessa la facoltà ai soci di

domandare al consiglio un’estensione del periodo, fatta salva la facoltà

dell’assemblea generale di accogliere o meno la richiesta. La cifra massima di cui

il consiglio poteva disporre in questo caso non poteva essere superiore alle 30 lire

se uomo, e alle 24 lire, se donna181. La procedura per ottenere il sussidio era

abbastanza macchinosa. Il socio colpito da malattia doveva infatti presentare

domanda all’ufficio di presidenza della Società corredandola con l’attestato del

medico, in cui doveva comparire il tipo di malattia, la presunta durata e la

dichiarazione che essa rendeva incapace il socio di svolgere l’ordinaria

professione. Inoltre sullo stesso attestato dovevano comparire le firme dei

visitatori incaricati di verificare lo stato di bisogno. Il socio che si fosse affidato

alle cure di un medico di città diversa da Cividale era tenuto a certificare

l’attestato di malattia dal sindaco della città in cui operava abitualmente il proprio

medico di fiducia. Se la durata della singola malattia si fosse protratta per più di

15 giorni, il beneficiario del sussidio doveva inviare alla presidenza della Società

un ulteriore certificato, e così di 15 giorni in 15 giorni.

Una volta terminata la malattia, o la causa di inabilità al lavoro, era dovere

del socio comunicarlo agli uffici o al proprio visitatore. Alla Società era concessa

la facoltà di verificare per mezzo del proprio medico o dei visitatori lo stato di

salute del socio, che, se si fosse reso colpevole di celare con malizia la fine della

malattia, sarebbe potuto incorrere nell’esclusione dal sodalizio.

180 Statuto 1869 cit., p. 34.181 Questo importo con le successive modifiche statutarie fu aggiornato, collegandone la rettifica

dell’ammontare all’incremento dell’importo giornaliero dei sussidi.

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158

La corresponsione del sussidio avveniva dal secondo giorno successivo alla

presentazione della domanda. Le somme spettanti al socio potevano essere ritirare

presso la sede della Società anche da terzi, salvo la presentazione di apposita

autorizzazione. Era facoltà della Società decidere con quale frequenza dare corso

ai pagamenti (quotidianamente, settimanalmente, ogni 15 giorni).

Alle socie era concessa la possibilità di fruire di un sussidio speciale per

parto (5 lire), non cumulabile con altre elargizioni nel caso si fossero manifestate

successive complicanze.

Speciali norme erano riservate a coloro che erano chiamati alla leva militare,

facevano parte della guardia nazionale o in ogni modo partivano volontari in

guerra. Per tutti costoro gli adempimenti amministrativi erano sospesi per tutto il

periodo in cui si trovavano sotto le armi. L’anzianità del socio era però sospesa, a

meno che egli avesse corrisposto i contributi anche in tale periodo. Al proprio

rientro i soci erano tenuti a presentare un regolare certificato medico in cui si

attestasse la loro condizione di efficienza fisica e la possibilità di riprendere, se

interrotti, i regolari pagamenti del contributo dovuto182.

Infine vi erano le norme relative alla concessione dei sussidi continui. I soci

con almeno 15 anni di anzianità e in condizioni di bisogno, per poterne fruire, si

dovevano trovare nella situazione di impossibilità a svolgere il proprio lavoro per

vecchiaia, malattia o altro. In quella prima fase non si stabilì l’ammontare del

sussidio, delegando tale compito all’assemblea su proposta della direzione. Il

socio che non avesse raggiunto i 15 anni di anzianità, ma si fosse trovato nelle

medesime condizioni, avrebbe potuto comunque chiedere il sussidio alla Società,

la quale avrebbe potuto concederlo tenendo conto sia delle proprie disponibilità

che delle condizioni economiche e di anzianità del richiedente.

La prima stesura dello statuto era carente in alcuni aspetti, ma soprattutto

migliorabile dal punto di vista dell’impianto normativo collegato alla funzione

mutualistica. Le prime importanti correzioni allo statuto e di modifica del

regolamento furono apportate nel 1874. In particolare l’assemblea approvò

l’aumento dei contributi mensili, del sussidio per parto e istituì il contributo alla

182 Statuto 1869 cit., p. 21.

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159

famiglia in caso di morte del socio183. Le novità che determinarono più importanti

cambiamenti nella gestione riguardavano l’eliminazione dei visitatori e

l’introduzione dell’esonero dal versamento del contributo mensile184. Il primo

provvedimento permise di esplicare tutte le funzioni inerenti alla richiesta e alla

concessione dei contributi con maggiore rapidità rispetto a quanto previsto

inizialmente. Con l’eliminazione dei visitatori fu eliminata anche la norma che

prevedeva l’effettivo stato di bisogno: i sussidi da quel momento sarebbero

spettati a tutti i soci indipendentemente dalle loro condizioni economiche.

L’esonero dal pagamento del contributo riguardò i soci con più di 65 anni e le

socie con più di 60 anni, ai quali la Società permise di non pagare più le

contribuzioni e allo stesso tempo di godere di tutti i diritti di soci. La scelta, che

rispecchiava quanto era stato previsto anche presso la consorella udinese, era stata

avvalorata successivamente da alcuni calcoli statistici svolti proprio sui bilanci

della Società di Udine. In base a quanto fu pubblicato sull’Annuario statistico del

1881, il sodalizio udinese sarebbe stato in grado di garantire a ciascun socio il

godimento di un sussidio continuo una volta raggiunta l’età di 65 anni e allo

stesso tempo la possibilità di non pagare più alcun contributo sempre a partire

dallo stesso momento185. I riflessi di questa scelta si manifestarono diversi decenni

dopo l’introduzione della norma. Il progressivo invecchiamento della base sociale

fece crescere di anno in anno il numero dei soci con diritto di fruire di questa

vantaggiosa opportunità. L’esonero dalla contribuzione mensile si configurò

pertanto come una rendita vitalizia a favore del socio pari all’ammontare annuale

dei contributi non versati.

183 Il contributo per parto fu elevato a 10 lire, mentre quello alla famiglia del defunto fissato in 20

lire (Statuto 1874 cit., pp. 11-17).184 Ibid., p. 12.185 La relazione riportava in modo dettagliato i calcoli che dimostravano la possibilità di offrire ai

propri soci, oltre all’esonero dai contributi, un sussidio continuo una volta raggiunti i 65 anni

d’età, dell’ammontare di 72 lire per gli uomini e 55 per le donne (Relazione alla società di mutuo

soccorso degli operai di Udine sulla determinazione del sussidio continuo, ordinato dagli articoli

26 e 27 dello statuto sociale finora in vigore, in ANNUARIO STATISTICO PER LA PROVINCIA DI

UDINE, Udine 1881, pp. 222-234).

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Nel 1880 la Società modificò ulteriormente l’ammontare dei contributi

mensili, garantendo però ai vecchi soci il diritto di pagare quanto stabilito al

momento della loro ammissione. I sussidi per gli uomini furono leggermente

aumentati e si stabilì che, qualora il socio colpito da malattia potesse lo stesso

proseguire nello svolgimento della propria attività lavorativa, il sussidio spettante

gli sarebbe stato ridotto della metà. Il nuovo art. 27 dello statuto contemplava la

possibilità che, nel caso si fossero manifestate malattie contagiose o epidemie

nella città o nel circondario, la Società costituisse apposite commissioni con lo

scopo di emanare norme eccezionali al fine di recare soccorso a quanti più soci

possibile ma senza esaurire interamente i fondi sociali. La norma più importante

introdotta quell’anno riguardò però il funzionamento del fondo pensioni. La

costituzione di questo fondo era avvenuta l’anno precedente, nel 1879, quando

con delibera assunta con il voto unanime di tutti i soci, fu approvata la proposta di

Antonio Cossio di costituire un fondo speciale per far fronte al pagamento dei

sussidi continui per i soci inabili al lavoro. Lo statuto stabilì che il fondo doveva

essere amministrato separatamente rispetto alle altre rendite sociali,

incrementandolo annualmente con l’apporto dei proventi straordinari raccolti186.

Nel 1895 ulteriori modifiche allo statuto disciplinarono con più precisione

quest’ultimo aspetto. La Società doveva capitalizzare sul fondo l’ammontare dei

proventi straordinari e degli interessi maturati sui capitali depositati a quello

stesso scopo. Inoltre si impegnava a versare il 15 per cento dell’avanzo annuo di

gestione fino al raggiungimento dell’ammontare di 20.000 lire del fondo187. Lo

statuto per la prima volta fissava anche l’ammontare minimo del sussidio continuo

corrisposto al socio per incapacità al lavoro: vale a dire 150 lire annue per gli

uomini e 120 lire per le donne, somme entrambe pagabili con rate mensili

posticipate. Si precisò inoltre che tali importi potevano essere soggetti a modifiche

migliorative dal momento in cui il fondo pensioni, appositamente costituito, fosse

risultato sufficientemente capiente. L’ottenimento di un sussidio continuo da parte

della Società pregiudicava la possibilità da parte del socio di ottenerne quelli

186 Statuto 1880 cit., pp. 7-12.187 Statuto 1895 cit., pp. 14-15.

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temporanei: valeva il principio secondo cui era assolutamente vietata la

duplicazione dei sussidi.

Importanti modifiche all’ordinamento tecnico della Società furono apportate

nel corso del 1903188. In primo luogo si cominciò a porre rimedio alla questione

dell’esonero dal pagamento dei contributi. In particolare si elevò il limite d’età

necessario alle donne per l’esenzione, portandolo a 65 anni, e si fissò un limite

minimo di anzianità di 20 anni per poterne fruire. Cambiò in modo rilevante anche

la procedura di concessione dei soccorsi: si adeguarono i sussidi in base

all’ammontare complessivo dei giorni di malattia fruiti dal socio. Questi poteva

godere del sussidio pieno per i primi 60 giorni di malattia, di un sussidio pari a

due terzi per ulteriori 60 giorni e, qualora fosse stato iscritto per più di 15 anni al

sodalizio, poteva avere per altri 60 giorni un sussidio equivalente alla metà di

quello iniziale. In questo modo la copertura della Società di mutuo soccorso

passava da 90 a un massimo (teorico) di 180 giorni. Con l’ulteriore introduzione

della modifica del conteggio dei giorni sulla base dell’anno solare, un socio

caduto in malattia al principio del secondo semestre di un certo anno aveva la

possibilità di percepire il sussidio, qualora necessario, fino alla fine del primo

semestre dell’anno successivo. Inoltre in questo modo furono eliminati i sussidi

straordinari previsti per i soci, causa di imbarazzo per l’assemblea che doveva

concederli e di discriminazione tra chi li riceveva. Come sostennero

orgogliosamente i dirigenti della Società, una così lunga assistenza ai propri soci

era un motivo di prestigio che poche società in Italia potevano vantare189.

Il limite minimo per l’utilizzo del fondo pensioni fu portato a 30.000 lire e,

contestualmente, si eliminò il vincolo che imponeva di destinare al suo

incremento una quota fissa dell’avanzo di bilancio. Fu inoltre diminuito l’importo

annuo spettante alle donne come sussidio continuo riducendolo da 120 a 100 lire.

Lo statuto fissava quindi la somma minima giornaliera (50 centesimi per gli

uomini e 25 per le donne) che sarebbe spettata al socio come pensione nel

momento in cui il fondo avesse potuto cominciare ad operare.

188 Statuto 1903 cit., pp. 8-14.189 40 anni di vita cit., p. 11.

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162

Con questo ordinamento tecnico e le sue relative modifiche, la Società

svolse la propria funzione di mutuo soccorso fino ai primi anni del Novecento.

L’aiuto che la SOMSI poteva offrire ai propri soci non era particolarmente

cospicuo, ma costituiva in ogni caso un intervento non irrilevante a favore delle

classi più deboli. L’importanza di questo contributo fu decisiva soprattutto nel

corso del trentennio che intercorse tra l’Unità e la nascita dei primi strumenti

previdenziali voluti dallo Stato. La nascita di istituti previdenziali e assicurativi

pubblici giungeva in un momento in cui le società di mutuo soccorso

cominciavano a fare i conti con un progressivo invecchiamento della base sociale.

Lo spirito filantropico con cui erano nate rischiava di non essere più sufficiente

per garantirne la sopravvivenza: era necessario che esse svolgessero le loro

funzioni con sempre maggiore rigore scientifico e tecnico, lasciando meno spazio

ai generosi proclami che ne avevano caratterizzato la nascita.

In questo contesto anche la Società operaia di Cividale dovette misurarsi

con alcuni problemi di carattere organizzativo e tecnico che occorreva risolvere in

tempi brevi.

2. Il bilancio tecnico del 1908

Nel corso del 1908 la direzione della Società redasse un bilancio tecnico

basandosi sui dati statistici raccolti nel corso dei due anni precedenti190.

L’iniziativa rientrò nell’ambito di una più complessiva opera di riorganizzazione

degli uffici della Società, operazione resasi necessaria per dotare il sodalizio di

strumenti tecnici e matematici idonei a valutare la correttezza della gestione.

La direzione stessa sosteneva il carattere specifico dell’istituzione, da

inquadrarsi non tanto tra le istituzioni di carità ma tra gli istituti di assicurazione

contro determinate eventualità, quali le malattie, la vecchiaia e la morte.

Occorreva pertanto stabilire dei criteri di operatività sulla base delle leggi

matematico-statistiche in grado di determinare con precisione l’ammontare dei

sussidi pagabili ai soci. La funzione del bilancio tecnico consisteva nello stimare,

190 Bilancio Tecnico, in Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31

dicembre 1908. Anno XXXVIII, Cividale 1909, pp. 12-23.

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con il maggior grado di approssimazione possibile, gli impegni assunti verso i

soci e le entrate derivanti dai contributi versati. Il problema principale era legato

all’impossibilità di considerare gli avanzi di gestione come utili veri e propri:

nelle società di mutuo soccorso, e più in generale nelle imprese assicurative, il

sacrificio attuale del socio corrispondeva a un beneficio futuro di cui era

necessario stimare l’entità.

La prima operazione da svolgere consistette nel conteggio dei soci esistenti

alla data del 1° gennaio 1908, suddividendoli per sesso e quindi per età. Di ogni

categoria si determinava l’ammontare dei contributi annui versati in base alle

tariffe contributive vigenti al momento del loro ingresso191.

Utilizzando poi la legge sulla sopravvivenza della popolazione maschile

d’Italia e quella sulle malattie, dedotta dai dati delle società italiane di mutuo

soccorso, era necessario procedere al calcolo del valore attuale dei contributi

versati dai soci e del valore capitale degli impegni assunti dalla Società192. Si

ipotizzava inoltre un tasso d’interesse commerciale del 4 per cento l’anno e la

corresponsione delle pensioni a partire dal sessantacinquesimo anno di età. Per i

317 soci e le 137 socie fu dunque calcolato il valore attuale di una lira di sussidio

per ciascuna giornata di malattia, il valore delle pensioni corrispondenti ai

contributi pagati dai soci e il valore di una lira di sussidio ottenibile dalla famiglia

in caso di morte del socio. Dal calcolo si esclusero il valore attuale dei sussidi

191 La contribuzione di due soci coetanei poteva variare in base all’età in cui un socio effettuava

l’iscrizione, secondo le tabelle disposte dalla Società.192 In particolare la Società in quel momento si impegnava ad:

1. assicurare un sussidio giornaliero di malattia di 1,5 lire per gli uomini e 1 lira per le

donne; un sussidio di 10 lire alle puerpere; un sussidio non superiore a 150 lire ai soci

permanentemente inabili al lavoro;

2. assicurare una pensione di vecchiaia pari al contributo annuo pagato dai soci, con

decorrenza dal sessantacinquesimo anno d’età;

3. assicurare un sussidio di 20 lire in caso di morte alle famiglie del defunto;

4. provvedere all’istruzione dei soci e degli operai in genere.

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continui per inabilità e di quelli per parto, entrambi ritenuti poco significativi

perché limitati a pochi casi193.

La differenziazione del sussidio da pagare ai soci in caso di malattia,

introdotta con le modifiche del 1903, comportò la necessità di stabilire un valore

medio che rispecchiasse l’effettivo esborso sostenuto dalla Società. Per tale

ragione fu assunto il valore medio dei sussidi pagati ai soci uomini e donne

nell’arco degli ultimi 5 anni, pari rispettivamente a 1,36 lire e a 0,93 lire.

Un ulteriore problema riguardò i diritti acquisiti dalle socie precedentemente

al 1903 circa l’esonero dal pagamento dei contributi. Con le modifiche statutarie

che innalzarono anche per le donne il limite di età a 65 anni, alla maggior parte

delle socie spettava il diritto di ottenere l’applicazione delle condizioni precedenti,

le quali prevedevano l’esonero dal contributo all’età di 60 anni. Il calcolo del

valore attuale di queste somme fu fatto per le socie tenendo conto dell’età di

esenzione di 65 anni, analogamente agli uomini. Le socie iscritte dal 1904 furono

solo 12 e tutte di giovane età, sicché il valore attuale delle loro pensioni era molto

basso. Alle altre pensioni si applicò quindi un opportuno coefficiente che ne

attualizzasse il valore in modo da prevederne la fruizione a partire dai 60 anni.

Infine la stima delle spese amministrative avvenne sulla base della media

delle uscite sostenute per tale scopo nel corso degli ultimi 5 anni, ovvero il 20 per

cento del valore dei contributi. Il loro ammontare fu pertanto facilmente

determinato applicando l’aliquota così individuata al valore attuale dei contributi

precedentemente definito.

In base alle norme e agli aggiustamenti ora esaminati il bilancio tecnico

della Società veniva a essere il seguente:

193 I sussidi continui per inabilità al lavoro crebbero notevolmente subito dopo la guerra. Per le

partorienti l’onere derivante dai sussidi era invece da ritenersi contemplato all’interno della

casistica della legge sulle malattie, in quanto la gran parte delle socie era poco esposta ai rischi di

malanni attendendo prevalentemente alle faccende domestiche (Bilancio tecnico cit., pp. 16-17).

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La Società sosteneva però anche ingenti spese legate alla Scuola d’arte emestieri che assorbiva mediamente circa il 20 per cento delle contribuzioniannuali. Inoltre a questa spesa bisognava aggiungere gli esborsi straordinari per losvolgimento di manifestazioni culturali e popolari, il rimborso delle spesesostenute per rappresentanza e per l’acquisto di mobilio, in totale stimabili nel 3per cento dei contributi. Se dunque si fossero inserite all’interno del bilanciotecnico queste due ulteriori fonti di spesa, per un totale di 16.522,5 lire, l’avanzosi sarebbe trasformato in un disavanzo effettivo di 16.479,8 lire. Sebbene leevidenze contabili registrassero al termine di ogni anno un avanzo nominale, icalcoli statistico-finanziari dimostravano l’impossibilità per il sodalizio diassumere nuovi impegni utilizzando il fondo pensioni. Tale fondo, costituito da30.928,09 lire, era impegnato in buona parte per pagare le pensioni equivalentiall’esonero dai contributi e per la parte restante doveva essere riservato alpagamento di eventuali sussidi continui194. Era necessario che la Società operassele necessarie modifiche che permettessero di ristabilire l’equilibrio tecnico,evitando seri imbarazzi nel futuro.

194 In base alle disposizioni statutarie del 1903, per il funzionamento del fondo pensioni bisognava

attendere il raggiungimento della somma di 30.000 lire, somma raggiunta al termine del 1907. Il

mancato pagamento dei contributi dei soci con oltre 65 anni era stato impropriamente attribuito

fino a quel momento al fondo mutuo soccorso.

1.Patrimonio sociale depositato presso i locali istituti di credito

L. 49.649,3

2. Valore attuale dei contributi L. 71.837,3 Totale L. 121.486,7

1. Valore attuale dei sussidi di malattia L. 86.270,3

2.Valore attuale delle pensioni equivalenti ai contributi

L. 16.673,2

3. Valore attuale dei sussidi per morte L. 4.133,0

4.Valore delle spese di esazione e amministrazione

L. 14.367,5

Totale L. 121.444,0

42,7 L.Avanzo tecnico

Bilancio tecnico

Valore capitale degli impegni

Valore capitale attuale degli introiti

Tabella 24. Bilancio tecnico della Società operaia di mutuo soccorso

nell’anno 1908

Fonte: Bilancio tecnico cit., p. 21.

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166

In particolare il sussidio di malattia per 180 giorni computabili con l’anno

solare, l’esonero dei contributi a 65 anni e l’ammontare delle spese per

l’istruzione pari al 20 per cento dei contributi erano impegni talmente gravosi da

non trovare condizioni simili in nessuna società della provincia195.

Se la SOMSI avesse evitato di concedere l’esonero dal pagamento dei

contributi e fosse stata in grado di ridurre le spese per l’istruzione al 10 percento,

sarebbe riuscita a produrre un avanzo tecnico di gestione abbastanza cospicuo

(circa 12.600 lire). Tale somma si sarebbe potuta utilizzare per aiutare i soci a

iscriversi alla Cassa nazionale di previdenza, garantendosi così una pensione per

la vecchiaia. La direzione, commentando i risultati emersi dai laboriosi calcoli

effettuati, affermava:

Le società di mutuo soccorso che contano, come la nostra, molti anni di vita, poggiano,

quasi nella loro totalità, sulle stesse basi empiriche della nostra, appunto perché al momento della

loro istituzione, nessuno s’è sognato di indagare se le probabili entrate bastassero a fronteggiare le

promesse fatte ai soci. Come si è detto, in una società di mutuo soccorso, le eccedenze attive

annuali non sono – come in un'altra azienda qualunque – una prova e neanche un indizio di

prosperità economica, perché parte dei contributi vengono anticipati dai soci per i bisogni futuri.

I calcoli riassunti negli esposti quadri, dimostrano che gli impegni aumentano

coll’invecchiare dei soci […] Infatti i resoconti annuali durante il primo ventennio si chiusero con

eccedenze attive che talora superarono le 3.000 lire e anche le 4.000 lire. Durante quest’ultimo

decennio invece, nonostante i maggiori introiti derivanti dal frutto dell’accumulato capitale, la

media di tali eccedenze si limita a L. 1.490, che – non tenendo conto delle straordinarie elargizioni

incassate – si riduce ad annue L. 890. Questa constatazione di fatto […] è più che sufficiente per

lasciar dubitare che, proseguendo di questo passo la Società può trovarsi improvvisamente, di

fronte al disavanzo amministrativo196.

Le proposte avanzate dalla direzione per evitare che si verificasse questa

condizione furono tre:

1. adeguare l’importo dei contributi annuali dei soci maschi, dimostratisi

troppo bassi per garantire le condizioni stabilite nello statuto. Per le

195 Bilancio tecnico cit., p. 20.196 Ibid., p. 22.

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167

donne l’ammontare dei contributi era già sufficientemente elevato

rispetto alle condizioni di trattamento offerte. L’aumento medio dei

contributi proposto si aggirava intorno alle due lire l’anno197;

2. limitare il diritto al sussidio a 180 giorni l’anno, non computabili più

con l’anno solare ma con decorrenza dal primo giorno di malattia, sia

per effetto sia di una che di più malattie;

3. si proponeva infine di prelevare dal fondo pensioni la somma pari al

valore attuale delle pensioni vitalizie per l’esonero dei contributi

maturati fino a quel momento dai soci. Da tale fondo si darebbe dovuta

dedurre la quota annua corrispondente ai contributi che avrebbero

dovuto pagare i soci e passarla al fondo mutuo soccorso e istruzione.

Allo stesso tempo si sarebbe dovuta calcolare con apposita tabella,

compilata in conformità a criteri tecnici, la quota delle contribuzioni dei

nuovi soci, corrispondenti al valore capitale dell’esonero dai contributi

da conseguirsi ai 65 anni d’età. In questo modo dunque si sarebbe

ordinata la posizione dei soci già iscritti e si sarebbero fissati criteri più

rigorosi per tutti i nuovi iscritti, evitando dissesti finanziari. La quota

del fondo eccedente si sarebbe dovuta destinare al pagamento dei

sussidi continui per inabilità al lavoro e, in rapporto alla consistenza

delle eccedenze attive, per agevolare l’iscrizione dei soci alla Cassa

nazionale di previdenza.

Le soluzioni prospettate dalla direzione della Società non trovarono ascolto.

Nel corso del 1908 si svolsero diverse assemblee con lo scopo di discutere del

progetto e adottarne le soluzioni. In tutte le occasioni però non si riuscì a

raggiungere il numero minimo di soci per votare le modifiche dello statuto198. Gli

unici provvedimenti che la Società poté prendere furono quelli deliberati

197 L’ammontare delle quote di contribuzione fu calcolato mediante una ripartizione pro quota

delle spese della Società (ASC, cart. 13: Atti Amministrativi 1907-1911, fasc. 2: Anno 1908, doc:

Tabella dei contributi).198 SOMSI, Resoconto […] 1908 cit., Cividale 1909, p. 3.

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168

dall’assemblea il 19 maggio del 1909199, in cui si disponeva di porre a carico del

fondo pensioni le quote dovute dai soci non contribuenti e di riordinare la Scuola

secondo le proposte ministeriali, stanziando un contributo annuo fisso non

superiore al 20 per cento dei contributi versati dagli iscritti. In questo modo

l’appello lanciato dalla direzione non fu raccolto dai soci, mentre agli organi

amministrativi della Società non restava che ricercare nuove soluzioni al problema

del raggiungimento dell’equilibrio tecnico.

199 40 anni di vita cit., p. 12.

3. Casi di malattia e sussidi corrisposti tra il 1870 e il 1924

Nelle prime fasi di vita la Società spese principalmente il proprio impegno

per aiutare gli iscritti colpiti da malattie o infortuni. Il problema delle pensioni di

vecchiaia giunse all’attenzione della dirigenza solo in un secondo momento.

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169

Esso non era il solo avvertito dai soci: almeno altrettanto importante era

anche la possibilità di fruire di una piccola somma al verificarsi di incidenti sul

lavoro o malattie di altro genere. Per far fronte a questa richiesta, che ispirò la

nascita delle società di mutuo soccorso, la SOMSI di Cividale elargì sussidi ai

propri soci a partire dal primo anno di vita. Nel corso dei primi esercizi i casi di

soci sussidiati furono molto pochi, principalmente a causa delle complicate

procedure stabilite per ottenere il sussidio e per la necessità di attestare lo stato di

bisogno del richiedente. Modificate queste norme, il numero di interventi della

Società aumentò in modo sensibile. Nel 1879 si superò la soglia di un socio

assistito ogni 5 iscritti, e la media tese a salire con punte molto rilevanti nel 1890,

quando i casi di malattia sussidiati raggiunsero il 43,1 percento del totale dei

soci200. Sebbene nel periodo seguente al 1890 (tra il 1890 e il 1896 i dati si

attestarono mediamente intorno al 35 per cento) e negli anni successivi alla guerra

(tra il 1918 e il 1924 solo l’11 per cento) i dati avessero un andamento anomalo,

l’incidenza dei casi di malattia assistiti in rapporto al numero di soci iscritti nel

periodo 1870-1924 fu complessivamente del 20,8 percento. Il dato così strutturato

non evidenzia la differente incidenza della casistica sui due sessi. In particolare

non mette in luce la consistente differenza verificatasi nel corso dei primi

trent’anni di vita del sodalizio, quando i casi di malattia ponderati per il numero di

soci dello stesso sesso furono quasi doppi per le donne

200 L’anomalia riguardante il 1890 è spiegabile con l’epidemia di influenza che colpì su vasta scala

la comunità cividalese e che produsse i suoi effetti anche per alcuni anni a seguire (SOMSI,

Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1890. Anno XX,

Cividale 1891, p. 1).

Anni Uomini Donne

1870 - 1880 7,8% 15,4%

1881 - 1890 22,3% 40,5%

1891 - 1900 25,6% 42,5%

1901 - 1910 23,6% 27,5%

1911 - 1919 16,1% 21,8%

1920 - 1924 11,6% 11,5%

Tabella 25. Incidenza dei casi di malattia ponderati

sul numero dei soci suddivisi per sesso (1870-1924)

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170

La durata media di ciascun caso di malattia era di circa 24 giorni. Questo

risultato è in parte influenzato dall’andamento dei dati nel corso degli ultimi anni

presi in esame, in cui si evidenziava una crescita della durata media delle

infermità. Nel corso dell’ultimo decennio, in particolare, alla diminuzione dei casi

di malattia si associò un aumento della durata degli stessi. Raffrontando tra loro i

dati del 1910 con quelli del 1924 si osserva che, a fronte di una diminuzione

dell’incidenza dei casi di malattia (dal 20,3 al 10,9 per cento dei soci, con un

valore medio nel periodo pari al 15,8 per cento), era aumentata sensibilmente la

durata media delle infermità (da 23 a 38 giorni; media nel periodo 31 giorni). Per

spiegare questi dati si possono ipotizzare differenti circostanze. In primo luogo

poteva essersi verificato un miglioramento nelle condizioni di vita dei soci, quindi

minore era l’incidenza delle malattie dovute alla carenza di igiene e alla

malnutrizione. Una tesi ulteriore potrebbe invece rilevare la diminuzione delle

malattie tra le donne e relazionarla con l’aumento della durata media delle

infermità. Come osservato precedentemente, la minore incidenza dei casi di

malattia tra le donne conferiva maggiore importanza alla casistica legata alle

indisposizioni diffuse tra gli uomini. E’ possibile notare, dalla tabella riassuntiva

della casistica delle malattie nel 1907 (anno in cui l’incidenza dei casi di malattia

è equamente distribuita tra i sessi), che la durata media delle patologie tra gli

uomini superava quella delle donne (29 giorni per gli uomini, 24 per le donne)201.

Gli uomini erano più esposti a quelle malattie spesso derivanti da sinistri sul

lavoro (contusioni, ferite, fratture, amputazioni), la cui frequenza era più alta e la

cui cura richiedeva tempi mediamente più lunghi.

201 SOMSI, Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1906.

Anno XXXVI, Cividale 1907, pp. 13-15.

Casi Giorni Casi Giorni Casi Giorni

Contusioni 8 130 1 16 9 146 Lombaggine 7 84 1 24 8 108 Ferite 7 109 1 8 8 117 Febbre 5 42 3 54 8 96 Reumatismi 4 228 2 32 6 260 Distrosioni 4 42 1 15 5 57 Flemmone 3 23 - - 3 23 Ileo - tifo 3 469 3 135 6 604 Pneuomonite 2 112 - - 2 112 Ernia 2 63 - - 2 63 Bronchite 2 38 4 45 6 83 Fratture 2 153 1 80 3 233

Uomini DonneMalattia

Totale

Tabella 26. Casistica e durata delle malattie dei soci suddivisi per sesso

nell’anno1907

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Fonte: elaborazione da Resoconto generale 1906, pp. 13-15.

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Sulla base delle stesse rilevazioni i casi di malattia più diffusi riguardavano

contusioni, lombaggini, ferite di varia natura, febbri reumatiche e da

raffreddamento e reumatismi. La malattia che però produceva il più lungo decorso

era l’ileo-tifo, di cui si riscontrarono nel corso dell’anno sei casi per complessivi

604 giorni di sussidi pagati.

I sussidi giornalieri pagati dalla Società ebbero un andamento abbastanza

regolare nel tempo. L’unico aumento sensibile si registrò nel corso degli ultimi

anni, a causa degli aumenti stabiliti con le modifiche statutarie del 1922.

Complessivamente il valore medio del sussidio fu di 1,21 lire al giorno.

Il sussidio complessivo medio pagato dalla Società per ciascun episodio di

malattia crebbe nel corso degli anni a causa dell’allungamento del periodo di

malattia. Il valore di tale sussidio al termine del periodo era di 29,34 lire.

Infine è possibile calcolare il rapporto tra sussidi elargiti e contributi versati

dai soci. La SOMSI versò a titolo di sussidio, nel periodo compreso tra il 1870 e il

1924, la somma di 146.156,55 lire a fronte di 119.210 giornate di malattia. La

somma dei soci contribuenti al termine di ciascun anno raggiungeva la cifra

complessiva di 22.629, i quali nella loro totalità avevano corrisposto un contributo

pari a 247.319 lire. Il contributo medio versato ogni anno dai soci era pertanto di

10,92 lire, mentre i sussidi medi percepiti pro-capite erano pari a 6,45 lire l’anno.

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Casi di malattia

Giorni di durata

Indennità pagate

Casi di malattia

Giorni di durata

Indennità pagate

Casi di malattia

Giorni di durata

Indennità pagate

1870 3 72 72,00 - - - 3 72 72,00 24,0 3,3% 1,00 24,001871 2 24 24,00 2 29 22,60 4 53 46,60 13,3 7,0% 0,88 11,651872 1 14 14,00 - - - 1 14 14,00 14,0 0,7% 1,00 14,001873 8 137 137,00 - - - 8 137 137,00 17,1 5,2% 1,00 17,131874 8 98 105,00 - - - 8 98 105,00 12,3 4,8% 1,07 13,131875 13 290 348,00 5 191 191,00 18 481 539,00 26,7 10,2% 1,12 29,941876 16 291 349,20 5 164 164,00 21 455 513,20 21,7 10,7% 1,13 24,441877 15 253 303,60 6 178 178,00 21 431 481,60 20,5 10,3% 1,12 22,931878 11 478 573,60 6 184 184,00 17 662 757,60 38,9 7,5% 1,14 44,561879 40 745 894,60 10 130 130,00 50 875 1.024,60 17,5 20,7% 1,17 20,491880 25 468 538,20 18 371 343,00 43 839 881,20 19,5 16,7% 1,05 20,491881 45 827 1.170,75 22 373 340,50 67 1.200 1.511,25 17,9 23,8% 1,26 22,561882 51 1.151 1.534,50 31 406 376,50 82 1.557 1.911,00 19,0 25,7% 1,23 23,301883 48 1.249 1.586,25 32 565 501,00 80 1.814 2.087,25 22,7 24,6% 1,15 26,091884 58 1.259 1.740,75 35 469 446,00 93 1.728 2.186,75 18,6 27,8% 1,27 23,511885 47 915 1.240,50 36 612 504,00 83 1.527 1.744,50 18,4 24,0% 1,14 21,021886 52 1.196 1.653,00 43 703 634,50 95 1.899 2.287,50 20,0 22,2% 1,20 24,081887 64 1.311 1.788,75 44 789 743,00 108 2.100 2.531,75 19,4 23,8% 1,21 23,441888 95 2.324 3.246,00 58 945 883,00 153 3.269 4.129,00 21,4 34,6% 1,26 26,991889 65 1.930 2.752,25 44 885 829,00 109 2.815 3.581,25 25,8 20,6% 1,27 32,861890 126 2.527 3.558,50 91 1.321 1.215,50 217 3.848 4.774,00 17,7 43,1% 1,24 22,001891 90 2.227 2.994,75 81 1.784 1.527,50 171 4.011 4.522,25 23,5 31,7% 1,13 26,451892 102 2.604 3.390,75 94 2.151 1.962,50 196 4.755 5.353,25 24,3 37,9% 1,13 27,311893 91 2.011 2.628,75 76 1.392 1.140,00 167 3.403 3.768,75 20,4 33,2% 1,11 22,571894 92 1.852 2.431,75 77 1.638 1.438,00 169 3.490 3.869,75 20,7 34,6% 1,11 22,901895 83 1.646 2.190,25 79 1.485 1.401,50 162 3.131 3.591,75 19,3 34,0% 1,15 22,171896 74 1.716 2.411,00 59 1.154 1.052,00 133 2.870 3.463,00 21,6 29,1% 1,21 26,041897 59 1.472 2.118,00 44 1.422 1.216,50 103 2.894 3.334,50 28,1 22,2% 1,15 32,371898 70 2.035 2.785,25 45 1.074 952,50 115 3.109 3.737,75 27,0 25,7% 1,20 32,501899 71 1.700 2.389,50 57 1.492 1.430,00 128 3.192 3.819,50 24,9 25,9% 1,20 29,841900 107 2.094 3.022,50 66 689 1.394,00 173 2.783 4.416,50 16,1 37,2% 1,59 25,53

Uomini Donne

Anni

Totale

Durata media della malattia

Rapporto casi/soci (%)

Sussidio giorn. medio

Sussiodio complessivo medio per

caso

Tabella 27. Casi di malattia, durata delle infermità e indennità pagate dalla SOMSI (1870 – 1924)

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Casi di malattia

Giorni di durata

Indennità pagate

Casi di malattia

Giorni di durata

Indennità pagate

Casi di malattia

Giorni di durata

Indennità pagate

1901 85 1.753 2.341,50 46 767 689,00 131 2.520 3.030,50 19,2 29,2% 1,20 23,131902 70 1.445 2.022,75 53 1.406 1.258,50 123 2.851 3.281,25 23,2 27,9% 1,15 26,681903 61 1.469 2.113,50 47 956 887,50 108 2.425 3.001,00 22,5 22,8% 1,24 27,791904 68 1.084 1.500,50 34 605 562,25 102 1.689 2.062,75 16,6 21,7% 1,22 20,221905 72 1.898 2.599,00 43 889 858,25 115 2.787 3.457,25 24,2 24,9% 1,24 30,061906 81 2.329 3.039,00 33 807 745,75 114 3.136 3.784,75 27,5 24,4% 1,21 33,201907 88 1.494 2.064,00 42 870 792,00 130 2.364 2.856,00 18,2 28,6% 1,21 21,971908 86 1.529 2.188,50 39 920 848,00 125 2.449 3.036,50 19,6 27,8% 1,24 24,291909 78 2.008 2.630,00 26 901 814,50 104 2.909 3.444,50 28,0 21,0% 1,18 33,121910 78 1.579 2.199,25 27 846 771,25 105 2.425 2.970,50 23,1 20,3% 1,22 28,291911 77 2.035 2.314,50 33 898 802,25 110 2.933 3.116,75 26,7 20,4% 1,06 28,331912 80 1.715 2.412,75 29 843 766,75 109 2.558 3.179,50 23,5 20,6% 1,24 29,171913 77 1.877 2.539,00 53 1.562 1.417,00 130 3.439 3.956,00 26,5 24,5% 1,15 30,431914 65 1.411 1.948,00 38 1.160 1.053,00 103 2.571 3.001,00 25,0 19,4% 1,17 29,141915 85 1.586 2.311,00 34 1.130 1.016,25 119 2.716 3.327,25 22,8 23,0% 1,23 27,961916 50 1.776 2.345,50 27 928 847,75 77 2.704 3.193,25 35,1 15,2% 1,18 41,471917 40 1.426 1.967,00 23 585 543,75 63 2.011 2.510,75 31,9 12,8% 1,25 39,851918 34 1.810 2.440,50 26 991 938,00 60 2.801 3.378,50 46,7 12,6% 1,21 56,311919 37 1.752 2.280,00 15 387 387,00 52 2.139 2.667,00 41,1 10,5% 1,25 51,291920 50 1.814 2.457,25 16 369 368,25 66 2.183 2.825,50 33,1 12,5% 1,29 42,811921 50 1.832 2.474,75 18 491 489,25 68 2.323 2.964,00 34,2 12,9% 1,28 43,591922 42 1.294 2.411,00 20 475 712,50 62 1.769 3.123,50 28,5 10,8% 1,77 50,381923 42 1.394 2.581,00 15 356 489,00 57 1.750 3.070,00 30,7 10,6% 1,75 53,861924 44 1.754 3.016,00 14 492 709,50 58 2.246 3.725,50 38,7 10,9% 1,66 64,23

Totale 3.172 76.980 106.189,20 1.917 42.230 39.967,35 5.089 119.210 146.156,55 24,0 20,8% 1,21 29,34

Durata media della malattia

Rapporto casi/soci

Sussidio giorn. medio

Sussiodio complessivo medio per

caso

Anni

Uomini Donne Totale

Fonte: 40 anni di vita cit., tavole; Quindici anni cit., tavole.

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Sussidio medio per caso di malattia

0,00

10,00

20,00

30,00

40,00

50,00

60,00

70,00

1870 1873 1876 1879 1882 1885 1888 1891 1894 1897 1900 1903 1906 1909 1912 1915 1918 1921 1924

Anni

Incidenza dei casi di malattia sui soci

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

40%

45%

50%

1870 1873 1876 1879 1882 1885 1888 1891 1894 1897 1900 1903 1906 1909 1912 1915 1918 1921 1924

Anni

Durata media di un caso di malattia

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

1870 1873 1876 1879 1882 1885 1888 1891 1894 1897 1900 1903 1906 1909 1912 1915 1918 1921 1924

Anni

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176

4. I sistemi previdenziali europei e l’origine di quello italiano

Sul finire dell’Ottocento in Italia si poté iniziare a produrre una nuova

legislazione orientata a salvaguardare la vita degli operai, a curarne l’igiene fisica

e morale, a evitare il verificarsi di incidenti sul lavoro, a escludere dai lavori

usuranti le persone più deboli (donne e bambini), e rivolta infine a riparare

economicamente alle cause di invalidità per gli infortuni occorsi sul lavoro.

A distanza ormai di molti anni dall’Unità era finalmente possibile

intervenire a favore della tutela sociale dei lavoratori.Tale intervento era stato

rinviato per troppi anni e affidato soltanto alla sensibilità e allo spirito filantropico

di pochi cittadini illuminati. La determinazione con cui i governi liberali

affrontarono il problema fu dovuta anche al continuo montare della contestazione

da parte delle rappresentanze sindacali degli operai, sull’ampia e complessa

questione economico-sociale del lavoro spesso stigmatizzavano la posizione

“distratta” dell’esecutivo.

In questo quadro le società operaie si trovavano a dover rispondere alla

domanda sempre più esigente dei soci, i quali chiedevano di ottenere non più

esclusivamente la copertura economica per il mancato guadagno in occasione

delle temporanee infermità, ma anche una garanzia minima per il futuro una volta

terminata la possibilità di lavorare. Le SMS, nate più sullo slancio solidaristico

che sulla base di rigorese leggi matematiche, soffrirono non poco nel momento in

cui si trovarono costrette a far fronte a queste richieste, peraltro legittimamente

avanzate dai lavoratori perché contemplate in molti statuti. Mentre le società

riuscivano ancora a garantire con una certa tranquillità e con risultati apprezzabili

i sussidi per malattia, la questione delle pensioni destabilizzò non poco

l’equilibrio economico e contabile di molti sodalizi. La legge del 17 marzo 1898

sull’obbligatorietà dell’assicurazione contro gli infortuni degli operai, sebbene

introducesse per la prima volta una triangolazione tra lavoratori, Stato e datori di

lavoro (tutti solidalmente impegnati economicamente a garantire il pagamento del

premio), non riscosse particolare attenzione da parte delle società mutualistiche.

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177

Tale normativa era infatti rivolta solo a una minima parte di operai, lasciando

scoperta ogni forma di assicurazione per contadini, artigiani e lavoratori

impegnati nelle industrie meno pericolose, non offrendo alcuna risposta ai

numerosi soci delle mutue che in prevalenza appartenevano alle categorie sopra

citate202.

Se le SMS costituivano dunque ancora uno strumento efficace per

consentire di risolvere la questione dell’assicurazione nei casi di malattia, primo

gradino della scala previdenziale, non ci si poteva aspettare da questi sodalizi

ulteriori passi avanti. Le stesse società erano consapevoli che il loro ruolo sarebbe

stato superato con gli anni e con la progressiva affermazione del welfare; funsero

anzi, in alcuni casi, da capofila nelle battaglie per ottenere migliori condizioni di

tutela dei lavoratori. Il compito che esse ricoprirono da un certo momento in poi

fu di ponte ideale per comporre il rapporto, spesso conflittuale, tra capitale e

lavoro, lungo la strada delle conquiste sociali dei cittadini. Le società persero

parte dei loro ruoli istituzionali con il progressivo inserimento dello Stato nel

campo della previdenza, ma allo stesso tempo non furono smantellate, poiché se

ne riconobbe l’importante ruolo svolto nel passato e quello altrettanto importante

che avrebbero potuto ricoprire nella gestione della nuova previdenza, grazie alla

maggiore facilità con cui riuscivano a coinvolgere operai e artigiani. Le società

operaie non erano pertanto foglie secche in attesa di essere spazzate dal vento, ma,

come affermava lo stesso Luzzatti, “scuole primarie dell’umana previdenza”, rette

da un’alta idea morale: il principio dell’assoluta eguaglianza della dignità

personale, che sostituiva la beneficenza con la virtù del risparmio203, e quindi

utilissime istituzioni anche in questa fase di trasformazione.

La legge che istituì la Cassa nazionale di previdenza non fu un

provvedimento nato a seguito di una decisione improvvisa da parte dello Stato di

intervenire nel campo dell’assistenza sociale. Un lungo percorso e molti contributi

di personaggi illustri concorsero alla nascita di questa istituzione. Già Cavour, nel

202 Cassa nazionale di previdenza per la invalidità e la vecchiaia degli operai. Relazione dell’On.

Comm. Elio Morpurgo, a cura della CAMERA DI COMMERCIO DI UDINE, Udine 1904, p. 34.203 P. CAPPELLANI, La Cassa nazionale di previdenza e la funzione delle Società operaie di M.S.,

Udine 1909, pp. 4-5.

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1859, tentò di collaborare affinché fosse tradotto in legge il disegno di legge

Lanza, che però rimase lettera morta e no fu mai applicato a causa principalmente

delle più gravi e urgenti questioni che attraversavano l’Italia in quel momento. Lo

studio del progetto per istituire una Cassa pensioni per gli operai fu

successivamente sviluppato dai ministri Berti, Cairoli, Baccarini e Magliani.

Anche in questo caso altri interessi prioritari del Paese, appena uscito da anni di

disavanzo del bilancio e non in grado di sostenere un tale sforzo economico,

fecero sì che il progetto fosse accantonato. Da quel momento il problema della

previdenza pubblica fu molto discusso in sede parlamentare e la presentazione di

progetti di legge in materia fu incalzante. Al primo progetto del novembre 1881,

seguì la seconda proposta di legge Berti del 19 febbraio 1883, quindi quella

Grimaldi del 1° giugno 1885. Nel 1887 fu invece presentata la proposta di legge

di iniziativa parlamentare Vacchelli-Ferrari, successivamente riproposta nel 1889,

a cui fece seguito il controprogetto del Luzzatti nel 1890; quindi toccò al disegno

di legge Lacava nel 1893 e infine a quello Guicciardini del 13 aprile 1897 che

sfociò, finalmente, nella legge n. 350 del 17 luglio 1898, istitutiva della Cassa

nazionale di previdenza per la invalidità e la vecchiaia degli operai204.

Per fornire ai lavoratori un adeguato trattamento previdenziale, le proposte

di legge italiane si basarono sulle esperienze maturate in materia in diversi altri

Paesi europei durante tutto l’Ottocento.

In Francia nel 1850 fu votata una legge proposta dal deputato Mirabeau,

grazie alla quale si costituirono in tutto il Paese delle casse che raccoglievano il

risparmio dei lavoratori per poi restituirlo sotto forma di pensioni. Erano previsti

liberi contributi, a seconda delle possibilità ed esigenze; le pensioni venivano

liquidate in base alle risultanze delle tavole di mortalità e utilizzando un tasso di

capitalizzazione annuo del 5 per cento. Le casse ben presto dovettero affrontare

una situazione di deficit finanziario, legato alla scarsa fruttuosità dei capitali che,

investiti in titoli di Stato, non riuscivano a fruttare mai più del 4,5 per cento. La

cassa divenne pertanto non uno strumento a disposizione degli operai, quanto un

204 Cassa nazionale di previdenza cit., pp. 12-14.

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sicuro rifugio per i capitali di molti benestanti che si vedevano corrispondere tassi

di interesse sui versamenti effettuati perfino superiori a quelli di mercato205.

Accanto a queste casse pubbliche in Francia riscosse un discreto successo

anche il sistema chatelusiano (dal nome dell’ideatore dei Prévoyants de l’Avenir),

dal quale trasse ispirazione anche l’italiana Cassa mutua cooperativa per le

pensioni206. Queste casse cooperative costituivano un esempio di mutualità libera

in cui non intervenivano né i soggetti privati né lo Stato207. L’aspetto più

interessante, rilevato da Ivanoe Bonomi nei suoi studi sulle istituzioni

previdenziali, riguardava la necessità che tra i fattori necessari al buon

funzionamento di questi istituti vi fosse il progressivo aumento dei soci. La

pensione dei soci con più di vent’anni di anzianità era liquidata non solo sulla

base dei contributi versati da questi ultimi, ma anche utilizzando gli interessi

maturati sui risparmi dei nuovi iscritti. Questi, a loro volta, avrebbero approfittato

di un analogo trattamento una volta giunti alla soglia dell’età pensionabile.

L’aspetto di maggior interesse, secondo lo studioso, era dato dal rapporto di

fratellanza e dal legame che così univa le nuove generazioni a quelle più vecchie:

si sottolineava dunque il ruolo rilevante non solo da un punto di vista economico,

ma anche sociale.

La Francia riformò la propria legge in materia previdenziale nel 1901,

mutuando quella belga, anch’essa emendata nel 1900 sulla base delle indicazioni

che emergevano nel progetto di legge approvato dal parlamento italiano.

In Germania il sistema previdenziale si basava su una visione connotata,

secondo l’on. Morpurgo208, dal “socialismo di stato”. Nella pratica il sistema si

basava sull’assicurazione obbligatoria dei lavoratori. In particolare, il sistema di

assicurazioni sociali tedesco prevedeva una compartecipazione alla spesa da parte

205 Ibid., pp. 15-16.206 A. CABRINI – P. CHIESA, Proposte di assicurazioni sociali in Italia. Relazione pel VII

congresso nazionale delle società di resistenza, a cura della CONFEDERAZIONE GENERALE DEL

LAVORO, Torino 1908, pp. 5-6.207 Alle volte le Casse mutue investivano i loro risparmi nella promozione di attività di tipo

cooperativistico, sia nel campo del lavoro che della produzione e del consumo, con un ritorno non

solo economico ma anche sociale.208 Cassa nazionale di previdenza cit., p. 17.

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180

dello Stato, degli imprenditori e dei lavoratori. Il pagamento dei premi per le

assicurazioni sugli infortuni spettava integralmente agli imprenditori, quelle per

malattia erano in parte a carico dell’operaio (circa 2/3) e in parte a carico

dell’imprenditore, mentre i contributi per le pensioni di vecchiaia e invalidità

erano ripartiti tra imprenditori e lavoratori per circa 2/5 ciascuno, e quindi allo

Stato non spettava che un contributo di 1/5. Complessivamente, sul totale del

costo della previdenza tedesca, circa la metà della spesa era accollata ai datori di

lavoro, poco meno ai lavoratori209 e una minima parte (meno del 10 per cento)

allo Stato210. Le leggi tedesche prevedevano il pagamento della pensione di

invalidità dopo 5 anni di iscrizione, mentre per quella di vecchiaia bisognava

attendere i 70 anni, età in cui molti lavoratori avevano smesso già da anni di

lavorare.

In Inghilterra la previdenza era totalmente affidata all’iniziativa privata211.

La dottrina classica, individualistica, non era però dominata da egoismi, ma

temperata dal lungo e sapiente uso della libertà che caratterizzava le popolazioni

anglosassoni. La lunga storia del mutualismo inglese permetteva ai sodalizi di

erogare pensioni ai propri soci, soprattutto perché il metodo di calcolo delle

pensioni si basava sul sistema del premio naturale212. Sulla base di questo

principio, il calcolo dei contributi era variabile e dipendeva da ciò che occorreva

per liquidare la pensione di coloro che avevano già maturato il diritto.

La legislazione di paesi come la Nuova Zelanda e la Danimarca si basava

sulla concessione di una pensione alle persone con più di 60 anni e non in grado di

provvedere a sé e alla propria famiglia anche senza che esse avessero versato

alcun contributo. La concessione della pensione era però vincolata alla tenuta di

209 Le classi di contributo erano 5: l’ammontare del singolo versamento dipendeva dal guadagno

annuale del lavoratore.210 CABRINI – CHIESA, Proposte di assicurazioni sociali in Italia, cit., p. 8.211 Il tentativo di dare vita a casse d’assicurazione con il contributo dello Stato fu attuato da

Gladstone nel 1864, ma l’iniziativa fu di scarso successo, principalmente a causa del potere

economico e della forza numerica delle società mutualistiche inglesi (Cassa nazionale di

previdenza, cit., p. 19).212 Lo stesso metodo era applicato anche negli Stati Uniti d’America.

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181

una condotta esemplare; altrimenti si incorreva nella sospensione delle elargizioni

e nel ricovero presso gli ospizi pubblici.

5. La Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la

vecchiaia degli operai

Con la legge del 17 luglio 1898 e successive modifiche del luglio 1901,

marzo 1094, dicembre 1906 e infine maggio 1907 si istituì anche in Italia un

istituto per garantire la possibilità ai lavoratori di assicurarsi un trattamento

pensionistico. La scelta del legislatore fu di costituire un ente morale autonomo

dallo Stato, soggetto solo ai controlli sui bilanci generali da parte del ministero di

Industria Agricoltura e Commercio e sui bilanci tecnici da parte del ministero del

Tesoro. L’autonomia dell’ente fu da più parti rilevata come elemento cruciale, per

evitare che sull’iniziativa si potessero creare facili speculazioni politiche. La legge

prevedeva infatti che nel consiglio di amministrazione della Cassa, oltre ai

rappresentanti governativi, vi fossero rappresentanti degli operai iscritti, degli

istituti di risparmio che contribuivano alla dotazione e al funzionamento della

Cassa, degli enti morali, delle società di mutuo soccorso e delle cooperative di

produzione. In realtà l’autonomia evocata era solo fittizia, come emergeva dallo

statuto dell’ente, secondo cui dei diciotto componenti del consiglio dell’istituto 10

erano eletti tra le citate categorie213, 8 erano proposti liberamente dal ministro di

Agricoltura Industria e Commercio. A essi si aggiungevano ulteriori membri di

diritto rappresentativi dei tre ministeri (Agricoltura Industria Commercio, Poste e

Tesoro), il direttore della Cassa depositi e prestiti e infine il direttore dell’ufficio

del lavoro presso il M.A.I.C. Al consiglio spettava il compito di predisporre la

normativa tecnica e le tariffe da applicare. La Cassa nazionale depositi e prestiti si

accollava l’onere della custodia e del servizio di cassa per conto dell’istituto di

previdenza gratuitamente.

213 Così distribuiti: 6 rappresentanti degli operai, 2 degli istituti di risparmio e 2 delle società

operaie (CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA, Testo unico di legge. Statuto, regolamento tecnico e

tariffe, Roma 1909, p. 6).

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La dotazione iniziale della Cassa nazionale di previdenza era costituita da

un fondo patrimoniale di dieci milioni: cinque derivanti da biglietti consorziali

definitivi prescritti per effetto della legge 7 aprile 1881 sull’abolizione del corso

forzoso, e cinque derivanti dagli utili netti disponibili al 31 dicembre 1896 presso

le casse postali di risparmio214. Ulteriori fondi si sarebbero recuperati mediante:

1. la metà del valore dei biglietti prescritti per effetto della legge sugli istituti di

emissione e sulla circolazione dei biglietti di banca del 1900;

2. i conferimenti, i legati e le donazioni fatte da enti morali o da privati;

3. le somme dei libretti di risparmio postali prescritti in base alla legge n. 2779 del

1875 e assegnate inizialmente alla Cassa depositi e prestiti;

4. il capitale dei depositi presso la Cassa depositi e prestiti prescritti dalla legge n.

1270 del 1863;

5. un decimo dell’avanzo del fondo per il culto.

Le entrate annuali ordinarie della Cassa erano costituite dai 7/10 degli utili

netti annuali delle casse postali, la metà degli utili netti della gestione dei depositi

giudiziari, l’importo delle eredità vacanti devolute allo Stato, l’interesse annuale

sul capitale depositato e ogni altro provento eventualmente assegnato215.

Il fondo di invalidità era costituito dalla somma di dieci milioni assegnati

dallo Stato, dai 3/10 delle entrate annuali della Cassa, dalle somme eventualmente

spettanti ai familiari del socio iscritto nel ruolo dei contributi riservati e non

assegnate, da donazioni ed entrate straordinarie e dagli interessi maturati

annualmente sul fondo216.

La discrezionalità di scelta circa le forme di investimento dei fondi raccolti

era molto ampia: l’istituto poteva ricorrere all’acquisto di titoli del debito

pubblico, di titoli garantiti dallo Stato, di obbligazioni ferroviarie, di cartelle del

credito fondiario, a prestiti con comuni e province, a depositi fruttiferi presso la

Cassa depositi e prestiti e persino a immobili urbani217.

214 C.N.P., Testo unico di legge cit., pp. 8-9, art. 7-8.215 C.N.P., Testo unico di legge cit., pp. 9-10, art. 9.216 C.N.P., Testo unico di legge cit., pp. 10-11, art. 11.217 C.N.P., Testo unico di legge cit., pp. 11-12, art. 12.

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183

L’iscrizione alla Cassa era consentita ai cittadini di ambo i sessi che

prestavano servizio a opera o a giornata, o che generalmente svolgevano lavori

prevalentemente manuali, sia per conto di terzi che per conto proprio. Potevano

iscriversi alla C.N.P. anche i lavoratori a domicilio, i padroni, i piccoli bottegai, i

coloni, i mezzadri, i piccoli proprietari purché, ed era questa l’unica condizione,

nessuno di essi superasse le 30 lire annue di imposta di ricchezza mobile pagate

allo Stato218. L’iscrizione era consentita anche alle casalinghe senza che fosse

necessario il consenso del marito e ai minorenni senza il consenso di chi ne

esercitava la potestà. La normativa associava dunque nella medesima categoria

contadini, operai e artigiani, parificando tra loro tutte le categorie produttive in

questione219. La parificazione posta in essere dalla legge era un segno tangibile

della volontà del legislatore di accordare la possibilità a molti lavoratori di

ottenere una copertura previdenziale decorosa, offrendo una soluzione definitiva

alle richieste di molti comparti produttivi. Il plauso che alcuni esponenti del

mondo politico ed economico rivolsero all’iniziativa sottolineava il carattere

universale della normativa, che riconosceva l’utilità di tutti i settori economici per

la crescita del Paese220.

Una volta accertata la condizione operaia del richiedente, il nuovo iscritto si

doveva impegnare a versare la propria quota di contributi annuali consistenti in

rate dell’ammontare minimo di una lira per complessive 6 lire l’anno. Questo

importo costituiva l’ammontare minimo del versamento a carico del lavoratore per

poter fruire del contributo dello Stato; era però concessa all’operaio la facoltà di

concorrere con somme maggiori in base alle proprie disponibilità. Lo Stato

contribuiva alla formazione del conto individuale di ogni iscritto (sulla base del

quale avveniva il calcolo della pensione) mediante una quota di concorso,

218 Ciò significava non disporre di un reddito superiore alle 624 lire o, in alternativa, non possedere

terreni con rendita censuaria superiore alle 120 lire (CAPPELLANI, La Cassa nazionale di

previdenza cit., p. 7).219 L’unica eccezione era stata concessa agli operai impiegati in lavori particolarmente usuranti

(fonderie, vetrerie, miniere, servizi ferroviari), cui era consentito un abbassamento della soglia

d’età pensionabile, portata da 60 a 55 anni. Per questi operai era però fissato un contributo annuo

minimo maggiore (C.N.P., Testo unico di legge cit., p. 12, art. 13; p. 16, art.19).220 CAPPELLANI, La Cassa nazionale di previdenza cit., p. 7.

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determinata in base alle entrate rimaste disponibili al termine di ciascun anno, una

volta effettuate le assegnazioni ai fondi patrimoniali e d’invalidità e, in ogni caso,

non superiore alle 10 lire per iscritto221. La quota di concorso era uguale per ogni

socio, indipendentemente dai contributi versati222.

Una volta raggiunta l’età di 60 anni e dopo 25 anni di iscrizione alla Cassa,

il lavoratore aveva diritto a vedersi liquidata una pensione di ammontare pari al

valore complessivo dei contributi versati e delle quote di concorso moltiplicate

per un apposito coefficiente contenuto nelle tabelle predisposte dal consiglio di

amministrazione della Cassa e basate sulle tavole di mortalità e sul valore degli

interessi commerciali ed aggiornate periodicamente. Il socio che avesse

posticipato la riscossione della pensione a 65 anni, versando per ulteriori 5 anni

contributi alla Cassa, avrebbe potuto fruire di un cospicuo aumento del vitalizio.

Ai soci sottoposti a lavori particolarmente usuranti era concessa la possibilità di

godere del trattamento pensionistico a partire dai 55 anni d’età, a fronte però di un

versamento annuo minimo di 9 lire. Per le donne l’età pensionabile era in ogni

caso fissata a 55 anni.

Essendo necessari almeno 25 anni di versamenti per usufruire della

pensione a 60 anni, si intuisce che l’età massima per potersi iscrivere era di 35

anni. Per evitare che si creassero discriminazioni tra lavoratori anziani e più

giovani, il testo unico di legge prevedeva la possibilità per i lavoratori con più di

35 anni di effettuare le iscrizioni abbreviate. Per ottenere la liquidazione della

pensione con questa modalità era necessario che l’operaio effettuasse il

versamento dei contributi per almeno 10 anni e che l’ammontare degli stessi fosse

calcolato aumentando il contributo annuo minimo di una lira per ogni anno di

abbreviazione223. Anche la cassa nel calcolare la propria quota di concorso

221 La quota di concorso era corrisposta solo se durante l’anno i contributi del socio avevano

raggiunto l’ammontare minimo di 6 lire.222 Inizialmente la quota di concorso venne stimata in 6 lire l’anno, poi aumentata a 10 lire l’anno

per ogni iscritto (Cassa nazionale di previdenza, cit., p. 33).223 C.N.P., Testo unico di legge cit., p. 16, art. 20.

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avrebbe applicato lo stesso principio, sommando alla quota ordinaria una lira per

ogni anno oltre il trentacinquesimo d’età del lavoratore224.

La Cassa prevedeva inoltre due ruoli distinti: quello della mutualità e quello

dei contributi riservati. Nel caso di versamenti nel ruolo della mutualità l’iscritto,

in caso di morte prima del raggiungimento dell’età pensionabile, non poteva

lasciare ai propri eredi nulla di quanto corrisposto fino a quel momento. Gli iscritti

al ruolo dei contributi riservati, deceduti prima del conseguimento della pensione,

potevano trasmettere alla propria famiglia l’ammontare dei contributi accumulati

fino a quel momento (senza interessi). La scelta circa l’iscrizione a una delle due

sezioni era affidata alla volontà del lavoratore. La differenza sostanziale tra i due

ruoli si manifestava al momento della liquidazione della pensione: per gli iscritti

nella sezione della mutualità il trattamento economico era più vantaggioso rispetto

a quello assegnato agli iscritti nel ruolo dei contributi riservati. Era possibile

passare dal ruolo della mutualità a quello dei contributi riservati entro il

compimento del quarantacinquesimo anno d’età, senza alcun aggravio a proprio

carico. Viceversa, il cambio dal ruolo dei contributi riservati a quello della

mutualità era sempre possibile, senza limitazione d’età225.

La pensione per sopravvenuta invalidità dell’iscritto era corrisposta qualora

il socio fosse stato iscritto prima del compimento dei 50 anni e in ogni caso da

almeno cinque anni alla Cassa. Verificate queste condizioni, il socio aveva diritto

al pagamento di una pensione calcolata mediante la liquidazione delle somme fino

a quel momento accumulate sul proprio conto, ma in nessun caso mai inferiore a

120 lire. Per effettuare i pagamenti, nel caso in cui non si fossero dimostrati

sufficienti i fondi accantonati dal socio con il contributo dello Stato, la Cassa

224 Il contributo di un socio iscrittosi a 40 anni di età doveva comprendere la quota minima (6 lire)

più una lira per ogni anno successivo al trentacinquesimo (5 lire). La Cassa contribuiva in maniera

analoga con la quota di concorso (poniamo di 10 lire) più una lira per ogni anno successivo al

trentacinquesimo (5 lire). La quota annuale iscritta sul libretto del lavoratore era pertanto di 26 lire

(CAPPELLANI, La cassa nazionale di previdenza cit., p. 11).225 C.N.P., Testo unico di legge cit., pp. 44-45, Regolamento tecnico, art. 6.

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186

avrebbe dovuto attingere al fondo di invalidità appositamente costituito, fino al

raggiungimento dell’ammontare minimo della pensione226.

Considerate le disposizioni contemplate nella legge n. 350 del 1898, le

pensioni pagabili da parte della Cassa, sulla base delle condizioni vigenti nel 1909

potevano essere227 nel caso di iscrizione nel ruolo della mutualità le seguenti

Se si fosse trattato di pensioni di lavoratori iscritti nel ruolo dei contributi

riservati l’ammontare del singolo versamento sarebbe stato minore Nel caso in cui

il contribuente avesse deciso di posticipare la chiusura della propria posizione e

ottenere la liquidazione della pensione dopo i 65 anni, il trattamento economico

avrebbe subito dei rilevanti miglioramenti:

226 C.N.P., Testo unico di legge cit., pp. 16-17, art. 21.227 Le cifre riportavano in modo sintetico e semplificato l’ammontare delle pensioni calcolate sulla

base dei tassi di mortalità disponibili nel 1909, ipotizzando un tasso d’interesse del 3,5 per cento e

un contributo dello Stato pari a 10 lire l’anno per ogni iscritto.

lire 6 lire 12 lire 18 lire 24 lire 36

20 anni 185 254 323 392 531

25 anni 141 194 247 300 406

30 anni 106 146 186 226 306

35 anni 78 107 136 165 221

lire 6 lire 12 lire 18 lire 24 lire 36

20 anni 174 232 290 349 465

25 anni 133 178 223 268 358

30 anni 100 134 168 202 270

35 anni 74 99 124 149 199

Contributo pagato dall'operaio fino alla data di liquidazione della pensione (60 anni)Età al momento

dell'iscrizione

Età al momento dell'iscrizione

Contributo pagato dall'operaio fino alla data di liquidazione della pensione (60 anni)

Iscritti nel ruolo della mutualità

Iscritti nel ruolo dei contributi riservati

Tabella 28. Pensioni pagabili nel 1909 dalla Cassa nazionale di

previdenza all’età di 60 anni

Fonte: CAPPELLANI , La Cassa nazionale di previdenza cit., pp. 14-16

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6. La Cassa nazionale di previdenza e le società operaie

All’interno del disposto normativo sulla Cassa nazionale di previdenza

erano inseriti degli articoli diretti a regolamentare il rapporto tra l’istituto e le

società operaie. Le SMS, che per anni avevano svolto il ruolo di istituti

previdenziali e assistenziali per gli operai, erano considerate interlocutori

privilegiati rispetto alla Cassa, dalla quale avrebbero goduto di condizioni

privilegiate per l’iscrizione dei soci.

L’articolo 16 della legge n. 350 (modificato dall’art. 9 della legge n. 685 del

30 dicembre 1906) stabiliva infatti la possibilità da parte della Cassa nazionale di

lire 6 lire 12 lire 18 lire 24 lire 36

20 anni 327 450 573 695 941

25 anni 253 348 443 538 729

30 anni 193 266 339 411 556

35 anni 145 199 253 308 416

40 anni 105 174 213 253 332

lire 6 lire 12 lire 18 lire 24 lire 36

20 anni 303 401 499 597 794

25 anni 234 310 386 462 614

30 anni 179 237 295 353 469

35 anni 134 177 221 264 351

40 anni 98 159 190 222 286

Età al momento dell'iscrizione

Contributo pagato dall'operaio fino alla data di liquidazione della pensione (65 anni)

Iscitti nel ruolo della mutualità

Iscitti nel ruolo dei contributi riservati

Età al momento dell'iscrizione

Contributo pagato dall'operaio fino alla data di liquidazione della pensione (65 anni)

Tabella 29. Pensioni pagabili nel 1909 dalla Cassa nazionale di

previdenza dopo i 65 anni d’età

Fonte: CAPPELLANI , La Cassa nazionale di previdenza cit., pp. 14-16

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previdenza di assegnare quote speciali di concorso a favore delle società operaie e

di altre associazioni congeneri, qualora avessero provveduto ad iscrivere

collettivamente i propri soci. Se tra i soci iscritti vi fossero stati lavoratori già in

età pensionabile, per i quali la società avesse previsto da subito il pagamento di

una pensione, sarebbe stato possibile alla Cassa provvedere con un’integrazione

della pensione per complessive 10 lire l’anno. Inoltre era prevista la possibilità di

assegnare premi d’incoraggiamento alle società che avessero costituito presso i

propri locali sedi secondarie della Cassa, a compenso del servizio reso.

Il regolamento tecnico dell’istituto includeva una serie di articoli che

disciplinavano gli aspetti pratici del rapporto. In primo luogo erano considerate

società operaie tutte quelle legalmente riconosciute sulla base della legge n. 3818

del 15 aprile 1886 e quelle, riconosciute o meno, in cui la maggior parte dei soci

erano operai228.

Per le società era inoltre prevista la possibilità di iscrizione collettiva dei

soci. Si considerava tale l’iscrizione di tutti i soci, con la sola esclusione di quelli

non operai e di quelli con più di 50 anni. La società doveva inoltre impegnarsi al

versamento per conto dei soci del contributo minimo previsto dalla Cassa per

ottenere la quota ordinaria di concorso229. Se si fosse proceduto all’iscrizione con

tale modalità la Cassa si sarebbe impegnata a versare, oltre alla quota di concorso

ordinaria e straordinaria, anche una quota forfetaria pro capite di una lira, elevata

a due nel caso di iscrizioni abbreviate. Ai soci non operai era lasciata solamente

l’opportunità di iscriversi nel ruolo delle Assicurazioni popolari di rendite

vitalizie, senza la possibilità di fruire di alcun contributo da parte della Cassa di

previdenza. Il socio che avesse cessato di appartenere alla società di mutuo

soccorso avrebbe perso il diritto all’assegnazione di tutte le quote speciali230.

228 Erano inoltre parificate, se erogavano pensioni, le società cooperative di consumo, le casse di

previdenza delle amministrazioni pubbliche e le società di mutuo soccorso tra ex alunni delle

scuole elementari, purché per la maggior parte costituite da operai (C.N.P., Testo unico di legge

cit., pp. 50-51, Regolamento tecnico, art. 18).229 C.N.P., Testo unico di legge cit., pp. 51-52, Regolamento tecnico, art. 22.230 C.N.P., Testo unico di legge cit., p. 52, Regolamento tecnico, art. 23.

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Alle società, che nello statuto prevedevano tra i propri fini sociali il

pagamento di pensioni, era inoltre concesso di abbreviare ulteriormente i tempi

per l’iscrizione dei soci con più di 50 anni, se uomini, e con più di 45, se donne.

La chiusura e la liquidazione del conto di questi iscritti, non poteva avvenire

prima dei limiti d’età normalmente applicati nei confronti degli iscritti ordinari

(60 anni per gli uomini e 55 per le donne)231.

Le società che avessero voluto iscrivere i propri soci collettivamente

sarebbero state tenute a dichiararlo alla sede centrale della Cassa, rimettendo una

copia dello statuto e il verbale dell’assemblea in cui si fosse espresso parere

favorevole, con allegato il relativo elenco dei soci da iscrivere. Le società inoltre

potevano svolgere un importante ruolo di tramite tra l’amministrazione centrale

della Cassa e gli iscritti. Nel caso di iscrizione collettiva, prestando le idonee

garanzie, le società operaie potevano esercitare tutte le operazioni ordinarie di

registrazione sui libretti, incasso e pagamento delle pensioni per conto della Cassa

centrale o delle sue amministrazioni periferiche. Questo ufficio era svolto su

domanda delle stesse società, le quali ricevevano in cambio della prestazione del

servizio un compenso determinato in misura fissa per ogni socio iscritto alla Cassa

alla fine dell’anno, i cui versamenti non avessero raggiunto l’ammontare

minimo232. Le operazioni svolte dalla società con la Cassa avvenivano su un conto

corrente fruttifero aperto per l’occorrenza, sul quale erano addebitati i pagamenti

eseguiti dalla Cassa per conto della società, e accreditati i versamenti dei

contributi pagati dai soci.

Le agevolazioni predisposte a favore delle società di mutuo soccorso erano

particolarmente favorevoli per i soci, che avrebbero potuto risolvere il problema

sempre più sentito della pensione. Alle società, poi, era offerta la possibilità di

riparare gli squilibri emersi dai bilanci tecnici e la difficoltà di provvedere al

pagamento delle pensioni basandosi solo ed esclusivamente sulle proprie forze.

Per tale ragione la pressione sulle società affinché iscrivessero i propri soci fu

sostenuta sia dal governo che dalle stesse forze produttive, che individuavano

nella Cassa una delle soluzioni più importanti per arginare il diffondersi del

231 C.N.P., Testo unico di legge cit., pp. 52-53, Regolamento tecnico, art. 24.232 C.N.P., Testo unico di legge cit., pp. 50-51, Regolamento tecnico, art. 20.

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malcontento nelle classi lavoratrici più povere e una concreta risposta alla

questione sociale.

7. L’adesione della Società operaia di Cividale alla Cassa

nazionale di previdenza

I promotori della Cassa nazionale di previdenza ritenevano che i lavoratori

avrebbero aderito numerosi, vedendo finalmente esaudite le proprie richieste a

garanzia del futuro. Nella realtà le cose andarono meno bene rispetto a quanto

inizialmente ipotizzato. Le iscrizioni per i primi anni non decollarono; spesso

caddero nel vuoto i numerosi appelli rivolti agli operai da parte del governo. Le

stesse organizzazioni operaie e cooperative, che si erano battute a favore di una

legge sulla previdenza dei lavoratori, avevano accolto con freddezza la legge; le

poche centinaia di migliaia di iscritti a distanza di alcuni anni erano in parte

spiegabili con la scarsa propaganda svolta dalle società mutualistiche sui benefici

che l’iscrizione alla Cassa avrebbe portato ai lavoratori233.

Il primo congresso nazionale della previdenza tenutosi a Milano nel maggio

1900, cui parteciparono le società di mutuo soccorso, si prefiggeva un’attenta

valutazione della nuova normativa, per indicare ai lavoratori italiani se essa

rispettava effettivamente i criteri per i quali era stata a lungo reclamata. La Lega

nazionale delle cooperative, organizzatrice del congresso, sottolineava come

proprio dalle numerose assemblee delle società di mutuo soccorso fosse giunta

all’attenzione del parlamento la richiesta di offrire una risposta concreta ai

problemi della vecchiaia dei lavoratori, specie in un sistema sociale in cui i vincoli

familiari si andavano gradatamente allentando e in cui l’anziano non godeva più

delle stesse attenzioni di un tempo. La Lega, pur non dimostrando contrarietà al

233 Lo stesso Luzzatti sosteneva che, siccome dei 251.000 iscritti risultanti nel 1908 solo la minima

parte era espressione della previdenza spontanea mentre i rimanenti rappresentavano iscrizioni

obbligatorie a carico del governo o di imprenditori, la Cassa dopo un decennio di prova non era

ancora riuscita a realizzare il suo fine (CABRINI – CHIESA, Proposte di assicurazioni sociali in

Italia cit., p. 7).

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provvedimento del parlamento e dichiarando la propria disponibilità a

confrontarsi sul terreno della previdenza per raggiungere un fine comune, invitava

le società di mutuo soccorso a vigilare sulle mosse del governo e a studiare la

legge al fine di migliorarla e renderla effettivamente fruibile da parte della massa

dei lavoratori operai. Emergeva un bisogno di capire e valutare l’effettiva

efficacia del provvedimento ed eventualmente di pubblicizzarne gli effetti benefici

tra i lavoratori, che poco sapevano delle effettive opportunità loro offerte. Le

società di mutuo soccorso diventavano in questa operazione di promozione della

Cassa uno strumento d’azione privilegiato per il governo, in quanto annoveravano

tra i propri iscritti un numero elevato di operai, già sensibili e del resto a questi

problemi234.

L’on. Morpurgo235, allora presidente della Camera di commercio di Udine,

rivolgendosi agli imprenditori della provincia osservava che, a differenza delle

assicurazioni private, la Cassa mancava di abili agenti assicuratori in grado di

spiegare il funzionamento dell’istituto e di raccogliere capillarmente i contributi

tra i lavoratori. Se non fosse stato possibile sostenere questo ruolo, era

quantomeno necessario che le società di mutuo soccorso offrissero il proprio

appoggio, non solo sotto il profilo della propaganda, ma anche sotto il profilo

pratico, operando come uffici staccati delle dipendenze locali e sfruttando a tal

proposito i vantaggi offerti dalla legge. Ma accanto alle società operaie dovevano

operare anche altre forze: gli organi del governo centrale, i comuni e le province

che si sarebbero dovuti far carico di iscrivere i propri dipendenti, gli industriali, le

234 Congresso nazionale della previdenza. Programma di lavoro per le società di mutuo soccorso,

a cura della LEGA NAZIONALE DELLE COOPERATIVE ITALIANE, Milano 1900, p. 2.235 All’incontro promosso dall’Unione democratica udinese e tenutosi il 20 marzo 1904 presso la

sede della Camera di commercio di Udine, parlò anche l’on. Girardini, il quale ricordò agli

intervenuti i tentativi di iscrizione dei propri soci svolti dalla Società di mutuo soccorso di Udine

ma non concretizzatisi. L’assemblea in quella sede approvò un ordine del giorno in cui gli

imprenditori iscritti alla Camera di commercio si impegnavano a divulgare tra i propri operai i

nobili intenti della Cassa e a contribuire materialmente all’iscrizione (Cassa nazionale di

previdenza cit., pp. 49-50).

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opere pie e gli istituti di credito, che avrebbero potuto contribuire con elargizioni

all’iscrizione abbreviata dei lavoratori più anziani236.

Se le iscrizioni a livello nazionale procedettero a rilento, la situazione in

provincia di Udine non fu sicuramente più rosea. Nel 1904 le iscrizioni raccolte

nell’intera provincia erano 708, di cui 361 nel ruolo della mutualità e 347 in

quello dei contributi riservati. Nella città di Udine gli iscritti erano appena 67 e si

concentravano nel ruolo dei contributi riservati237. L’unico esempio ammirevole

di solidarietà sociale fu quello della ditta Antonio Volpe di Udine, che approvò

nel 1901 un regolamento per iscrivere alla Cassa nazionale tutti gli operai con

almeno tre anni di servizio e con più di 20 anni d’età, accollandosi interamente le

spese238.

A distanza di qualche anno la situazione, seppur migliorata, non segnava

accelerazioni decise: nel 1908 alla Cassa di risparmio di Udine, sede secondaria

della Cassa nazionale, erano iscritti 608 lavoratori, di cui 300 residenti nel

comune di Moggio, iscrittisi per l’opera tenace di informazione e convincimento

dell’abate del luogo mons. Gori. Le altre iscrizioni erano per la gran parte di

operai delle più importanti fabbriche udinesi, come ad esempio del Cotonificio

udinese, o di altre ditte, o di contadini iscritti dai loro padroni, come nel caso dei

dipendenti del Tomasoni a Buttrio. Tra le società di mutuo soccorso le iscrizioni

procedevano a rilento e solo la società di Palmanova e quella tra i barbieri e i

parrucchieri di Udine aveva provveduto all’iscrizione collettiva dei propri soci239.

La Società operaia di mutuo soccorso di Cividale, dopo un primo periodo di

tiepido interesse verso la Cassa nazionale, cominciò a sviluppare i primi contatti

con l’istituto di previdenza nel corso del 1904. Il presidente della Società,

Giacomo Gabrici, con lettera del 20 maggio, contattò l’allora direttore generale

della Cassa, dott. Orazio Parretti, al quale illustrò la condizione della Società e

chiese chiarimenti per l’eventuale iscrizione dei soci. Gabrici stesso pose

236 Ibid., pp. 37-41.237 Ibid., pp. 36-37.238 Ibid., pp. 42-43.239 All’esiguo numero di iscritti era da aggiungersi il numero di iscritti registrati presso gli sportelli

postali (CAPPELLANI, La Cassa nazionale di previdenza cit., pp. 19-20).

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l’accento sulle difficoltà per il sodalizio di procedere all’iscrizione, pur

ritenendola vantaggiosa per i molti operai soci del mutuo soccorso. La SOMSI,

pur prevedendo nello statuto la corresponsione di una pensione per vecchiaia, fino

a quel momento non era stata in grado di soddisfare nessuno dei soci anziani, in

quanto l’utilizzo del fondo pensioni poteva essere impiegato per tale scopo solo

dopo il raggiungimento dell’ammontare di 30.000 lire. Per questa ragione la

Società fino a quel momento aveva provveduto solo a corrispondere sussidi

continui per invalidità ai pochi soci effettivamente inabili al lavoro, negando ogni

forma di pensione per vecchiaia. Nel caso di erogazione di pensioni d’anzianità la

Società non avrebbe però potuto discriminare tra soci ricchi e meno ricchi, abili e

inabili, poiché, ottemperando tutti ai medesimi doveri, avrebbero dovuto godere

dello stesso trattamento. Pertanto, se possibile e compatibilmente con le

disponibilità del sodalizio, la necessità era di procedere all’iscrizione collettiva e

indistinta dei soci. Le richieste di chiarimento avanzate dal presidente

riguardavano in modo particolare la possibilità di procedere con l’iscrizione in

massa di tutti i 474 soci, senza distinzione tra le varie categorie professionali. In

caso di accoglimento di questa prima istanza, era necessario sapere quale fosse

stata la somma da corrispondere per garantire ai soci con più di 60 anni una

rendita immediata240.

Il direttore generale della Cassa, rispondendo alla missiva della Società

operaia, illustrò le condizioni per procedere all’iscrizione collettiva dei soci: in

base alla legge vigente era necessario che la maggior parte dei soci iscritti alla

SOMSI fosse costituita da operai; per i soci che non si fossero trovati in quella

condizione era in ogni caso possibile l’iscrizione, ma non sarebbero spettate loro

le condizioni agevolate (che prevedevano quote di concorso da parte della Cassa),

essendo questo beneficio riservato esplicitamente dalla legge alla sola categoria

operaia241. Per costituire una pensione di 100 lire l’anno a favore dei soci con più

240 ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera della SOMSI del 20

maggio 1904 alla direzione della Cassa nazionale di previdenza di Roma.241 ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera del 10 giugno 1904 della

Cassa nazionale di previdenza.

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di 60 anni la Società si sarebbe dovuta impegnare a corrispondere prontamente

alla cassa la somma di 962 lire, ridotte a 783 se il socio avesse avuto 65 anni.

Sulla possibilità di iscrivere i soci alla Cassa nazionale secondo le

condizioni illustrate dalla direzione dell’ente nazionale di previdenza si trattò in

occasione del congresso regionale operaio del 1905 svoltosi a Cividale e

organizzato dalla Società operaia242. La direzione della Società, pur incoraggiando

l’iscrizione individuale dei soci ed elogiando l’opportunità offerta dal governo di

accordare la possibilità di iscrizioni abbreviate nel tempo, sottolineava la

difficoltà per i sodalizi di iscrivere collettivamente i propri soci, specie se nelle

società era nutrita la presenza dei lavoratori con più di 65 anni o prossimi a questa

soglia. Gli statuti delle società stabilivano infatti la perfetta uguaglianza di diritti e

doveri fra i soci, escludendo a priori la possibilità di procedere a iscrizioni parziali

o dei soli soci con meno di 35 anni. L’iscrizione collettiva di tutti i soci avrebbe

comportato una spesa enorme per le società: la direzione del sodalizio cividalese

dimostrò con semplici calcoli che in caso di iscrizione di tutti i suoi 470 soci243, si

sarebbero dovute versare alla Cassa circa 75.000 lire per assicurare a tutti gli

iscritti, con il compimento dei 65 anni, una pensione di 120 lire l’anno. Oltre a

questo esborso iniziale, la Società avrebbe poi dovuto provvedere annualmente al

pagamento di circa 2.550 lire a titolo di contributo minimo (6 lire per socio). La

direzione auspicava che nei confronti delle società di mutuo soccorso fossero

applicati criteri volti ad agevolare l’iscrizione collettiva, utilizzando a tal fine i

fondi pensione costituiti a tale scopo, ma in molti casi non sufficientemente

capienti per garantire il passaggio di tutti i soci alla Cassa nazionale244. Il

congresso approvò l’ordine del giorno proposto dalla SOMSI, in cui si invitavano

le società a promuovere l’iscrizione individuale dei soci più giovani e allo stesso

tempo ci si impegnava affinché, con nuovi provvedimenti, si effettuassero tutte

quelle riforme all’ordinamento della Cassa nazionale di previdenza necessarie per

242 ASC, cart. 57: Congressi, fasc. 3: IV Congresso operaio friulano (1905), doc. Tema pel

congresso: sull’iscrizione dei soci dei sodalizi operai alla Cassa nazionale di Previdenza.243 Di questi 470 soci, 230 erano esonerati dal contributo iniziale, 195 avevano superato i 35 anni

d’età e 45 avevano più di 64 anni.244 Il fondo pensioni della Società ammontava al termine del 1905 a 27.100 lire.

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consentire ai sodalizi mutualistici di risolvere il problema delle pensioni di

vecchiaia.

Date le effettive dimensioni del problema, l’operazione di iscrizione

collettiva avrebbe avuto scarse possibilità di riuscita. Il progetto della Società

cividalese e di molte sue consorelle fu pertanto abbandonato in attesa di un

miglioramento delle condizioni di trattamento offerte dalla legge sulla Cassa

nazionale di previdenza. Alcune modifiche furono apportate alla legge n. 350 nel

corso del 1906, in cui si ritoccarono gran parte degli articoli, e, nel corso del 1907,

stessa sorte toccò allo statuto. Alla luce delle modifiche legislative, nel gennaio

1909 la SOMSI si rivolse nuovamente alla Cassa nazione di previdenza, facendo

presente che, raggiunto l’ammontare minimo per il funzionamento del fondo

pensioni, era necessario deciderne al più presto le modalità d’impiego245. Inoltre,

in base alle risultanze del bilancio tecnico del 1908, era emersa una seria difficoltà

da parte del sodalizio a far fronte ai propri impegni nei confronti dei soci sul tema

delle pensioni. I soci a quel momento iscritti erano 449, per la maggior parte

rientranti nella categoria degli operai.

La direzione della Cassa rispose dopo pochi giorni inviando una proposta

per l’iscrizione collettiva dei soci246. Per sommi capi il prospetto prevedeva:

1. il versamento da parte della Cassa di una quota di concorso di 6 lire

per socio indipendentemente dal sesso purché non pensionato;

2. per le socie tra i 40 e i 65 anni e per i soci tra i 45 e i 70 anni, il

contributo iniziale da parte della Società doveva ammontare rispettivamente

a 6.544 e a 26.801 lire, per un totale di 33.345 lire, pari circa all’ammontare

del fondo pensioni di cui disponeva la SOMSI;

3. le pensioni sarebbero state liquidate, per le socie con più di 45 anni,

al compimento dei 65 anni e per un ammontare di 90 lire. Per gli uomini con

più di 45 anni la pensione sarebbe stata di 180 lire, liquidabili dopo il

compimento del settantesimo anno d’età. Per i soci di età inferiore a quella

245 ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera della SOMSI del 31

gennaio 1909 alla direzione della Cassa nazionale di previdenza di Roma.246 ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera del 17 febbraio 1909

della Cassa nazionale di previdenza relativa all’iscrizione collettiva dei soci.

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stabilita la pensione sarebbe stata tanto maggiore quanto più numerosi gli

anni di iscrizione alla Cassa;

4. le pensioni di invalidità sarebbero state concesse solo ai soci iscritti

con meno di 50 anni e dopo almeno 5 anni di iscrizione alla Cassa.

L’importo della pensione non avrebbe potuto in ogni caso essere inferiore

alle 120 lire;

5. per i soci con più di 70 anni e per le socie con più di 65 anni la

Società operaia avrebbe dovuto provvedere autonomamente, salvo la

volontà di costituire in loro favore una pensione con godimento immediato,

mediante il versamento del valore capitale corrispondente. In questo caso

l’istituto di previdenza si sarebbe impegnato ad aumentare di 10 lire l’anno

la pensione di ogni iscritto.

La direzione della Società ebbe modo di commentare il progetto in sede di

approvazione del rendiconto generale del 1908247. L’attivazione del progetto era

considerata particolarmente difficile in relazione alle condizioni economiche del

sodalizio in quel momento. La costituzione della rendita immediata a favore dei

23 soci esclusi avrebbe comportato un esborso notevole e inoltre i soci avrebbero

dovuto sopportare un aumento dei contributi annui per 6 lire, cifra esigua di fronte

alla possibilità di godere nel futuro della pensione, ma che, sommandosi a quanto

già dovuto dai soci, avrebbe reso ancora più difficoltosa la regolarità dei

versamenti. A questi elementi si aggiungeva l’esenzione dalla contribuzione dei

soci con più di 65 anni d’età, che con l’invecchiamento progressivo della base

sociale riduceva ogni anno il totale delle entrate contributive.

Verificata l’impossibilità di aderire al progetto, la Società abbandonò

nuovamente i rapporti con la Cassa nazionale, per poi riprenderli nel 1912. Nel

corso di quell’anno furono diversi i congressi sui temi della previdenza a cui

partecipò la Società operaia. Furono particolarmente interessanti e ricchi di utili

indicazioni sia quello tenutosi a Venezia nel mese di maggio, sia quello

dell’agosto svoltasi a Udine, entrambi preparatori al VI congresso nazionale di

Roma tenutosi nel mese di settembre. In quella sede particolare interesse suscitò

247 SOMSI, Resoconto […] 1908 cit., pp. 3-5.

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nel delegato della SMS di Cividale, l’avv. Carlo Podrecca, l’intervento dell’on.

Luigi Rava sul tema dell’iscrizione dei soci più anziani alla Cassa nazionale di

previdenza. Il deputato, riconosciuta la reale difficoltà da parte delle società di

mutuo soccorso di iscrivere i soci più anziani, manifestò l’intenzione di farsi

promotore presso il governo delle istanze delle società operaie, proponendo, come

soluzione al problema, la costituzione di un fondo nazionale per finanziare

l’iscrizione collettiva anche dei soci anziani248.

Con lettera datata 29 ottobre la SOMSI tentò nuovamente di verificare con il

direttore della Cassa le eventuali possibilità di ottenere l’iscrizione collettiva dei

propri soci e di goderne i benefici249. L’amministrazione della Società spiegò che

la volontà di non intaccare il fondo pensioni, che nel frattempo aveva raggiunto la

somma di 37.000 lire, derivava dalla necessità di utilizzare quel capitale per far

fronte ai mancati incassi derivanti dall’esonero dalle contribuzioni dei soci, tanto

più che anche i sussidi continui per invalidità, essendo di natura vitalizia, erano da

imputarsi al medesimo fondo. La Società richiese pertanto alla direzione della

Cassa nazionale di chiarire i seguenti punti:

a. tenendo presente che non si sarebbero potuti versare contributi, fino a che

età era possibile iscrivere i soci e le socie;

b. a che età si sarebbe potuta riscuotere la pensione;

c. se l’iscrizione così fatta si potesse considerare collettiva;

d. se fosse rimasta la possibilità di fruire del contributo previsto dall’art. 23 del

regolamento tecnico (assegnazione di una lira l’anno per socio);

e. se, dato il riconoscimento legale dell’ente, si fosse potuto istituire una sede

secondaria presso la sede sociale, in base all’art. 20 del regolamento.

La risposta della Cassa non tardò anche in questo caso250. Il direttore precisò

che si sarebbe trattato di iscrizione collettiva anche se non si fossero iscritti i soci

248 SOMSI, Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1912.

Anno XLII, Cividale 1913, pp. 9-11.249 ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera della SOMSI del 29

ottobre 1912 alla direzione della Cassa nazionale di previdenza di Roma.250 ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera del 12 novembre 1912

della Cassa nazionale di previdenza relativa all’iscrizione collettiva dei soci.

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con più di 50 anni e non operai nel senso stabilito dalla legge. Ponendo che la

Società non versasse alcun contributo iniziale, la Cassa avrebbe potuto concedere

il pagamento della pensione a 70 anni ai soci che al momento dell’iscrizione erano

compresi tra i 45 e i 50 anni, mentre per quelli di età inferiore ai 45 anni solo dopo

aver pagato almeno 25 anni di contributi e comunque mai prima del compimento

del sessantesimo anno d’età. Con questa iscrizione la Società avrebbe potuto

comunque fruire della quota di contributo ordinaria della Cassa (10 lire) più quella

straordinaria per le iscrizioni collettive (1 lira). Il direttore esortava però la

direzione della Società a considerare l’ipotesi di iscrivere anche i soci con più di

50 anni, essendo il fondo pensioni sufficientemente capiente per farvi fronte

utilmente, eliminando le gravi difficoltà che sarebbero sorte a carico del fondo

pensioni con il trascorrere degli anni. Inoltre il direttore si rendeva disponibile a

studiare un progetto di assunzione in carico delle pensioni eventualmente pagate

fino a quel momento dalla Società ai soci e di pagamento delle pensioni, per un

ammontare da determinarsi, a 70 anni (eventualmente 65) anche per i soci con più

di 50 anni.

La direzione della Società colse con prontezza la proposta della Cassa e in

meno di una settimana redasse una relazione sommaria destinata a tutti i propri

iscritti in cui, oltre a spiegare le difficoltà legate alla corresponsione di una

pensione ai soci utilizzando i soli fondi sociali, illustrò in che modo si sarebbe

dovuto far fronte all’iscrizione dei soci alla Cassa nazionale di previdenza251.

La Società operaia, secondo l’ultimo orientamento, accettava di iscrivere

tutti i soci fino a 50 anni evitando di anticipare qualsiasi tipo di somma prelevata

dal fondo pensioni. Interessati all’iscrizione in qualità di operai sarebbero stati 340

soci su 530 iscritti, tutti rientranti nella categoria degli operai, cui solo 262 non

avevano superato il cinquantesimo anno d’età. La quota annua minima da versarsi

per ciascun iscritto era pagata per un terzo (2 lire) dalla Società, mentre la parte

rimanente spettava a ciascun socio. Ai soci non considerati operai era concesso di

ottenere il medesimo contributo da parte della Società, ma l’iscrizione doveva

251 ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, doc. Iscrizione collettiva dei

soci operai alla Cassa nazionale di Previdenza. Relazione sommaria, redatta dalla direzione in

data 20 novembre 1912.

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199

svolgersi al ruolo delle assicurazioni popolari, perdendo il diritto alle quote di

concorso riservate agli operai. Il vantaggio a favore dei lavoratori era evidente:

ciascun membro, con un aggravio di sole 4 lire sui propri contributi annui,

otteneva la possibilità di mettere a frutto un capitale che, sommando le quote

speciali e ordinarie di concorso della Cassa e il contributo sociale, poteva

raggiungere le 18 lire. Ai soci iscritti alla Cassa che non si fossero resi disponibili

ad effettuare il versamento minimo richiesto, la Società negava la possibilità di

assegnare qualsiasi somma a titolo di contributo per la costituzione di una

pensione, riservandosi solo di pagare l’eventuale sussidio continuo in caso di

comprovata incapacità al lavoro. Anche sotto questo profilo con l’iscrizione alla

Cassa si riducevano notevolmente i tempi per poter fruire dell’eventuale pensione

in caso di invalidità, passando dai 15 anni richiesti dalla SOMSI ai soli 5 anni di

iscrizione previsti dalla Cassa.

Per dare corso alle procedure di iscrizione in tempi brevi, si decise di

proporre la delibera di iscrizione collettiva al consiglio sociale, il quale si sarebbe

impegnato a sottoporre al voto dell’assemblea generale il provvedimento e le

eventuali modifiche statutarie da adottarsi per coordinare le nuove disposizioni

con lo statuto. La Società si impegnò a produrre alla Cassa tutti i documenti

necessari per l’iscrizione, effettuando anche un primo versamento di una lira per

ciascun socio iscritto. Nel caso in cui l’assemblea non avesse provveduto a

ratificare il provvedimento, l’iscrizione si sarebbe dovuta ritenere effettuata a

titolo di propaganda, lasciando il singolo socio libero di accettare o meno

l’eventuale prosecuzione. In questo modo, con una semplice delibera di consiglio,

il sodalizio pensò di aver risolto gran parte dei problemi legati alle pensioni dei

soci meno anziani. La direzione non dimenticava di valutare la posizione dei soci

con più di 50 anni, per i quali comunque si impegnava a trovare una soluzione

soddisfacente. A questo proposito, ottenuta la deliberazione favorevole

all’iscrizione collettiva in data 28 novembre da parte del consiglio, interpellò

nuovamente la Cassa per avere ulteriori indicazioni circa l’eventuale

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200

maggiorazione sui contributi, per consentire anche ai soci cinquantenni di aderire,

e chiarimenti pratici sulla compilazione delle domande252.

La Cassa rispose alla direzione della Società sottolineando nuovamente che,

mentre per i soci con più di 50 anni rimaneva aperta la porta dell’iscrizione

individuale, versando l’ammontare dei contributi arretrati, per i soci con età

compresa tra i 35 e i 50 anni si sarebbe potuta ridurre l’età pensionabile a 60 anni

mediante un modesto contributo da parte della SOMSI253.

Il 29 dicembre la Società inviò alla sede secondaria di Venezia della Cassa

nazionale di previdenza 203 domande di iscrizione e dispose il versamento di una

lira per ciascun richiedente. Dei 262 soci aventi diritto la Società espletò le

pratiche per soli 203, ritenendo che per 59 componenti del sodalizio non vi fossero

tutte le condizioni sufficienti. In particolare si esclusero 27 soci mancanti dei

requisiti necessari, 6 donne e 7 uomini di dubbia condizione operaia, 12 uomini

sotto le armi e 7 uomini già iscritti per conto dei propri datori di lavoro254.

La Cassa con lettera del 16 gennaio 1913 rilevò alcune imprecisioni e

scorrette interpretazioni delle norme realizzate in merito all’iscrizione dei soci255.

In primo luogo fu rilevato che il versamento di una lira pro capite non era

sufficiente per considerare avvenuta l’iscrizione dei soci e che era dunque

necessario procedere al versamento della quota rimanente per poter fruire dei

benefici dell’iscrizione a partire dal 1912. Inoltre, in merito alla mancata

iscrizione di alcuni soci, si osservò che

a. non era sufficiente indicare una generica mancanza di requisiti dei

soci, non comprendendo cosa si intendesse esprimere;

b. per i soci di dubbia condizione operaia era la sede centrale della

Cassa che avrebbe dovuto chiarire la posizione del socio;

252 ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera della SOMSI del 30

novembre 1912 alla direzione della Cassa nazionale di previdenza di Roma.253 ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera del 20 dicembre 1912

della Cassa nazionale di previdenza in oggetto all’iscrizione collettiva dei soci.254 ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera della SOMSI del 4

gennaio 1913 al direttore della Cassa nazionale di previdenza di Roma.255 ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 2: Anteatti, lettera del 16 gennaio 1913

della Cassa nazionale di previdenza relativa all’iscrizione collettiva dei soci.

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201

c. per i soci già iscritti era in ogni modo necessario l’invio dei

nominativi e si sarebbe dovuto procedere comunque all’iscrizione se la

pensione fosse stata erogata dall’ente pubblico da cui dipendevano e non

dalla Cassa;

infine si rilevava che le indicazioni contenute nella relazione sommaria

contenevano delle inesattezze che sarebbe stato opportuno chiarire, onde evitare

che i soci fossero tratti in inganno dalla scarsa chiarezza di alcuni passaggi. Inoltre

il passaggio in cui la Società dichiarava di farsi garante per il pagamento di sole

due lire di contributo era scorretto da un punto di vista formale, in quanto la

SOMSI si sarebbe dovuta comunque fare carico del pagamento integrale del

contributo minimo annuale di 6 lire. La direzione dell’ente nazionale di

previdenza sottolineò che sarebbero state quindi necessarie alcune modifiche

statutarie che sancissero in via definitiva l’impegno della Società, senza il quale

non poteva considerarsi ammissibile l’iscrizione collettiva.

La decisione di procedere in tempi rapidi all’adesione alla Cassa nazionale

di previdenza, evitando di consultare preventivamente tutti gli iscritti, non portò ai

risultati sperati da parte del consiglio. L’operazione fu approvata con il plauso

dell’assemblea il 29 aprile 1913256, ma la gran parte dei soci interessati

all’iscrizione non si dimostrò disponibile all’iniziativa né soprattutto a sostenere il

maggior esborso a proprio carico. Degli oltre duecento potenziali iscritti, solo 111

decisero di accettare le condizioni fissate dalla direzione del sodalizio,

impedendo, di fatto, di adottare i necessari provvedimenti di modifica dello

statuto per imporre l’iscrizione collettiva obbligatoria di tutti i soci con meno di

50 anni. Le ripetute insistenze della direzione per ottenere il consenso dei soci

dissenzienti non diedero alcun risultato. Tra i membri della dirigenza si diffuse

l’idea di adottare un provvedimento che rendesse obbligatorio il versamento di

quanto dovuto dai soci, pena la radiazione dalla Società257.

256 256 ASC, cart. 59: Cassa nazionale di previdenza, fasc. 5: Iscrizione dei soci alla Cassa

nazionale di Previdenza (1913), doc. Assemblea generale del 29 aprile 1913.257 SOMSI, Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1913.

Anno XLIII, Cividale 1914, pp. 4-5.

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202

Lo scenario politico ed economico non permise nei successivi anni di

adottare tutti i provvedimenti necessari allo scopo, ma la Società fu anzi costretta

a usare particolare indulgenza con i propri soci che, a causa la crisi economica e

della diffusa disoccupazione, spesso si trovavano in difficoltà nell’adempiere ai

versamenti mensili258.

Durante la guerra la gestione dei soci iscritti proseguì non senza difficoltà e

solo grazie alla paziente opera del segretario della Società fu possibile aggiornare

periodicamente i libretti accreditandovi gli importi versati. Al termine del

conflitto fu poi realizzabile l’assegnazione ai soci dei premi di guerra stabiliti dai

decreti luogotenenziali a vantaggio degli iscritti e in particolare degli iscritti

appartenenti alle zone invase259. Nel 1919, a seguito della nova legge n. 609 del

21 aprile sull’assicurazione obbligatoria contro le malattie, la Cassa nazionale di

previdenza cambiò nome per assumere la denominazione di Cassa nazionale per le

assicurazioni sociali.

Nel corso del 1921 si predispose una serie di modifiche allo statuto per

porre rimedio alla mancata iscrizione di circa la metà dei soci aventi diritto. La

situazione che si era creata dava origine a un’anomala disuguaglianza nei diritti

dei soci, con non pochi inconvenienti dal lato pratico. Si propose quindi di

aumentare i contributi in ragione di 50 centesimi al mese a tutti i soci e socie,

mentre per i lavoratori già iscritti alla Cassa l’aumento fu di 1,8 lire l’anno260.

Inoltre si decise di proporre all’assemblea l’obbligo di iscrizione di tutti i soci di

età non superiore ai 50 anni alla Cassa: gli operai nel ruolo della mutualità, gli

altri in quello delle assicurazioni popolari261.

258 SOMSI, Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1914.

Anno XLIV, Cividale 1915, p. 4.259 SOMSI, Resoconto […]1919 cit., p. 7.260 Gli aumenti delle quote di contributo, come anche dei sussidi temporanei per malattia, non

erano sufficienti a coprire l’aumento dei costi nel periodo bellico e postbellico. Per rendere la

dimensione del fenomeno, è sufficiente pensare che tra il 1914 e il 1919 i prezzi dei prodotti

agricoli aumentarono in Italia di 3,9 volte e che ben più grave era la situazione nelle regioni di

nord-est duramente colpite dal conflitto (LEONARDI, Dalla guerra cit., pp. 32-34).261 SOMSI, Resoconto […]1920 cit., p. 9.

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203

Le proposte avanzate dall’amministrazione della SOMSI furono accolte

dall’assemblea dei soci nel corso dell’adunanza del 14 luglio 1921 e

successivamente confermate con decreto dal tribunale di Udine nel dicembre262.

Nel titolo V dello statuto furono inserite tutte le modifiche necessarie, riguardanti

in particolar modo l’iscrizione alla Cassa nazionale per le assicurazioni sociali263.

La liquidazione della pensione era prevista a 65 anni, ma per chi da più di dieci

anni era iscritto all’ente era possibile richiedere l’anticipo al compimento del

sessantesimo anno. La liquidazione della pensione toglieva al socio il diritto a

percepire i contributi temporanei di malattia, con l’eccezione dei soci anziani e di

quelli non operai, ai quali si concedeva la possibilità di usufruirne al fine di

eliminare le eventuali disuguaglianze con i soci iscritti alla Cassa. Il fondo

pensioni fu riservato per liquidare i sussidi continui e l’esonero dalle

contribuzioni, ma, man mano che le uscite diminuivano a seguito dell’iscrizione

dei soci alla Cassa, era possibile destinare le entrate straordinarie e i redditi

patrimoniali del fondo al versamento di una quota aggiuntiva alla Cassa nazionale

per aumentare l’importo delle pensioni dei soci. A tale scopo si vincolavano

inoltre le elargizioni e i lasciti non finalizzati raccolti dalla Società.

262 SOMSI, Resoconto generale della Società operaia di mutuo soccorso al 31 dicembre 1921.

Anno LI, Cividale 1922, p. 4.263 SOMSI, Statuto. Modificato dall’assemblea nella seduta del 14 luglio 1921. Entrato in vigore il

1° gennaio 1922, Cividale 1922, pp. 14-20.

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204

CAPITOLO V

LE ALTRE ATTIVITÀ

1. Primi tentativi di rimodellazione del settore creditizio a

Cividale

Una tra le iniziative maggiormente rilevanti assunte dalla Società di mutuo

soccorso riguardò la creazione della Banca popolare cooperativa di Cividale.

L’interessamento e le capacità di alcuni soci furono in grado di porre le basi per la

nascita dell’istituto che, nel corso degli anni, assunse sempre maggiore

importanza nel panorama economico della città, dotando l’economia cividalese di

una istituzione finanziaria in grado di offrire aiuto e soprattutto servizi al

commercio e all’artigianato. L’evoluzione del sistema bancario era stimolata da

dallo sviluppo economico e commerciale del distretto, il quale avrebbe potuto

decollare pienamente solo se sorretto da adeguate strutture creditizie. Come nel

caso della rivoluzione industriale in Inghilterra, l’espansione del volume del

commercio e il mutato sistema di produzione imposero la necessità di poter fruire

di soggetti finanziari in grado di assecondare le nuove e accresciute esigenze di

capitali di imprese ed artigiani264.

Scelto di costituire una banca era però necessario determinare che tipo di

istituto fondare. Questa valutazione non poteva a sua volta prescindere dalle

esigenze manifestate dalla popolazione e nei settori commerciali e produttivi della

città. I differenti tipi di banche realizzabili esaudivano in modi diversi le esigenze

dei propri clienti; le caratteristiche operative di ciascun istituto rispondevano alla

domanda di credito e di servizi della maggioranza dei propri clienti o soci. Il

dibattito sulla necessità di istituire nuove strutture creditizie a Cividale si

concentrò sul tema della veste giuridica e organizzativa dell’istituto e, di

264 G. BORELLI, Temi e problemi di storia economica europea, Verona 1993, pp. 397-409.

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205

conseguenza, sul tipo di domanda da soddisfare. In questo senso s’innescò una

sorta di competizione tra i sostenitori delle diverse iniziative, nel tentativo di

affermare la maggiore congruità di un modello rispetto all’altro. Si ignorò un

aspetto molto importante, secondo cui, proprio in virtù delle differenti tipologie di

esercizio del credito e di clientela, era auspicabile che ogni potesse nascere e

svilupparsi nel più ampio interesse generale, soddisfacendo il maggior numero

possibile di persone. Le tesi a sostegno di questa possibilità sostenevano la

possibilità di costituire una molteplicità di banche a Cividale grazie all’esistenza

di un bacino territoriale sufficientemente vasto e di una popolazione abbastanza

numerosa ed eterogenea dal punto di vista delle condizioni economiche tali da

consentire la permanenza sul mercato di diversi istituti, che differenziando il loro

tipo di offerta avrebbero automaticamente selezionato la propria clientela265.

La presenza del solo Monte di Pietà, non era più sufficiente a soddisfare le

sempre più esigenti richieste degli operatori economici e dei piccoli risparmiatori.

Questi istituti, nati già nel Quattrocento, offrivano credito su pegno alle classi

meno abbienti, contribuendo a dare breve giovamento alle famiglie che così

potevano evitare di ricorrere ai prestiti dei privati, offerti a condizioni spesso

insostenibili In questo clima, nel periodo compreso tra il 1884 e il 1887, si svolse

a Cividale un lungo dibattito sulle istituzioni di credito. A proporre elementi di

discussione contribuì in modo rilevante anche la stampa locale, che nel corso di

quegli anni pubblicizzò diffusamente le tematiche legate al credito, accogliendo le

posizioni di diverse scuole di pensiero.

In un primo momento l’attenzione si rivolse a quella tipologia di istituti di

credito chiamati Casse di prestiti. Queste istituzioni furono a lungo caldeggiate

come utili strumenti per la lotta all’usura, piaga sempre più diffusa tra i contadini

e gli artigiani. Le casse cooperative di credito presentavano caratteristiche che

facilmente potevano riscontrare l’interesse dei piccoli risparmiatori e dalle classi

sociali più deboli. I contadini, i piccoli possidenti, i fittavoli, mancando della

possibilità di costituire garanzie basate sull’accumulazione di capitali, fondavano

la loro capacità di ottenere credito sulla responsabilità collettiva illimitata per le

265 A. FORNASIN, La formazione di un sistema bancario locale. Cividale 1886–1911, in Cividât,

Udine 1999, pp. 376-377.

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obbligazioni contratte: il consorzio tra i soci avrebbe garantito il creditore per le

somme concesse e, allo stesso tempo avrebbe permesso a tutti i soci di fruire di

finanziamenti per la propria attività a tassi e condizioni più favorevoli266. Queste

caratteristiche rendevano fruibile il credito solo a coloro che si impegnavano a

diventarne soci e a rispettarne le regole, poiché condizioni imprescindibili per la

corretta gestione di istituti di questo genere era l’onestà, la responsabilità e la

puntualità con cui venivano espletate le operazioni di rientro del credito. Il vincolo

solidale illimitato aveva la funzione di costituire una mutua assicurazione tra i

soci e verso i creditori esterni. Il naturale contrappeso alla responsabilità illimitata

dei soci era il diritto e il dovere degli stessi di vigilare sulla condotta altrui: era

facoltà di ogni iscritto sindacare sull’uso del prestito da parte del socio e riferire

eventualmente sulle mutate condizioni economiche, dando l’opportunità alla

Cassa di prevenire eventuali condizioni di difficoltà in un momento successivo.

Per queste caratteristiche le casse cooperative non potevano che assumere un

ambito d’azione molto ristretto (parrocchia, comune o frazione) e non potevano

che accogliere soci conosciuti e sulla cui moralità e affidabilità vi era diffusa

positività di giudizio267. Per tali ragioni la presa di queste banche trovava maggiori

opportunità nelle piccole comunità agrarie, dove anche il vincolo di solidarietà e

la fiducia tra i lavoratori erano molto più saldi.

La sviluppo di questi istituti di credito fu sostenuta in particolar modo da

parte dell’Associazione agraria friulana e a Cividale dal conte Marzio De Portis,

presidente del Comizio agrario della città. Fu per sua volontà che si svolse a

Cividale una conferenza sul tema delle casse cooperative a cui partecipò il

principale ideatore di queste istituzioni in Italia, Leone Wollemborg268. La

presenza dell’illustre economista aveva lo scopo di dare maggior slancio alla

diffusione degli istituti di credito nelle città e nelle campagne, offrendo la

possibilità ai cittadini più incerti di chiarire eventuali dubbi sulla concreta

266 L. WOLLEMBORG, La definizione delle casse di prestiti, «Forumjulii», 7 marzo 1885.267 WOLLEMBORG, Repetita Juvant, «Forumjulii», 21 marzo 1885.268 Casse Cooperative, «Bullettino dell’Associazione agraria friulana», I, n. 9, (1884), pp. 135.

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attuazione di queste iniziative269. Gli sforzi diretti a sostenere questo progetto

proseguirono per lungo tempo, ma nonostante l’incalzante campagna informativa,

vi erano alcuni aspetti che fungevano da freno allo svolgimento e alla nascita di

casse sul modello Raiffeisen, primo tra tutti quello legato alla questione della

responsabilità illimitata dei soci, come lo stesso Wollemborg ebbe modo di

sottolineare270.

Una ulteriore iniziativa nel campo del credito consistette nel progetto di

affiancare al Monte di Pietà una cassa di risparmio, istituto che avrebbe permesso

di offrire nuove prospettive specie nel campo del credito a medio lungo termine,

settore questo in cui scarso era l’apporto offerto dal Monte271. La cassa di

risparmio avrebbe potuto offrire delle risposte concrete al settore agrario anche se,

a differenza delle casse cooperative, si sarebbe rivolta a una clientela formata da

grandi e medi proprietari terrieri in grado di offrire prevalentemente garanzie reali

sui prestiti ricevuti272. Anche questo tentativo non ebbe buon esito dimostrando

come fosse difficile, sia da un punto di vista culturale che di coinvolgimento

concreto degli attori economici, adottare dei provvedimenti di rilievo nel settore

del credito e del risparmio.

269 Lo stesso De Portis riferì circa l’esito della conferenza: “L’esimio conferenziere si dimostrò

elegante oratore, ed uomo che, convinto dell’importanza e della pratica utilità delle casse

cooperative da lui propugnate, ne assunse l’apostolato con entusiasmo ed assoluto disinteresse.

Dopo la conferenza ci fu un pranzo offerto da vari cittadini durante il quale il dott. Wollemborg

ebbe modo di esporre più praticamente le sue idee e ribattere le obiezioni” (Conferenza a Cividale,

«Bullettino dell’Associazione agraria friulana», I, n. 11, 1884, p. 154).270 Casse Raffeisen. Una conversazione con il dottor Wollemborg, «Bullettino dell’Associazione

agraria friulana», I, n. 22 (1884), pp. 298-300.271 Gli stessi amministratori della Banca cooperativa sottolinearono l’incapacità del Monte di pietà

di muovere decisi passi avanti nel progresso economico e bancario, mantenendo la sua

connotazione di istituto di beneficenza pur senza averne le caratteristiche (Banca cooperativa di

Cividale. Storia dei suoi venticinque anni, Cividale 1912, p. 22).272 FORNASIN, La formazione di un sistema cit., p. 377.

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2. Le origini della Banca popolare cooperativa di Cividale.

I tentativi infruttuosi compiuti da più parti per istituire una banca a Cividale

furono superati nel corso del 1886. L’allora presidente della Società, Lorenzo

Gabrici, nella seduta del 2 marzo, inserì tra i punti all’ordine del giorno la

discussione sulla possibilità di costituire una commissione e un comitato

promotore per giungere in tempi rapidi all’apertura di un nuovo istituto di credito

nella città273. Le pressioni che arrivavano sia dagli ambienti esterni che da quelli

interni al sodalizio, chiedevano con sempre maggiore insistenza che la SOMSI

raccogliesse l’invito e utilizzasse le proprie forze per formare ad un gruppo di

cittadini in grado di superare lo stallo in cui si trovava il sistema creditizio

cividalese e affrontasse la sfida lanciata da alcuni imprenditori e artigiani274.

Compito principale della commissione sarebbe stato di verificare quale

forma di banca meglio si sarebbe adattata alla realtà cividalese e alle esigenze dei

soci della Società. Per questo scopo era necessario che il consiglio nominasse

cinque persone competenti in materia alle quali affidare lo studio del problema, le

quali avrebbero dovuto poi rimettere le proprie conclusioni con relazione scritta al

consiglio stesso. Si aprì così una discussione che vide coinvolti i consiglieri Moro,

D’Orlandi, Bellina e Strazzolini, conclusasi con l’accettazione della proposta del

presidente, alla quale fu però aggiunto il vincolo per cui in nessun modo

l’iniziativa intaccasse il patrimonio della Società275. La proposta così formulata fu

273 ASC, Cart. 49: Pratiche diverse 1886-1917, fasc. 1: Fondazione della Banca cooperativa

(1886), doc. Verbale del consiglio sociale 2 marzo 1886.274 Sulla stampa locale comparvero nel corso del 1886 diversi interventi di cittadini cividalesi che

chiedevano alla Società operaia di seguire l’esempio della consorella udinese, facendosi

promotrice di una banca cooperativa. In particolare ci si riferì al capitale versato dalla SOMSI

presso altre banche e dal quale si riceveva un interesse in ogni caso modesto (il capitale di 14.000

lire versato presso la Cassa di risparmio di Udine fruttava il 3,5 per cento) che, se investito nella

banca, avrebbe portato un maggior rendimento ed una importante dotazione iniziale per l’istituto

(Istituzione d’una banca cooperativa, «Forumjulii», 30 gennaio 1886).275 In questo settore si assistette alla costituzione di proprie casse di depositi e prestiti o alla nascita

di nuove banche. In alcuni casi si assistette anche ad una sorta di collaborazione mediante accordi

tra le SMS e alcune banche popolari. In particolare le banche in cambio del versamento della cassa

o dei fondi raccolti per l’attività mutualistica, garantivano ai membri dei sodalizi la possibilità di

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accettata e votata all’unanimità. Nella stessa seduta si procede anche alla nomina

della commissione di studio. La nomina dei membri della commissione avvenne

per scheda segreta riportò i seguenti risultati: dodici voti andarono a Giacomo

Gabrici, nove ad Antonio Piccoli e a Luigi Coceani, otto a Giuseppe Vuga e infine

sette a Giulio Trevisan.

L’esplicita richiesta fatta da alcuni consiglieri voleva evitare che la Società

operaia assumesse in proprio i rischi eventualmente derivanti da questa

operazione e soprattutto voleva evitare che si costituissero delle banche d’onore,

istituti di cui diversi anni prima si erano si erano fatti sostenitori esponenti di

spicco del settore del credito tra cui il Luzzatti. Questi banchi nascevano

internamente alle società di mutuo soccorso e distribuivano prestiti ai propri soci

in conformità a un rapporto esclusivamente fiduciario, in cui il socio si impegnava

a restituire le somme ricevute nei tempi debiti pena l’esclusione dai benefici che la

società concedeva ai propri iscritti276. Nel progetto iniziale di queste casse prestiti

vi era l’obiettivo di educare l’operaio e l’artigiano al credito e al risparmio, aspetti

questi utili per creare un sistema bancario solido ed equo, in cui clienti e soci delle

istituzioni fossero responsabili delle proprie scelte.

Nel caso della banca di sconto deposito e prestiti che si andava delineando a

Cividale questo tipo di problema non si poneva: i tempi erano sufficientemente

maturi per consentire la creazione di una banca in cui ciascuno partecipasse con il

proprio apporto, svincolata almeno formalmente dall’istituzione mutualistica da

cui si originava. Questo aspetto fu rimarcato anche in una serie di interventi sul

tema delle banche popolari susseguitisi sul periodico locale Forumjulii277.:

ottenere prestiti anche qualora non fossero soci della banca. (ZANGHERI, Il seme del mutuo

soccorso, in ZANGHERI-GALASSO-CASTRONOVO, Storia del movimento cooperativo in Italia 1886-

1986, Torino 1987, pp. 29-30).276 L. LUZZATTI, La diffusione del credito e le banche popolari, a cura di P. PECORARI, Venezia

1997, pp. 108-117.277 Tra il 6 marzo e il 10 aprile (esattamente il periodo intercorso tra la nomina della commissione

di studio, 2 marzo, e la presentazione della relazione, 11aprile) furono pubblicati quattro articoli

sulle banche popolari cooperative che illustravano alla cittadinanza le caratteristiche delle banche

popolari e le ragioni per cui meglio si prestavano a soddisfare le esigenze della realtà locale.

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210

Non comprende il concetto delle banche popolari chi vuol costruirle nel seno delle

società di mutuo soccorso e con i capitali forniti dalle stesse; o chi crede ufficio

dei municipi o di altri corpi morali il fondarle. Certo che le società di mutuo

soccorso, le società cooperative e le banche popolari possono avere l’una sull’altra

un’influenza assai benefica; ma questo non vuol dire che le società di mutuo

soccorso debbano avventurare il loro capitale in operazioni di credito; ne che la

banca debba confondersi con un istituto di beneficenza278.

La funzione di questi articoli doveva essere quella di illustrare, in modo

semplice e chiaro, quelle che erano le caratteristiche delle banche popolari,

affrontando gli aspetti caratteristici di questi istituti e cercando di far capire ai

lettori in che modo superare i problemi che fino a quel momento avevano reso

impossibile la creazione di una banca locale. Uno dei principali problemi

consisteva nella responsabilità dei soci. Se le casse cooperative del Wollemborg

non riuscivano a decollare, la ragione risiedeva anche nella responsabilità

illimitata che ciascun socio si accollava aderendo al sodalizio. Nelle banche

popolari il problema delle garanzie fu risolto introducendo una responsabilità

limitata al solo capitale versato. In questo le Banche polari italiane differivano dal

modello tedesco dello Schulze, secondo cui gli istituti dovevano rispondere delle

proprie obbligazioni garantendo con l’intero patrimonio dei soci. Il modello

tedesco, dove gli artigiani e i piccoli negozianti potevano autonomamente istituire

una banca, non era però riproducibile in Italia: la condizione degli artieri e dei

piccoli imprenditori italiani non permetteva di riunire sufficienti capitali, compito

questo cui avrebbero dovuto provvedere uomini più colti ed agiati. Ma per contro

quest’ultima categoria di cittadini non avrebbe mai aderito ad una società in cui

rischiavano di dissolvere il loro intero patrimonio: la responsabilità limitata era

pertanto un elemento necessario ed imprescindibile per poter permettere anche la

partecipazione di queste persone e dei loro capitali all’azienda279. La limitazione

della responsabilità dei soci doveva essere compensata dalla costituzione di fondi

patrimoniali che garantissero i creditori dell’istituto: per questo motivo, specie

278 Le banche popolari cooperative, «Forumjulii», 20 marzo 1886.279 Ibid..

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211

nella fase d’impianto le banche avrebbero dovuto operare nel rispetto del principio

secondo cui il compito principale doveva essere quello della concessione del

credito e non della distribuzione di dividendi. In questo modo gli utili fruttati dalla

gestione avrebbero dovuto confluire nei fondi di riserva nella misura del 20 per

cento l’anno, fino al raggiungimento di un ammontare proporzionalmente

considerevole rispetto al capitale sociale280.

Se da un lato si poneva l’accento sull’indipendenza formale della Banca

dalla Società operaia, dall’altro lato non si poteva fare a meno di notare come

entrambe le istituzioni fossero legate da uno spirito comune. La Società, educando

i propri membri a compiere sacrifici per costruire le condizioni necessarie ad

affrontare le malattie e la vecchiaia, riproduceva la stessa idea che fondava le

banche popolari: il prestito era il compenso del capitale accumulato sotto forma di

azione281. Nella banca popolare mutua i clienti stessi erano anche i proprietari; le

quote sociali raccolte con il versamento integrale dell’azione o con piccole

contribuzioni rateali, oltre a rappresentare il credito del socio verso la banca

costituivano anche la quota di partecipazione agli utili e, soprattutto, il capitale

sociale, in altre parole la garanzia grazie alla quale il socio stesso può accedere al

credito. E come nella Società operaia anche nella Banca cooperativa alle garanzie

materiali si associavano quelle morali: l’ammissione del socio sarebbe dovuta

avvenire solo su presentazione di altri due soci che ne avrebbero dovuto attestare

le virtù morali282. Nelle brevi parole dello Schulze, riportate in un articolo, era

possibile trovare l’essenza che accomunava sia il mutuo soccorso che le banche

popolari:

Se una banca vuole avere un avvenire durevole abbia cura di respingere la più

lontana apparenza di istituto di beneficenza; chè la sua missione non consiste già

nel distribuire soccorsi agli indigenti, ma nel proteggere contro l’indigenza: non è

un ospizio di incurabili, ma un istituto d’igiene economica283.

280 Ibid..281 Le banche popolari cooperative, «Forumjulii», 6 marzo 1886.282 Le banche popolari cooperative, «Forumjulii», 13 marzo 1886.283 Ibid..

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212

Le obiezioni che furono fatte a questo tipo di istituzione rimarcavano

l’impossibilità da parte di queste istituzioni di credito di far fronte ai bisogni delle

persone più deboli, in grado di provvedere con i propri guadagni ai soli bisogni

più urgenti. La scelta della banca popolare era consapevolmente distante dalle

esigenze della classe sociale più povera:

E’ vero: le banche popolari non possono elargire il credito ai miseri, e non

vogliono farlo; perché i miseri non hanno duopo di reddito né sanno apprezzarne i

vantaggi. Esso non servirebbe loro a produrre, sì bene a consumare284

La scelta di costituire una banca cooperativa da parte della Società operaia si

legò anche a quest’ultimo aspetto. Fu intenzione del consiglio di amministrazione

della SOMSI agevolare la concessione del credito a quelle persone che in gran

parte ne costituivano la base sociale (artigiani, piccoli negozianti, proprietari di

imprese minori) che dal credito avrebbero tratto non benefici personali ma per la

propria attività economica. La banca popolare si prefigurava, nel suo progetto

primitivo, come strumento più utile alle imprese e al commercio che al bracciante

agricolo ed era pertanto naturale che trovasse all’interno della Società operaia

terreno particolarmente fertile per progredire.

La commissione incaricata di prendere gli opportuni provvedimenti per la

fondazione dell’istituto, svolse le pratiche per ottenere la consulenza diretta

dell’on. Luzzatti, che in materia era considerato la persona più competente,

essendo stato a lungo studioso e poi promotore delle banche popolari in Italia285.

La commissione, terminato il lavoro, procedette a redigere la relazione

contenente i risultati degli studi e le considerazioni svolte tra i suoi membri e che

ricalcavano quanto sopra espresso:

La commissione sottoscritta nominata da codesta spettabile rappresentanza della

Società operaia per studiare e proporre qual sistema di banca che meglio possa

284 Ibid..285 Banca, «Forumjulii», 27 marzo 1886.

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213

corrispondere alle locali condizioni economiche e commerciali, e nell’intento

precipuo che detta banca non riconosca altro scopo che quello di una ben intesa

previdenza, ha ritenuto conveniente fermare l’attenzione su quegli istituti di

credito popolari e cooperativi che con tanto successo si diffusero in Italia, su

esempio della Germania mercè la solerte ed indefessa opera dell’Illustrissimo

deputato Luzzatti. Nello studio per l’inizio di una azienda qualsiasi e mestieri anzi

tutto volgere il pensiero ai mezzi di cui si potrà all’occorrenza disporre, nonché

alla relazione fra gli stessi e i conseguenti bisogni. E siccome nel nostro Paese i

bisogni non sono tali da reclamare fino dalla fondazione della Banca un capitale

cospicuo, ne facile riuscirebbe, anche volendo di costituirlo, per tale guisa la

Commissione credette di escludere (a priori) la proposta di una Banca per azioni

al portatore; essa non appena fondata dovrebbe dare di necessità i suoi fondi, onde

poter corrispondere non soltanto l’interesse del capitale all’azionista, ma semmai

possibilmente un lauto dividendo, senza di che tali istituti, che si reggono più

specialmente per il lucro che ne deriva che per lo scopo santo del bene comune,

difficilmente troverebbero ragione d’esistere. Trovò egualmente di escludere

l’altro sistema di banche popolari, come quelle del Wollemborg, tenuto conto del

volume d’affari abbastanza rilevante di questa città, e più specialmente

dell’essenzialissima condizione della responsabilità illimitata richiesta da quella

forma di sodalizio. La qual cosa è possibilisima nei paesi di campagna ove prestiti

vengono fatti di frequenza su pegni di prodotti agricoli e della stalla, anziché su

cambiali allo sconto. Il più adatto ed al pari tempo il più pratico sistema di Banca

Popolare in relazione alle condizioni locali, giova ripeterlo, è quello della

cooperativa. In essa troviamo e lo scopo cui mirasi e la facilità di conseguirlo.

Imperocchè, qualunque sarà il numero dei consociati e con qualunque somma, se

non difetterà la costanza e il buon volere, come vedemmo sorgere e prosperare la

Società Operaja che oggidì può darsi modello, di tale guisa in brevissimo tempo si

potrà vedere fiorire al suo fianco una istituzione sorella, che tornar deve di vitale

interesse al progresso economico della classe lavoratrice286.

286 ASC, Cart. 49: Pratiche diverse 1886-1917, fasc. 1: Fondazione della Banca cooperativa

(1886), doc. Relazione della commissione incaricata degli studi per la formazione di un istituto di

credito.

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214

La commissione esposta la relazione al consiglio, si occupò di redigere lo

statuto, sfruttando a tal proposito il manuale del Levi nel quale erano contenute le

disposizioni tecniche operative e tutte le istruzioni per procedere alla fase

d’impianto della banca287.

Sebbene il programma per la sottoscrizione e lo statuto fossero già pronti

nei primi giorni di maggio, la commissione promotrice ritardò volutamente

l’inizio delle operazioni per permettere che si svolgessero le elezioni comunali,

che portarono alla nomina a sindaco della città di Giacomo Gabrici, uno dei

promotori della banca.

Nei primi giorni del mese di giugno fu pubblicato per conto della banca il

programma per la sottoscrizione e un breve stralcio dello statuto. L’incarico di

raccogliere le sottoscrizioni fu affidato a Gabrici, il quale una volta radunate un

numero sufficiente di adesioni avrebbe dovuto convocare l’assemblea secondo le

disposizioni contenute nel codice di commercio e presiederne i lavori. Lo statuto

prevedeva la possibilità per la banca di svolgere operazioni di prestito e sconto, di

credito agrario, di sovvenzioni contro pegno, di conti correnti, di prestiti

sull’onore e di custodia di denaro. Tutto ciò si sarebbe potuto effettuare solo nei

confronti dei soci, che sarebbero stati anche gli unici beneficiari degli utili. La

forma giuridica prescelta era quella della società anonima cooperativa di credito a

responsabilità limitata. Il costo di ogni singola azione era di 25 lire, pagabili anche

in rate mensili, e nessuno dei sottoscrittori poteva acquistarne più di cinquanta288.

Nel mese di luglio si concluse la sottoscrizione, raggiungendo il doppio

delle azioni prescritte dallo statuto. Fu pertanto possibile convocare tutti gli

azionisti per la definitiva costituzione della banca e per la nomina delle cariche

sociali. La commissione a tal proposito raccomandava a tutti i sottoscrittori di

orientare la propria scelta verso persone di indubbia onesta e capacità poiché

sarebbe dipesa principalmente da loro la prosperità della banca.

Il 22 luglio, presso la sede della Società operaia, si svolse l’assemblea dei nuovi azionisti

della banca in cui si sarebbe dovuto provvedere alla sottoscrizione da parte dei soci dell’atto

287 Ibid..288 Banca cooperativa. Programma per la sottoscrizione, «Forumjulii», 5 giugno 1886.

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costitutivo e alla nomina della direzione. Gabrici, data breve illustrazione circa i vantaggi e

l’organizzazione dell’istituzione, diede il via alle operazioni per la nomina dei consiglieri. A

questo proposito vi fu chi, ritenendo di non avere ancora sufficienti informazioni e conoscenze

sugli azionisti, esortò il presidente dell’assemblea a rinviare ad altra data l’elezione degli organi

sociali. Il desiderio di vedere al più presto operativa la banca fece prevalere l’idea di procedere

subito alla nomina dei membri della direzione. Risultarono eletti alla carica di consiglieri i soci

Giulio Trevisan, Felice Moro, Alberto D’Orlandi, Ernesto Paciani, Giuseppe Vuga e Luigi Gabrici,

vicepresidente Gio.Batta Angeli e presidente Luigi Carbonaro.

Gli azionisti firmarono quindi l’atto costitutivo redatto dal notaio Barcelli e

l’assemblea si sciolse affidando ai neo eletti membri della direzione il compito di

ultimare le pratiche stabilite dalla legge per mettere in grado la banca di

funzionare regolarmente289.

Le pratiche per la costituzione della Banca si conclusero già nel mese di

settembre ma la concreta operatività fu impedita da uno spiacevole inconveniente

verificatosi in sede di elezione dei consiglieri. Lo statuto (in conformità con il

codice di commercio) prevedeva per l’elezione dei membri del consiglio la

maggioranza assoluta delle preferenze espresse dall’assemblea. In conformità a

questo disposto non erano stati legalmente eletti, e pertanto presentarono le

dimissioni, i consiglieri Paciani, Piccoli e Gabrici, il vice presidente Angeli e il

presidente Carbonaro290. Per tale ragione la direzione dimissionaria auspicava che

tra i soci fossero presi opportuni accordi, al fine di evitare che un simile evento si

potesse ripetere. L’assemblea degli azionisti convocata per il 17 ottobre rielesse

presidente Carbonaro e consigliere il dott. Piccoli mentre, prevalse per la carica di

vice presidente Lucio Coren. I rimanenti due soci che ottennero più voti furono

Gaetano Deganutti e Luigi Coceani, ma di questi solo il primo fu eletto con la

maggioranza assoluta dei 59 azionisti intervenuti. Per il Coceani fu necessaria una

successiva seduta assembleare svoltasi in data 24 ottobre291.

L’attività della Banca poteva finalmente prendere il via, essendo finalmente

legittimati tutti i membri della rappresentanza sociale. Il consiglio procedette alla

nomina dei sindaci (Zanuttini Felice e Morgante Ruggero) e del segretario

289 Banca cooperativa, «Forumjulii», 31 luglio 1886.290 Banca cooperativa, «Forumjulii», 25 settembre 1886.291 Banca cooperativa, «Forumjulii», 23 ottobre 1886.

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(Trevisan Gulio) e convocò una assemblea straordinaria in per il 28 di novembre

in cui nominare i componenti del comitato di sconto e il comitato dei probiviri292.

In quella stessa sede, fu conferito l’incarico al presidente di effettuare le

necessarie valutazioni e proporre al consiglio un nominativo cui affidare la carica

di direttore dell’istituto. Per i locali si trovò sistemazione al piano terra del

palazzo che ospitava i regi uffici in Piazza Plebiscito, dove precedentemente

aveva sede la tipografia Fulvio.

Il giorno 17 gennaio 1887, il presidente della Banca convocò tutti i titolari

delle cariche sociali per fare conoscenza con il nuovo direttore dell’istituto. Il

delicato incarico di guidare la società nei suoi primi passi fu affidato a Giovanni

Bolzoni, descritto come un simpatico padovano, formatosi una diffusa conoscenza

sulle banche cooperative grazie al servizio prestato per diversi anni preso

l’analogo istituto di Padova. Il nuovo direttore, presentandosi, promise a tutti gli

intervenuti di impegnarsi il più possibile per permettere alla Banca di ottenere i

migliori risultati in tempi brevi. Si impegnò inoltre affinché i servizi del nuovo

istituto di credito fossero offerti ai soci a partire già dal primo febbraio. A tale

scopo, di comune accordo con il consiglio di amministrazione, fu predisposto uno

schema operativo della Banca, in cui si individuarono le operazioni da svolgersi

sia con i soci che con gli esterni e fissando il tasso d’interesse sulle operazioni293:

Operazioni con soli soci:

a. Concessione di prestiti e sconto di cambiali, warrants, note di lavoro,

mandati di pubbliche amministrazioni e buoni del Tesoro, delle province e

dei comuni.

b. Apertura di conti correnti previa malleveria da parte di due o più persone di

fiducia o di garanzie reali;

c. Credito agrario

Operazioni con soci e con estranei:

1. Sovvenzioni con pegni di effetti pubblici;

2. Servizio di cassa per conto altrui;

3. Custodia e amministrazione dei valori;

292 Banca cooperativa, «Forumjulii», 6 novembre 1886.293 Banca cooperativa di Cividale, «Forumjulii», 22 gennaio 1887.

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4. Prestiti sull’onore

La banca si impegnava a ricevere, da soci e non, somme in deposito a conto

corrente, a risparmio, a piccolo risparmio e a scadenza fissa con buoni fruttiferi.

Inoltre avrebbe pagato gli assegni emessi a suo carico da altre piazze ed avrebbe

emesso assegni verso provvigione su quelle piazze nelle quali disponeva di

corrispondenti.

I tassi di interesse applicatati alle operazioni attive e passive erano i

seguenti:

Prestiti e sconto di cambiali:

6 per cento per quelli a scadenza fino a 3 mesi;

6,25 per cento per quelli tra 3 e 4 mesi;

6,75 per cento su quelli compresi tra 4 e 6 mesi;

da 6 al 6,75 per cento per le sovvenzioni contro pegno di effetti pubblici.

Per i depositi di denaro:

3,75 per cento sui conti correnti;

4 per cento sui depositi a risparmio e a piccolo risparmio;

4 per cento sui depositi a scadenza fissa con buoni fruttiferi a 6 mesi;

4,5 per cento per i depositi a 12 mesi.

Gli uffici rimanevano aperti dalle 9 del mattino fino alle 3 pomeridiane nei

giorni feriali, mentre dalle 9 alle 12 nei giorni festivi. Le operazioni di sconto e

sovvenzioni si svolgevano però solo nei giorni di martedì, giovedì e sabato di

ciascuna settimana294.

Rispettando gli auspici del direttore della Banca, il primo febbraio l’istituto

aprì i suoi sportelli ed iniziò a svolgere la propria importante opera di sostegno nel

campo della fornitura di capitali e servizi sia alle attività economiche che alle

famiglie del Cividalese.

294 Banca cooperativa, «Forumjulii», 5 febbraio 1887.

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3. La composizione societaria e i membri della SOMSI

all’interno della Banca cooperativa

La Società operaia oltre a rendersi promotrice della Banca, contribuì alla

nascita dell’istituto grazie all’apporto di numerosi soci che sottoscrissero il

capitale sociale al momento della costituzione. Il prezzo delle azioni (25 lire) non

costituiva un incentivo all’iscrizione dei soci operai, ma ciò nonostante, su 134

sottoscrittori iniziali ben 70 appartenevano alla Società. Non solo: su 1261 azioni

681 erano state acquistate da membri del sodalizio295. La Società operaia

controllava, indirettamente per il tramite dei propri soci, più della metà del

capitale sociale e dell’assemblea dei soci. Il controllo era chiaramente solo

teorico, in quanto la SOMSI non poteva godere di alcun controllo diretto sulle

scelte della Banca, ma nonostante ciò, questa posizione di preminenza, garantiva

un rapporto privilegiato tra le due istituzioni. In realtà il grado di controllo della

Società operaia sulla Banca era da ricercare non tanto nell’ammontare del capitale

detenuto dai soci di entrambe le istituzioni ma nella composizione degli organi

sociali della Banca.

Fino al 1905 la componente di membri della SOMSI interna al consiglio di

amministrazione dell’istituto di credito fu abbastanza nutrita. Tutti gli

amministratori in oggetto ricoprirono ruoli di spicco anche internamente alla

Società, chi esercitando cariche di consigliere chi addirittura di presidente del

sodalizio. Questo evidenziava il forte legame tra le due istituzioni che si concretò,

fino al 1906, con rapporti commerciali rilevanti. In fase di costituzione e nei primi

anni di vita, il contributo dei depositi effettuati da parte del sodalizio aiutò in

modo importante lo sviluppo dell’istituto di credito296. Nel 1901, a distanza di

diversi anni dalla fondazione, i fondi della Società presso la Banca cooperativa

ammontavano al 6,5 per cento del totale dei depositi297.

295 I dati sono stati ottenuti confrontando l’elenco dei sottoscrittori delle azioni al primo febbraio

1887 e l’elenco dei soci della SOMSI al 31 dicembre 1886 (BANCA POPOLARE DI CIVIDALE ,

Inaugurazione nuova sede, Cividale 1974; SOMSI, Resoconto […] 1886, pp. 11-14).296 Nel 1889 dei fondi della SOMSI presso la Banca ammontava al 16,2 per cento del totale dei

depositi (Storia dei suoi cit., p. 29).297 Ibid., p.29.

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Carica Periodo Professione

Presidenti

Carbonaro Luigi 1886-1887 possidenteMorgante Ruggero 1889-1904 regio subeconomo

Consiglieri

Deganutti Gaetano 1886-1887; 1901-1905 negoziantePiccoli Antonio 1886-1891 negozianteTrevisan Giulio 1886-1902 agente di commercioMoro Felice 1886-1905 farmacistaPodrecca Giulio 1887-1888 farmacistaGabrici Luigi 1888-1892 industrialeVuga Gio. Batta 1889-1903 possidenteStrazzolini Feliciano 1890-1905 libraioGabrici Lorenzo 1892-1894 negozianteCaneva Giuseppe 1896-1905 negozianteAngeli Gio. Batta 1903-1905 negoziante

Direttori

Morgante Ruggero 1890-1905 regio subeconomo

Vice direttore

Moro Felice 1890-1905 farmacista

Tra le famiglie più interessate all’iniziativa vi fu quella Zampari che,

dividendosi la quota massima di 50 azioni pro capite possedeva complessivamente

300 quote, pari a circa il 24 per cento del capitale sociale. Tra gli altri soci che

sottoscrissero il valore massimo di azioni vi furono Gio. Batta Angeli

(negoziante), Luigi Bront (negoziante), Luigi Carbonaro (possidente), la ditta

Piccoli, i fratelli Vuga (possidenti) e la famiglia Craigher. Complessivamente

questi soci detenevano la metà circa dell’intero capitale sociale (650 azioni su

1261). All’interno del consiglio non erano dunque presenti rappresentanti della

Società appartenenti alle classi lavoratrici più deboli. Ciò era dovuto alla difficoltà

di sottoscrivere le azioni del capitale sociale da parte soci meno abbienti e alla

necessità di inserire nell’organo di governo della Banca persone competenti in

materia creditizia. Nonostante questo aspetto la distribuzione del capitale sociale e

la presenza de piccoli risparmiatori crebbe con il passare del tempo, come

Tabella 30. Cariche, durata e professioni dei soci della SOMSI

all’interno della Banca cooperativa (1886-1905)

Fonte: Banca cooperativa. Storia cit., pp. 19-20.

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220

dimostra l’andamento del rapporto tra numero dei soci e numero delle azioni

emesse.

4. Inizio e sviluppo dell’attività della Banca cooperativa

L’andamento dell’attività nei primi mesi superò le più rosee aspettative

anche degli stessi promotori. Essi tuttavia lamentavano ancora una scarsa

informazione tra i cittadini sul funzionamento dell’istituto e affermavano il ruolo

di “servizio pubblico” che la Banca si proponeva di svolgere, aperta a tutti coloro

che ne avrebbero voluto fruire. L’iscrizione preventiva nel ruolo dei soci non

costituiva elemento essenziale per accedere ai servizi bancari: sarebbe stato

comunque possibile sottoscrivere le azioni anche contestualmente alla richiesta di

qualunque operazione. Le condizioni praticate sull’attività di sconto erano le

stesse adottate da altre banche, mentre l’interesse sui depositi era superiore a

quello offerto dalle Casse di risparmio postale. Il direttore era quindi fiducioso di

assistere ad una crescita in brevissimo tempo dell’azienda che sarebbe diventata

nel giro di pochi anni il termometro reale dell’andamento della vita economica del

Cividalese298.

Il secondo mese di attività confermò l’andamento e il giro d’affari

complessivo salì a oltre 110.000 lire299.

Il primo anno d’esercizio si chiuse con un pareggio di bilancio ma ciò

nonostante il movimento generale raggiunse la cifra di 1.580.331 lire300. L’attività

della Banca proseguì nel corso degli anni segnando una crescita continua sotto

molti punti di vista. Il patrimonio sociale crebbe costantemente ma ciò fu più che

altro dovuto alla crescita costante e sostanziosa del fondo di riserva. Il capitale

sociale crebbe con molta meno rapidità principalmente a causa degli errori

commessi dai soci circa la valutazione del valore dell’azione.

298 Banca cooperativa di Cividale, «Forumjulii», 5 marzo 1887.299 Banca cooperativa, «Forumjulii», 9 aprile 1887.300 Banca cooperativa. Storia cit., p. 35.

Tabella 31. Situazione mensile dei conti della Banca cooperativa al 28

febbraio 1887

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Numerario in cassa 2.697,68 Capitale sottoscritto 31.525,00

Cambiali in portafoglio 17.181,00 Fondo di riserva 2,00

Anticipazioni sopra pegno

75,00 Depositi liberi e a risparmio

25.600,00

Conti correnti diversi 17.513,80 Depositi a cauzione 5.240,00

Depositi a cauzione 5.240,00 Creditori diversi 35,96

Mobili e spese d'impianto

1.069,75 Conti correnti con mallevaria

2.500,00

Debitori diversi 1,00 Conti correnti con banche

430,00

Debitori azioni 21.140,00 Rendite e profiti dell'esercizio

139,70

Spese d'esercizio 554,43

Totale 65.472,66 Totale 65.472,66

Attivo Passivo

Fonte: «Forumjulii», 5 marzo 1887

Accadeva spesso che i soci, bisognosi di realizzare l’investimento,

vendessero le proprie azioni ad un prezzo prossimo al nominale, notevolmente

inferiore al valore reale dell’azione. In questo modo si frenava l’emissione di

nuove azioni, favorendo la circolazione di quelle già esistenti. Con la riforma

dello statuto del 1906, la banca introdusse la remunerazione degli azionisti in base

ad una percentuale sugli utili e allo stesso tempo procedette con lo sdoppiamento

delle azioni. In questo modo fu possibile dimezzare il valore di ciascuna quota

(nel 1905 il valore nominale di ogni azione raggiunse le 45 lire) e diede la

possibilità di collocare sul mercato 1394 nuove azioni al prezzo nominale di 25

lire, dando vita ad un cospicuo aumento di capitale. Questo permise alla Banca di

aumentare non tanto il numero dei soci quanto quello dei clienti301. A seguito di

questa operazione crebbe in modo rilevante il movimento complessivo della

Banca che nell’arco di un solo anno (dal 1906 al 1907) crebbe di circa 7 milioni

(pari al 27 per cento sull’esercizio precedente)302.

301 Il numero dei soci subì contrariamente alle attese una riduzione passando dai 714 del 1905 ai

649 dell’anno successivo, accentuando la crescita dei pacchetti azionari dei soci più rilevanti

(Banca cooperativa. Storia cit., p. 25).302 Banca cooperativa. Storia cit., p. 24-27; p. 40.

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Anno Soci N. AzioniPatrimonio

socialeDepositi Impieghi

Movimento generale

Utili netti

Indice di Redditività

1887 216 1.357 34.035 111.585 123.837 1.580.331 -

1888 250 1.415 35.816 116.140 197.845 3.515.124 1.276 0,36

1889 309 1.503 38.265 161.498 275.471 5.372.806 1.429 0,27

1890 368 1.565 40.456 212.115 316.324 5.024.614 2.867 0,57

1891 468 1.607 42.626 231.846 363.629 5.473.182 4.734 0,86

1895 782 1.903 63.299 269.063 420.075 6.452.242 6.547 1,01

1900 796 1.995 83.139 462.768 704.728 8.469.256 11.146 1,32

1905 714 1.996 111.033 774.442 1.370.742 21.048.577 11.222 0,53

1910 631 5.426 190.218 2.066.842 2.447.846 30.585.072 23.254 0,76

A fronte di un incremento del volume d’affari della Banca ne diminuì la

redditività, che fino ai primi anni del Novecento crebbe con regolarità. La

spiegazione di questo fenomeno è in parte attribuibile alla crescita e alla

concorrenza di altri istituti di credito del Cividalese303, che imposero una

rimodellazione nelle politiche dei tassi304.

I primi anni di attività della Banca puntarono al consolidamento delle

proprie basi e a costruire le premesse per lo sviluppo futuro. Dal punto di vista

degli impieghi l’operazione più svolta era quella cambiaria. La peculiarità degli

effetti circolanti sul mercato Cividalese era di essere rinnovati più volte, per

l’intero ammontare o anche solo per una parte di esso. Ciò era dovuto allo scarso

uso che delle cambiali si faceva nelle operazioni commerciali: questo effetto, nato

come strumento per regolare i traffici dell’industria o del commercio era utilizzato

prevalentemente come strumento di pagamento dai contadini e dai piccoli

proprietari terrieri per l’acquisto di derrate, materiali o terreni. In questo modo lo

sconto delle cambiali diventava una forma di finanziamento a medio e lungo

303 Nel 1903 fu istituita la Banca agricola cividalese e nel 1905 la Banca cividalese di credito

(RIEPPI, Forum Julii cit., pp. 125-126).304 Anche la Società operaia ritirò parte dei propri fondi dalla Banca cooperativa per destinarli ad

altri istituti di credito in grado di applicare tassi più vantaggiosi.

Tabella 32. Lo sviluppo della Banca cooperativa di Cividale attraverso alcuni indicatori (1887-

1910)

Fonte: rielaborazione da Banca cooperativa. Storia cit., p. 23-40.

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termine. Molto praticata era la cambiale ipotecaria con rinnovo semestrale,

particolarmente apprezzata dalla Banca per la sua solidità e per le garanzie ma

avversata dalle teorie bancarie che la sconsigliavano. Il rischio che si correva con

questo tipo di operazioni, considerando in particolare che la quasi totalità degli

impieghi era costituita dal portafoglio, era di immobilizzare eccessivamente

l’attivo, incorrendo in possibili crisi di liquidità. La Banca doveva però adattarsi

alle esigenze della clientela locale, prevalentemente contadini laboriosi e

desiderosi di diventare proprietari dei terreni305. A salvaguardia di possibili

imprevisti e crisi l’istituto si tutelò puntando ad una forte crescita del fondo di

riserva che nel 1904 superò addirittura il capitale sociale.

L’attività della Banca nei primi anni di vita fu perciò prudente e puntò al

consolidamento delle proprie basi. Questa iniziale prudenza permise, anche grazie

alle modifiche statutarie e all’incremento patrimoniale del 1906, di far esplodere il

giro d’affari dell’istituto che nell’arco del primo decennio del novecento risalì

importanti posizioni e superò in diversi indicatori di crescita il valore medio

nazionale delle banche popolari.

5. Nascita e sviluppo della Scuola di Arti e Mestieri

La Società, tra gli scopi inseriti nel proprio statuto, incluse quello

dell’istruzione e della promozione di attività ricreative e culturali, convinta che tra

i propri compiti non rientrasse solo quello di garantire una migliore condizione di

vita ai soci colpiti da malattia o divenuti invalidi e non in grado di svolgere più

alcun lavoro, anche quello di migliorare le qualità morali e intellettuali dei singoli

soci lavoratori.

I primi anni di vita del sodalizio furono poco favorevoli alla promozione di

iniziative dirette a questo scopo a causa principalmente dei freni derivanti

dall’ambiente esterno, scarsamente propenso a recepire elementi di modernità e di

progresso. Le difficoltà incontrate in fase di costituzione del sodalizio e la

305 Banca cooperativa. Storia cit., pp. 29-30.

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diffidenza mostrata da alcuni dei primi aderenti all’iniziativa ne sono una

testimonianza.

Oltre alla corposa documentazione contenuta nei due cartolari interamente

dedicati all’istruzione, un profilo generale e storico della Scuola d’arte e mestieri

si trova inserito nelle relazioni pubblicate in occasione del quarantesimo306 e del

cinquantacinquesimo anno di fondazione del sodalizio307.

Nel 1877 iniziò da parte di una commissione appositamente nominata l’iter

che avrebbe dovuto portare all’apertura di una Scuola di disegno per gli artieri,

istituzione di cui diffusamente si avvertiva il bisogno. La commissione eseguì una

serie di studi necessari a valutare la fattibilità dell’opera, ottenendo dall’autorità

municipale l’impegno a corrispondere la somma di 150 lire l’anno a titolo di

contributo. Le lunghe pratiche si conclusero nel 1878, quando, con delibera del

consiglio sociale n. 155 del 29 novembre, si decretò l’istituzione della Scuola di

disegno.308 La sede fu stabilità presso i locali della Scuola elementare e la

direzione fu affidata al prof. Antonio Cricco, assistito da Edoardo Braida.

La Scuola era rivolta principalmente a lavoratori, anche se non mancavano i

giovani studenti desiderosi di apprendere un mestiere. L’età di coloro che

frequentavano la Scuola era piuttosto bassa, anche se il lavoro nelle officine e nei

laboratori artigiani cominciava, nel migliore dei casi, subito dopo il

conseguimento della licenza elementare. Lo scopo era in ogni caso quello di

migliorare le conoscenze pratiche e teoriche dei soci e dei loro giovani figli, che

avrebbero cosi ottenuto un maggiore riconoscimento professionale e quindi un

miglioramento delle proprie condizioni economiche. Essendo dunque buona parte

degli iscritti anche lavoratori, era necessario che la Scuola dovesse essere serale e

306 SOMSI, 40 anni di vita della Società operaia cit., pp. 19-23.307 SOMSI, Quindici anni di operosità sociale (1910-1924) cit., pp. 13-17.308 ASC, cart. 71 Scuola d’arte applicata all’industria, fasc. 1 Scuola di disegno (1878). In queste

pagine manoscritte sono descritti i passi iniziali mossi dalla Scuola, con specifico riferimento ai

rapporti intercorsi con il Municipio, con il quale si sviluppò un legame di collaborazione lungo e

proficuo. Il Comune oltre a stanziare a titolo di contributo la somma di lire 150, offrì alla Società

operaia la possibilità di insediare la Scuola presso i locali del Collegio convitto. Quest’ultima

proposta non fu accolta con favore dal consiglio, che chiese alla commissione di proporre al

Comune d’individuazione di altri locali ove iniziare l’attività.

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festiva. Le lezioni erano fissate in due giornate: il giovedì sera, dalle 19 alle 22 e

la domenica mattina dalle 9 alle 12. Al fine di vigilare sul buon funzionamento del

nuovo istituto, il consiglio decise di nominare una commissione di vigilanza.

Nel 1881 la direzione dell’istituto passò nelle mani di Francesco Montini,

mentre l’incarico di insegnate fu assunto da Edoardo Braida, che fino a quel

momento svolgeva solo funzioni di assistente. Questi, subito dopo la sua nomina,

propose di istituire una sezione femminile. La proposta, subito accettata, fece sì

che dalle 1° maggio dello stesso anno nascesse una Sezione della Scuola rivolta

alle sole donne. Le lezioni si svolgevano la domenica e nei giorni festivi dalle13

alle 15. Successivamente si ritenne poco conveniente, sul piano organizzativo, tale

operazione e la sezione femminile venne quindi soppressa pochi mesi dopo. Poche

delle iscritte scelsero di continuare la frequenza scolastica nella sezione maschile,

mentre le altre abbandonarono la Scuola.

Nel 1884, su proposta dello stesso insegnante, venne istituita la Scuola di

intaglio, che diveniva così il terzo corso organizzato309. Il direttore della Scuola

inoltre si prestò all’insegnamento di materie “ordinarie”, quali la lingua italiana, la

matematica, la storia e la geografia. In questo modo la Scuola, nata come istituto

formativo in uno specifico campo, allargava i suoi orizzonti, diventando una

Scuola completa di quasi tutte le discipline. Per tale motivo si riuscì a ottenere da

parte del ministero della Pubblica Istruzione un contributo, che rimase però

saltuario e di modesta entità.

Nel 1883, su ordine dell’autorità municipale, si dovette procedere

all’abbandono dei locali dove aveva avuto sede sino a quel momento la Scuola 310,

che fu trasferita prima in via Dante e poi a palazzo Boschetti in Borgo San Pietro.

309 ASC, cart. : 71, fasc. 7: Scuola di Disegno (1884), doc. Lettera manoscritta del Maestro Braida

alla Direzione della Società in data 2 ottobre 1884. Il maestro suggeriva che fosse affiancata alla

Scuola di disegno anche quella di intaglio. Per non gravare eccessivamente sul bilancio della

SOMSI, l’insegnante propose di poter effettuare, al termine dell’anno scolastico, un’esposizione

dei lavori degli alunni, il ricavato della cui vendita incassato a favore della Scuola. Inoltre per il

servizio prestato, il maestro non chiedeva nulla, se non una gratifica al termine del corso qualora

questo si fosse dimostrato vantaggioso. Egli infine stimava in lire 180 l’iniziale esborso da parte

della Società per l’acquisto di materiale necessario ai laboratori.310 SOMSI, 40 anni di vita della Società operaia cit., p. 20.

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In questa occasione la Società si assunse anche l’onere della spesa per l’affitto dei

nuovi locali, circostanza, questa, che incrementò ulteriormente i costi di gestione

della Scuola. Inoltre cresceva di anno in anno l’interesse e il numero di allievi

iscritti ai corsi. A testimonianza di questo andamento basta osservare che il

numero delle lezioni aumentò da due a tre la settimana e che tra il 1879 e il 1889

si passò da 53 a 89 alunni, con un incremento di circa il 70 per cento degli iscritti

in soli 10 anni.

La rapida crescita dell’istituto tuttavia portava anche alcuni problemi di

ordine disciplinare e organizzativo. Fu così che nel 1888 fu approvato il nuovo

regolamento, affidando la direzione della Scuola al prof. Umberto Rinaldi, che a

due soli mesi dalla nomina dovette però dimettersi. La Scuola a questo punto

dovette sospendere l’attività e apportare modifiche sia organizzative sia

regolamentari.

L’incarico di risistemare la Scuola venne affidato al prof. Enrico Bigotti, il

quale consegnò alle sorti di un concorso pubblico, bandito nel 1889, la nomina del

nuovo insegnante. Al concorso si presentarono ben 23 candidati,311 tra i quali

riuscì vincitore il prof. Verderi, che nel corso di pochi anni seppe ristrutturare gli

organi della Scuola e dare nuovamente impulso all’attività di formazione

intrapresa dalla Società operaia.

Da quell’anno la Scuola potenziò la sua attività già abbastanza rilevante.

Oltre a sviluppare l’insegnamento del disegno industriale, s’istituì un laboratorio

di modellazione, nel quale si apprendeva l’arte della lavorazione del gesso e di

altri materiali.312

311 ASC, cart. 71: Scuola d’arte applicata all’industria, fasc. 12: Scuola di disegno (1889).

Nell’archivio della SOMSI sono conservate le domande presentate dai candidati alla cattedra di

maestro della Scuola, con le relative referenze allegate. Dalla lettura di queste carte si nota come

molti dei maestri che parteciparono al concorso provenissero da diverse località italiane, alcune

molto distanti, segno della vasta eco che la notizia aveva avuto e dell’interesse per l’iniziativa.6 Presso la sede della Società è possibile tuttora visionare alcune opere decorative in gesso,

prodotte nei laboratori della Scuola e che, con molta probabilità, costituivano le esercitazioni per

valutare il grado di affinamento nell’arte degli studenti. Dall’osservazione di questi manufatti si

può cogliere il livello di abilità raggiunto da alcuni studenti del corso.

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L’insegnamento fu diviso non più in tre ma in quattro corsi, grazie

all’ulteriore inserimento di quello preparatorio propedeutico a quelli già attivati. Il

numero degli alunni ben presto raggiunse e superò le cento unità. Anche le lezioni

divennero quotidiane, impartite tutti i giorni dalle 8 alle 10 di sera e, come di

consueto, dalle 9 alle 12 nelle mattinate dei giorni festivi.

Alla figura dell’insegnante furono affiancati alcuni assistenti, in modo tale

da agevolare il ruolo del docente. Risultava sempre più evidente che un solo

insegnante non fosse più sufficiente a gestire un numero così elevato di allievi. Si

intensificarono pertanto le relazioni e le corrispondenze con il ministero di

Agricoltura Industria e Commercio e con il locale Municipio per ottenere da

questi enti una maggiore attenzione e un più sostanzioso contributo finanziario. Il

Municipio, nella prolungata attesa della risposta del ministero, si accollò parte

delle spese legate ai locali (luce, manutenzione, acqua, riscaldamento) e provvide

a incrementare il proprio contributo per la Scuola portandolo in un primo

momento a 800 lire e successivamente a 2.000 lire.

Dal 1906 cominciò il lungo iter burocratico per portare la Scuola alla

“regificazione”, che in altre parole consisteva nell’inserimento nel novero delle

scuole regie. Come tale, essa non sarebbe più dipendente né economicamente né

sul piano organizzativo dalla Società operaia.

Nello stesso tempo, le insistenti pressioni portarono allo stanziamento di un

contributo da parte della Cassa di Risparmio di Udine e al ripristino del contributo

dell’Amministrazione provinciale. Grazie anche a questi interventi fu possibile

affiancare un nuovo insegnante al direttore, permettendo di organizzare dei corsi

di perfezionamento successivo al conseguimento del diploma e di istituire un

corso obbligatorio di cultura generale e di economia politica.

Lo scoppio della prima guerra mondiale avvenne in uno dei momenti di

massimo lustro dell’attività svolta dalla Scuola. I locali vennero destinati ad

accogliere l’ospedale militare, così come parte del mobilio fu impiegata allo

stesso scopo. In questo frangente di tempo le lezioni continuarono nello studio

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fotografico del direttore della Scuola, il prof. Verderi313, al quale andò il

riconoscimento della SOMSI e un modesto contributo per il disagio occorsogli.

Inaspettatamente, nel luglio 1916 fu emanato un decreto luogotenenziale nel

quale si conferì alla Scuola il titolo di Regia Scuola di disegno professionale314.

Con questo decreto la Scuola diventava un istituto del Regno, sotto la piena

giurisdizione del ministero. Per il raggiungimento di tale scopo fu decisivo

l’interessamento del barone Elio Morpurgo, allora sottosegretario di Stato al

ministero dell’Industria e Commercio.

La presidenza fu conferita al presidente della Società operaia di mutuo

soccorso, che fungeva da delegato del ministero in seno all’amministrazione.

Si procedette pertanto a fornire la Scuola di un nuovo ordinamento sia

amministrativo che contabile, fissando quindi l’apertura della sede presso la casa

313 ASC, cart. 72: Scuola d’Arte applicata all’Industria, fasc. 13 Scuola d’Arte (1915), Verbale del

consiglio direttivo del 1° dicembre 1915. Il verbale si apre con l’augurio di un rapido ritorno degli

89 soci della SOMSI a quella data impegnati al fronte.314 ASC, cart. 72: Scuola d’Arte applicata all’Industria, fasc. 16: Carte diverse – Anno d’esilio

1918, pubblicazione a stampa dell’estratto del bollettino del M.A.I.C. contenente il Decreto

luogotenenziale 23 luglio 1916 n. 912 di regificazione della Scuola d’arte applicata all’industria di

Cividale del Friuli. Nel decreto si legge:

Tomaso di Savoia, duca di Genova, luogotenente Generale di Sua Maestà Vittorio Emanuele III ecc., in virtù

dell’autorità a noi delegata; vista la legge 14 luglio 1912 n. 854 […]; viste le deliberazioni favorevoli

del Comune di Cividale del Friuli […],

della Provincia di Udine,

della Camera di Commercio di Udine;

Riconosciuta l’opportunità di regificare la Scuola d’arte applicata all’industria […] sentito il parere del

consiglio per l’istruzione artistico industriale; Sulla proposta del ministro segretario di Stato per l’industria il

commercio e il lavoro; Abbiamo decretato e decretiamo:

Art 1 – La Scuola d’arte applicata all’industria, fondata nel 1878 in Cividale del Friuli dalla locale SOMSI è

posta alla diretta dipendenza del ministero dell’industria del commercio e del lavoro ed è riordinata come

Scuola a orario ridotto […] Essa prende il nome di R. Scuola di disegno professionale, e ha lo scopo di

impartire nozioni di coltura generale e insegnamenti artistici applicati ad arti e mestieri.

Art. 2 – Al mantenimento annuo della Scuola concorrono:

il ministero dell’Industria Commercio e Lavoro con lire 4000, il Comune di Cividale del Friuli con lire 2000,

la Provincia di Udine con lire 1000, la Camera di Commercio di Udine con L. 250. Il Comune di Cividale

provvede inoltre a fornire gratuitamente i locali per la Scuola, per i laboratori e per le officine e provvede alla

loro manutenzione, al riscaldamento, alla illuminazione e alla fornitura dell’acqua per tutti i servizi della

Scuola.

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della SOMSI entro il mese di ottobre 1917. Frattanto si intrapresero le prime

iniziative e le prime pratiche per dotare la Scuola di una nuova sede, ma il

precipitare degli eventi e i tragici eventi di Caporetto frenarono la spinta

entusiasta del momento. L’amministrazione della Scuola si trasferì a Roma, ma

continuò a mantenere rapporti sia con il ministero sia con gli insegnanti, ai quali

era corrisposto regolarmente lo stipendio mensile.

A seguito dell’invasione nemica i locali della Scuola subirono rilevanti

danneggiamenti che ne resero impossibile la fruizione. La Società tentò di

riorganizzare rapidamente i locali destinati all’insegnamento, fornendo una sede

in uso semigratuito. La Scuola riprese la sua attività solo dal 1920, sotto la guida

di un nuovo direttore nominato dal ministero. Si cercò in questa fase di procedere

a un’intensa attività di mobilitazione e di pressione per poter procedere alla

costruzione di un’adeguata sede, coinvolgendo sia il Comune che il ministero315.

Alcuni fruttuosi contatti portarono alla stesura di un progetto che prevedeva

la concessione da parte del Comune dell’area edificabile e da parte del ministero

di un finanziamento a fondo perduto di 60.000 lire. Tale progetto però subì un

brusco rallentamento a seguito delle mutate condizioni politiche. L’ingerenza

della Società di mutuo soccorso non doveva essere particolarmente gradita ai

governanti dell’epoca. Per questi motivi cessò ogni tipo di presenza da parte della

SOMSI all’interno della Scuola, che solo così fu dotata di nuove aule e laboratori.

Ciò che non cessò mai fu l’interesse da parte della Società verso la Scuola che

ancora per lunghi anni fu considerata come una naturale filiazione del sodalizio

mutualistico.

6. Il bilancio della Scuola d’arti e mestieri

La Scuola di arti e mestieri costituì per la SOMSI una spesa che incise

considerevolmente incisiva su un bilancio non particolarmente consistente. A

questo proposito si possono analizzare alcuni dati ricavati dalla statistica prodotta

315 ASC, cart. 69: Casa del Popolo, fasc. 1: Varie. Copia del progetto e delle piante sono

conservate presso l’archivio della SOMSI.

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nel 1910, riguardante il periodo che va dalla nascita della Scuola al 1909, e dalla

statistica successiva riferita al periodo 1910 – 1916316.

I contributi degli enti, le tasse scolastiche e le entrate eventuali costituivano

il capitolo delle entrate. Le ultime due voci ebbero peraltro un peso poco rilevante

nel computo totale delle entrate, sia per la loro occasionalità, sia per la tardiva

introduzione e la modesta entità. La somma di entrambe le voci non rappresentò

nel corso di tutto il periodo di vita della Scuola che il 6,5 per cento del totale delle

entrate. Il rimanente 93,5 per cento era quindi imputabile a contributi versati alla

Società operaia da parte di enti di diversa natura.

In merito è possibile individuare alcuni dei più importanti enti che

contribuirono annualmente al mantenimento dell’istituto cividalese.

Il Comune di Cividale si attivò sin dalla nascita della Scuola elargendo una

somma di lire 150 fino al 1896, che divenne di 300 nel 1897 e di 400 lire nel

1904. Successivamente il contributo fu raddoppiato e portato alla cifra di 800 lire.

Con il passare degli anni e nell’attesa che si procedesse alla regificazione, il

contributo fu ulteriormente aumentato fino a toccare le 1.000 lire, in prospettiva di

un futuro intervento ministeriale che, ricordiamo, avverrà nel 1916. Inoltre il

Municipio provvedeva alla fornitura di tutta una serie di utenze e dei locali in cui

veniva ospitata la Scuola.

Il ministero di Agricoltura Industria e Commercio stanziò a partire dal 1882

una somma pari a 200 lire, che nel corso degli anni si rinnoverà ma con un

ammontare di volta in volta differente. Dal 1897 l’importo stanziato diverrà di 400

lire l’anno. La Camera di Commercio di Udine contribuì a partire dal 1888 con

una somma di 150 lire l’anno, poi elevata a lire 200 nel 1901 e divenuta infine di

250 lire nel 1908. Infine vanno ricordati gli interventi effettuati da parte

dell’Amministrazione provinciale e da parte della Cassa di Risparmio di Udine317.

316 SOMSI, 40 anni di vita della Società operaia cit., tav. IV; SOMSI, Quindici anni di operosità

cit., tav. V.317 ASC, cart. 72: Scuola d’arte applicata all’industria, fasc. 3: Contributo degli Enti. La

conferma della concessione del contributo da parte della Cassa di Risparmio di Udine pervenne

per lettera datata 6 febbraio 1911 che ne fissava l’ammontare in L. 350.

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Nel primo caso il contributo ebbe una consistenza molto limitata sia nel tempo

sia nell’ammontare, a causa principalmente delle difficoltà economiche dell’ente.

Nel 1886 la Provincia si assunse una partecipazione alla spesa di lire 400, che

mantenne fino al 1890, per poi interromperla e riprenderla solo nel 1909319.

È interessante notare come la contribuzione degli enti alle spese della

Scuola abbia seguito una tendenziale crescita nel corso degli anni, senza però

presentare mai caratteri regolari. Questo dimostra come fosse difficile da parte

della Società poter contare su di un contributo stabile e sicuro per lo svolgimento

della propria attività. Solo con il passare degli anni queste entrate crebbero con

una certa costanza e assunsero anche una rilevanza economica che poteva

permettere alla SOMSI di intervenire sulla quota rimanente della spesa per un

ammontare, in valore assoluto, inferiore.

Questo differente atteggiamento da parte degli Enti che sovvenzionavano la

Scuola era imputabile per una parte al tardivo riconoscimento dell’importante

ruolo svolto dalla Scuola stessa, riconoscimento che sembra legato alla

trasformazione della Scuola da attività a gestione privata a ente pubblico, sotto il

controllo del ministero dell’Istruzione Pubblica.

318 Fino al 1890 la Provincia stanziava sussidi per le scuole di arti e mestieri e disegno, istituite nei

vari centri su iniziativa delle società operaie e dei comuni. Tra queste si ricordano, oltre a quella di

Cividale, quelle di Udine, San Vito, Gemona, Tolmezzo, San Daniele, Tarcento e Spilimbergo.

Durante l’approvazione del bilancio del 1891 questi stanziamenti non furono più concessi, e le

scuole dovettero continuare la propria attività con i modesti contributi statali e della Camera di

Commercio. Lo straordinario interesse e il successo riscosso dalle scuole rese indispensabile un

successivo intervento della Provincia, che nell’agosto 1908 decise di stanziare la somma di lire

6000 a favore delle scuole di arti e mestieri ritenute meritevoli. La suddivisione della somma

tra le varie scuole venne operata dalla Deputazione sulla base di un apposito regolamento. Nel

1910 si fondò a Udine il Comitato provinciale per le scuole professionali operaie, con sede presso

la Camera di Commercio. Lo scopo di tale Comitato era di studiare, propagandare e diffondere

l’insegnamento professionale delle scuole operaie, secondo i bisogni delle industrie e delle classi

lavoratrici locali. Nel dicembre 1911 il consiglio del Comitato approvò un nuovo regolamento per

l’erogazione dei sussidi ed elevò il fondo a 10.000 lire (a questo proposito si veda R. Corbellini,

La provincia del Friuli. Atti dal 1866 al 1940, Udine 1993, p ).

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Le uscite risultavano suddivise in quattro voci differenti: costi del personale

insegnante e di servizio, spese per materiale didattico, illuminazione,

riscaldamento, spese di affitto e infine spese straordinarie.

Tra tutte queste voci quella più rilevante era sicuramente quella legata agli

stipendi pagati agli insegnanti. Questa cifra, in un primo momento molto modesta,

assunse con il trascorrere degli anni un peso via via sempre crescente sul bilancio

della Scuola. Ciò si dovette in parte al processo avviato pochi anni dopo la

costituzione dell’istituto, con lo scopo di attuare una riorganizzazione della Scuola

secondo criteri e metodi di minore occasionalità e precarietà. Sembra inevitabile

che, a fronte di un miglioramento e di un’espansione dell’offerta formativa

fornita, si sia assistito a un graduale aumento del costo del personale, specie in

riferimento al periodo che va fino al 1890, anno dal quale si assiste a un certo

assestamento di questa voce di bilancio320.

Dal lato della spesa per il materiale didattico, illuminazione e

riscaldamento, si nota una certa stabilità delle uscite nel corso degli anni, eccetto

quando la Scuola dovette affrontare le spese rilevanti legate alla costituzione di

nuove sezioni o di nuovi laboratori. A tale proposito è interessante notare come tra

il 1888 e il 1891 la voce in esame subì un repentino incremento, fino quasi a

quadruplicarsi. Questo aumento è imputabile alla ristrutturazione avvenuta in quel

periodo e che vide la promozione del concorso pubblico per l’assunzione di un

nuovo insegnante e l’istituzione di una nuova sezione. Bisogna infine ricordare

che la SOMSI si accollava le spese di cancelleria e di materiale didattico di coloro

che non si sarebbero potuti permettere l’acquisto di quanto necessario.

Le spese d’affitto gravarono sul bilancio della Scuola, per un periodo

compreso tra il 1883 e il 1891, in misura variabile, e dal 1905 sino alla

regificazione del 1916, in quota fissa pari a 300 lire annue. Le spese straordinarie,

infine, ebbero nel corso degli anni un andamento occasionale, come per loro

implicita natura. Vi saranno anni in cui compariranno per ammontare modesto se

non nullo e anni in cui incideranno particolarmente sul cumulo totale delle uscite

(1913)321.

320 SOMSI, 40 anni di vita della Società operaia cit., p. 20.321 SOMSI, Quindici anni di operosità cit., tavole.

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233

Tracciando il bilancio complessivo dell’impegno economico sostenuto per

la diffusione dell’iniziativa, si evince che la SOMSI nella sua attività di sviluppo

dell’istruzione e di qualificazione professionale investì una parte considerevole

delle proprie risorse. Lo sbilancio passivo sostenuto per lunghi anni crebbe in

modo regolare, salvo rare eccezioni. È possibile evidenziare, ad esempio, come

nel quadriennio che precedette il passaggio dell’istituto sotto il controllo

ministeriale si fosse raggiunta una rilevante riduzione della spesa a carico della

Società. In particolare negli anni che corrono dal 1912 al 1915 si rileva una

passività complessiva pari a sole 183,9 lire e nell’ultimo anno si ottenne

addirittura un pareggio di bilancio322. Questo, come già detto, fu possibile

principalmente grazie al corposo aumento della contribuzione degli enti.

322 SOMSI, 40 anni di vita della Società operaia cit., tavole.

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234

Tabella 1 – Bilancio della Scuola d’arte e mestieri dal 1879 al 1916

Entrate Spese

Anno Contributi di

enti

Tasse

scolastiche

Entrate

eventuali

Totale

entrate

Personale

insegnante di

servizio

Materiale

didattico,

illuminazione

riscaldamento

AffittiSpese

straordinarieTotale spese

Eccedenza a

carico della

SOMSI

1879 230 230 280 53 311,95 644,95 414,95

1880 150 75 225 270 79,43 86 435,43 210,43

1881 350 350 400 97 220,19 717,19 367,19

1882 350 350 270 85,8 13,4 369,2 19,2

1883 450 450 270 338,5 60 668,5 218,5

1884 450 450 270 285,7 120 675,7 225,7

1885 650 650 345 200 115 203,15 863,15 213,15

1886 900 900 500 326,6 110 182,55 1119,15 219,15

1887 750 750 570 82 110 762 12

1888 1400 1400 1233 468,04 175 1876,04 476,04

1889 1150 1150 1052 565,15 240 1857,15 707,15

1890 800 800 1265,1 744,07 240 2249,17 1449,17

1891 800 800 1525 538,03 90 2153,03 1353,03

1892 800 800 1500 201,72 1701,72 901,72

1893 1000 1000 1820,26 243,4 2063,66 1063,66

1894 892,5 31 923,5 1499,98 225,35 1725,33 801,83

1895 900 34 934 1500 227,81 1727,81 793,81

1896 592,5 40 632,5 1550 99,35 1649,35 1016,85

1897 850 29 879 1650 250,3 1900,3 1021,3

1898 942,5 50 992,5 1550 245,48 1795,48 802,98

1899 850 46 896 1550 254,49 175 1979,49 1083,49

1900 850 101 951 1550 231,71 1781,71 830,71

1901 900 108 1008 1550 252,89 78,6 1881,49 873,49

Page 235: Per la storia della mutualità in Friuli: la Società ... · La rivoluzione industriale in Inghilterra non fu semplicemente un fenomeno ... La classe operaia e le categorie artigiane

235

Entrate Spese

Anno Contributi di

enti

Tasse

scolastiche

Entrate

eventuali

Totale

entrate

Personale

insegnante

di servizio

Materiale

didattico,

illuminazione

riscaldamento

AffittiSpese

straordinarieTotale spese

Eccedenza a

carico della

SOMSI

1902 900 87 987 1580 279,79 1859,79 872,79

1903 900 63 963 1610 249,85 1859,85 896,85

1904 1000 54 100 1154 1600 291,62 508 2399,62 1245,62

1905 1300 54 1354 1525 251,2 300 2076,2 722,2

1906 1300 54 1354 1500 321,01 300 15,85 2136,86 782,86

1907 1300 100 1400 1500 315,52 300 606,95 2722,47 1322,47

1908 1350 145,95 1495,95 1500 309,71 300 125 2234,71 738,76

1909 1750 36 100 1886 1549,85 319,7 300 119,1 2288,65 402,65

1910 1750 27 100 1877 1900 322,27 300 37,55 2559,82 682,82

1911 2500 99 2599 2100 392,58 300 563,1 3355,68 756,68

1912 2551 81 2632 1950 522,5 300 70 2842,5 210,5

1913 3200 117 1200 4517 1950 505,81 300 1292 4047,81 -469,19

1914 3200 74 37,5 3311,5 2475 530,66 300 308,85 3614,51 303,01

1915 3679 18 262,5 3959,5 3400 341,27 300 57 4098,27 138,77

1916 3809 3809 2491,64 180,7 300 836,66 3809 0

Fonte: 40 anni di vita della Società operaia di mutuo soccorso cit., Tavole; Quindici anni di operosità sociale cit., Tavole.

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236

7. Alunni della Scuola d’arte dal 1879 al 1916

L’aspetto forse più interessante nell’analisi della Scuola d’arte applicata

all’industria, concerne il movimento degli alunni iscritti ogni anno. A partire

dall’anno 1879 gli alunni della Scuola crebbero numericamente in modo quasi

regolare. In alcuni anni è possibile rilevare una diminuzione degli iscritti rispetto

all’anno precedente, ma il dato tendenziale conferma l’aumento complessivo di

persone coinvolte nell’iniziativa. La presenza media fu di 91 alunni iscritti l’anno,

con punte minime di 45 e massime di 137 allievi rispettivamente nel 1916 e nel

1902. Il calo vistoso degli ultimi anni è in parte attribuibile agli eventi bellici e in

parte all’istituzione del corso complementare. A tale corso potevano iscriversi tutti

coloro che avevano già sostenuto l’esame di licenza, al fine di perfezionare le

tecniche apprese durante i primi quattro anni di studio. Il corso, introdotto a

partire dal 1912, contava una quindicina di iscritti mediamente.

Un ruolo determinante nello svolgimento dell’attività scolastica fu dato

dall’introduzione nel 1891 del corso preparatorio a quelli già istituiti. Il numero di

persone che frequentarono tale corso fu da subito molto elevato. Con molta

probabilità lo stesso insegnante, valutata lacunosa la preparazione di base degli

alunni, preferì che questi, prima di apprendere le tecniche più specifiche,

sedimentassero bene le conoscenze elementari per poi affrontare con profitto la

Scuola tecnica.

Altro aspetto di estremo interesse è quello legato ai diversi mestieri svolti

dagli alunni iscritti. Le due statistiche prese in esame evidenziano come di

primario interesse fosse l’insegnamento per alcune specifiche categorie. Le

categorie dei muratori e dei falegnami erano quelle meglio rappresentate. A

seguire troviamo la categoria dei fabbri e quindi quella degli scalpellini. Le

seguivano altre categorie artigianali, con peso assai minore. In realtà bisogna

rilevare che la terza categoria per numero di rappresentanti era proprio quella che

raccoglieva tutti i mestieri residuali, all’interno della quale non era probabilmente

possibile distinguere in modo rilevante alcuna professione.

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237

1879 _ 53 _ _ 531880 _ 25 27 _ 52 -11881 _ 21 26 8 55 31882 _ 30 29 13 72 171883 _ 29 31 14 74 21884 _ 41 20 4 65 -91885 _ 48 24 12 84 191886 _ 52 16 15 83 -11887 _ 43 9 9 61 -221888 _ 46 14 12 72 111889 _ 51 23 15 89 171890 _ 47 35 11 93 41891 41 15 28 8 92 -11892 43 22 12 15 92 01893 38 18 18 21 95 31894 39 15 12 18 84 -111895 36 26 16 21 99 151896 19 24 17 21 81 -181897 35 24 14 20 93 121898 56 30 15 18 119 261899 51 17 18 12 98 -211900 26 25 12 19 82 -161901 58 23 23 20 124 421902 59 36 23 19 137 131903 41 36 23 19 119 -181904 43 28 21 21 113 -61905 39 32 23 16 110 -31906 30 28 21 22 101 -91907 37 16 22 19 94 -71908 53 21 14 18 106 121909 45 24 16 24 109 31910 48 22 19 21 112 31911 49 30 22 23 125 131912 46 28 19 11 96 -291913 39 28 25 8 83 -131914 41 32 19 17 107 241915 37 30 27 12 91 -161916 18 13 21 7 45 -46

Incremento annuo

Alunni Iscritti

Corso Preparatorio

Anni1° Corso 2° Corso 3° Corso Totale

Fonte: 40 anni di vita della Società operaia di mutuo soccorso cit., Tavole; Quindici

anni di operosità sociale cit., Tavole.

Tabella 2 - Alunni iscritti alla Scuola d’arte ripartiti per anno e per corso frequentato

(1879-1916)

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238

Anche se apparentemente poco significativo, tale dato conferma la tesi che

attribuisce all’istruzione di base un ruolo importante in seno alla Scuola. Se per le

precedentemente citate categorie artigiane e operaie poteva valere un discorso di

qualificazione professionale nell’ambito della propria attività, per altri alunni la

necessità era quella di accedere alle conoscenze minime di cultura generale e alle

conoscenze di base delle tecniche artistiche e di disegno, da utilizzare poi nel

proprio mestiere. Il raggiungimento del diploma, inoltre, garantiva una maggiore

possibilità di qualificazione professionale e un accresciuto riconoscimento nel

lavoro. L’opera d’istruzione professionale si rivolgeva anche a quei lavoratori che

si sarebbero poi recati all’estero per cercare lavoro. Con il passare degli anni la

richiesta dall’estero di personale qualificato aumentò e la domanda di

manodopera si indirizzava, oltre che verso il settore primario, nei comparti

dell’edilizia e delle attività artigianali323.

Il contributo apportato dalla Scuola alla crescita delle botteghe artigiane e

alla loro affermazione è un dato difficilmente stimabile. Indubbiamente il

progresso di alcuni artigiani che negli anni si affermeranno nelle rispettive

professioni è ascrivibile anche agli insegnamenti appresi ai corsi della Scuola.

Non mancano a questo proposito le testimonianze che evidenziano come alcune

attività artigiane del Cividalese (in particolare alcuni laboratori per la lavorazione

del ferro) siano cresciute di fama e d’importanza324. La connessione tra sviluppo

della Scuola e sviluppo dell’artigianato sembra evidente, tesi questa ulteriormente

avvalorata dai numeri. In effetti furono direttamente proporzionali la crescita gli

alunni da un lato e il successo e il prestigio di alcuni maestri artigiani anche fuori

dal ristretto ambito comunale dall’altro. Sicuramente la Scuola fornì al mercato

del lavoro cittadino nuove possibilità di sviluppo, nonchè di crescita professionale

ed economica.

323 COSATTINI, L’emigrazione temporanea, cit., pp. 47-52.324 G. BUCCO, L’artigianato e la Società Operaja in Cividale, «Quaderni cividalesi» 16, (1989),

pp. 12–52.

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239

Tra i documenti d’archivio è possibile trovare ulteriori elementi a

testimonianza di questa capacità della Scuola di offrire un’accurata preparazione

ai propri allievi. In una copia di un questionario inviato dal ministero di

Agricoltura Industria e Commercio, vi era una serie di domande specificamente

riferite al collocamento, da parte della Società, degli alunni diplomati dalla

Scuola325. La risposta contenuta nella minuta del questionario chiarisce il ruolo

giocato dalla Scuola della SOMSI in questo campo:

È fuori dubbio che i licenziati della Scuola, potendo dare un’impronta artistica ai loro

lavori, vengono preferiti ad altri che mancano di tale attitudine, e ciò ne fa prova il fatto che

diversi allievi di questa Scuola trovarono facile collocamento anche all’estero. La Scuola non può

disinteressarsi del collocamento dei suoi allievi, massimamente poi quando questi ne richiedano

l’appoggio. Per ora non è possibile l’invio della controindicata statistica, non avendo finora

pensato a una speciale registrazione in proposito. Però si può asserire che gli allievi collocati

appartengono per la maggior parte alle categorie dei muratori, fabbri, falegnami e scalpellini326.

In riferimento al numero di alunni che frequentarono l’istituzione nel corso

degli anni, bisogna evidenziare come molto spesso la partecipazione all’attività

scolastica degli alunni sia stata stimata in eccesso. Nella pubblicazione in

occasione dei quarant’anni di attività, l’estensore affermò che il numero

complessivo degli iscritti per tutti i corsi dalla fondazione della Scuola all’anno

1909 fu di 2.801 allievi327, fornendo un dato che facilmente si presta a

interpretazioni scorrette. Secondo questo calcolo, gli alunni al termine del 1916

sarebbero ammontati a 3.577, ma il dato così ottenuto è frutto del conteggio

complessivo di tutti gli alunni iscritti, ogni anno, per ciascun corso. In realtà

325 ASC, cart.71: Scuola d’Arte Applicata all’Industria, fasc. 1: Scuola di disegno (1878), doc.

M.A.I.C., Questionario sulle scuole industriali e commerciali, 1905. A questo proposito è

opportuno ricordare che in alcune società di mutuo soccorso operavano appositi uffici di

collocamento per i soci. In altri casi la Società svolgeva un ruolo di datore di lavoro, mediante la

promozione di cooperative di lavoro tra soci, specie nel settore edilizio.326 Molto spesso l’emigrazione volontaria all’estero era vista, oltre che come una possibilità, come

un riconoscimento delle proprie capacità di artistiche e professionali frutto di anni di

apprendimento.327 SOMSI, 40 anni di vita della Società operaia cit., p. 21.

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240

dunque il numero di allievi, persone fisiche, che passarono per gli insegnamenti

della Scuola risulterebbe assai inferiore a quello stimato.

Se, ad esempio, si considera il numero di alunni di volta in volta iscritti al

corso d’ingresso, gli allievi sarebbero stati 1.553, dato che potrebbe essere

significativo qualora tutti gli allievi iscritti avessero realmente frequentato i corsi.

Si deve poi rilevare che non tutti gli alunni iscritti a un corso erano promossi al

successivo, cosa non di poco conto se si considera la possibilità che i respinti agli

esami si iscrivessero nuovamente allo stesso corso frequentato l’anno precedente.

Inoltre il livello di abbandono degli studenti alle volte raggiungeva soglie

abbastanza elevate. Ciò era frutto anche delle condizioni in cui vivevano i giovani

alunni, spesso occupati a lavorare durante il giorno per molte ore nei laboratori

artigiani o nelle officine e alla sera impegnati presso la Scuola per alcune ore di

lezione. Un’ulteriore conferma di ciò deriva dal numero di alunni licenziati al

termine del 1909, pari a soli 255 allievi.

La crescente domanda di formazione elementare portò la Società operaia a

promuovere una ulteriore iniziativa nell’ambito dell’attività scolastica. Si trattava

della Scuola educativa popolare, nata nel 1902 per volontà della SOMSI e con il

contributo indispensabile di alcuni maestri che vi tenevano le lezioni. La Scuola

offriva corsi serali per gli operai, ai quali erano affiancate pubbliche conferenze su

temi d’interesse. Questa iniziativa, di notevole importanza sotto il profilo sociale,

ebbe però vita breve e fu subito soppressa poiché coloro che se ne avvalevano non

erano persone bisognose al punto tale da non potersi permettere altri strumenti per

migliorare il proprio livello di scolarizzazione.

Il consiglio sociale della Società decise allora di fornire il proprio

appoggio alla Scuola serale per emigranti, diretta a tutti i lavoratori che per

procurarsi di che vivere o per migliorare le proprie condizioni di vita, sceglievano

di recarsi a lavorare all’estero.

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241

Tabella 3. Alunni iscritti suddivisi per anno e professione

Fonte: 40 anni di vita della Società operaia di mutuo soccorso cit., tavole; Quindici anni di

operosità sociale cit., tavole.

Arti e mestieri TotaleA

nni

Fal

egn

mi

Mu

rato

ri

Fab

bri

Sca

lpel

lini

Ore

fici

Bat

tiram

e

Dec

ora

tori

Sar

ti

Cal

zola

i

Altr

i mes

tieri

1879 14 9 11 7 2 3 1 6 53

1880 15 11 8 6 2 4 1 2 3 52

1881 13 8 9 8 1 2 1 2 2 9 55

1882 12 16 14 9 1 4 2 3 2 9 72

1883 10 15 16 7 2 4 4 3 3 10 74

1884 14 13 15 8 2 2 1 2 8 65

1885 19 12 16 9 2 3 1 2 2 18 84

1886 20 8 16 10 3 3 1 1 3 18 83

1887 15 7 12 6 3 3 1 1 3 10 61

1888 17 8 11 7 3 4 2 1 3 16 72

1889 19 11 14 4 8 4 1 4 24 89

1890 24 17 8 15 6 3 1 2 17 93

1891 28 18 5 4 6 2 1 28 92

1892 26 19 6 4 6 2 1 1 1 26 92

1893 27 22 12 3 8 3 1 2 17 95

1894 23 18 10 9 2 6 1 1 14 84

1895 26 21 12 9 3 6 2 1 2 17 99

1896 28 17 7 3 3 4 2 1 2 14 81

1897 38 20 7 3 5 4 2 2 12 93

1898 34 22 14 23 4 3 4 2 2 11 119

1899 28 23 14 11 2 3 2 3 2 10 98

1900 27 18 11 12 2 1 1 10 82

1901 40 32 15 18 1 5 2 1 10 124

1902 43 41 15 12 2 3 2 5 2 12 137

1903 39 31 16 5 2 1 3 1 21 119

1904 31 23 11 4 2 2 12 1 27 113

1905 26 17 23 3 1 1 4 7 3 25 110

1906 26 19 19 6 1 1 3 10 1 15 101

1907 24 27 14 8 1 3 1 1 15 94

1908 26 28 19 5 2 2 5 1 2 16 106

1909 25 25 24 6 3 3 4 1 3 15 109

1910 23 31 20 5 2 4 6 19 110

1911 30 28 22 3 3 2 5 4 1 26 124

1912 30 34 20 2 2 2 4 25 119

1913 31 27 23 1 3 3 1 25 114

1914 34 22 25 1 2 1 3 6 2 27 123

1915 31 22 22 2 2 2 5 8 2 24 120

1916 15 15 13 1 2 1 1 1 17 66

Tot. 951 755 549 257 103 104 81 88 63 626

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242

8. Regolamento della Scuola e programma didattico

Le accresciute dimensioni della Scuola imposero alla SOMSI di dotarsi di

un valido regolamento che ne disciplinasse le attività e allo stesso tempo fornisse

le informazioni necessarie allo svolgimento delle lezioni. A questo proposito

furono studiati e varati un nuovo regolamento e un programma didattico che

costituirono le regole fondamentali da seguire da parte di alunni, insegnanti e

consiglio direttivo della Scuola.

Il primo regolamento che riorganizzò la struttura della Scuola dopo un

primo periodo di funzionamento risale al 1888, esso rientrò nelle iniziative

introdotte al fine di poter meglio gestire l’istituto. Successivamente il regolamento

fu rivisto e approvato nuovamente dal consiglio direttivo della Scuola e dal

consiglio sociale della Società nel 1907328.

All’interno di quest’ultimo si possono leggere alcune significative

informazioni sull’organizzazione interna della Scuola. In primo luogo nell’art. 1

fu stabilito che la Scuola si strutturava su quattro corsi, di cui uno preparatorio, e

che gli insegnamenti dovevano essere impartiti in conformità alle norme e ai

programmi ministeriali.

L’art. 2 stabiliva che per essere ammessi al corso preparatorio occorreva

un’età di 12 anni compiuti, una buona condotta, il certificato di proscioglimento

dalla terza classe elementare, o la prova, mediante esame, di saper leggere e

scrivere correntemente ed eseguire con facilità le prime operazioni dell’aritmetica.

Serviva infine il pieno consenso dei genitori o di chi possedesse la patria potestà

sull’alunno. L’anno scolastico durava nove mesi: partiva da ottobre per finire a

luglio. Le lezioni erano serali nei giorni feriali e diurne in quelli festivi. L’orario

delle stesse fu determinato dal consiglio direttivo e affisso nei locali.

Le promozioni da un corso all’altro erano decretate sulla base della media

dei punti di merito assegnati ai lavori eseguiti durante l’anno dall’alunno. Il

328 ASC, cart. 72: Scuola d’arte applicata all’Industria – Varie, fasc. 4: Programma della Scuola e

regolamenti, pubblicazione a stampa Regolamento per la Scuola d’arte applicata all’industria,

Cividale 1911.

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243

consiglio direttivo al termine dell’anno scolastico procedeva all’esame dei lavori e

alla formazione delle medie desunte dai registri scolastici. La promozione da un

corso all’altro o la licenza finale potevano essere comprovate, se richiesto

dall’alunno, da un attestato rilasciato dalla presidenza della SOMSI.

Dal 10° al 14° articolo del regolamento si stabiliva il ruolo del consiglio

direttivo. In primo luogo si affermava che l’amministrazione della Scuola spettava

alla rappresentanza della Società di mutuo soccorso, mediante l’ausilio del

consiglio direttivo. Quest’ultimo, presieduto dal presidente della SOMSI, si

componeva di un rappresentante di ciascun ente che sussidiava la Scuola. Ne

faceva inoltre parte il referente della Scuola all’interno della direzione della

Società operaia e il direttore della Scuola stessa. Era prevista infine una figura di

nomina dell’amministrazione della SOMSI, scelta sulla base delle conoscenze

tecniche e competenze specifiche, residente nel territorio del Comune di Cividale.

Ogni membro durava in carica tre anni e poteva essere riconfermato.

Compito principale del consiglio direttivo era di vigilare sul corretto

svolgimento delle lezioni, sul rispetto del regolamento da parte del personale

docente e ausiliario e da parte degli alunni. Si rendeva promotore, presso

l’amministrazione della Società, di proposte volte a soddisfare i bisogni della

Scuola. Per fare ciò aveva un ampio potere d’ispezione e di “esperimento”, in

modo da poter avere piena cognizione di causa sullo stato dell’istituto

Il regolamento procedeva quindi stabilendo i diritti e soprattutto i doveri

del personale insegnante, che doveva essere puntuale alle lezioni e non poteva

allontanarsi o dispensarsi dall’adempimento delle proprie mansioni, se non con il

consenso dell’amministrazione della Società; era inoltre responsabile delle

attrezzature custodite nella Scuola, che doveva periodicamente inventariare. Era

posto alle dirette dipendenze della SOMSI, alla quale avrebbe dovuto rivolgersi in

caso di reclamo o bisogno. Alla fine di ogni anno scolastico gli insegnanti erano

tenuti alla presentazione di una relazione sull’andamento dell’anno scolastico e di

una statistica riepilogativa sul movimento degli alunni. Alcune di queste relazioni

con allegate le statistiche sono lo strumento che consente di ricostruire e valutare

l’andamento della Scuola nel corso degli anni. Il prof. Arturo Verderi curò con

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244

particolare attenzione tali relazioni, fornendo ogni anno un prospetto

particolarmente chiaro ed esaustivo dell’attività svolta.

Infine le ultime disposizioni contenute nel regolamento disciplinavano le

funzioni dei bidelli e fissavano le responsabilità e i doveri degli alunni iscritti. A

tale proposito è significativo evidenziare come, secondo il disposto di un articolo

inserito nel regolamento, qualora vi fossero stati alunni particolarmente capaci e

meritevoli ma non economicamente agiati, la Scuola si sarebbe accollata le spese

per garantirne la frequenza ai corsi. Garantire la possibilità di accedere a un livello

superiore di formazione agli alunni meno agiati è stato uno degli scopi principali

dell’istituto. Questo tipo di iniziative caratterizzava la funzione sociale del

sodalizio, che per tale via legittimava la propria vocazione alla diffusione di ideali

di solidarietà e giustizia sociale tra i propri soci e nella società civile.

I rimanenti articoli miravano a stabilire i comportamenti e la condotta

degli alunni prima, durante e dopo le lezioni e a fissare le pene da scontare in caso

di violazione del regolamento.

È opportuno infine riportare brevemente alcune informazioni relative

all’ordinamento e al programma didattico della Scuola329. L’ordinamento

prevedeva la presenza di quattro corsi annuali, di cui uno preparatorio.

Quest’ultimo comprendeva l’insegnamento delle seguenti materie:

geometria, disegno geometrico lineare e disegno lineare ornamentale a base

geometrica a mano libera.

Il primo corso presentava i seguenti insegnamenti: disegno geometrico

lineare, elementi di architettura, elementi d’ornato ed elementi di figura. Il

secondo corso approfondiva alcune materie del primo e vi aggiungeva gli

insegnamenti di disegno industriale e plastica. Il terzo corso infine presentava le

stesse materie d’insegnamento del secondo, con un maggior grado di

approfondimento e di perfezionamento delle tecniche.

Come si può notare, gli insegnamenti impartiti nelle lezioni non

risultavano estremamente professionali, rivolti cioè a una limitata categoria

329 ASC, cart. 72: Scuola d’arte applicata all’Industria – Varie, fasc. 4: Programma della Scuola e

regolamenti, pubblicazione a stampa Programma per la Scuola d’arte applicata all’industria,

Cividale 1911.

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245

professionale. Data la generalità dell’insegnamento, la formazione ricevuta dai

giovani alunni era trasferibile in una serie abbastanza ampia di lavori sia

artigianali che industriali. Questa considerazione è ulteriormente avvalorata dalla

lettura dei dati che evidenziano il movimento degli alunni in base alle diverse

professioni. Nonostante la prevalenza di alcune categorie, sono presenti numerose

professioni che potevano giovarsi dei fondamenti dello studio della tecnica di

disegno, della geometria e della plastica.

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246

CAPITOLO I 1

CENNI SUL MOVIMENTO MUTUALISTICO IN EUROPA E IN

ITALIA DOPO L’UNITÀ2

1. ORIGINI E DIFFUSIONE IN EUROPA DEL MUTUO

SOCCORSO2

2. LA DIFFUSIONE DELL ’ESPERIENZA MUTUALISTICA IN

ITALIA 6

3. CARATTERI DEL MUTUALISMO ITALIANO 13

4. NASCITA E SVILUPPO DEL MUTUALISMO IN FRIULI .

24

CAPITOLO II 33

LA CONDIZIONE SOCIO ECONOMICA DEL DISTRETTO DI

CIVIDALESE TRA FINE OTTOCENTO E PRIMO NOVECENTO

33

1. L’ANDAMENTO DEMOGRAFICO A CIVIDALE TRA IL 1862

E IL 1921 33

2. LA POPOLAZIONE DEL DISTRETTO DI CIVIDALE NEL

187143

3. AGRICOLTURA E COMMERCIO 46

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247

4. PROPRIETÀ, STRUTTURA SOCIALE E VITA RURALE.

53

5. LA VIABILITÀ PRINCIPALE E SECONDARIA NEL

DISTRETTO 63

6. LE CONDIZIONI DELL ’ INDUSTRIA CIVIDALESE NELLA

STATISTICA MINISTERIALE DEL 1890 66

Comuni _________Errore. Il segnalibro non è definito.

Fabbriche di cappelli_____Errore. Il segnalibro non è definito.

7. L’EVOLUZIONE DELLE CONDIZIONI RURALI E

INDUSTRIALI NEI PRIMI ANNI NOVECENTO 76

8. LO SVILUPPO DELL’ INDUSTRIA TRA IL 1890 E IL 1921

83

CAPITOLO III 91

LA NASCITA DELLA SOCIETÀ OPERAIA DI MUTUO SOCCORSO

DI CIVIDALE E I SUOI PRIMI ANNI DI ATTIVITÀ 91

1. LA NASCITA DELLA SOCIETÀ OPERAIA DI CIVIDALE .

91

2. ASPETTI DI VITA POLITICA A CIVIDALE E NELLA SOMSI

TRA FINE OTTOCENTO E INIZIO NOVECENTO 98

3. LO STATUTO DELLA SOCIETÀ OPERAIA102

4. I SOCI 106

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248

5. CARICHE E UFFICI 111

6. LA LEGGE BERTI SUL RICONOSCIMENTO GIURIDICO

DELLE SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO116

7. IL RICONOSCIMENTO GIURIDICO DELLA SOMSI DI

CIVIDALE 121

8. LA COMPOSIZIONE DELLA BASE SOCIALE 125

9. ENTRATE, USCITE E PATRIMONIO SOCIALE 133

10. LA SOCIETÀ CATTOLICA AGRICOLA DI MUTUO

SOCCORSO LEONE XIII 152

CAPITOLO IV 155

L’ ATTIVITÀ MUTUALISTICA E PREVIDENZIALE 155

1. ORDINAMENTO TECNICO E NORME STATUTARIE DELLA

SOCIETÀ DURANTE IL PRIMO TRENTENNIO DI VITA . 155

2. IL BILANCIO TECNICO DEL 1908 162

3. CASI DI MALATTIA E SUSSIDI CORRISPOSTI TRA IL 1870

E IL 1924 168

4. I SISTEMI PREVIDENZIALI EUROPEI E L ’ORIGINE DI

QUELLO ITALIANO 176

5. LA CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA PER

L’ INVALIDITÀ E LA VECCHIAIA DEGLI OPERAI 181

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249

6. LA CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E LE SOCIETÀ

OPERAIE 187

7. L’ADESIONE DELLA SOCIETÀ OPERAIA DI CIVIDALE

ALLA CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA 190

CAPITOLO V204

LE ALTRE ATTIVITÀ 204

1. PRIMI TENTATIVI DI RIMODELLAZIONE DEL SETTORE

CREDITIZIO A CIVIDALE 204

2. LE ORIGINI DELLA BANCA POPOLARE COOPERATIVA DI

CIVIDALE . 208

3. LA COMPOSIZIONE SOCIETARIA E I MEMBRI DELLA

SOMSI ALL ’ INTERNO DELLA BANCA COOPERATIVA 218

4. INIZIO E SVILUPPO DELL’ATTIVITÀ DELLA BANCA

COOPERATIVA 220

5. NASCITA E SVILUPPO DELLA SCUOLA DI ARTI E

MESTIERI 223

6. IL BILANCIO DELLA SCUOLA D’ARTI E MESTIERI 229

Anno ____________________________________________ 234

Entrate___________________________________________ 234

Spese____________________________________________ 234

Anno ____________________________________________ 235

Entrate_____________________________________________ 235

Spese____________________________________________ 235

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250

7. ALUNNI DELLA SCUOLA D’ARTE DAL 1879 AL 1916

236

Arti e mestieri_________________________________________241

Totale_________________________________________241

8. REGOLAMENTO DELLA SCUOLA E PROGRAMMA

DIDATTICO242


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