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per volontà dell’autore il ricavato del libro andrà...

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per volontà dell’autore il ricavato del libro andrà devoluto all’ A.S.D. Calicanto ONLUS Associazione Sportiva Dilettantistica Polo Polisportivo Integrato
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per volontà dell’autore il ricavato del libro andrà devoluto

all’ A.S.D. Calicanto ONLUS

Associazione Sportiva Dilettantistica

Polo Polisportivo Integrato

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Calicanto, il sogno fiorisce

Nasce lo sport integrato

Elena Gianello

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Hanno collaborato alla stesura dei testi e delle testimonianze: Adriano FracassoTiziana Melloni

Rilettura delle bozze:Micol BrusaferroFederica ManciniFederica Rigante

Fotografie:Dario CampanaMauro Nardella

Foto di copertina:Mauro Nardella

Progetto grafico e stampa:Litostil - Fagagna (UD)

Novembre 2016

© Corvino EdizioniProprietà letteraria riservatawww.corvinoedizioni.com

Litostil® sas di Corvino Nicola e Michele & C.via G. A. Pilacorte, 2 33034 Fagagna - UdineTel. +39 0432 800640Fax +39 0432 801241www.litostil.com

ISBN: 978-88-6955-021-8

Calicanto, il sogno fiorisceNasce lo sport integrato

A mia figlia Francesca

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PresentazioniPremessaGli anni di formazioneMovimento come espressioneI soggiorni e le giornateInsieme oltre ogni diversità Sport integrato per tutti e con tutti I campioni insieme a noi Atene 2004Calicanto Onlus dallo sport ad altri mondiCalicanto una storia insieme I giovani di CalicantoIl mondo della musicaIl mondo delle famiglieIl mondo dello sportIl mondo delle aziendeGli amiciConclusioniBibliografia

Indice

“Il mondo è nelle mani di coloro che hanno il coraggio di sognare e di correre il rischio di vivere i propri sogni”.

Paulo Coelho

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Calicanto, il sogno fiorisce

Ho conosciuto Elena Gianello nel 1975, quando ero allenatore di pallavolo femminile all’Oratorio di

Santa Maria Ausiliatrice in via dell’Istria. Tra le giocatrici che ho allenato c’era anche lei che, a quattordici anni, era entrata a far parte di una squadra che raggiunse i massimi livelli, arrivando a militare in serie “A”. Oltre ad essere una brava giocatrice di pallavolo, Elena si spendeva anche per creare un buon clima nello spogliatoio.Ho avuto l’opportunità di apprezzare le sue doti non solo rispetto al gioco ma anche nella promozione della socialità. A conferma di questo suo carattere, quando ha smesso di giocare, ha continuato ad operare nell’ambito dell’Oratorio divenendo presidentessa della sezione pallavolo, adoperan-dosi attivamente nella gestione di tutta la sezione, che com-prendeva circa 150 ragazze, impegnandosi per il migliora-mento dell’ambiente e della comunità sportiva. Queste furono senz’altro le premesse per quella che sarebbe diventata la sua missione nel sociale, prima con la creazione del Polo Sportivo e poi con la Calicanto Onlus. Con queste associazioni Elena Gianello ha cambiato completamente le prospettive dello sport, coinvolgendo giovani abili e diver-

samente abili in un’attività fortemente orientata all’educa-zione.Le sue gratificazioni e l’impegno profuso hanno costituito la base per una sorprendente crescita dello sport integrato, che ha ottenuto riconoscimenti da tutto il mondo che cir-conda coloro che fino a poco tempo fa erano emarginati dall’attività sportiva e non solo. I suoi sforzi non si sono limitati alla provincia di Trieste ma si sono allargati anche al resto della Regione e oltre. Il suo merito più grande è stato quello di svolgere un’attività di largo respiro nel mondo della disabilità, tanto da esten-derla ad altri ambiti come quello della comunicazione e del-la musica e, ultimo ma non meno importante, del lavoro.Ha avuto la possibilità di svolgere le attività al Palachiarbo-la grazie alla sensibilità del Comune ed ha coinvolto, oltre ai giovani, anche le famiglie, ottenendo riconoscimenti dal mondo sportivo e da quello istituzionale.

Francesco CipollaVicepresidente vicario

Comitato Regionale CONI-FVG

Presentazioni

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Devo essere sincero, non ricordo da quanto tempo conosco Elena Gianello, né quali siano state le cir-

costanze del nostro primo incontro. Forse fu quando ero presidente degli Industriali triestini ed Elena voleva intro-durmi alla sua nascente, emozionante attività. Poco importa come ci siamo incontrati, molto di più conta come la nostra conoscenza si sia presto trasformata in un mio sentimento di grata amicizia. Ci sono occasioni nelle quali, per pura fortuna, si viene messi a contatto con persone speciali, che ci fanno scoprire piccoli mondi sconosciuti, così diversi ri-spetto alla quotidiana linearità delle nostre abitudini. Io mi considero molto fortunato per aver conosciuto Elena, per-ché attraverso lei, il suo lavoro e il lavoro delle persone che la circondano ho avuto modo di vedere cose bellissime, pro-vare emozioni forti, sentirmi una persona migliore solo per esserle stato vicino e aver contribuito in piccolissima misura alla sua missione.Perché quella di Elena e di Calicanto è una missione, che si rivolge non solo a chi è diversamente dotato e alle loro famiglie, non solo alla stupenda gioventù che si amalgama e cancella qualsiasi diversità attraverso l’affetto e la gioia dello stare assieme, ma colpisce, istruisce e affascina chiunque sia posto di fronte ai risultati del grande lavoro che viene fatto, con pazienza, costanza e convinzione.Vedere i sorrisi dei giovani, gli uni e gli altri, il modo in cui si abbracciano tra loro e abbracciano gli assistenti e la stessa Presidente è più significativo di cento simposi e trattati e la dice molto lunga sul magnifico lavoro che Elena e Calicanto fanno, evento dopo evento, anno dopo anno.Per questo considero una mia fortuna e un mio privilegio l’essere vicino a Elena e all’associazione da lei voluta e gui-data.

Federico Pacorini

Devo a Calicanto, in quanto uomo politico, un’espe-rienza importante, che ha poi sempre stimolato il

mio operato: riuscire a combinare l’organizzazione di inizia-tive innovative di promozione della dignità umana e delle pari opportunità con l’obiettivo di realizzarle senza ricor-rere ai fondi del bilancio comunale; mi riferisco alla prima Barcolana integrata, che abbiamo organizzato insieme nel 2006. Elena Gianello mi chiese di far partecipare alla regata alcuni ragazzi, disabili e non - in piena coerenza con le finalità della ONLUS, - in una barca con il logo del Comune. “Tu pensa all’organizzazione dell’evento; ai soldi ci penso io!”, le rispo-si. E fu così che, grazie al sostegno finanziario di una banca, una compagnia d’assicurazione e una catena di fast-food, ci ritrovammo a veleggiare insieme in una splendida domenica di ottobre, elegantissimi nei nostri nuovi completi sportivi: la professoressa Gianello, quattro ragazzi disabili, uno skip-per, due marinai, due volontari ed io, che non ero mai salito in barca a vela in vita mia. Alla fine, la nostra posizione in classifica non è stata bril-lante, ma per me è stata un’esperienza da podio, a livello umano, sociale, e politico-amministrativo: l’entusiasmo dei ragazzi, il divertimento di tutti e la condivisione dell’impe-gno sportivo al di là delle diverse capacità, la realizzazione di un’iniziativa così originale a costo zero per l’Ente, è stato un risultato davvero vincente!

Carlo Grilli Assessore alle Politiche Sociali

Comune di Trieste

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Premessa

Nel corso della mia carriera lavorativa mi sono stati dati molti soprannomi legati al mio “darmi da fare

per il bene degli altri”: da prof. Duracell a Wonder Wo-man. Anche se gli appellativi sono stati tanti io mi sento, comunque, solo Elena. Forse è l’anima semplice che ho, con la mia passione scoperta per caso. Nella vita, credo, le cose importanti spesso succedono in modo fortuito, ma l’anima che in ognuno di noi vive, sa riconoscere quando quel “caso” è la nostra strada o forse uno dei motivi per cui noi siamo al mondo. C’è un simpatico episodio di qualche anno fa all’I.S.I.S. Pertini di Monfalcone, che ricordo sempre con un sorriso: alcuni studenti, dopo essermi confrontata con loro sui valori del volontariato e dello sport integrato, esclamarono: “E noi pensavamo che facesse solo la prof. di ginnastica!”. Questa fu la spinta decisiva che mi convinse a scrivere un libro sulla nascita e sulla storia dello sport integrato come da anni mi stavano chiedendo molti giovani che avevano vissuto questa esperienza assieme a me. Non ho mai pensato di scrivere un testo di metodologia e didattica dello sport integrato: sarebbe come ridurre a un insieme di regole quella che è invece un’esperienza di vita che ha cambiato me, i ragazzi, i collaboratori, le famiglie e, spero, in qualche misura, anche la scuola e le istituzioni. Con questo libro desidero raccontare la strada che ho vissu-to in compagnia di molte persone lasciando, a chi avrà la pa-zienza di leggere, un messaggio di speranza e la convinzione che non esistono persone “speciali” o con “bisogni speciali”, perché tutti noi lo siamo, basta sapersi ascoltare, accettare e aiutare condividendo la propria esperienza con gli altri.

Gli anni di formazione

Il cammino dello sport integrato è iniziato durante una consueta giornata di lavoro nel laboratorio di psicomo-

tricità dell’Istituto Magistrale Giosuè Carducci di Trieste. L’idea di far giocare i giovani “tutti insieme” non arrivava dal nulla. Il mio percorso come specialista in attività moto-ria integrata contava su quattro esperienze chiave: 25 anni di volontariato prima come atleta e poi come formatrice ai campi scuola nelle Polisportive Giovanili Salesiane (P.G.S.), la laurea in Scienze motorie conseguita presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il lavoro come esper-ta del Coni grazie al protocollo d’intesa con il Ministero della Pubblica Istruzione per l’aggiornamento del personale docente delle scuole materne statali e il Master di specia-lizzazione polivalente all’handicap ottenuto frequentando il corso biennale organizzato dal Provveditorato agli Studi di Trieste.Mi sono laureata nel 1983 in scienze motorie (che all’epoca si chiamava ancora educazione fisica), all’Università Catto-lica del Sacro Cuore a Milano, con una tesi sperimentale dal titolo: “Lo sviluppo delle qualità motorie fondamentali delle preadolescenti attraverso il gioco della pallavolo”. Lo spunto era venuto dall’esperienza di atleta e allenatrice avuta con le P.G.S. sia a Trieste sia Lombardia. I Salesiani hanno una formidabile sezione sportiva, le PGS appunto, con squadre anche di ottimo livello. A 13 anni iniziai la mia esperienza di pallavolista; a 17 mi era stato proposto di fare un corso per allenatrice/animatrice a Pallanza (Verbania). Fu un’esperienza decisiva: ai camp di formazione, accanto alla tecnica, veniva data l’impronta educativa e di metodo

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tipica del sistema di don Bosco. Tra i formatori al campo scuola c’era il fondatore delle PGS, don Gino Borgogno, che mi trasmise una visione profonda dei valori dello sport e dellacapacità di far crescere le persone attraverso la pratica sportiva. Finite le scuole superiori scelsi di frequentare l’I.S.E.F. per conseguire la laurea in scienze motorie, con in mente ben chiaro il fatto che lo sport, prima di essere un’attività atleti-ca, è un’attività educativa, e dev’essere rivolta a tutti i giovani studenti. Scelsi l’Università Cattolica di Milano, in conside-razione del fatto che prevedeva un piano di studi che poneva al centro l’aspetto educativo e pedagogico. L’esperienza universitaria fu per me molto ricca di incontri. Il percorso di studi che seguii mi convinse dell’importanza che il docente ha nelle sue funzioni educative, facendo cre-scere in me una passione per il lavoro che ancora oggi svolgo con entusiasmo. I docenti che maggiormente influirono sul-la mia formazione sono stati don Giorgio Basadonna, che era anche assistente spirituale nel corso di laurea di educa-zione motoria, don Luigi Giussani, il prof. Piero Viotto e il prof. Emilio Bombardieri. Devo a loro e ad altri formatori la visione della persona umana nella sua integrità e dignità.Uno dei pregi della Cattolica fu quello di averci fatto svol-gere il tirocinio didattico formativo anche in istituzioni dove c’erano persone con domande educative particolari, come l’Istituto Don Gnocchi. Subito dopo la laurea, grazie al relatore della tesi, il professor Germano Morandi, entrai a far parte di un team di allenatori della pallavolo Gonzaga. Contemporaneamente facevo parte dello staff tecnico del Coni di Milano, il cui presidente era allora Massimo Mo-ratti e su richiesta del mio docente di fisiologia, il professor

Emilio Bombardieri, curavo alcuni corsi di attività motoria al personale medico e paramedico dell’Istituto dei tumori di Milano. Durante quest’ultima esperienza professionale mi resi conto che il movimento ha la capacità di mettere in sce-na le emozioni non dette e in qualche modo di curare la sof-ferenza. Vedendo arrivare il personale medico e paramedico in palestra direttamente dalle corsie o dalla sala operatoria, mi ero chiesta “e adesso come posso aiutarli a chiudere una giornata di lavoro così intensa ed emotivamente comples-sa?” La risposta fu: “Li faccio giocare”. Li ho fatti giocare a pallavolo, a pallacanestro, a mago libero; mi sono resa conto che il gioco è una cosa molto seria, è un luogo dove le ten-sioni si stemperano e l’amicizia viene spontanea. Lavoravo anche come volontaria al servizio delle P.G.S. nazionale e Regionale della Lombardia con responsabilità di formatrice e direttore tecnico del settore mini-propaganda. Dal 1987 al 1989, entrata a far parte dell’équipe nazionale del professor Paolo Sotgiu, tenni in varie città d’Italia dei corsi di aggiornamento di attività motoria (MPI – CONI) agli insegnanti delle scuole materne. In quel periodo il Mi-nistero della Pubblica Istruzione si proponeva di creare un ponte tra lo sport praticato a livello agonistico e l’attività motoria scolastica. Nasceva così il“Gioco - sport” nell’ambi-to del protocollo d’intesa siglato dallo stesso Ministero con il Comitato Olimpico Nazionale.L’idea era di creare una cultura sportiva, per migliorare la sa-lute e la crescita psicofisica dei bambini attraverso la pratica delle diverse discipline, presentate sotto forma di gioco. Per alcuni piccoli alunni le lezioni di educazione motoria erano l’unica possibilità che avevano per avvicinarsi allo sport. Dopo aver insegnato per qualche tempo nella scuola media

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di Assago, vicino a Milano, sono tornata a Trieste e mi sono iscritta al Master di “specializzazione polivalente all’han-dicap”. Qui ho incontrato docenti molto preparati che mi hanno sensibilizzata sulle tematiche dell’integrazione dei ragazzi disabili. Durante il corso ero anche docente in una scuola media in provincia di Venezia. Quello che osservavo era la mancanza di corrispondenza tra quello che vivevo a scuola e quello che veniva teorizzato durante il corso.Conseguito il diploma, ottenni l’incarico come insegnante di sostegno e dovetti affrontare direttamente la gestione di-dattico educativa dei ragazzi diversamente abili. Alle scuole medie l’insegnante di sostegno era, per gli altri colleghi, il referente per ogni bisogno e qualsiasi difficoltà riguardasse l’alunno diversamente abile. Mi ritrovai in prima linea nel microcosmo dei ragazzi che,per vari motivi, approdavano all’area del sostegno scolastico. Seppur la normativa pre-vedesse una collaborazione trasversale tra docenti, questo, all’atto pratico,non sempre succedeva. Mancava insomma un’autentica formazione all’integrazione. Nel 1997 venni nominata docente di sostegno sull’unica cattedra della Regione Friuli Venezia Giulia per l’area psi-comotoria negli Istituti d’istruzione secondaria di secondo grado. È qui che iniziai, in modo pionieristico ma con tanta teoria e pratica alle spalle, il progetto della psicomotricità integrata. La differenza nell’essere un’insegnante di soste-gno alle scuole superiori consisteva nel fatto di occuparmi esclusivamente dell’area psicomotoria e non di dover inter-venire anche sulle altre materie, come accadeva alle scuole medie inferiori. Questa nuova esperienza mi fece pensare che il mio intervento dovesse aiutare i ragazzi a me as-segnati a migliorare e sviluppare le loro capacità ed abilità

motorie affinché fossero trasferibili nell’area dell’autonomia personale per migliorare la loro vita di relazione. Una mattina mi ritrovai in sala insegnanti con una ragazza diversamente abile (che ora lavora alla “Calicanto”) a colo-rare bandierine. L’assurdità di quella situazione, che contra-stava pesantemente con le mie idee di integrazione ed in-clusione di questi giovani nel contesto scolastico e non solo, fece scattare in me una molla: la possibilità di concretizza-re un’idea che accarezzavo da tempo, quella di organizzare un’attività motoria che coinvolgesse tutti i ragazzi. C’erano stati vari episodi in cui mi si era presentato con particolare evidenza il muro di separazione tra i ragazzi che seguivo e i loro compagni di classe. Avevo notato che in tutte le atti-vità c’era un confine invisibile, ma netto, tra i ragazzi che si avvalevano del sostegno e gli altri compagni. Andavamo in piscina: c’era il gruppo classe con l’insegnante di educazione fisica e poi c’ero io, insegnante di sostegno, con Elisa. Le corsie erano affiancate, ci separava solo la linea galleggiante, ma gli sguardi evitavano di spingersi oltre. I ragazzi della classe si accorsero di noi solo quando fu evidente che la mia alunna era diventata più brava di tutti.

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Il movimento come espressione

La possibilità di sperimentare il movimento è essen-ziale fin dai primi anni di vita. I bambini conoscono

loro stessi e il mondo che li circonda attraverso il loro cor-po. Crescendo, maturano e sviluppano capacità cognitive: ragionamento, pensiero astratto. Le basi però partono dal rapporto con lo spazio. Per questo è essenziale, nell’età dello sviluppo, lasciare i piccoli e i ragazzi il più possibile liberi di esplorare le proprie possibilità di movimento. Si ipotizza tra l’altro che molti disturbi dell’attenzione siano dovuti alle sempre più ridotte disponibilità di spazi dove i giovanissi-mi possano correre, giocare, esprimersi. Bambini e ragazzi hanno perduto ciò che è essenziale al loro bene: il gioco, il tempo libero autogestito, il rapporto diretto con il territorio. Merito degli studiosi di neuropsichiatria è stato quello di evidenziare come il dominio dello spazio attraverso il movi-mento sia un elemento essenziale per sviluppare competen-ze come la scrittura e la matematica. La psicomotricità fa leva sul fatto che la prima modalità di conoscenza di se stessi, degli altri e del mondo che ci cir-conda avviene attraverso il corpo. Le attività psicomotorie si svolgono in un ambiente di gioco e di fantasia, senza eserci-zi prestabiliti. I partecipanti si mettono in scena liberamente e scoprono nuovi modi di mettersi in relazione con gli altri. Lo psicomotricista è parte integrante del gioco di relazione e attraverso esso sostiene l’evoluzione e la crescita sia indivi-duale sia collettiva. Il corpo, anche con l’aiuto di oggetti casuali, è il punto di partenza della sperimentazione. Le emozioni e i sentimenti riescono a manifestarsi anzitutto attraverso il linguaggio del

corpo e l’approccio con l’ambiente: gli oggetti e gli attrezzi utilizzati negli incontri psicomotori sono volutamente sem-plici, in modo da favorire l’interpretazione fantastica. At-traverso il movimento e l’interazione i partecipanti possono scaricare le tensioni, riproporre le proprie emozioni, elabo-rare nuove strategie per farvi fronte, scoprire e sviluppare la creatività in un ambiente piacevole dove “tutto è permesso” purché in sicurezza.Proporre la psicomotricità ai bambini è semplice, poiché in loro regna la spontaneità e le diversità non sono avvertite. Poi subentrano i condizionamenti sociali. La nostra cultu-ra dà una forte importanza alle apparenze, decidendo quali sono le mode ed i modelli da imitare e l’aspetto esteriore condiziona i rapporti tra le persone. Se si considera invece il corpo come tutt’uno con l’anima, conoscerlo significa cono-scersi al di là delle apparenze. L’attività motoria diventa così una risorsa per ogni persona, bambino o adulto che sia: è un veicolo di comunicazione e di espressione della personalità. Il metodo proposto dall’insegnante-psicomotricista è quello della libera esplorazione e della scoperta guidata, attraverso la partecipazione in prima persona e la sollecitazione dei soggetti coinvolti soprattutto attraverso la gestualità.Attivare un intervento psicomotorio in ambito scolasti-co trovava la sua base nelle linee guida del Ministero della Pubblica Istruzione le quali sottolineavano come le attività motorie fisiche e sportive dovessero essere “finalizzate alla partecipazione della totalità degli alunni e mirare non al mero addestramento e irrobustimento del corpo, ma in primo luogo ad un processo di sviluppo dell ’intelligenza, di realizzazione del-la personalità nel quadro di un più vasto progetto educativo di tutta la scuola”.

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Con una forte dose di entusiasmo trasformai la classe sco-lastica del Carducci in un luogo coinvolgente. Portai molte attrezzature, dai mattoncini colorati ai giochi di mia figlia Francesca. Restarono soltanto un banco e due sedie. Or-ganizzai lo scatolone dei palloni con palloni sonori, palle e palline di tutti i colori, pesi e misure. I materiali e gli oggetti più vari servivano a diversificare ed ampliare gli stimoli sen-so-percettivi dei ragazzi. Completai l’allestimento dell’aula con lo scotch colorato a formare tante linee sul pavimento.Man mano che il progetto prendeva forma, il laboratorio andava definendosi come un luogo libero, dove ciascuno po-teva sperimentare le sue capacità di movimento e di espres-sione. Ero decisa a far sì che il progetto fosse assolutamente aperto alla partecipazione di tutti, altrimenti non avrebbe avuto senso, sarebbe stato una delle tante attività riservate al pianeta sostegno.L’aula era vicina a quella di musica,iniziai così una collabo-razione trasversale con la mia collega, la professoressa Pa-trizia Devidé, alla quale sono rimasta legata da una bella amicizia. I suoi alunni, a turno, frequentavano il laboratorio per lavorare con i miei ragazzi. Si erano avvicinati all’aula anche gli educatori dell’Agenzia Sociale Duemilauno e il personale socio-educativo del Comune di Trieste, che erano preposti all’autonomia personale di alcuni ragazzi diversa-mente abili. Nella scuola poco a poco si erano accorti che l’aula di psicomotricità era un bel posto, dove si stava bene, ci si divertiva, si chiacchierava. Si era creato un movimen-to di curiosità rispetto all’idea tanto che, l’anno successivo, la preside, professoressa Alda Sancin, mi chiese di stendere un progetto formale per la sua prosecuzione. Senza clamori il laboratorio diventò un luogo di formazione con le porte

aperte a tutto l’Istituto.Per comprendere l’evoluzione di questa particolare propo-sta educativa riporto alcuni passaggi del progetto che avevo scritto: “Le attività scelte nella realizzazione della pratica psi-comotoria, tenderanno a suscitare in ogni singolo allieva/o in-teresse e motivazione nel “fare”. Le attività psicomotorie saran-no scelte e organizzate tenendo conto dei livelli di partenza di ciascun allieva/o, in base all ’esito dei test psicomotori effettuati a inizio anno scolastico. Tutta la pratica psicomotoria rispon-derà ai principi di progressività, gradualità dell ’intervento, e sarà diretta alla totalità della personalità dell ’alunna/o inteso quale protagonista unico, irripetibile nelle sue caratteristiche bio -psicologiche - affettive. Si terrà valido il principio della mul-tilateralità, inteso quale aspetto didattico delle attività propos-te.La metodologia adottata nell ’attività psicomotoria è quella specifica delineata teoricamente nell ’educazione psicomotoria di B. Aucouturier, dove la ragazza/o è intesa/o come protagonista dell ’intervento, pertanto libera di esprimersi e liberare il pro-prio piacere senso-motorio attraverso esperienze psicomotorie che prevedono metodi di conduzione della libera esplorazione e della scoperta guidata”. L’attività psicomotoria che si svolgeva al Carducci è stata un ponte per avvicinare due realtà diverse e far crescere i ragazzi da un punto di vista affettivo e relazionale. È qui che è nata la bella amicizia tra Andrea Cofone e Gianluca Ma-gnelli, che frequentavano le prime classi dell’istituto. Nella loro spontaneità, sono stati tra i miei più entusiasti sosteni-tori e mi hanno dato una spinta importante per proseguire e sviluppare lo sport educativo integrato. Credo che sia stata la somma di tanti piccoli episodi diver-tenti, nei quali ci si “dimenticava” della disabilità, a darmi

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la spinta di tentare la carta, rischiosa ma affascinante, di un evento educativo aperto a tutti. La preside, con l’approva-zione del Collegio dei Docenti, autorizzò l’organizzazione del soggiorno neve integrato. Così partimmo per quella che definirei, per quei tempi, un’allegra follia collettiva.

I soggiorni e le giornate integrate

Nel 1913 il Touring Club Italiano, attraverso il Co-mitato Nazionale per il Turismo Scolastico, inventò

i “viaggi d’istruzione”. Risale infatti a quell’anno, la prima uscita di una scolaresca, organizzata dalla storica associazio-ne. Per la maggior parte dei giovani era la prima occasione di autonomia al di fuori dalla famiglia. Dagli anni Sessanta, anche grazie al boom economico, si diffuse la “Settimana bianca” che diventò un appuntamento abituale sia alle scuo-le medie sia alle scuole superiori. L’organizzazione prevede-va: “mattinata sulle piste e pomeriggio a fare i compiti”. La convivenza ventiquattro ore su ventiquattro con compa-gni di classe e professori in un contesto di sport, movimento e socializzazione, era per i giovani l’opportunità ideale per mettersi alla prova e scoprire inattesi aspetti di sé. Il valore educativo di queste esperienze sta nel fatto che il gruppo dei pari, per gli adolescenti, è un riferimento essenziale per la costruzione della propria identità. Nel 1998 proposi al Dirigente del Liceo Carducci l’orga-nizzazione di un soggiorno sulla neve, per le classi seconde, ma con una novità didattico - sportiva innovativa: la par-tecipazione, insieme, di ragazzi abili e diversamente abili. Cinque giornate dove condividere tutto: mangiare, dormire, fare sport, divertirsi.Il primo soggiorno neve integrato si svolse a Forni di Sopra con l’obiettivo di sviluppare nei ragazzi non solo competen-ze sportive ma anche migliori capacità di relazione. Come scrivevo nel progetto, desideravo creare “occasioni per conosce-re, capire, aiutare e valorizzare i coetanei e in particolare quelli in difficoltà; occasioni di assunzione di responsabilità condivisa

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con l ’altro; occasioni per condividere esperienze di socializzazio-ne e collaborazione tra coetanei, presupposti per future e duratu-re amicizie anche fuori dalla scuola”.Ecco alcuni passaggi salienti del progetto neve integrato: “si vuole offrire a tutti gli alunni e soprattutto ai portatori di handicap (con particolare attenzione per questi ultimi attraverso interventi diversificati ed individualizzati in base alla tipologia di disabilità), opportunità di arricchimento integrazione ed ampliamento del proprio vissuto corporeo in modo da consentire a ciascuno di loro d’interiorizzare e migliorare la consapevolezza e il concetto di sé, favorendo il rafforzamento nella fiducia in se stessi e nelle capacità che il proprio corpo offre [... ] si vuole offrire, a tutti gli alunni e in particolare a quelli disabili, reali occasioni ed opportunità di integrazione, sviluppo, miglioramento e potenziamento dell ’area dell ’autonomia personale e sociale. Si sottolinea che, nella stesura del progetto educativo integrato per gli alunni portatori di handicap, l ’identificazione dei mezzi e metodi per lo sviluppo dell ’area dell ’autonomia personale e sociale è prioritario sia per il consolidamento dell ’integrazione in classe sia per un futuro inserimento in ambito lavorativo e/o in un contesto sportivo”.Al soggiorno neve aggiunsi due giornate propedeutiche all’attività residenziale. Si svolgevano a Ravascletto. Le giornate neve integrate servivano agli alunni per impara-re a conoscere l’ambiente montano invernale, permettendo loro di cimentarsi sulle piste e favorendo il processo di in-tegrazione, socializzazione e collaborazione. “L’esperienza psicomotoria svolta durante le giornate neve - scrivevo anco-ra nel progetto - mira ad avvicinare e coinvolgere, in forma globale e ludica, tutti gli alunni nei confronti delle discipline sportive praticate durante il periodo invernale sulla neve e quel-

le del tempo libero. Durante le uscite i ragazzi familiarizzano con molti tipi di attrezzatura come taboga, motoslitte, slittini, monosci, bob, carrozzine montate su sci di fondo, che suscitino un primo interesse e motivazione al sapere e al saper fare”.Questa attività si rivelò un successo straordinario e trasci-nante, non passando inosservata sulle piste da sci. I villeg-gianti si fermavano e ci guardavano stupiti: i nostri ragazzi, incuranti della fatica, seguiti da maestri di sci dotati di grande empatia e competenza, riuscivano a sciare tutti. L’esperienza si arricchì con un bel gemellaggio tra il Liceo Carducci e una scuola austriaca, l’Istituto Commerciale “Bundeshandelsa-kademie und Bundeshandelsschele” di Villach, specializzato nel perfezionamento dei propri allievi nella pratica dello sci alpino e dello snowboard. Anche in quell’occasione, che si proponeva di diffondere la pratica sportiva integrata fuo-ri dall’Italia. Il nostro team del Carducci riscosse interesse, curiosità e stupore nel complesso sciistico di Kanzel – Ger-litzen in Austria, dove nel 2005 si svolse, eccezionalmente, il soggiorno neve. Come tutte le attività che arricchivano le giornate dei nostri ragazzi, anche il baccano notturno si svolgeva in forma integrata. Una volta feci irruzione in una stanza di ragazze dove avevo intuito che potessero esserci alcuni maschi ‘abusivi’. Urlai ‘fuori tutti!’ ma, anche dopo che i loro compagni si furono allontanati, le ragazze conti-nuavano a ridere. Sicura che qualcuno si fosse nascosto,mi misi a cercare e, appiattito dietro la porta, trovai Andrea, un giovane down che sperava di non essere scoperto. Sull’onda del successo di questo primo progetto, proposi che l’accoglienza degli alunni delle classi prime si avvalesse an-che di un “soggiorno verde integrato”. Tre giorni a Forni di Sopra durante il mese di settembre.

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Aggiunsi, sempre con l’appoggio della preside, professores-sa Sancin, alcune uscite giornaliere dedicate allo sport ri-gorosamente in forma integrata: giornate vela e, addirittu-ra, giornate volo, aperte a tutti gli alunni della scuola dalla classe prima alla quinta, in modo da favorire l’integrazione “d’istituto” e dare l’opportunità di vivere esperienze entu-siasmanti a tutti quegli alunni le cui famiglie non potevano permettersi il costo del soggiorno neve o verde integrato. Il 15 dicembre del 2000 portammo un gruppo di ragazzi all’Aeroclub Friulano di Campoformido (Ud). Oltre all’e-sperienza emozionante di volare per venti minuti a bordo di un aereo monomotore sopra la città di Udine ed il territorio del medio Friuli, durante la giornata i ragazzi ricevettero anche informazioni su elementi di meteorologia aeronauti-ca ed un intervento didattico su elementi geografici del ter-ritorio che sarebbe stato osservato dall’alto durante il volo.

Insieme oltre ogni diversità

Nell’ambiente dei pari il sapere si trasmette in modo orizzontale. Se utilizzata come strategia pedagogi-

ca, la peer education attiva un processo naturale di passag-gio di conoscenze, emozioni ed esperienze tra i componenti del gruppo. Quanto più questa esperienza sarà profonda e intensa, orientata alla ricerca di autenticità e sintonia tra i soggetti coinvolti, tanto più costituirà una pietra miliare per la crescita personale e sociale degli alunni. Nella dinamica tra pari le persone diventano soggetti attivi del loro sviluppo e della loro formazione e non più semplici destinatari passivi di contenuti, valori ed esperienze trasferiti dall’insegnante. Questo avviene attraverso il confronto spontaneo tra punti di vista diversi, lo scambio d’idee, l’analisi dei problemi e la ricerca delle possibili soluzioni, in una dinamica che non esclude la possibilità di chiedere collaborazione e suppor-to ai docenti. Naturalmente anche nell’esperienza integrata l’educazione tra pari diventa tale. Andrea, uno dei pionieri dello sport integrato, è stato uno dei principali formatori per i suoi coetanei “abili”.Psicomotricità e progetti mi dimostrarono che l’integrazio-ne non si ottiene ma si vive, e si vive con estrema spontanei-tà. I partecipanti, che generalmente sarebbero stati distinti in abili e diversamente abili, qui erano semplicemente dei giovani che condividevano momenti di vita insieme. Nel 2001, alla fine dell’anno scolastico, Gianluca e Andrea, mi fecero una domanda che era nell’aria: come continuare a fare sport integrato insieme una volta preso il diploma? Da una presa di coscienza profonda del cammino compiuto pren-deva vita il progetto di un’Associazione sportiva dilettanti-

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stica autonoma. Imparare ogni giorno a essere felicemente se stessi, a rischiare, a decidere, ad essere liberi, a costruire e ad aiutare la comunità dove viviamo, in modo da migliorare così la nostra e l’altrui esistenza: questo, secondo me, era l’insegnamento che potevamo trarre dalle esperienze con-dotte in cinque intensi anni scolastici in cui l’attività moto-ria integrata aveva cominciato a strutturarsi come proposta educativa compiuta, con una solida base metodologica. Mi ero convinta, in quel periodo, che coloro che doveva-no essere veramente “integrati” fossero i giovani così detti “normodotati”. Ma poi, che cosa è mai la normalità? Ogni individuo possiede capacità e abilità diverse. La bellezza consiste nelle infinite sfaccettature che caratterizzano ogni persona rendendola unica e perfetta in contrapposizione con l’omologazione a una standardizzata “normalità”che decreta la morte del bello e contribuisce a interiorizzare la paura del diverso, alimentando la diffidenza che ne consegue. Scopo di un’educazione autentica, allora, non è quello di conse-guire un obiettivo prestabilito misurato sulle potenzialità di un ipotetico individuo “normale”, ma quello di far emergere da ciascuno la persona che è, con i suoi talenti e con i suoi difetti, ritornando all’originale etimologia della parola “edu-care” dal latino “e ducere” = tirare fuori. “La scuola - scrive la pedagogista Maria Beatrice Ligorio - è il luogo dove non solo impariamo a scoprire chi siamo, ma anche chi potrem-mo essere [...] è dove costruiamo i nostri sé possibili”.Questo orizzonte pedagogico ha il pregio di tenere aperte prospettive di ricerca sempre nuove in un mondo dove ogni modalità di essere ha un suo perché: “La natura non fa nulla di sbagliato. Ogni forma, bella o brutta, ha la sua causa e di tutti gli esseri umani che esistono non ce n’è uno che non

sia come deve essere”. (Denis Diderot, Saggi sulla pittura, 1766).Il docente,dunque, ha un ruolo decisivo nell’accompagnare e orientare i giovani nel loro divenire. Quello che speravo - e spero - di trasmettere con il mio impegno e con il mio esempio, è la passione per l’avventura della vita, che è unica come lo siamo noi, anche nei momenti di difficoltà ed av-versità a cui nessuno può sottrarsi. È un percorso lungo dove ci vuole pazienza, serenità e amorevolezza nelle cose in cui si “crede” e in ciò che si “fa”. Avevo sperimentato la semplicità e l’immediatezza dei gio-vani nel relazionarsi senza difficoltà, la voglia di imparare a vivere tra loro, il gusto di rischiare con me nell’avventura dell’integrazione. Mi ero sentita in compagnia, felice di es-sere riuscita a trasmettere quello che sentivo. Avevo toccato con mano la loro voglia di mettersi in gioco e di vivere, e questo era fantastico! Coinvolgerli era stato facile, nel mo-mento in cui ci eravamo posti degli obiettivi molto concreti.

Summer Camp - Trieste - 2015

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Summer Camp - Trieste - 2015

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Summer Camp - Trieste - 2015

Summer Camp - Trieste - 2016 Summer Camp - Trieste - 2016

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Sport integrato per tutti e con tutti

Trasportata dall’entusiasmo dei ragazzi e appoggiata dalla preside, che mi fu accanto in questa avventura,

certa di poter contare su un gruppo di validi collaboratori, chiesi ed ottenni di poter svolgere l’attività sportiva integra-ta al palazzetto dello sport di Chiarbola per due pomeriggi alla settimana. Nel dicembre del 2001, fondai l’Associazione sportiva dilettantistica Carducci.Lo statuto associativo prevedeva che le attività proposte fossero fruibili non solo da tutti gli alunni del Carducci con particolare attenzione agli studenti con diversa abilità che frequentavano le varie classi dell’Istituto, ma anche agli al-lievi degli altri istituti superiori della Provincia di Trieste.Nella presentazione del programma del 2001 venne usata per la prima volta ufficialmente la denominazione “attivi-tà sportiva scolastica per tutti e con tutti” che caratterizzò da quel momento tutte le proposte dell’associazione. Con questa espressione intendevo definire un percorso didattico e formativo che si proponesse di “far vivere e condividere l ’e-sperienza sportiva agli alunni disabili insieme ai propri compa-gni di classe o d’Istituto, adeguando e adattando gli interventi sportivo – educativi in base alle caratteristiche bio - psicologiche di ciascun allievo”. L’attività sportiva educativa integrata, oltre che sull’articolo 3 della Costituzione Italiana, poggia le sue basi sulla legge quadro per “assistenza, integrazione sociale e diritti del-le persone handicappate”, n°104 del 05/02/92. Gli articoli n°5 e n°8 della legge n.104/92, definiscono i principi gene-rali dell’inserimento e dell’integrazione sociale, mentre gli articoli n°12 e n°13 garantiscono il diritto all’educazione e all’istruzione dell’alunno disabile nelle istituzioni scolasti-che di ogni ordine e grado. Recependo in senso pedagogico

gli articoli sopra citati e considerando i principi educativi generali dello sport, ritenevo che l’attività sportiva scolastica per tutti e con tutti fosse mezzo e modo privilegiato per favorire l’integrazione dell’alunno disabile nel gruppo classe ed al contempo educare tutti alla socializzazione e alla col-laborazione.Il primo sport che provai a far praticare ai miei ragazzi fu la pallacanestro. La scelta fu determinata dalla relativa sempli-cità di base di questo gioco: fare canestro. In seguito, grazie alla disponibilità dell’Associazione bocciofila Ponzianina, proposi il gioco delle bocce che, presentando un aspetto di specialità individuale molto più marcato, richiedeva un coinvolgimento e un impegno più soggettivo. Si evidenziò subito una questione di gestione pratica: la modalità di esecuzione del gesto sportivo e la codifica delle regole di gioco, si poneva la questione di come dare una veste organica all’attività sportiva integrata. Per quanto ri-guardava la tecnica atletica non esistevano differenze: anche nello sport integrato entrano in gioco tutti i fattori della prestazione sportiva (schemi motori di base ed abilità tecni-co motorie, capacità senso – percettive, capacità condiziona-li e capacità coordinative). Lo sport integrato è anzitutto un gioco inclusivo. E’ an-che un gioco educativo, visto che si pone lo scopo di creare una cultura dell’integrazione, accettazione e valorizzazione delle diversità tra ragazzi abili e diversamente abili e come ogni gioco ha le sue regole che uniformano e codificano i comportamenti e le azioni dei giocatori. In questo modo è possibile organizzare efficacemente competizioni e tornei. I regolamenti di sport integrato infatti hanno regole mol-to simili ai regolamenti federali, ma con alcune differenze:

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questo per tutelare e sviluppare il principio di integrazione e non di “assistenzialismo adattato” tra giovani abili e diver-samente abili.La competenza dell’allenatore - educatore sta proprio nell’impostare il suo lavoro basandosi sulle capacità di cia-scun atleta, per poi raggiungere livelli di performance indi-viduali e di squadra ottimali nelle fasi di gioco, curando non solo il lato tecnico, ma anche quello educativo e di integra-zione “dei e tra” i giovani. Le modifiche apportate ai regolamenti federali hanno lo scopo di agevolare il gioco tra tutti i ragazzi in base alle loro diverse capacità e abilità. Il regolamento, quindi, ha una sua giustificazione pedagogica e una sua gradualità metodologi-ca, motivata da precisi riferimenti psicologici. La differenza con l’attività fisica adattata (A.P.A. - Adapted Physical Activity) consiste sia nelle basi pedagogiche che nel metodo. Nell’attività motoria adattata le regole vengo-no ideate per coloro che presentano dei bisogni particolari; nello sport integrato le regole sono finalizzate alla parteci-pazione di tutti. Lo sport adattato si propone di allargare la platea dei partecipanti alle gare attraverso regolamenti ade-guati a determinate categorie di disabilità; l’attività motoria integrata ha l’obiettivo di far giocare insieme un gruppo di sportivi, quali che siano le caratteristiche dei suoi compo-nenti. Ritengo che lo sport adattato abbia svolto, e continui a svolgere, un importante compito culturale e di comunica-zione.Personalmente, l’obiettivo che mi proponevo e che tuttora è la mia linea guida, è quello di rendere la presenza di giovani abili e diversamente abili (insieme) in classe, in palestra, e quindi sul luogo di lavoro, un fatto talmente ordinario da non essere neppure notato. Se ci si emoziona per la vittoria di un ragazzo disabile in

modo diverso che per quella di un ragazzo “abile”, vuol dire che c’è qualcosa che non funziona.La storia dello sport per le persone disabili risale al 1948quando L. Guttman, neurochirurgo tedesco, dopo la seconda guerra mondiale, utilizzò la pratica sportiva per la riabilitazione dei reduci di guerra che avevano subito traumi e amputazioni, organizzando in seguito i “Giochi di Stoke Mandeville”. Le Paralimpiadi nascevano da questa sensibilità e negli ul-timi anni hanno goduto, a buon titolo, di un interesse cre-scente da parte del pubblico e come numero di partecipanti. Si tratta di un punto di vista diverso da quello dello sport integrato ma egualmente cruciale per superare l’atavica dif-fidenza nei confronti della disabilità motoria, relazionale e sensoriale.

Memorial Andrea e Francesco - Trieste - 2016

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Festa dello Sport - Monfalcone - 2016

Festa dello Sport - Monfalcone - 2016

Festa dello Sport - Monfalcone - 2016

Memorial Andrea e Francesco - Trieste - 2016

Memorial Andrea e Francesco - Trieste - 2016

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I campioni insieme a noi

Quello che osservavo della realtà sportiva dei gio-vani era che spesso questa era legata all’eccellenza,

alle esigenze di vittoria dei club, all’agonismo spinto; tutto legittimo se vogliamo, ma il risultato era che i quindicenni e sedicenni cresciuti col mito “dell’eroe perfetto” guardava-no con una certa sufficienza allo sport integrato proposto dall’ASD Carducci. L’intuizione che ebbi fu quella di coin-volgere nello sport integrato gli sportivi professionisti. Ave-vamo bisogno di qualche iniziativa per coinvolgere i com-pagni di classe dei ragazzi disabili. Ebbi l’idea di far venire a giocare con noi gli atleti di serie “A”. Sarebbe stato motivo di attrazione e soprattutto d’identificazione: “se il mio idolo fa sport col mio compagno in difficoltà, posso farlo anch’io!” Un mio collega, il professor Fabio Omero, mi presentò Ro-berto Cosolini, presidente della Pallacanestro Trieste, che militava allora in serie A1 il quale a sua volta, mi fece cono-scere il direttore sportivo, Mario Ghiacci. Ci fu un momento di equivoco iniziale, dovuto al fatto che Ghiacci pensava che volessi organizzare una squadra di pal-lacanestro in carrozzella. Quando gli spiegai che in realtà intendevo far giocare i ragazzi in forma integrata fu per lui una sorpresa: ci accordammo rapidamente per individuare una giornata e così la settimana successiva i cestisti di se-rie A erano con noi al Palachiarbola. Magicamente insieme. In breve tempo ragazzi e ragazze della maggior parte delle scuole di Trieste vennero a sperimentare questa nuova atti-vità dello sport integrato e molti di loro,con stupore, perce-pirono il valore emotivo di questa esperienza, diventando, nel tempo, elementi attivi nella vita dell’associazione. Insie-me a loro, con entusiasmo, nella palestra di via Visinada, si susseguirono allenatori e tecnici di serie A come: Lorenzo

Serventi, Andrea Melloni, Sergio Posar ed atleti tra i quali ricordo: Francesco Candussi, Daniele Cavaliero, Samuele Podestà, Ivo Maric, Nate Erdmann... Tutti scendevano in campo accanto ai ragazzi mettendosi in gioco e facendoli innamorare della disciplina, restando loro stessi toccati dall’ esperienza. Per alcuni degli atleti la partecipazione ai mer-coledì integrati diventò un momento importante per la loro crescita sportiva e soprattutto umana. Se ci incontriamo o ci sentiamo, anche a distanza di anni, mi salutano calorosa-mente e mi chiamano ancora “prof.!”Visto il successo dell’iniziativa provai a coinvolgere anche il mondo del calcio. La risposta da parte di dirigenti, tecnici e giocatori della U.S. Triestina Calcio, fu subito favorevole ed il venerdì divenne la giornata in cui i nostri ragazzi gio-cavano a calcio a 5 con i loro beniamini della domenica. Gli allenatori Ezio Rossi, Tullio Gritti, Attilio Tesser e i gioca-tori Alessandro Budel, Michael Agazzi, Jehad Muntasser, sono solo alcuni dei professionisti che aderirono all’iniziati-va. Trieste, come tutti sanno, non può prescindere dal mare e, quindi, dallo sport della vela. Tra i tanti velisti che si sono avvicinati alla nostra associazione, il più noto è stato sicura-mente Stefano Rizzi, protagonista in quegli anni delle sfide di Coppa America. Dopo alcune stagioni di attività prope-deutiche, nel 2006 un’imbarcazione con a bordo il nostro equipaggio integrato partecipò alla Barcolana. Dal 2010, come Calicanto, collaboriamo all’organizzazione della rega-ta Sailing for Children una competizione in cui ogni barca partecipante accoglie nel suo equipaggio un ragazzo o una ragazza di Calicanto. Qui sono nate straordinarie amicizie, come quella che lega Calicanto alla famiglia Perelli.Ogni uscita in mare è sempre stata seguita e assistita dalla presenza dei mezzi della Capitaneria di Porto,con cui ab-biamo costruito nel tempo una collaborazione cordialissima,

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testimoniata da tante attestazioni di stima, tra cui ricordo con tanto piacere quella dell’ammiraglio Paolo Castellani, che ha sempre appoggiato con convinzione le iniziative di sport velico integrato.

Giornata vela - Trieste - 2014

Giornata vela - Trieste - 2015 Giornata vela - Trieste - 2015

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Atene 2004

Il 2004 resterà nella memoria dei ragazzi del Carducci di quel tempo, come un ricordo emozionante e indi-

menticabile. Tutto avvenne in conseguenza di un incontro nazionale tenutosi presso il centro Congressi di Cernobbio tra tutti gli assessori provinciali allo sport d’Italia, in cui ogni città presentava le sue migliori pratiche in campo sportivo. L’allora assessore di Trieste, Marco Drabeni, mi chiamò affinché partecipassi al convegno per illustrare il progetto del Polo sportivo - ASD Carducci , esempio di eccellenza in campo educativo e sociale. A Cernobbio erano presenti, tra gli altri, alcuni funzionari del Ministero della Pubblica Istruzione che rimasero molto colpiti dal progetto. Qualche tempo dopo giunse al preside, che all’epoca era il professor Franco De Marchi, una lettera dal Ministero con la quale si annunciava che l’istituto era stato scelto per rappresentare tutte le scuole d’Italia alla cerimonia dell’accensione della fiaccola olimpica in Grecia il 25 marzo 2004. Per la pri-ma volta nella storia dei Giochi olimpici, la fiaccola avrebbe viaggiato attraverso tutti i cinque continenti. Un percorso che partendo dallo stadio dell’antica Olympia, prevedeva di raggiungere e attraversare tutte le città che avevano ospitato i Giochi.Con sentimenti che passavano dall’entusiasmo alla preoc-cupazione, ci mettemmo al lavoro per organizzare al meglio questa incredibile trasferta. La delegazione sarebbe stata composta da due insegnanti e cinque studenti ed avrebbe avuto il compito non solo di rappresentare il proprio Paese, ma anche di proporne alcuni aspetti folcloristici. Apparve inevitabile un coinvolgimento della collega di musica, la

Sailing for Children - Trieste - 2015

Sailing for Children - Trieste - 2015

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professoressa Patrizia Devidè. I cinque allievi facenti par-te della rappresentativa, tutti sportivi nati nel 1987, erano: Marco Spena, pattinatore; Luigi Braini, pattinatore; Anna-lisa Savron, nuotatrice; Martina Iesu, velista; Tiziano Car-let, che faceva parte del Polo sportivo e giocava a calcio a 5con un pallone sonoro per non vedenti. Tra il 24 e il 28 marzo erano previste per gli studenti gare di atletica e nuoto. A queste partecipava naturalmente anche Tiziano, ma la novità era che insieme a lui c’erano i suoi compagni di scuola che lo affiancavano nelle gare: Luigi per l’atletica e Annalisa per il nuoto. Scoprimmo in quell’ occasione che Tiziano era velocissimo nella corsa, tanto che spesso lasciava indietro Luigi. Fondamentale per noi fu l’a-iuto che ci venne dall’allora Presidente del CONI regionale, dott. Emilio Felluga. Grazie al suo interessamento ci fu for-nita la divisa dell’Italia e le polo con il logo della Regione FVG. L’emozione era grandissima, sentivamo l’orgoglio e la responsabilità di far parte della famiglia degli Azzurri.In occasione della consegna delle divise, Emilio Felluga mi disse qualcosa che non ho più dimenticato. Vedendo il mio impegno e la mia passione, si era convinto che avessi qual-che figlio o parente disabile. Quando me lo chiese risposi negativamente; rimase colpito e osservò che questo dava un segno speciale al progetto, perché non ne faceva un fatto personale ma un servizio per tutti motivato dal senso di ap-partenenza alla famiglia umana.

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Atene - 2004 Atene - 2004

Atene - 2004

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Calicanto Onlus dallo sport ad altri mondi

Nel 2008 l’A.S.D. Carducci si trasforma, pur rima-nendo se stessa, e diventa A.S.D. Calicanto Onlus.

Un percorso complesso che ha richiesto più di sei mesi di lavoro.Il nome venne scelto ispirandosi ad un fiore profumatissimo, il calicanto appunto, che sboccia in inverno quando la pian-ta ha perso tutte le foglie. Potremmo definirlo, in qualche modo, un fiore non convenzionale, come non convenzionale vuol essere l’approccio dell’associazione con il mondo della disabilità. Non una visione assistenzialistica ma inclusiva, volta a sviluppare nei giovani, attraverso lo sport e la vita insieme, il maggior grado di consapevolezza ed autonomia personale possibile tramite il miglioramento non solo delle capacità motorie ma di tutta la loro vita di relazione.Attraverso la pratica dello sport integrato i giovani diver-samente abili, esattamente come i loro compagni, incre-mentano le loro capacità ed apprendono una stile di vita salutare imparando che il rispetto delle regole e la colla-borazione con i compagni sono alla base della vita sociale. Un’evoluzione globale che, pur riconoscendo le diversità e le difficoltà di ciascuno, punta a far crescere tutti ragazzi che si avvicinano a Calicanto come persone con pari dignità e diritti per realizzare quello splendido sogno che sarebbe una società realmente globale ed inclusiva.Essendo nato nel mondo della scuola, dove il diritto allo studio è sancito dalla costituzione italiana, lo sport integra-to ha, nella sua filosofia, il principio di accettazione di ogni diversità compresa la disabilità. Così, alla Calicanto, tutti i ragazzi che vogliono partecipare sono accolti senza proble-mi, con la convinzione che con professionalità, fantasia e

tenacia, accompagnata da un pizzico di temerarietà, quasi tutti gli ostacoli si possono superare. E se non si possono superare ci si può almeno provare. L’associazione, negli anni, è diventata una bella comuni-tà e la sua sede, al Palasport di Chiarbola, potrebbe essere paragonata ad un piccolo villaggio. Pur non disponendo di grandi spazi si è cercato di ottimizzare la disposizione del materiale e degli arredi negli ambienti a disposizione in modo da renderli funzionali ed accoglienti per i ragazzi che, ogni giorno, vi trascorrono le ore previste dalle borse lavoro integrate. Quello del lavoro, per Calicanto, è un altro fiore all’occhiello che premia l’impegno e la professionalità della dirigenza e di tutto lo staff. Partita dall’esigenza di poter dare ad Andrea la possibilità di realizzarsi una volta ter-minati gli studi, questa realtà si è nel tempo consolidata ed ora coinvolge quattro ragazzi e tre educatori impegnati ogni mattina, dal lunedì al venerdì. Questa squadra di giovani ha il compito di gestire ed organizzare tutto il materiale del-la sede. Dai magazzini colmi di attrezzature sportive, alle mute e casacche usate per gli allenamenti che vanno lavate con regolarità. Dagli strumenti musicali da tenere in ordine, alla segreteria, con la fotocopiatrice il telefono a cui rispon-dere. C’è sempre qualcosa da fare. Le attività dei giovani lavoratori, però, non si esauriscono solo all’interno dei locali sociali, c’è da uscire per fare degli acquisti, andare alla posta o recarsi in qualche ufficio per consegnare dei documenti, magari utilizzando i mezzi pubblici. Tutto contribuisce ad aumentare la propria sicurezza e capacità di risolvere i pic-coli problemi della vita quotidiana. Disabilità e diversità hanno qualcosa che le accomuna. Su-scitano spesso diffidenza o, nel migliore dei casi una steri-le curiosità. Forte della sua vocazione inclusiva Calicanto,

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negli anni, ha saputo aprirsi al mondo delle culture, etnie e religioni diverse coinvolgendo nelle sue iniziative ragazze e ragazzi che rappresentano veramente ogni sfaccettatura del-la nostra società. Educare i giovani al rispetto e all’accetta-zione delle diversità è una medicina per il futuro del mondo. Per uno di quegli imprevedibili casi della vita, l’incontro e la successiva amicizia con il maestro Fabio Clary, fisarmonici-sta jazz di origini pugliesi, fece sì che la musica potesse ag-giungersi ad arricchire le esperienze dei nostri ragazzi. Gra-zie ad una generosa donazione del Rotary Club Monfalcone Grado, che consentì l’acquisto di numerosi strumenti, pre-se forma e poté realizzarsi il progetto“la musica in corpo” che, in breve tempo, consentì la formazione della Calicanto Band. L’integrazione, in questo caso, si realizza attraverso l’interazione con il pubblico durante le loro performance, facendo sì che i giovani artisti superino la normale difficoltà che si prova ad esibirsi su di un palco, vincendo la propria timidezza aumentando così la sicurezza e l’autostima.Grazie all’eccellente lavoro svolto dal maestro, la Calican-to Band ha sviluppato un nutrito e vario repertorio e viene spesso invitata a suonare in eventi e manifestazioni pubbli-che riscuotendo sempre un buon successo, ed emozionando il pubblico presente. Questa esperienza dello sport integrato, partita tanti anni fa da una semplice aula di psicomotricità, è diventata ne-gli anni una solida realtà multiforme nel panorama sociale, dimostrando che, se un’idea è valida e viene coltivata con passione e dedizione, può dare solo buoni frutti. Non pos-siamo che essere orgogliosi per quello che fin qui è stato realizzato, Ma continueremo a guardare avanti per cercare, nel nostro piccolo, di migliorare la società in cui viviamo. La famiglia di Calicanto ha un grande cuore.

Settimana verde - Forni di Sopra

Settimana verde - Forni di Sopra Settimana verde - Forni di Sopra

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Settimana bianca - Forni di SopraSettimana verde - Forni di Sopra

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Calicanto, il sogno fiorisce

Calicanto una storia insieme

Giunta a questo punto mi pare opportuno dare la pa-rola ad alcune delle tante persone che, nel corso di

questi anni, mi sono state vicine aiutandomi e incoraggian-domi o, semplicemente, lavorando insieme a me per rendere possibile la realizzazione di questo sogno. Ringrazio tutti, e non solo coloro che hanno avuto la di-sponibilità e la pazienza di regalarmi la loro testimonianza, ma tutte le migliaia di persone che ho avuto la possibili-tà d’incontrare grazie a questa esperienza. É vero che alla base di tutto c’è una grande determinazione a voler realiz-zare qualcosa di nuovo per i nostri giovani, ma tutto questo non sarebbe stato possibile senza la disponibilità e la fiducia delle famiglie o l’appoggio delle Istituzioni che hanno da subito riconosciuto la serietà e la validità del progetto met-tendo a disposizione fondi e strutture pubbliche. La par-tecipazione del mondo della scuola, da cui tutto è partito, è stata determinante nella fase di avvio del progetto, come pure la grande dimostrazione di credito ottenuta dal mondo dell’industria e della finanza, che con i loro contributi hanno fatto sì che il piccolo germoglio, nato tra le mura scolastiche, potesse crescere forte e rigoglioso diventando un bel albero che protende i suoi rami verso la società civile e cerca, con i suoi fiori profumati, di portare il suo piccolo messaggio per la realizzazione di un mondo migliore. Ed infine ringrazio soprattutto la vita che mi ha dato questa splendida opportu-nità e la forza per cercare di realizzare tutto questo.

Settimana verde - Forni di Sopra

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I GIOVANI DI CALICANTO

Andrea Cofone: l’inizio

Annamaria Zuliani è la mamma di Andrea Cofone. Andrea, purtroppo, ci ha lasciati nel 2014 a soli

trent’anni. Era appassionato di sport, musica e cinema, con un carattere allegro ed espansivo, partecipava a tutte le ini-ziative, giocando a pallavolo, pallacanestro e bocce, prati-cando lo sci e la vela e suonando la batteria nella Calicanto band. Aveva anche recitato, nel ruolo di Cughi, nella fiction di Raiuno “C’era una volta la città dei matti”, ispirata all’e-sperienza di Franco Basaglia. Con lui la disabilità rimaneva solo un fattore esteriore e la parola integrazione, se così si può dire, perdeva di significato perché l’integrazione, con Andrea, non era necessaria. Così, la spinta a fondare un’as-sociazione sportiva, venne dalla richiesta di Andrea e Gian-luca che speravano di poter continuare a praticare lo sport integrato anche una volta terminato il percorso scolastico. Inoltre una realtà indipendente dalla scuola avrebbe potuto fornire un più ampio servizio venendo incontro alle richie-ste del territorio. Annamaria ci racconta di Andrea così: “Il primo incontro di Andrea con la professoressa Gianello avvenne all’età di undici anni, quando frequentava la scuola media G. Roli. Terminato il percorso di istruzione primaria, i docenti ci consigliarono di iscriverlo all’Istituto G. Car-ducci, e lì, con piacevole sorpresa, ritrovammo Elena che stava iniziando a proporre l’attività integrata. Al Carducci Andrea, si trovò subito bene; era inserito in una classe mol-to bella e alcuni compagni sarebbero rimasti suoi amici per tutta la vita. Ricordo che durante una riunione con i genitori

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Calicanto, il sogno fiorisce

Elena ci spiegò a grandi linee il suo progetto educativo e, benché non tutto mi fosse chiaro, mi dissi: se Andrea xe felice, va ben!. Lui fu immediatamente entusiasta di poter esprime-re tutta la sua esuberanza e la sua voglia di vivere attraverso le attività proposte, durante le quali, relazionandosi in modo spontaneo con tutti, poteva manifestare la sua personalità e migliorarne l’aspetto sociale. Per me fu una rivelazione, lì mi resi conto che i figli spesso superano i genitori … Andrea era avanti”. “Era un ragazzo come tutti e mi faceva star male se qualcuno lo trattava da diverso. Usciva alla sera con gli amici del polo sportivo e quando tornava tardi gli dicevo: va ben esser normal, ma non se pol arivar a casa a le 3 de note”.“Conseguito il diploma al Carducci gli fu proposta un’atti-vità di formazione professionale, ma purtroppo non fu un’e-sperienza positiva perché non lo trattarono come gli altri e vi furono anche episodi spiacevoli. Mi confrontai con Elena e su suo consiglio lo allontanai da quel contesto. Nel frat-tempo lei chiese e ottenne, attraverso i servizi sociali del Comune di Trieste, una borsa lavoro che lo impegnasse in associazione. Anche questo fu un successo; Andrea andava al lavoro alla mattina e praticava sport il pomeriggio, poi la sera tornava a casa felice. Per Andrea Elena era la “grande prof ”, mentre lei lo aveva soprannominato “Cofi” e gli dice-va che doveva starle sempre vicino come fosse uno “scotch”.

Gianluca Magnelli: l’inizio

Quel giorno mancava l’insegnante di educazione fi-sica e la professoressa Gianello era venuta in pa-

lestra per sostituirlo”. Nel fare l’appello, si rese conto che mio papà era stato il suo professore di Diritto alle superiori. Questo fu il primo incontro con Gianluca e diede inizio a una collaborazione che dura da più di quindici anni attra-verso la storia dello sport integrato. Era il 2000 e Gianluca aveva solo sedici anni. “L’anno dopo – prosegue - la professoressa mi fermò in corridoio per chiedermi se avessi avuto piacere di prendere parte ad una ‘giornata neve’ a Ravascletto insieme ad un mio compagno di classe disabile. Ne fui incuriosito e decisi di parteciparvi anche per perdere un giorno di lezione. Fu una bellissima giornata di sole e, di quella prima esperienza, il ricordo più vivo è rappresentato da un’indelebile sensazio-ne di positività, che ripensandoci provo ancora a distanza di anni. Da quel giorno diventai una presenza fissa a tutti gli appuntamenti dello sport integrato a scuola, più aiutavo, più mi sentivo felice. La professoressa mi diede molta fidu-cia e anch’io mi sono fidato e affidato a lei. Non posso che esserle infinitamente grato per avermi accompagnato nel mio percorso di crescita ”. “Quando ci si avvicina al mon-do del volontariato, spesso si ha la convinzione di sentirsi ‘bravi’ perché si fa qualcosa per gli altri, poi si scopre che ciò che si riceve in abbracci, sguardi, sorrisi e affetto è di gran lunga più gratificante ed importante.”Tra i ricordi più belli che tornano in mente a Gianluca qualcuno è speciale. “Avevo circa ventiquattro anni e, durante un soggiorno neve, condividevo la camera con un ragazzo che aveva evidenti

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problemi relazionali, non si separava mai da un suo pupaz-zetto e, se qualcuno glielo prendeva, veniva assalito da crisi di panico. Proprio in quei giorni ricevetti una brutta notizia che mi rattristò molto anche se cercai di non dimostrarlo. Il mio compagno di stanza, unico tra tutti, se ne accorse e per consolarmi mi diede il suo pupazzo. Con la sua ‘vista speciale’ aveva letto nel mio animo e mi aveva dato quello che per lui più prezioso. Mi resi conto allora di quanto fosse profondo il rapporto tra noi. E poi c’era Andrea, quando ci incontravamo mi salutava con un abbraccio forte che era il suo modo per dirmi: ‘sono contento di vederti, amico mio!’. Quell’abbraccio continuerà a scaldare il mio cuore anche adesso che Andrea non è più con noi”.“Ho visto l’associazione evolvere esponenzialmente, sia nel-le sue attività che nella qualità dell’offerta formativa. Gli allenatori, gli educatori e i volontari seguono corsi di for-mazione ed aggiornamento. È un servizio svolto con serietà, competenza e soprattutto passione. A questo si aggiungono le relazioni umane positive che legano il gruppo di Calican-to: c’è un rapporto di fiducia reciproco”. “Per me e la prof. è un regalo, ma anche una responsabilità”. Gianluca, che essendosi laureato in scienze sociali è diven-tato una colonna portante dell’ASD Calicanto ONLUS, racconta così il rapporto dei giovani diversamente abili con l’associazione: “Sicuramente tendono a identificarsi con essa. Questo da un lato è positivo perché fa crescere in loro la consapevolezza di appartenenza a un gruppo miglioran-done sicurezza e autonomia e rendendoli capaci di intra-prendere percorsi diversi in altri ambiti, dall’altro a volte c’è il rischio che tendano ad adagiarsi in un ambiente che offre appoggio e protezione. Il metodo che cerchiamo di adottare come educatori e staff è quello di dare aiuto mettendoci al

loro fianco per poi guidarli da vicino e gradualmente allon-tanarci fino a dirgli: ‘adesso puoi fare da solo’. E’ importante uscire da una visione assistenziale se si vuole contribuire ad un loro progressivo percorso verso la migliore autonomia possibile”.

Elisabetta Delle Piane, Stefania Maschietto, Manuel Briscek, Gabriele Bradaschia: il lavoro integrato.

Manuel ed Elisabetta sono due dei Quattro ragazzi che ogni giorno prestano servizio presso la segre-

teria di Calicanto grazie alle borse lavoro del Comune di Trieste. Manuel, come ci tiene a precisare, è incaricato della gestione e manutenzione della macchina per il caffè della ditta Illy. Svolge il suo lavoro con impegno e meticolosità, lo si può notare dalla lucentezza di tutte le parti cromate e dalla precisione con cui ogni elemento è riposto e conserva-to nell’armadietto sotto la macchina. Oltre a questo incarico si dedica alla pulizia e conservazione del materiale sportivo, lavoro piuttosto impegnativo considerato l’elevato numero di atleti che frequentano le attività e la quantità di attrez-zature a disposizione. A Calicanto Manuel non solo lavora ma gioca anche a pallavolo e, soprattutto, suona nella band. Quando ne parla il suo sorriso diventa ancora più aperto e gli occhi gli brillano.”Mi piace la musica, mi diverte e mi mette allegria! Quando suono mi trovo bene con gli amici e il maestro. Nella band

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suono i bonghi e il tamburello, ma poi anche il pianoforte ed il trombone.”Anche Elisabetta è appassionata di musica. Il suo strumento principale è la fisarmonica diatonica, che richiede notevoli capacità di coordinazione nell’uso delle mani. È diplomata maestra d’arte all’Istituto Nordio di Trieste nell’indirizzo di decorazione pittorica.”A Muggia, dove abito, faccio parte, insieme a mia mamma, di un gruppo che si dedica al ricamo al tombolo. Qui in sede sono addetta alla lavatrice ed alla pulizia e riordino dei locali. A Calicanto mi piacciono tutte le attività e ho anche potuto soddisfare la mia passione per la musica, soprattutto quella italiana, andando con Stefania ed altri amici a sentire diversi concerti di Jovanotti, Laura Pausini ed anche Liga-bue a Campovolo!”A seguire i ragazzi delle borse lavoro ci sono Stefania, Ga-briele e Lisa, tre giovani che, dopo essere cresciuti all’inter-no dell’associazione come volontari, si sono specializzati e sono stati regolarmente assunti come educatori.Stefania, ex nuotatrice ed ora istruttrice di nuoto Federazio-ne Italiana Nuoto, Federazione Italiana Nuoto Paralimpico e Federazione Italiana Sport Disabilità Intellettiva Relazio-nale, alterna la sua attività in piscina, che la vede impegnata anche qui soprattutto nel campo delle disabilità, con il lavo-ro presso Calicanto, per lei una vera passione.”Alle volte mi chiedo se sono in grado di dare ragazzi tanto di quanto io mi sento di ricevere da loro. Benché natural-mente lo sia, non lo considero un lavoro ma una parte di me e della mia vita, un’attività che dà nutrimento alla mia anima.”“ Quando guardo i nostri ragazzi vedo solo persone che,

come me e come tutti noi, hanno dei limiti o delle diffi-coltà. Dopo dieci anni trascorsi qui, considero Calicanto come una famiglia, dove il piacere di condividere momenti di sport e di vita quotidiana aiuta a superare gli ostacoli e le incomprensioni rendendo la convivenza un fatto naturale.””Bisogna vivere Calicanto per comprenderne il senso. Oggi molti giovani, distratti dai mille stimoli esterni della vita, sono poco informati sulla disabilità relazionale e di conse-guenza sviluppano in loro diffidenza e paura. Eppure è così semplice: basta l’amicizia per superare ogni barriera e perce-pire la schietta umanità di questi ragazzi.”“Quando presento alle scolaresche le nostre attività rac-conto la mia esperienza personale e concludo dicendo: ‘solo provando potrete dire che non fa per voi!’.”Alla fine Stefania vuole ricordare il suo amico Andrea e mo-stra con orgoglio l’iniziale del suo nome che porta tatuata sul braccio, perché un amico, un amico vero, ti resta sempre vicino.Gabriele ha scelto Calicanto e lo sport integrato come ar-gomento della sua tesi di laurea in pedagogia speciale presso la facoltà di Scienze dell’educazione di Trieste, sede di Por-togruaro.”Durante un convegno ero stato colpito dal collegamento fatto tra sport, educazione ed attività mentale, così ho pen-sato di approfondire il collegamento neurologico che lega la pratica sportiva al miglioramento delle capacità di ap-prendimento. Le attività motorie stimolano la produzione di dopamina e questa, a sua volta, facilita l’apprendimento in campo sociale, relazionale e comportamentale.””Vengo dal mondo del basket, dove ora sono tuttora impe-gnato come allenatore di una squadra giovanile ed ho ritro-

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vato in Calicanto I sani valori dello sport: gioco di squadra, rispetto delle regole e delle persone, con in più la capacità di stare in campo con le diversità.””Un’altra caratteristica del mondo di Calicanto è la spinta costante a superare il propri limiti. Questo mi ha convinto ad iniziare una nuova avventura sportiva: il triathlon. Quan-do alla prima gara ho ritrovato tutti i miei amici dell’asso-ciazione a sostenermi e incoraggiarmi, è stata per me una grande emozione che, una volta di più, mi ha fatto sentire parte di questa speciale famiglia.”

Elisa Baracchini, Eneo Branelli, Valentino Tomadin: la comunicazione integrata

L’ultima novità che riguarda il poliedrico mondo dell’ASD Calicanto ONLUS riguarda la comunica-

zione. Cogliendo le istanze dei giovani, sempre connessi con il loro mondo social, si è incrementato l’utilizzo di Facebo-ok, ma non solo. Grazie all’interessamento dell’amica Micol Brusaferro si è ottenuto uno spazio sul Blog del quotidiano Il Piccolo di Trieste e l’emittente radiofonica “Radio fragola” ha messo a disposizione un’ora della suo palinsesto del gio-vedì, per un programma dedicato all’associazione e gestito autonomamente dai ragazzi. Gli animatori della redazione integrata sono tre universitari: Elisa, studentessa di scienze dell’educazione a Portogruaro; Eneo laureato in lettere ed iscritto a un dottorato di ricerca presso l’Università di Pisa e Valentino, che studia ingegneria bio - medica a Trieste.

“Mi sono avvicinato al polo sportivo grazie a mio fratello e al nostro allenatore di minibasket, Sergio Posar, quando frequentavo ancora la scuola media. - Racconta Valentino - La prima volta che sono andato al palazzetto ero piuttosto in crisi, quasi terrorizzato. Poi, una volta iniziato, non mi sono più voluto allontanare. Mi sono trovato in un ambiente che mi ha accolto benissimo, facendomi superare tutti i miei timori.Dopo cinque anni di volontariato sono entrato a far parte dell’ equipe degli educatori ed ora, con entusiasmo, mi dedi-co anche a questa nuova avventura radiofonica del giovedì. Nella nostra trasmissione illustriamo le iniziative dell’asso-ciazione e, facendo partecipare anche i nostri ragazzi, con-tribuiamo a far conoscere il mondo della disabilità.”Il percorso di Eneo è stato del tutto simile a quello di Va-lentino. Anche lui giocatore di basket, fu indirizzato verso l’associazione da Sergio, il loro allenatore.“Nel dicembre del 2015 mi è stata data la possibilità di entrare a far parte del progetto: ‘Calicanto, l’integrazione fiorisce con la comunicazione’, all’interno del quale, con la collaborazione e la guida della giornalista Micol Brusaferro, scriviamo articoli per un blog integrato che vengono pub-blicati on-line dal quotidiano ‘Il Piccolo’. L’esperienza è sta-ta di grande valore formativo per tutti e ora ci proponiamo di realizzare un progetto ancora più ambizioso: con la col-laborazione dei nostri ragazzi cercheremo di realizzare una mappatura del territorio per dare indicazioni di accessibilità riguardanti impianti sportivi, cinema, teatri, musei e giardi-ni che possano essere utili a tutti.””I ragazzi di Calicanto, attraverso il blog e la radio, hanno migliorato molto la loro capacità di espressione sia scritta

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che verbale. Usano le mail e i messaggi e riescono a concen-trarsi meglio per articolare correttamente i loro discorsi. In gruppo abbiamo assistito ad una rappresentazione teatra-le per poi lavorare insieme sulla recensione. Alcuni di loro hanno colto sfumature che noi non avevamo notato, dimo-strando una sensibilità fuori dal comune.”Anche Elisa viene dal mondo della pallacanestro, ma con un percorso diverso da quello dei suoi colleghi. Ha dedicato al suo sport gran parte della sua adolescenza, fino a giocare in prima squadra nel campionato di serie A2 femminile. Con-seguito il diploma al Liceo Carducci nell’indirizzo psicope-dagogico, è entrata a far parte dello staff come educatrice.“All’inizio non è stato facile – confessa - poi ho applicato il metodo che usavo anche nello sport, cioè quello di os-servare attentamente ed acquisire le abilità degli educatori più esperti. Ad un certo punto mi sono sentita pronta ed ho proseguito in forma autonoma.””L’esperienza della redazione integrata è stata molto utile anche a me in quanto mi ha spinta a superare le difficoltà ad esprimermi che avevo. Per questo motivo capisco bene l’imbarazzo che i ragazzi possono provare nel parlare alla radio o durante un’intervista e sono in grado di apprezzare i loro netti miglioramenti.””Con il nostro ‘ aprirci al mondo ’ attraverso i mezzi di comunicazione, cerchiamo di far giungere a tutti, ma so-prattutto ai giovani, un messaggio di positività che li aiuti a superare l’indifferenza e la diffidenza nei confronti delle diversità, facendo sì che possano anche decidere di avvici-narsi ad una realtà che, quando la vivi, ti riempie di serenità e gratificazione.”

Tommaso Klancnik, Nicolò Katalan, Giulia Sarcina: I volontari

Tommaso e Nicolò frequentano entrambi la quinta classe del liceo scientifico “Galileo Galilei” di Trieste

sono stati assegnatari, rispettivamente nel 2015 e nel 2016, di una borsa di studio intitolata alla memoria di Andrea e Francesco, riservata ai volontari che si distinguono nel-lo sport integrato e nello studio. “Ho conosciuto Calicanto sette anni fa insieme a Nicolò. - racconta Tommaso - E’ stato lui a propormi di partecipare insieme al camp estivo ed abbiamo ripetuto questa esperienza anche l’anno seguen-te, poi abbiamo iniziato a prendere parte alle attività setti-manali”. “Inizialmente, ho vissuto lo sport integrato come un evento particolare, qualcosa che non tutti conoscono e riescono a sperimentare. Ora mi sento di far parte di una famiglia e cerco di essere presente agli allenamenti con re-golarità, perché per me si tratta di un vero impegno spor-tivo che condivido con I miei amici in un clima di serenità ed allegria. Lo sport integrato è entrato a far parte del mio quotidiano in tale misura che, anche a scuola, sto cercando di approfondire il tema: ‘sport ed integrazione’ per farlo di-ventare argomento della mia tesina e spunto per iniziare il colloquio d’esame alla maturità che mi aspetta il prossimo luglio.” Nicolò gioca a pallavolo in serie B. Anche lui frequenta Ca-licanto fin dalle scuole medie. L’incontro con l’Associazio-ne è avvenuto tramite il passaparola tra compagni di classe. “Partecipammo al camp estivo in tre: durante quella prima esperienza, il fatto di essere un gruppo di amici ci semplificò l’approccio. L’inizio non è mai semplice né scontato, tutti

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abbiamo qualche pregiudizio o timore nei confronti delle diversità, ma poi, rendendosi conto di essere semplicemente tra amici, ci si diverte. Basta qualche scambio di palla per far nascere un sorriso!”“Osservando gli studenti che arrivano in palestra per gli “stage” di alternanza studio-lavoro, mi sono reso conto che la maggior parte di loro, inizialmente, ha un modo di fare un po’ rigido, quasi spaesato. Poi, in breve tempo, l’atmo-sfera serena e amichevole che contraddistingue tutta la vita di Calicanto riesce a rimuovere i blocchi ed ogni incontro diventa motivo di allegria e spensieratezza.”“Io, nonostante la mia statura, sono anche componente fis-so dell’equipaggio di ‘Goofy!’ durante la regata ‘Sailing For Children’, insieme a Davide e Stefania. Non sono un esper-to velista, anzi, ma l’allegria ed il divertimento sono garanti-ti anche durante quella manifestazione.”Giulia frequenta l’ultimo anno di studi dei servizi sociosa-nitari all’ ISIS Sandro Pertini di Monfalcone e sta svolgen-do uno stage presso la sezione di Calicanto di quella città. “Ci troviamo in palestra per giocare a basket integrato ogni martedì pomeriggio. Inoltre, su proposta mia e di una mia compagna come me appassionata di danza, con l’aiuto de-terminante di un’insegnante di scienze motorie specializ-zata, dallo scorso anno si è attivato anche un corso di dan-za integrata che ha riscosso un buon successo. La danza è una forma di espressione e comunicazione innata nell’essere umano e un mezzo ideale per avvicinare e far entrare in re-lazione gli individui. Nel gruppo cerchiamo di scegliere le musiche e strutturare le coreografie con il contributo di tutti i partecipanti stimolando il dialogo e l’interazione. È un’e-sperienza bellissima!”

Giulia, tra l’altro, ha fatto parte del gruppo di studenti che, realizzando l’intervista-inchiesta sulla nascita dello sport integrato, hanno dato lo spunto per intraprendere la stesu-ra di questo libro e ne parla così: “Siamo stati tutti colpiti da come una persona semplice e normale, sorretta da una grande forza di volontà e convinta della bontà della sua idea, abbia saputo farla crescere e divulgarla ottenendo risultati di così grande importanza sociale e dimostrando che, nella vita, bisogna sempre provarci.”

LA MUSICA IN CORPO

Fabio Clary

Se vi dicessero che uno dei musicisti più celebri di ogni tempo era disabile, ci credereste? Eppure Ludwig

Van Beethoven era completamente sordo quando compose la Nona sinfonia. Ma gli esempi sono molteplici: Ray Char-les, cantante e pianista soul, perse la vista a otto anni per un glaucoma; Stevie Wonder è non vedente dalla nascita; The-lonius Monk, pianista di genio, soffriva di disturbo bipola-re; al sassofonista Charlie Parker venne diagnosticata una forma di schizofrenia; Buddy Bolden, uno dei fondatori del jazz, trascorse gli ultimi vent’anni della sua vita rinchiuso in un istituto, e si potrebbe continuare ancora”.La musica è un’arte che oltrepassa ogni limite, sia fisico che mentale, è partendo da questa convinzione, è nata la Cali-canto Band, attualmente composta da una ventina di ele-menti. “Per insegnare la musica ai ragazzi utilizzo vari me-todi ma molti giovani artisti della Calicanto Band suonano a memoria. Alessandro, il tastierista del gruppo, ha doti musicali eccezionali: ha l’orecchio assoluto, cioè la capacità

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di identificare l’altezza assoluta delle note musicali senza diapason, ed ha iniziato ad eseguire le sue prime improv-visazioni. È stato il primo ragazzo disabile in Italia a essere ammesso ad un liceo musicale”. “La scelta dello strumento è legata sia alle preferenze personali sia alle finalità educative. Ad esempio, per sviluppare e controllare l’uso delle mani viene suggerita la tastiera; per migliorare la coordinazione dei movimenti di tutto il corpo è molto efficace la batteria, che in un certo senso va ‘dominata’; ai ragazzi autistici giova molto cantare”.“Suonare insieme non è facile ma in sette anni i ragazzi hanno raggiunto risultati straordinari. La Ca-licanto Band è un’esperienza pilota: ci sono molte orche-stre delle quali fanno parte uno o due elementi disabili, ma hanno piccoli ruoli. Nella nostra tutti suonano strumenti principali. Attraverso le prove ed i concerti i ragazzi hanno migliorato la loro autostima e di conseguenza le capacità motorie e di relazione”.“Vedendoli suonare con Jovanotti mi sono reso conto della scioltezza che hanno acquisito. Con buona volontà e meto-do giusto si può far godere a tutti la felicità che dà la musica, sia a chi la suona sia a chi l’ascolta”.

Calicanto Band - Staranzano (Sagra delle Razze) - 2016

Calicanto Band - Trieste (Rotary Day) - 2016Calicanto Band - Muggia - 2015

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Calicanto Band - Muggia - 2015

Calicanto Band - Muggia - 2015 Calicanto Band - Trieste (Festa di fine anno) - 2015

Calicanto Band - Trieste (Rotary Day) - 2016

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IL MONDO DELLA SCUOLA

Silvano Magnelli

Elena Gianello è stata una mia studentessa dal 1978 fino alla maturità dimostrandosi un’allieva intelligen-

te e appassionata. Me la ricordo in primo banco, vivace e attenta, con la mano alzata per fare domande, voleva sempre saperne di più. Le domande vertevano sulle mie materie, ma in quella classe si era aperto anche un dialogo sulla vita. Elena partecipava con entusiasmo, mettendosi in prima fila per manifestare la sua opinione. C’era una convergenza di visioni tra noi, determinata dalla voglia di lottare contro l’indifferenza e la mediocrità per impostare una vita di so-lidarietà e intense relazioni sociali. Era una ragazza aperta, interessata, e amante del movimento della vita: una leader naturale. Le sue erano opinioni mature e, considerata l’età, già autorevoli. Riusciva a conciliare con successo gli impe-gni sportivi e il rendimento scolastico, secondo la mia visio-ne della scuola, era la studentessa ideale!”“Erano anni di risveglio giovanile e di sussulti sociali non indifferenti, il dialogo, se incoraggiato, nasceva spontaneo. Ero un giovane insegnante e stavo mettendo a puntola mia metodologia. Un’allieva, Giulia, dopo la maturità mi disse: ‘non abbandoni questo metodo, le porterà grandi frutti’”.“Al mondo della scuola giungevano dei segnali importanti dalle istituzioni: i Ministri dell’Istruzione Franca Falcucci e Sergio Mattarella, sfidando il conservatorismo istituzio-nale, percorrevano la via dell’apertura del mondo educativo al mondo in generale e in particolare a quello sociale. Ab-biamo fatto la staffetta, Elena ed io, una volta, ero presente al suo dialogo con un’allieva. Elena le disse, indicandomi: ‘quello che sono io per te lui è stato per me!’. La figura di

Calicanto Band - Trieste - 2016

Calicanto Band - Trieste (Rotary Day) - 2016

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un adulto che ti lascia libero di pensare, ti ascolta e ti sprona con simpatia e generosità è decisiva. Questa è la “mission” di Elena!”“Sento di ringraziare Elena perché ha dato voce a un mondo che era sostanzialmente emarginato. La gratitudine aumen-ta perché ha coinvolto in questa passione importante anche mio figlio, e adesso facciamo entrambi parte del Consiglio Direttivo di Calicanto che lei presiede. Tutto ha un suo per-ché e le piccole cose sono invisibili, come scrive il cardinale Martini”. Ecco il passaggio: ”Lo Spirito c’è, anche oggi, come ai tempi di Gesù e degli apostoli, c’è e sta operando, arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi, a noi non tocca né se-minarlo né svegliarlo, ma anzitutto riconoscerlo, accoglierlo, assecondarlo, fargli strada, andargli dietro. C’è e non si è mai perso d’animo rispetto al nostro tempo, al contrario sorride, danza, penetra, investe, avvolge, arriva anche là dove mai avremmo immaginato. Di fronte alla crisi nodale della no-stra epoca, che è la perdita del senso dell’invisibile e del tra-scendente, la crisi del senso di Dio, lo Spirito sta giocando, nell’invisibilità e nella piccolezza, la sua partita vittoriosa”.

Alda Sancin

Preside del Carducci nel periodo in cui iniziava a prendere forma il progetto di integrazione attraver-

so lo sport, la professoressa Alda Sancin è ora in pensione e ricopre il ruolo di vice presidente dell’ASD Calicanto ON-LUS.“Quando Elena venne da me per illustrarmi il suo proget-

to di integrazione dei ragazzi disabili attraverso le attività motorie, restai colpita dal suo entusiasmo e dalla sua deter-minazione e, capendo che sarebbe stata un’occasione per mi-gliorare la loro situazione sociale e l’inserimento scolastico, l’accolsi subito positivamente”.“Erano gli anni in cui, recependo le indicazioni del progetto Perseus, le attività motorie scolastiche assumevano quella valenza educativa, ricreativa e sociale che le doveva far di-ventare fruibili da tutti gli studenti. Quando Elena mi disse che voleva far partecipare un ragazzo con gravi difficoltà motorie ad una giornata vela, ci guardammo e, pur con-siderando che ci sarebbe stato qualche margine di rischio, concordammo che se non lo avessimo fatto noi, probabil-mente avremmo negato a quel giovane la possibilità di vi-vere un’esperienza entusiasmante. Incoraggiata dai buoni ri-sultati ottenuti e dal gradimento che le attività riscuotevano nei ragazzi, Elena continuava a sfornare nuove idee e pro-porre nuovi progetti ed io, come dirigente, cercavo sempre di appoggiarla sostenendola anche nei confronti dei suoi colleghi a volte scettici. Un buon prodotto, però, è sempre destinato al successo e così, sempre grazie al progetto Per-seus, il Carducci diventava ‘Scuola Polo Sportivo Disabili’ esportando le sue esperienze di integrazione anche negli altri istituti cittadini e della Regione Friuli Venezia Giulia.”

Franco De Marchi

Quando, nel settembre del 2002, arrivai come preside al Carducci il progetto del Polo Sportivo Disabili

era già avviato da tre anni ed inserito nel Piano dell’Offerta

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Formativa della scuola. Lo percepii come un progetto ca-ratterizzante per gli indirizzi di studio di quell’Istituto, che allora erano il socio psicopedagogico e il liceo delle scienze sociali, e coerente con essi. Mi colpì il coinvolgimento di tutta la comunità scolastica: la partecipazione volontaria di molti studenti e il supporto altrettanto volontario offerto da un buon numero di docenti che prestavano il loro servizio senza calcolo orario, partecipando alle attività pomeridia-ne. Il tutto avveniva sotto la guida della professoressa Elena Gianello che con straordinaria e infaticabile intraprenden-za, dopo averlo fondato, gestiva il progetto con quella dose di autonomia che è propria delle persone creative e motivate a perseguire tenacemente obiettivi nei quali credono pro-fondamente. E l’obiettivo era forte, perché forte era la sua valenza pedagogica e sociale.Il Carducci, nella prima decade del duemila, ai tempi della mia presidenza, aveva ripreso a crescere fino quasi a raddop-piare gli iscritti in entrambi gli indirizzi. Numerosi erano gli alunni diversamente abili, uno o due nella quasi totalità delle classi e i loro genitori vedevano il Carducci come una delle scuole superiori triestine più adatte ai loro figli anche grazie alla presenza del Polo Sportivo. Inoltre la diffusa presenza di alunni diversamente abili nelle classi è stata per molti dei loro compagni “normodotati” una straordinaria occasione di crescita umana. Ciò che animava il Polo Sportivo al Carduc-ci era il valore programmatico trasversale dell’integrazione. Non si trattava mai di attività per alunni diversamente abili seguiti esclusivamente da educatori adulti, ma di attività ve-ramente integrate per alunni abili e diversamente abili in-sieme. Molti studenti che prestavano la loro attività come “accompagnatori” presso il Polo Sportivo, terminati gli studi

al Carducci, continuarono e tuttora continuano, a distanza di anni, a svolgere la loro attività presso l’ ASD Calicanto. Per alcuni, dal volontariato, è nata la vocazione per il so-ciale,sfociata poi persino in professione. Sicuramente tutti gli studenti che hanno avuto l’opportunità di accostarsi al progetto avranno tratto vantaggio per la loro crescita umana e civile. L’integrazione non si realizza limitandone la portata all’arco della vita scolastica, ma deve mirare fondamental-mente allo sviluppo di abilità e competenze necessarie al raggiungimento della massima autonomia nella vita perso-nale, una volta terminato il percorso scolastico.

Patrizia Devidè

Quando Elena arrivò al Carducci la sua aula di psico-motricità era adiacente alla mia aula di musica così,

anche spinta dalla curiosità, andai a guardare cosa stessero facendo e venni in contatto con questa nuova realtà. Mi resi presto conto che gli studenti che frequentavano il labora-torio di psicomotricità si divertivano e il clima era impron-tato alla condivisione e compartecipazione. Non fu difficile accordarmi con Elena affinché i ragazzi che frequentavano l’aula di musica potessero sperimentare anche la realtà dello sport educativo integrato. D’altra parte anche la musica, in quanto linguaggio universale, può essere veicolo di dialogo e momento di unione tra mondi e realtà diverse. Fu da su-bito un’esperienza felicemente positiva e diede inizio a una collaborazione sempre più articolata che si protrasse per pa-recchi anni. Dal mio punto di vista ritengo che il lavoro che

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abbiamo svolto abbia aiutato in particolar modo i ragazzi abili rendendoli coscienti del valore sociale dell’esperienza che stavano vivendo e della ricchezza che ognuno può rice-vere dalla condivisione della vita con gli altri”.

Donatella Campagna

É docente di psicologia presso l’I.S.I.S. “S. Pertini” di Monfalcone e una sua iniziativa, volta a far produrre

ai suoi studenti un video clip per raccontare la storia dello sport integrato, è stata determinante per stimolare la realiz-zazione di questa opera. Parla così della sua esperienza con lo sport integrato: “quando la collega prese servizio presso il nostro Istituto ed iniziò a proporre le sue attività di sport integrato, subito mi colpì il modo spontaneo in cui i ragazzi si rapportavano tra loro in questa realtà. Per questo motivo l’anno successivo chiesi di parteciparvi come volontaria per vivere direttamente l’esperienza integrata”. “Non è possibile spiegare a parole quello che succede, bi-sogna esserci di persona, è incredibile il clima che si crea e l’entusiasmo che anima i ragazzi è contagioso. La proposta è abbastanza semplice e fa leva sulla naturale propensione dei giovani a superare le barriere sociali e culturali che troppo spesso limitano il mondo degli adulti. Credo che lo sport integrato meriterebbe di essere proposto fin dalla scuola primaria per contribuire a far crescere una società con più solidi valori di condivisione ed inclusione”.

Silvia Zumin

La professoressa Zumin è docente di religione al liceo Scientifico “G. Oberdan” di Trieste e, presso lo stesso

istituto, referente per i progetti di volontariato. Proprio in questa veste, nel 2007, venne in contatto con Calicanto con-tribuendo poi a diffondere lo sport integrato anche nella sua scuola. “In gioventù avevo fatto molti anni di volontariato con l’A.V.O. di Trieste. - racconta la professoressa Zumin. - Avevo vent’anni, erano le prime volte che persone estranee allo staff medico entravano in corsia. Aiutavamo duranti i pasti i malati in lungodegenza o che non avevano familiari che li assistessero e questo diventava occasione per stimo-lanti chiacchierate. Oggi ci sono ragazzi che si dedicano con impegno allo studio ma a cui manca la relazione con l’uma-no. Farli venire in contatto con le situazioni concrete li aiuta a capire chi sono. A volte scoprono di avere delle risorse che erano sconosciute anche a loro stessi. Vedendo ragazzi abili e diversamente abili giocare insieme, a un certo punto non si capisce più chi stia aiutando l’altro, perché si creano siner-gie particolari. Quando presento le proposte di volontariato ai giovani, dico sempre loro: ‘se avete voglia di farlo, fatelo subito senza pensarci troppo!”. “C’è un episodio recente che mi piace citare - spiega la professoressa - una mia alunna molto riservata mi ha detto ‘vorrei provare’ ed io l’ho inco-raggiata. Dopo qualche tempo le ho chiesto ‘come va?’ ‘Prof. guardi - mi ha risposto - quando vado al Palazzetto tutti mi vengono incontro, mi salutano e mi abbracciano, quando entro in classe a scuola nessuno mi saluta’. Questo fa capire quanto sia inclusivo e gratificante il mondo di Calicanto”.

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IL MONDO DELLE FAMIGLIE

La famiglia Farneti

Past President del Rotary Monfalcone Grado, Fulvio Farneti è il papà di Piero, ultimo di tre figli, che dalla

nascita è affetto da una grave forma di disabilità fisica. Que-sta realtà ha fatto sì che la famiglia sviluppasse numerosi contatti con Associazioni ed Enti che potessero offrire sup-porti per migliorare la qualità della vita di Piero. “Nel 2004 Piero si iscrisse al Liceo Carducci nel corso di scienze sociali. La fortunata scelta determinò l’incontro con la prof. Gianello che, alla nostra vista, apparve subito come un vulcano di iniziative. Piero iniziò a frequentare il Polo Sportivo praticando con i suoi compagni il calcio a 5 ed in seguito partecipò anche a diversi camp estivi”.“Nella nostra famiglia abbiamo sempre cercato di affrontare i problemi che via via si presentavano in modo pratico e senza vittimismi. Alle volte saremmo portati ad assumere un atteggiamento eccessivamente protettivo nei confronti dei nostri ragazzi con difficoltà, rischiando di richiuderli in un modo fatto su misura per loro. E’ comprensibile, ma non credo che così si faccia il loro bene. Certo la presenza di una situazione complicata cambia la vita di una famiglia ma con unità, pazienza e consapevolezza si possono superare gran parte delle difficoltà”.“La filosofia dello sport integrato mi colpì subito positiva-mente. Era una bella novità. L’idea di far giocare i giovani tutti insieme, senza differenze, era al tempo stesso sempli-ce e rivoluzionaria e dava l’inizio ad un movimento an-che culturale che doveva essere assolutamente incoraggiato

e sostenuto. Quando seguendo l’evoluzione delle attività dell’Associazione, che ormai si chiamava Calicanto, venni a conoscenza che si stava cercando di esportare l’esperienza dell’integrazione nel campo della musica, proposi al Consi-glio Direttivo del mio Rotary Club di attivare un service a favore di questa iniziativa in sinergia con il Rotary Distretto 2060 zona 12 Italia Nord Est. La proposta fu subito accolta positivamente e determinò l’inizio di una collaborazione del Rotary Club con la Calicanto Band che ha portato i giovani artisti a esibirsi in diversi eventi ed appuntamenti organiz-zati dal Club”.“Uno dei meriti di Calicanto è quello di mettere i ragazzi in condizione di compiere delle scelte autonome e consapevoli. Rientra tutto in un percorso educativo che ha l’obiettivo di renderli liberi e responsabili. Proprio in quest’ottica, il fatto che momentaneamente Piero abbia deciso di sospendere la partecipazione alle attività, è vissuto da noi genitori come estrema naturalezza e non toglie nulla alla bellezza di tutto quello che abbiamo sperimentato, né diminuisce la gratitu-dine nei confronti di tutto lo staff di Calicanto. E’ un gruppo di ragazzi estremamente in gamba, ho il ricordo di persone veramente squisite con Piero, disinteressate e disponibili, ispirate e guidate da un grande condottiero: Elena.”

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La famiglia Perelli

Tra tutti gli sportivi, i velisti sono un gruppo peculiare. Nella loro disciplina c’è una componente dominante,

imponderabile, che l’atleta deve conoscere a fondo e non sottovalutare: la forza del mare e del vento. Questo aspetto, insieme al fatto di poter passare notti stellate in solitudine al timone a riflettere sulla vita e le sue problematiche, li rende particolarmente attenti e sensibili ai bisogni umani. Pietro Perelli non fa eccezione, anzi. Ingegnere edile, Project Ma-nager del prestigioso progetto di riqualificazione urbana di Porta Nuova a Milano, è di famiglia triestina. Ha studiato all’università di Trieste ed abita nel capoluogo lombardo con la moglie Alessandra ed i due figli Maria di tredici anni ed Emanuele di dieci. La passione per la vela lo fa tornare a Barcola per regatare a bordo di un UFO28 di nome “Go-ofy!”. Uno di questi appuntamenti è la regata “Sailing for Children”, una manifestazione di beneficienza a favore delle associazioni ASD Calicanto ONLUS, Azzurra Associazio-ne Malattie Rare ONLUS e la Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin. Proprio questa è stata l’occasione per venire a contatto con la realtà di Calicanto.“Parto da lontano - esordisce Pietro Perelli - C’è una bella tradizione nel sodalizio dei velisti triestini. Quando da pic-coli ci accostavamo a questo sport, i maestri di quarant’an-ni anni fa, come Diego Paoletti e Mauro Pelaschier, in una giornata di bora qualunque, ci portavano in mare con loro. La gratitudine per quest’esperienza educativa unica mi ha sempre fatto pensare di volerla restituire ad altri ragazzi una volta adulto. L’incontro con Calicanto mi ha dato la possibi-lità di realizzare la restituzione in un modo ancor più bello: Davide e i ragazzi di Calicanto sono saliti a bordo con noi e

assieme ai nostri figli abbiamo sperimentato la bellezza e la ricchezza dello sport integrato”.“La filosofia di Calicanto è in speciale armonia con gli ideali miei e della mia famiglia: Calicanto insegna ad affrontare la realtà per quello che è, in tutta la sua orizzontalità e la sua verticalità. Uso questi termini un po’ da ingegnere, in-tendendo per verticalità la capacità di pensiero necessaria per comprendere la vita e per orizzontalità la capacità di relazione tra le persone per poter vivere in sintonia tra loro e in arricchimento reciproco. Alla regata Sailing for Children, insieme a Davide, sono componenti fissi dell’equipaggio an-che Stefania, una gioiosa ed entusiasta istruttrice di nuoto e Nicolò, un giovane atleta di spicco della pallavolo triestina, splendidi ragazzi che scelgono di impiegare una parte del loro tempo libero condividendolo con i loro amici di Ca-licanto. Assieme a Davide e ai ragazzi di Calicanto sono davvero dei modelli meravigliosi per i nostri figli.”“Il merito di Calicanto - dice Alessandra - è quello di aver messo in contatto due mondi che altrimenti potrebbero viaggiare paralleli, senza incontrarsi mai. Basta veramente poco per avvicinarli, la vela è un mezzo per comunicare. La bellezza del progetto l’ho vista negli occhi dei ragazzi, che brillavano di entusiasmo quando hanno chiesto di aderire”.La passione per Calicanto ha contagiato anche Maria ed Emanuele. Ne hanno parlato a scuola con i loro compagni e così lo sport integrato è approdato a Milano. Partecipare alla regata Sailing for Children è diventato per loro un ap-puntamento irrinunciabile. Non vedono l’ora di partire tutti assieme per Trieste, di dormire all’ostello di Grignano, di navigare, pranzare e cenare tutti assieme all’insegna dell’a-micizia.

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“Ho fatto quattro volte la ‘Sailing for Children’ - dice Ma-ria. - Lo sport integrato mi è piaciuto subito, è qualcosa di nuovo. Quest’anno ho invitato a Trieste i miei quattro migliori amici perché volevo condividere con loro uno dei miei appuntamenti preferiti. Ero sicura che sarebbe piaciuto anche a loro. A giugno hanno conosciuto tutto il gruppo e adesso, quando parto per Trieste, mi chiedono di salutare Davide e tutti gli altri”. Per Emanuele “è stata la prima re-gata con papà ma soprattutto una splendida occasione per creare amicizie spontanee e profonde nonostante la distan-za”.E il nome della barca, che piace tanto ai ragazzi di Cali-canto, come è stato scelto? “Abbiamo fatto una votazione tra cugini - spiegano i ragazzi - Sono stati proposti tre nomi e abbiamo scelto Goofy!”. Ma perché c’è il punto esclamativo? “Perché Goofy è un entusiasta!”

La famiglia Persico

La famiglia Persico vive da pochi anni l’esperienza di Calicanto, dove Davide svolge l’attività di basket in-

tegrato. “Ora - spiega Davide - sono al quinto anno dell’in-dirizzo economico-sociale. Quando sono andato in palestra per la prima volta, quattro anni fa, ho incontrato la professo-ressa Gianello che mi ha detto ‘vieni alla Calicanto?’, così ho iniziato a giocare a basket e poi ho partecipato a moltissime iniziative. Ho incontrato Jovanotti e gli ho dato un regalo, vado a vedere le partite di basket dell’Alma con papà, vado al cinema e a teatro con gli amici dell’associazione”. “Siamo rimasti subito colpiti dalla naturalezza e dall’affetto sincero

di tutti i ragazzi che frequentano l’associazione” aggiunge mamma Elena.“A settembre, quando riprendono le attività e accompagno Davide al primo allenamento, è un po’ come tornare a casa”. Ilaria, sorella maggiore di Davide, frequen-ta il terzo anno del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche all’Università di Trieste. Ha partecipato anche lei, per qualche tempo, alle attività di Calicanto come vo-lontaria. “Una volta che si entra a far parte dell’associazione ci si continua a sentire parte di quel gruppo anche quando si interrompe il servizio, come è capitato a me quando ho iniziato l’università. Per fare un esempio, quando lo scorso anno era il momento di fare una foto di gruppo, la prof. Gianello mi ha presa per un braccio dicendomi: “Vieni, sei anche tu di Calicanto!”. Alcuni amici che ho fatto avvicinare all’Associazione mi hanno confidato: ‘Ci hai fatto conosce-re l’altra faccia della normalità’”. “Elena Gianello – dichia-ra la mamma di Davide - ha creato un’équipe veramente unita pur con tanti caratteri diversi. Sono tutti bravissimi ma quando arriva lei c’è sempre quel guizzo in più. Ricor-do che una volta c’era una ragazza autistica che non dava assolutamente ascolto alle educatrici. A un certo punto è arrivata Elena e l’ha invitata ad andare a giocare: la ragaz-zina si è sbloccata senza il minimo problema... penso che la professoressa abbia un talento naturale nel coinvolgere le persone”.Conclude il papà di Davide dicendo: “Quello di Calicanto è un modello che funziona per tutte le diversità, anche culturali come dimostra l’esperienza di Monfalcone, dove la Calicanto fa fare sport insieme ai ragazzi di tante nazionalità e religioni. Lì si gioca con il velo, senza velo, non importa: nello sport siamo tutti uguali. Le regole in questo caso uniscono anziché dividere”.

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IL MONDO DELLO SPORT

Mario Ghiacci

Elena Gianello mi chiese un appuntamento per parlar-mi del suo progetto sportivo per persone disabili. In

quel periodo - era l’inizio degli anni 2000 - ero impegna-tissimo a rilevare la gestione della pallacanestro Trieste. Ci demmo appuntamento nella sede della società. Io mi pre-sentai con un preventivo per le carrozzine per il basket pa-ralimpico, una realtà che avevo conosciuto a Reggio Emilia. Quando glielo presentai vidi che era rimasta un po’ perples-sa, poi mi disse: ‘i miei disabili non sono quelli’. “Parla tu’ - replicai. Così vediamo come posso aiutarti”. Lei mi spiegò il lavoro che stava facendo e mi chiese di mandare qualche giocatore ad allenarsi con i suoi ragazzi. Aderimmo subito”. “Tutti gli atleti a cui ancora oggi faccio questa proposta ne restano entusiasti. Vanno volentieri al Palachiarbola. Dare qualcosa alle persone disabili è un momento di crescita ed anche di divertimento. In questo modo si aprono al mondo. È quando si conosce questa realtà che ci si rende conto di essere fortunatissimi e che rendendosi disponibili per qual-che ora al giorno si dà davvero tanto, ma si riceve ancora di più”.“L’evento più entusiasmante fu il primo torneo di basket integrato svoltosi nel 2001. I ragazzi del Polo Spor-tivo avevano acquisito le basi della pallacanestro ed era un piacere vederli in campo. Aver realizzato questo risultato in così breve tempo fu una grande soddisfazione.”“Elena ha un grande cuore e una forza trascinante, crede in quello che fa. È una di quelle persone che vanno appoggiate, perché quello della disabilità è un mondo in cui tutti parla-no e pochi fanno”.

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team manager della Triestina mi chiamò e mi disse: ‘ guarda Michael, se ti va, c’è una proposta molto interessante, cono-scendoti penso che ti possa piacere’. Incuriosito, il venerdì successivo andai al palazzetto e da quel giorno venni travol-to da quest’esperienza bellissima che mi ha aperto il cuore in due”. “La partita di campionato si giocava di sabato ma l’appuntamento del venerdì era per me altrettanto impor-tante. Mi divertiva, mi dava soddisfazione, e l’armonia che si respirava al Palachiarbola la ricordo ancora a distanza di anni”.“In due anni ho visto i ragazzi fare progressi tali che, se qual-cuno me lo avesse raccontato prima, non ci avrei creduto”. Tornato a Trieste dopo la parentesi al Sassuolo e a Foggia, il campione bergamasco fu felice di riprendere la sua colla-borazione con il Polo, che nel frattempo era divenuto ASD Calicanto: “Ho capito che il calcio riesce a smuovere emo-zioni incredibili, è un mezzo di comunicazione pazzesco. Mi sono reso conto della fortuna che ho avuto nell’incontrare il progetto di Calicanto e condividere con i suoi giovani at-leti le stesse gioie ed emozioni per un goal segnato o una vittoria. Con un progetto nato semplicemente con un ‘dai, proviamoci!’ Calicanto ha dato vita a qualcosa di straordi-nario. La sua fama è arrivata anche a Cagliari, a 1000 km di distanza sanno quello che si fa a Trieste”. “L’insegnamento che ho tratto dall’esperienza è che se metti un passo davanti all’altro, ammodo, con un’idea giusta in testa, puoi fare cose straordinarie per gli altri e per te stesso”.

Francesco Candussi

Avevo iniziato a collaborare semplicemente perché si trattava di un’iniziativa della società - racconta

il cestista Francesco Candussi, che ora gioca in Lega A2 a Mantova. - Non pensavo che sarebbe diventata un’attivi-tà così coinvolgente. A poco a poco l’idea dell’integrazio-ne attraverso lo sport mi ha conquistato: cercavo di essere presente ai mercoledì della Calicanto ogni volta che pote-vo. Mi sono reso conto che nel dare il mio tempo ricevevo anche tantissimo dai ragazzi. Mi hanno insegnato qualcosa che normalmente si dà per scontato ma non lo è affatto: un sorriso, un abbraccio, ogni piccolo gesto, con loro, diventava straordinario. Quella con Calicanto è stata una delle mie esperienze più significative: ho capito che condividere gioia e divertimento non è banale. È un insegnamento che mi porto dietro non solo nella pallacanestro ma in tutta la vita”. “Al di là del risultato atletico - riflette Francesco - ci si rende conto che lo sport è importante come momento di socializ-zazione e relazione. Credo che l’esperienza dell’integrazione andrebbe diffusa in ogni ambito della vita dei giovani”.

Michael Agazzi

Portiere della U.S. Triestina Calcio nelle stagioni sportive 2004-2006 e 2008-2010, oggi in forza al

Cesena, Michael Agazzi è stato uno dei primi campioni del calcio a partecipare alle attività del Polo Sportivo. “Avevo una ventina d’anni, ero giovanissimo - racconta Agazzi. - Il

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Calicanto ONLUS. Questa trasformazione, tra l’altro, la rese più aderente alle qualità richieste dal mondo imprendi-toriale e quindi più spendibili di fronte ai vertici industriali in occasione delle richieste di finanziamento .Il crescente affetto per I ragazzi di Calicanto e la sincera sti-ma che mi lega ad Elena mi fecero accettare, nel 2010, l’in-vito ad entrare a far parte del consiglio direttivo con l’idea che, partecipare alla vita dell’associazione dall’interno fosse più utile e produttivo che appoggiarla dall’esterno”.

IL MONDO DELLE AZIENDE

Anna Illy

Agli inizi degli anni 2000, quando Elena cominciò ad affacciarsi al mondo dell’imprenditoria triestina per

cercare sostegno a favore dell’associazione sportiva, ricopri-vo il ruolo di presidente dell’Associazione Industriali. Non ci conoscevamo, ma, durante il primo incontro, iniziammo subito una simpatica conversazione tra donne. Parlammo dei figli, dei giovani, di quanto fosse difficile e complesso educare oggi i futuri protagonisti e fautori della società del domani”.”L’idea dello sport integrato, con la sua valenza sociale ed educativa, mi piacque immediatamente e la trovai originale rispetto ad un approccio tradizionale alla disabilità che si basava essenzialmente su di un intervento assistenzialistico. Decisi d’istinto di adoperarmi per aiutare questa iniziati-va, cercando di mettere in contatto Elena con i responsabili delle più rilevanti realtà industriali ed economiche della cit-tà. Il risultato fu incoraggiante. Anche grazie alla serietà ed alla professionalità dimostrata dall’associazione e dai suoi vertici, aziende importanti come SIOT, Modiano, Pacori-ni, Wärtsilä e realtà finanziarie come Fondazione CRTrie-ste, Assicurazioni Generali, si fecero promotrici dello sport educativo integrato, contribuendo al finanziamento delle attività e consentendo all’ampliamento dell’offerta e il coin-volgimento di un sempre maggior numero di giovani”.“Vedendo crescere così rapidamente questo movimento, consigliai di intraprendere il percorso affinché all’associa-zione venisse riconosciuto lo status di ONLUS, cosa che avvenne nel 2008 quando la denominazione diventò ASD

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to fare scelte mirate nelle ristrutturazioni del nostro albergo, con una particolare attenzione all’abbattimento delle barrie-re architettoniche ed alle necessità degli ospiti con bisogni speciali, e questo ha migliorato la qualità della nostra offerta anche nei confronti della clientela più anziana.”Andrea Cella, laureato in scienze motorie e maestro di sci, è specializzato nell’insegnamento di questa disciplina alle persone non vedenti. “Ci sono due diverse modalità di guida nei confronti del-lo sciatore con difficoltà visive – spiega- se si tratta di una persona ipo-vedente può seguire l’ombra del maestro che lo precede, mentre si usano segnali sonori vocali se la cecità è totale. Grazie alla mia esperienza trascorsa sia come vo-lontario in una comunità di persone con difficoltà motorie sia come mastro di sci paralimpico, mi è stato subito facile creare un buon feeling con i ragazzi del Polo Sportivo. Con la collaborazione della Scuola di Sci abbiamo studiato slitte speciali per i ragazzi con difficoltà motorie dotate di diverse modalità di guida ed attualmente grazie ai tapis – roulant installati sui campi scuola, tutti possono provare la sensa-zione dello sci da discesa. Abbiamo ottenuto risultati entu-siasmanti. Elisabetta è diventata una sciatrice di buon livello ed è in grado di affrontare in sicurezza anche le impegnative discese dal monte Varmost”.“Naturalmente ai nostri giovani ospiti non offriamo solo la pratica dello sci, durante i loro soggiorni sperimentano camminate con le ciaspole nel bosco, giocano in palestra, si rilassano in piscina e, non ultimo, si scatenano in allegre serate danzanti dove lo spirito e la sostanza dell’integrazio-ne trovano la loro più genuina e spontanea manifestazione.”

Hotel Posta

Per i ragazzi e lo staff di Calicanto la “casa in monta-gna” si identifica con l’Hotel Posta di Forni di Sopra.

Questa struttura, che ogni anno si ripropone ai suoi ospi-ti con novità e migliorie sempre apprezzate, è gestita con garbo ed attenzione da Francesca Comis, che continua la tradizione di famiglia del compianto papà Valentino, e da suo marito Andrea Cella, istrionico pilastro della scuola di sci ed animatore di tante iniziative e serate piene di allegria. Le prime settimane bianche integrate del Liceo Carducci a Forni di Sopra, risalgono all’ormai lontano 1999 e, grazie alla favorevole accoglienza ottenuta ed al gradimento dimo-strato dai partecipanti, hanno favorito l’ampliarsi delle pro-poste residenziali in ambito montano anche in altri periodi dell’anno. “Fin dal primo incontro con Elena – esordisce Francesca Comis – si è sviluppata tra noi una naturale sintonia. Ci in-contrammo per definire i particolari del soggiorno neve che il suo Istituto intendeva organizzare nella nostra località; poiché la situazione era nuova e richiedeva, naturalmente, particolare attenzione alle esigenze di un gruppo di studenti così eterogeneo. Fu subito evidente che ogni problema che si presentava e ogni richiesta che veniva avanzata, trovava una risposta immediata ed esauriente, con una coincidenza di vedute spontanea che ci rendeva facile il lavorare insie-me. I ragazzi del Polo Sportivo e di Calicanto, poi, si sono comportati in modo molto corretto e collaborativo, favoren-do l’instaurarsi di un clima sereno ed affettuoso con noi, il personale dell’albergo e tutta la comunità di Forni. Anche grazie all’esperienza maturata in questi anni abbiamo potu-

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GLI AMICI DI CALICANTO

Micol Brusaferro

Coraggio, innovazione, semplicità”, descriverei con queste parole chiave l’impressione che ho avu-

to quando ho conosciuto Elena oltre dieci anni fa. Come giornalista dell’emittente televisiva locale mi sono avvicinata inizialmente per lavoro alla Calicanto, scoprendo un mon-do che non può lasciarti indifferente. Negli ultimi anni ho voluto dare il mio contributo volontario, attraverso le mie competenze, perché credo fortemente  in questo progetto e nei giovani che ne fanno parte.Dico coraggio perché gli ostacoli erano e sono tanti, Elena ha sempre lottato contro barriere e pregiudizi che toccano ancora il mondo della disabilità, ma che lei ha saputo abbat-tere, uno dopo l’altro, inesorabilmente.Innovazione perché Elena ha introdotto qualcosa che prima non esisteva in Italia, lo sport integrato, pioniera di un modo di vivere che punta a eliminare qualsiasi tipo di “differenza”, sia fisica, mentale o di etnia, cultura, colore, tra persone che, nello sport, nel lavoro e nel tempo libero di Calicanto, sono tutti uguali. Semplicità perché Elena ha fatto tanto, tantissimo in questi anni per centinaia di ragazzi, mantenendo quella semplicità che la contraddistingue e che è una delle qualità miglio-ri che una persona possa conservare, mettendo sempre in primo piano quei ragazzi che, grazie ai suoi insegnamenti, saranno il futuro della Calicanto e la società del domani.

Roberta Scarafile

La “illycaffè” è un’azienda presente nel campo della promozione sociale, non solo a livello internazionale

attraverso le collaborazioni con i produttori di caffè a favore della sostenibilità, ma anche in ambito locale aderendo ad iniziative meritevoli di supporto. Una di queste è Calicanto e Roberta Scarafile è la persona che si occupa di tessere i legami tra l’azienda e gli ambiti sociali. “Ho sempre avu-to, sin da ragazza, la voglia di dedicarmi agli altri, di non ignorare la diversità e di porgere una mano ai più debo-li. Una vocazione che poi ho avuto la fortuna di esprimere grazie proprio al mio lavoro. Entrando in contatto con la Fondazione Bambini d’Emergenza ho avuto la fortuna di conoscere Mino D’Amato, che era già in contatto con la nostra azienda. É iniziato un bellissimo rapporto di ami-cizia e di collaborazione, che mi ha portato più volte dai bambini di Singureni e che ha coinvolto anche molti miei colleghi. Da quel momento sono iniziate anche altre attività di volontariato con la partecipazione di altri collaboratori e oggi sono sempre più certa che l’arricchimento di se stessi attraverso delle azioni che tolgono disagio e regalano dei sorrisi sia impagabile”. “L’incontro con Elena e la Calicanto è avvenuto grazie alla sig.ra Anna Illy e ad una richiesta di supporto all’associazione. In quel momento e dopo aver co-nosciuto i meravigliosi ragazzi di Calicanto, pensai a come potevo rendermi utile. Ci volle poco per mettere a disposi-zione della loro struttura una macchina semiprofessionale che avrebbe dato la possibilità di bere un ottimo espresso durante la pausa caffè ma, soprattutto, sarebbe diventata l’amica inseparabile dello splendido Andrea. Oltre a questo

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il suo utilizzo avrebbe consentito facili e utili esercizi per il miglioramento della manualità. Da quel momento le nostre strade si sono unite, la nostra voglia di fare si concretizzò con la nascita di un evento unico nel suo genere, un tor-neo di pallavolo integrata: il ‘Memorial Andrea e France-sco’. L’iniziativa piacque e in breve la nostra azienda e molte altre realtà locali e della Regione FVG vennero coinvolte nell’evento. Un impegno che, nel caso del mio collega Fabio Bratos, non si limitò al gioco, ma lo spinse a partecipare alle attività dell’associazione come volontario e ad organizzare un altro bellissimo evento, un torneo di pallacanestro inte-grata tra rappresentative aziendali”. “Ignorare i più deboli ti toglie la possibilità di arricchire il tuo cuore con le pre-ziosità di chi è unico e diverso dagli altri. Per me è una cura dell’anima e non potrei mai fare a meno dei miei amici della Calicanto, che mi regalano sempre enormi emozioni”. “Ele-na è una portatrice sana di energia, a tutti i livelli. Invoglia a fare. Per quanto mi riguarda, il valore che apprezzo di più in Calicanto è il supporto dato alle famiglie, comprendendo che la grande sofferenza si trova soprattutto nel cuore di chi vive la diversità di un suo caro. Elena ha avuto il gran cuore di pensare alla sofferenza a 360 gradi e ha avuto il coraggio di affrontare qualcosa che le istituzioni, quasi sempre, igno-rano”.

Francesco Russo

Francesco Russo, docente di Storia della Pedagogia presso l’Università di Udine e Senatore della Repub-

blica, attualmente impegnato come relatore alla 1ª Com-missione permanente (Affari Costituzionali) sul DDL “Riconoscimento della lingua italiana dei segni”, è l’autore di “Folli, Guerrieri e Custodi del fuoco - Sei storie per la Trieste che cambia”, un libro-inchiesta pubblicato nel 2012 per raccontare “donne e uomini normalmente speciali” le cui storie di successo sono cresciute in una “Trieste che non ti aspetti”. Una delle protagoniste del racconto è Elena Gia-nello. “È stato un approccio complesso - ricorda Russo con un sorriso. - Non la conoscevo e l’ho cercata perché sta-vo pensando di mettere insieme un racconto alternativo su Trieste. Lei, come gli altri testimoni che avevo scelto, ha precise caratteristiche: guardare lontano, saper andare oltre gli schemi e raggiungere l’eccellenza nel proprio campo con uno sguardo un po’ folle e un pensiero non ordinario, gio-cando sul valore della squadra”. “Ci siamo incontrati in un bar - prosegue il senatore – ed ho un po’ faticato per superare la diffidenza che una persona impegnata nel concreto prova nei confronti della politica, poi, proseguendo la conversa-zione, ci siamo trovati concordi sul piano dell’educazione. La sfida educativa è un grande tema della nostra società. È uno snodo decisivo in cui entrambi siamo in prima linea come docenti. Parlando con lei ho approfondito meglio chi fosse, come fosse cresciuta nella consapevolezza del servizio che è chiamata a svolgere. Uno dei suoi impegni è quello di far superare alle persone ‘abili’ la loro paura. Un aspetto che ritrovai in me giovane, quando prestai servizio civile in

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psichiatria. In quegli ambienti avevo vissuto un momento educativo forte ed avevo realizzato che chi si avvantaggia, in tali situazioni, è la persona “normale”.“Calicanto è un laboratorio nel quale si realizza un pezzo di ‘comunità ideale’, in cui non solo nessuno resta indietro ma ciascuno ha il suo posto. Calicanto dà l’idea di un mondo possibile, un piccolo mondo che, se replicato su larga scala, darebbe all’integrazione un senso più alto, ovvero non solo stare insieme ma esprimere il meglio di se stessi”. La poli-tica dovrebbe aiutare chi intraprende iniziative come quella di Elena Gianello, poiché crea dei progetti che fanno cresce-re la società, dando luogo ad un effetto moltiplicativo”. “In Italia, ed in particolare a Trieste, iniziamo a considerare una realtà come lo sport integrato normale, ma dovremmo fer-marci a riflettere sul fatto che simili esperienze vengano rea-lizzate in ambito scolastico ed essere giustamente orgogliosi della scuola italiana. Occupandomi di storia della pedagogia comparata rilevo che ancora oggi ci sono Paesi, anche mol-to avanzati in altri campi, che in questo non hanno rag-giunto il nostro livello, mantenendo nel loro ordinamento scolastico le classi differenziali. In Italia la scuola pubblica è davvero per tutti. Il pregio di Elena è stato quello di aver portato a compimento, nella prassi, il dettato legislativo. Ha reso effettivo un diritto costituzionale”. “I ragazzi disabili di Calicanto, non solo sono ‘ammessi’ nel mondo sportivo, ma all’interno di esso non sono isolati tra loro ma valorizzati ed inclusi. Non è casuale che l’associazione sia nata a Trieste: l’esperienza basagliana ci ha educati a considerare la di-versità protagonista della realtà e non segregata, con tutte le fatiche del caso”. “Anche nelle ultime chiacchierate con Elena è emerso che, nel tema della diversità, è racchiuso

quello dell’accoglienza, ora di grande attualità. Aver dato una coloritura positiva riguardo all’integrazione è un gran-de regalo che Elena ha fatto alla città e non solo. Ha ideato un metodo che può essere esteso a tutte le diversità. Conta ciò che si fa e come lo si fa: il suo è un esempio concreto e percorribile messo in atto in maniera ‘filantropica’ e con un valore aggiunto che davvero ci ‘regaliamo’, cioè un momen-to di crescita per chiunque. Superare le difficoltà che tutti possiamo incontrare nell’affrontare un dialogo tra diversi fa crescere e ci fa vivere meglio. Chiudersi in un guscio ed avere la paura, invece, ci fa stare male. La politica, soprattut-to al livello delle comunità locali, dovrebbe proporsi come compito quello di offrire la migliore qualità di relazione possibile nel contesto sociale. In questo senso vedo in Elena una precorritrice dei tempi, una vera animatrice di comuni-tà, community manager direbbero negli USA, come lo era Barack Obama prima di essere eletto presidente, ovvero una persona che chiede alle amministrazioni ciò che è giusto”. “Tornando a Calicanto - conclude Francesco Russo - ogni volta che alle manifestazioni sportive o ad una festa dell’as-sociazione vedo l’umanità e l’armonia che c’è, alti, bassi, di colori e culture diverse, abili, disabili, nonni e nipoti, colle-ghi di destra e di sinistra, tutti insieme, in allegria, per me, teologicamente, quella è la realizzazione del Regno...”

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CONCLUSIONI

Con la stesura di questo libro ho voluto racconta-re la genesi e la breve storia dello sport educativo

integrato. Una realtà che, nata quasi per caso da un’idea e dalla necessità di superare una situazione penalizzante per i giovani disabili, ha saputo crescere e diffondersi contami-nando la sensibilità di tanti e facendo nascere realtà simili, per quanto autonome, un po’ in tutta Italia.Sebbene il percorso di questa nuova cultura e concezione dello sport sia relativamente breve e non possa avvalersi di una lettura scientifica approfondita, la sua diffusione è stata così ampia che si renderebbe necessario redigere un registro unico di regolamenti ed attività il più possibile vicini alle realtà sportive esistenti. Dall’esperienza vissuta con i ragazzi in questi anni è emerso con innegabile evidenza che la pratica dello sport educati-vo integrato, attraverso la realizzazione dei sani valori dello sport che sono anche valori di vita, favorisce nei giovani sia abili che disabili il miglioramento delle capacità del “sapere” e del “saper fare”. Queste capacità vengono poi affiancate, sul piano emotivo e sociale, dal “saper essere” e “saper es-sere insieme” sintetizzandosi in un livello più elevato che prevede la competenza del “SAPER ESSERE E FARE INSIEME”. Attraverso l’esperienza del “saper fare insieme” i giovani che condividono la pratica dello sport integrato, sviluppano e interiorizzano idee e competenze trasversali trasferibili e spendibili in ogni ambito della vita di relazione facilitando l’evoluzione della loro personalità e valorizzando l’autonomia personale e la libertà nelle decisioni. Il principio di libertà nelle scelte personali è un aspetto “sa-

cro” nella filosofia di Calicanto e viene sempre evidenziato e considerato come valore centrale nella vita di ciascuno. Nel percorso di evoluzione e crescita di questi giovani le figure dell’adulto e dell’educatore devono essere autorevoli ma non invasive, volte a far individuare a ciascuno gli obiettivi che vuol raggiungere aiutandolo nel loro conseguimento ma, nel contempo, iniziando un percorso di autonomia che porti i ragazzi a saper essere consapevoli protagonisti delle loro scelte e delle loro decisioni. L’idea di poter trasferire l’espe-rienza del polo sportivo integrato al di fuori della scuola, si affacciò alla mia mente e cominciò a prendere forma al termine di una splendida giornata trascorsa sulle piste da sci di Ravascletto. Ero in auto sulla strada verso casa e, chiac-chierando, argomentavo sul fatto che una così bella iniziati-va non poteva rimanere rinchiusa tra le quattro pareti di un aula di psicomotricità, ma avrebbe dovuto aprirsi al mondo. “Se lo puoi sognare lo puoi anche fare”. Questa frase di Walt Disney rappresenta un po’ lo spirito che mi animava quando intrapresi questa avventura. Era un approccio nuovo al mondo della disabilità, per alcuni aspetti rivoluzionario, ma ero convinta che avrebbe portato grandi cambiamenti tra i giovani che avessero condiviso questa esperienza. Era veramente un sogno, ma era un bel sogno e valeva la pena provarci. Solo ora, riguardando indietro e rileggendo le tante testi-monianze raccolte in questo libro, mi rendo conto di quanto il percorso fatto abbia modificato la visione sulla vita di tan-te persone dai giovani agli adulti. Per ultimo non sarei sin-cera se dicessi che lo sport integrato e soprattutto Calicanto hanno cambiato anche la mia vita. Alle volte gli impegni che si moltiplicano e la fatica di seguire tutte le iniziative sem-

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bra che ti facciano soccombere e hai la sensazione di non potercela fare, ma poi, vedendo la bellezza dei giovani che insieme crescono e condividono le loro vite, ogni ostacolo si rimpicciolisce e la stanchezza lascia il posto ad un rinnovato entusiasmo perché il sogno, ancora una volta, fiorisce.

Elena Gianello

Summer Camp - Trieste - 2016

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La costruzione del progetto di vita della persona diversamente abile in ottica comunitaria. Rilettura di due esperienze del terzo settore con la diversabilità. Tesi di laurea in pedagogia spe-ciale di Gianluca Magnelli. Università degli Studi di Trie-ste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di laurea in Scienze del Servizio Sociale. AA 2007/2008 Rel. prof. Roberto Ambrosi

Sport educativo - integrato. La questione formativa tra educa-zione e allenamento. Tesi di laurea di Federica Lampugnani. Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano. Facoltà di Scienze della Formazione. Corso di laurea in Scienze dell’e-ducazione e della formazione. AA 2011/2012 Rel. prof.ssa Silvia Maggiolini

Sport integrato: il caso Calicanto Onlus. Tesi di laurea di Ga-briele Bradaschia. Università degli Studi di Trieste (Sede di Portogruaro), Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di laurea in Scienze dell’Educazione. AA 2014/2015 Rel. prof. ssa Elena Bortolotti

Riferimenti legislativi e istituzionali:

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Finito di stampare nel mese di novembre 2016presso lo Stabilimento Litostil® sas di Fagagna (Udine)


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