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PER XL SIGNORE - · PDF file4. M. Masini, Maria, «la ... della propria condizione di...

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======================== MEDITAZIONI BIBLICHE l. G. Saldarini - Le beatitudini evangeliche ai ed.) 2. B. Maggioni - Cristianesimo quotidiano 3. S. Cipriani -La preghiera nel Nuovo Testamento (IV ed.) -;!-. E. Ravarotto, R. Falsini, E. Lodi- La parola di Dio e il bat- tesimo 5. G. Ravasi - Costruì la casa sulla roccia 6. S. Cipriani-« Il seme è la Parola di Dio» 7. G. Ravasi- Voi siete miei amici 8. R. Falsini- Le parole« dure» del Vangelo 9. G. Ravasi- Ti amo, Signore, mia forza 10. G. Martin- Leggere la Scrittura come parola di Dio 11. D. Barsotti- Alla viglia dell'evento cristiano Nuova serie l. S. Cipriani -La Madonna, la donna, la Chiesa. Riflessioni biblico-teologiche sul« mistero» di Maria 2. B. Maggioni, Cristianesimo quotidiano (Il ed.) 3. M. Masini, La roccia e la sorgente. Lectio divina per giorni di deserto 4. M. Masini, Maria, «la Vergine dell'ascolto» 5. D. Lafranconi, La Sapienza maestra di vita 6. C. Rocchetta, «Per il Signore». La verginità consacrata nel- la prima lettera ai Corinti Edizioni O.R. - Via Necchi 2 - 20123 Milano Cari(()) R(())cccchcetta "PER XL SIGNORE" La verginità <C({))nsacrata nella prim_a lettera ai C({))rinti Milano 1996
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MEDITAZIONI BIBLICHE

l. G. Saldarini - Le beatitudini evangeliche ai ed.)

2. B. Maggioni - Cristianesimo quotidiano

3. S. Cipriani -La preghiera nel Nuovo Testamento (IV ed.)

-;!-. E. Ravarotto, R. Falsini, E. Lodi- La parola di Dio e il bat-tesimo

5. G. Ravasi - Costruì la casa sulla roccia

6. S. Cipriani-« Il seme è la Parola di Dio»

7. G. Ravasi- Voi siete miei amici

8. R. Falsini- Le parole« dure» del Vangelo

9. G. Ravasi- Ti amo, Signore, mia forza

10. G. Martin- Leggere la Scrittura come parola di Dio

11. D. Barsotti- Alla viglia dell'evento cristiano

Nuova serie

l. S. Cipriani -La Madonna, la donna, la Chiesa. Riflessioni biblico-teologiche sul« mistero» di Maria

2. B. Maggioni, Cristianesimo quotidiano (Il ed.)

3. M. Masini, La roccia e la sorgente. Lectio divina per giorni di deserto

4. M. Masini, Maria, «la Vergine dell'ascolto»

5. D. Lafranconi, La Sapienza maestra di vita

6. C. Rocchetta, «Per il Signore». La verginità consacrata nel­la prima lettera ai Corinti

Edizioni O.R. - Via Necchi 2 - 20123 Milano

Cari(()) R(())cccchcetta

"PER XL SIGNORE"

La verginità <C({))nsacrata nella prim_a lettera

ai C({))rinti

~ Milano 1996

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Nihil obstat

Proprietà letteraria riservata 1996

Sac. Franco Pizzagalli, Cens. Ecci.

IMPRIMATUR

in Curia Arch. Mediolanidie 20-11-1995 t Angelo Mascheroni, Vie. Ep.

ISBN 88-8053-036-4

INTRODUZIONE

LA VERGINITÀ PER IL REGNO: UN VALORE DA RISCOPRIRE

La verginità per il Regno rappresenta un carisma e una ~ forma di vita essenziale per l'esistenza della Chiesa e per la

sua missione nel mondo. La cultura odierna dominante tende ad ignorare o addirittura a gettare discredito su di essa, guardandola spesso con sospetto e ironia. Molti gio­vani sono perfino orientati dall'ambiente a vergognarsi della propria condizione di verginità, al punto da giungere ad inventare esperienze spregiudicate per non sembrare diversi dagli altri. Si richiede il coraggio, oggi più che mai, di annunciare la verginità consacrata come un valore posi­tivo, realizzante, che apre alle dimensioni più alte della persona umana e della sèssualità e si presenta al mondo come realtà-segno, profezia-vivente, del «già» e «non an­cora» del Regno di Dio inaugurato dal Signore risorto.

Il problema della riscoperta della verginità non è solo un dato di ordine culturale; esso si fa sentire, in diversi modi, all'interno della stessa comunità cristiana dove non man­cano voci contrastanti o addirittura contrarie a questa for­ma di vita. Appoggiandosi ad argomentazioni di diversa estrazione, c'è perfino chi arriva a sostenere la tesi secon­do cui la scelta del celibato non permetterebbe un sano, equilibrato e completo sviluppo della persona, e èondur­rebbe quindi a forme di immaturità psicologica o affettiva. Occorre subito dire che un simile modo di pensare non ha alcun valore scientifico; esso tuttavia non va neppure li-

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quidato con una battuta o con una semplice alzata di spal­le. L'obiezione ha il carattere di una sfida. Se non è asso­lutamente condivisibile l'idea che la scelta della castità . possa nuocere alla persona umana, alla sua fisicità o alla sua unità psico-somatica, è tuttavia vero che essa può in-durre a comportamenti negativi quando - e solo quando - non sia adeguatamente motivata o non sia vissuta nel suo più autentico significato come vocazione al dono e al­l'accoglienza nella sequela totale di Cristo, in una dimen­sione di libertà e in una risposta gioiosa e piena di amore all'Amore di Dio.

La questione, di conseguenza, non sta nel negare il valo­re della verginità per il Regno, ma nel verificare come essa sia assunta e realizzata nel vissuto concreto dell'esistenza delle persone consacr&te.·

La castità:

- può divent&re «fonte di una più ricca fecondità in un cuore indiviso», come recita il Codice di Diritto Canonico· (can. 599), oppure origine di disadattamento e perfino di nevrosi, quando non sia compresa in modo adeguato;

--' può costituire una sorgente di straordinaria ricchezza interiore e di oblazione di sé, forma di «un positivo inve­stimento del cuore», oppure causa di isolamento, di ag­gressività, di rigidità, di razionalizzazioni o di ricerca di compensazioni di vario genere.

Tutto dipende da come è realizzata. Meditare su questo tema è dunque riflettere su ciò che è più caro alle persone consacrate: la piena attuazione della loro identità vocazio­nale nella risposta all'appello di Dio e l'integra realizzazio­ne della loro stessa realtà umana. Lo studio che presentia­mo intende porre di fronte a questo fondamentale valore, da riscoprire e da vivere come un carisma sempre nuovo e

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forma di vita dinamica, come l'esperienza di un innamora­mento che si reinventa di continuo in modo unico e irripe­tibile .

Allo scopo di introdurci nell'argomento può essere utile offrire una duplice contestualizzazione; - dare uno sguardo alla verginità consacrata nella rivela­zione biblica,

- inquadrare il testo-base della nostra proposta tematica, · la prima lettera ai Corinti.

LA VERGINITÀ NELLA RNELAZIONE BIBLICA

L'A T, per principio, è contrario alla scelta della vergini­tà. L'idea di un uomo o di una donna che rinunciano a formarsi una famiglia e ad avere figli è radicalmente estra­nea alla cultura ebraica più antica. Il comando rivolto da Dio alla prima coppia e rinnovato a Noè e ai suoi figli («Siate fecondi e moltiplicatevi», Gn 1, 28 e 9, 1.7) domi­na e determina in profondità la mentalità vetero-testamen­taria, tanto più quando viene collegato alla promessa di una posterità numerosa e al compimento dei tempi mes­sianici. L'ideale del pio israelita è il matrimonio, possibil­mente ricco di figli e fecondo (Sal127, 3-5; 128, 1-3). La conseguenza di questo ideale è duplice:

- da una parte la disistima sociale e perfino il disprezzo verso una moglie sterile (Gn 16, 4; 30, 1-2; Sam 1, 5-18; Is 4, 1);

- dall'altra la visione negativa e il rifiuto della verginità come tale (emblematico è il racconto della figlia di lefte ri­portato in Gdc 11, 34-40).

L'unico pregio della verginità - intesa come integrità fi-

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sica e solo in riferimento alla donna - deriva dal fatto di rappresentare uno stato preparatorio al matrimonio. Per­dere la verginità prima di sposarsi è considerato general­mente come un male da condannare e, se c'è stata una violenza, da riparare (Gn 34; Es 22, 15-16; Dt 22, 14-21.28-29; Sam 13, 11-19). La dottrina rabbinica rimane nella linea dell'AT; alcuni detti arrivano perfino a condan­nare chi non si sposa e non ha figli.

Due eccezioni, in questo contesto, risultano significati­ve: il caso di Geremia e la scelta celibataria degli esseni. In Ger 16, 1 ss. si legge che il Signore chiede al profeta di ri­manere celibe. Il significato di questo appello è chiara­mente simbolico, indirizzato cioè a fare dell'esistenza di Geremia un messaggio vivente per tutto il popolo: la sua solitudine deve costituire una metafora della solitudine che colpirà il paese di Giuda a causa della sua infedeltà. L'immagine di celibato che ne risulta è quella di una scelta in gran parte negativa, infelice, sia riguardo a Geremia che all'intero popolo. Diverso è il caso della comunità di Qumran. Collegandosi alle profezie dell'ultimo Isaia (Is 56, 3-5) e ad alcuni detti del libro della Sapienza (3, 13-14; 4,1), gli esseni scelgono volontariamente il celibato come forma stabile di vita e come segno di purificazione e di attesa dei tempi ultimi. I motivi che sembrano essere al­l' origine di una deliberazione tanto in contrasto con la re­ligiosità ebraica ufficiale sono almeno tre: - prepararsi ai tempi messianici, imitando i padri ai piedi del Sinai che evitarono per tre giorni ogni contatto sessua­le prima della rivelazione del Signore (Es 19, 15);

- considerarsi i veri sacerdoti di Israele in stato liturgico permanente e quindi con l'obbligo di osservare le regole imposte ai sacerdoti durante il servizio sacro (Lv 22, 4; Es 19, 21-25);

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- l'attesa del combattimento finale durante il quale, come nelle guerre sante d'Israele (Dt 23, 10), si richiedeva l'os­servanza di alcune prescrizioni rituali, compresa l'asten­sione da atti coniugali.

Letta in questa prospettiva, la scelta degli esseni è già una forma di preparazione alla novità del NT. Giovanni Battista deriva probabilmente la sua scelta celibataria da questo ambiente o comunque vi si collega, come l'ultimo ~ il più grande dei profeti che introduce direttamente Colui che doveva venire, il Messia· Salvatore.

I Vangeli non affermano niente, in modo diretto, sul ce­libato di Gesù. Il loro silenzio deve essere tuttavia inter­pretato come un'affermazione della sua condizione di celi­be, non il contrario. Una conferma viene dalla constata­zione che negli ·scritti neotestamentari, pur accennando spesso ai familiari di Gesù, non si riscontra mai un'allusio­ne ad una moglie o a dei figli (Mc 3, 31-32; 6, 3; Gv 6, 42; 7, 3; At 1, 14). Il Nazareno appare come un predica­tore itirterante che, libero da ogni legame (Mt 8, 19-20), nell'urgenza del Regno ormai presente, annuncia dovun­que l'avvento dei· tempi attesi e chiama alla fede e alla conversione. Quanto gli esseni attendevano e il Battista preannunciava come imminente è ormai giunto (Mc 1, 2-8.9-11). La sua è un'esistenza totalmente consacrata al servizio del Regno di Dio. çJ-esù non è un asceta isolato, ma un uomo che conosce la vita di paese e di lavoro, un Rabbì che vive le gioie dell'amicizia e dello stare con gli altri, senza speciali distinzioni di sessi (Mc 10, 13-15.21; Le 7, 37-50; 8, 2-3; Gv 4, 7-27; 11, 3.5.35-36; 13, 23). Ciò nonostante, di una sua compagna di vita, non c'è trac­cia. La scelta di Gesù risulta una deliberazione libera, det­tata dalla sua esplicita volontà di dedicarsi totalmente alla

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proclamazione della sovranità salvifica di Dio e alla realiz­zazione del progetto di amore del Padre in favore dell'u­manità. È per questo che è venuto, ed è per questo che va incontro agli eventi della passione e della morte (Mc 8, 31; 9, 30-32; 10, 32-34). La sua oblazione sulla croce è un atto di piena libertà (Gv 10, 18), in risposta alla volon­tà del Padre (Gv 4, 34), in omaggio alla sua gloria e per la salvezza del mondo (Gv 17).

Significativo è il detto di Mt 19, 10-12. Il termine «eu­nuco», che ne scandisce i passaggi, è un termine duro, non solo per i nostri orecchi, ma anche per quelli degli in­terlocutori del tempo. La parola aveva generalmente un connotato offensivo. Secondo la sentenza del Rabbì Elea­zar, infatti, «un uomo che non ha la sua donna non è nep­pure un uomo» 1 • A parere di diversi esegeti non è da escludere che l'uso di questo termine in bocca a Gesù sia dovuto al fatto che gli avversari lo avessero accusato di es­sere «un eunuco», non avendo· una propria moglie, allo stesso modo in cui lo avevano apostrofato di essere «Un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccato­ri» (M t 11, 19). Si avrebbe in tale ipotesi un'ulteriore con­ferma del suo celibato. Rispondendo all'obiezione tipica­mente giudaica di Pietro («Se questa è la condizione del­l'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi», v. 10), Gesù riprende l'accusa degli avversari, facendola sua, ma spiegando la in riferimento ad un' eunichìa assolutamente nuova, da comprendere come un dono particolare conces­so da Dio a coloro che vi sono chiamati («Non tutti posso­no capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso», v. 11). L'espressione «ai quali è stato concesso» (dédotm),

t Talmud Babil., fabamot 63.a.

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grammaticalmente, è «Un passivo d~vino», ut~liz~ato p~r evitare di pronunciare direttamente t1 nome di Dio, ~ si­gnifica: «coloro ai quali Dio lo ha concesso». Le motiva­zioni di questa scelta non possono essere di carattere uma­no o fisico ( « Vi sono eunuchi che sono nati così dal ventre della madre», v. 12a), sociale o culturale («Ve ne sono al­cuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini», v. 12b), ma solo di ordine teologico («E vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli», v. 12c). Il contenuto teolo­gico della motivazione è <;lato dalla categoria ~i «~egn? dei cieli» che in Matteo equivale a «Regno di Dio»: Il «per» (dia) suppone una valenza di determinazione causa­tiva: «a motivo di», «a,causa di».

La ragione del celibato è dunque di natura essenzial­mente escatologica: la presenza, ormai in atto con Gesù, del Regno di Dio. A differenza degli esseni, la scelta della verginità non orienta ad un'attesa futura, ma sgorga dalla novità dell'irruzione del Regno nella storia, come viene il­lustrato dallo stesso evangelista con le due parabole ge­melle sul tesoro del campo per il quale merita di vendere tutto «pieni di gioia» (13, 44) e sulla perla di grande valo: re che induce il mercante a disfarsi di tutte le altre, pur di comprarla (Mt 13, 45-46). Il Regno dei cieli, in tale pro­spettiva, non è semplicemente l'obiettivo finale, ma la ra­gione radicale e costitutiva che origina, determina e mo­della dall'interno la scelta dei discepoli di «farsi eunuchi». E dal momento che il Regno di Dio si identifica con Gesù, la sua predicazione e le sue opere, la motivazione assume un carattere fortemente cristocentrico. Solo coloro che en­trano nella comprensione del mistero del Regno inaugura­to dal Cristo sono in grado di capire questo dono. Un do­no che richiede una scelta volontaria, libera; infatti «è un farsi eunuchi per il Regno». È chiaro che, in questo ultimo

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caso, il termine «eunuco» assume un significato ben di­verso dai due usi precedenti: non rappresenta un dato di ordine semplicemente biologico o culturale, ma l'espres­sione di un atto morale, dettato da un contenuto teologi­CO, il Regno veniente di Dio. La pericope appare dunque chiara: farsi «eunuchi per il Regno» coincide con una pie­na condivisione del progetto vissuto dall'Unigenito incar­nato nella sua totale adesione al Padre; se sotto il profilo negativo, richiede un distacco e una totale libertà da tutto e da tutti e perfino da se stessi, sotto il profilo positivo im­plica la scelta radicale di seguire Gesù come il Maestro e il Signore che inaugura la sovranità salvante di Dio e chiama a divenirne testimoni nel mondo.

I detti di Gesù che, oltre a quello analizzato, si riferisco­no ad una scelta radicale di sequela Christi ed evocano il consiglio evangelico di verginità, sono molteplici. Ne ri­cordiamo due: Le 14, 26 e par.; Le 18, 29 e par.

Il primo:

«Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita non può essere mio discepolo».

Il secondo:

«In verità vi dico, non c'è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il Regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà».

In questi detti, come in altri, risuona l'assolutezza del­l'appellò di Gesù, che non ammette rinvii o tentennamen­

. ti. L'annuncio del Regno pone i credenti dinanzi ad una situazione escatologica nuova, impellente, di fronte a cui tutto passa in secondo piano. Nessun'altra realtà, neppure

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quella della famiglia, può porre condizioni o limiti al pri­mato del Regno. La stessa radicalità siritrova nei detti ri­portati in Le 9, 57-62. Non sono ammesse compromissio­ni o mezze vie. La vita dei discepoli, come quella di Gesù, dev'essere interamente consacrata al servizio missionario della sovranità salvifica di Dio ormai in atto, il suo Regno. Un testo di significato particolare per la verginità cristiana è quello di Le 20, 27-40 e par. che richiama la condizione escatologica dei risorti, i quali «Non prendono moglie, né marito, ma sono eguali agli angeli»; un testo che la tradi­zione cristiana ha ampiamente utilizzato per spiegare co­me Ja scelta della verginità consacrata collochi già nella realtà del Regno.

LA VERGINITÀ NELLA PRIMA LETTERA AI CORINTI

La prima lettera ai Corinti testimonia la verginità per il Signore come un dono dello Spirito, in parallelo al dono del matrimonio (7, 7), e la presenta come una scelta che anticipa i tempi futuri, offrendo - sia nel capitolo 7 che nell'insieme degli altri - fondamentali indicazioni sui con­tenuti di ordine cristologico, pneumatologico, ecclesiologi­co, teologale ed escatologico di questo «consiglio» (7, 25).

Paolo ha evangelizzato Corinto per oltre 18 mesi (A t 18, 1-18), dalla fine del so" al 52 durante il secondo viaggio missionario. Capitale dell'Acaia, Corinto era una delle principali città dell'Asia minore. «La sua felice posizione, a cavallo del Mar Ionio e del Mar Egeo, la rendeva un centro commerciale di prim'ordine, come il punto di in­contro tra i mercati dell'Europa, specialmente della Grecia e dell'Italia, e quelli dell'Asia. Tutto questo spiega la sua florida ricchezza, l'opulenta maestà delle sue costruzioni,

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fra cui l'Agorà, il tempio di Apollo in stile dorico, le splen­dide fontane di Glauke e Pirene, e la sua proverbiale cor­ruzione, favorita dal caotico cosmopolitismo dei suoi abi­tanti. . . Era molto indicativo e quasi simbolico il fatto che sull'Acrocorinto, una collina alta 575 m. e maestosamente dominante da Nord la città, s'innalzasse un celebre san­tuario dedicato ad Afrodite «Pandemos», in cui· veniva esercitata, come un rito religioso, la prostituzione sacra da oltre mille ierodule; in realtà c'era tutto un popolo prostra­to in adorazione alla dea della lussuria» 2 •

Fra tutte le comunità cristiane fondate da Paolo, la Chie­sa di Corinto o, come si esprime l'Apostolo, «la Chiesa di Dio che è in Corinto» (l Cor l, 2), rappresentava il suo vanto, il «sigillo» del suo apostolato (l Cor 9, 2), da difen­dere ad ogni costo (l Cor 9, 3). Motivo di consolazione, era al tempo stesso causa di continue preoccupazioni e di attenzioni vigilanti. La predicazione di Paolo aveva trovato terreno fertile soprattutto tra i ceti modesti della popola­zione (l Cor l, 26-28), provenienti per lo più dal mondo pagano. L'annuncio della fede in Cristo aveva prodotto se­gni di grande rinnovamento, ma permaneva costante la tentazione dell'antico spirito pagano con mescolanze cul­tuali ed etiche e «ritorni indiètro». L'incontro della giova­ne fede con le correnti di pensiero e le diverse religioni di Corinto, l'impatto con la corruzione morale e con il rilas­samento dei costumi della città, ponevano ai neofiti nume­rosi e delicati problemi. La prima lettera ai Corinti nasce entro questo contesto. Paolo la scrive nella pasqua del 57 (l Cor 5, 7 s.; 16, 5-9; At 19, 21) durante il suo soggior­no, di tre anni, a Efeso (54-57) nel suo terzo viaggio mis-

2 S. CIPRIANI, Le lettere di Paolo, Assisi 1963, p. l 02.

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sionario (At 19, l - 20, 1). Una delegazione di Corinto gli aveva portato alcune domande (16, 17), a cui si erano ag­giunte le informazioni ricevute tramite Apollo (At 18, 27 s.; l Cor 16, 12) e quelle della «gente di Cloe» (l Cor l, 11). L'intenzione dell'Apostolo, a differenza della lettera ai Romani, non è di offrire un testo di carattere sistematico, ma piuttosto di rispondere ai diversi argomenti concreti di cui è venuto a conoscenza e ai quesiti che gli sono stati po­sti, senz'altra preoccupazione che di evangelizzare e rimet­tere ordine nella comunità di Corinto. Nonostante ciò, la lettera non è priva di una sua organicità strutturale nella quale è possibile distinguere, oltre al preambolo contenen­te gli indirizzi e i ringraziamenti (l, 1-9) e alle raccoman­dazioni e ai saluti conclusivi (16), due parti essenziali: la prima, relativa alla correzione delle divisioni e degli scan­dali (1-6); la seconda riguardante la risposta ai quesiti e le linee disciplinari a cui attenersi ( 1-15):

Preambolo (l, 1-9) 1 a parte: Divisione e scandali

l . I gruppi della Chiesa di Corinto (l , l O - 4, 1-21) 2. Il caso di incesto (5, 1-13) 3. L'appello ai tribunali pagani (6, 1-11) 4. La fornicazione (6, 12-20)

2 a parte: Quesiti e disciplina l . Matrimonio e verginità 2. Carni immolate agli idoli (8-1 O) 3. Le assemblee liturgiche

a. Contegno delle donne (11, 2-16) b. La celebrazione della Cena del Signore (11 , l 7-

34) c. I carismi e la loro gerarchia (12 -14)

4. La risurrezione dei morti (15) Conclusione (16).

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Non è possibile, nell'ambito di questa pubblicazione, esaminare la totalità della lettera in una esegesi continua e ininterrotta. La lettura che proponiamo è piuttosto «a te­ma», con una selezione di pericopi subordinata all'interes­se che esse presentano per l'approfondimento del tema della verginità consacrata. Si cerca, in altre parole, di ela­borare una proposta organico-complessiva che sia in gra­do, per quanto possibile, di indicare le dimensioni fonda­mentali della verginità consacrata e di ripresentarle alla nostra riflessione in modo tale che dall'insieme possa emergere una sintesi sufficientemente completa, anche se non esaustiva.

Ogni singola proposta di meditazione è stata strutturata secondo il seguente schema che può rappresentare un in­dirizzo utile e pedagogicamente efficace nella misura in cui fa passare

dall'esegesi del testo (ascolto della Parola di Dio) all'approfondimento teologico al «pregare la Parola» all'attualizzazione e alla verifica.

Le meditazioni trovano così una forma di lectio divina, non riducibile ad una mera riflessione mentale, ma impli­cante la preghiera e il colloquio con Dio, secondo la più antica tradizione patristica e monastica:

«Cercate nella lettura, troverete con la meditazione, picchiate nella preghiera, entrerete nella contemplazione» 3 •

3 Lettera di Guido II il Certosino all'amico Gervasio; PL 184, 475-484.

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Gli antichi autori, come è noto; parlavano della rumina­fio Verbi, una «masticazione» della Parola di Dio in modo da farla risuonare dentro di noi in un clima contemplativo continuo e ininterrotto. Guglielmo de St Thierry così si esprime: «La lettura applicata (la (ruminatio') differisce dalla semplice lettura quanto l'amicizia differisce da un in­contro superficiale o quanto l'affetto profondo nato da fre­quenti contatti differisce da un saluto fortuito. Un passaggio della Scrittura va assimilato in profondità, va riportato alla memoria, deve essere oggetto di un 'incessante ruminazio­ne» 4 •

Aprire la Bibbia e leggerla, secondo san Girolamo, «è tendere le vele allo Spirito santo senza sapere a quali lidi approderemo» 5 • Non si deve infatti dimenticare che all'o­rigine e al centro di ogni lectio divina, si pone l'azione del­lo Spirito, «dovendo la Sacra Scrittura essere letta e inter­pretata con l'aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta» (DV 12). Uno Spirito che compie meraviglie, al di là delle nostre resistenze e delle nostre povertà, e ci conduce là dove Egli vuole che perveniamo. Per questo al cuore di ogni meditazione sulla Parola di Dio ci deve esse­re l'invocazione dello Spirito senza il quale nulla è possibi­le e nessuna conversione si compie.

4 Lettera d'ora; ML 180. 5 Su Ezechiele, 7, ML 25, 369 D.

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Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce. Vieni, padre dei poveri, vieni, datore dei doni, vieni, luce dei cuori. Consolatore perfetto; ospite dolce dell'anima, dolcissimo sollievo. Nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto, conforto. O luce beatissima, invadi nell'intimo il cuore dei tuoi fedeli.

Senza la tua forza, nulla è nell'uomo, nulla senza colpa. Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato. Dona ai tuoi fedeli che solo in te confidano i tuoi santi doni. Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna. Amen.

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MISTERO DI CRISTO E VERGINITÀ CONSACRATA (1 Cor 3, 1 0-23)

«Secondo la grazia di Dio che mi è sta­ta data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia at­tento come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo» (3, 10-11).

La verginità è stata considerata (e-spesso lo è tutt'oggi) in termini prevalentemente negativi, come un taglio di rela­zioni umane, una perdita di comunicazione e talvolta per­fino di umanità. Purtroppo questa idea ha trovato (e trova) conferma nel modo in cui molti consacrati si pongono in rapporto agli altri: freddi, rigidi, quasi al di fuori della condizione comune, incapaci di vera condivisione, di au­tentica partecipazione e fraternità, come se la scelta della verginità fosse una scelta di meno-amore piuttosto che di più-amore e di pienezza-di-amore. È urgente ridefinire la verginità consacrata in termini positivi. Il voto di castità non implica in alcun modo una mutilazione della vocazio­ne di comunione inscritta nelle profondità del nostro esse­re; al contrario, chiama ad una sua piena realizzazione, non legata ad una sola persona o ad una propria famiglia, ma aperta alle dimensioni del mondo nella prospettiva del disegno originario di Dio rivelato nel volto dell'Unigenito incarnato: «Tutto è vostro ... Voi siete di Cristo ... Cristo è di Dio» (3, 22).

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ASCOLTO DELLA PAROLA DI DIO

La pericope di 1 Cor 3, 10-23 sviluppa l'allegoria dell'e­dificio già accennata alla fine del v. 9. Il contesto è quello della predicazione svolta dall'apostolo ai cristiani di Corin­to rispetto a quanto insegnano coloro che gli sono succe­duti.

Costruire sul «fondamento che è Gesù Cristo» (3, 11)

Paolo presenta se stesso come «l'architetto» previdente che, per primo, ha posto il «fondamento» dell'edificio del­la fede; tale fondamento è «Gesù Cristo», e nessuno può presumere di impiantarne uno diverso (vv. 10-11). Ognu­no, anzi, deve stare attento a come «sopraedifica» sul fon­damento ricevuto (v. 19b). Vi sono coloro che «sopraedi­ficano» con «oro, argento, pietre preziose» (v. 12a), e quindi con materiali di valore; vi sono altri che «sopraedi­ficano» con «legno, fieno, paglia» (v. 12b), e quindi con materiali poveri, fragili e di scarsa durata.

Le due metafore servono all'apostolo per designare due tipi di predicatori: coloro che offrono contenuti solidi e consistenti e coloro invece che comunicano solo contenuti miseri e scadenti. La verifica avverrà il «giorno» del col­laudo: allora «l'opera di ciascuno sarà ben visibile» (v. 13a). La verifica su come si è costruito si compirà col «fuoco», il quale «proverà la qualità dell'opera di ciascu­no» (v. 13b): chi resisterà, riceverà un'abbondante ricom.:. pensa; chi ne subirà «danno», troverà gravi difficoltà e si salverà a stento (vv. 14-15). Il «giorno» è il tempo del ri­torno glorioso di Cristo, ma come una situazione sempre in atto.

Un primo messaggio della pericope paolina è dunque

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chiaro: solo su Cristo Gesù è possibile costruire una solida vita cristiana. Non esiste altro fondamento autentico. Il Si­gnore Gesù è l'unica roccia su cui poggia l'esistenza dei battezzati (per lo stesso tema si veda, 1 Pt2, 4-10). Presu­mere di porre altri fondamenti è costruire in modo incon­sistente e instabile, col rischio di gravi conseguenze (la pa­rabola delle due case di Mt 7, 21-27 è indicativa in questo senso).

«Tutto è vostro ... Voi siete di Cristo ... Cristo è di Dio» (v. 22)

Continuando con l'allegoria dell'edificio (vv. 16-17), Paolo designa i singoli battezzati e la comunità dei fedeli come il «tempio di Dio» nella storia, ponendo in evidenza come sia un atto grave distruggere questo tempio con una predicazione basata sulla «Sapienza di questo mondo» in­vece che sulla sapienza di Dio (vv. 18-20); una sapienza di Dio che esige di essere accolta in tutta la sua paradossali­tà, come aveva spiegato in precedenza (1, 17 -13).

Entro questo contesto, dopo un ulteriore accenno pole­mico ai predicatori che cercano solo la propria gloria (v. 21a), l'apostolo amplia la visione dell'edificio, allargando­la alla totalità della storia e del cosmo, in una sorta di mo­vimento ascensionale che contempla i credenti tutti orien­tati al Cristo e il Cristo tutto orientato al Padré: «Perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (vv. 21b-22). Non solo i predica­tori, ma la totalità del mondo, i suoi accadimenti decisivi di «vita» e di «morte», il tempo nel suo spessore di pre­sente e avvenire, tutto è messaggero della volontà divina e «sacramento» del suo amore.

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Tutto, infatti, sussiste in Cristo, «centro del cosmo e del­la storia», e tutto in Lui è ormai indirizzato ad essere ri­condotto a Dio Padre nella potenza dello Spirito che di­mora nei cristiani come in un «tempio» (v .. 16). Si tratta di una visione grandiosa, corrispondente al cristocentrismo paolina, ripreso e sviluppato in altri testi e già nella stessa lettera, poco più avanti, in prospettiva discendente: «Per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui» (8, 6). Una visione che ritorna, in termini cosmici, negli inni di Col l, 13-20 e Ef l, 3-14. In Cristo la totalità della crea­zione e della storia trova il suo senso definitivo ed è indi­rizzata verso il compimento finale, i cieli nuovi e la terra nuova di cui l'Apocalisse offre in anticipo una splendida evocazione. È entro questo contesto che si deve situare il fondamento e il senso ultimo dei consigli evangelici.

APPROFONDIMENTO TEOLOGICO

La pericope paolina orienta a comprendere il significato della verginità consacrata, e più ampiamente i tre consigli evangelici, in prospettiva cristologico-antropologica.

I consigli evangelici alla luce del progetto di Dio sul mondo e del suo centro, Gesù Cristo

I consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza cor­rispondono, in definitiva, alle tre relazioni strutturali della creatura umana: - la relazione col creato e i suoi beni, - la relazione con l'altro sesso e più in generale con l'altro da sé,

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- la relazione con la comunità e il suo riferimento a Dio.

Queste tre relazioni, nella vita consacrata, non sono an­nullate, ma piuttosto assunte e vissute in .modo nuovo, a partire dalla novità della creazione escatologica inaugurata da Gesù Cristo. Non si deve infatti dimenticare che il si­gnificato originario di questa triplice relazionalità è stato radicalmente «ferito» dal peccato d'origine: l'armonia dei tre ambiti si è trasformata in tendenza alla disarmonia, la libertà in schiavitù, e per la creatura umana è diventato arduo, se non impossibile, da sola, vivere in unità e piena libertà la sua esistenza relazionale. Il problema non riguar­da solo i singoli individui, ma l'umanità nel suo comples­so: le disarmonie e le schiavitù dei singoli si riversano sul­le disarmonie e le schiavitù della comunità umana, nel suo progettarsi nella storia: «Gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squili­brio che è radicato nel cuore dell'uomo ... (Egli) soffre in se stesso una divisione dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società» (GS lO).

La singolarità dell'affermazione cristiana si pone, come annuncio, al centro di questa condizione storica dell'uo­mo e dell'umanità: «Solamente nel mistero del Verbo incar­nato trova vera luce il mistero dell'uomo ... Cristo, il nuovo Adamo~ proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa no­ta la sua altissima vocazione» (GS 22). I tre consigli evan­gelici sono una realtà-segno indirizzata a testimoniare le possibilità nuove offerte dall'Unigenito incarnato, l'Uomo. nuovo per eccellenza, perché tutti riconoscano e possano vivere in modo autentico la loro identità relazionale, ai suoi tre livelli fondamentali, diventando costruttori della nuova umanità rinata in Cristo, il nuovo tempio di Dio nella storia, e collaborando in prima persona al processo

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in atto di riconduzione di tutto in Cristo, per mezzo dello Spirito, al Padre. «Tutto è vostro ... Voi siete di Cristo ... Cristo è di Dio» (3, 22).

L'assunzione dei consigli evangelici riveste, in questo ambito, almeno un duplice connotato fondamentale: - è offerta a Dio in Gesù Cristo delle «primizie» del crea~ to: si presentano al Creatore le realtà più preziose che egli stesso ha donato alle sue creature e per le quali il Figlio di Dio ha offerto se stesso al Padre:

la terra e i suoi beni, . l'amore uomo-donna e l'esercizio della sessualità, . la comunità e la sua vocazione al cospetto di Dio;

- è trasfigurazione della triplice relazione della creatura umana con le realtà, con l'altro e con la comunità, riviven­do in sé (almeno come tendenza) l'atteggiamento stesso di Gesù verso questi tre valori,

per conformarsi alla sua libertà e alla sua unità di vita, ; a servizio dell'umanità e del suo futuro, . nell'ottica del progetto cristocentrico di Dio sul mon­

do e sulla storia.

Sotto entrambi gli aspetti, i consigli evangelici sono ini­zio e progettazione della creazione escatologica inaugurata dal Risorto. Come tali, sono un annuncio vivente rivolto a tutti:

- la povertà proclama che le cose sono per la persona, e non la persona per le cose;

- la castità dice che l'altro sesso - e ogni altro da sé - de­v'essere accolto e rispettato nella sua preziosità unica, sen­za essere in alcun modo strumentalizzato per i propri egoi­smi o trasformato in un oggetto;

- l'obbedienza afferma che solo nella comunione e nel

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servizio reciproco, col riconoscimento di Dio come Crea­tore, fonte e termine di tutto, si realizza una comunità au­tentica.

I tre consigli evangelici hanno - sotto questo aspetto -un profondo significato antropologico: richiamano il pro­getto originario di Dio sull'uomo e sul mondo, e nello stes­so tempo attestano la novità del regno salvifico di-svelato in Cristo; essi sono una forma di vita che testimonia in atto come tutto (il creato, la persona dell'uomo e della donna, la comunità umana) debba essere ricondotto a Dio, origi­ne, centro e senso finale della storia totale: «Perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (vv. 21b-22). Questa consapevolezza, pro­pria di tutta la Chiesa e di ogni battezzato, è vissuta dai consacrati come testimonianza, realtà-di-vita e segno-forte offerto al mondo per la sua autentica realizzazione.

La verginità per il Regno è una proclamazione della sovranità salvifica di Dio ·sul mondo inaugurata dal Risorto

Il contenuto essenziale della verginità consacrata, «la verginit~ per il Regno», consiste nel proclamare la sovra­nità .salvifica di Dio sul mondo manifestata in Cristo Gesù. Ciò spiega perché solo a partire dal NT essa sia pienamen­te percepibile; essa infatti non è che una realtà-segno della nuova creazione inaugurata dall'Unigenito di Dio incarna­to, morto e risorto. Solo chi è in grado di entrare nell'otti­ca del «novum» di Cristo e del suo mistero pasquale è in grado di percepire il valore della castità consacrata come dono e forma di vita alla sequela di Gesù.

In quanto risposta al Dio dell'Amore rivelato nel volto

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del Crocifisso, la scelta della verginità è opzione di amore e trasfigurazione della relazionalità con l'altro da sé nella grazia dello Spirito Santo ricevuto in dono col battesimo. «L'amore di Dio infatti è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5). Non è un meno-amore, ma una pienezza-di-amore; non è una rinuncia alla «relazionalità con», ma una nuova for­ma di relazionalità, centrata sulla gratuità, sull'amore-ac­cogliente e sull'amore-dono, per farsi testimonianza viva del modo nuovo di relazionarsi gli uni con gli altri inaugu­rato dal Signore Gesù. Il segno di un'autentica verginità e di una verginità vissuta in pienezza è dato dalla fraternità evangelica, dalla disponibilità all'accoglienza e al dono, quando tutto l'essere del consacrato diventa realtà-segno dell'amore di Dio rivelato al mondo nell'Unigenito incar­nato. La «follia del perdersi, donandosi» (Mc 8, 35-35; Gv 12, 24-25) è il contenuto e il criterio di verifica del consiglio evangelico della verginità.

La verginità consacrata ha il carattere di una vocazione paradossale

Si comprende allora come il paradosso del mistero di Cristo rappresenti il fondamento e il paradigma della ver­ginità consacrata. Allo stesso modo in cui la sapienza della Croce si contrappone alla sapienza umana, la scelta della verginità consacrata presenta un carattere di incomprensi­bilità per chi non è in grado di percepire il disegno di Dio attuato in Cristo Gesù.

Perché rinunciare volontariamente al matrimonio e alr a­more coniugale? Non sono realtà volute e benedette da Dio fin dall'inizio della creazione e rese sacramento di grazia da Cristo Signore? Perché rinunciare ad un proprio coniuge o

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a dei propri figli? E perché negarsi alla dimensione fisica, genitale, della sessualità o a legami affettivi personali ed esclusivi? Perché rinunciare a formarsi una propria fami­glia? Come è possibile vivere quest'insieme.di rinunce sere­namente, positivamente, gioiosamente per tutta la vita?

Non c'è dubbio che, in un contesto di sapienza umana, la verginità appare (o può apparire) come «stoltezza» e «follia»; per coloro che hanno riconosciuto la sapienza di Dio, la verginità - come la Croce- è invece «potenza di Dio», dono di grazia e di salvezza per tutti (l Cor l , l 7-25). E tale è la pedagogia di Dio: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla tutte le cose che sono, perché nessuno uomo possa gloriarsi davanti a Dio. Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è divenuto per noi sa­pienza, giustizia, santificazione e redenzione» (l Cor l, 27-30). È entro questa peculiare pedagogia che si colloca la chiamata a «farsi eunuchi» per il Regno; una chiamata che «non tutti possono capire, ma solo coloro ai quali è stato concesso» (Mt 19, 10-12). La verginità per il Regno non deriva infatti dalla capacità dell'uomo o da argomen­tazioni di ordine semplicemente umano, ma solo dalla vo­cazione di Dio; è suo dono esclusivo. «Ciascuno ha il pro­prio dono (charisma) da Dio, chi in un modo, chi in un al­tro» (l Cor 7, 7).

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PREGARE LA PAROLA

Signore nostro Gesù Cristo; Tu sei il Re dell'Universo, il centro del cosmo e della storia. Tutto è stato creato per te. Tu sei il primogenito di tutta la creazione. Sei la perfetta rivelazione del Padre. Sei fratello e amico degli uomini. Tu sei la luce che illumina le tenebre. Sei la vita che trionfa della morte. Sei il nostro Redentore e il nostro Liberatore. Noi vogliamo che la tua Regalità d'amore risplenda nella Chiesa e nel mondo. Per questo ti promettiamo di essere fedeli alle promesse del battesimo e all'impegno di consacrazione nel mondo.

PER UNA VERIFICA SPIRITUALE

«Il disegno del Padre è di fare di Cristo il cuore del mondo» (Antifona-vespri).

Come si colloca la mia scelta di verginità consacrata al­l'interno di questo disegno cristocentrico di Dio sul cosmo e sulla storia?

Quali dimensioni mi offre la proclamazione della signo­ria universale di Cristo per il vissuto e la spiritualità della verginità consacrata?

Quale concezione ho della mia scelta di verginità consa­crata?

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La considero realmente un dono di Dio per l'umanità e per il futuro del mondo?

O Spirito del Signore rendi ci veritieri senza arroganza, umili senza finzione allegri senza leggerezza severi senza cattiveria

forti senza crudeltà buoni senza mollezza misericordiosi senza lasciar fare

pacifici senza falsità poveri senza miseri~ ricchi senza avarizia prudenti senza sospetto docili ma saggi ospitali ma sobri; lavorando con le nostre mani ma senza confidare in noi stessi.

(Sant'Agostino)

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CORPOREITÀ E CONSACRAZIONE VERGINALE (1 Cor 6, 12-20)

«Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non apparte­nete a voi stessi? Infatti siete stati com­prati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!» (6, 15. 19-20).

Non è particolarmente comune, a livello di riflessione teologico-spirituale, collegare in unità «consacrazione» e «corpo». Di fatto, la nozione di vita consacrata è stata svi­luppata prevalentemente in termini di rimozione o di «paura» del corpo, sulla base di un modello monastico che ha finito per dare della persona consacrata un'immagi­ne fortemente disincarnata, a-corporea, c.on scarsa atten­zione allo spessore concreto della sua unità psico-somatica e alla differenziazione uomo-donna.

Una tale concezione ha avuto riflessi sul modo stesso di intendere la verginità consacrata, percepita più come una «lotta» col corpo che come sua positiva accettazione e va­lorizzazione della sua sponsalità sul modello di Gesù Cri­sto, il consacrato per eccellenza, il quale vive il corpo non come un peso, ma come il «sacramento» della sua ablazio­ne pasquale, segno manifestati v o e realizzativo del suo «SÌ» interiore e totale alla volontà del Padre per la salvezza

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di tutti. È a questa icona del Cristo della pasqua che il consacrato è chiamato a guardare se vuole comprendere il senso della sua verginità consacrata.

ASCOLTO DELLA PAROLA DI DIO

Il testo paolino di l Cor 6, 12-20 ci introduce perfetta­mente in questa tematica; esso contiene in nuce gli ele­menti fondamentali di una teologia della corporeità, entro cui va collocato il senso specifico della verginità consacra­ta. Un'esigenza di rispetto della corporeità e di purezza, comune a tutti i battezzati, viene assunta da coloro che so­no chiamati alla consacrazione verginale in una forma propria e radicale, nella consapevolezza che si tratti di un «dono divino» che appartiene alla Chiesa, «alla sua vita e alla sua santità» (LG 43-44) ..

«Il corpo non è per l'impudicizia, ma per il Signore» (v. 13)

Qualcuno a Corinto, fraintendendo i principi di libertà annunciati da Paolo, era arrivato ad un concetto piuttosto disinvolto di sessualità. Motivava il suo atteggiamento ap-poggiandosi a due speciosi ragionamenti: ·

- il primo suonava: «Tutto mi è lecito!» (v. 12a), riferen­do probabilmente un'espressione paolina, ma utilizzata in altri contesti (per esempio al poter mangiare le carni im­molate agli idoli, pur di non dare scandalo: l Cor 10, 23-33);

- il secondo: «l cibi sono per il ventre, e il ventre per i ci­bi!» (v. 13a), stabilendo un'equazione tanto sottile quanto ingenua in base a cui i cibi stanno al ventre come l'atto sessuale sta al corpo.

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Il primo ragionamento viene corretto sulla base di due argomentazioni: sì, «tutto è lecito!», ma a condizione che sia di vantaggio a sé e agli altri e che l'esercizio della liber­tà non renda schiavi: «Tutto è lecito! Ma non tutto giova. 'Tutto è lecito!'. Ma io non mi lascerò dominare da nulla» (v. 13). Il secondo ragionamento è precisato in un modo più diffuso, con l'evidenziare l'inaccettabilità dell'equazio­ne proposta: il ventre e i cibi appartengono all'ordine ve-

. getativo presente e sono destinati a scomparire; l'atto ses­suale appartiene al corpo che è di proprietà del Signore ed è destinato alla risurrezione cosicché è del tutto inaccetta­bile che il corpo sia sottomesso all'impudicizia: «l cibi so­no per il ventre e il ventre per i cibi! Ma Dio distruggerà questo e quelli; il corpo non è per l'impudicizia, ma per il Signore, e il Signore per il corpo. Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza» (vv. 13-14).

Il testo paolino suppone che si abbia chiaro il concetto di corpo in senso biblico e la novità apportata in esso dal battesimo. Il corpo, secondo la concezione semitica, non designa una parte in opposizione all'altra (l'anima), ma la visibilità della persona umana, una e completa, la sua to­talità unificata, creata da Dio a sua immagine e somiglian­za e partecipe della sua vocazione spirituale. In questa ac­cezione integrale, la corporeità non può essere una realtà sottomessa all'impudicizia:

1° perché dev'essere compresa e vissuta come un dono che esce dalle mani di Dio creatore e 2 o perché è finalizzata alla realizzazione della chiamata divina rivelata nel Redentore e dispiegata nei credenti in virtù del battesimo.

L'Apostolo insiste particolarmente su questo secondo

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aspetto. La santità del corpo deriva dalla sua immersione l riemersione nel battesimo; un evento che lo ha «lavato», lo ha «santificato» e «giustificato» nel nome del Signore Gesù Cristo e nello «Spirito del nostro Dio!» (6, 11); le cose vecchie sono passate; è nata ormai una nuova creatu­ra (2 Cor 5, 17). A partire da quell'evento, il cristiano è radicalmente consacrato al Signore, la sua corporeità vive in una relazione nuova: col Risorto, per la vita e per la morte: «il corpo è per il Signore». E dal momento che il Si­gnore si fa per i battezzati principio di vita nuova, median­te lo Spirito, e darà la risurrezione ai loro corpi, «il Signo­re è per il corpo». Una ragione appoggia l'altra, nell'argo­mentazione paolina.

•'

«Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!» (6, 20)

La conseguenza è chiara: alla luce del battesimo, la for­nicazione appare. come una contraddizione strutturale. Se infatti i corpi dei· battezzati sono membra di Cristo, non è concepibile che possano diventare nello stesso tempo membra di una prostituta (v. 15). Sussiste una netta antite­si tra il divenire «Un corpo solo» nell'atto di fornicazione e l'essere uniti col Signore come «Un solo spirito» (vv. 16-17). L'assurdità della fornicazione è ulteriormente indicata dal fatto che, a differenza di ciò che avviene per gli altri peccati, con essa è l'essere stesso del battezzato che si coinvolge in un atto che offende la sua dignità ed è in aperta opposizione al senso della sua esistenza corporea, santificata dalla grazia battesimale (v. 18). Il cristiano è chiamato alla santità, facendo del proprio corpo «Un sa­crificio vivente, santo, ben accetto a Dio» (Rm 12, 1), non· un luogo di peccato e di tradimento dell'unione col Signo­re. Grazie alla rinascita pasquale, tutto il suo corpo è in­fatti diventato «spirituale» (1 Cor 15, 44-45).

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La pericope di 6, 19-20 apporta due motivazioni alla comprensione di questa identità «spirituale» del corpo del cristiano: esso è tempio dello Spirito Santo ed è stato ti­comprato a caro prezzo dal Salvatore: «Non sapete che il vostro> corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti sie­te stati comprati a caro prezzo» (vv. 19-20a). Il corpo del cristiano è tempio, anzi la parte più santa del tempio (naòs), dove dimora Dio. Lo Spirito riempie la totalità uni­ficata del cristiano, come Dio dimorava nel tempio antico. Sorge da questa consapevolezza l'obbligo della castità per ogni battezzato come esigenza radicale derivante dalla santità donata col battesimo e dall'inabitazione di Dio in lui.

Il redento è uno che non si appartiene più, essendo stato acquistato dal Signore nel preziosissimo sangue della sua croce (7, 23; Pt 1, 18-19). Egli è «proprietà» di Cristo. Tutta la sua esistenza è finalizzata all'haghiasmos, ad una vita vissuta nella santità a gloria della santità di Dio. Di qui la conclusione finale, a forte intonazione liturgica: «Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!» (v. 20). L'esor­tazione definisce, a modo di inclusione, lo statuto stesso dell'esistenza corporea del cristiano come esistenza indi­rizzata a glorificare Dio in ogni momento, in ogni situazio­ne, circostanza o atto: «Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio» (1 Cor 1 O, 31).

APPROFONDIMENTO TEOLOGICO

La teologia paolina ci apre ad almeno due prospettive di meditazione: il significato del corpo in rapporto alla voca­zione della persona umana, uomo e donna, all'amore e al-

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la comunione (livello creaturale); la valenza sponsale del corpo in relazione alla peculiarità della nozione cristiana di «consacrazione» (livello redentivo). Entrambe le prospetti­ve sono essenziali per una teologia del consiglio evangeli­co della castità consacrata, non in termini di negatività, ma nel quadro di un'accettazione positiva della corporeità e di una sua autentica ascetica spirituale.

La vocazione della persona umana ali' amore e alla comunione

Il primo aspetto è stato delineato da Giovanni Paolo II in una pagina della Familiaris c01isortio di straordinaria ric-chezza teologica: ·

«Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza: chiamandolo ali' esistenza per amore, l'ha chiamato nello stesso tempo ali' amore. Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione personale di amore. Creandola a sua immagine e continuamente conservandola nell'essere, Dio iscrive nell'umanità dell'uomo e della donna la vocazione e quindi la capacità e la responsabilità dell'amore e della co­munione. L {amore è pertanto la fondamentale e nativa vo­cazione di ogni essere umano.

In quanto spirito incarnato, cioè anima che si esprime nel corpo e corpo informato da uno spirito immortale, l'uomo è chiamato ali' amore in questa totalità unificata. L'amore abbraccia anche il corpo umano e il corpo è reso partecipe dell'amore spirituale.

La rivelazione cristiana conosce due modi specifici di rea­lizzare la vocazione della persona umana, nella sua interez­za, all'amore: il matrimonio e la verginità. Sia l'una che l'altra, nella loro forma propria, sono una concretizzazione

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della verità più profonda dell'uomo, del suo essere creato ad immagine e somiglianza di Dio» (FC 11).

Il significato del corpo, a livello creaturale, va compreso all'interno di questa vocazione nativa e fondamentale della persona umana all'amore e alla comunione. Lo stesso vale per la sessualità; essa fa parte di tale vocazione. e - .come dimensione costitutiva del nostro essere - reahzza 11 suo più profondo significato solo se COt~duce l'.uomo e la. don­na (sia nella vocazione al matrimomo che m quella d1 spe­ciale consacrazione a Dio) a realizzare un'esistenza di amore e di comunione. Il corpo, sotto questo aspetto, ha un valore essenzialmente sponsale: è indirizzato a signifi­care, ad offrire e a ricevere amore e comunione, -in r~l~­zione ai due diversi progetti di vita, matrimonio o vergtm­tà consacrata. Il corpo è un essere con gli altri finalizzato ad essere per gli altri. «Il corpo - ha ripetuto più volte Giovanni Paolo n- è sponsale fin dal principio: racchiude in sé la capacità di esprimere l'amore; quell'amore appun­to nel quale la persona diventa dono e, mediante. questo dono, attua il senso del suo essere e del suo eststere». Questa sponsalità è legata all'idea della libertà del dono di sé, libertà che a sua volta rende possibile e qualifica la sponsalità del corpo. La person.a è c~iamat~, nel ~o~~o, ~ consegnare se stessa, in una dtmenswne d1 oblat1v1ta, d1 accoglienza e di dono. Solo in questa direz~one ~ttit;tge. al più alto contenuto e lo realizza. Educare a vlVere 1l stgmfi­cato della corporeità esige, di conseguenza, educare a rea­lizzare un progetto di vita caratterizzato dal decentramen­to di sé nell'apertura all'altro da sé.

La piena realizzazione del significato della, corporei t~ passa, per ogni persona umana, ?~traverso. un. opzwne d1 esistenza incentrata sulla «capactta» e qumd1 sulla «re-

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sponsabilità» della vocazione all'amore e alla comunione. Questa capacità-responsabilità concerne la totalità della persona, io spirituale-incarnato, e la coinvolge in ogni sfe­ra del suo essere. In pari tempo, suppone l'imparare ad accettare la corporeità in questa sua dimensione simbolica positiva: come espressione del nostro essere creati ad im­magine e somiglianza di Dio e quindi come luogo, segno, linguaggio («sacramento») indirizzato all'amore e alla co­munione; il che è esattamente il contrario di ogni forma di disprezzo, di ostilità o di diffidenza nei confronti del cor­po. L'approfondimento di questo contenuto suppone un secondo livello di riflessione: il significato del corpo in rapporto alla peculiarità della concezione cristiana della consacrazione.

La sponsalità del corpo nella vocazione di specifica «consacrazione» a Dio

Il termine «consacrazione» richiama, di per sé, la dialet­tica sacro-profano, tipica del mondo· delle religioni, dove la consacrazione è un atto mediante cui luoghi, realtà o persone sono sottratte dallo spazio profano (dove non c'è Dio) e trasferite nella sfera del sacro (dove c'è Dio). L'A T è ancora caratterizzato da una simile concezione: il consa­crato è un «segregato», un separato per essere riservato a Dio e, come tale, «intoccabile» (Lv 27, 21'.28; Nm 18, 14; Ez 44, 29). L'annuncio del NT, pur senza rinnegare il contenuto positivo di questa concezione vetere-testamen­taria, rappresenta una novità assoluta: l'incarnazione del Logos nella Carne fonda il superamento della dialettica sa­cro-profano. Grazie all'Unigenito incarnato, cielo e terra, divino ed umano, eternità e tempo, Dio e mondo si sono incontrati, al punto da poter dire che, a partire da tale

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evento, «niente è più profano sulla terra!» (P. Teilhard de Chardin).

Gesù è il Cristo (Mashiah, Christos), il consacrato per eccellenza. Egli vive la sua consacrazione non in termini di separazione legale, ma di accoglienza del corpo che il Padre gli ha dato e di dono di sé sulla croce. Il suo corpo è il luogo concreto e il segno realizzativo della sua consa­crazione al disegno del Padre. Basta leggere il testo di Ebrei 10, 5-10:

«Non hai voluto né sacrifici né offerte, un corpo mi hai preparato ... Ecco, io vengo a fare la tua volontà ... Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre».

La consacrazione di Gesù è un gesto di amore. in cui of­ferente e offerta si identificano. L'evento pasquale rappre­senta la manifestazione in atto di questa assunzione spon­sale del corpo nel quale si attua il gesto di consacrazione di Cristo al Padre. Non a caso, esso si compie fuori della città santa e del tempio, al cospetto del mondo, con una sorta di translocazione del senso della consacrazione:

dal recinto del sacro alla vita, - da un corpo-possesso ad un corpo-dono-ridonato, - da un corpo-oggetto ad un corpo-realtà-sponsale.

La nozione cristiana di consacrazione si collega a questa assoluta novità. Le tre grandi realtà dell'A T (il tempio, il sacerdozio e il sacrificio) sono ormai riferite- a partire da Gesù, nuovo tempio, sommo sacerdote e sacrificio defini­tivo- alla vita dei cristiani. Il battesimo rappresenta la pri-

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ma grande consacrazione a Dio come incorporazione al Christus totus e come vita-nello-Spirito che richiede l'« of­frire i nostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a: Dio», «culto spirituale» in opposizione al «culto mate­riale» del tempio e dell'antica economia (Rm 12, 1; 1 Pt 2, 4-6). I battezzati, con tutta la loro vita, rappresentano il nuovo tempio di Dio nella storia (1 Cor 3, 16-17; 2 Cor 6, 16; Ef 2, 1-22); il loro corpo è tempio dello Spirito (1 Cor 6, 19). La loro intera condizione corporea è un'offerta di lode, una liturgia vivente: «Glorificate dunque Dio nel vo­stro corpo» (1 Cor 6, 20); essi costituiscono un sacerdozio santo, regale, un regno di sacerdoti per Dio e Padre del Si­gnore nostro Gesù Cristo (Ap 1, 6; 5, ,10; 20, 6).

La teologia della vocazione di specifica consacrazione a Dio si radica su questo fondamento battesimale; in quanto tale, essa non si definisce in astratto o in riferimento al concetto di consacrazione reperibile nelle religioni o nel­l'ebraismo, ma in rapporto alla persona di Gesù e alla no­vità del s,uo Regno, alla sua sequela e all'icona della sua pasqua. E entro questo ambito che si comprende il rap­porto che sussiste tra il corpo e la verginità consacrata e si supera la concezione secondo cui il corpo sarebbe più una tentazione, un ostacolo o una situazione di prova e di fati­ca che un luogo «sponsale» per la realizzazione e la con­cretizzazione del concetto cristiano di consacrazione vergi­nale. Il consacrato è chiamato a rivivere in sé l'itinerario pasquale di Gesù, ripetendo la sua consapevolezza «Un corpo mi hai preparato. Ecco io vengo, o Dio, per fare la tua·volontà». In Cristo e sul modello di Cristo, il corpo del consacrato è indirizzato a diventare «sacramento» di sal­vezza per tutti: «È appunto per quella volontà che noi sia­mo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre».

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La spiritualità della verginità consacrata dev'essere com­presa come attuazione piena e pienamente vissuta della sponsalità del corpo, come spiega Giovanni Paolo II nella Mulieris dignitatem: «Nella verginità liberamente scelta la donna conferma se stessa come persona, ossia come essere che il Creatore sin dall'inizio ha voluto per se stesso, e con­temporaneamente realizza il valore personale della propria femminilità diventando un 'dono sincero' per Dio che si è rivelato in Cristo, un dono per Cristo Redentore dell'uomo e Sposo delle nostre anime: un dono sponsale. Non si può comprendere rettamente la verginità, la consacrazione della donna nella verginità, senza far ricorso all'amore sponsale: è infatti in tale amore che la persona diventa un dono per l'altro. Del resto, analogamente, è da intendere la consa­crazione dell'uomo nel celibato sacerdotale oppure nello stato religioso» (MD 20).

Quanto è vero per la vita matrimoniale, dove il corpo è simbolo e luogo in cui la moglie (e rispettivamente il mari­to) si donano l'un l'altro sul modello di Cristo (Ef 5, 21-32), è vero -ad un diverso livello- per la consacrazione verginale. Non a caso, Paolo utilizza la medesima metafo­ra sponsale per designare sia l'unione Cristo-Chiesa che «la verginità» della comunità ecclesiale: «Provo per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi ad ·un uni­co sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo» (2 Cor 11, 2). Il contenuto della consacrazione verginale è det~rminato dall'analogia sponsale uomo-donna; un'ana­logia che impegna la vergine a farsi segno e concretizza­zione di un amore esclusivo e fecondo verso il Signore, come fa la sposa verso lo sposo (l Cor 7, 32-35). La santi­tà e il rispetto del corpo a cui ogni battezzato è tenuto (l Ts 4, 4-5: «Ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto ... »: Rm 6, 19; l Cor 6, 15-20) è vis-

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suto dal consacrato nella verginità come un segno forte e radicale e come testimonianza della condizione escatologi­ca dei redenti.

PREGARE LA PAROLA

«O Dio che Ti compiaci di abitare come in un tempio nel corpo delle persone caste e prediligi le anime pure e incontaminate ... Volgi lo sguardo su queste figlie, che nelle tue mani depongono il proposito di verginità di cui sei l'ispiratore, per farne a Te un'offerta devota e pura ...

Concedi, o Padre, per il dono del tuo Spirito, che siano prudenti nella modestia, sagge nella bontà, austere nella dolcezza, caste nella libertà, ferventi nella carità, nulla antepongano al tuo amore e vivano con lode senza ambire la lode; a Te solo diano gloria nella santità del corpo e nella purezza dello spirito; con amore Ti temano, · per amore Ti servano. Sii Tu per loro la gioia, l'onore e l'unico volere; sii Tu il sollievo nell'afflizione; sii Tu il consiglio nell'incertezza;

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sii Tu la difesa nel pericolo, la pazienza nella prova, l'abbondanza nella povertà, il cibo nel digiuno, la medicina nell'infermità.

In Te, Signore, possiedono tutto, poiché hanno scelto Te solo al di sopra di tutto» 1•

PER UNA VERIFICA SPIRITUALE

La verginità consacrata è un dono particolare a cui Dio chiama come ad un proprio progetto di vita. Questo «do­no»-«progetto di vita» suppone un'integrazione concreta della corporeità sessuata nel vissuto della propria realtà personale, in una reale trasfigurazione di tutto l'essere ad un livello più alto.

«Integrare, non rifiutare»: è questa la regola d'oro dell'a­scetica della verginità consacrata. ·

Dal rifiuto deriva il deludente spettacolo di persone in­capaci di accoglienza, di vera umanità, poco serene, di persone consacrate rigide e chiuse nel proprio mondo co­me in una torre d'avorio, oppure aggressive, in perenne atteggiamento di contestazione verso tutto e tutti. ·

Dall'integrazione sgorga la capacità di vivere la propria scelta verginale come autonomia, come energia positiva di espansione e di fecondità, in un orientamento che ci fa

t Dal Rito di consacrazione delle vergini; tèsto del sacramentario «lèoniano», attribuito a papa Leone Magno.

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uscire dall'isolamento e ci apre alla gratuità e all'incontro con l'altro, sereno, libero e liberante.

Qual è il mio atteggiamento di fondo? Che concetto ho di «consacrazione»?

La verginità è per me un'offerta di tutto il mio essere per la gloria di Dio? Che cosa mi richiede concretamente essere in un atteggiamento di «offerta»?

La vocazione alla verginità coinvolge tutte le dimensioni della persona consacrata e porta a vivere in pienezza il battesimo e la confermazione.

Il «coinvolgimento di tutte le dimensioni della persona» e la pienezza del battesimo e della confermazione, richie­de un'ascetica cristiana che conduca a vivere in unità e ar­monia di corpo e spirito. Se la creatura umana è un «tutto spirituale» e un «tutto corporeo», e lo è in modo indisso­ciabile, come orientarsi ad un'ascetica della verginità con­sacrata in termini di integrazione unitaria tra «soma» e «psyche», tra corpo, mente e spirito? La disciplina cristia­na del corpo non può essere intesa in termini di disprezzo o di rimozione, ma nel contesto di una sua positiva accet­tazione e valorizzazione secondo l'icona della corporeità sponsale di Cristo.

Come realizzo la dimensione sponsale del mio corpo? Mi lascio orientare e modellare in questo dali' evento pasquale?

«Ad un discepolo che pregava incessantemente il maestro disse: Quando smetterai di appoggiarti a Dio e ti reggerai sulle tue gambe?

Il discepolo era sbalordito: 'Ma come proprio tu ci hai insegnato a guardare Dio come a un padre!'.

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Il maestro rispose: 'E quando imparerai che un padre non è qualcuno a cui appoggiarsi, ma qualcuno che ti libera · dalla tendenza ad appoggiarti?'».

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CONSACRAZIONE VERGINALE E MOTIVAZIONI (1 Cor 7, 32.;35)

«Io vorrei vedervi senza preoccupazio­ni: chi non è sposato si preoccupa del­le cose del Signore, come possa piace­re al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, co­me possa piacere alla moglie, e si trova diviso! Così la donna non sposata, co­me la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito» (7, 32-34).

La verginità consacrata è una condizione di vita com­plessa: più facile di quanto ritiene la gente quando la con­sidera solo nella sua materialità fisica; più difficile quando se ne colga il senso profondo. Non si tratta, infatti, sempli­cemente di non avere un coniuge o dei figli propri, ma di possederne lo spirito(= «verginità del cuore») e realizzar­ne il contenuto proprio («per il Regno»).

La complessità deriva da un dato antropologico fonda­mentale: la verginità consacrata implica una trasformazio­ne profonda del nostro essere. Si tratta di trasformare un equilibrio naturale, fondamentalmente basato sulla reci­procità con l'altro sesso, in un equilibrio centrato su un motivo soprannaturale come l'Amore di Dio rivelato in Cristo, il suo Regno veniente e la chiamata a servirlo. La Genesi parla chiaro: Dio creò l'essere umano, «maschio e femmina lo creò» (Gn l, 27). L'uomo e la donna sono fra

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loro in una relazione di corrispondenza reciproca; sono vicendevolmente il normale e logico completamento. Con­seguentemente la condizione di verginità consacrata non è realizzabile per ragioni di ordine solo umano o antropolo­gico; richiede motivazioni di ordine teologico: Al di fuori di esse, difficilmente la persona consacrata sarebbe in gra­do di viverne il senso e di perseverarvi con· fedeltà e pie­nezza di contenuto. ·

AsCOLTO DELLA PAROLA DI DIO

Il capitolo 7 della l Cor non rappresenta una trattazione sistematica sul matrimonio e la verginità, ma piuttosto una risposta - quasi punto per punto - ai quesiti che erano stati posti all'Apostolo:

l 0 sulla condizione delle persone sposate (vv. 1-11) e il matrimonio tra cristiani e pagani (vv. 12-16);

2° sulla condizione delle persone non sposate (vv. 17-24), tra le quali in particolare le vergini (vv. 25-35), i fi­danzati (vv. 36-38) e le vedove (vv. 39-40). La suddivisio­ne non è rigorosa: la verginità è talvolta ricordata a propo­sito del matrimonio, e viceversa. La prospettiva di fondo è tuttavia comune: l'urgenza escatologica che avvolge il mondo e l'esistenza cristiana, qualunque sia la situazione di vita dei battezzati, matrimoniale o verginale. Di qui il principio generale: «Ciascuno continui a vivere secondo la condizione che gli ha assegnato il Signore, così come Dio lo ha chiamato; così dispongo in tutte le chiese» (v. 17; vv. 20.24.26).

Il testo che ci interessa (7, 32-35) ha una fondamentale struttura letteraria, con un doppio parallelismo tra un'in­clusione iniziale e una finale:

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Inclusione iniziale

(32a) IO VORREI VEDERVI SENZA PREOCCUPAZIONI:

l 0 parallelismo

(32b) chi non è sposato si preoccupa . delle cose del Signore . come possa piacere al Signore;

(33 ) chi invece è sposato si preoccupa . delle cose del mondo . come possa piacere alla moglie

(34a) e si trova diviso.

2 ° parallelismo

(34b) Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa

. delle cose del Signore

. per essere santa nel corpo e nello spirito; (34c) la donna sposata invece si preoccupa

. delle cose del mondo

. come possa piacere al marito.

Inclusione finale

(35 ) QUESTO LO DICO PER IL VOSTRO BENE, NON PER GETTARVI UN LACCIO, MA PER INDIRIZZARVI A CIÒ CHE È DEGNO

E VI TIENE UNITI AL SIGNORE SENZA DISTRAZIONI.

La pericope è introdotta da un duplice contesto:

- uno (vv. 25-28) a sfondo apocalittico dove, riprenden­do il tema della verginità (vv. l. 7 .8) e premettendo di non aver «alcun comando dal Signore», ma solo un «consi­glio» (v. 25), l'apostolo richiama il principio del «rimane­re» come si è, ma senza che si debba pensare che chi de­cide di sposarsi commette una colpa (v. 28);

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- l'altro (vv. 29-31) dove Paolo insiste sul «tempo» inau­gurato da Cristo come «tempo favorevole» (kairos) che fonda nuovi imperativi morali (« ... quelli che hanno mo-glie vivano come se non l'avessero ... »); la formula «come se non» (hos me), che fa da passaggio ad un elenco di cin­que esemplificazioni, evoca un atteggiamento interno più che un dato di reale consistenza storica.

Il paradigma di fondo di entrambi i contesti è l'atto di li­bertà interiore, richiesto ai battezzati, nella consapevolez­za della pienezza dei tempi ormai giunta e quindi della re­latività della condizione presente: «Passa la scena di que­sto mondo» (v. 31b). L'imperativo alla libertà interiore è una chiamata al discernimento di ciò che ha veramente valore rispetto a ciò che ne ha meno, pur senza nulla to­gliere alle situazioni esistenziali evocate. Il primato spetta al Signore e alla sua salvezza; tutto il resto passa in secon­do piano. Il discorso paolino equivale, sotto questo aspet­to, alla formulazione matteana: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte le altre cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6, 33).

«Senza preoccupazioni ... Si preoccupa ... »

L'inclusione iniziale «senza preoccupazioni» (amerim­nous) e il riflessivo «si preoccupa» (mérimna, 4 volte) fan­no da filo conduttore all'intero brano. Le due espressioni devono essere intese correttamente, per non incorrere nel­l'idea che la vita consacrata sia una sorta di disimpegno o di alienazione dalla condizione di tutti gli altri. In greco, il termine «preoccupazione» (mérimna) e il verbo «preoccu~ parsi» (merimnao) possono significare sia «angustiarsi, darsi pensiero» sia «provvedere, aver cura di». Il primo significato comporta: paura, ansia; il secondo evoca piut-

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···~~--,_- ~=============================;;

tosto: un interessarsi, un sentirsi impegnati a. Negli scritti paolini, questa terminologia ritorna - oltre alle ricorrenze del nostro testo- altre tre volte. Fatta eccezione di Fil4, 6 dove significa «angustiarsi», negli altri tre ·casi assume la seconda accezione (1 Cor 12, 25; 2 Cor 11, 28; Fil-2, 20). Il nostro testo sembra giocare sul doppi(.) significato: passa dalla prima accezione nell'uso del nome («senza preoccu­pazioni».= «senza angustie») alla seconda nelle quattro ricorrenze verbali («si preoccupa» = «si interessa, prov-vede a, pensa a»). ·

L'auspicio di vedere i Corinti «senza preoccupazioni» si specifica e si connota in Paolo in modo diverso, in rappor­to al matrimonio o alla verginità. Di qui i due marcati pa­rallelismi:

- nella verginità il «preoccuparsi» delle cose del Signore, come «piacere» al Signore, «per essere santi nel corpo e nello spirito»;

- nel matrimonio il «preoccuparsi» delle cose del mon­do, come piacere alla moglie/marito e il trovarsi «divisi» in se stessi.

La verginità consacrata, come il matrimonio, rappresen­ta una scelta di vita da vivere «senza angustie», ma che comporta delle fondamentali «preoccupazioni», in quanto - al pari del matrimonio che richiede il prendersi inces­santemente cura del proprio coniuge - esige un interessar­si al Signore con tutto il proprio essere, dedicandosi a Lui in purezza di spirito e di corpo. Le «cose del Signore» so­no tutto ciò che lo riguardano: il suo Regno, il suo amore misericordioso, la sua Chiesa, la.sua verità, la salvezza del mondo.

Due aspetti emergono con forza:.

la motivazio·ne che fonda e determina la scelta di consa-

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crazione verginale: essa è «per il Signor~», sgorga d~ lui come un dono (7, 7) ed è radicalmente onentata a LUl e al suo servizio; _ la natura della verginità come scelta di vita non alla ri­cerca di tranquillità (come l' apatheia_ o 1: atarass_ia de~li stoici e degli epicurei), ma come una s1tuaz1one es~st~nzta­le che richiede una cura assidua, un «preoccuparsi» mces­sante delle «cose del Signore» per essere uniti a Lui (v. 35) come «Un sol spirito» (6, 17).

«Come possa piacere al Signore ... per essere santa nel corpo e nello spirito»

La prima forma di questo «preoccuparsi», in senso atti­vo-positivo, è come «piacere al Signore», dove il verbo «piacere» (arésko) ha il senso forte di «sguardo rivolto» al Signore, in una dedicazione totale al suo Nome.~ a tutto ciò che corrisponde al suo volere, in parallelo all1mpegno di amore di un coniuge nei confronti dell'altro e al suo de­siderio di renderlo felice. Il verbo «piacere» rimanda così ad una viva e permanente attenzione del consacrato al Si­gnore, ad una tensione vitale, dinamica e colma di affetto verso di Lui come al «tutto» e al «per sempre» della pro-pria esistenza.

Il secondo aspetto del «preoccuparsi» della vergine con­sacrata concerne la sua persona, il suo impegno per con­·servarsi «santa nel corpo e nello spirito». L'apostolo rom­. pe, per un momento, il parallelismo p~r so~tol~near~ qu~-sta esigenza. il termine «santa» (haghws) n~h1~ma 11 .«n: servarsi» della vergine solo per il Signore, e md1ca qumd1 un orientamento di dedicazione, di consacrazione a Lui e al suo servizio. L'«essere santa» della vergine (v. 34b) si contrappone al «trovarsi diviso» del coniuge (v. 34a), la-

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sciando intravedere il vissuto della verginità come l' espe­rienza di un «cuore indiviso», un cuore che nell'unirsi al Signore trova l'unità in se stesso e l'armonia interiore (v. 35 d). Le due enunciazioni «piacere al Signore» e «essere santa nel corpo e nello spirito», nel loro insieme, in quan­to specificazioni del «preoccuparsi delle cose del Signo­re», si completano à vicenda: la prima concerne Colui al quale la vergine si consacra, la seconda la persona che si consacra.

«Questo lo dico per il vostro bene ... »

Il v. 35 recupera, in modo inclusivo, il senso totale della verginità, con il vantaggio spirituale che le è proprio e la sua preferenzialità. «Ciò che è degno», sottolinea il valore etico di una simile scelta. Ciò che «Vi tiene uniti al Signo­re» corrisponde all'effetto di una condizione di vita verso cui è radicalmente indirizzata la consacrazione verginale. «Senza distrazioni» ribadisce il «cuore indiviso».

La verginità, secondo questa inclusione finale, non rap­presenta semplicemente o esclusivamente uno stato o un bene fisico, ma una forma di vita di alto profilo («ciò che è degno») che conduce ad una viva relazione di amore col Signore, senza compromissioni di sorta o divisioni («Senza distrazioni»). Risiede in questo contenuto specifico la sua valenza positiva e realizzante. Al di fuori di esso, smarri­rebbe il suo senso e la sua verità. Il «consiglio» (v. 25) di Paolo è indirizzato alla realizzazione, al «bene» di coloro che sono chiamati a questa forma di vita .

APPROFONDIMENTO TEOLOGICO

Il tema fondamentale su cui 1 Cor 7, 32-35 invita a ri­flettere è il tema delle motivazioni che presiedono alla

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consacrazione verginale. Quando qualcuno, -in risposta al­la chiamata di Dio, accetta di accedere alla vita consacra­ta, compie una prima scelta, umanamente, socialmente ed ecclesialmente impegnativa. Il pericolo più grosso sarebbe quello di pensare di aver già fatto tutto; sarebbe un'illusio­ne! In realtà, da quel momento è impegnata a percorrere un lungo cammino di riscoperta e di verifica dei motivi della sua scelta; un cammino che durerà tutta la vita, se vorrà essere una verginità gioiosa, «fonte di una più ricca fecondità in un cuore indiviso» (can. 599).

Quali sono le motivazioni che consentono di fondare e di sostenere in modo autentico un'esistenza di verginità consa­crata?

Motivazioni psicologiche

Sono quelle che derivano dalla com~lessità della nostra psicologia e dalla nostra storia di vita. E noto come in noi rivestano un ruolo rilevante le situazioni vissute nel passa­to, talvolta in modo traumatico, le esperienze più o meno negative che ci portiamo dietro dall'infanzia o dalla giovi­nezza, le difficoltà ad accettare la propria corporeità ses­suata o la corporeità sessuata dell'altro da sé, carenze di affetto, sensi di colpa, complessi di inferiorità o di timidez­za, frustrazioni o sensi di solitudine, bisogno di dare uno scopo alla propria vita o di fare qualcosa di utile per sé e per gli altri, e così via. Queste diverse situazioni, in modo generalmente inconscio, possono spingere una persona alla consacrazione verginale, come ad una scelta di vita che dà l'illusione di far superare le situazioni psicologiche irrisolte o la sensazione di riempire il vuoto della propria esistenza.

Sono le motivazioni di ordine psicologico; esse possono essere il punto di partenza di cui Dio si serve per attirare

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qualcuno a sé, ma- come è evidente- non possono esse­re le ragioni autentiche di un'esistenza verginale; possono essere valide nelle mani di Dio come inizio, ma non sono in grado di sostenere validamente una vita di verginità. La consacrazione verginale non può essere una compensazio-

- ne a vissuti psicologici di disagio o un riempitivo di vuoti: - inizialmente può anche dare l'impressione di una «libe-razione da» o di una «liberazione pet»,

- ma, a lungo andare, avendo molte esigenze, condurrà a far riemergere i problemi, sottolineando i vuoti invece che riempirli.

Motivazioni sociali

· _ Sono le motivazioni che si fondano su forme di dipen­denza, di emulazione o di amicizia, sul bisogno di essere accettati, su esigenze di prestigio o di ruoli, sulresperienza di un gruppo o sul bisogno di inserirsi in una comunità che offra sicurezza oppure che nascono dal desiderio _ pur b';lono - difare qualcosa di «interessante» in campo ecclesiale o apostolico, e così via. Occorre dire, come si è fatto in precedenza, che Dio si può servire di simili moti­vazioni, e in genere lo fa, per chiamare qualcuno alla con­sacrazione verginale, ma - ancora una volta - esse non possono essere sufficienti per sostenerla. E, del resto, se anche formalmente lo fossero, non condurrebbero molto più in là di una vita mediocre, specie nei momenti di diffi­coltà o di prova. Si ricordi, a titolo di esempio, la figura di don Abbondio descritta dal Manzoni; un caso tipico di quanto stiamo dicendo.

Lo stesso discorso del «far apostolato» va impostato be­ne: se uno motivasse la propria scelta verginale solo in rapporto ad esso rischierebbe di lasciar cadere tutto quan-

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do - e spesso succede - vi fossero degli insuccessi o delle delusioni. Il discorso deve dunque andare più a fondo. Il «fare», anche in senso ecclesiale, deve nascere da un «es­sere».

Motivazioni teologiche

Sono le uniche valide, in ultima analisi: sono le motiva­zioni legate al mistero di Dio, al suo Regno, alla persona di Cristo, alla sua chiamata e alla sequela, alla sua parola esigente e assoluta (Mt 19, 10-12; Le 9, 57-62; 14, 26; 18, 29) 1• Il testo l Cor 7, 32-35, se a prima vista- come si è notato- potrebbe lasciar pensare ad una motivazione sog­gettiva o di ordine semplicemente psicologico, relativa al­l'evitare le angustie del matrimonio, in realtà rimanda ad una motivazione oggettiva di ordine propriamente teologi­co: «per il Signore», equivalente, dopo la pasqua, alla di­zione matteana per il «Regno dei cieli». L'intera argomen­tazione paolina, con l'analogia del matrimonio, è d'altron­de indirizzata a mostrare come la verginità consacrata pos­sa avere un solo fondamento: il Signore Gesù, la sua per­sona, illegarsi a lui e il vivere totalmente per lui (come fa un coniuge con l'altro), senza divisioni, con totale libertà interiore, «preoccupati» solo delle «cose del Signore» e di come «piacere al Signore».

Così, chi è chiamato alla verginità consacrata, da qua­lunque parte abbia mosso i primi passi, deve poter dire: «La mia scelta si fonda essenzialmente e unicamente su Dio e sulla sua rivelazione in Gesù, il Signore, sulla sua

1 Per il testo matteano sugli eunuchi e gli altri testi evangelici, cf. In­troduzione.

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persona e il suo Regno: è risposta d'amore all'Amore che un giorno per puro dono mi si è fatto incontro e mi ha vo­luto totalmente per sé». È questa la motivazione profonda, fondante e strutturante, che non potrà mai" venir meno!

Solo que~to Amore può legare a sé una persona, per­mettendogh per tutta la vita di rinunciare serenamente al­l'amore umano, alla realizzazione d'amore di una vita a due, come è proprio del matrimonio e di una famiglia na­turale, e consentendogli di ritrovare una nuova fecondità in una nuova dimensione di relazione «con e per». Sol~ questo Amore può permettere di far fronte a qualsiasi si­tuazione di difficoltà o di crisi con assoluta fiducia non solo nei momenti di calma spirituale, ma anche nel mo­menti di tempesta, non solo nei momenti di facile fedeltà

· ma anche nei momenti· più delicati quando ad esempio sl può avvertire il richiamo affettivo verso qualcuno che po­teva essere la persona della propria vita. Solo questo Amo­re consente di superare questi momenti con maturità e fe­deltà, e permette ?i riman~re gioiosi nella propria scelta, pur nel succedersi delle diverse stagioni della vita. Una persona sposata è fedele al proprio coniuge solo se lo ama veramente e se rinnova continuamente questo suo amore. La pe~sona consacrata è fedele alla propria scelta vergina­le se e profondamente «innamorata» di Dio e se vive un auten~ico. rapporto sponsale con Lui, come il Signore della propna vita.

. La verginità consacrata - sotto questo aspetto _ non ha mente a che vedere con una qualche forma di sistemazio­~e borghese o di accomodamento egoistico. Accettare di I~trodurre qualcuno nella propria vita, è sempre impegna­tivo, anche dal punto di vista semplicemente umano; si sa che non si potrà essere più completamente padroni di se stessi; è l'avventura dell'amore umano con le espropriazio-

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ni che implica. In fondo, paradossalmente, se uno volesse esser tranquillo non si dovrebbe mai sposàre! Ebbene, la­sciar entrare il Signore Gesù nella propria vita e legarsi a lui per sempre è un impegno totale e un «rischio» impre­vedibile. Non si sa mai dove Egli ti potrà condurre. E la cdnsacrazione verginale è appunto questo.

Nessuno potrà mai pensare che essa sia una scelta di co­modità. Prendere sul serio la sua chiamata e consacrarsi totalmente a Lui, è accettare. nella propria vita l'irruzione dell'assoluto dell'Amore, significa essere trascinati non si sa fin dove. L'accettazione di questo rischio è nello stesso tempo una grazia e un evento di liberazione; perché il consacrato sa benissimo di non desiderare altro che que­st'Amore assoluto; ed in fondo, se esso lo spoglia di sé, lo introduce nello stesso tempo in una nuova dimensione che vale infinitamente di più. L'unica cosa è che egli abbia il coraggio di essere disponibile e di lasciarsi afferrare dal­l' Amore in tutte le fibre del suo essere!

PREGARE LA P AROLA

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«Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l'amato del mio cuore; l'ho cercato, ma non l'ho trovato. Mi alzerò e farò il giro della città; per le strade e per le piazze; voglio cercare l'amato del mio cuore, l'ho cercato, ma non l'ho trovato. Mi hanno incontrato le guardie che fanno la ronda: Avete visto l'amato del mio cuore? Da poco le avevo oltrepassate, quando trovai l'amato del mio cuore.

Lo strinsi fortemente e non lo lascerò finché non l'abbia condotto in casa di mia madre, nella stanza della mia genitrice».

(Ct 3, 1-4)

PER UNA VERIFICA SPIRITUALE

La vocazione alla castità assoluta si realizza solo in un donarsi a Cristo con un amore totale e indiviso.

Che cosa significa donarsi a Cristo «con amore totale e indiviso»? La verginità è per me una scelta libera ( consi­glio) «per il Signore», in un «cuore indiviso»?

. Quali motivazioni devo mettere a fuoco per una piena ri­sposta alla chiamata di Dio? Verso quale pienezza di amore devo tendere?

Il declino naturale dell'età può aver attenuato i problemi propri di chi vive l'età della giovinezza, ma la risposta al­

.1' Amore rimane altrettanto esigente, e forse di più! Chiede una più piena disponibilità a fare sempre la sua volontà, «a seguire l'Agnello ovunque egli vada» (Ap 14, 4).·

Che cosa comporta questo per me? In che cosa sono chiamato a «seguire l'Agnello ovunque egli vada»? In che modo vivo la mia risposta all'Amore? Con quale «dedizio­ne» e «fecondità spirituale»?

Perché lei è un uomo di speranza?

Perché credo che Dio è nuovo ogni mattina; che crea il mondo in questo preciso istante, e non in un passato nebuloso o dimenticato.

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Ciò mi obbliga ad essere pronto in ogni istante all'incontro, poiché l'inatteso è la regola della Provvidenza. Questo Dio «inatteso» ci salva e ci libera da ogni· determinismo e sventa i foschi pronostici dei sociologi. Questo Dio «inatteso» è un Dio che ama i suoi figli, gli uomini. E questa la sorgente della mia speranza. Sono un uomo di speranza non per ragioni umane o per un ottimismo naturale, ma semplicemente perché credo che lo Spirito Santo è all'opera ogni giorno nella Chiesa e nel mondo, che lo si sappia o no. Sono un uomo di speranza perché credo che lo Spirito Creatore, dà ogni mattina, a chi lo accoglie, una libertà nuova ed una provvista di gioia e di fi­ducia. Sono un uomo di speranza perché so che la storia della Chiesa è una lunga storia, tutta piena delle meraviglie dello Spirito Santo. Si pensi ai profeti e ai santi che in ore cruciali sono stati strumenti prodigiosi di grazia, ed hanno proiettato sulla via un fascio luminoso che dura fino ad oggi. Sperare è un dovere, non un lusso. Sperare non è sognare, al contrario, è il mezzo per trasformare un sogno in realtà. Felici coloro che sanno sognare e che sono disposti a pagare il prezzo più alto perché il sogno prenda corpo nella vita degli uomini.

(Card. J. Suenens)

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EUCARISTIA E VERGINITÀ CONSACRATA (1 Cor 11, 17-34)

«Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga. Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore» (11, 26-27).

La verginità per il Regno ha un significato eminente­mente positivo. Ciò non vuol dire che essa non implichi una dimensione di ordine sacrificale: se è esperienza spon­sale, essa è in pari tempo una rinuncia a se stessi e richie­de un lungo tirocinio di ascesi. «Senza dolore non si vive nell'amore», recita un antico detto cristiano. Ci si deve guardare dal fare della retorica o della poesia a buon mer­cato sulla verginità consacrata; di fatto, essa implica delle rinunce e comporta (o può comportare) dure esperienze di croce per poter essere vissuta in modo pieno e fedele.

Questa dimensione sacrificale non va compresa, tutta­via, come una forma di negazione di sé in senso masochi­sta; ma sul modello dell'oblazione pasquale di Cristo e della sua attuazione celebrativa nell'eucaristia, sulla base quindi di un modello fondativo che ha la sua ragion d'es­sere in un'offerta libera dell'Unigenito incarnato al Padre a cui la partecipazione quotidiana all'eucaristia ci educa e ci orienta, donandoci la grazia dello Spirito per poter vivere

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quanto ci viene richiesto. Solo in un contesto pasquale-eu­caristico, la dimensione sacrificale della verginità consa­crata attinge al sùo autentico significato e al suo fine, e di­viene via realizzativa della vocazione battesimale nella Chiesa e nel mondo.

AsCOLTO DELLA PAROLA DI DIO

Paolo aveva lodato i Corinti per la loro fedeltà agli inse­gnamenti da lui «trasmessi» (11, 2); adesso (l Cor 11, 17-34) li rimprovera con durezza per aver completamente frainteso il senso del banchetto fraterno (àgape) preceden­te la celebrazione eucaristica; un banchetto che si collega­va con molta probabilità all'usanza palestinese del cosid­detto «piatto del povero». Secondo tale usanza, alla vigilia di ogni sabato (in parallelo al banchetto « qiddùsh » che gli ebrei consumavano il venerdì sera), si svolgeva un servizio della carità a vantaggio dei più poveri (A t 6, 2). A Corinto era successo che una consuetudine nata per i poveri, aves­se finito per degenerare, producendo i «dannosi» (v. 17) inconvenienti lamentati dall'apostolo: le divisioni (v. 18), le disuguaglianze (v. 21) e le ingiustizie che- oltre a getta­re «disprezzo sulla Chiesa di Dio» - facevano «vergogna­re chi non aveva niente» (v. 22).

«Voi annunziate la morte delSignore» (v. 26)

È su queste preoccupazioni che poggia l'argomentazione paolina: una riunione per sé indirizzata a manifestare co­munione e aiuto è diventata un'occasione per dividere gli

. animi e mettere in evidenza la mancanza di fraternità e di carità vicendevole. Questo, dice Paolo, «non è più man­giare la cena del Signore» (v. 20~, perché non prepara e

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non manifesta più il senso profondo del riunirsi eucaristi­co; al contrario, ne è una contraddizione in atto. È per ta­le motivo che l'apostolo riporta il racconto dell'ultima cena:

«Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: 'Questo è il mio corpo, che è per voi: fate questo in memoria di me'. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il ca­lice, dicendo: 'Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo Ogni volta che ne bevete, in memoria di me'» (vv. 23-25), spiegandone immediatamente la valenza teologica: «Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete. di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga» (v. 26. ·

L'eucaristia, dice in sostanza l'apostolo, è la memoria vi­vente («annunciamo») dell'offerta sacrificale del Signore finché egli torni; ciò significa che comunicarsi con il suo corpo e il suo sangue è impegnarsi a vivere in una dimen­sione di amore e di ablazione di sé sul modello di Gesù e della sua croce («la morte» del Signore) nell'attesa della parusia. Chi non entra in questa percezione non ha nep­pure compreso il significato reale e profondo dell'azione eucaristica. Su questo dato, secondo Paolo, si gioca l'ethos dell'eucaristia e la verità del parteciparvi da parte dei cre­denti.

«Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (v. 29)

Quando la Chiesa si riunisce per attuare il ricordo della pasqua si inserisce, per ciò stesso, nel dinamismo del suo Signore, Gesù Cristo, nell'atto che gli è proprio, la sua morte, e nel quale la sua ablazione pasquale l'ha fissato

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eternamente, l'atto del donare se stesso per tutti. Chi non ha capito questo e non accetta di riviverlo in sé, partecipa ad un'eucaristia-rito, ma non ad un'eucaristia-vita; ad un rito, ma non al banchetto sacrificale del Signore, non la­sciandosi «dire» dall'evento che celebra, non entrando nella dimensione di oblatività che l'eucaristia manifesta in se stessa, realizza e richiede. Questo non è più celebrare «la cena del Signore»; ne è il contrario. Chi si accosta in questo modo al banchetto eucaristico finisce - secondo il linguaggio paolino - per «mangiare il pane e bere al calice in modo indegno», rendendosi «reo del corpo e del san­gue del Signore» (v. 27).

Va compreso, in tale contesto, l'ammonimento paolino: «Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di que­sto pane e beva di questo calice, perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (v. 29). «Riconoscere il corpo del Si­gnore» vuol dire «discernere» il significato che l'eucaristia ha per la nostra vita, accettando che essa plasmi l'esistenza dei credenti sul modello dell'autodonazione di Gesù; solo allora, quando diviene un'eucaristia vissuta, raggiunge la sua verità ed è celebrata «in modo degno». Ciò vale per la comunità nel suo insieme e vale per ogni singolo credente.

APPROFONDIMENTO TEOLOGICO

La concezione paolina del mistero eucaristico non va di­luita; essa corrisponde a tutta la tradizione evangelica a cui lo stesso Apostolo si collega (v. 23a). Secondo tale tra­dizione, l'ultima cena di Gesù condensa in sé la sua mis­sione totale, la sua pro-esistenza, i suoi pasti con i peccato­ri e il senso della sua venuta come Servo fedele del Signo-

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re, <~figlio dell'uomo venuto non per essere servito, ma per servzre e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mc 10, 45); nello stesso tempo, essa contiene e preanticipa come «pro­fezia in atto» l'evento della croce. Il pane e il vino costitui­scono i significanti vivi, espressivi del «corpo dato» e del «sangue versato» da Gesù come 'ebed fahvè. ·

Indicativo, in questo senso, è il fatto che Luca inserisca n~l contesto dell'ultima cena i due detti sull'obbligo di ser­VIre a tavola sull'esempio di Gesù che sta in mezzo ai suoi come colui che.serve (Le 22, 25-26.27). Con tale colloca­zione, l'evangelista ricorda che il mistero eucaristico - in quanto celebrazione çlella missione dell'' ebed - è un atto di «servizio cultuale», inseparabile dal servizio fraterno e dalla condivisione dei beni (At 2, 42-48). È soprattutto Giovanni che - riportando l'episodio della lavanda dei piedi (13, 1-19) e ponendolo in relazione all'evento della passione (vv. 1.3) - manifesta la consapevolezza di una «diakonia» che Gesù svolge nell'attuazione del suo miste­ro pasquale. La lavanda dei piedi è come un'icona, una rappresentazione simbolica che prefigura la croce: la cele­brazione eucaristica - sembra dire l'evangelista _ raggiun­ge la sua piena verità e il suo pieno effetto solo se i disce­poli accettano di porsi nella linea di quanto Gesù ha vissu­to in prima persona, facendosi servitori gli uni degli altri e dando la propria vita per la salvezza del mondo come ha fatto colui che essi chiamano il «Maestro» e il «Signore» (13, 13-17).

E tale è il simbolismo delle parole e dei gesti dell'ultima cena. Il pane spezzato è il calice del vino offerto a tutti racchiudono questo significato. I gesti del «dare» e i pro­nomi personali impiegati da Gesù («mio corpo», «mio sangue», «per voi», «per molti») manifestano il suo farsi dono per tutti come Servo fedele del Signore, con l'esplici-

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ta volontà di rendere il gruppo dei discepoli partecipe del­la sua missione di 'ebed. Poiché comunica al «corpo dato» e al «sangue versato», la comunità degli apostoli diviene solidale col destino di colui che riceve in dono. Celebran­do l'eucaristia, accoglie il gesto di autodonazione di Gesù, lo rivive in sé e accetta di lasciarsi plasmare da esso, impe­gnandosi a trasformare il proprio vissuto comunitario in rapporti di fraternità, di servizio e di. cot?unione. «La par­tecipazione del corpo e del sangue dt Cnst? - ~fferm? sa.~ Leone Magno - altrò non fa, se non che cl mutwmo m cw che prendiamo» 1 •

Il pane e il vino collegati alla persona di Gesù e all:ev~n­to della sua pasqua rappresentano la sorgente costltutwa ed esplicativa di ciò che la Chiesa è chiamata ad essere: la comunità messianica che si lascia determinare dall'ablazio­ne di Gesù, servo di fahvè e si fa a sua volta comunità del servizio reciproco. Questa teologia eucaristica ha evidente­mente un carattere generale: vale per tutti i battezzati e implica una ricca molteplicità di aspet~i: Ci i~teressa, in questa sede, verificare che cosa apporti m ordi?~ ad una riflessione sulla verginità consacrata. Tra eucanstia e ver­ginità sussiste infatti un ra~p~rtò pecu!iare,. allo ste~so m~­do in cui sussiste tra eucaristia e matrimomo. Ogm condi­zione di vita nella Chiesa trova, nell'eucaristia, la «fonte» e il «culmine» della propria identità vocazionale.

L'eucaristia rappresenta il fondamento plasmante della spiritualità verginale almeno sotto un triplice aspetto:

come oblazione cultuale come oblazione sacrificale

- come oblazione di comunione.

t Serm. 63, 7; PL 54, 357 c; cf. LG 26.

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La verginità come ablazione cultuale

In 1 Cor 7, 34b, come si è visto, Paolo utilizza l'espres­sione «santa» («santa nel corpo e nello spirito») per desi­gnare la vergine consacrata al Signore. La qualifica di ha­ghios, pur implicando dei contenuti etici, primariamente esprime un essere riservati al Signore e al suo culto, come nel corrispondente qadosh dell' AT.

La terminologia insinua dunque una dimensione cultua­le propria della verginità; una dimensione che abbraccia tutto l'essere del consacrato, dal momento che la dizione di «corpo e spirito» indica la totalità della sua persona. In quanto haghios, «santa nel corpo e nello spirito», l'intera esistenza della vergine è di per sé indirizzata a divenire una liturgia vivente, collegata a quella celebrata dal Cristo sulla Croce e affidata· alla Chiesa, sua vergine e sposa (2 Cor 11, 2). Nessuno più della persona vergine può glorifi­care Dio nel proprio corpo (1 Cor 6, 20) e vivere ogni mo­mento «per la gloria di Dio» (1 Cor 10, 31). La sua vita è indirizzata a divenire un'offerta sacrificale, come in. un olocausto il cui valore non deriva tanto dall'essere distrut­to quanto dall'essere «elevato» ('olah) verso Dio, trasfor­mato in gesto invisibile e alzato fino al cospetto del Signo­re per essere da lui fatto diventare «benedizione» per gli uomini. Il sacrificio di Cristo sulla Croce, attualizzato nel­l'eucaristia, appartiene a questo genere di offerte cultuali.

Partecipando alla celebrazione eucaristic'a, la persona consacrata vive in prima persona il senso profondo e dina­mico della sua chiamata: la sua esistenza verginale viene determinata dall'esistenza cultuale di Cristo e interiormen~ te orientata da essa, per ridiventare continuamente ciò che è divenuta una volta per sempre: un'ablazione di sé al Pa­dre in Cristo e nella grazia del suo Spirito~ una dossologia. .

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La persona consacrata nella verginità è in se stessa un'ado­razione vivente di Dio. Non lo è anzitutto per ciò che fa, ma per ciò che è. L'eucaristia proclama in atto questa identità e chiama a viverla. La persona vergine si unisce all' oblazione del Signore glorioso nella Chiesa per essere un'oblazione cultuale permanente nel mondo.

Questa oblazione non è indolore; richiede di rivivere in sé l'itinerario stesso del Crocifisso; richiede di mettere i passi ne.i passi del Maestro, ricalcandone le orme. Se. cele­brare l'eucaristia, «mangiare di quel pane» e «bere d1 quel calice» vuoi dire, come ci ricorda Paolo, «annunciare la morte del Signore finché egli venga» (1 Cor 11, 26), l'eu­caristia ci rende partecipi del dono del Gesù della pasqua, del Servo fedele che si offre per tutti. Mangiare di quel «corpo dato» e bere di quel «sangue versato», di conse­guenza, significa accettare di rivivere in sé il gesto di Cri­sto che «consacra se stesso», compiendo «l'opera che il Padre gli ha dato da fare» (Gv 17). L'eucaristia è attuazio­ne viva di questa kenosis libera e totale di Gesù fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2, 7 -8). Ogni battezzato è chiamato a comprendere e vivere l'eucaristia in questa sua fondamentale dimensione pasquale, accettando di morire al peccato per vivere con Cristo: «Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri» (Gal 5, 24); e accettando di conformarsi ai

·doni che riceve, diventando a sua volta «corpo dato» e «sangue versato». Quanto è vero per ogni battezzato, è ve­ro - a maggior ragione - per tutti i chiamati alla verginità consacrata.

La verginità come ablazione sacrificate

L'eucaristia educa così i consacrati ad una fondamentale spiritualità di croce; una spiritualità come oblazione libe­ra, che nasce dall'amore e si realizza nell'amore. La croce

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di Gesù non ha altra ragione che questa: è l'amore che si fa credibile per la sua stessa forza interna, non in virtù di ragionamenti o di altro. Ciò che rende la croce un evento salvifico per tutti è l'atto d'amore libero col quale Gesù si consegna al Padre e si offre in un gesto sacrificate di tutto se stesso per il mondo. Partecipare all'eucaristia e ai suoi doni vuoi dire accettare di ripercorrere in prima persona questa dimensione oblativa, «fino alla morte e alla morte di croce». E ciò è particolarmente in sintonia con la spiri­tualità della verginità consacrata. Chi è chiamato alla ver­ginità per il Regno sa che nella croce risiede il luogo, lo spazio vitale, il «talamo» della piena realizzazione della sua unione sponsale col Signore. La tradizione mistica ha visto nella croce il «letto nuziale» nel quale la persona . consacrata vive la sua unione con lo Sposo divino. «Nella tua croce ho posto il mio letto», amava ripetere il Crocifis­so alla Beata Angela da Foligno. San Metodio di Olimpo parla dell' «estasi della croce» 2 : è lì che si realizza l'incon­tro tra la sposa e lo sposo. E san Francesco invita i suoi frati a salutare la croce, in ogni chiesa, come segno della redenzione del mondo: «Ti adoriamo, Signore Gesù Cri­sto, qui e in tutte le chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo».

L'ascesi della croce- propria di ogni battezzato- è una componente costitutiva dei vergini consacrati e non ha niente a che vedere con una qualsiasi forma di masochi­smo: è un seguire il Crocifisso in piena libertà, offrendosi «per Cristo, con Cristo e in Cristo» al Padre in unione allo Spirito, in una vissuta oblazione di amore. Il valore della

2 Simposio delle dieci vergini, 3, 8; PG 18, 73 A.

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verginità, per essere e rimanere tale; richiede una spiritua­lità di questo genere, finalizzata a mettere ordine al co­spetto di qualunque istanza che vorrebbe dividere il con­sacrato «dalle cose del Signore» (si ricordi il «ciò che· vi tiene uniti al Signore, senza distrazioni» di Paolo; 1 Cor 7, 35). L'eucaristia invita a guardare a questo Signore della croce («annunciamo la morte del Signore») e a ricevere da lui la grazia dello Spirito per poter vincere ogni situazione di prova o di tentazione. Non dobbiamo infatti dimentica­re che il Cristo a cui guardiamo. nell'eucaristia è un Cristo vittorioso: celebriamo una vittoria sulla morte di colui che è ormai intronizzato alla destra del Padre («annunciamo la morte del Signore»).

Il «pane» e il «vino» che ci viene offerto alla mensa eu­caristica è la presenza del Signore glorioso che ci trasfigu­ra e cirende a nostra volta vincitori. Come nella passione di Cristo, ci può essere il combattimento, l'agòn, ma i ver­gini sanno che non sono soli: il Padre del Signore nostro Gesù Cristo dona loro lo Spirito perché siano in grado di ripetere il loro «SÌ» in modo incessante, nella consapevo­lezza che la loro rinuncia non è inutile; al contrario, rap­presenta il momento delle doglie del parto del mondo nuovo, l'alba della nuova creazione inaugurata dal Cristo glorioso e dall'azione del suo Spirito nel mondo (Rm 8).

La verginità come comunione ablativa

I due aspetti rilevati (oblazione cultuale e oblazione sa­crificale), rimandano ad un ulteriore contenuto: quello della koinonia, la comunione. La celebrazione eucaristica -della pasqua è un invito a «prendere», a «mangiare» e a «bere», a far proprio il «corpo dato» e il «sangue versa­to», partecipato ad una mensa di comunione che fa dei

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mo~ti.«un corpo solo» (1 C?r 10, 16-17). È dunque incon­cepibile che si possa partecipare alla mensa eucaristica, vi­vendo nell'ingiustizia, nella divisione o nell'egoismo (11, 17-34). L'eucaristia è sorgente di comunione e forma pla­smante della comunione ecclesiale. «Facendo memoria del suo Signore, in attesa che egli ritorni - affermano i Vescovi italiani - la Chiesa entra nella stessa logica del dono totale di sé del suo Signore. Attorno all'unica mensa eucaristica, e condividendo l'unico pane, essa cresce e si edifica come 'cari~à' ( ... ). Dall'eucaristia scat.urisce quindi un impegno prec1so per la comunità cristiana che la celebra: testimonia­re visibilmente, e nelle opere, il mistero di amore che acco­glie nella fede... L'eucaristia giudica ogni 'spirito' e ogni comportamento di divisione e di chiusura egoistica» 3.

· Questa spiritualità eucaristica comune a tutti assume delle risonanze particolari per chi è consacrato al Signore e al suo Regno nella verginità. Questi è chiamato a confor­marsi in tutto al Cristo dell'eucaristia, facendosi a sua vol­ta «corpo dato» e «sangue versato», e accettando così di riyiver.e in sé l'autodonazione pasquale. Il convito eucari­stico si fa forma plasmante di una convivialità da realizza­re concretamente nella Chiesa e nel mondo.

Va compreso in questa accezione globale il comando: «Fate questo in memoria di me». Non si tratta di una mera rubrica liturgica, ma dell'invito - anzi del comando _ ad entrare nella logica proclamata da Gesù con la distribuzio­ne del pane e del calice ai suoi discepoli. Celebrare l'euca­ristia non significa semplicemente osservare in modo ritua­le quanto egli ha fatto o ha detto di fare: è attingere all'e-

3 CEI, Evangalizzazione e testimonianza della carità Roma 1990 n 17. ' ' .

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vento stesso della propria origine, accettando di lasciarsi modellare da esso per ridiventare di continuo ciò che si è diventati una volta per sempre: i redenti della nuova al­leanza nel sangue di Gesù, la sua comunità nella storia. L'eucaristia è la forma sacramentale di un'esistenza di do­nazione di sé secondo la logica della pasqua e quindi di una verginità consacrata vissuta come imitazione di Cristo e della sua croce.

PREGARE LA PAROLA

«Impari a possedére il suo corpo impari ad avere un cuore umile, tenga saldo l'amore, fermo il muro della verità e il recinto del pudore. Nel suo cuore vi sia la semplicità, nelle parole la misura, verso tutti il rispetto, verso i parenti l'amore, verso i bisognosi e i poveri la misericordia. Che in tutti i suoi sentimenti e in tutte le sue opere faccia tralucere Cristo, guardi a Cristo, racconti Cristo» 4 •

4 SANT'AMBROGIO, De institutione virginis, 17, 112-113.

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PER UNA VERIFICA SPIRITUALE

L'eucaristia costituisce il centro unificante della vita e della giornata della persona consacrata

«Centro unificante» vuoi dire «centro fondativo» e «sorgente plasmante» della spiritualità verginale. È vero questo per me? Trovo nel!' offerta del Cristo della pasqua, rivissuta quotidianamente nella celebrazione eucaristica, il paradigma di riferimento e la forza viva per superare i mo­menti di prova, di difficoltà e di debolezza umana?

«Tutti possono incontrare momenti nei quali la verginità è sentita come un peso e un freno: sono i momenti della stanchezza, della- incomprensione, della solitudine, dello .sconforto, della delusione o anche della scarsa vigilanza. In simili momenti, non vale affatto mettere in discussione la scelta liberamente operata; vale, invece, la pronta ri­conquista della scelta fatta, in una riscoperta più nitida e avvincente dei valori ideali di cui essa è ripiena. L'amore totale e immediato per Gesù Cristo è la forza vittoriosa delle persone vergini. Tutti, del resto, possono sperimen­tare la ribellione e la tempesta sul piano affettivo o su quello fisico o su entrambi. Né va dimenticato che il voto di verginità non dà per ciò stesso il privilegio dell'impecca­bilità: è allora aperta anche la dolorosa possibilità della caduta. Così, la persona vergine è chiamata a condividere con Cristo la 'solitudine della croce', come si esprime l'o­razione sui doni della Messa rituale ambrosiana nella con­sacrazione delle vergini» 5 •

5 D. TETIAMANZI, La verginità profezia del mondo futuro, Milano 1990, pp. 40-41.

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Quale significato assume la celebrazione eucaristica in questi momenti? È fonte di una vissuta spiritualità ablativa cultuale e sacrifica/e?

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Fa piaga nel Tuo cuore la somma del dolore che va spargendo sulla terra l'uomo. Il tuo cuore è la sede appassionata dell'amore non vano.

Cristo pensoso palpito. Astro incarnato nell'umane tenebre. Fratello che t'immoli perennemente per riedificare umanamente l'uomo.· Santo, Santo che soffri, Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli, Santo, Santo che soffri per liberare dalla morte i morti e sorreggere noi infelici vivi.

D'un pianto solo mio non piango più. Ecco, Ti chiamo Santo, Santo, Santo che soffri.

. (G. Ungaretti)

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CARISMI E VERGINITÀ CONSACRATA (1 Cor 12·, 1~31)

«Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità co­mune» (12, 4-7). ·

La verginità consacrata rappresenta un «dono prezioso della grazia divina» (LG 42); un «dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore e che con la sua grazia sempre conserva» (LG 43); un dono· offerto ad alcuni per il bene di tutti, in armonia con i diversi carismi che lo Spi­rito diffonde nella Chiesa, corpo di Cristo. La vocaziòne alla verginità non si contrappone. alla vocazione al matri­monio; al contrario le è radicalmente complementare. En­trambe le vocazioni sono doni,. indirizzati a manifestare l'unica alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa: il matri­monio come segno-realtà di ciò che la costituisce (Ef 5, 21-33), la verginità come realtà-segno di ciò di cui il matri­monio è simbolo reale (2 Cor 11, 2).

Il carisma della verginità va colto in questa fondamenta­le prospettiva ecclesiologica: come un dono che sg~:)rga dalla benevolenza di Dio e che, in quanto tale, chiama a passare dall'atteggiamento di chi - per ·aver accettato la

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chiamata alla consacrazione verginale - crede di aver fatto un dono a Dio a chi sa di aver ricevuto un dono, «un insi­gne dono di grazia» (PC 12), «un dono meraviglioso» (OT 10). Il consacrato vive sotto il segno dell'amore gratuito di Dio rivelato nel volto di Gesù di Nazareth e diffuso nella Chiesa dall'effusione dello Spirito Santo.

AsCOLTO DELLA PAROLA DI DIO

La frase introduttiva del nostro testo (1 Cor 12, 1-31): «Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio che re­stiate nell'ignoranza» (v. 1), lascia intravedere che il di­scorso di Paolo muove da una concreta situazione eccle­siale nella quale non doveva esserci molta chiarezza sui «carismi» (v. 4). Pare infatti che a Corinto vi fossero alme­no tre tendenze equivoche: - si privilegiava la dimensione appariscente dei doni, an­dando dietro alla spettacolarità delle loro manifestazioni, con smodate ansie di accaparramenti e atteggiamenti di orgoglio; - i carismi erano considerati in chiave prevalentemente individualistica, come un qualcosa di cui beneficiare a proprio uso e consumo; - si identificava la pienezza dell'esperienza cristiana con il possesso di queste manifestazioni, arrivando a pensare ad una Chiesa elitaria nella quale pochi privilegiati si elevava­no su tutti gli altri.

L'Apostolo intende portare una puntuale chiarificazione sull'insieme di queste problematiche. E lo fa in tre mo­menti fondamentali: - vv. 1-3: il principio del riconoscimento dei doni dello Spirito;

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vv. 4-11 : l'unità e la pluralità dei carismi; vv. 12-31: l'allegoria del corpo, con la gerarchia dei

molteplici doni.

I doni dello Spirito (vv. 1-3)

Sussiste una differenza fondamentale tra l'esperienza re­ligiosa pagana e l'esperienza cristiana, così come sussiste tra gli idoli muti e lo Spirito (y. 2). Di fronte al pericolo dei Corinzi di lasciarsi guidare dalla loro precedente espe­rienza pagana, pensando ai carismi in termini di ebbrezza sacra o di solo entusiasmo, Paolo formula un principio fondamentale: se nell'esperienza dello Spirito qualcuno si orienta a forme di eresia (come gettare l'anatema su Gesù) è evidente che non è mosso dallo Spirito; viceversa, chi éonfessa che «Gesù è il Signore» non può farlo che in vir­tù dello Spirito Santo (v. 3). Il segno della verità dei cari­smi dunque non è la forma con cui si manifestano o la lo­ro spettacolarità, ma solo la verità del loro contenuto e quindi del loro autore.

«A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune» (vv. 4-11)

Chiarito questo aspetto, l'apostolo determina l'unità e quindi la finalità ecclesiale di ogni singolo carisma, attra­verso tre approssimazioni successive: - l'unità d'origine dei carismi: tutti derivano dall'unico Spirito, dall'unico Signore, dall'unico Dio Padre, «che opera tutto in tutti» (vv. 4-6);

- la loro diversità e molteplice ripartizione, offrendone un primo elenco indicativo (vv. 7-10); - la destinazione comune di ogni singolo dono càrismatico (v. 7).

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I carismi vanno intesi come doni liberi dello Spirito (v. 11), e quindi assolutamente gratuiti, finalizzati all'edifica­zione dell'unica Chiesa. La terminologia utilizzata evoca questo duplice aspetto: 1. la gratuità: sono «doni dello spirito» (pneumatikà, v. 1) e «carismi» (charismata, vv. 4.9.28.30); 2. la ministerialità: sono «servizi» (diakoniai, v. 5) e «at­tività» (energeis) per la comunità.

Nessuno nella Chiesa è escluso da questi doni: «A cia­scuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune» (v. 7).

«Un corpo solo» (vv. 12-31)

La destinazione ecclesiale di ogni dono è ulteriormente chiarita con l'allegoria del corpo. Già in antecedenza Pao­lo aveva affermato che i cristiani sono membra del corpo di Cristo (6, 15). Adesso illustra l'unità di questo corpo, con la molteplice articolazione delle sue membra e l'inter­dipendenza reciproca, al punto che nessuna parte può sentirsi autonoma, inutile o separata dall'altra. La conclu­sione riassume, in forma inclusiva, il motivo di fondo di tutta la pericope: «Voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte» (v. 27).

La gerarchia dei diversi carismi e ministeri è a servizio dell'unico Corpo di Cristo che è la Chiesa (Rm 12, 4-8; Ef 4, 11). La molteplicità è finalizzata . all'unità e alla recipro­cità delle vocazioni e dei servizi.

APPROFONDIMENTO TEOLOGICO

L'elenco paolino dei carismi non fa riferimento al cari­sma della verginità e a quello del matrimonio. In prece-

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denza, tuttavia, era già stato detto che le due forme di vita sono «carisma», dono dello Spirito alla Chiesa: «Ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro» (7, 7). L'espressione greca utilizzata sottoHnea con forza l'origine divina delle due forme di vita: in entrambi i casi si tratta di un dono che viene da Dio (charisma ex Theou), appartiene a lui nella sua origine e solo in lui trova la sua reale consistenza.

Matrimonio e verginità, doni dello Spirito per l'edificazione della Chiesa

Come ogni carisma, il matrimonio e la verginità - nel loro modo proprio- sono «manifestazioni particolari del­lo Spirito per l'utilità comune» {12, 7). Vale per essi il du­plice connotato di ogni carisma: la gratuità e la ministeria­lità ecclesiale. Il matrimonio e la verginità sono doni gra­tuiti di Dio secondo il suo disegno, finalizzati all'edifica­zione della Chiesa, Corpo di Cristo. Dipendono dalla gra­zia e vivono nel contesto del corpo ecclesiale non solo nel­la loro nascita, ma nel loro sviluppo e nella loro piena at­tuazione. Il matrimonio e la verginità sono collegati fra lo­ro da una dimensione vocazionale molto profonda, che si radica nel mistero stesso di alleanza di Cristo con la Chie­sa. Entrambi i carismi sono simbolo dell'unione sponsale che lega Cristo alla Chiesa e la Chiesa a Cristo, in due mo­di diversi e complementari:

- il matrimonio come segno-realtà di ciò che costituisce l'alleanza sponsale Cristo-Chiesa, - la verginità come realtà-segno di ciò di cui il matrimo­nio è simbolo reale.

Il matrimonio-sacramento è un segno-realtà del rapporto soprannaturale che esiste tra Gesù Cristo, Capo, e la Chie-

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sa, suo Corpo, e verso cui tutta la comunità credente è protesa: è simbolo e partecipazione al mistero di grazia che fruisce dal Signore Gesù, Salvatore del suo corpo (Ef 5, 23), alla sua sposa, manifestazione in atto del «myste­rion» nascosto in Dio dall'eternità e ora rivelato (5, 32; l, 9 s.; 3, 3 s.). Il matrimonio, in quanto sacramento, è se­gno realizzativo, segno-realtà appunto, che fa partecipare alla grazia che Cristo ha donato alla sua Chiesa e, per questo, è interiormente indirizzato a modellare gli sposi sull'atteggiamento di Cristo che «ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per render/a santa, purificando/a per mezzo del lavacro del/' acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa, tutta glo­riosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma san­ta e immacolata» (Ef 5, 25-27). Rimane tuttavia un «se­gno», come tutti i sacramenti, legato a questo mondo ter­reno. Nel mondo escatologico, come insegna Gesù, il ma­trimonio non ci sarà più (Le 20, 34-36).-

La verginità è una realtà-segno di ciò di cui il matrimo­nio è simbolo reale. Anch'essa è dono: scaturisce dall'al­leanza escatologica di Cristo con la Chiesa ed è manife­stazione della Chiesa, Sponsa Verbi, ma sotto l'aspetto della «Chiesa-vergine» promessa ad «Un unico sposo» (cf. 2 Cor 11, 2) e della realtà escatologica della risurre­zione (l Cor 15); per questo la verginità non è un sacra­mento. I sacramenti sono segni di un'altra realtà a cui ri-

. mandano. Nella risurrezione non ci saranno più sacra­menti. La verginità è già la realtà del mondo escatologico atteso; realtà-segno, perché indirizzata a testimoniare (realtà che si fa segno) la condizione definitiva a cui tutti

. siamo chiamati quando «Dio sarà tutto in tutti» (l Cor 18, 28). «Ouello che noi saremo un giorno- diceva san Cipriano alle vergini consacrate -voi avete già comincia-

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to ad esserlo» 1 • Si spiega in questa prospettiva la prefe­renza data da Paolo alla verginità: «Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro» (7, 7). Paolo non indica una norma di carattere assoluto, ma solo un'opzione persona­le; per lui sia la verginità che il matrimonio vengono da Dio e sono due vie per la realizzazione di una chiamata che è divina. Aggiunge infatti: «Ciascuno continui a vivere secondo la condizione che gli ha assegnato il Signore, così come Dio lo ha chiamato; così dispongo in tutte le chiese» (7' 17).

«La verginità e il celibato per il Regno di Dio non solo non contraddicono alla dignità del matrimonio, ma la pre­suppongono e la confermano. Il matrimonio e la verginità sono due modi di esprimere e di vivere l'unico mistero del­l'alleanza di Dio con il suo popolo» (PC 16). La comple­mentarietà del matrimonio e della verginità, all'interno dell'alleanza Cristo-Chiesa, rimanda al mistero dell'Amore di Dio rivelato nell'Unigenito incarnato e nella sua pasqua di morte e di risurrezione. Questo Amore non è adeguata­mente espresso né dal solo matrimonio né dalla sola vergi­nità. Sono indispensabili entrambe le vocazioni. Il matri­monio sottolinea l'assoluta unicità e personalizzazione di questo Amore: Dio ama ciascuno di noi come unico, chia­mandoci per nome. Il matrimonio cristiano, all'interno dello sposalizio Cristo-Chiesa, testimonia dunque la di­mensione particolare dell'Amore di Dio. La verginità con­sacrata, all'interno dello stesso sposalizio Cristo-Chiesa, proclama l'universalità dell'Amore di Dio, il suo volgersi a tutti, nessun escluso. L'amore testimoniato dalla persona

1 De habitu virginum, 22; PL 4, 462.

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vergine non è un amore individuale o esclusivo, legato ad un partner singolo o ad una propria famiglia; è un amore rivolto a tutti, senza legami particolari. È chiaro che solo insieme, matrimonio e verginità, sono in grado di rivelare la totalità dell'Amore di Dio verso il mondo quale si è at­tuato in Cristo e si dispiega nella Chiesa, «Sponsa Verbi».

Una vocazione rivela l'altra e ne ha bisogno: - i coniugi, nel loro amore particolare, hanno bisogno della testimonianza dei consacrati per rimanere consape­voli che il loro amore non può chiudersi fra loro due o so­lo dentro le loro mura domestiche; deve avere un respiro più grande, universale; - i consacrati, nel loro amore universale, hanno bisogno della testimonianza dei coniugi per evitare il pericolo -sempre possibile- di un amore generico, astratto, che di­mentica la concretezza delle persone: dire di amare tutti può voler dire non amare nessuno!

«Quando non si ha stima del matrimonio non può esiste­re neppure la verginità consacrata; quando la sessualità umana non è ritenuta un grande valore donato dal Creato­re, perde significato il rinunciarvi per il Regno dei cieli» (FC 16). Nessuna delle due vocazioni può essere trascurata o messa da parte. Ognuna di esse porta all'altra. Il matrimo­nio svela la verginità in quanto è in sé simbolo delle nozze escatologiche a cui la Chiesa-vergine e i vergini consacrati anelano con tutto il loro essere, quando «si compirà il mi­stero di Dio come Egli .ha annunziato ai suoi servi, i profe­ti» (A p 1 O, 7). La verginità svela il matrimonio in quanto -pur costituendosi quest'ultimo come evento «nel Signore» (1 Cor 7, 39) - rimane comunque un evento contingente .rispetto al Regno di Dio e al suo compimento escatologi­co: «Il tempo ormai si è fatto breve; d'ora innanzi coloro che hanno moglie vivano come se ... » (1 Cor 7, 29 ss.).

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Il matrimonio cristiano è permeato della logica della verginità, allo stesso modo in cui la verginità. cristiana è permeata dalla logica della sponsalità. L'uno e l'altra esi­gono fedeltà e sacrificio. ·«Gli sposi cristiani hanno perciò diritto di aspettarsi dalle persone vergini il buon esempio e la testimonianza della fedeltà alla loro vocazione fino alla morte. Co1r1;e per gli sposi la fedeltà diventa talvolta difficile ed esige sacrificio, mortificazione e rinnegamento di sé, così può avvenire anche per le persone vergini. La fedeltà di queste, anche nella prova eventuale, deve edificare la fedel­tà di quelli» (FC 16). Complementari nel rivelare l'Amore di Dio per l'umanità, matrimonio e verginità sono dunque complementari nella stessa ascetica che richiedono e nei doni di testimonianza che si scambiano per poter rispon­dere in pienezza al dono che ciascuno ha ricevuto secon­do la multiforme grazia di Dio (1 Pt 4, 10).

La verginità, un carisma da conquistare

Parlare di carisma della verginità vuoi dire evocare l'ini­ziativa libera e gratuita con cui Dio ha chiamato il consa­crato alla sequela di Cristo, con un dono proprio nella Chiesa. Il termine «carisma» richiama implicitamente l'in­ciso matteano sulla chiamata alla verginità pet il Regno of­ferta (dedòtaz) a coloro· a cui è stato concesso di capire (M t 19, 11-12). Si tratta di un dono che viene solo da Dio. In quanto tale, nessuno può esigerlo come un diritto o trame vanto o credere di averlo meritato; ne è concesso a chi ne è più degno; come «ogni dono perfetto viene dall'alto e di­scende dal Padre della luce» (Gc 1, 17) ed è solo opera dello Spirito che distribuisce i suoi doni a ciascuno come vuole (1 Cor 12, 11) .

Questa origine del dono induce nel consacrato almeno una duplice consapevolezza:

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_ a chi è stata data la luce per comprendere il dono della chiamata alla verginità per il Regno, sarà egualmente data la capacità per accogliere questo dono e realizzarlo per tutta la vita con fedeltà e pienezza: il consacrato nella ver­ginità vive nella fiducia che chi ha chiamato porterà a compimento la sua opera; _ un tale dono può essere conservato solo con la grazia di Dio e il suo aiuto: dalla grazia di Dio dipende infatti non solo la libera scelta iniziale, ma la sua attuazione quotidia­na e la perseveranza; non si tratta di una realtà semplice­mente naturale, ma soprannaturale.

Come ogni dono di Dio richiede una risposta: è un cari­sma dello Spirito, ma che dev'essere personalmente con­quistato. Il discorso dell'ascetica del dono della verginità consacrata va visto entro questo ambito di tipo carismati­co: è trasfigurazione della sessualità, nella sua dimensione più profonda, per farla diventare sotto l'azione dello Spiri­to fonte di una nuova fecondità spirituale. All'interno di questo processo di maturazione si posson~ indic~re, da~ punto di vista della dinamica umana, alcum attegg1a~ent1 unilaterali da evitare o da cui concretamente guardarsi:

- Un atteggiamento di rigorismo nevrotico o, all'opposto, di ingenuo angelismo: il rigorismo è segno di mancanza di libertà nei confronti della sessualità e dell'affettività e può condurre - per effetto contrario - a reazioni di particolare vulnerabilità; l'angelismo è segno di immaturità, in quanto dimentica più o meno inconsciamente le ferite del peccato originale e può condurre a delicate situazioni di impru­denza.

· - Un atteggiamento di ossessività o, all'opposto, di superfi­. cialità: l'ossessività, figlia del rigorismo, conduce ad atteg­giamenti di paura e di scrupolosità che non sono certo un

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buon terreno per coltivare la verginità per il Regno; la su­perficialità, figlia dell'angelismo, consiste nel lasciarsi an­dare nelle piccole cose, mettendo a repentaglio la propria scelta. Un sano atteggiamento di prudenza è indispensabi­le per poter vivere la verginità. - Un atteggiamento di ripiegamento su se stessi: di fronte a difficoltà insorgenti, a tensioni, attrattive affettive incipien­ti, ci può essere il pericolo di chiudersi in se stessi, viven­do una verginità forzata oppure triste, fredda, senza gioia. In altri casi si possono verificare frustrazioni (nell'ambito del lavoro, della famiglia, del rapporto con gli altri...) tali da far avvertire maggiormente il senso della solitudine o la domanda sul «perché» della propria scelta. In queste di­verse situazioni sono indispensabili almeno due risorse: l . ·avere una buona direzione spirituale, con un colloquio franco, trasparente, su quanto si sta vivendo; 2. avere dei veri, autentici rapporti di amicizia e di fraternità dove sia possibile far decantare le diverse situazioni e trovare un sostegno nei momenti di difficoltà.

Al fondo di tutte queste attenzioni, si pone e si deve por­re la viva consapevolezza della presenza dello Spirito e della sua azione che fa della verginità consacrata un'av­ventura unica, irripetibile e sempre nuova; un dono e una chiamata a realizzare un vivo rapporto sponsale con Dio per una dedizione totale di sé alla Chiesa e al mondo. Ani­ma di tutto -oltre ad una continua riscoperta delle moti­vazioni teologiche - è un'autentica esperienza di contem­plazione e di docilità all'azione dello Spirito, alimentando­si di continuo alle fonti della parola di Dio e della grazia. La verginità consacrata non è semplicemente una «voca­zione naturale» elevata poi all'ordine soprannaturale, ma un dono che in sé «viene dall'alto» e che, di conseguenza, vive e cresce solo in tale atmosfera.

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PREGARE LA PAROLA

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«Come può un'anima rivestita di carne mortale vincere la legge della natura,. gli sbandamenti della libertà, . le inquietudini dei sensi, gli stimoli dell'età, se non sei tu, Padre misericordioso, ad accendere e alimentare questa fiamma comunicando la tua stessa forza? .

Tu hai riversato su tutti gli uomini la grazia del tuo amore -e da ogni popolo della terra hai raccolto con infinito numero di stelle, i tuoi figli nati non dalla carne e dal sangue, ma dallo Spirito, per farne gli eredi del nuovo patto e hai riservato ad alcuni tuoi fedeli un dono particolare scaturito dalla fonte della misericordia.

Alla luce dell'eterna sapienza hai fatto loro comprendere, che mentre rimaneva intatto il valore e l'onore delle nozze, santificate all'inizio della tua benedizione, secondo il tuo provvidenziale disegno dovevano sorgere donne vergini che, pur rinunziando al ma.trimonio, aspirassero a possedere nell'intimo la realtà del mistero.

Così tu le chiami a realizzare al di là dell'unione coniugale, il vincolo sponsale con Cristo di cui le nozze sono immagine e segno.

La beata verginità ha riconosciuto il suo autore ed emula della condizione degli angeli si è consacrata all'intimità feconda di colui che della verginità perpetua è Sposo e figlio» 2.

PER UNA VERIFICA SPIRITUALE

La verginità consacrata rappresenta un dono elargito da Dio per il bene comune della Chiesa e del mondo.

Avverto la mia consacrazione verginale come un dono? Che cosa significa per .me vivere sotto il segno della gratuità di questo dono?

Il dono della verginità consacrata è complementare al dono del matrimonio; entrambi manifestano e attuano, in modo proprio, l'unico e infinito mistero dell'amore di Dio.

Sento la mia vocazione realmente complementare a quel­la dei coniugi? Qual è il mio atteggiamento interiore, reale, profondo? Quanto spazio dedico alla preghiera?

La verginità è per me un positivo investimento di amore? Come vivo le situazioni di solitudine?

Un uomo traversò terre e mari per verificare personalmente la straordinaria fama del maestro.

«Che miracoli ha operato il vostro Maestro?» chiese ad un discepolo.

2 Rito di consacrazione delle vergini.

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«Be', c'è mirac0lo e miracolo», rispose. «Nel tuo paese è considerato un miracolo che Dio faccia la volontà di qualcuno. Nel nostro paese è considerato un miracolo che qualcuno faccia la volontà di Dio».

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VERGINITÀ CONSACRATA E CARITÀ (1 Cor 13, 1-13)

«Se anche parlassi le lingue degli uo­mini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che ri­suona o un cembalo che tintinna: Queste dunque le tre cose che riman­gqno: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità! » (13, 1. 13).

La verginità consacrata non appartiene in primo luogo all'ordine dell'avere, ma a quello dell'essere: non è anzi­tutto qualcosa che si ha, ma qualcosa che si è. In questo senso aveva ragione sant'Agostino quando considerava la verginità del corpo in funzione della verginità del cuore; ed entrambe, la verginità del corpo e la verginità del cuo­re, in rapporto alla carità, aggiungendo che «la custodia della verginità è la carità» 1•

La verginità per il Regno è in effetti una scelta di vita ra­dicalmente indirizzata alla realizzazione della pienezza della carità rivelata da Dio nella storia: è una «via» che sgorga dalla carità ed è protesa alla carità. La verginità li­bera il cuore per un amore più grande (cf. PC 12). Solo quando si è intravisto questa dimensione teologale si è in

t De sancta virginitate, 51.

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grado di realizzarne il senso profondo e di viverne la va- · lenza. La verginità è una forma di carità. Non vale tanto per sé, nella sua materialità, ma in relazione alla disponi­bilità a meglio amare per realizzare un'esistenza di amore.

AsCOLTO DELLA PAROLA DI DIO

Il capitolo .13 di 1 Còr è una delle pagine più suggestive del NT; esso descrive, con accenti lirici insuperabili, il contenuto teologico ed insieme etico della carità. Il termi­ne <<agàpe» (amore, carità), che cadenza l'intera pericope corrisponde in Paolo a tutto il mistero della benevolenza salvifica di Dio realizzato nella pasqua di Cristo e dispiega­to nel battesimo (Rm 6) mediante il dono dello Spirito Santo che ha reso i credenti «figli nel Figlio» (Rm 8, 14-17; Gal 4, 6). L'uomo salvato dall'Amore è chiamato al­l'Amore.

La carità è dunque anzitutto il dono della vita di Dio in noi, il dono della grazia, che trasforma l'uomo, facendolo diventare una nuova creatura. Questo Amore di Dio, dif­fuso nei cuori mediante lo Spirito Santo (Rm 5, 5), è il fondamento dell'agire del cristiano (dimensione teologale) e, al tempo stesso, appello a fare della sua vita una traspa­renza dell'Amore (dimensione etica). Una dimensione che non è separabile dall'altra. In ciò Paolo chiarisce l'appa­rente contrapposizione che sembra sussistere tra· i «doni spirituali» e la carità (12, 31 e 13, 1-2). Dal momento che l'esistenza redenta scaturisce dall'Amore e chiama all'A­more, solo nell'Amore trova la sua definizione adeguata e .il suo compimento. Non sono i carismi, tanto meno quelli spettacolari così cari ai Corinzi, a qualificare l'esistenza dei cristiani, ma la carità. Solo l'Amore rende fecondi i

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-~--~- -~·- •" ..

doni spirituali. Essi d'altra parte coprono solo il tempo presente, mentre la carità non avrà mai fine.

«Se nonavessi la carità» (vv. 1-3)

I primi tre versetti sono strutturati secondo un paralleli-smo che implica tre stichi: .

1. Se io ...

2. ma non ho la carità ...

3. Allora. . . nulla, niente.

Il secondo stico permane identico. Il primo segue un c~escendo (dal parlare lingue al dono della profezia fino al martirio),· a cui corrisponde un decrescere del terzo stico

·(«un bronzo» o «un cembalo», «non sono nulla» «niente ' ' mi giova»). E notevole la forza dell'antitesi: «Sono come

un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna... Non sono nulla ... Niente mi giova»; un'antitesi chiaramente fi~ nalizzata a mostrare l'assoluta necessità della ·carità, nella sua dimensione teologale, al punto che Paolo arriva a ipo­tizzare che nemmeno «il dare tutte le proprie sostanze» e «il proprio corpo a bruciare» servirebbe se non fosse det­tato dalla carità; un modo provocatorio, se vogliamo, ma efficace. di rappresentare una verità che sta a cuore all'A-

. postolo: senza· l'Amore di Dio diffuso in noi per il dono dello Spirito Santo, tutto diventa vuoto o può diventarlo!

<<La carità ... >> (vv. 4-7)

Ad evitare che la carità teologale sia intesa in termini astratti o generiCi, l'apostolo delinea le caratteristiche con­crete della carità, le esigenze tipiche a cui il riconoscimen­to realé dell'Amore di Dio donato ·ai cristiani conduce.

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L'agàpe è il soggetto di quindici verbi: due verbi positivi («pazienta, fa il bene», v. 4a), otto negativi («non invidia, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male, non si rallegra dell'ingiustizia», 4b-6a), un verbo po­sitivo («si compiace della verità», v. 6b) e altri quattro ver­bi positivi col complemento oggetto «tutto» («panta»: «ri­copre tutto, crede tutto, spera tutto, soffre tutto», v. 7). Il fatto che la carità sia il soggetto grammaticale dei singoli verbi (la carità pazienta, fa il bene), e non una semplice qualifica come potrebbe lasciar supporre la traduzione della CEI (la carità è paziente, è benigna la carità), sottoli­nea che la carità costituisce la sorgente dinamica e l'anima perennemente vivificante dei singoli atti e delle opere elen­cate. L'Amore di Dio è l'origine fontale di tutto l'agire cri­stiano e la mèta.

«La carità non avrà mai fine» (vv. 8-13)

Procedendo per immagini, Paolo afferma ora la perenni- ( tà dell'Amore, sia in senso teologale che etico. La carità di cui ha parlato non conoscerà tramonto; di qui le forti con­trapposizioni tra presente e futuro, tra condizione di bam­bino e condizione di adulto, tra parzialità e completezza di conoscenza, che relativizzano i doni spirituali, le cono­scenze e ogni altra realtà vissuta in questo mondo. Spe­cialmente le immagini del bambino (v. 11) e dello spec­chio (v. 12) evocano in modo espressivo la tensione esca- · tologica dell'esperienza cristiana. Tutte le realtà della vita dell'uomo su questa terra, pur buone, sono destinate a ce­dere il posto a realtà infinitamente più grandi. La vera esi­stenza redenta si misura con l'eternità dell'Amore trinita­rio al quale siamo radicalmente protesi e nel quale saremo immersi per sempre. Le stesse virtù teologali trovano la lo-

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ro consistenza e il loro compimento solo nella carità. «Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la spe­ranza e la carità; ma di tutte la più grande è la carità» (v. 13). .

APPROFONDIMENTO TEQLOGICO

Il discorso di Paolo interessa da vicino chi, per dono, è stato chiamato alla sequela Christi nella verginità consa­crata. La necessità assoluta della carità e la perdita di con­sistenza di ogni gesto, anche il più nobile, quando non sia ricolmo della carità di Dio, vale per i doni spirituali e per le diverse ministerialità nella Chiesa, e vale per la verginità

. consacrata. Senza la carità tutto diviene come «un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna», un «nulla» che a «niente giova»; una carità come dono dello Spirito che di­mora in noi, ma che si trasforma in un concreto stile di vi­ta, in opere vissute e negli atteggiamenti di fondo che Pao­lo elenca in modo tanto dettagliato e puntuale.

La carità, anima della verginità consacrata

L'esistenza cristiana non si realizza che a partire dalla carità; essa è «il primo dono e il più necessario» per rea­lizzare quella vocazione alla santità a cui tutti siamo chia­mati (LG 42). La carità è il principio che dà valore ad ogni altra virtù; essa è il segno e la controprova della perfezione cristiana. «Al di sopra di tutto vi sia la carità, che è il vin­colo di perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti!» (Col 3, 14-15). Quanto è vero per tutti i battezzati è costitutivo per la professione dei consigli evan­gelici. I voti, in qualunque forma siano emessi, hanno un

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carattere di «mezzo», non di fine: il loro significato è di condurre a «liberare dagli impedimenti che potrebbero di­stogliere il fedele dal fervore della carità e dalla perfezione del culto divino» (LG 44). Questo dato è semplicemente fondamentale.

L'anima della vita consacrata è la ricerca della perfezio­ne nella carità, carisma dei carisma, senza cui tutto il resto è come. nullo. Se i consigli evangelici non sono «informa­ti» dalla carità di Dio e non sono vissuti come forine di vi-ta che la manifestano e la realizzano non seryono a niente! Il liberarsi dall'istinto di possesso (povertà), dall'istinto di erotismo (castità) o da quello del potere (obbedienza) non ha altro scopo che far crescere nella carità, per fare di tut- l

ta la propria esistenza un segno vivente di Dio-carità. Pri­ma dei tre voti, esiste un unico voto fondanìental~: il voto della carità come risposta alla carità di Dio ed epifania vi­vente della carità trinitaria manifestata nella storia in Cristo . . Gesù e nel dono del suo Spirito. Un unico voto, che è ra-dice e ragione di tutto il resto. Se non si pone in evidenza questo dato, si rischia di ridurre i consigli evangelici (co­me spesso avviene) ad un insieme di regole e di atteggia­menti più o meno esteriori che finiscono per svuotarli del loro più profondo significato e della loro valenza teolo-gica. ·

Storicamente, sia tra i primi anacoreti dell'Egitto che tra i cenobiti dell'Oriente e dell'Occidente, si formulava un unico gesto.di dedicazione a Dio, detto propositum, votum monasticum, .pactum, professio santitatis. Lo scopo era di esprimere una scelta di amore che proclamasse il primato della carità di Dio e richiamasse tutti, in modo forte-e ra­dicale, a riconoscere tale primato. Un simile voto-implica­va tutto: la povertà, la castità, la vita ascetica, la penitenza e la pratica delle virtù evangeliche. Questo atto globale ve-

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niva espresso, allora come oggi, con il termine di «consa­crazione»: colui che si consacrava era- nel linguaggio di Agostino- «homo Dei nomine consecratus et Deo votus», un uomò consacrato al nome di Dio e a Lui riservato, de­dicato. Una tale scelta non era mai considerata al di fuori della salvezza del mondo; al contrario, se implicava un al­lontanamento dal mondo, era solo per situarsi dalla parte di Dio a servi~io della redenzione di tutti; un servizio of­ferto con la testimonianza paradossale, talvoltà apparente­mente folle, della propria scelta di consacrazione. Tutta la vita del consacrato (eremita o cenobita che fosse) voleva essere un'espressione vivente della carità di Dio e unà sua lode, una scelta di carità. I primi monaci non si propone­vano tanto di vivere dei voti più o meno istituzionalizzati ~a di rispondere alla carità di-Dio, facendo dèlla propri~ esistenza un segno della carità di Dio.

Non diversamente va interpretata l'articolazione dei tre voti, risalente per i primi inizi alla fine del primo millennio e all'inizio del secondo e stabilita in forma canonica con la nascita degli ordini mendicanti a partire dal XII-XIII secolo. Lo scopo di questa articolazione non era quello di stabilire delle forme giuridiche fini a se stesse, ma di evidenziare le tre grandi vie di interiorizzazione e di attuazione dell'unica consacrazione a Dio nella carità e come carità. Occorrerà ricordarsi sempre di questo significato originario dei voti; da esso non dovrebbero mai essere separati.

Consacrarsi vuoi dire attuare una scelta di cc;zrità, in sen-so teologale,

una carità che si fa povertà, una carità che si fa castità,

una carità che si fa obbedienza, oppure, meglio ancora: . una carità nella povertà,

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. una carità nella castità,

. una carità nell'obbedienza.

Risiede nella carità di Dio il movente della professione dei consigli evangelici e il suo fine; essi operano «per mez­zo della carità alla quale conducono» (LG 44): sono un amore povero, un amore casto, un amore obbediente. La verginità è una virtù perché apre al valore della carità e di­spone a realizzar! o.

La verginità consacrata, «via» per realizzare la pienezza della carità

La verginità consacrata è una «via» della carità: origina­ta dalla carità e radicalmente indirizzata alla carità. La ver­ginità, come lascia intendere Agostino, non è onorata in quanto tale, ma perché conduce nella carità ad una totale dedicazione a Dio e al suo Regno 2 • Il valore della consa­crazione verginale - occorre ribadirlo con forza - non de­riva tanto da un dato di ordine puramente materiale, ma dal suo significato formale e quindi dalla carità di Dio da cui scaturisce, su cui si fonda e a cui tende. Non è solo un fatto fisico, ma un modo di essere, un vissuto interiore, dall'Amore all'Amore, che coinvolge la persona totale, con la sua spiritualità, la sua corporeità, la sua affettività, la storicità e la relazionalità della sua esistenza come in un'ablazione sacrificale.

Non a caso san Tommaso d'Aquino qualifica la vita consacrata come un «olocausto»: i consacrati «sono colo­ro che si dedicano totalmente al servizio di Dio, facendo

2 Cf. De virginitate, 8, 11; PL 40, 400.

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di sé un olocausto» 3 • Come è noto, tra i vari tipi di sacrifi­ci, l'olocausto è quello in cui la vittima viene interamente bruciata, consumata, in un atto di culto totale, senza che si riservi niente per gli offerenti. La consacrazione vergina­le appartiene a questo genere di «offerte sacrificali». L'A­more è la sua norma suprema.

La carità definisce non questo o quell'aspetto della ver­ginità consacrata, ma la sua stessa essenza. Secondo l'inno di 1 Cor 13 questa carità deve iscriversi nella quotidianità dell'esistenza dei battezzati. Ciò vale in modo assoluto per i consacrati. Non è concepibile una verginità consacrata che non includa nel suo contenuto essenziale l'amore ri­volto agli altri, in tutte le sue forme possibili, che non im­plichi la disponibilità a servirli e a farsi accoglienza e dono

·sul modello di Gesù, «a gloria di Dio» (Rm 15, 7).

La scelta di Dio come l'Unico richiede di tradurre la propria consacrazione in un servizio concreto agli altri. Secondo la logica dell'incarnazione non si può infatti sepa­rare l'amore di Dio dall'amore del prossimo. «Chi non ama il fratello che vede non può dire di amare Dio che non vede» (1 Gv 4, 20). L'amare Dio esige di amare ogni fra­tello e ogni sorella. Ogni incontro con l'altro rappresenta un incontro col volto dell'Amato. La verginità è a servizio della carità, non il contrario.

La verità della verginità consacrata, di conseguenza, vie­ne ad essere comprovata dalla disponibilità ad amare col cuore stesso di Dio, realizzandone i frutti e testimoniando­li nella vita. L'elencazione paolina sulle note caratteristi­che della carità rappresenta, da questo punto di vista, un

3 Summa Theo/ogiae, II-II, q. 186, a. t c.

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ottimo banco di prova, un paradigma di verifica per l'au- · tenticità della consacrazione verginale. Chi .non tende a realizzare quell'attuazione della carità non realizza neppu­re· il senso profondo della verginità per il Regno.

La carità è paziente, è benigna la carità, non è invidiosa la carità,

non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità.

Tutto copre, · tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.

Sussiste una corrispondenza oggettiva tra carità e vergi­nità consacrata. Se i consacrati nella verginità partecipa­no, per la loro parte, al mistero sponsale di Cristo che ha dato se stesso per la Chiesa, sono chiamati a riviverne la dinamica di dono e di accoglienza. Per questo esiste una contraddizione profonda tra la scelta della verginità consa­crata e un atteggiamento di chiusura in· se stessi o di ripie­gamento su di sé.

La verginità consacrata è radicalmente indirizzata a dila­tare la vocazione nativa e fondamentale all'amore e alla comunione, e a realizzare la pienezza della carità che di­

. mora in ogni battezzato per il dono dello Spirito Santo. Purtroppo, la tentazione dell'egocentrismo o addirittura

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dell'egoismo, del disinteresse o del disimpegno può rag­giungere gli stessi consacrati; ne soffre allora non .solo la carità, ma la stessa verginità.

La verginità consacrata come gioia

La gioia della verginità consacrata non può che scaturire da un cuore capace di amare. Tommaso d'Aquino offre una splendida descrizione del «gaudium ex carita te»: «La gioia è causata dali' amore o per la presenza del bene amato o perché nello stesso bene amato si trova e si conserva il proprio bene. A questa seconda forma appartiene in modo particolare l'amore 4i benevolenza in forza del quale la per­sona che ama gioisce della persona amata e del suo bene, anche se assente» 4 • La gioia, secondo questo testo, sgorga

·dall'amore come l'effetto della sua causa. Solo chi ama è in grado di gioire. Amore e gioia vanno di pari passo e si intrecciano. ·

Un simile «gaudium» non si costituisce, però, come un mero sentimento soggettivo; suppone un fondamento nella realtà; richiede di correlarsi a qualcosa («un bene amato») o, meglio, a qualcuno («una persona amata») in cui «si trova e si conserva il proprio bene», anche se assente. Ne deriva che quanto più grande è il bene amato e il legame che si stabilisce, tanto più &rande è la valenza dell'amore e la gioia che ne consegue. E quanto mostra san Tommaso nel seguito del testo citato. L'amore ultimo, quello che realizza perfettamente tutte le altre forme di amore uma­no, «è l'amore di Dio, il cui bene è immutabile, perché egli stesso è la sua bontà. E per il fatto stesso che è amato, Dio

4 Summa Theologiae, 11-11, q. 28, a. l.

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si trova in colui che lo ama come il più nobile degli ~ffetti, secondo le parole di san Giovanni: 'Chi sta nella cantà.s~a in Dio e Dio in lui'. È così che la gioia più alta è la gwza spiritu~le che riguarda Dio, ed è causata in noi dal suo amore» 5 •

La peculiarità dell'amore divino è di ~reare in .colui che è amato la capacità stessa di amare e d1 ~enders1 pres~n~e in lui: è in questo senso che Tommaso spiega che «la giOia più alta è la gioia spirituale che riguarda Dio, ed~ causata in noi dal suo amore». La verginità consacrata s1 colloca entro questo ambito di amore e di gioia, la, gioia che Ges~ ha lasciato ai suoi (Gv 15, 11; 16, 21-23); e dunque per se inaccettabile che il vergine sia triste, non sappia gioire, non sia colmo della gioia di colui a cui si è consacrato e non la diffonda nel mondo. I frutti dello Spirito di Dio so­no «amore, gioia, pace, pazienza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c'è legge» \Gal 5, 22-23). La gioia di cui si parla non va confusa, evidente­mente, con il cameratismo o l'allegria esteriore; è la pace del cuore e la fiducia nella grazia divina anche in mezzo alle difficoltà più grandi (Sal15; 29; 111); è la gioia di chi ha scoperto il Regno (M t 13, 44-46) e .d~lla presenza. d~ll~ sposo (Mc 2, 18-22). «Questa è la giOia delle ~ergm~ ?I Cristo: gioia per Cristo e in Cristo, gioia ~on .cnsto,. ~101a al seguito di Cristo, gioia per mezzo d1 ~nsto,. g1o1a a causa di Cristo. Esse hanno la loro lampada dlummata per il giorno delle nozze e seguono l'Agnello dovunque va­da» 6 •

s Summa Theologiae, 11-11, q. 28, a.1. 6 AGOSTINO, De Virginitate, 27; PL 40, 411.

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PREGARE LA PAROLA

«Se qualche volta trovi chiusa la porta del mio cuore sfondala ed entra nel mio animo, non tornare indietro, Signore.

Se qualche volta le corde del mio flauto non fanno risuonare il tuo caro nome, per pietà, aspetta un poco, non tornare indietro, Signore.

Se qualche volta la tua voce non rompe il mio sonno profondo, risvegliami con i colpi del tuo tuono, non tornare indietro,· Signore.

Se qualche volta faccio sedere altri sul tuo trono, o Re di tutti i giorni della mia vita, non tornare indietro».

(R. Tagore)

PER UNA VERIFICA SPIRITUALE

Vivere la carità costituisce la vocazione di ogni cristia­no; una vocazione che risponde all'aspirazione più profon­da del cuore umano: amare ed essere amato. E questo non tanto con le forze umane, ma con la forza stessa di Dio che ha diffuso il suo amore nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci ha donato (Rm 5, 5). Si radica in questa consapevolezza il fondamento della vocazione alla verginità consacrata come vocazione all'Amore; un amore che libera e realizza le dimensioni più profonde del nostro essere.

Come realizzo questa vocazione?

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Mi lascio plasmare dalla carità di Dio?

Come amo? Con quali segni concreti manifesto la carità di Dio diffusa in me per il dono dello Spirito Santo?

Vivo in unità l'amore di Dio e del prossimo? La verginità per il Regno è in me fonte di gioia e mi conduce a portare la gioia di Cristo al mondo?

La scelta della consacrazione è l'accettazione di una strada impegnativa e radicale per raggiun~ere .la perf~zi~­ne della carità; essa richiede tutta una sene d1 attet;tztom, di giusta prudenza e di maturità nei riguardi della mta per­sona e della mia vita di relazione.

Vivo con maturità queste esigenze di una attenta ascetica della castità consacrata? Le vivo in una dimensione di cari­tà teologale? In che cosa devo migliorarmi e a che cosa de­vo tendere?

«Rapisca, ti prego, .o Signore, l'ardente e dolce forza del tuo Amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell'Amore tuo, come tu ti sei degnato di morire per amore dell'amore mio» 7 • ·

1 Preghiera «Absorbeat», FF 277.

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VERGINITÀ CONSACRATA E MONDO (1 Cor 14, 1-5)

«Aspirate pure anche ai doni dello Spirito, soprattutto alla profezia. Chi infatti parla con il . dono delle lingue non parla agli uomini, ma a Dio, giac­ché nessuno comprende, mentre egli dice per ispirazione cose misteriose. Chi profetizza parla agli uomini per loro edificazione, esortazione e con­forto» (14, 1-3).

La verginità consacrata vuole costituire il sègno di un rapporto nuovo col mondo, di un modo nuovo di essere con gli altri e di costruire il futuro. La forma di questo se­gno è dato dall'esempio stesso di Cristo, il quale non si è precluso ogni rapporto col mondo, al contrario si è posto al suo interno come presenza di salvezza e rivelazione del progetto di Dio sull'umanità. I consacrati vogliono rical­care questo modello originario. Ciò avviene in forme di­verse, per i religiosi o per i consacrati secolari. Le dimen­sioni costitutive e le esigenze ascetiche della verginità per il Regno sono indubbiamente eguali per tutti, religiosi o secolari; cambia la modalità di attuazione e di testimo­nianza, derivante dalla loro diversa tipologia vocazionale. Entrambe tuttavia dicono relazione al mondo e si pongo­no come segno profetico del Regno veniente di Dio nel mondo.

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ASCOLTO DELLA PAROLA DI DIO

Il testo di l Cor 14, 1-5 ci introduce ad un tema di capi­tale importanza per la Chiesa e per tutti i battezzati: il te­ma della profezia. Dopo l'elogio al carisma dei carismi che è la carità e dopo aver ribadito che è ad esso che occorre tendere («Ricercate la carità», v. la), l'Apostolo riprende a trattare la questione dei diversi doni dello Spirito (v. l b), soffermandosi in particolare sul confronto tra il dono delle lingue e il dono della profezia (vv. 1-25) e indicando alcu­ne norme che ne disciplinano l'uso nelle assemblee pub­bliche (vv. 26-40). La sua preferenza va al carisma della profezia (v. le). La «glossol~lia» ~nf~tt~, ~ur e~se~do I?iù spettacolare e più bramata dm Connz1, e d1 ordme mfeno­re perché- a meno che non vi sia un interprete- è inin­telligibile per la comunità: avviene «in, sp~rito»~ e q~indi nella parte superiore della persona, l amma, tllummata dallo Spirito Santo e conduce a proclamare «cose miste­riose» (v. 2), oscure, inaccessibili ai più sia per il loro con­tenuto che per il modo in cui sono enunciate. A motivo di ciò, colui che ha il dono delle lingue di norma non «edifi­ca» che se stesso, a differenza del profeta (vv. 3-4).

Diventa chiaro allora quanto Paolo sottolinea subito do­po: «Vorrei vedervi tutti parlare con il dono delle lingue, ma preferisco che abbiate il dono della profezia; in realtà è più grande colui che profetizza di colui che parla con il do­no delle lingue ... » (v. 5). Di passaggio, l'apostolo indica le coordinate che costituiscono la profezia come un dono dello Spirito a servizio degli uomini e della Chiesa.

«Chi profetizza parla agli uominì per la loro edificazione, esortazione e conforto» (v. 3)

La profezia è un annuncio vivo («parla»); una testimo­nianza resa alla parola di Dio donata alla Chiesa e rivolta

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a tutti, nessun escluso («agli uomini»). Il profeta è un mezzo, uno strumento nelle mani di Dio: Dio stesso inter­viene per mezzo del profeta; chi profetizza pronuncia una parola che non è sua, ma del Signore («Mi fu rivolta la pa­rola del Signore», esclamano i profeti dell'AT) e che egli deve portare, intatta e vivente, a tutta la comunità, senza paura e a prezzo della sua stessa vita: il profeta è la « boc­ca» del Signore (Ger l, 9). Se proclamasse se stesso, non sarebbe più un vero profeta, perché non parlerebbe più agli uomini a nome di Dio, ma solo a suo nome.

La profezia, nella descrizione paolina, ha una finalità eminentemente positiva: - edifica il Regno di Dio nella storia,

. - esorta ad accoglierlo, proclamando ciò che gli è confor­me e ciò che non lo è, e chiamando così alla conversione e alla fede (cf. vv. 24-25),

- conforta, nel senso etimologico del termine, dando co­raggio e impegnando ad essere forti nella testimonianza del Vangelo e fiduciosi nella speranza, al di là di ogni av­versità o persecuzione.

Queste tre caratteristiche si ritrovano in ogni testimo­nianza profetica credente.

«Chi profetizza edifica l'assemblea» (v. 4)

Il carisma della profezia non è per se stessi, ma per la comunità. Il profeta edifica l'assemblea, chiamando i fede­li ad uscir fuori dai particolarismi e da ogni forma di divi­sione per essere Chiesa confessante attorno all'unico Si­gnore Gesù e all'unico Spirito, in ascolto della parola di Dio che salva. Sotto questo aspetto, la profezia richiede un ordine e un'unità di intenti, «perché Dio non è un Dio di

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disordine, ma un Dio di pace» (v. 33). Tutto questo è ve­ro, del resto, per ogni dono dello Spirito, dato sempre per l'utilità comune (12, 2) e per il servizio alla comunione ec­clesiale; ed è vero alla luce del carisma della carità, senza cui lo stesso dono. della profezia diviene un «nulla» (13, 2). Lo Spirito Santo non può contraddire se stesso. Solo se nasce dalla carità e conduce alla carità, la profezia è fe­conda e fruttuosa.

Non è male ricordare che le comunità cristiane dei pri­mi secoli avevano grande stima del dono della profezia; nelle liste paoline, essa viene subito dopo l'apostolato e prima di tutti gli altri doni (1 Cor 12, 28; 14, 1 .5; Rm 12, 6-8). La lettera agli Efesini afferma che la Chiesa è edifica­ta «sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti» (2, 20; 3, 5; 14, 11). La Didachè, già nel primo secolo, invita­va ad accogliere la profezia come un dono dello Spirito al­la Chiesa e a saperla distinguere dalla falsa profezia 1• Giu­stino, verso il 160, sottolinea la presenza del dono profeti­co nelle comunità cristiane: «Presso di noi potete trovare uomini e donne che hanno il dono dello Spirito» 2 • Intor­no al 180, Ireneo scrive che «parecchi fratelli nella Chiesa posseggono dei doni di profezia e di parola per mezzo del­lo Spirito; essi manifestano i segreti degli uomini, quando ciò è utile, e illuminano i misteri divini» 3 •

La profezia fa parte del mistero della Chiesa e l'accom­pagna dalla sua nascita al definitivo compimento. Giusta­mente il Concilio Vaticano n ha riproposto ai cristiani la

· t Xl, 7-8, 10-11. 2 Dial. con Trifone 82, l; PG VI, 670, 685. 3 Adv. Haer. V, 6, l; PG VII, 1137.

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necessità di riscoprire il carisma profetico, e lo ha fatto se­condo tre grandi linee:

- Cristo è il grande profeta (LG 35) a cui .si collega ogni altra profezia nella Chiesa: non è uno nella serie dei profe­ti, ma il compimento di tutte le profezie, l'ultimo e definiti­vo inviato di Dio, l'Unigenitò di Dio fatto Uomo, che an­nuncia il Regno escatologico nel mondo e lo realizza nella sua pasqua di morte e di risurrezione;

- la Chiesa, nuovo popolo di Dio, partecipa alla missione profetica di Cristo: tutti nella Chiesa, gerarchia e laicato, attuano e dispiegano - in diverso modo - quell'unica mis­sione profetica (LG 35);

- ogni fedele, nel battesimo, è stato reso partecipe dell'uffi­cio profetico di Cristo (AA 2). Di qui l'invito alla testimo­nianza con spirito di profezia: «Non c'è dunque nessun membro che non abbia parte nella missione di tutto il cor­po; al contrario, ciascuno di essi deve santificare Gesù nel suo cuore e rendere testimonianza di Gesù con spirito di profezia» (PO 2).

APPROFONDIMENTO TEOLOGICO

Il dono della profezia, almeno nel senso lato ìn cui ne parla il Concilio, appartiene alla condizione di ogni battez­zato. Diverso è il discorso del carisma profetico in senso stretto, concésso come grazia gratis data a qualcuno per scopi particolari. A noi interessa, in questa sede, la profe­zia hl. senso lato, connessa con il munus profetico ricevuto nel battesimo (munus = diritto l dovere).

La domanda che ci poniamo è se la verginità consacrata possa essere considerata come una forma di realizzazione

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del munus propheticum e in che modo. Dal momento che si tratta di un dono dello Spirito, come del resto la chia­mata al matrimonio (1 Cor 7, 7), essa è un vero carisma, dato per l'utilità comune, che si inscrive nel «già» e «non ancora» del Regno. In questo senso non c'è alcun dubbio che la verginità consacrata rappresenti una forma di profe­zia, legata al munus propheticum del battesimo, e cometa­le sia da vivere nel mondo.

La «profezia» della verginità consacrata: proclamare la realtà più profonda dell'amore cristiano

Il chiamato alla sequela di Cristo nella verginità attua, in modo radicale, quel compito profetico che è proprio di tutti i battezzati, ponendosi come manifestazione e compo­nente costitutiva della Chiesa, comunità profetica nel mondo. La totalità della sua vita si fa simbolo che dispiega con la vita la profezia unica e definitiva di Cristo: una pro­fezia essenzialmente centrata sull'amore, l'amore di Dio­Trinità verso il mondo, l'amore come origine e compimen­to del progetto divino sul mondo, l'amore come radice e forma di una vera costruzione della comunità umana e del suo futuro.

La verginità consacrata si pone nel prolungamento di questa profezia: oggettivamente è una testimonianza di amore totale verso Dio e verso il mondo, esemplata sul modello dell'amore di Cristo, con la rinuncia all'amore co­niugale, per attestare a tutti la novità dell'Amore escatolo­gico (Regno) inaugurato dal Signore della pasqua. Per po­ter comprendere appieno questo aspetto occorre aver ~hiara la distinzione che si pone tra

- la castità a cui tutti i battezzati sono tenuti, qualunque sia la loro scelta di vita o la loro situazione vocazionale, e

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- la verginità per il Regno che implica la castità, ma va ol­tre sia per il contenuto che per il suo significato profetico.

La castità, per il battezzato, è quella virtù morale che re­gola - secondo la retta ragione illuminata dalla fede e dai principi morali cristiani - l'uso della sessualità e il suo esercizio. Ciò riguarda la vita dei coniugi e riguarda la vita di ogni cristiano, sia nell'ambito che al di fuori del matri­monio. La castità, intesa in questo senso, è un imperativo, un obbligo di ogni battezzato, e rientra ad esempio in tutto quel discorso fatto da Paolo sull'uso del corpo per la santi­ficazione e la gloria di Dio, e non per l'impudicizia (1 Cor 6, 12-20). «Che ciascuno sappia mantenere il proprio cor­po con santità e rispetto, non come oggetto di passione e li­bidine, come i pagani che non conoscono Dio» (1 Ts 4, 4-5). «Come avete messo le vostre membra a servizio dell'im­purità e dell'iniquità, a pro dell'iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santifi­cazione» (Rm 6, 19).

La verginità consacrata è talvolta intesa solo in questo senso, come rinuncia all'esercizio fisico della sessualità. È evidente che se fosse solo questo, sarebbe una forma di vi­ta che si limiterebbe a far vivere ciò a cui sono tenuti tutti coloro che non sono sposati. E questo non avrebbe niente di specifico. La verginità implica invece una dimensione molto più profonda e più ricca. Il vergine consacrato non si limita ad astenersi da attività sessuali; egli vuole fare del valore della propria castità una· realtà tipicamente vergina­le: la testimonianza di una pienezza di amore - in ragione della quale rinuncia al matrimonio - che riveli a tutti il senso profondo dell'amore cristiano, la realtà ultima dell'a­more portato al mondo da Cristo.

Risiede in questa specificità il nucleo centrale della ver-

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ginità per il Regno come profezia. La castità cristiana rap­presenta, ovviamente, la condizione necessaria per la ver­ginità consacrata, ma non ne dice l'essenza e il fine. Gli autori medievali utilizzavano, in proposito, un paralleli-. smo particolarmente significativo: la castità sta alla vergi­nità come la sobrietà sta alla munificenza. La sobrietà è la capacità di regolare in modo giusto le attività ordinarie e le esigenze quotidiane, evitando sia l'avarizia che lo sper­pero, e suppone un giusto autocontrollo di sé. La munifi­cenza è il donare con larghezza, l'offrirsi per grandi impre­se, e richiede un animo generoso e altruista. Secondo que­sto paragone, la castità è la conditio sine qua non della verginità, ma la verginità porta in sé un «novum» che è dato dal dono libero e disinteressato di sé, fatto da un cuore ·munifico, nobile che non si limita allo stretto neces­sario, a ciò che è imposto per legge o a ragionamenti basa­ti solo sul diritto, ma si offre con totalità, lasciandosi pla­smare dalla munificenza stessa di Dio e facendosi epifania di tale munificenza per tutti.

È allora, e solo allora, che la verginità consacrata viene realizzata nel suo contenuto reale, nella pienezza dell'a­more di Cristo per la sua Chiesa, vi partecipa e lo testimo­nia. È allora che diviene via della carità che conduce alla carità; un'autentica «profezia dell'amore» vissuta sulle strade del mondo:

- una profezia «critica» al cospetto di ogni concezione ri­duttiva o unilaterale dell'amore;

- una profezia «propositiva», che di-svela l'amore di gra­tuità e di comunione rivelato nel volto di Gesù e nel dono del suo Spirito come la sola forza in grado di plasmare la vita degli uomini e di edificare il loro futuro.

La verginità consacrata si pone come realtà-segno della

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costruzione della città dell'uomo a. misura della città di Dio; una città nella quale devono poter regnare le leggi dell'amore, del servizio reciproco e della cqmunione, del­l'accoglienza e del dono. La verginità consacrata, sotto questo aspetto, ha una forte connotazione di «segno profe­tico» in quanto indirizza tutti ad aprirsi alla fraternità e a costruirla nel mondo. Solo in un cuore puro e amante si edifica la fraternità. Una tale «profezia dell'amore» è al tempo stesso una profezia «inquieta» per chi, chiamato al­la verginità, avverte la distanza tra l'ideale da perseguire e la sua condizione reale; una «inquietudine sana» tuttavia nella misura stessa in cui obbliga a ricominciare ogni gior­no per rinnovarsi creativamente nell'amore, così come av­viene nel matrimonio dove l'amore esige di essere conti­nuamente reinventato. L'avventura dell'amore ha queste esigenze; l'amore è dinamico, non è mai una realtà statica o chiusa in se stessa. Non è stasis, ma ek-stasis. Nei profeti si riscontra spesso questa dialetica, proprio come tensione tra «profezia» e «amore» (Ger 20, 7-18), tra stasis e ek­stasis, tra chiamata di Dio e tentativo umano di fuga (Gn 1-4; Ger 15, 10-21). Ciò che è stato per i profeti, lo è oggi per i vergini consacrati, chiamati «a seguire l'Agnello ovunque egli vada» (Ap 14, 4). La loro condizione non è quella dei «beati possidentes», ma dei «viatores», di colo­ro che sono in cammino, con la consapevolezza dei propri limiti e talvolta anche con la stanchezza del viaggio, ma fi­duciosi nella potenza dello Spirito e totalmente protesi alla mèta.

Risulta splendida, in questo senso, la descrizione che J. Maritain dava di se stesso come di un mendicante in cam­mino nei territori di questo mondo, con un orecchio in­collato alla terra per coglierne le germinazioni nascoste, e con l'altro in ascolto del cielo per lasciarsi plasmare dalla

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Parola, coniugando in unità l'ascolto della terra e l'ascolto del cielo. La verginità consacrata, in qualunque forma sia vissuta, da"eligiosi e secolari, comporta questa profonda unità di vita, di ascolto di Dio che parla e di attenzione al grido che sorge dall'umanità per unire in una sintesi vitale l'uno e l'altro come segni del Regno veniente di Dio.

La «profezia» della verginità consacrata; farsi segno vivente dell'amore di Dio per il mondo

La profezia della verginità consacrata si presenta come una rivelazione vivente dell'amore di Dio per il mondo. Dio ama il mondo che egli stesso ha creato e vuoi salvare. Per questo vi ha inviato il Figlio e il Figlio ha dato se stesso per noi. «Dio ha tanto amato il mondo, proclama Giovan­ni, da dare il suo Figlio unigenito ... Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ml! perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3, 16-17). E m questa medesima linea che si pone la vocazione della verginità consacrata. Contrariamente a quello che talvolta si pensa, sia chi si ritira in un monastero o in un convento, sia chi è chiamato a vivere la propria scelta di verginità consacrata nella vita secolare, lo fa per una scelta di amore, in rispo­sta ad una chiamata indirizzata a testimoniare un amore più grande, quello di Dio per il mondo.

Il modello religioso di verginità realizza questo obiettivo richiamando alla relatività e al senso escatologico dell'esi­stenza umana, dicendo in atto come la salvezza del mon­do comporti un distacco, una libertà, senza cui si rischia di idolatrare noi stessi e le realtà che ci circondano, per­dendo di vista il senso più profondo e più alto della nostra .esistenza. Il voto di verginità diventa un segno della libertà nuova a cui Cristo chiama tutti gli uomini. Va inteso in

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questo senso il separarsi dagli altri con i segni visibili del­l'abito o dell'abitazione; segni visibili di una realtà di Amore a cui ci si consacra totalmente; segno forte del pri­mato di Dio nella vita dell'uomo e dell'attuarsi del suo Re­gno nella storia. La verginità è realizzata come radicalità evangelica e totalità di offerta di sé a servizio della santità e della missione della Chiesa nel mondo.

Il modello secolare parte piuttosto dalla prospettiva del­l'incarnazione e vuole offrirsi al mondo come una forma di solidarietà redentiva, testimoniando come si possa ama­re con il disinteresse e l'inesauribilità che attinge al cuore di Dio e dedicarsi gioiosamente a tutti, senza legarsi a nes­suno, avendo cura soprattutto degli ultimi. A partire da questa consapevolezza, la secolarità consacrata impegna a vivere il voto di verginità non nonostante o malgrado, ma proprio nello stare con gli altri e valorizzando al massimo ogni forma di incontro e di «essere con», in modo che ogni circostanza diventi un segno profetico del Regno nel­l'ambito delle singole professioni e dei diversi ambienti di vita. La verginità è realizzata come radicalità evangelica ai confini Chiesa-mondo.

In entrambe le forme di vita, l'impatto col mondo, anzi­ché un ostacolo, costituisce o deve costituire l'«humus» per una piena attuazione del carisma della verginità consa­crata, come un suo «spazio vitale» in ordine alla profezia del Regno. Risiede in questo dato il segreto di una vergini­tà consacrata, realizzata compiutamente e felicemente vis­suta, attuata non al di fuori della propria condizione stori­ca, ma in essa e attraverso di essa. A titolo esemplificativo · si possono indicare alcune di queste situazioni vitali che una piena realizzazione del carisma della verginità deve saper trasformare in realtà teologica:

- i rapporti frequenti o quotidiani con l'altro sesso o con

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ogni altro da sé, con l'atteggiamento di maturità, di disin- · voltura e di naturalezza che richiedono, liberandosi sia da inutili «tabù» che da forme di contrapposizione oppure di dipendenza affettiva;

- le situazioni morali negative con cui, per ragioni profes- · sionali, apostoliche o di volontariato, si viene a contatto che richiedono la capacità di superare pudori inutili, timo­ri ingiustificati oppure curiosità morbose, in uno sforzo di aggettivazione e di aiuto conèreto alle persone;

- la possibilità di esprimersi nel proprio ambito di vita o di impegno professionale, realizzandosi come uomini e donne, con le proprie attitudini maschili o femminili e con le proprie qualità o talenti di natura e di grazia;

- la possibilità di scambi sul piano della comunicazione e di autentiche amicizie cristiane che garantiscono - anzi­ché ostacolare - una valida integrazione affettiva.

Di fatto tutto è o può diventare - a meno che non si contrapponga alla propria scelta vocazionale -,una. situa­zione di crescita e di testimonianza profetica. E evtdente che ciò richiede

un'autentica maturità, umana, cristiana, affettiva, un forte senso di responsabilità e una costante lealtà con se stessi e con Dio,

- un'intensa spiritualità centrata su Cristo e sul suo Regno,

- una coscienza matura e un vivo discernimento asce­tico.

Solo a queste condizioni le situazioni esistenziali e socio­. logiche diventano «realtà teologiche», e quindi fattore di cresèita e forma di profezia. A tale scopo, come rovescio della medaglia, una saggia spiritualità della verginità con-

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sacrata deve guardarsi da alcuni atteggiamenti che posso­no essere ambigui o pericolosi:

1. L'isolamento che in determinate situazioni fisiche, psichi che o morali può diventare scoraggiamento, senso di vuoto o cedimento affettivo; in tutti questi casi, è necessa­rio avere il coraggio di ricercare le cause del malessere, fa­cendosi aiutare se necessario e intensificando la dimensio­ne della preghiera, dell'ascolto della parola di Dio e della vita sacramentale.

2. Il senso di inferiorità di fronte alle persone sposate che può condurre ad un inconscio atteggiamento di invi­dia o di rivalità o, per contro, ad un malinteso senso di su­periorità o di distacco dai coniugi e dalla loro vita, in una sorta di autosufficienza orgogliosa o di egoismo spirituale.

3. L'autoritarismo, l'accentramento, l'intolleranza, la durezza di tratti (specie in chi occupa posti di responsabili­tà); modi di agire che possono costituire manifestazioni più o meno inconsce di trasferimento di energie; per con­tro, atteggiamenti puerili, di ripicca o di egocentrismo che denotano infantilismi (psicologi e sociali) in aperto contra­sto col senso della verginità consacrata.

4. Il professionismo (altro è la professionalità, altro il professionismo!) in cui si può incorrere nell'ambito delle proprie attività o competenze, riducendo il lavoro ad un efficientismo manageriale o addirittura ad un'affermazione di sé e del proprio ruolò, con una forte perdita di umani­tà, di capacità di condividere la condizione degli ultimi e di fraternità.

Da tutti questi atteggiamenti, e da altri che si potrebbero elencare, occorre guardarsi con attenzione: essi potrebbe-. ro trasformare la profezia della verginità in una contro­profezia!

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PREGARE LA PAROLA

Gesù aiutami a spargere il profumo ovunque io vada. Inondami del tuo Spirito e della tua vita. Penetra in me ed impossessati del mio essere, così pienamente che tutta la mia vita sia soltanto un'irradiazione della tua. Risplendi attraverso me e in me. Che ogni anima che io avvicino senta la tua presenza nella mia anima. Che esse cerchino e vedano non più me, ma soltanto Gesù. Resta con me! Allora io incomincerò a splendere come splendi tu; a splendere così da essere luce agli altri; la luce, Gesù, verrà tutta da Te; e nulla di essa sarà mio; sarai tu ad illuminare gli altri attraverso me. Fa' che io ti lodi nel modo che a te più piace, effondendo la tua luce su quelli che mi circondano .. Che io predichi di Te senza precj.icare, non con le parole, ma col mio esempio: con la forza che trascina, con il suadente influsso del mio operare,

·con la manifesta pienezza dell'amore che il mio cuore nutre per te 4 •

4 Dagli scritti del Card. J. Newman.

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PER UNA VERIFICA SPIRITUALE

La realizzazione della verginità consacrata richiede un'autentica libertà interiore da cui nasce ia fecondità spi­rituale e fa di questo dono un segno profetico del Regno di Dio in mezzo al mondo.

Che cosa vuol dire, per me, «libertà interiore da cui nasce la fecondità spirituale»? Da che cosa devo liberarmi e a che cosa devo tendere? Sono un «segno profetico del Regno di Dio» nel mondo?

«Chi profetizza parla agli uomini per la loro edificazio­ne, esortazione e conforto». «Chi profetizza edifica l'as­semblea».

· Come valorizzo la mia condizione storica di persona con­sacrata, il mio essere con gli altri, per farne una profezia vi­vente?

La verginità mi conduce a vivere una nuova fraternità con tutti? È «profezia» della realtà più profonda dell'amore cristiano, l'amore di Dio rivelato in Gesù?

Il consiglio evangelico di castità mi fa «crescere in umani­tà», rendendomi disponibile agli altri?

Disse un giorno l'Occhio: «Vedo oltre queste valli un monte velato di nebbia azzurra. Non è meraviglioso?»

L'Orecchio udì e, dopo aver ascoltato attentamente, disse: «Ma dove sarebbe la montagna?

Non la sento».

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Allora parlò la Mano e disse: «Sto cercando invano di percepirla e di toccarla, ma non trovo montagne».

E il Naso disse: «Non ci sono monti: non ne sento odore».

Allora l'Occhio si volse ·dall'altra parte, e gli altri presero a discutere della sua strana allucinazione: «deve avere qualcosa che non va!».

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VERGINITÀ CONSACRATA ED ESCATOLOGIA (15' 1-28 .35-50)

«Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (15, 20-23).

La Chiesa è una comunità di redenti in cammino verso l'escatologia finale; come tale non avrà il suo compimento se non nella gloria del cielo quando si compirà il disegno eternamente stabilito di ricapitolare tutto in Cristo e, per mezzo dello Spirito, nel Padre (l Cor 3, 21-22; 8, 6; Ef l, 1 O). Il battesimo è già l'ingresso in una condizione escato­logica che caratterizza l'intera esistenza della comunità credente (LG 48-51). L'eucaristia è la memoria della pa­squa che preannunzia e preanticipa il ritorno glorioso del Signore (1 Cor 11, 25): in essa si partecipa già alla risurre­zione futura, la vita eterna (Gv 6, 55), e si alimenta inces­santemente l'anelito verso quell'eschaton dei cieli nuovi e della terra nuova che rappresenta il compimento definitivo della storia (A p 21-22).

La verginità consacrata riveste un ruolo particolare nel vissuto escatologico della Chiesa: è un'espressione specifi­ca e particolarmente forte della tensione di tutta la Chiesa, sposa di Cristo, verso il pieno possesso dello Sposo:

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- manifesta ai credenti i beni celesti già donati alla Chiesa e operanti nel mondo,

- testimonia la condizione nuova e definitiva acquisita con la redenzione di Cristo,

- preannunzia la futura risurrezione e la gloria del Regno celeste, anticipando la vita dei risorti (LG 44).

AsCOLTO DELLA PAROLA DI DIO

Il testo di 1 Cor 15, 1-28.35-50 orienta a questa temati­ca. A Corinto vi era molto scetticismo circa la risurrezione dei morti (1 Cor 15, 2). Influenzati dal mondo greco, dove. la risurrezione era considerata solo una grossolana inge­nuità (At 17, 32), alcuni cristiani si domandavano se sia proprio vero che risorgeremo (il fatto, 15, 3-34) e, in caso affermativo, come risorgeremo (il modo, 15, 35-53). Lari­sposta di Paolo si fonda sul rapporto causale che intercor­re tra la risurrezione gloriosa di Cristo e la risurrezione dei morti: se Cristo è risorto ed è trasfigurato nel suo corpo glorioso, anche noi risorgeremo e saremo trasfigurati nei nostri corpi.

«Cristo è risuscitato, primizia di coloro che sono morti» (v. 20)

L'argomento paolino è cristocentrico-pasquale, e si svi­luppa in base a due affermazioni parallele. La prima affer­mazione concerne la realtà della risurrezione di Cristo su cui Paolo non fa che trasmettere la tradizione da lui rice­vuta dagli Apostoli e di cui egli stesso si proclama testimo­ne oculare, assieme a centinaia di altri fratelli nella fede (vv. 3-10), con la conclusione: «Ecco quello che vi predi-

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chiamo e quello che avete creduto» (v. 11). La seconda affermazione intende mostrare come la risurrezione di Cristo implichi la realtà della risurrezione dei morti e d~nque coT?e s~a ~nco~cepibile non credervi. «Se si ;re­dlc~ ~he Cnsto e nsusc1tato da morte, come mai alcuni di Vol dicono che non esiste la risurrezione dei morti?» (v. 12).

Il ragionamento presenta un andamento dialettico:

- da una parte, si dimostra che «se non c'è risurrezione dei morti, nemmeno Cristo è risorto, e allora siamo falsi testi~onL.» (~. 13-16), avendo prima riportato le testi­momanze relative alla realtà delle apparizioni del Ri­sorto;

- dall'altra parte, si attesta che «se Cristo non è risorto va~a è la nostra fede e noi siamo ancora nei nostri pec~ ca ti» (vv. 17 -18), venendo a cadere il contenuto stesso della salvezza cristiana. Si tratta, con evidenza, di una ~iale~ica di tipo rabbinico nella quale un argomento mo­tiva l altro: negare la risurrezione dei morti equivale a negare la realtà della risurrezione di Cristo e, viceversa, con la conseguenza che «coloro che si sono addormenta­ti in Cristo si sono perduti» (v. 18); il che renderebbe inut!le la giustificazione e vana la speranza, e noi <~che a?,bia~o ~pe~ato i? .Cristo» saremmo «da compiangere pm di tutti gh uommi» (v. 19). Il ragionamento paolino è esattamente il contrario: «Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoio­no in Adamo, così riceveranno la vita in Cristo» (vv. 20-22). La risurrezione di Cristo è il fondamento della fede nella risurrezione finale. ·

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«E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti» (v. 28)

I vv. 23-28 sono indirizzati a mostrare il significato della risurrezione dei morti, e lo fanno in termini di signoria upiversale del Signore Gesù. Tutti risorgeranno grazie a Cristo, «che è la primizia»; allora egli «riconsegnerà il re­gno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza» (w. 23-24). La risurrezione fina­le coincide con il trionfo glorioso del Cristo: è un evento di «giudizio» che ratificherà la storia e manifesta la sovra­nità del Redentore sul mondo. «Bisogna infatti che egli re­gni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi» (v. 25). La morte sarà definitivamente sconfitta e la regali­tà del Risorto sarà manifesta: «L 'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi» (vv. 25-27).

Gesù è visto come il Signore a cui tutto è subordinato, che si presenta davanti al Padre per riconsegnargli quanto gli ha affidato. «E quando tutto gli sarà sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti» (v. 28). La risurre­zione escatologica costituisce l'estensione universale di ciò che si è irrevocabilmente compiuto nell' eschaton di Cristo e il compimento del disegno originario sulla creazione: «Dio tutto in tutti». E tale è la speranza della Chiesa e dei battezzati. Così, se è vero - per usare il linguaggio della lettera ai Romani - che «noi, pur possedendo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo», è altrettanto vero che «la creazione stessa attende con impazienza la rivela­zione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla ca-

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ducità non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa e nutre la speranza di essere lei pure liberata dal­la schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio... Tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» (Rm 8, 18-23). ·

È interessante notare il legame che Paolo stabilisce, in questo testo, tra

- la condizione nuova in cui i cristiani sono ormai posti («noi, pur possedendo le primizie»)

- l'attesa della piena manifestazione di questa condizione estesa alla redenzione del corpo («gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo»)

·_ e la trasformazione della creazione chiamata a parteci­pare alla gloria dei figli di Dio («la creazione stessa atten­de ... per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio»). Si tratta di un unico grande evento di glorificazione esca-

. tologica.

«La carne e il sangue non possono ereditare il regno di ·Dio» (v. 50)

Nei vv. 35-50 l'Apostolo si sforza di esporre la natura di questo evento finale. Con quale corpo si risuscita? (v. 35). Utilizzando l'immagine del seme, riesce ad affermare sia l'identità sostanziale che l'alterità tra il corpo terreno e il corpo celeste (vv. 36-37). Il processo spontaneo della ger­minazione non è il processo ·soprannaturale della risurre­zione, ma tra i due sussiste un'analogia. «Così anche lari­surrezione dei morti: si semina un corpo corruttibile e ri­sorge incorruttibile ... » (vv. 42-43). Questo rapporto è espresso da Paolo con due termini significativi: corpo psi-

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chico e corpo spirituale: «Se c'è un corpo psichico, vi è pu­re un corpo spirituale» (v. 44).

Il «corpo psichi co» è quello animato dalla psiche (nefe­sh, in ebraico) come dal suo principio vitale, e indica l'uo­mo nella sua condizione creaturale (Gn 2, 7). Il «corpo spirituale» è quello ricolmato dal dono dello Spirito (pneuma) di Dio, e corrisponde all'uomo redento da Cri­sto e vivente del suo Spirito (Rm 5, 5). Questo passaggio conosce il suo compimento nella risurrezione finale: da «psichico» il corpo diviene allora «spirituale», incorrutti­bile, glorioso, liberato dalle leggi della materia (vv. 42-44.53; 2 Cor 4, 17; Rm 8, 18; Fil3, 21; Col3, 4). Questa condizione gloriosa corrisponde a quella che è definitiva­mente propria del corpo di Cristo (Gv 20, 19; 19.26; Le 24, 16). Il parallelismo tra Adamo, il primo uomo, e Ge­sù, l'ultimo Adamo, serve a richiamare questa continuità: al corpo «psichico» segue il corpo «spirituale» (vv. 44-48). «Si semina un corpo psichico, risorge un corpo spiri­tuale» (v. 44). «Come abbiamo portato l'immagine del­l'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo cele­ste» (v. 49). Un evento di tale portata non dev'essere inte­so come un fatto di ordine semplicemente creaturale, ma divino, ed è solo frutto della potenza di Dio: «Questo vi dico, o fratelli: la carne e il sangue non possono ereditare il Regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l'incor­ruttibilità» (v. 50).

APPROFONDIMENTO TEOLOGICO

Il testo di l Cor 15 ci richiama con forza alla dimensio­ne escatologica dell'esistenza battesimale: il redento sa di essere ormai «rivestito» di Cristo, e non più «nudo» come

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il primo Adamo (2 Cor 5, 1-5); ma egli sa, in pari tempo, di dimorare ancora in una «tenda» e di aspirare alla trasfi­gurazione del proprio corpo ad immagine del corpo glo­rioso di Cristo (Fil 3, 21). La sua è un'esistenza sospesa tra il «già» e il «non ancora». La morte è vinta, e tuttavia c'è ancora un'opera da compiere e per la quale prodigarsi: «Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore» (v. 58).

La scelta della verginità consacrata si situa entro questa dialettica, come un «già» e «non ancora», vissuto in pri­ma persona: ..

- un «già» della condizione escatologica realizzato, per grazia, in una scelta di libertà e di donazione totale di sé

· che anticipa la condizione dei risorti;

- un «non ancora» perché rimane pur sempre un'attesa, con tutte le imperfezioni di chi vive in una condizione sto­rica, e richiede un prodigarsi «nell'opera del Signore», to­talmente protesi verso la parusia finale ..

«La vita nella verginità consacrata è un'immagine della beatitudine del mondo futuro» 1

Significativo si rivela, in questo ambito, il testo di Le 20, 27-40 e par.: «l figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che saranno giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendo­no moglie né marito, e nemmeno possono più morire, per­ché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezio­ne, sono figli di Dio» (vv. 34-35). Il senso delle parole di

1 GREGORIO DI NISSA, Trattato sulla verginità, XIV, 4.

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Gesù è chiaro: la vita escatologica è presentata come una forma di esistenza al di là della realtà storica del matrimo­nio («non prendono moglie né marito»), indistruttibile e definitiva («e nemmeno possono più morire»), paragona­bile a quella degli angeli («uguale agli angeli»), partecipe del mistero del Risorto («figli della risurrezione») e P.ropria­mente divina («figli di Dio»).

La verginità ha un riferimento tutto particolare a questa forma di esistenza: è un anticipo terrestre della vita escato­logica e un simbolo reale; una realtà-segno. Come realtà essa proclama, con la sua semplice esistenza e senza biso­gno di parole, quale sarà la condizione finale dell'umani­tà, quella destinata a durare in eterno, quando i rapporti umani non avranno· più la modalità espressiva che hanno su questa terra e i nostri corpi saranno trasfigurati dalla gloria del Kyrios. Come segno rimanda all'Assoluto di Dio, al primato della sua salvezza e al significato ultimo della storia, proclamando la transitorietà di questo mondo e l'appello ad orientarsi al «secolo futuro» quando il Signo­re Gesù «riconsegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ri­dotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza» (vv. 23-24).

Gli autori del passato hanno molto discusso se la vergi­nità debba essere considerata come uno stato di vita più perfetto del matrimonio. Le opinioni sono state (e sono) fluttuanti. Forse non è giusto ritenere che la verginità rap­presenti una condizione di vita antologicamente più perfet­ta del matrimonio: ognuna delle due vocazioni è uno stato di perfezione in sé e nell'ordine che gli è proprio e chiama con eguale forza alla santità e alla perfezione della carità; .escatologicamente si può dire tuttavia che lo stato divergi-nità consacrata colloca, di fatto, in uno stato più avanzato rispetto alla condizione alla quale tutti i battezzati sono

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chiamati e a cui la Chiesa tende con tutta se stessa. Pro­prio per questo motivo la verginità per il Regno non è un sacramento, come si è già avuto modo di n.otare: prima di appartenere all'ordine dei segni, infatti, appartiene all'or­dine della realtà: è una realtà escatologica che si fa segno, proclamando che gli ultimi tempi sono ormai presenti nel mondo, anche se non ancora pienamente disvelati. Rima­ne vero che i consacrati nella verginità -per quanto col­locati in una tale oggettività -vivono ancora in una con­dizione «carnale» che richiede un lungo tirocinio, e la lo­ro «realtà» rimane un «segno» sempre opaco in ordine alla rivelazione di ciò che veramente sarà la condizione dei risorti e· la Chiesa dell'escatologia.

La dinamica della verginità per il Regno va in questa direzione: offre una testimonianza viva che «il tempo si è ormai fatto breve; d'ora innanzi quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero; coloro. che piangono come se non piangessero e quelli che godono come se non godes­sero: quelli che usano del mondo come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!» (1 Cor 7, 29-31). La verginità consacrata è una testimonianza in­dirizzata a mantenere viva nella coscienza ecclesiale e nel mondo che «la nostra patria è nei cieli» (Fil 3, 20), supe­rando la pretesa di voler racchiudere tutti gli orizzonti della vita nei soli confini visibili di questo mondo. Si trat-· ta di un annunzio escatologico vivente. Di qui l'imperati­vo morale per i consacrati a realizzare pienamente ciò che già sono, in attesa di poter recitare, come ricorda un antico inno, il canto delle vergini: «Ecco, quello che desi­derai già lo vedo, quello che sperai già lo posseggo, sono unita in cielo a colui che sulla terra amai con tutta l'a­mma».

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La verginità consacrata, anticipazione escatologica del Re­gno di Dio

Il paradosso sta nel fatto che tale annunzio - per quant? proteso al futuro- è da realizzare in questo mondo, da VI­

vere nel secolo presente. La verginità consacrata edifica il Regno di Dio oggi. Alla testimonianza dei vergini consa­crati è legata tutta una dimensione di attuazione della so­vranità salvifica di Dio sulla storia e di manifestazione del­la sponsalità della Chiesa nel mondo. Per la sua pa_rte, i~ consiglio evangelico di verginità è come «un granellino d1 senapa che un uomo prende e semina nel suo ca~po; e~s? è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta crescmto, e 11 più grande delle altre piante e d~vent? un al ber?, ta~to c~ e vengono gli uccelli del cielo e s1 anmdano fra 1 sum rami» (Mt 13, 31-32). La verginità, come realtà-segno delRegno veniente di Dio, «Si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina, per: ché tutta si fermenti» (Mt 13, 33). Da qualunque parte s1 rifletta, la verginità consacrata è una realtà missionaria: ~ chiamata rivolta alla coscienza più profonda dei consacrati a gettarsi toto corde al servizio del Regno di Di~ ~e~ m?n­do e del suo compimento ultimo. La sua fecondtta s1 mtsu­ra in rapporto alla testimonianza e ai frutti del Regno.

I consacrati nella verginità per il Regno sono chiamati a realizzare la loro vocazione non al di sopra o al di fuori delle realtà umane, ma nel cuore di esse come «segno pro­fetico del Regno di Dio». Una simile testimonianza di ver­ginità richiede il coraggio della presenza in ambienti spes­so difficili, il coraggio della testimonianza verginale in una cultura largamente secolarizzata e indifferente. Vivere la

. verginità è fare opera di umanizzazione del mondo e ap~ir­lo al suo futuro escatologico. Questo ultimo aspetto dtce come la consacrazione verginale dell'uomo e della donna

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rappresenti una sorta di «laboratorio sperimentale» per la realizzazione di una cultura in cui uomo e donna siano ri­spettati e valorizzati nei loro propri valori. .

La verginità femminile come segno di promozione della donna nella società

Particolarmente significativa in questa opera di umaniz­zazione del mondo è la testimonianza della verginità fem­minile in ordine ad un'effettiva valorizzazione della donna e come forma di attuazione di quel «genio femminile» cui fa riferimento Giovanni Paolo n nella Mulieris dignitatem. Il Santo Padre, nell'enciclica, parla della «maternità e ver­ginità» come di forme specifiche della ricchezza del fem­minile. La verginità e la maternità rappresentano due di­mensioni fondanti della vocazione della donna. In Maria ci è dato di verificare come esse si coniughino in unità vi­tale e si corrispondano reciprocamente (MD 17). La ma­ternità èvocazione all'accoglienza e all'amore; è disponi­bilità al dono di sé in risposta ad un dono ricevuto, acco­glienza della vita e servizio alla vita (MD 18). Grazie alla maternità di Maria, Madre di Dio fatto Uomo, ogni mater­nità è posta in relazione alla nuova alleanza, allo sposali­zio di Cristo con la Chiesa (MD 19). La verginità per il Re­gno si radica sulla novità del Vangelo, manifestata per la prima volta da Maria, e conduce la donna a realizzarsi co­me persona e nella sua femminilità, come componente della Chiesa, sposa-vergine presentata al suo Sposo per le nozze escatologiche (MD 20). Anch'essa è vocazione al­l'accoglienza e all'amore, disponibilità al dono di sé e a servizio della vita. Matrimonio e verginità sono comple­mentari nella prospettiva del Regno di Dio e, pur essendo due realtà distinte, hanno molteplici aspetti di convergen­za. Entrambe, in modo proprio e reciproco, implicano

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una dimensione di sponsalità e manifestano la sponsalità della Chiesa.

Lo specifico della donna (la sua maternità) permette di comprendere tutto l'«umano» e il volto stesso di Dio, al punto che la stessa storia della salvezza, la Chiesa e la vi­cenda umana non possono in alcun modo prescindere dal mistero della donna, vergine-madre-sposa. La verginità va compresa come ùna maternità secondo lo Spirito: rappre­senta una rinuncia per il cuore della donna, ma una ri­nuncia positiva, interamente indirizzata ad aprirsi ad una nuova fecondità che si esprime in molteplici forme e cam­pi, secondo i differenti doni (MD 21-22). Così, se il cari­sma della verginità è contraddistinto da una singolare ca­pacità di testimoniare il «giorno del Signore» come escato­logia in atto, esso non prescinde dalla maternità; al con­trario, chiama a realizzarla ad un livello-altro come epifa­nia vivente del volto femminile di Dio che, come una ma­dre, consola suo figlio (ls 66, 13~, lo porta nel suo grembo perché venga alla luce (ls 49, 15) e lo solleva con infinita tenerezza alla sua guancia (Os 11, 4), fino al termine della storia quando tergerà ogni lacrima dagli occhi dell'umani­tà (Ap 21, 4).

La corporeità sessuata della donna, nella verginità, anzi­ché annullata, è realizzata ad un nuovo livello e in una nuova dimensione di maternità e di fecondità. «Il corpo della donna è fatto per accogliere la vita fin dal suo nasce­re. Questa accoglienza si fa silenzio, attenzione, ascolto, comprensione, tenerezza. Si trasforma in comunicazione profonda, intessuta più di gesti che di parole. Crea spazi seinpre nuovi perché la vita si sviluppi e giunga a compi-

. mento. Diventa capacità di separazione, libertà di lasciare uscire, al momento opportuno, senza trattenere, senza sof­focare. Ma il corpo rimanda anche ad un altro significato:

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...... _ ..... ____ ~'"====================

donare n_utri~ento per ma~tenere viva la vita. Una pro­fonda attitudme al dono amma il corpo femminile. Le se­grete leggi della vita sono ben note al cuore della donna: sa che la vita si sprigiona dal lento marcire del seme nelle pr~fondità del!a terra» 2 • La vergine consacrata non può mtsconoscere m alcun modo questi tratti specifici del suo essere donna; deve invece potenziarli al massimo per farsi portatrice di un autentico e integrale sviluppo umano. «Protagoniste di umanizzazione, pronte ad immergerci ~eli~ cose, a. mescol~rci ad esse per sprigionarne, fino al­l ulti~a particella, quel che contengono di 'vita eterna': pe~~he n~tlla vada perduto» 3 • La verginità, secondo un tmmagme cara ai padri della Chiesa, è come la «buona terra» che accoglie il seme della parola di Dio e lo fa ger­

. mogliare al cento per cento (M t 13, 8) 4.

PREGARE LA P AROLA

«Tu che sei il più profondo Spirito del mio essere sei contento di me,

Signore della mia vita? Ti ho dato il mio calice pieno di tutti i colori e di tutte le delizie che l'uva spremuta del mio cuore ha versato. Ho tessuto in un ritmo di colori e di canti la coltre del tuo letto, e con l'oro fuso dei miei desideri ho forgiato giocattoli per le tue ore fuggenti.

2 A. LUPPI, «Maternità e verginità»: due dimensioni della vocazione della donna, in «<ncontro» 1/5 (1989) p. 25.

3 L.c. 4 Cf. ad esempio AMBROGIO, De virginibus, I, 60; PL 16, 216.

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Non so perché mi hai scelto come tuo compagno, Signore della mia vita!

Conservi forse i miei giorni e le mie notti, le mie azioni e i miei sogni per l'alchimia della tua arte? Congiungi alla catena della tua musica i miei canti dell'autunno e della primavera, e cogli i fiori della mia età per la tua corona?

Vedo i tuoi occhi che fissano nelle profondità del mio cuore,

Signore della mia vita; mi meraviglio che le mie colpe e i miei errori siano stati perdonati. Sono molti i giorni in cui non ti ho servito e le notti nelle quali ti ho dimenticato. Sono inutili i fiori che fioriscono nell'ombra se non ti sono offerti.

Sovente le corde affaticate del mio liuto si allentarono al tono della tua musica, e sovente nella rovina delle ore sterili le mie sere desolate si sono riempite di lacrime. Ma i miei giorni sono giunti alla fine

Signore della mia vita, mentre le mie braccia diventano deboli nell'abbraccio, i miei baci vanno perdendo la loro verità? Allora sciogli l'incontro di questo languido giorno. Trasforma in me il vecchio in fresche forme deliziose; e fa ritornare le nozze ancora una volta in una rinnovata celebrazione della vita» 5 •

5 R. TAGORE, The Religion ofMan, London 1963, pp. 60-61.

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PER UNA VERIFICA SPIRITUALE

In una società che tende a dissacrare i valori dell'amore e della sessualità, i consacrati secolari sono chiamati ad essere per il mondo contestazione vivente e segno profeti­co del Regno di Dio.

Come realizzo questa mia chiamata? La mia consacrazio­ne verginale è una «contestazione» e un «segno profetico » per il mondo? In che modo?

Che cosa vuoi dire testimoniare positivamente i valori connessi con la femminilità e con la mascolinità e parteci­pare al progresso culturale delle donne e degli uomini in Italia? Mi sento protagonista di «Umanizzazione» nel mio Paese per la costruzione della «città dell'uomo» ad immagi­ne della «città di Dio»?

Cristo non ha mani; ha soltanto le nostre mani per fare il suo lavoro oggi. Cristo non ha piedi; ha soltanto i nostri piedi per guidare gli uomini sui suoi sentieri. Cristo non ha labbra; ha soltanto le nostre labbra per parlare di sé agli uomini. Cristo non ha mezzi ha soltanto il nostro aiuto per condurre a sé gli uomini. Noi siamo l'unica Bibbia che i popoli leggono ancora: siamo l'ultimo messaggio di Dio scritto in opere e parole (Da una preghiera del xv secolo)

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CONCLUSIONE

LA VERGINE MARIA, ICONA

DELLA PERFETTA VERGINITÀ CONSACRATA

La verginità di Maria è icona della perfetta. vergin~tà consacrata. La stessa verginità della Chiesa e ogm vocazlO­ne verginale nella Chiesa costituisce la manif~sta~ione e il prolungamento della verginità della Madre d1 D10 (Theo­tokos). Il significato della verginità di Maria, sotto questo aspetto, è inseparabilmente collegato al mis~ero dell~ sua maternità divina. Secondo i padri, la concez10ne vergmale di Maria riflette uno dei paradossi dell'incarnazione: come il farsi Uomo non altera la divinità dell'Unigenito di Dio, così la sua venuta nel mondo non altera la verginità di Maria. «Ella rimane quella che era (vergine) e diventa quel­lo che non era (madre)», dice Teodoto di Ancira. «Oueste due cose _ aggiunge - non si escludono a vicenda, perché colui che ella genera diviene Uomo senza cessare dz essere Dio» t. Egualmente sant'Agostino: «~ome potrebbe c.essa­re di essere Dio per il fatto che diventa Uomo, lm per mezzo del quale sua Madre è rimasta vergine generando­lo?»2.

La riflessione su questo mistero richiede almeno un tri­plice livello di approfondimento:

t Omelia, 2: Sulla natività, 3; PG 77, 1377. 2 In Nativitate, 3; PL 39, 999.

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- la verginità di Maria come «scelta personale»; la verginità di Maria come «dono» e «missione»;

- la verginità di Maria come «segno escatologico».

LA VERGINITÀ DI MARIA COME «SCELTA PERSONALE»

La tradizione è stata concorde nel ritenere che Maria abbia espresso un proposito di verginità. Il NT non è così chiaro. Non mancano tuttavia elementi in favore della tesi classica. Il punto decisivo risiede nell'interpretazione della risposta che Maria dà all'angelo al momento dell'annun­ciazione (Le 1, 34).

Secondo l'esegesi tradizionale, che resta la più probabi­le, il sustrato semitico delle parole di Maria deve essere in­teso nel senso: «Come può avvenire ciò, poiché non voglio conoscere uomo? Non intendo avere le relazioni coniugali proprie del matrimonio?» 3 • Luca lascia capire che Maria si è volontariamente collocata nella linea delle donne sterili del' AT, accettando una situazione di assoluta povertà co­me era quella di una donna senza figli (cf. Le 1, 48: tapéi­nosis, un termine corrispondente a quello che usa Anna per designare la propria condizione di sterilità, 1 Sam 1, 11). Il fatto è tanto più significativo se si pensa a come tut­te le fanciulle di Israele aspirassero legittimamente a poter divenire la madre del Messia atteso. Rinunciare ad una si­mile possibilità rappresentava qualcosa di assolutamente paradossale per una ragazza e una scelta di massimo ab-

3 Cf. M. ZERWICK, « ... Quoniam virum non cognosco», in Verbum Domini 37 (1959) p. 212: espone le diverse interpretazioni, concludendo a favore di quella tradizionale.

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bassamento. Che Maria fosse promessa sposa a Giuseppe Bolo apparentemente contrasta con l'eventualità di una tale scelta. Si può infatti pensare (come amavano ritenere i pa­dri) che tra i due fosse intercorso un accordo oppure più probabilmente che la promessa di matrimonio, come era d'uso, fosse stata presa dai rispettivi genitori.

Quest'ultima ipotesi spiegherebbe un altro aspetto della figura di Maria: la sua fede totale nella potenza di Dio di­nanzi ad una situazione umanamente insolubile, come tra­spare indirettamente dal detto: «Nulla è impossibile a Dio», che rimanda a Gn 18, 14 («C'è forse qualcosa di impossibile per il Signore»), ed evoca la fede di Abramo: «Dio stesso provvederà ... » (Gn 22, 8.14). Una fede totale che riapparirà nel momento in cui Maria, in attesa del fi­glio, si trova ad essere ripudiata da Giuseppe. Il Vangelo non fa riferimento ad alcun tentativo di giustificazione o di ricerca di soluzione umana da parte sua. Anche in quel­l'occasione vale il principio: «Dio stesso provvederà». «Nulla è impossibile a Dio».

Maria ha scelto volontariamente una condizione di «ta­péinosis», di ultima; e la vive in un contesto di abbandono pieno alla parola del Signore, senza sapere come ciò sarà possibile. La Vergine porta se stessa in sacrificio, cammi­nando come Abramo nella fede e sapendo che il Signore provvederà. Questo abbassamento e questo abbandono totale di fede si mutano col «fiat» dell'annunciazione in un innalzamento sopra tutte le donne e in benedizione per tutta l'umanità («Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo» l, 42), secondo le promesse fatte ai padri. La lode di Elisabetta è centrata sulla fede che ha de­terminato tutta la vita di Maria: «Beata colei che ha credu­to nell'adempimento delle parole del Signore» (l, 45), a cui corrisponde il cantico del Magnificat: una lirica unica

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di ringraziamento per le «meraviglie» che Dio ha compiu­to in colei che si era collocata all'ultimo posto e per la rea­lizzazione nel mondo delle promesse attese (l, 46-55).

La pedagogia di Dio è quella «di disperdere i superbi nei pensieri del loro cuore, di rovesciare i potenti dai troni, di innalzare gli umili, di ricolmare di beni gli affamati, di ri­mandare a mani vuote i ricchi» (vv. 51-53). La verginità appartiene a questo tipo di pedagogia, a cui fa riferimento anche Paolo in un diverso contesto (l Cor l, 26-29); una pedagogia che si pone nel seguito del paradosso della Cro­ce, «scandalo per i giudei» e «stoltezza per i pagani», ma «potenza di Dio e sapienza di Dio» per i credenti (l Cor l, 22-24). «Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (l Cor l, 25). Non a torto alcuni autori vedono nel Vangelo lucano dell'infanzia una prefigurazione del­l'avvenimento pasquale. La tapéinosis della Vergine ri­manderebbe, in tal caso, all'etapéinosen del Calvario (Fil 2, 8). Il mistero della Vergine si collegherebbe al mistero della Croce, e la sua verginità a quella di Cristo, venuto a compiere la volontà del Padre fino al dono totale di sé.

LA VERGINITÀ DI MARIA COME «DONO» E «MISSIONE»

La scelta della verginità da parte di Maria si coniuga, nei vangeli dell'infanzia, con la verginità come dono di Dio e missione. Luca, ricorrendo all'immagine dello Spirito di Dio che si posa su Maria come aleggiava sulle acque della creazione e a quella della potenza dell'Altissimo che rico­pre Maria come la nube del Signore aveva ricoperto il tempio antico, lascia intravedere come ciò che si compie in Maria sia unicamente espressione dell'agire di Dio.

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«Spirito Santo» e «potenza dell'Altissimo» sono espressio­ni sinonime che rimandano all'azione di Dio-Trinità in Maria. L'esclamazione stessa della Vergine evoca questa azione: «Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente ... Ha dispiegato la potenza del suo braccio» (Le l, 49-51). Ma t­teo collega la verginità di Maria al compimento dell'oraco­lo di Isaia 7, 14 (M t l, 22-23) ed afferma esplicitamente che «Maria si trovò incinta per opera dello Spirito Santo» prima di andare a vivere insieme a Giuseppe (M t l, 18.20-21). «Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partori un figlio che egli chiamò Gesù» (l, 24-25).

Secondo la tradizione dogmatica della Chiesa, Maria è vergine in tutto il suo essere, prima, durante e dopo il par­to. «Fin dalle prime confessioni di fede -spiega il nuovo Catechismo Cattolico - la Chiesa ha confessato che Gesù è stato concepito nel grembo della Vergine Maria per la sola potenza dello Spirito Santo, ed ha affermato anche l'aspetto corporeo di tale avvenimento» (CCC 496). La li­turgia celebra Maria come la «Aeiparthenos», la «sempre vergine». Questa verità di fede include la piena dedizione di Maria a Dio. È grazie alla sua verginità che Maria ha potuto consegnarsi totalmente alla parola del Signore, sen­za alcuna riserva: «Eccomi, sono la serva del Signore, av­venga di me quello che hai detto» (Le l, 38). Tutto il suo essere è rimesso a Dio. Questo aspetto è fondamentale:

- da una parte, la verginità di Maria manifesta l'iniziativa assoluta di Dio: è solo suo dono e opera sua, come l'incar­nazione;

- dall'altra, essa esprime il rapporto unico in cui Maria è .venuta a trovarsi per l'azione dello Spirito che ha suscitato l;Unigenito di Dio nel suo grembo secondo la natura uma­na assunta.

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Sotto entrambi gli aspetti, la verginità conferisce a Maria un carattere di consacrazione: ella è messa a parte per di­ventare la Madre del Messia. Il suo rapporto unico con lo Spirito la colloca in una assoluta prossimità con la Trinità. La sua vita verginale rimanda alla missione unica affidata­le da Dio e che porta a Dio. Ella non ha altro compito nel­la sua vita. Maria diviene l'immagine, coniata dallo Spiri­to, della creatura umana che vive completamente affidata, consacrata a Dio e, nello stesso tempo, l'espressione più alta della perfetta verginità che si fa maternità nello Spiri­to. Come ha detto il Concilio: «La Madre di Dio è figura della Chiesa nell'ordine della fede, della carità e della per­fetta unione con Cristo. Infatti, nel mistero della Chiesa, la quale pure è giustamente chiamata Madre e Vergine, la Beata Vergine Maria è andata innanzi, presentandosi in modo eminente e singolare quale Vergine e Madre» (LG 63).

Il parallelismo Maria-èhiesa, si riverbera sui vergini consacrati. Coloro che sono chiamati alla verginità per il Regno possono vedere in Maria, a pieno titolo, l'icona del­la piena realizzazione della loro vocazione. Nella Beata Vergine trovano la figura tipica, esemplare di una vergini­tà che si fa maternità nello Spirito: una verginità feconda a livellb di agape e non di eros, una fecondità dell'Amore di­vino che viene dall'eternità e risale verso l'eternità. La ver­ginità è essenzialmente, come lo fu per Maria, un dono di amore, un'offerta totale di sé, una consacrazione, uno slancio, talmente forte, talmente irresistibile, da afferrare tutto l'essere: non solo l'anima, ma il corpo, la ragione, l'affettività, la creatura umana intera. Tutta la potenzialità di amore contenuta nel cuore di ogni donna è polarizzata in Maria dal suo amore verso Dio.

Il consacrato nella verginità è chiamato a «sperimenta-

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re» la stessa pienezza, in una dimensione di incontro tra il divino e l'umano quale si è realizzato nel grembo di Ma­ria. Non può più contrapporre l'uno all'altro. L'incarna­zione è il superamento di ogni dualismo. Dal momento in cui Maria ha detto il suo «fiat» non è più permesso al cre­dente di ragionare per categorie contrapposte. L'irruzione di Dio in Maria rappresenta l'inizio di una nuova condi­zione di esistenza. L'umanità è «gravida» della presenza di Cristo. Si richiede solo di averne la consapevolezza e di in­serirsi in prima persona entro queste profondità della sto­ria per lasciarsi afferrare dalla presenza del Logos eterno nel quale tutto è stato creato e verso il quale tutto conver­ge. La figura di Maria si colloca entro questo «mysterion», questa «historia salutis»; lo stesso vale per la Chiesa e vale per i consacrati. «Sia dunque per noi la vita di Maria co­me la stessa verginità fatta persona e da essa, come da uno specchio, risplenda la bellezza della castità e il tipo di ogni virtù» 4 •

LA VERGINITÀ DI MARIA COME «SEGNO ESCATOLOGICO»

La concezione verginale rappresenta - è una prospettiva degli stessi evangelisti- come una nuova creazione, il se­gno escatologico di ciò che Dio vuole realizzare nel mondo. Il dogma della verginità di Maria si collega e si compie in quello dell'assunzione della Vergine entrata «in anima e corpo» nella pienezza della gloria di Dio. «La Madre di Gesù, come in cielo glorificata ormai nel corpo e nell'ani­ma è immagine e inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nel!' età futura, così sulla terra brilla ora in-

4 AMBROGIO, De virginibus, II, 6-7.

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nanzi al pellegrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione fino a quando verrà il giorno del Signore» (LG 6~). In lei si è già compiuto quanto deve compiersi in tutti noi., Maria è entrata corporalmente nella gloria della Trinità nella quale altrettanto corporalmente tutti noi siamo chiamati ad entrare. Il corpo umano ha realizzato in lei il suo significato ultimo. Come è stato ostensorio vivente di Cristo nella storia, così rappresenta un segno e un pegno della condizione di glorificazione nella quale anche i nostri corpi sono chiamati ad entrare. Quanto si è realizzato in Gesù risorto si è dispiegato in sua Madre e si dispiegherà in noi nella risurrezione dell'ultimo giorno. La nostra corporeità non è destinata alla fine tota­le. Se già oggi è dimora della Trinità, essa diverrà nella ri­surrezione dei morti luogo di partecipazione alla gloria tri­nitaria. Maria assunta in cielo «in anima e corpo» annun­cia al mondo la realtà di un simile evento. Ella è la prima redenta. Quanto è stato operato nella sua corporeità è an­nuncio vivente per tutto il popolo cristiano pellegrinante sulla terra.

L'Assunzione della Vergine alla gloria celeste proclama nello stesso tempo il valore del corpo della donna di fronte ad ogni esaltazione pagana, antica o moderna, di esso. «Se Bergson ha potuto qualificare la nostra civilizzazione come afrodisiaca, e se le forze del peccato si servono del corpo della donna per imporre la loro tirannia e sollecita­re al male, Maria Assunta attesta che Dio invece si serve del corpo della donna per la diffusione della santità nel mondo. L'Assunzione è un trionfo della nobiltà materna come della purezza verginale, che assicura l'appartenenza 'a Dio del corpo e dell'anima; fa comprendere la dignità suprema che il Signore desidera conferire al corpo femmi-

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nile in una prospettiva soprannaturale» 5 • Si pone in que­sto ambito la sacramentalità - in senso la'to - del corpo di Maria per il popolo cristiano in cammino sulla terra.

Scriveva Paolo VI: «La solennità del15 agosto celebra la gloriosa Assunzione di Maria al cielo: è questa la festa del suo destino di pienezza e di beatitudine, della glorificazio­ne della sua anima immacolata e del suo corpo verginale, della sua perfetta configurazione a Cristo risorto; una festa che propone alla Chiesa e all'umanità l'immagine e il con­solante documento dell'avverarsi della speranza finale» 6 •

Più di recente, gli ha fatto eco Giovanni Paolo n: «Grazie a questo speciale legame che unisce la Madre di Cristo con la Chiesa, si chiarisce meglio il mistero di quella 'don­na' che, dai primi capitoli del libro della Genesi fino all'A­pocalisse, accompagna la rivelazione del disegno salvifico di Dio nei riguardi dell'umanità. Maria, infatti, presente nella Chiesa come Madre del Redentore, partecipa mater­namente a quella 'dura lotta contro le potenze delle tene­bre' che si svolge durante tutta la storia umana. E per que­sta sua identificazione ecclesiale con la 'donna vestita di sole' (A p 12, 1), si può dire che la Chiesa ha già raggiunto nella beatissima Vergine la perfezione per la quale è senza macchia e senza ruga; per questo, i cristiani, innalzando con fede gli occhi a Maria lungo il loro pellegrinaggio ter­reno, si sforzano ancora di crescere nella santità. Maria, l'eccelsa figlia di Sion, aiuta tutti i suoi figli -dovunque e comunque essi vivano - a trovare in Cristo la via verso la casa del Padre» 7 •

5 J, GALOT, Maria, la donna nell'opera della salvezza, Roma 1984, p. 324. -

6 Marialis cultus, 2 febbraio 1974, n. 6. 7 Redemptoris Mater, 25 marzo 1987, n. 47.

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INDICE

Introduzione LA VERGINITÀ PER IL REGNO: UN V ALO RE DA RISCOPRIRE

1. MISTERO DI CRISTO E VERGINITÀ CONSACRATA (1 Cor 3, 1 0-23)

2. CORPOREITÀ E CONSACRAZIONE VERGINALE (1 Cor 6, 12-20)

3. CONSACRAZIONE VERGINALE E MOTIVAZIONI (1 Cor 7, 32-33)

4. EUCARISTIA E VERGINITÀ CONSACRATA (1 Cor 11, 17-34)

5. CARISMI E VERGINITÀ CONSACRATA (1 Cor 12, 1-31)

6. VERGINITÀ CONSACRATA E CARITÀ (1 Cor 13, 1-13)

7. VERGINITÀ CONSACRATA E MONDO (1 Cor 14, 1-5)

8. VERGINITÀ CONSACRATA ED ESCATOLOGIA (15, 1-28. 35-50)

Conclusione LA VERGINE MARIA, ICONA DELLA PERFETTA VERGINITÀ CONSACRATA

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Finito di stampare nel mese di gennaio 1996 dalla Tipografica Sodale S.p.A.- viale Europa 12, 20052 Monza (Milano)


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