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Perché pregare? - Fraternità di Romena · commento a poche righe di Vangelo, un corredo di...

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1 Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XIV n° 3/2010 Perché pregare?
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Perché pregare?

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SOMM

ARIO

Primapagina3

Il frutto del silenzio 4

La preghiera ci ricorda chi siamo6

Come il respiro del vento10

“Il mio modo di dire grazie a Dio” 8

Svegliare il cuore14

Dove Dio non è invocato, ma presente 12

Quel bisogno di cercare il cielo20

In cammino verso se stessi 18

La libertà che nasce dalle regole 22

Allarga lo spazio della tua tenda24

Nuova Veglia di Romena 2010-2011 26

Graffiti 29

Avvisi28

trimestrale Anno XIV - Numero 3 - Settembre 2010REDAZIONElocalità Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR)tel. 0575/582060 - fax 0575/016165

DIRETTORE RESPONSABILE:Massimo OrlandiREDAZIONE e GRAFICA:Raffaele Quadri, Massimo Schiavo, Luca Buccheri

FOTO:Massimo Schiavo, Piero Checcaglini, Baldassare Amodeo, Alessandro Pucci,Paolo Dalle Nogare

COPERTINA: Massimo Schiavo

HANNO COLLABORATO:Luigi Verdi, Pier Luigi Ricci, Gianni Novello, Luigi Padovese, Paola Nepi,Maria Teresa Marra Abignente

Filiale E.P.I. 52100 ArezzoAut. N. 14 del 8/10/1996

www.romena.ite-mail: [email protected]

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Perché pregare? Di questa espressione mi appartiene l’ultimo segno, il punto interro-gativo. Non con la forza bilanciata di una domanda, ma con la spinta di un desiderio: il desiderio di soffiar via l’increspatura razionale che mi trattiene, che rende la mia preghiera un tentativo, uno sforzo, una prova di dialogo verso un interlocutore che si cerca, a volte si pretende.A Taizé, molti anni fa, ho sentito la forza straripante di migliaia di giovani in preghiera, la dolcezza ammaliante di un canto senza fine. Quel tendone traboccava di un amore che la preghiera sapeva esprimere. Non mi riusciva, anche dopo ore, di uscire da quel luogo, ma neppure quel fascino è riuscito a farmici entrare del tutto.A Romena mi piacciono i momenti di preghiera, l’atmosfera raccolta, la musica, il commento a poche righe di Vangelo, un corredo di silenzio. Mi sento bene, ricevo una dotazione di pace, sento a pelle che la preghiera ha una forza che ci oltrepassa. Però la mia cortina di pensiero resta lì, quasi a contenere la mia partecipazione.Perché pregare? Tutti i grandi uomini di fede che ho conosciuto o di cui ho letto non cono-scono questo interrogativo. Si direbbe a un affamato perché vuole del pane? La preghiera li nutre, lo spazio quotidiano di contemplazione, di raccoglimento, di incontro col mistero è linfa per le loro giornate. “Pregare è caricarsi delle energie di Dio” sintetizza David Turoldo. Ma il dono di poter accogliere Dio ogni giorno non lo si trasmette, non c’è una porta d’accesso, non un metodo, non una tecnica. È una questione di fede, di cammino nella fede, di maturità nella fede. Meglio: di innamoramento. Io intuisco la presenza di questo amore, sento la forza del messaggio di Gesù, e questa è la ragione del mio credere. Ma ho passi ancora titubanti nel rivestirne la mia vita: e, per questo, forse, la preghiera non è per me ancora una risorsa.Mi capita, immagino come ad alcuni di voi, di cercare Dio nel bisogno, di chiedergli di sollevare un ostacolo, di salvaguardare me e le persone che amo. È umano, si direbbe. Ma questo urlo proteso nel vuoto di ciò che non appartiene al nostro controllo non è veramente preghiera. Non voglio liberarmi da questo mio bisogno che esplode nell’emergenza; è comunque un ponte gettato sull’ignoto, è comunque un modo di inseguire il divino. Ma la preghiera, per essere tale, deve avere la forza di uscire dalle nostre preoccupazioni personali, deve galleggiare fiduciosa nel mare di Dio, così anche quando sarà ferita, anche quando sarà arrabbiata, anche quando sarà affranta, potrà sperare di trovarlo.“A pregare si impara pregando” suggerisce Teresa d’Avila. Provo a darle ragione. Così cerco di trovare ogni mattino una zona franca, alleggerita dai rumori del mondo, un porto silenzioso da cui prendere il largo. Di solito non mi allontano, la mente resta di vedetta e non molla la riva. Ma la sana inquietudine dell’andare oltre non mi lascia, ed è questa la misura della mia fede. “Quella della preghiera è l’ora del cammino che parte da noi e termina in Dio” dice padre Giovanni Vannucci. Non ci sono, ancora. Ma cammino, e camminando spero.

Massimo Orlandi

PRIMAPAGINA

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apparire passivo come la noia, l’attesa e il dolore. Ma a un certo punto un colpo di vento e il silenzio diven-ta pienezza del vuoto, reciproca ospitalità, senti di es-sere ospitato dal silenzio e che tu lo stai ospitando in te. Il silenzio è condizione per continuare ad accogliere senza soggiogare e dominare, custodisce quella distanza che deve esserci fra di noi: in questo sen-so mantenere il silenzio giova alla scoperta della prossimità dell’altro che è davanti a me. A noi che pensiamo che più stiamo dentro i problemi e le cose e più capiamo, il silenzio chiede di uscire fuori, ci conduce verso, ci dice che la direzione da prendere è più importante delle parole dette.

"Il frutto del silenzio è la preghiera, il frutto della preghiera è la fede" Madre Teresa

Noi passiamo vite intere ad aspettare che la verità ci parli, ci educhi. Il silenzio e la preghiera non sono un metodo, ma un maestro che ti porta a maturare al momento giusto. Ora se hai fretta, se sei inquieto, se non rispetti i tempi di crescita, non ascolti. La crescita personale è molto legata alla capacità di sintonizzarsi. Per questo non ho mai cercato una tecnica della pre-ghiera, la mia preghiera si fa nel mio pormi davanti a Dio dopo una delusione o una gioia, dopo una sofferenza o un’emozione. Si prega con la vita più che con le parole, ed è per questo che la preghiera non si insegna. La preghiera si evolve, si approfondisce, si stanca, si esalta, si umilia, cresce con noi e ogni istante della vita ha la sua preghiera. La preghiera è permettere allo spirito di venirci incontro, per acca-rezzare le nostre ferite, anche per risvegliarci il cuore. Più questo mondo ha bisogno di Dio, più forte per me diventa il bisogno di momenti di silen-zio perché la mia presenza quotidiana con gli altri possa manifestare la presenza di Dio in me. La preghiera quindi entra in noi per farci uscire da noi. Per questo è un’avventura pericolosa. Non possiamo intraprenderla senza rischio. Il rischio è quello di un mutamento radicale di vita.

di Luigi Verdi

Se provate a prendere un libro di preghiere di un grande uomo e di una grande donna dello Spirito non riuscirete a riconoscere se sono ebraiche o induiste, musulmane o cristiane. Sul terreno della preghiera i grandi mistici sfuggono a qualsiasi definizione, entrano in quel terreno dell’Assoluto che è il campo immenso nel quale sono piantate le preghiere di tutti noi. Questo ci dice che l’argomento della preghiera non sta dentro le tecniche, i metodi o i testi che pure esistono, e copiosi. Preghiera è l’esperienza, unica e irripetibile, che ciascuno di noi fa dell’incontro con Dio.

“Bisogna sempre più risparmiare le parole inutili per poter trovare quelle poche che ci sono necessarie; e questa nuova forma d’espressione deve maturare nel silenzio” Etty Hillesum

La forza della preghiera non sta nelle parole. Spesso per le cose migliori della vita ci mancano le parole e le poche che abbiamo appaiono reto-riche e logore. Le parole sono un grande inganno perché ci persuadono di aver raggiunto la verità distraendoci dal cercare. Quando qualcuno di noi vive una qualche esperienza religiosa o spirituale sente subito il bisogno di parlarne, di ricoprirla di teorie, di comunicarla con tanti discorsi mentre Gesù dice, quando qualcuno pensa di aver capito l’essenza di qualcosa, “Non ditelo a nessuno”. Una delle grandi illusioni di noi uomini è che pos-siamo raggiungere l’essenza delle cose attraverso le parole. Le parole curano, ma il silenzio compie qualcosa di più, fa risvegliare ciò che dorme in me e riallaccia rapporti con la mia identità più profonda e autentica.

“Ecco la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” Osea 2,16

L’incontro col silenzio prima si evita e si teme, perché ha quel sapore di assenza insopportabile tanto da

Il frutto del silenzioNon serve un metodo. Non occorrono testi. Preghiera è quello spazio dove lo Spirito soffia, dove la vita si risveglia. Dove si accetta di correre un rischio: il rischio di cambiare la propria vita.

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Foto di Baldassare Amodeo

Il nostro vero incontro con Dio è nel silenzio, in quel tempo aperto al miracolo, allo stupore, all'incontro.

Giovanni Vannucci

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La preghiera ci ricorda chi siamo di Pier Luigi Ricci

Pregare serve per fare memoria. Non siamo esseri umani che ogni tanto si ricordano di aver bisogno di Dio. Siamo esseri divini, pezzetti di Dio che giocano per un certo periodo a fare gli esseri uma-ni, ma che, per riuscire a rimanere su questa terra, questa verità l’hanno dimenticata. E la preghiera ci aiuta a ricordare. Ci ricorda chi siamo, che non siamo di questo mondo, ci ricorda che dobbiamo imparare a guar-dare le cose da un altro punto di vista, ci ricorda che abbiamo energie e capacità, ci ricorda che la fede è l’unica cosa che conta e che ci manda avanti. Credo che la preghiera esista per questo e che dobbiamo ringraziare Iddio di questo. Credo che questo ricordarci chi siamo plachi la nostra tempesta perché non siamo chiamati a vivere la vita nella tempesta. Pregare non serve per incensare un nostro dio che ci siamo fatti secondo la nostra idea, padrone e signore, che ama e protegge chi lo benedice e che si offende se non viene ringraziato.La preghiera serve per risvegliare la divinità che è in noi, per riattivarla, per rendergli onore. Per renderla efficace, per non mortificarla più, al con-trario, per renderla viva e per permetterle di farci da guida. Per sentire che questa divinità è artefi-ce della nostra storia, dei nostri sogni, del nostro destino.È una cosa che facciamo per noi la preghiera, non per Dio, non per la Madonna. È una cosa che facciamo per risvegliare in noi il senso della pace, per risvegliare in noi quella parte di amore al prossimo, quella parte di positività, di meravi-glia, quella parte di gratitudine. Cioè per ricreare un contatto vero con Dio e nello stesso tempo per rimetterci in equilibrio. Proviamo a pensare al potere che ha la preghiera di ringraziamento: è un potere grandissimo perché nel momento in cui si ringrazia un’entità superiore a noi, in quel momento si è in una condizione di umiltà. È un’umiltà vera, piena di dignità e di equilibrio

perché fatta di due parti: riconosci una grandez-za con cui sei in contatto, una grandezza che hai, mentre ringrazi per qualcosa che hai ricevuto e che ti fa grande, ma nello stesso tempo riconosci che sei piccolo, perché questa grandezza l’hai ri-cevuta, non è tua. Perché Dio ti ha dato qualcosa, perché Dio ti ama, perché appartieni a qualcuno. Ma quel ringraziamento non fa bene a Dio, quel tipo di ringraziamento fa bene perché costruisce uno stato d’animo, stabilisce una relazione, ti ri-mette in una condizione. E nella vita conta davvero saper trovare le condi-zioni giuste, non le soluzioni ai problemi. Anche perché “ogni cosa che chiederete nel mio nome – cioè in quella relazione e in quella condizione – la otterrete”.La preghiera rivela un’appartenenza, costruisce una relazione, anzi le nostre relazioni.È vero che siamo pezzetti di Dio, ma non io da solo, non tu da solo. È insieme che si ravviva quel contatto e si ricrea quella scintilla che rende pre-sente Dio in noi.Ma questa scintilla nella terra funziona con la polarità, col polo positivo e col polo negativo al-trimenti non ci sarebbe quella fiammella. Non ci sarebbe se non ci fosse la polarità, quindi siamo giustamente maschi e femmine, siamo dentro bel-li e brutti, bianchi e neri… Non puoi rendere presente Dio se non attraverso un abbraccio che colleghi gli opposti che sono in noi e gli opposti che siamo io e te.E se un giorno mentre preghi, ti accorgessi che non sei disposto a questo abbraccio, “lascia tutto lì e vai a riconciliarti col tuo fratello”, come dice il Vangelo, vai verso il tuo opposto, altrimenti è tutto inutile. L’essenza della preghiera è quindi una disponibilità a capire il diverso, ad accetta-re ciò che non ci piace, a lasciarsi portare dentro strade sconosciute. È un “eccomi” che rende pos-sibile l’accendersi di quella scintilla.

Grazie alla preghiera possiamo ritrovare noi stessi, rimetterci in equilibrio, fare pace. E cercare di risvegliare la parte divina che è in noi.

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Se dalla preghiera si alza un uomo migliore, la preghiera è esaudita.

George Meredith

Foto di Alessandro Pucci

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“Il mio modo di dire grazie a Dio”Conversazione con Alberto Maggi

È un noto biblista, ma soprattutto un uomo di fede. Padre Alberto Maggi accetta di rispondere alle domande di base sulla preghiera per portarci nel cuore della fede, laddove pregare vuol dire soprattutto entrare nel flusso d’amore di cui siamo parte.

Quali sono le principali forme di preghiera?Direi che, all’essenza, possiamo individuarne due. C’è la preghiera di richiesta, la preghiera in cui chiediamo un aiuto a Dio, e la preghiera di lode, di ringraziamento in cui si fa esperienza di un Dio che non risponde ai nostri bisogni, ma li precede. La preghiera di richiesta genera ansia, perché resta sospesa a quell’appello, a quella domanda, quella di ringraziamento infonde serenità, perché è parte del flusso d’amore di cui siamo parte.Queste due forme ci indicano, in fondo, che tipo di fede abbiamo... Diciamo che sono una specie di barometro. Ci mostrano se nella nostra fede dipendiamo da un Dio che può rispondere o meno a un nostro appello, o se invece ci sentiamo immersi nel suo amore, parte di lui, collaboratori della creazione. Di fatto sono due tappe dello stesso cammino. Per questo è importante nella nostra vita guardare il nostro modo di pregare che deve cambiare, trasformarsi, crescere.Il Vangelo ci indica come far crescere la nostra preghiera?Gesù ci invita a pregare però non ci dice come, perché la preghiera deve trasformarsi nella misura in cui cresce il rapporto di ciascuno di noi con Lui.Qual è il fondamento biblico della preghiera?È l’amore. La preghiera ha la sua origine nell’amore: sentirsi amati da Dio porta a un amore di identificazione. E nasce spontanea la preghiera di lode.Che cosa c’è all’origine di questo dire grazie?Il sentire che in ogni situazione della vita c’è un padre che ti dice “non preoccuparti, fidati di me”. Se sai che il Signore tutto trasforma in amore, questo ti toglie ogni preoccupazione. In questo senso quindi non ci sono preghiere non esaudite?

Molte preghiere non sono esaudite perché noi chiediamo a Dio di fare ciò che lui ha chiesto a noi. Preghiamo perché non ci siano persone sole? E noi cosa facciamo per alleviare la loro solitudine? Spesso ‘scarichiamo’ sul Signore il compito di sostituirci in ciò che è invece un nostro impegno.Esistono per te metodi per avvicinarsi alla preghiera?Ognuno preghi come sente, non ci siano metodi da imporre. A volte mi rendo conto, durante un rito, che quando pronuncio la parola preghiamo, ciascuno sembra cambiare atteggiamento, quasi ritrarsi in se stesso. Ma la preghiera non è un concentrarsi su di sé, è piuttisto un uscire da se stessi. Nella nostra fede in Gesù abbiamo esperienza di un Dio che abita in noi e che vuol essere manifestato. Noi siamo il tempio dello spirito, è Dio che vuol espandere il suo amore attraverso la nostra vita. Quindi non preghiamo un Dio che è fuori di noi, ma un Dio che abita in noi. Che cosa esprimi nelle tue preghiere?Un ringraziamento stupito nel vedere l’azione di Dio nella mia vita. E nel vedere che riesce a prendersi cura anche degli aspetti più piccoli, più marginali. C’è una frase del Vangelo che più parla al tuo cuore e che è al centro delle tue preghiere?È una frase del Vangelo di Giovanni. “Coraggio - dice Gesù - io ho vinto il mondo”. Ho vinto, dice, non vincerò. E questo perché chi si mette in sintonia con l’amore è già vincitore, qualunque cosa gli accada. E questa frase Gesù la pronuncia, infatti, poco prima di essere crocifisso. Il male, il potere, tutte le cose negative sono sconfitte da chi si mette nella luce di Dio. Essere nell’amore di Dio, questo conta. Questo è al cuore di ogni mia preghiera, è dentro il cammino della mia vita.

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La preghiera è il più grande potere sulla terra

Madre Teresa

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Come il respiro del ventodi Gianni Novello

Gianni Novello ci porta nell'intimo della sua esperienza di uomo, di monaco, di costruttore di pace per mostrarci quanto sia preziosa per lui l'accoglienza quotidiana di quel vento divino, vento dello Spirito, che non sai da dove viene e dove va...

Prego e sento di poter pregare in ogni momento delle mie relazioni, quelle con me stesso, con la vastità e i particolari della creazione, con gli altri nelle loro diversità. Non mi accorgo di pre-gare, perché quando son solo non mi affido alle parole, fosse pure di una bella preghiera, anche familiare. Pregare infatti è un respiro dal vento che ti viene incontro, vento dello Spirito che non sai “da dove viene né dove va” ma che ti porta in avanti anche nella notte perché senti che ad attrarti e a illuminarti è la stessa voglia di fonte e di freschezza. Prego anche nelle lotte difficili del quotidiano, quando chiedo a Dio che non siano le mie te-nebre a parlarmi e a guidarmi, ma che possa rivolgere uno sguardo sempre più riconciliato verso la vita, gli altri e l’universo.Mi hanno sempre colpito gli occhi dei grandi oranti, come dilatati per scrutare insieme Dio e l’uomo oltre le sue opacità, con speranza e fiducia; gli occhi di Charles de Foucauld, di ma-dre Teresa, di frère Roger di Taizè, occhi che guardavano avanti come vedendo l’invisibile, come gli occhi del cieco-nato capace di vedere tramite l’amore del Cristo, come le civette che vedono nella notte.La mia vecchia nonna aveva occhi contempla-tivi. Si scorgeva in essi una luce di acuta intel-ligenza. Ho iniziato a pregare alla sua scuola e anche quando ho scelto di fare della preghiera una scelta caratterizzante la mia vita, ancora ha voluto insistere con me: “Prega, prega sem-pre, perché io, pregando, non ho mai venduto la testa a nessuno” e lo diceva con la fierezza di chi aveva conservato la propria libertà inte-riore anche quando nelle piazze d’Italia, come all’unisono, si esaltava l’ora di “credere, obbe-dire, combattere”. È la stessa luce che ho trova-to nella preghiera di tanti piccoli… grandi nella loro forte mitezza.

Ero in Salvador poco dopo l’assassinio di monsi-gnor Romero. In quella situazione di ingiustizia e di iniquità sentivo molti pregare per riuscire a lottare insieme per un cambio , ma anche per ri-uscire a “luchar sin venganza, lottare senza ven-detta” che era la consegna di mons. Romero. Gandhi, Martin Luther King, Etty Hillesum, hanno pregato per poter lottare senza vendetta, con tutte le loro forze. Mi pongo davanti a que-sti grandi esempi e a quelli sconosciuti per po-ter pregare con trasparenza e limpidezza nelle varie circostanze della vita. Amo nella Scrittura particolarmente il cap.11 e il 12,1-3 dove l’au-tore della Lettera agli Ebrei incoraggia a sen-tirsi sempre “circondati da una moltitudine di testimoni …per correre con perseveranza nella corsa che ci sta davanti…per non stancarci per-dendoci d’animo”. Mi affascina conoscere lo stile della preghiera di tanti nel cammino del-la loro vita. Prego incoraggiato da tutti questi, sentendomi anch’io circondato e quindi più al-leggerito nel cammino. Con questi esempi nu-merosi sento che il sale della mia vita riprende ogni giorno il suo buon sapore, sempre nuovo. Talvolta si arriva al punto di avere tutte le ragio-ni per essere pessimisti, per abbatterci sotto la fatica. È allora il tempo di cercare il silenzio e la compagnia di Dio. Il suo Spirito diluisce il no-stro pessimismo e rende nuovamente desiderabi-le il ricominciare con le ragioni della speranza.Nella preghiera rimangono sempre delle in-tenzioni da respingere: l’efficacia, la riuscita, la ricerca del miracolo che ci privilegi. Dio ci attende nella gratuità dell’incontro con lui.Mi piace pregare con le ultime parole della Scrittura, una invocazione molto umana di attesa:Vieni, Signore. Vieni per gli uomini del nostro tempo. Vieni per noi tutti. Vieni anche per me.

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La preghiera è andare ad aprire le porte di Dio, riceverne il pane dell'amicizia, facendo festa per ogni notte attraversata, per ogni porta spalancata.

Ermes Ronchi

Foto di Massimo Schiavo

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Dove Dio non è invocato, ma presente

Li immaginiamo all'alba, la notte che si lascia aprire dal primo velo di luce. Li immaginiamo in un angolo della loro camera, sulla panca di una chiesa, o forse anche all'aper-to, lo sguardo acceso sul giorno che nasce. Li immaginiamo in silenzio, assorti, a pregare. Giovanni Vannucci, l’Abbé Pierre, Arturo Paoli, Luigi Bettazzi; abbiamo scelto quattro figure di testimoni dello spirito vicini al cammino di Ro-mena solo per mostrare quanto nei loro percorsi vita, contraddistinti da un impegno e da un'azio-ne instancabili, sia stato fondante, ogni giorno, il momento del silenzio, della preghiera.

Un’arca di silenzio

Padre Giovanni Vannucci sentiva che, di fronte al diluvio universale di questa epoca, diluvio di pa-role e di immagini, è necessario costruirsi un'arca di silenzio per incontrare se stessi, e, nella profon-dità di sé, aprirsi all'abbraccio divino. “Il silenzio – scriveva – è quello spazio in cui il divino non è più invocato, ma presente nel cuore”. Il monaco delle Stinche vedeva la preghiera come “l'attività specifica dell'uomo che cerca di comprendere il silenzio, che è aldilà delle cose, dell'uomo, delle parole, dei riti, delle formulazioni dottrinali, e che conferisce un senso e un valore al tutto”. “In que-

sto senso – aggiungeva – la preghiera costituisce l'attività più vera e incisiva dell'uomo”. Nel suo libro “Invito alla preghiera” (edizioni Lef) padre Giovanni prova a trasmettere alcune indicazioni su come offrirsi alla preghiera: “Sentitevi, al mattino e alla sera, nell’ora da voi scelta, come creature che salgono verso lo Spirito con atto di perfetto culto. Fate tacere tutte le voci che vengono dalla terra e dal sangue; e compiendo l’atto di totale offerta di voi allo Spirito vi sentirete invasi lenta-mente da una forza nuova che darà calore e ali-mento a tutta la vostra vitalità, anche a quella fi-sica. Insistendo in questo esercizio, lentamente ma infallibilmente, raggiungerete la pacificazione di voi stessi. Rientrando nell’esistenza, guarderete le creature con i sensi purificati, avrete nuove capa-cità mentali, il vostro giudizio sulle realtà terrene sarà più esatto e più preciso, perché le osserverete dal punto di vista dell’eternità. Sentirete, ad esem-pio, come la vostra parte irascibile viene gradata-mente riordinata, troverete l’elemento positivo di tutte le vostre passioni, e soprattutto incomincere-te ad apprendere cosa significa amare”.

L’adorazione prepara l'azione

Lo spazio di preghiera non è uno spazio sottratto all'azione, all'impegno. Tutt’altro. L’Abbé Pier-

È un pane spirituale. Un bisogno dell'anima. Un'energia vitale. Quattro grandi testimoni della spiritualità ci spiegano perché lo spazio della preghiera è per loro così importante, così prezioso, così irrinunciabile.

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re, fondatore di Emmaus, una vita spesa per gli altri, ricordava sempre che ciò di cui non poteva fare a meno per vivere era proprio di quello spa-zio di silenzio, di adorazione. “Nell'Ordine dei cappuccini, in cui ero entrato a diciannove anni – ci raccontò - avevamo ben otto momenti di ado-razione al giorno. Tutte le notti, in particolare, si veniva svegliati da mezzanotte fino alle due. La prima ora consisteva nella lettura del breviario e delle Lodi, la seconda ora era invece di oscurità completa, restava acceso solo un piccolo lume rosso del Santo sacramento. Vivere questo per sei anni ha lasciato un'impronta incancellabile per tutto il resto della mia vita. Sembra para-dossale, perché quel tipo di vita era il contrario dell'azione. Eppure è stata questa adorazione che ha prepa-rato l'azione, è da quella radice, così forte, che si è sviluppato tutto il resto. Così nella vita di ciascuno credo che possano essere molto utile di tanto in tanto lasciare per uno, due giorni la professione, la famiglia, la vita di tutti i gior-ni. Dedicare questo tempo al ritiro, alla con-templazione, vi consentirà di ripartire più forti nell’azione”.

Svuotarsi e accogliere

Non serve molto alla preghiera. Uno spazio, un approccio semplice, e soprattutto la voglia di affidarsi. Così Arturo Paoli, 96 anni, quasi tutti dedicato all'altro, al sofferente, al povero, durante uno dei tanti colloqui avuti con noi a Romena, ci ha indicato gli ingredienti della sua preghiera: “Mi alzo molto presto, e dedico al-meno due ore a questo momento. Pronuncio po-che frasi, la mia è una preghiera fatta più che altro di silenzio, di sguardi, di attenzione. Una

preghiera per accogliere lo spirito del Signore dentro di me, per dirgli “tu per me sei l’essere più importante”. E anche se questa accoglienza non è sempre festosa, sempre cordiale, succede che dopo, nella giornata, mi sento come assisti-to, come accompagnato. Questi momenti di preghiera mi hanno aiutato ad affrontare anche le prove più difficili. Ed è un consiglio che mi sento di dare a tutti: quello di trovare dei momenti di vuoto per pulire il cuore, per svuotarsi, per accogliere”.

“Io lo guardo, e Lui mi guarda”

Le figure di cui vi parliamo hanno trascorso la loro vita vicine agli ultimi, ai poveri. Ma cia-scuno di loro sottolinea anche il bisogno di uno spazio di solitudine, per un incontro personale col mistero. Luigi Bettazzi, uno dei vescovi più amati anche perché sempre vicino alla gente, ci ha raccontato di aver trascorso alcuni periodi della vita lon-tano da tutto e da tutti, una volta addirittura in Burundi, per riordinare se stesso affidandosi alla preghiera. Allo stesso modo, poi, la preghiera lo ha accompagnato e lo accompagna ogni giorno. Una preghiera essenziale che ci ha descritto così: “Uno si mette davanti al Signore, prende la sua Parola, la legge, pensa a quello che il Signore gli ha voluto dire. Io a volte faccio come quel contadino del curato d’Ars. Il curato vedeva un contadino che andava in chiesa e stava lì, in silenzio. E allora una volta gli disse: “Senti, ma tu cosa fai quando vai in chiesa e stai lì davanti all’altare?”Il contadino rispose: “Io lo guardo e Lui mi guarda”.

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Svegliare il cuoredi Maria Teresa Marra Abignente

I sentieri della preghiera sono individuali. Ma ugualmente prezioso è l’incontro con chi può renderti questo bisogno più chiaro e leggero. Maria Teresa ci parla di Sorella Maria di Campello, una francescana vissuta in un piccolo eremo in Umbria, in comunione con le sue sorelle, in dialogo con figure come Gandhi, Giovanni Vannucci, Mazzolari, in sintonia con l’Assoluto…

Ci sono momenti nella nostra vita in cui quel che viviamo ci sembra “troppo”, momenti cioè in cui le emozioni sconfinano e sentiamo di non aver modo di esprimerle. E ci sono momenti in cui questa pienezza scompare, in cui tutto appare calmo e piatto, senza alcun guizzo di vita, sen-za nessuno slancio che ci aiuti ad uscire da quel pantano nel quale ci sentiamo immersi. Siamo fatti così, di abissi profondissimi e cime altissime e fatichiamo a camminare in equilibrio fra queste due realtà, pendendo a volte perico-losamente dall’una o dall’altra parte, oppure fingendo di restare sempre fermi e stabili su un punto che ci sembra essere quello più innocuo, solo perché ci fa meno male. Non posso dire di aver capito cosa sia la preghie-ra, non sono neanche sicura di riuscire a pregare quando dico di pregare, ma ho sempre sentito in me il bisogno di alzare gli occhi un po’ più in alto, o di immergerli un po’ più nel profondo; e in questi ultimi anni ho scoperto una realtà che ha reso più chiaro dentro di me quel bisogno e soprattutto me lo ha reso più leggero.“La preghiera non è soltanto recitare formule e meditarle, ma è il senso costante della presenza di Dio, il fare tutto con coscienza desta e treman-te” Così Sorella Maria descrive e vive la preghie-ra, e questo percepire la costante presenza di Dio è molto aldilà del nostro sentire Dio rinchiuso in una chiesa, ma è l’aprirsi ad una partecipazio-ne totale e radicale con la vita intera. “Del resto quando contemplo il cielo e la stella della sera, quando posso servire i più poveri e disperati fra i nostri fratelli e ricevere la loro benedizione, ri-entro nella pace del tutto”. E cosa è questa pace del tutto se non il sentirsi uniti a Dio? E cosa è la preghiera se non questo “essere con” Dio? Certo, partecipare alla vita non è lasciarsela scivolare addosso e non è neanche il vivere in superficie le cose che ci accadono o nelle quali

siamo coinvolti, ma piuttosto avere quella “co-scienza desta e tremante”, quella consapevolezza cioè attenta e capace di avvertire le vibrazioni presenti in tutto quel che viviamo, dagli sguardi che posiamo sul creato alle relazioni che intes-siamo con gli altri. Una coscienza tremante come quella di un bambino che guarda il regalo che sta per ricevere, come quella di un innamorato che attende l’amata.“Andare al largo occorre, e respirare, e contem-plare, sennò sarete più o meno degli affrettati, dei racchiusi, con un respiro affievolito e una menta-lità annebbiata”. E noi, gente dal respiro corto e dalla mente offu-scata, fatichiamo a trovare anche un solo attimo in cui il nostro cuore è sveglio e ci sentiamo tanto vuoti e penosamente delusi da tutto che incol-piamo la vita della sua banalità. Senza dubitare che forse siamo noi a guardare la vita con occhi banali. “Dov’è, dov’è quella piccola lucerna che dobbiamo tenere sempre nelle nostre mani, l’ani-ma nostra?” Sarà forse proprio perché abbiamo lasciato spegnere questa piccola lampada che ci sentiamo così inutili e divisi? sarà perché solo se riusciamo a tenere acceso e vibrante questo lumicino che capiremo che la vita è tutta una pre-ghiera, una canzone d’amore da cantare insieme a Chi ce l’ha donata? Una preghiera “breve e pura come un respiro”, ma incessante come l’at-to del respirare.Sorella Maria aveva intuito il rischio presente in ogni uomo, quello di sentirsi spezzato nelle molteplici parti che lo compongono e per questo invita anche oggi ognuno di noi a “vegliare di continuo”, non per irrigidirsi in una immobilità forzata, ma perché “la realtà della preghiera è la realtà dell’amore, mezzi tangibili di comunica-zione attraverso lo spazio e il tempo”. Solo così le nostre cime ed i nostri abissi acqui-steranno un senso.

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Occorre avere l’audacia di lasciare il Dio conosciuto per andare alla ricerca del Dio ignoto che sta sempre oltre, che non si lascia raggiungere mai.

Arturo Paoli

Foto di Massimo Schiavo

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Foto di Massimo Schiavo

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Eppure io credo che, se ci fosse un po’ di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire…

Federico Fellini

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In cammino verso se stessidi Luigi Padovese

Le potenzialità della preghiera nel percorso di crescita e di conoscenza. Partendo dalle esperienze della psicosintesi, percorriamo la via spirituale per salire verso la sorgente della nostra autenticità*.

In un recente incontro a Romena con Monsignor Bettazzi, gli ho chiesto: “Perché pregare?” Mi ha risposto più o meno così: “Fa sempre bene pregare. La preghiera è l’incontro tra Dio e l’uomo. Abbiamo bisogno di aprirci e la preghiera è una possibilità di metterci in contatto con Dio e con gli altri. È aprirsi al cambiamento, abbracciando le nostre ferite”. Preghiera, dunque, come apertura e come cambiamento. Vorrei partire da qui.Vorrei parlare della preghiera come via spirituale che ci mette in contatto con quella parte più vera e più autentica di noi stessi. Il nostro sé. La nostra essenza, il nostro centro, aldilà di ogni maschera o condizionamento. Il regno di Dio in noi, come direbbe padre Vannucci. Ogni cammino spirituale riporta sempre a se stessi. La via spirituale come espressione di sé. In questa prospettiva, la preghiera ci può aiutare a ritrovare le nostre qualità interiori più profonde, ci permette di attingere a questa sorgente che ci mette in contatto con il transpersonale fatto di intuizioni, creatività, senso etico, bisogno di giustizia, altruismo, amore, gioia, pace, bellezza, meraviglia e stupore.Accettare di mettersi in cammino imboccando la via spirituale è un modo per aprirci al cambia-mento, alla ricerca dell’altro, per renderci disponibili a sperimentare quelle esperienze proprie del mondo transpersonale che Assagioli (fondatore della Psicosintesi) e Ferrucci (suo allievo) chiamano alpinismo psicologico ed esperienze delle vette. In questa prospettiva, la via spirituale oltre che esperienza religiosa è innanzitutto esperienza umana.Ciascuno di noi può capire molto di sé anche solo domandandosi: cosa mi sta veramente a cuore? Va però tenuto conto che ciascuno di noi ha davanti a sé molteplici “vie” per espandere la propria coscienza e la propria esperienza verso

l’alto. Ad esempio, esiste la via della bellezza e dell’arte, il contatto con la meraviglia e lo stupore che ci suscita la natura, la via dell’azione e del servizio, la via della scienza e del pensiero. E molte altre ancora. La preghiera si colloca all’interno della via della devozione e della spiritualità. Tutte ricercano la completezza.La via della preghiera educa innanzitutto ad aprirci verso la sorgente di vita, verso l’origine e la ragione di tutto ciò che esiste. È un cammino che ci trasforma. Deve servire a vivere, altrimenti è sterile spiritualismo. Naturalmente questo cammino non è così semplice come lo si può pensare. Lo sviluppo spirituale, la riscoperta del cuore, il risveglio dell’anima devono fare i conti con diversi ostacoli: i dubbi, lo scetticismo, la paura, gli “attaccamenti” a cose, persone, stili di vita, la fretta, l’aggressività, la mancanza di disciplina. Tenendo conto di queste difficoltà, il cammino sulla via spirituale può essere sostenuto da alcune qualità che possiamo coltivare e la preghiera può aiutarci a ritrovare queste nostre qualità interiori. Innanzitutto la capacità di abitare il silenzio. Nel silenzio trovare e costruire la nostra via, con umiltà e pazienza, seguendo la vita e abbandonando quell’atteggiamento di prepotenza verso la vita che spesso ci accompagna. Poi, l’apertura verso l’“oltre”, la nostra disponibilità verso il cambiamento e la volontà di prendere il largo. Infine, la disciplina nel proseguire il cammino e mantenere la direzione, con rispetto e dolcezza, secondo i propri ritmi e le proprie responsabilità.Coltivare queste qualità, seguire la via spirituale, riscoprire la via del cuore a volte può essere un cammino relativamente facile, ma spesso è un percorso a ostacoli, pieno di errori, di dubbi, di incertezze, di paure. Ma sempre ne vale la pena. Fedeli alla propria evoluzione, come persone “intere”.

* Riflessioni e pensieri tratti da “Lo sviluppo transpersonale” (1998) di R. Assagioli e da “Esperienze delle vette” (1989) di P. Ferrucci, Ed. Astrolabio

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Dio non era nelle stanche parole,nel gelo dei monumenti. Era nel brivido del tuo inquieto cammino.

Angelo Casati

Foto di Massimo Schiavo

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Quel bisogno di cercare il cielodi Paola Nepi

Era l'invito di una nonna, quello di fermarsi, ogni sera, a pregare. Dal letto dove vive per una grave malattia che le ferma i movimenti, Paola ci racconta di come continui a sentire valida quella proposta e quell'esigenza di provare, ogni giorno, nel silenzio e nell'ascolto, a ricomporre il connubio fra terra e cielo.

Fin da bambina al calar del sole qualsiasi gioco facessi d’un tratto perdeva ogni interesse, diventava inutile. Piano, piano sentivo salire dentro uno smarrimento che non capivo, che mi faceva paura, che si placava solo rifugiandomi fra le gonne della nonna con la testa reclinata sulle sue ginocchia mentre lei recitava le preghiere della sera. Quella nenia incomprensibile alle mie orecchie lentamente cancellava l’ombra che mi si era posata sul cuore e solo allora ero pronta per il buio della notte.“Eccola, ci risiamo”, diceva mia madre dopo aver zubanato tutto il giorno, ora la piglia l’uggia, fermati e ferma anche i’ capo.“Al vespro”, insisteva la nonna, “bisogna pregare, cercare il cielo”. Per inciso non chiedetemi l’etimologia di quel verbo “zubanato,” credo volesse dire “giocato.”La dicevano giusta tutte e due. Diventata grande qualcuno disse che erano solo malinconie di gioventù; altri più sofisticati azzardarono fosse lo spleen di un’anima romantica fino alla scienza che liquidava l’argomento rimandando il tutto al timore dell’incognito e della notte insito in ogni creatura fin dal Neanderthal. Poi il tempo si portò via la nonna con la sua sacra nenia che mi faceva da inconsapevole mantra e mia madre che mi spingeva a fermare anche il pensiero.Restó quel sentirmi d’improvviso scombussolata, ed il bisogno di ritrovarmi, di riconciliazione col cielo, con la terra, non so esattamente a chi ed a che cosa.Ed Oggi? Quale genitore oltre lo “Sta bono!” ha il tempo, il pensiero di proporre ai figli di quietarsi, cercare il silenzio magari fino alla noia. La massima preoccupazione di tutti sembra quella di riempire, occupare tempo e spazio,

avere, possedere cose, oggetti e la scelta è vasta, non occorre farne l’elenco.Fino dalla più tenera età è tutto un susseguirsi d’impegni, svaghi, appuntamenti, sembra che il tempo vuoto sia una condanna, l’importante è esserci e contare. Le nostre città, i paesi, le nostre case, ovunque ansima il presente, non si vive più il tempo, lo si consuma. Lo dico da un osservatorio particolare, ma vi assicuro sono un’esperta di quiete e di silenzi. La vita ha giocato duro con me, e conosco il prima e il dopo. Negli anni i miei passi si sono fermati, lo zubanare è restata un’esperienza del cuore, e da tempo anche la parola non risuona più argentina sulle mie labbra. Come ho detto è dura, ma quello spazio desiderato, cercato, scavato dentro di me, che mi ha fatto conoscere e riconoscere tutta intera corpo e anima, che mi ha spinta a riconoscere gli altri, comprenderli e farmi comprendere è lì, ed ogni volta si arricchisce di nuove stanze ancora aperte al gioco della vita. Non so se ho mai pregato, di certo non sui breviari e non saprei verso quale dio. Una cosa so ed ho imparato a riconoscere: quello smarrimento che ho patito fin da bambina era ed ha continuato ad essere l’indispensabile bisogno di ricomporre il connubio fra terra e cielo, rendere grazia al giorno per abbracciarmi alla notte magari col silenzio, magari con le parole che il cuore suggerisce al momento, come queste scritte tempo fa:

Rialzata la testa, dall’aggravio del giorno, in cielo irruente nuvole che, nella nottehanno fatto inenarrabile camminomi raccontano d’acqua, di tempesta.

Se non avessi te mio grande cielo,a chi raccomandare di coprirmi un giorno?

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Foto di Piero Checcaglini

Se siete nel presente, siete nell’infinito.

Svami Prajnanapada

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Per più di trent’anni, come magistrato, si è occupato di alcuni tra i casi più scottanti del nostro paese, dalla loggia P2 a Tangentopoli. Poi ha deciso di lasciare la toga per dedicarsi a trasmettere il valore e l'importanza delle regole. In questo tour ininterrotto che lo porta in giro per l'Italia Gherardo Colombo, quest'estate, è approdato anche a Romena.

di Luca Buccheri

Diciamocelo francamente. Siamo allergici alle regole, ci sembrano delle restrizioni del-la nostra libertà. Chi di regole e di leggi se ne intende davvero, è approdato nel “Porto di terra” di Romena a raccontarci che non è proprio così. Una consapevolezza, questa, che Gherardo Colombo non ha scoperto a tavolino, ma dalla propria esperienza di vita. “Vorrei spiegare come mai mi sono ritirato dalla Magistratura – ha esordito risponden-do alla domanda inespressa che aleggiava sui presenti – dopo averne viste tante (la P2, i fondi neri dell’Iri, Tangentopoli, ecc.). Mi sono dimesso perché mi sono reso conto che era impossibile far funzionare la giusti-zia dall’interno. La giustizia continuava a funzionare male. Mi sono chiesto se ci fos-se qualcos’altro da fare. Ho capito che la giustizia non può funzionare se noi cittadini non capiamo a che servono le regole”. Di solito i ragazzi – ma in realtà anche molti di noi adulti – vedono le regole come qual-

cosa che impedisce loro di fare quello che vorrebbero. Al contrario, “la regola ha a che fare con la libertà”. “Volevo accenna-re qualcosa sulla libertà – continua, dentro una cornice inaspettatamente informale e persino familiare – A voi piace essere libe-ri. Troviamo una parola che ci dica la dif-ferenza tra una persona libera e una non libera. ‘Scegliere’. Quando si è liberi si può scegliere. Cosa viene dopo la scelta? Alla scelta segue sempre la responsabilità. Chi sceglie è responsabile della scelta che ha fatto. Piace talmente poco la responsabilità, che si preferisce trasferirla agli altri, senza rendersi conto che ad essa resta attaccata la scelta e quindi la libertà. Perciò con la responsabilità se ne va anche la libertà”. Le regole – spiega – non sono sempre delle limitazioni, al contrario ci sono tante regole che invece di limitarci dilatano la nostra li-bertà, ci danno maggiori possibilità. Come ad esempio quella regola nella Costituzio-

La libertà che nasce dalle regole

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ne che dice: “tutti possono dire quello che pensano”; oppure: “tutti possono professare liberamente la propria fede”. Anche la possibilità di studiare, di andare a scuola è un’espansione della nostra libertà. “Si può essere liberi senza sapere? – do-manda l’ex magistrato nel suo oramai abi-tuale ruolo di educatore –. No, perché se non sappiamo, come facciamo a scegliere? An-diamo a caso, oppure deleghiamo la scelta a qualcun altro”. Un altro tema uscito nell’affollato dibat-tito pomeridiano domenicale è come sia cambiato nel corso dei secoli il tema della giustizia. Oggi essa è sinonimo di “equità”, che vuol dire anche uguaglianza. Ma 70 anni fa giustizia era esattamente l’opposto, cioè “mantenimento, salvaguardia e garan-zia delle discriminazioni”, come quella che ha impedito il suffragio universale fino al 1946. “Come è che abbiamo cambiato idea di giustizia? Penso che sia dipeso dall’espe-rienza fatta. La sperimentazione dei disastri a cui si è andati incontro impostando la so-cietà sulla base della discriminazione”, ad esempio la guerra, la bomba atomica. Ci si è chiesti: come evitare che si ripeta quello che è successo? Smettendo di “mettersi in ge-rarchia”, perché “gerarchia significa che le persone sono strumenti (chi sta in alto può tutto, e chi sta in basso non può nulla ed è uno strumento di chi sta in alto). Allora da adesso tutte le persone sono importanti allo stesso modo e se ciò è vero, allora giustizia vuol dire uguaglianza ed equità, non come pensiero filosofico, ma come nuova regola di stare insieme”. In altre parole, dagli er-rori del passato nasce lentamente un nuovo modo di pensare e di organizzare la società. E così si arriva alla Costituzione.Difendere la Costituzione – altro modo di intendere la difesa delle regole – è come di-fendere un triangolino: persona, diritti, pari opportunità. “La Costituzione scrive un certo tipo di organizzazione della società, in modo che tutti abbiano le stesse oppor-tunità, cioè che ognuno sia libero come gli altri. Ma ciò basta? Non basta – continua, seduto sui gradini della Pieve, in uno dei passaggi più decisivi – perché se la regola

non è applicata nei fatti non esiste. Esistono invece le regole opposte in base alle quali la società è riorganizzata gerarchicamen-te anche se la legge dice il contrario. Se le regole non vengono rispettate si applicano delle regole formalmente inesistenti che ci mettono in gerarchia”. Il discorso lascia ora il suo architrave sto-rico e teorico e diventa forte interpellanza concreta e attuale alla coscienza di ognu-no: “Qui entra in gioco ciascuno di noi, la nostra responsabilità. Quello che facciamo noi, non quello che fanno gli altri. Non può funzionare la giustizia se la massa pensa che le regole le debbano rispettare gli altri e non prima di tutto noi stessi”. Tra le tante domande rivolte a Colombo sul finale una era rivolta alla difficile situazio-ne generale del nostro Paese. “Credo che si stiano confrontando due modi diversi di intendere lo stare insieme: quello secondo cui le persone stanno sullo stesso piano e quello secondo cui stanno in gerarchia. Nel primo caso stanno in gerarchia i diritti e le persone invece hanno pari opportunità, nel secondo caso invece stanno in gerarchia le persone e i diritti sono distribuiti in modo che le persone stiano in gerarchia”. E alla domanda: “In questo paese lo Stato dov’è?” ha risposto lapidario “lo Stato siamo noi!”.

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Si può viaggiare senza muovere un passo. Viag-giare nei volti, nelle parole, nei pensieri. Ed es-ser lì, dove tutto è cominciato, dove tutto ritorna. Nella nostra pieve. Festa d'estate. Per raccontare la rete dei luoghi, degli spazi in cui si sta articolando il cammino della fraternità abbiamo scelto la metafora di un viaggio simbolico e l'accompagnamento di un verso biblico: “Allarga lo spazio della tua ten-da – dice Isaia – stendi i teli della tua dimora, allunga le cordicelle, rinforza i tuoi paletti”. È quello che sta accadendo in questo periodo alla nostra fraternità. I paletti della tenda sono tesi su un'area che da Romena si allarga verso il Prato-magno per toccare San Pancrazio e Quorle, che si protende fino a oltre il valico della Consuma per raggiungere Santa Maria a Ferrano. Un piccolo picchetto è piantato pochi chilometri a monte di Romena, per accogliere la nuova casa di Gianni Novello e della sua comunità, un altro comincia a trovar spazio a fianco della pieve, nella fattoria che abbiamo iniziato a ristruttura-re. “E tutto questo lo vediamo come una grande tenda – sottolinea don Luca Buccheri aprendo l'incontro – perché l'idea di essere tenda ci abi-tua a rimanere aperti e piccoli, sempre in cam-mino, ci aiuta a sentirci provvisori, a mantenere nel cuore una direzione”.

Il viaggio simbolico nella tenda allargata parte da Romena e punta su Quorle. Quorle è la se-conda casa della Fraternità, il suo spazio più intimo, più raccolto, dove la voce che più si sente è quella della natura. Da Romena, in macchina ci vogliono venti minuti e un po’ di pazienza per le curve; ma oggi, è sufficiente ascoltare la voce di Wolfgang Fasser, che custodisce la pace e il silenzio della casa di Quorle che la Fraternità ha ristrutturato in questi ultimi due anni. “Il nostro invito – ci racconta - è quello di abbandonarci fiduciosamente alla realtà che ci circonda, a scoprire Dio attraverso la vita, colta nelle sue piccole espressioni quotidiane”. L’abbraccio con la natura non finisce se da Quor-le si raggiunge San Pancrazio: anche questo è un tesoro di essenzialità racchiuso in un manto di verde. Qui però l'accoglienza ha il cuore di donna. “Sembrava che questa casa, la canonica di una chiesa, fosse stata ristrutturata per noi, perché potessimo aprirla” ricordano suor Rita e suor Vittoria. Nel loro percorso di religiose da tempo cercavano un posto dove poter vivere pie-namente la loro vocazione. Questo cammino di ricerca le aveva portate da Bergamo a Romena, e, da qui, alla scoperta di San Pancrazio. Uno spa-zio aperto, quello in cui vivono, con una ventina di posti letto, un laboratorio per dipingere, tanti

di Massimo Orlandi

“Allarga lo spazio della tua tenda”

La fraternità, i suoi luoghi, il suo cam-mino. È il tema di un viaggio fatto in pieve senza muoversi. Un viaggio che parte e ritorna a Romena, per raccon-tare di un nuovo spazio, di una nuova prospettiva…

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angoli per meditare, ascoltare, leggere. E tutto questo offerto a chiunque voglia avvicinarsi. “Ci piace pensare – dicono – che questo luogo possa aiutare ciascuno ad alimentare la propria pas-sione per la vita, a scoprire la bellezza di Dio. È quello che accade a noi ogni giorno”. Il terzo picchetto della tenda di Romena è pian-tato a metà strada con Firenze, non lontano da Diacceto: Santa Maria a Ferrano è il nome di un'area che contiene un rustico ristrutturato, una chiesa sconsacrata e una grande area verde. La gestisce un'associazione onlus che da tempo ha sviluppato un legame di collaborazione con Romena. “Quello che ci unisce – spiega Tho-mas Muller, responsabile dell’associazione – è soprattutto l'apertura a tutto ciò che nasce dal desiderio più profondo dell'essere umano: la bellezza, l'amicizia, la giustizia, la libertà”. In questi primi anni di attività Santa Maria ha puntato a valorizzare la creatività dei suoi ospiti: l'arte di fare il pane, di modellare la creta o di dipingere.

Il viaggio simbolico è arrivato sulla via del ri-torno: ci si ferma ancora poco prima di Romena, sulla via di Coffia, dove da pochi mesi è tornata a vivere la comunità di Santa Maria delle Grazie con Gianni Novello e Giuliana Pagnin. “Per 35 anni a Rossano Calabro abbiamo tenuto aperte le porte della nostra casa. La vita ci ha fatto sperimentare un ruolo diverso: quello di essere noi a chiedere ospitalità. Abbiamo dovuto lasciare la Calabria, ma sia-mo contenti di aver trovato un piccolo spazio nella tenda di Romena”. Ora scendiamo verso la pieve, il finale dell'incontro si riempie di attesa non solo perché ora interviene don Luigi, ma anche perché per la prima volta viene ufficializzata la disponibilità della fattoria che si trova a fianco della pieve. È stato un bellissimo gesto di amicizia e

di stima da parte della Fondazione Giuseppe e Adele Baracchi che ha acquistato la fattoria e i quattro ettari di terreni circostanti per poi defi-nire un comodato con la fraternità. Ma a cosa serviranno questi nuovi spazi? La domanda serpeggia, Gigi la intercetta. “Sarà uno spazio per allargare la nostra accoglien-za” spiega Gigi che poi accenna anche alcuni possibili utilizzi: uno spazio per i gruppi, una nuova cucina per gli ospiti, posti letto per chi partecipa alle nostre attività o per chi viene a trovarci, la sede della casa editrice, una fale-gnameria, un auditorium per gli incontri, luoghi per stare insieme alla domenica sia all'interno che all'esterno. “E questi spazi li conquisteremo giorno per giorno perché è tutto da realizzare, perché servirà una complessa ristrutturazione, perché ci metteremo tutto il nostro impegno e il nostro lavoro”. Ecco che il viaggio si conclude. E per concluder-si torna alla pieve, da dove, in realtà nessuno si è mosso. E anche perché è qui il senso profondo di tutto, come suggerisce Antonietta Potente, la teologa che ha tenuto il filo di questa giorna-ta: “La pieve – ci dice – dovrà essere il filtro grazie al quale continuare a individuare ciò che davvero sarà importante per il cammino di fraternità e a tenere fuori ciò che non serve, che non alimenta la nostra autenticità e la nostra gratuità di fronte alla vita”.

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BIELLA

GENOVA

TRIESTE

UDINE

ROVERETO

PADOVAParrocchia SS. Trinità - via Bernardi ore 21,00

14 Ottobre

Parrocchia di Santa Caterina - Frati Cappuccini ore 21,0013 ottobre

Parrocchia San Marco - Viale Volontari della libertà ore 21,0012 Ottobre

Parrocchia S.Luca - via Forlanini, 26 ore 21,0011 Ottobre

Nostra Signora Assunta di Rivarolo ore 21,006 Ottobre

Parrocchia Cristo Re - P.zza Cristo Re ore 21,005 ottobre

Quando ?Se non ora

NUOVA VEGLIA

Si chiama veglia, forse perché vuol favorire un risveglio, risvegliare la voglia di stare insieme, di essere parte, risvegliare il bisogno di ritrovare il proprio centro nel silenzio e abbracciare gli altri nella loro diversità. Ogni anno la veglia riparte per il suo viaggio italiano con un tema nuovo, con la voglia di leggere i nostri bisogni dei nostri tempi, e di riaprire il presente alla voglia di futuro.E il tema scelto quest’anno, “Se non ora quando?” è proprio un invito a guardare la forza del presente, il terreno sul quale possiamo concretamente agire per far sì che la nostra vita esprima la bellezza e l’unicità del suo senso. E perché è dai piccoli cambiamenti che fiorisce la speranza del mondo.

7 OttobreCHIAVARIParrocchia S.Giuseppe dei piani di Ri ore 21,00

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BRESCIA

BERGAMO

MILANO

CATANIA

MODICA

RAGUSA

SALEMI (TP)

MESSINAChiesa di San Luca - via fratelli di Mari ore 20,00 12 Novembre

Chiesa del Crocifisso ore 20,30 11 Novembre

Chiesa della Badia ore 19,00 10 Novembre

Chiesa di San Pietro ore 20,00 9 Novembre

Parrocchia SS. Pietro e Paolo - via Siena ore 20,30 8 Novembre

Parr. Beata Vergine Immacolata - Lavanderie di Segrate ore 21,00 21 Ottobre

Chiesa dei Frati Cappuccini - via dei Cappuccini ore 21,00 20 Ottobre

Centro Mater Divinae Gratiae - via Sant'Emiliano, 30 ore 21,00 19 Ottobre

ROSSANO CALABRO

LAMEZIA TERME

ORSOMARSO (CS)

POTENZA

PRATOParr. San Bartolomeo - Piazza Mercatale ore 21,00 30 Novembre

Chiesa di sant’Anna - via Dante 104 ore 20,30 26 Novembre

Chiesa S. Giovanni Battista ore 20,30 25 Novembre

Chiesa del Carmine - Sambiase ore 20,30 24 Novembre

Comunità Santa Maria delle Grazie ore 20,30 22 Novembre

VALDARNO

FIRENZEParrocchia dei Salesiani - Via Gioberti ore 21,00 15 Dicembre

Pieve di Cascia - Reggello ore 21,00 1 Dicembre

CROTONEParrocchia del Sacro Cuore - Borgata San Francesco ore 20,00 23 Novembre

DATE E LUOGHI

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www.fondazionebaracchi.i t

sguardi sul mondoLe PAroLe eIL SILenzIo

2010SABATo 16 oTToBreore 15.30, Badia San Fedele PoppiIl volto e l’anima dell’arte: da Caravaggio a Van Goghcon Stefano zuffi – storico dell’arte

SABATo 13 noVemBreore 16.00, (luogo da definire)

La sfida del nostro tempo: essere se stessicon Vito mancuso – teologo

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OGNI GIORNO 2011“Tutto è dono”

Con nuovi pensieri e aforismi sul tema della gratitu-dine. I commenti dei Vangeli delle domeniche sono a cura di ermes Ronchi e angelo casati.

SPeDIzIone grATuITApeR oRdini di 2 o più agende

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AVVISI

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GR

AF

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Lu ig i Picuccio

Ho nostalgia di due esperienze vissute negli anni del liceo, momenti for-mativi con i missionari comboniani:

l’eremo di Spello (dove incontrammo fratel Carlo Carretto) e la visita a Taizé (dove incon-trammo frère Roger). Che bello quel tempo di silenzio passato nella cappellina dell’eremo o nella tenda-chiesa di Taizé. Un silenzio rige-nerante, abitato da un “mormorio”, capace di dare pace, perché l’uomo non è mai così uomo come quando sta lì prostrato e immobile, nella confessione di un’impotenza che spera, ha detto S. Éxupery. Ecco, pregare per riassaporare l’acqua della sorgente, per cogliere la bontà/bellezza delle cose, per gustare “in silenzio quant’è buono il Signore” e scoprire che “le sue grazie non sono finite, anzi si rinnovano ogni mattina”, come dice la Scrittura. Per sintonizzarsi su una lunghezza d’onda in grado di coprire ogni zona perché “si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite”. Perché “quando la burrasca sarà troppo forte e non saprò come uscirne, mi rimarranno sempre due mani giunte e un ginocchio piegato”, come ci ha testimoniato Etty Hillesum. Perché, ha scritto Gibran, “se volete conoscere Dio, guardate lo spazio e lo vedrete camminare sulle nubi, tendere le braccia nel bagliore del lampo e scendere con la pioggia. Lo vedrete sorridere nei fiori e sulle cime degli alberi sciogliere carezze”.

"La preghiera è il più grande potere sulla terra” (Madre Teresa di Cal-cutta).

Grazie a questo potere, io e mio marito siamo riusciti a tenerci per mano fino al 19 agosto del 2007, giorno in cui è ritornato alla casa del padre a soli 45 anni. Durante i mesi della sua malattia noi pregavamo insieme mattino, pomeriggio e sera, in qualsiasi posto ci tro-vavamo, nella sala di attesa di un ospedale, sulla poltrona della chemioterapia; non pote-vamo rinunciare ai nostri appuntamenti, era linfa vitale. Non lo facevamo per ricevere il miracolo della guarigione, il male che aveva colpito Luca era mortale, ma noi pregavamo per il miracolo dell’accettazione, perché il Signore ci aiutasse a percorrere quest’ultimo cammino in pace e serenità con i nostri figli. Non è stato semplice, abbiamo avuto i nostri momenti di sconforto, di rabbia, ma Lei – la preghiera – era lì pronta ad aiutarci a soste-nerci. Sono stati mesi di grande sofferenza, ma paradossalmente anche di grande gioia. L’ultimo giorno fin dal mattino abbiamo pregato e cantato in attesa di quelli che dove-vano venire a prenderlo perché era giunto il momento del grande passaggio. “Catia, devo morire” mi disse con il sorriso sulle labbra. “Ho bisogno di alzarmi da questo letto, devo tornare quello che ero prima”. Gli risposi: “Hai ragione amore mio”. Insieme siamo rimasti in attesa, fino alla notte, quando mi disse che vedeva uno che si stava avvicinando e sussurrò: “Babbo, babbo, babbo vieni!”. E si assopì. Dopo due ore dal sonno passò alla terra dell’arcobaleno! Grazie Dio di averci

Catia Mugnaini

donato questo grande potere!

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I l verbo “pregare” ci fa subito pensare ad una religione o ad una serie di for-mule da recitare per chiedere qualcosa

a quell’Entità misteriosa ed inafferrabile che chiamiamo Dio. Durante il cammino della vita, a seconda delle esperienze, qualcuno può trovare un modo nuovo, diverso, insolito di pregare ed è straordinario scoprire, come è successo a me, che “pregare” è semplicemente “connettersi”, per usare un verbo computeristico, con quell’Uni-verso pieno di potenzialità nascoste, che è dentro e fuori di noi. Io prego quando sono in sintonia con la Natura, quando il mio cuore batte per lo stupore davanti all’Armonia del creato, davanti ai colori dei fiori o al sorriso di un bambino. Perché dunque pregare? Perché pregare non è chiedere. È ritrovare se stessi. È guardare. Certo, spesso chiedo. Chiedo di essere illuminata quando ho dei dubbi, delle paure, ma so che il segreto per risolvere tutto è affidarsi. Facciamo tutti parte del disegno grandioso di un artista speciale ed ogni foglia che cade da un albero ha un suo profondo significato.

Maria Emi l ia Baldizz i

P erché pregare? Pregare è il respiro dell’anima. Lo diceva Gandhi, il Ma-hatma, la “Grande Anima”. È tutto qui,

non ci sarebbe altro da aggiungere. Se ti manca l’aria, se non respiri, piano piano il fiato si fa sempre più corto, non ce la fai più ad andare avanti, ti metti a sedere, poi ti sdrai, e un brutto giorno ti ritrovi morto, soffocato. Così è: senza preghiera, a lungo andare, si rischia di ritrovarsi morti. Pregare è ribellione, è grido, è ascolto, è silen-zio, è lavoro, è pianto ed è sorriso, è amicizia… è vita, ma vita che si affida a Dio, che si mette nelle sue mani e chiede a Lui il coraggio, la forza e soprattutto la voglia di rimettersi o rimanere seduti, e poi in piedi, e poi in cammino, e in cammino insieme agli altri. Pregare è ringraziare, ma questo, credo, arrivano a farlo in pochi. Non è un percorso facile, per niente. Fede, infatti, vuol dire fiducia. Chi prega impara lentamente a fidarsi di Dio.Sono gli incontri, semmai, che ci mettono ad-dosso la voglia di pregare. È quando conosci persone intelligenti, concrete, che stimi, e le vedi vivere in pienezza, senza inutili lamentazioni, la propria vita, nonostante i mille problemi che anche loro, come tutti, devono affrontare. Se scopri che pregano ti viene la voglia di farlo anche a te. Di persone così nella mia vita ne ho incontrate più d’una. A Romena e dintorni ce ne sono parecchie.

o prego perché ho scoperto che il pregare dà senso alla mia vita. Il mio cuore, le mie emozioni, i desideri, le difficoltà, la

solitudine, l'amore, tutto mi spinge a ricercare in me l'Altro, colui che è principio e fine del mio essere, qui, ora, in questo tempo, in queste situazioni di vita. È come il respirare per la mia vita fisica! Nell'incontro con Gesù (che mi ama per primo, mi cerca, mi viene incontro, mi guida e spesso mi mette alla prova) io trovo l'essenza del mio esserci: tutto il resto (l'amore per i miei, per gli altri, l'amicizia, la ricerca e il dono della consolazione, l'apertura al mondo tutto, senza limiti) mi viene dopo come pegno di un amore ricambiato. Perché questo stato di grazia interiore si mantenga Gesù ci ha insegnato il "Padre nostro", umanissima, semplice preghiera che ci insegna tutto: la lode, il ringraziamento, il desiderio di fare il suo volere e la richiesta di aiuto per farcela. Quanta serenità e gioia in tutto questo, ma... richiede silenzio, attenzione ai miracoli che tutti i giorni avvengono e uno "strabocco" di amore verso la vita anche quando diventa difficile e dolorosa.

Li l iana

I

Gioia Checcacci

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PROSSIMO NUMEROil giornale in uscita a Dicembre appro-fondirà il tema:

“LA CONCRETEZZA”.

Inviateci lettere, idee, articoli, foto (termine ultimo: 15 novembre 2010), preferibilmente alla nostra e-mail: [email protected]

UN CONTRIBUTO: se volete darci una mano a realizzare il giornalino e a sostenere le spese potete inoltrare il vostro contributo col bollettino allegato, oppure effettuare un’offerta al seguente conto corrente intestato a Fraternità di Romena ONLUS, Pratovecchio (Arezzo):

Poste Italiane IBAN:IT 58 O 07601 14100 000038366340

PASSAPAROLA: se sai di qualcuno a cui non è ar-rivato il giornale o ha cambiato indirizzo, se desideri farlo avere a qualche altra persona, informaci.SEGRETERIA: l’orario per le iscrizioni ai corsi è preferibilmente dal mercoledì al venerdì dalle 17,30 alle 19,30, sabato e domenica quando vuoi.Le iscrizioni ai corsi si aprono il primo giorno del mese precedente al corso stesso.Brigitte Hoffmann

ono nata in una famiglia cattolica negli anni ‘50 e l’insegnamento reli-gioso era fatto di tanti “doveri”. Il mio

ingresso al liceo dalle suore aumentava note-volmente la quantità di preghiere. Crescendo con queste modalità la preghiera è diventata un’abitudine, un dovere da assolvere, parole senza significato ed alla fine senza senso. Smisi di pregare. Solo in momenti difficili mi ricor-davo di Dio e cercavo di farlo diventare mio servo: “Dammi, fammi…”. Non mi rendevo conto che il mio cuore si chiudeva sempre di più e che mi sentivo sempre più sola. Fu allora che ho sentito per la prima volta la preghiera della serenità: “Signore concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare; la forza e il coraggio di cambiare quello che posso e la saggezza di conoscere la differenza”. Per diverso tempo questa preghiera fu l’unica amica nei momenti difficili. È stato un grande aiuto trovare l’accettazione e poter poco a poco abbandonare la mia onnipotenza. Cominciavo sempre di più a rivolgermi a Dio, innalzare mente e cuore a Lui o anche semplicemente a parlare con Lui. Forse la più grande ricom-pensa è un nuovo senso di appartenenza che deriva dalla preghiera, che cambia il modo di percepire la vita. Non vivo in un mondo completamente ostile. Non sono più smarrita, spaventata. Riesco a vedere in alcuni momenti la giustizia e l’amore come cose reali ed eterne nella vita. Sento che Dio veglia amorevolmente su di noi.

S

iao, compagni di viaggio. Voglio condividere lo scritto che ho preso dal Talmud, per guidare i miei passi

in questo intero anno:

Stai attento al tuo pensieroesso diventa parola.Stai attento alle tue paroleesse diventano azioni.Stai attento alle tue azioniesse diventano comportamento.Stai attento al tuo comportamentoesso diventa abitudine.Stai attento alle tue abitudini

esse diventano il tuo destino.

Carla F.

Pregare e non donare: non è preghiera.Parlare e non condividere: non è preghiera.Cantare e non perdonare: non è preghiera.Professare e non amare: non è preghiera.

La preghiera è quel sottile filo di fumoprofumato di desiderio d’amoreche lentamente esce dal cuoree a fatica trova la strada del cielo.

Maurizio Ammannato

C

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T

Foto di Massimo Schiavo

i incontro là, nella profondità dell'essere, dove Tu ed io siamo ciò che abbiamo sempre sperato, gesti e sincerità, finalmente amore.

Luigi Verdi


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