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PERCORSI PROSOCIALI PER IPERATTIVITÀ, DEFICIT DI ... · 6. Disturbi della condotta e sviluppo...

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Strumenti per il lavoro psico-sociale ed educativo FrancoAngeli PERCORSI PROSOCIALI PER IPERATTIVITÀ, DEFICIT DI A TTENZIONE E DISTURBI DELLA CONDOTT A Il trattamento multilivello A cura di Fiorella Monteduro
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Page 1: PERCORSI PROSOCIALI PER IPERATTIVITÀ, DEFICIT DI ... · 6. Disturbi della condotta e sviluppo antisociale 6.1. I criteri diagnostici 6.2. Fattori predittivi e protettivi 2. Il trattamento

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PERCORSI PROSOCIALI PER IPERA TTIVITÀ,DEFICIT DI ATTENZIONE E DISTURBI DELLA CONDOTT A

Come intervenire in modo articolato su fenomeni complessi ed invasivi qualil’ADHD ed i disturbi della condotta frequentemente associati? Il manuale si propone come strumento operativo innovativo corredato diesempi pratici, con una base scientifica comprovata, un percorso strutturato enumerose schede operative fotocopiabili. Contemporaneamente, permette diavere un quadro d’insieme anche dal punto di vista teorico (psicologico eneurologico) del disturbo di iperattività, grazie alla disamina della più recentebibliografia scientifica. Lo sviluppo del modello di trattamento multilivello s’inserisce nell’ambito dellapsicologia e psicoterapia cognitivo-comportamentale ed al tempo stessorappresenta l’applicazione del modello di educazione prosociale, sviluppatoda Roche (1985) e poi modificato da Salfi e Monteduro (2004). Questo testorappresenta una possibilità d’intervento che affronta la problematica a tuttocampo, in tutti gli ambiti di vita del soggetto (livello individuale, familiare,scolastico, sociale). Sono presentati alcuni casi clinici, valutati con il metododi ricerca sperimentale, con relativi grafici e tabelle. Numerose sono letecniche descritte in modo semplice, pratico e difficilmente reperibili in unsolo testo. Un volume di grande utilità per psicologi, educatori, insegnanti, genitori.

Fiorella Monteduro, psicologa, psicoterapeuta, libero professionista, èspecialista in psicoterapia dell’infanzia ed adolescenza. Si occupa, inoltre,della formazione degli psicologi, psicoterapeuti, educatori, insegnanti edoperatori sociali, tenendo corsi di formazione ed aggiornamento in diverseregioni d’Italia. È coordinatore dell’Istituto Casa Serena, residenza protettadisabili nelle Marche.

PERCORSI PROSOCIALIPER IPERATTIVITÀ,DEFICIT DI ATTENZIONEE DISTURBIDELLA CONDOTTAIl trattamento multilivello

A cura di Fiorella Monteduro

FrancoAngeliLa passione per le conoscenze

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FrancoAngeli

PERCORSI PROSOCIALIPER IPERATTIVITÀ,DEFICIT DI ATTENZIONEE DISTURBIDELLA CONDOTTAIl trattamento multilivello

A cura di Fiorella Monteduro

Strumenti per il lavoropsico-sociale ed educativo

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In copertina: Puzzle di puzzle @ Lemony by Dreamstime.com

Illustrazioni di Nando De Vecchis

Copyright © 2013 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy

L’opera, comprese tutte le sue parti, è tutelata dalla legge sul diritto d’autore. L’Utente nel momento in cui effettua il download dell’opera accetta tutte le condizioni della licenza d’uso dell’opera previste e

comunicate sul sito www.francoangeli.it.

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Dedico questo libro a mio marito, che sempre mi ha sostenuto nell’impegno professionale; alle mie figlie, che ben presto hanno compreso il valore

di un lavoro al servizio del prossimo; a tutte le maestre che hanno contribuito allo sviluppo del TAPe a tutti i bambini e ragazzi con cui ho lavorato in questi anni

e che hanno permesso la realizzazione di questo lavoro

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Indice

Prefazione, di Paolo Meazzini e Donato Salfi

Introduzione

1. Il deficit di attenzione, iperattività (ADHD) e disturbidella condotta1. Difficolta di inquadramento diagnostico e comorbilità2. Incidenza, decorso, fattori di rischio3. Le caratteristiche cognitive e comportamentali dei sog-

getti con ADHD4. Eziologia multifattoriale: genetica, neuroanatomica,

neurochimica, ambientale5. Principali filoni di trattamento e ricerca6. Disturbi della condotta e sviluppo antisociale

6.1. I criteri diagnostici6.2. Fattori predittivi e protettivi

2. Il trattamento multilivello1. Perché multilivello 2. Architettura del trattamento3. L’ambiente di sviluppo del modello multilivello

3.1. La prosocialità come comportamento di autoregola-zione

3.2. Il costrutto teorico della prosocialità4. Linee guida nell’applicazione del modello multilivello

4.1. La strutturazione, modalità e tempi delle sedute4.2. La progressione delle fasi del trattamento

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5. Descrizione dei “livelli”: tecniche e strumenti5.1. L’assessment5.2. Il livello familiare

5.2.1. Il parent training prosociale: educare al “posi-tivo”5.2.1.1. Abilità per la gestione dei comporta-

menti: le tecniche comportamentali5.2.1.2. Le tecniche che diminuiscono la fre-

quenza dei comportamenti5.2.1.3. Le tecniche che aumentano la fre-

quenza dei comportamenti5.2.2. L’educazione prosociale

5.2.2.1. Abilità relazionali ed emotive del parent training prosociale

5.3. Il livello individuale5.3.1. Il programma: training di abilità prosociali

(TAP)5.3.1.1. Le componenti e le attività strutturate

del training di abilità prosociale5.3.2. Tecniche e strategie per l’attenzione: program-

ma TAI5.4. Il livello sociale ed ambientale

5.4.1. I rapporti con la scuola e gli interventi5.4.2. Il tempo libero e gli amici

3. Alcuni percorsi realizzati1. Il caso di “Pierino”2. Il caso di “Giampierino”

4. Gli strumenti operativi 1. L’intervista semistrutturata2. Scala di valutazione dei comportamenti prosociali3. Lo “stile” del trainer4. Modalità per l’osservazione diretta dei comportamenti e

la costruzione delle griglie

Bibliografia

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un modello che, pur non potendo ancora contare sull’evidenza della ricercasperimentale controllata, apre nuove prospettive. Potremmo affermare, conThomas Kuhn (1970), che, in questo momento, la ricerca psicoeducativarelativa ai disturbi del comportamento si trova in una delle periodiche fasi“zero”, nel periodo “pre-paradigmatico”, quando le teorie preesistenti fannofatica a spiegare nuovi fenomeni e questa dissonanza crea l’ambiente di col-tura più adatto per far crescere un nuovo bisogno di ricerca e di indagine, unrinnovato atteggiamento di curiosità intellettuale, scientifica e sociale: è que-sto il momento in cui, a partire dagli elementi preesistenti, qualcuno riescead immaginare ed a proporre nuovi scenari, soluzioni e punti di vista origi-nali che possono generare un nuovo approccio. In questa fase, lo svilupposcientifico è piuttosto simile a quello dell’arte: è intuitivo, è caratterizzato daun elevato tasso di ambiguità e l’inevitabile confusione che ne deriva, rischiadi assimilare il ricercatore ad una massaia creativa e i processi di ricerca adun minestrone variopinto. La carenza di rigore, tuttavia, si rivela funzionalealla fertilizzazione delle idee ed all’arricchimento di nuovi punti vista.

Se il lettore ha la pazienza di seguirci per un breve tratto, sapremo ricom-pensare la sua decisione spiegando nelle prossime pagine quali possanoessere le ragioni per interessarsi all’approccio TAP – Training AbilitàProsociali-Multilivello per il trattamento dell’ADHD. E tuttavia, fin da oralo invitiamo a considerare che la multifattorialità nella genesi dei compor-tamenti disfunzionali dei bambini con ADHD evidenzia l’importanza diagire su più aspetti di vita del bambino e sulla necessità di incrementare icomportamenti positivi piuttosto che aggredire quelli negativi.

Questi presupposti sono all’origine della convinzione, oggi oramai con-solidata, che l’educazione non debba rimanere avvitata dentro lo sviluppodell’intelligenza cognitiva e che educare a “vivere bene” concorre in misu-ra determinante a generare la salute.

Come spesso accade, questa illuminante intuizione è figlia di un falli-mento. Essa è nata infatti dalla dissonanza tra gli effetti drammatici deifenomeni di dipendenza da sostanze stupefacenti e psicotrope e la laconicaconstatazione dell’inutilità dei cosiddetti interventi di informazione e pre-venzione. Negli anni ’80 in molti Stati si è diffusa la convinzione che lasempre più ampia diffusione dei fenomeni di dipendenza e il dilagare diforme di disagio individuale e sociale fossero tra loro interdipendenti: esi-ste infatti un innegabile rapporto di causa-effetto tra la diffusione dell’abu-so di droghe, tabacco, alcool e l’ampia diffusione di violenze, aggressioni,dispersione scolastica, disoccupazione, bullismo e comportamenti disfun-zionali socialmente indesiderabili. Ma, in una perversa circolarità, il disagiosociale e la carente competenza relazionale, a sua volta, è anche causa del-l’espandersi dei fenomeni di dipendenza.

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Questa complessità del fenomeno ha messo in crisi gli interventi diinformazione e prevenzione decisi dall’OMS (Organizzazione Mondialedella Sanità), attuati in vari Stati membri in tutto il mondo e costruiti intor-no alla fallacia dell’ipotesi secondo la quale una maggiore informazione sisarebbe correlata con una diminuzione dei fenomeni di dipendenza. In que-gli anni, l’evidenza dei fatti ha convinto che l’informazione, anche se diffu-sa, tecnologica, avanzata, non abbia prodotto un decremento del fenomenodipendenza che, invece, ha mostrato di continuare a crescere.

Negli anni ’80 l’OMS si apre ad un nuovo punto di vista secondo il qualela radice del problema deve essere cercata dentro le coordinate culturali esociali della comunità, cosicchè, se il problema nasce dalla cultura e dallasocialità, la sua soluzione non può che trovarsi nel cambiamento delle coor-dinate culturali e sociali della collettività.

Il cambiamento di strategia viene infine documentato nel testo Life skillseducation in schools che l’OMS pubblica nel 1993. Esso rappresenta ladeclinazione delle competenze umane e personali di coping, per far fronteagli eventi della vita e abilità relazionali per rapportarsi con gli altri: deci-sion making, problem solving, pensiero creativo, pensiero critico, autocon-sapevolezza, gestione delle emozioni, gestione dello stress, comunicazionefunzionale, empatia, capacità relazionali.

Si fa strada nella comunità internazionale la convinzione che il benesse-re non è uno stato né una condizione stabile e irreversibile o immodificabi-le, ma – al contrario – rappresenta il risultato dell’interazione incessante trala persona e il suo ambiente, la ricerca dell’equilibrio e dell’armonia nelrapporto della persona con l’ambiente relazionale e sociale e, per un bam-bino, con l’ambiente educativo, oltre che con quello naturale. In altre paro-le, ciascuno di noi può apprendere a star bene perché la salute costituisce larisultante di un processo educativo, di apprendimento e di cambiamento.Intervenire efficacemente sulla capacità del bambino e dell’adolescente dicomunicare, di sviluppare un’equilibrata emozionalità, di allargare la pro-pria competenza a tessere interazioni prosociali nell’ambiente relazionaleche lo circonda equivale dunque a lavorare per la sua salute.

In realtà queste convinzioni erano già consolidate nella comunità deglipsicologi cognitivo-comportamentali. Ricerche come quella di AnnalisaRolandi (1983) avevano reso evidente che i giovani adulti con un disagiopsicologico non erano stati dei bambini con un piccolo disturbo, ma aveva-no sviluppato una carente competenza sociale. Altre ricerche (Hastings etal., 2000) avevano cercato i fattori protettivi nell’infanzia per lo sviluppodei disturbi del comportamento e del successivo sviluppo deviante nell’a-dolescenza, trovandoli nell’interesse per gli altri, nell’empatia, nella com-petenza sociale, nella frequenza dei comportamenti prosociali. Avevamo

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compreso che i comportamenti socialmente inaccettabili sono appresi(Meazzini, 1978) e che questo avviene prevalentemente con un processo diapprendimento da modello (Salfi, 1989); che anche i comportamenti socia-li, così come i valori e gli atteggiamenti positivi quali la collaboratività, lacondivisione, l’aiuto, la donazione, la partecipazione, ecc. sono appresi e,pertanto, sono educabili (Salfi e Barbara, 1994); che esistono comporta-menti sociali alternativi e incompatibili tra loro: ad esempio, le condotteprosociali sono alternative e incompatibili con quelle aggressive e oppositi-ve o dirompenti. Pertanto, l’azione psicoeducativa, anziché aggredire i com-portamenti inadeguati può essere riorientata ad educare le condotte social-mente desiderabili che, essendo incompatibili con le prime, ne ridurranno leprobabilità di comparsa (Salfi e Barbara, 1990).

E tuttavia i tentativi di realizzare programmi di educazione della compe-tenza sociale per l’età evolutiva introducendo nelle istituzioni esperti ester-ni capaci di implementare programmi strutturati di apprendimento dellasocialità sono franati paurosamente quando sono stati sottoposti al vagliodell’evidenza sperimentale. Ricci, Lambardelli, Gagliardini e Crucillà(1988) trovarono che l’efficacia di queste procedure sul comportamentosociale degli allievi non è maggiore di quella ottenuta con i gruppi di con-trollo: i soggetti del gruppo sperimentale, dopo la somministrazione del cur-ricolo mostrarono un cambiamento cognitivo ai test carta e matita, ma pre-sentarono lo stesso risultato del gruppo di controllo nelle prove strutturatedi comportamento. I ricercatori hanno dunque dovuto concludere che il trai-ning era stato efficace per modificare la struttura cognitiva degli alunni aiquali veniva somministrato, ma non aveva prodotto un impatto sul compor-tamento reale e che gli effetti della somministrazione del training eranoparagonabili a quelli che potevano essere ottenuti raccontando loro favole asfondo morale.

Come spesso accade, tuttavia, la falsificazione di un’ipotesi si è rivelatafertile, perché ha permesso di produrre nuove ipotesi da sottoporre al vagliodell’evidenza sperimentale. Il gruppo di ricerca dell’ISACPro, infatti, hacercato la ragione dell’inefficacia del training sulla modificazione dei com-portamenti dei bambini ed ha ipotizzato che essa doveva risiedere nel fattoche il training veniva messo in atto da esperti esterni, che realizzavano unaccesso estemporaneo nelle classi.

Pertanto i ricercatori dell’ISACPro hanno formulato una nuova ipotesisecondo la quale due sono le condizioni correlate con il successo del tratta-mento: l’esposizione dei bambini a modelli di condotte prosociali da partedegli adulti significativi e l’implementazione, da parte di questi stessimodelli, di programmi strutturati di apprendimento.

I risultati ottenuti evidenziarono (Salfi e Monteduro, 2003):

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• un incremento significativo dei comportamenti prosociali ed un corri-spondente;

• decremento dei comportamenti aggressivi e passivi; • un aumento dei comportamenti prosociali; • maggiore competenza comunicativa nel dare e chiedere informazioni

utili alla soluzione di un compito;• maggiore sensibilità interpersonale intesa come abilità nel riconoscere i

sentimenti dell’interlocutore, decodificando correttamente i messaggidella comunicazione metaverbale;

• competenza nella collaborazione con un interlocutore;• produzione di possibili soluzioni ad un problema cognitivo, nell’ambito di

una discussione in gruppo.

Il lavoro clinico svolto nell’ultimo decennio e che qui viene presentatoha preso le mosse da questi risultati, ma ha a che vedere con una nuova ipo-tesi, tesa a verificare se una metodologia simile possa essere applicata consuccesso nel trattamento dell’iperattività, dei deficit di attenzione e dei dis-turbi della condotta.

I bambini con ADHD mostrano disturbi comportamentali, perché hannouna notevole difficoltà nell’inibizione delle risposte, nella pianificazione enel controllo dei propri comportamenti nelle relazioni sociali, infatti l’em-patia e l’autocontrollo risultano essere carenti in queste persone.Un’esemplificazione valga per tutte:

Angelo ha 7 anni, frequenta il 2° anno di scuola primaria. Secondo la diagnosi clinica è affetto da “sindrome ipercinetica con disturbo del-

l’attenzione, impulsività e scarsa tolleranza alle frustrazioni”. La sua esistenza sembra essere pervasa da iperattività, impulsività, mancanza di

rispetto delle regole di convivenza, da comportamenti aggressivi e, in qualche caso,violenti.

L’osservazione condotta nei primi giorni di scuola descrive così la situazione:

“Interrompe frequentemente gli altri e non riesce ad attendere il suo turno,risponde prima che venga completata la domanda e irrompe nei giochi e nelle con-versazioni dei compagni senza rispettare il ritmo della comunicazione e non per-mettendo agli altri di intervenire.

La sua impulsività si manifesta con azioni pericolose per gli altri e per le cose enon sembra badare alle possibili conseguenze negative delle proprie azioni.

L’alunno evidenzia difficoltà nel mantenere l’attenzione in qualsiasi attività espesso è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono concentrazione; si lasciafacilmente distrarre da stimoli esterni: non ascolta chi gli parla e orienta lo sguardolontano dall’interlocutore.

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Al mattino, sin dal suo ingresso in classe, manifesta iperattività: se sta sedutomuove continuamente mani e piedi, subito si alza e cammina per la classe, a voltecorre e cerca di scappare fuori dall’aula.

L’alunno è oppositivo e provocatorio e non accetta richiami. Anche nelle attività ludiche ha difficoltà a giocare e impegnarsi in modo fun-

zionale, predilige giochi dove corre e può spingere i compagni. La carenza di autocontrollo ha influenzato negativamente l’interazione con i

compagni che è inadeguata sia nei contesti strutturati che nel gioco libero. L’alta frequenza di comportamenti verbali e non verbali socialmente inaccetta-

bili ha generato nei compagni di classe una percezione di Angelo diffusamentenegativa. Lo considerano come un intruso aggressivo e provocatore.

Alcuni alunni reagiscono ai suoi attacchi urlando spaventati e piangendo, diconseguenza si rifiutano di giocare con lui e si spaventano quando lui si avvicinatemendo di essere aggrediti, si sentono minacciati e in pericolo ed evitavano di inte-ragire spontaneamente sia durante i giochi strutturati che durante la ricreazione”.

L’ipotesi di questo libro e del modello che esso intende presentare sifonda sulla convinzione che lo sviluppo del comportamento prosociale,incompatibile con tutti comportamenti disfunzionali che, come è evidentenell’esempio, costituiscono il repertorio ricorrente dei bambini con ADHD,produce un incremento dell’autoregolazione emotiva, della coesione socia-le, dello sviluppo di abilità relazionali e della costruzione di valori moralievoluti.

Nel TAP – Training Abilità Prosociali-Multilivello l’associazione delmodello di educazione prosociale con l’approccio cognitivo-comportamen-tale offre l’innegabile vantaggio di poter agire, in modo coerente con lacomplessità etiologica dell’ADHD, su una molteplicità di fattori nel conte-sto di vita del bambino: individuali, familiari, scolastici, sociali, assicuran-dosi così l’incremento dei comportamenti funzionali a danno di quelli dis-funzionali.

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Introduzione

Lo sviluppo del modello di trattamento multilivello si inserisce nell’am-bito della psicologia e psicoterapia cognitivo comportamentale ed al tempostesso rappresenta l’applicazione del modello di educazione prosociale, svi-luppato da Roche (1985) e poi modificato da Salfi e Monteduro (2004),nella psicoterapia dell’infanzia ed adolescenza.

Il presente modello nasce come una proposta, che dovrà essere ulterior-mente testata sperimentalmente, di un percorso a più “livelli” (individuale,familiare, scolastico, sociale), che ha al suo interno anche innegabili riferi-menti alla psicologia umanistica e rogersiana.

Per la sua complessità e l’ampiezza delle aree trattate si può configurarecome un intervento di tipo psicosociale.

Il trattamento multilivello ha trovato la sua evoluzione nella lungaesperienza di applicazione della prosocialità in ambito educativo, scola-stico e formativo (Salfi e Monteduro, 2003, 2004, Monteduro, 1998), siadall’esigenza, in ambito psicoterapeutico, di strumenti che permettesserointerventi articolati su fenomeni complessi quali l’ADHD (Attention Defi-cit/Hyperactivity Disorder) ed i disturbi della condotta frequentementeassociati.

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ta siano correlati con una maggiore presenza di problematiche familiari,mentre appaiono meno rilevanti le difficoltà cognitive. Questa osservazio-ne, però, non scioglie gli interrogativi, in quanto nella pratica clinica consoggetti adolescenti devianti è frequente individuare nei resoconti di attidelinquenziali l’impulsività come caratteristica delle loro azioni. Alla basedi questi atti troviamo spesso una mancata valutazione delle conseguenzedell’azione a breve, medio e lungo termine, così come una difficoltà a pro-crastinare le gratificazioni, caratteristiche difficoltà di tipo cognitivo. Anchenella valutazione degli aspetti di relazione familiare, troviamo spesso diffi-coltà nella gestione del comportamento dei figli con ADHD, elevati livellidi conflittualità nei rapporti genitori-figlio e spesso anche nella coppia geni-toriale. In questo quadro diviene difficile stabilire quali di questi problemisiano primari o secondari allo sviluppo dell’ADHD nei bambini. Alcuniautori ritengono (Fedeli, 2003), che questa conflittualità all’interno dellafamiglia possa essere generata secondariamente per via del comportamentodisturbato dei figli. Talvolta, questi bambini vengono descritti dai genitoricome “nervosi” sin da molto bambini (prima dei quattro anni), in quantotendevano a piangere frequentemente ed a fare i “capricci” in modo esage-rato rispetto alle situazioni, a dormire poco ed a dare problemi anche nel-l’alimentazione, nel senso di un rifiuto del cibo (Nisi e Ceccarani, 1989).

Il DSM-IV, rispetto alla sua precedente versione offre un valido aiutonell’inquadramento diagnostico dell’ADHD, permettendo di distinguere trediversi sottotipi: disturbo da deficit attenzione/iperattività, tipo combinatoin cui sono presenti la disattenzione e l’iperattività, tipo con disattenzionepredominante se la disattenzione è la caratteristica prevalente, tipo con iper-attività-impulsività predominanti, se i sintomi dell’iperattività e impulsivitàsono la caratteristica prevalente.

Secondo alcune stime il 70% (Mazzocchi, Scuranti, 2005) dei soggetticon ADHD presenta comorbilità con altri disturbi.

Generalmente, viene descritta comorbilità con:

• Disabilità di apprendimento. Circa il 20-30% (Nimh, 2003), mentrealtre stime parlano di range tra l’8% e l’80% (in Fedeli, 2004), presentauna disabilità di apprendimento, tra queste più frequenti sono le difficol-tà di scrittura, lettura e matematica, diffusa appare la dislessia. Accantoa questo si osserva una grande discrepanza tra QI e rendimento scola-stico;

• Sindrome di Tourette.Una piccola percentuale di bambini con ADHDpresenta questa sindrome che è un disturbo neurologico, che si manife-sta con tic di vario genere e manierismi ripetitivi;

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