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PeriodicoMARCO anno 4 N°1 - Cittadinanza e Globalizzazione

Date post: 06-Mar-2016
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Globalizzazione, Linguaggio, Generazione, Cittadinanza, Migrazione, Appartenenza, Integrazione. L’intento della redazione non è quello di dare messaggi scontati, anche perché durante l’elaborazione di questo numero è scaturito un filo sottile e coerente verso una scelta alternativa rispetto al concetto di integrazione e relativa convivenza. La discussione sulla globalizzazione del linguaggio è stata una componente che ha trovato valenza conducendoci a interessarci dell’Esperanto. Nel parlare con gli intervistati e gli articolisti di questo numero ci siamo imbattuti in un universo variegatissimo: gente soddisfatta del proprio approdo in un altro paese, oppure nostalgica di ciò che si è lasciata alle spalle e, in un caso, un’esperienza che addirittura ha portato chi scriveva a far affiorare stereotipi razzisti che sono serviti a farci documentare anche il pensiero di chi è rimasto profondamente deluso nelle proprie aspettative e decide di dirlo in modo molto poco political correct.
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Pagine di dibattito e riflessione sui tempi e spazi che viviamo Globalizzazione Linguaggio Generazione Cittadinanza Migrazione Appartenenza Integrazione Primavera 2012 Distribuzione Gratuita Anno 4/ N°1
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Pagine di dibattito e riflessionesui tempi e spazi che viviamo

Globalizzazione

Linguaggio

Generazione

Cittadinanza

Migrazione

Appartenenza

Integrazione

Primavera 2012Distribuzione Gratuita

Anno 4/ N°1

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R E D A Z I O N A L EAbbiamo voluto dare un’im-magine un po’ diversa e non stereotipata sul tema dell’immigrazione, l’idea iniziale era quella di dare spa-zio alle sole interviste ma poi abbiamo seguito una visione più ampia dell’argomento. L’intento della redazione non è quello di dare messaggi scontati e miracolistici, an-che perché durante l’elabo-razione di questo numero è scaturito un filo sottile e coe-rente verso una scelta alter-nativa rispetto al concetto di integrazione e relati-va convivenza. La discus-sione sulla globalizzazione del linguaggio è stata una componente che ha tro-vato una particolare valenza conducendoci a interessarci dell’Esperanto, una lingua che a nostro avviso meritereb-be maggiore attenzione. Nel parlare con gli intervistati e gli

articolisti di questo numero ci siamo imbattuti in un universo variegatissimo: gente soddi-sfatta del proprio approdo in un altro paese, presso un’altra cultura, oppure nostalgica di ciò che si è lasciata alle spalle e, in un caso, un’esperienza amareggiante che addirittura ha portato chi scriveva a far af-fiorare stereotipi razzisti che ci hanno lasciato l’amaro in boc-ca vista la giovane età di chi li ha pensati, ma che del resto sono serviti a farci documenta-re anche il pensiero di chi, nel cercare una indipendenza dal proprio background d’ori-gine lanciandosi alla scoperta di un nuovo paese, è rimasto profondamente deluso nelle proprie aspettative e decide di dirlo in modo molto poco politi-cal correct. Documentare spa-zi e tempi contemporanei è lo scopo di questo periodico an-che quando questo ci porta a far conoscere dei punti di vista che ovviamente non rispec-

chiano le opinioni della reda-zione, nel più ampio rispetto dello spirito di libertà di opinio-ne ed espressione dell’uomo!Ricordiamo ai nostri letto-ri che il periodico è aperto a ricevere qualsiasi commen-to e parere su questo tema attraverso il nostro blog di discussione www.periodi-comarco.it/blog/index.php.

Sul nostro sito internet www.per iodicomarco. i tsi possono leggere e scari-care gratuitamente i nume-ri arretrati. Buona lettura.

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Parlare del tema della migrazione è parlare di un argomento vecchio come il mondo, un “problema” che si è risolto sin dagli albori della storia, o più correttamente forse, sin dalle luci della preistoria, con la naturalezza e l’ovvietà che esso presenta, con la limpidezza di un’esigenza sopraggiunta e con la spontaneità del desiderio della scoperta: le terre, il globo terrestre, sono patrimonio di tutti gli uomini, di tutti gli esseri viventi, del pianeta inteso nella sua interezza...Ne parlavamo con un’amica, compagna assai cara, della redazione di questo giornale, in generale discutevamo della piccolezza dell’era della civiltà umana e della grandezza dei danni fatti dall’uomo all’intero pianeta. La nascita della civiltà, riconducibile all’inizio dell’attività agricola, le recinzioni dei campi coltivati, la proprietà privata e la sua difesa (fino allora del tutto incontemplata), sino ad arri-vare alle guerre e ai conflitti internazionali tipici della civiltà moderna. Tutto questo è cosa che risale agli ultimi cinque minuti della vita di una farfalla (circa ventiquattro ore) cui possiamo rapportare il tempo dell’esistenza dell’uomo in quanto tale sulla terra. Ebbene in questi ultimi cinque minuti, la farfalla conclude morendo la sua vita giornaliera sbattendo disordinatamente le ali e non riuscendo più a riprendere il volo oramai perduto, mentre l’uomo sta trascinando nella sua fossa comune il pianeta intero. Ma senza divagare troppo sul tema centrale, capiamo bene che in questo contesto, quello attuale, ciò che è sempre stato una necessità, un diritto, una voglia, una casualità, per ogni uomo vissuto prima di noi, si è trasformato in un problema per gli stati civilizzati del nord del mondo, una spinosa questione da risolvere, frontiere da difendere, strade da sbarrare, persone da rispedire, uomini da incriminare e ingabbiare. Da uomo nato in un punto indeterminato del suolo terrestre, credo che ogni comportamento atto a ridurre, ostacolare, impedire i movimenti umani su ciò che ritengo sia, profondamente, nonostante tutto e tutti, una “proprietà” assolutamente collettiva: la terra, ebbene credo esso sia una delle più agghiaccianti violenze, aberrazioni, vergogne che l’uomo civilizzato abbia prodotto sui suoi simili. Si nega il diritto a vivere, il diritto a mangiare, il diritto a provare a star meglio, si nega tutto questo in nome di un’invenzione effimera e disumanizzante, come lo stato che esiste in quanto ha le sue frontiere da controllare, le sue guerre da combattere e qualcuno da sfruttare. Mi chiedo come gli esseri umani talvolta notino la “violenza” di chi rompe un simbolo dello sfruttamento umano, come la vetrina di una banca o di una multinazionale, e non notino e non s’indignino davanti alla violenza insopportabile e inaccettabile dell’operato di uno stato che ha deciso di espropriare nel nome di se stesso un pezzo del pianeta e pretenda di deciderne arbitrariamente il destino (e dico arbitrariamen-te perché nessuno potrà dimostrarmi neppure che uno stato rappresenti le persone che vi vivono al suo interno, figuriamoci se allarghiamo gli orizzonti a livello globale, che credo sia l’unico piano dove certe questioni possano essere almeno dignitosamente discusse). Sono tante a questo punto le riflessioni che si potrebbero fare sugli stati, queste perfide creature burocratiche che succhiano come sanguisughe le energie d’individui, popoli e pianeta, ma ognuno se vuole può farle da sé... Il piano della pratica e della vita quotidiana, quella di ogni giorno, è invece la cartina di tornasole che sempre, se stiamo attenti e siamo un po’ sensibili, ci dà il polso di ciò che accade. Guardarsi attorno per scoprire un po’ del mondo. E attorno a noi si manifestano e si materializzano ingiustizie, sofferenze, ma anche paradossi e amenità legate al mondo della migrazione; prima di scrivere queste due righe avevo in men-te la storia di due persone che ho incontrato e di cui pensavo di raccontare, storie tristi, assai diverse ma tristi; non le racconto qui, anche se credo sia importante provare rabbia e tristezza sentendole; credo anche che non sia con il pietismo e la commiserazione che se ne può uscire, credo che una battaglia seria e determinata, una battaglia a questa società e ai valori di questa civiltà, si possa fare rispolverando i valori universali dell’uomo, alcuni dei quali, probabilmente, naturalmente e inconsapevolmente hanno contribuito a traghettare la specie umana fino ai gior-ni nostri. A partire da essi e con i contributi del pensiero e della cultura altra che pure vive anche in questa società, nella solidarietà e nel mutuo appoggio tra i popoli e gli individui, nel ri-spetto di tutte le diversità, nella cura della libertà dei cuori degli esseri umani, a partire da chi ci sta più vicino per arrivare a chi non incontreremo mai, potremo costruire quella che noi anarchici amiamo chiamare “umanità nuova”.

Simone Truppolo

A scuola da una farfalla

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Come un astroporto galattico dove con-fluiscono popoli da tutto lo spazio quando c’è la Grande Guerra economica; come dominatori ubriachi che usano pisciare a piacimento durante le loro superal-coliche happy hours, riservandosi locali in cui altri da loro non devono entrare; come misteriosi mercanti delle nebulose orientali che offrono a prezzi stracciati mercanzie clonate da miliardi di formi-che sfruttate; come figli del favoloso Cipango che vengono a sposarsi migliaia di miglia lontani dalle loro case radioat-tive di falsi inchini; come vecchi zaristi e nuovi mafiosi che usano pregare nella chiesetta di marzapane dalle cupole a cipolla e dal sapore di Baba Jaga; come terribili bulli latinos ricamati di sacri tatuaggi; come pirati assolati e dinoccolati; come badanti incas incazzate; come prostitute dagli orifizi depilati; come brasileiri transculi e tamarri; come schiavi degli asteroidi delle materie prime che ven-gono a prendere nerbate nella schiena solo un po’ più morbide di quelle dei loro colleghi rimasti nei luoghi natii; come europei sem-pre più vecchi e razzisti che non hanno più una famiglia che gli pulisca il culo quando se la fanno addosso, e odiano doverselo far fare dai reietti; come reietti che fra venti o trenta anni diventeranno pure loro vecchi e razzisti e a quel punto non si sa da dove sa-ranno presi i nuovi netta culo; come rivoluzi-onari nostalgici; come nuovi consumatori dell’ipermercato cosmico chiamati apposta per dare il cambio a chi non si riproduce più al vecchio ritmo di roditore da popolo bue, rischiando di mandare il sistema al fallimento; come me; come te; come tutti noi!

Katrame

DAWD è un ragazzo forte e scuro, con il naso largo, cose di cui non dovrebbe importare a nessuno ma che aiutano a capire quello che vi racconterò. La sua è una storia di immigrazione insolita: permesso regolare, contratto regolare e, a fine mese, paga rego-lare. Dawd insomma è sfruttato come siamo sfruttati tutti, non un centesimo di più.Comprensibilmente contento, intasca la paga e va a festeggiare in un localino per tu-risti portandosi dietro una ragazza america-na conosciuta da poco. Si siede a un tavolo e beve. Il cameriere a un certo punto lo ac-costa e gli fa questa rampogna: “Guarda che quello che ordini lo paghi. Ce li hai i soldi?”Il razzismo, si sa, colpisce prima a parole e poi a pistolettate e Dawd capisce subito che quelle parole sono pallottole e reagisce. Tira fuori dalla tasca la busta paga e la sbatte sul tavolo. Mentre il cameriere è ancora lì che bisticcia, la ragazza americana agguanta i soldi e scappa. Dawd vorrebbe rincorrerla ma la folla che intasa il locale fa muro, anche perché un nero che insegue una biondina nell’immaginario collettivo è sempre uno stu-pratore e va bloccato. Dawd cosi perde tem-po, lei scappa e a lui non resta che cercarla a casa, ma la ragazza ha già fatto fagotto.Quando Dawd denuncia l’accaduto, deve arrampicarsi sugli specchi per es-sere creduto: Cappuccetto Rosso che ruba i soldi al Lupo non è un sogget-to frequente nella narrativa popolare.Una volta i popoli avevano novelle di santi che fottono e di diavoli fottuti, sto-rie che da noi si chiamavano PARITÁ. Che ci crediate o no, raccontate questa storia, servirà a introdurre un po’ di pa-rità in mezzo a tanta disuguaglianza. Guru

“Parità” Ballata per me e per te che mi leggi

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Parliamo con Sàfia, fiorentina di origine egiziana.

Come ti presenti ai lettori?Io sono nata e vissuta a Firenze mentre i miei genitori sono entrambi del Cairo. Sono arrivati a Fi-renze da più di trentacinque anni per studiare all’Accademia delle Belle Arti e non si sono spostati più... io faccio la guida turistica in estate e d’inverno in genere cerco lavoro! Sono di prima lingua italiana ma parlo anche l’arabo (egiziano) e l’inglese, entrambi con un forte e buffo accento italiano.

Hai per questo tuo arricchimento una visione del mondo diversa da quella della tua famiglia di origine?Certamente ho una visione del mondo e delle cose notevolmente diversa da quella della mia fami-glia d’origine, ma è difficile pensare che questo derivi dalla conoscenza di due lingue. Voglio dire che anche i miei parlano le stesse lingue che parlo io. Solo che io comunico quotidianamente con la lingua che padroneggio di più e che mi è cresciuta addosso mentre crescevo; loro comunicano quo-tidianamente con una lingua che hanno appreso con grande sforzo e che nonostante gli anni non scorre loro nelle vene, la lingua dei loro pensieri serve loro per parlarsi addosso o per parlare col ‘passato’, la comunicazione con ciò che li circonda passa quotidianamente e continuamente attra-verso strumenti e canali ostici o per lo meno faticosi... questo più che una visione diversa del mondo secondo me crea una diversa sensibilità della vita, una diversa attitudine verso il terreno culturale che ci ‘contiene’. Non mi so spiegare bene, ma ho l’impressione che mentre io mi vivo una condi-zione di assenza di radici confortevole loro si vivano una condizione di sradicamento affannato...

Pensi che per questo avrai occasioni di vita più varie, senti di padroneggiare più culture?Dipende dai punti di vista. Io sono nata in questa città, non mi sono mai spostata se non per brevi vacanze, non mi sono laureata, non ho figli, mah... tutta ‘sta varietà! Loro son nati in Egitto, si sono laureati, una volta al Cairo e una a Firenze, si sono sposati due volte, si sono spostati e sono andati a lavorare negli Emirati Arabi prima che in Francia prima che in Italia dove hanno avuto due figli, hanno divorziato... bisogna dire che molte ‘avventure ‘ legate all’immigrazione della mia famiglia a Firenze le ho vissute anch’io con i miei genitori e che quindi sono patrimonio esperienziale condivi-so, anche se la valenza di tali esperienze è stata profondamente diversa per me piuttosto che per loro. Provo a spiegarmi: i miei padroneggiano alla perfezione la loro cultura di origine e se ne sono allontanati per questo, a differenza di molti altri venuti in cerca di fortuna o in fuga, perché si senti-vano stretta addosso questa cultura, perché rifiutavano di farsi plasmare a immagine e somiglianza del prodotto culturale locale “famiglia egiziana media”.Nella Firenze di fine anni ‘70 mio padre è andato a schiantarsi con la sua alfa romeo scassata su di un muro di Xanax dopo pochi anni, sulle sbarre di Sollicciano dopo trenta anni e da lì è uscito facendo un aperitivo dentro un reparto di chirurgia oncologica, una cena in unità coronarica e at-tualmente sorseggia the alla menta su di una poltrona comoda di una casa calda in Corso Tintori, in cui dipinge quadri che suo fratello vende spacciandoli per propri. Non ci parlo da quindici anni. Mia madre al Cairo fu la prima donna a indossare i pantaloni con la sigaretta in bocca per uscire. A Firenze non riuscirà mai a uscire da quei pantaloni né a mollare quella sigaretta. Si è fatta denun-ciare per conversione al cattolicesimo per emanciparsi dall’Islam, probabilmente finirà i suoi giorni schiacciata dal lavoro e dalla solitudine. Non padroneggia più ormai neanche la propria cultura e in compenso non ha adottato quella occidentale, si è creata i propri dogmi, salvo aggiornarli al bisogno, è la persona più ottusa ma più rispettosa della libertà altrui che conosca, non ci parlo da molto. Quanto a me non padroneggio un bel niente, al massimo si può dire che non avendo avuto

modelli forti alle spalle né avendo accolto dottrine o pratiche specifiche dell’occidentalità sguazzo alla grande nella precarietà esistenziale che

pervade il contesto umano in cui mi trovo.

Dalle Piramidi agli Appennini

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Ma per dirlo bisogna proprio che uno si sforzi di voler trovare per forza un valore aggiunto legato alla mia origine...

Questo tuo essere il frutto di più imput culturali e sociali dovrebbe rendere particolarmente prezioso il tuo contribuito (e di quelli come te) a un cambiamento positivo di questa società, sei d’accordo?Non saprei francamente cosa possa servire per un cambiamento positivo di questa società. Tanti come me sarebbero un bel guazzabuglio in un’ottica orientata all’impegno politico... se invece con quelli come me s’intende quelli nati da genitori non italiani in Italia allora credo che in generale fac-cia bene a qualsiasi società mischiarsi. Ma non sempre fa bene alle biografie dei singoli così come non è detto che produca circoli virtuosi nel contesto in cui i singoli sono calati... ma io che ne so, mica me la sono mai fatta questa domanda!!!Io comunque credo che la gente faccia bene a spostarsi e a vedere e a fare cose diverse da quel-le che vedeva e che faceva. E che mentre questo accade la gente faccia bene a fare dei figli, e che questi figli facciano bene a interagire, contaminare e farsi contaminare come fanno i figli degli ‘autoctoni’. Sarebbe bello certamente che fosse opinione condivisa il diritto di chiunque a vivere ovunque... analisi più complesse non sono in grado di farne.

Manuela Minneci

Quando, in Italia, si parla d’immigrazione, di solito si parla di extracomunitari, di rifugiati politici, delle navi che sbarcano a Lampedusa... gente che, insomma, viene in Italia per necessità economica, per sfuggire la fame e la morte, per cercare una vita migliore. Io, invece, vengo da uno dei paesi più ricchi dell’Europa, forse anche del mondo: l’Olanda. Tante volte mi dichiarano pazza, oppure mi guardano come per dire, ma che cosa sei venuta a cercare? E più vado avanti più faccio fatica a giustificarmi. Voglio dire, sono passata dal paese più ricco al paese quasi più povero dell’Europa.Mi lamento delle tasse e del costo della vita, ma alla fine me la sono venuta a cercare io. Sembro allora un’immigrata di lusso, una che sta talmente bene che si può permettere di scegliere un paese così retrogrado come l’Italia per vivere la sua vita. Ma non è così. Non sono venuta a fare la turista per sempre in una villetta ristrutturata tra gli ulivi e i Montepulciano della mitica Toscana. Né mi sono innamorata del solito latin lover che tanto deside-rano le donne nordiche. Ora io voglio bene al mio compagno, ma non sono una persona romantica che si fa prendere dai capricci, e se capitasse un lavoro buono all’estero, io trasferirei tutta la casa là! Cosa mi ha portato qua, allora, e cosa mi tiene? Io la butterei sulla sorte. Sembra banale ma è così. Tanti anni fa studiavo francese, e passai qualche mese nella città più grigia della Francia, Amiens, in vista di un programma di scambio. Conobbi delle ragazze italiane, tanto diverse da me in carattere ed espressività quanto erano simpatici i francesi, ma mi presero dentro il loro gruppo. Feci amicizia, e m’incuriosì quel paese, quella cultura. Ora non voglio fare l’elogio dell’Italia, e non vi racconterò come mi sono innamorata del bel paese al punto di trasferirmici. Non mi sono innamorata; semplicemente, mi è andata così. Tornata in Olanda ho conseguito una seconda laurea in italiano, perché pensavo che avrei aumentato le mie possibi-lità di trovare lavoro (ma anche per paura di buttarmi nel mercato del lavoro), e qualche anno dopo partì per Bologna per un secondo progetto di scambio. Ripeto, non mi sono innamorata di Bologna. Anzi, fu un periodo a tratti deprimente, dove scoprii che gli italiani non erano poi così calorosi e so-cializzanti come si pensa all’estero (a meno che non ti vogliano sc***re). Ma mi è andata così. Il fatto è che, a 25 anni, non ne potevo più di stare con i miei genitori, dei rifugiati politici dalla vecchia Ce-coslovacchia che si sono integrati da tutti i punti di vista tranne nella mentalità tollerante e tranquilla degli olandesi, e non mi facevano respirare. Andare all’estero era allora un modo per scappare via, per cercare l’indipendenza, per vivere la mia propria vita. E sono rimasta per quello. Vorrei dire che è stato un successo, che mi sono realizzata etc etc. Ma l’unico vero lavoro che sono riuscita a trovare è stato quello di vendere vestiti al mercato, a €70 al giorno (due giorni alla setti-mana), tra i cinesi e i pakistani. Quando cercai di applicare le mie conoscenze linguistiche e quant’altro che certo dovrebbero met-

Dai Mulini a Vento agli Appennini

l’immigrazione alla rovescia

Omaggio alla redazione del PeriodicoMARCO che con entusiasmo pubblica

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tere in imbarazzo un qualsiasi cittadino italiano, mi beccai contro le scuole di lingua truffa, contro i porci che mi telefonavano quando mettevo sul web gli annunci per fare l’interprete-bar-ra-hostess, contro datori di lavoro fantasma. All’università non ci ho neanche provato: non ho il barone. Mi resi allora conto che anche con la pelle chiara e un curriculum da urlo in Italia non ci si entra: ci vogliono tette e culo, o qualche parente in un luogo importante. Forse sono messa anche peggio degli immigrati ‘normali’, perché quando mi sono iscritta nel comune dove abita il mio com-pagno, non mi hanno dato nemmeno il dottore: non ho un contratto di lavoro, né sono a carico di un cittadino italiano (ufficialmente). Quindi, nonostante l’EU e quella stupida moneta che ora non sta più in piedi, io come cittadina europea non ho diritto al dottore in Italia! Ormai l’Italia è l’unico paese europeo che non riconosce le coppie di fatto, per cui mi trovo nella posizione di quelli che si cer-cano una sposa italiana per mettersi in regola. Nonostante venga dal paese più ricco dell’Europa, ancora una volta, sono la badante slava in ricerca di un vecchietto vedovo, e il cognome ce l’ho già. L’ironia è tagliente: i miei che sono scappati via per farsi una vita migliore, ed io scappo via da loro per cadere nel disastro. E perché non torni nel tuo paese? mi dirà il solito berlusconiano. Perché ho scelto di stare qua e ho il sacrosanto diritto di essere presa per quello che sono, per quello che sono capace di fare. Così avrei risposto un po’ di tempo fa, ma forse me ne andrò davvero, perché questo paese sta diventando sempre più incivile. Al mio compagno, che è dal ’79 che si alza alle sei e mezzo del mattino per andare al lavoro, hanno distrutto la pensione per non parlare delle tasse aumentate, mentre l’ex amministratore delegato dell’Unipol ha preso quaranta milioni (QUARANTA MILIONI, ragazzi!) di buonuscita. Vi sembra normale? Ma non voglio arrendermi. Nonostante tutto mi piace questo pazzo paese, mi ci sono abituata: è casa mia. Non voglio abbandonarla in questo modo, lasciarla agli ignoranti e ai razzisti che la stanno affogando. Beh, domani comincia un altro giro di spedizioni di curriculum, con le dita incrociate.

Andrea Hajek

Pubblichiamo questo articolo giunto in redazione pur non condividendone i toni discriminatori e ste-reotipati, invitando i lettori a commentare e eventualmente a ragionarne insieme sul blog del nostro sito www.periodicomarco.it

N.d.R.

Parole e parole 1996

Inchiostro su carta e fondi “colorati”.Disegno a cura dell’artista Mario Agostini (www.marioagostini.com)

Omaggio alla redazione del PeriodicoMARCO che con entusiasmo pubblica

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Storia di Orlando - Quando sono emigrato io era il 1966 sono andato in Svizzera, avevo dicias-sette anni. Inizialmente sono andato a Winterthur (cantone tedesco). Non è stato per niente facile ho dovuto imparare una lingua nuova, imparare a cavarmela da solo, trovare il modo di integrarmi sia sul lavoro che nella vita sociale. Ho svolto diversi lavori: manovale, autista di gru, finché non ho iniziato a fare il lavapiatti in un ristorante. A questo punto ho capito che mi sarebbe piaciuto fare il cuoco. Appena ho avuto un po’ di padronanza della lingua tedesca, ho seguito dei corsi di cucina e ho studiato tantissimo (la voglia di studiare non mi è mai mancata, solo che i miei genitori non han-no avuto la possibilità economica di mantenermi agli studi oltre la terza media). Così da lavapiatti sono passato alla preparazione degli antipasti, poi dei primi piatti fino a diventare cuoco e poi chef.Nel 1973 mi sono sposato e naturalmente mia moglie è venuta in Svizzera con me, nel frattempo ci siamo trasferiti in una città più piccola, Frauenfeld. Mia moglie ha trovato subito lavoro in un labo-ratorio di abbigliamento, prima come stiratrice poi come sarta. Nel 1974 nasce la mia prima figlia, mia moglie ha sempre lavorato anche perché sul posto di lavoro era presente un asilo nido per i bambini piccoli, quindi la madre era sempre presente e nelle pause poteva dedicarsi alla piccola.Nel frattempo l’idea di poter ritornare un giorno in Calabria non ci ha mai lasciato. Così nel 1980, quando dovevamo decidere se iscrivere la bambina alla scuola elementare tedesca e quindi vincolare le no-stre vite a vivere in terra straniera per sempre, abbiamo fatto dietro front e siamo ritornati nella nostra terra di origine. Nel frattempo eravamo in attesa della nostra seconda figlia Rosanna. Il nostro sogno era quello di costruire, grazie alla professione di cui ormai eravamo padroni, dei posti di lavoro per noi e per gli altri. Abbiamo così aperto un ristorante-pizzeria. Certo da osservatore della società e della politica italiana, ogni tanto mi chiedo se la scelta che ho fatto è quella giusta. Forse se fossi rimasto in Svizzera i miei figli avrebbero avuto un lavoro sicuro, avrebbero parlato almeno altre due lingue e soprattutto li avrei avuti vicino. Due figli stanno a Firenze e una in Svizzera. Mah ormai è andata così.

Storia di Rosanna (figlia di Orlando) - Vivo in Svizzera a Losanna, dal settembre del 2004 (sette anni). Mi trovo lì perché il mio fidanzato che poi è diventato mio marito, dopo diverse esperienze molto negative di lavoro in Calabria, ha deciso di emigrare, visto che anche il padre e il fratello si trovano a Losanna. E’ stata una decisione molto dura da prendere, all’inizio pensavamo di tra-sferirci in una città del Nord e rimanere comunque in Italia, ma poi per ovvie ragioni prima mio marito e poi io ci siamo trasferiti in Svizzera. Per me non è stato un impatto traumatico dal punto di vista della lingua e della conoscenza della città. Il francese l’ho imparato a scuola (a Losan-na si parla il francese), e in Svizzera ci ero già stata diverse volte quando ero fidanzata. Devo dire però che quando mi sono trasferita definitivamente, è stato difficilissimo lasciare i miei affet-ti. Ho sofferto tanto per la mancanza dei miei genitori a cui ero e sono legatissima, ma la cosa che mi rattristava di più è che sapevo che anche loro soffrivano tanto, ma non me lo dicevano.A Losanna mi sono integrata subito, infatti è una città multietnica e quindi è più facile fare amicizie. Con gli svizzeri però non sono riuscita a legare, sono molto diffidenti. Dal punto di vista del lavoro quello che mi piace è che è garantita a tutti la paga sindacale, non esiste il lavoro nero, e gli stipendi sono commisurati ai costi della vita. Anche se la crisi comincia a sentirsi anche qui e le cose un po’ stanno peggiorando. Riguardo ai diritti, li acquisisci piano piano, step by step. Infatti ci sono diversi tipi di permessi che vanno da B a L. Ad esempio il permesso B è per i nuovi lavoratori che devono risiedere nel cantone. Ricongiungimento familiare e mobilità geografica e professionale. Non hai diritto di voto. Chi non possiede il passaporto svizzero non può partecipare alla vita politica del Pa-ese. Nonostante i sacrifici non tornerei in Italia, i miei figli hanno la possibilità di imparare e parlare più di una lingua, il mondo degli studi e del lavoro è meritocratico. Penso che restare in Svizzera e crescere qui i miei figli sicuramente gli garantisce un futuro migliore rispetto all’Italia. Mi piacerebbe tornare un giorno nella mia terra e dai miei affetti, ma per il loro futuro è meglio il “sistema” Svizzera.

Il piccolo Mattia (sei anni, figlio di Rosanna e nipote di Orlando) - Nella mia classe siamo tredici bambini, ci sono arabi, svizzeri, cinesi, italiani, francesi, spagnoli e africani. Facciamo amicizia e anche le nostre mamme fanno amicizia. Io ho anche una fidanzata si chiama Eva è francese! Nessuno viene preso in giro per come si veste o perché è “marrone” Altrimenti chiamiamo la maestra che ci mette a posto. In classe parliamo il francese. Io sono nato in Italia, però mi sento svizzero e mi piace parlare il francese. L’Italiano lo parlo solo quando vengo in Calabria a trovare i nonni e gli zii. Se un giorno papà e mamma vogliono venire ad abitare per sempre in Calabria a me non piacerebbe e farei tanti capricci.

Francesca Scaramozzino

Ieri, oggi e domani...storie di ordinarie emigrazioni

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Essere cittadini del mondo

Carnevale tzigano

“Essere “cittadino del mondo” è un’identità na-turale, della quale sono consapevoli molte per-sone, eppure, dichiararsi cittadino del mondo implica, almeno tra qualche tempo, che il mon-do esista come entità politica fondata sulla de-mocrazia, il che giustifica la cittadinanza. Dopo la seconda Guerra Mondiale, molte persone cominciarono a sentire la necessità di questo livello sovrannazionale e a sperare che l’ONU nascesse su questo concetto. Purtroppo l’ONU fu istituita su base inter-nazionale, e per questo motivo si è condannata alla mancanza di molti poteri; ci sono stati oltre 200 conflit-ti inter-nazionali, che l’ONU avreb-be potuto evitare, e centinaia di mi-lioni di persone hanno perso la vita in condizioni disumane: a causa della guerra, ma anche della fame, la malnutrizione e le malattie che erano evitabili; a ciò si aggiunga lo spreco di materie prime (a causa di ambizioni militariste, la concor-renza come fondamento dell’eco-nomia!) e il grave inquinamento degli spazi comuni a tutta l’umanità - il mare, i fondali marini, l’aria - e molti altri problemi. Gli accordi inter-nazionali possono essere annullati in qualsiasi momen-to dagli Stati che li hanno sottoscritti, e pertan-to non c’è garanzia della loro applicazione. Di fronte a questa mancanza di potere dell’ONU, che si evidenziò già dall’adozione della Carta istitutiva, la Lega Umana dei Cittadini del Mon-do è stata creata nel 1945; nel 1948 ci fu un gigantesco appello alla cittadinanza mondiale per le istituzioni sovrannazionali di tutto il mon-do: a quel tempo circa un milione di persone si dichiararono cittadini del mondo. Nel 1949 è nato il Registro dei Cittadini del mondo, che ha il compito di censire quanti nel pianeta si riconoscono cittadini del mondo e vo-gliono questo livello planetario di democrazia. Il Registro dei Cittadini del Mondo ha ancora quest’obiettivo. Dal 1963 s’impegna nella for-mazione di liste elettorali mondiali per il Con-gresso dei Popoli. Questo Congresso dei Popoli

esiste dal 1969, ma i mezzi di cui dispone sono molto insufficienti di fronte agli immensi compiti da svolgere. Il Congresso dei Popoli, mediante sessioni annuali e lavori per corrispondenza, ha rilasciato dichiarazioni mondiali - si potran-no leggere presto su Internet - e ha creato tre organizzazioni: l’Istituto per gli Studi sul Mon-dialismo, il servizio d’informazioni sul mondia-lismo AMIP e il Fondo Mondiale di Solidarietà Contro la Fame. Dal 1949 abbiamo registrato circa 180.000 cittadini del Mondo in 111 Paesi. Ogni Cittadino del Mondo che è registrato resta

indipendente, libero nelle sue idee, le sue solidarietà e i suoi obblighi futuri. Registrarsi Cittadino del Mondo non è iscriversi a un mo-vimento, ma soltanto esprimere la propria identità e trasformarla nella propria volontà politica. Questi Cit-tadini del Mondo agiscono libera-mente e autonomamente nei cam-pi più diversi: ecologia, solidarietà transnazionale, economia solidale, economia distributiva, pacifismo, nonviolenza, diritti umani, sanità e istruzione in tutti i Paesi... per co-

storo queste azioni sono la maniera di vivere giorno dopo giorno in conformità alla propria cittadinanza mondiale, conservando l’obiettivo della democrazia in tutto il mondo, che deve sostituire la dittatura dell’economia capitalista. Per parlare chiaramente: i Cittadini del Mondo vogliono la mondializzazione della democrazia per rispondere ai guasti prodotti dalla mondia-lizzazione dell’economia che si è già realizzata. La sede sociale del Registro dei Cittadini del Mondo è a Parigi, 66 bd Vincent Auriol (75013 PARIS). Tuttavia il segretariato si effettua a St-Aubin de Luigné (49190). Il Registro dei Cit-tadini del Mondo apre centri di registrazione o sceglie corrispondenti nel maggior numero pos-sibile di Paesi; attualmente ci sono 39 centri di registrazione o corrispondenti, la loro lista pote-te trovarla su Internet”.

Daniel Durand

Preparare una salsina con olio, aceto, pepe, sale, molta maionese. Versarvi piselli conservati, dadini di patate lesse, fagiolini tagliuzzati cotti o in conserva, una buona dose di groviera a quadretti, filetti di acciuga, cetriolini sott’aceto, uova sode a spicchi, mescolare e servire in una grande ciotola, ciascun commensale ne prenderà un mestolo che accomoderà in delle terrine appoggiate su dei tamburelli che, una volta terminato il pasto, si useranno per suonare e ballare una convulsa sarabanda, ruttino garantito!

Buon appetito! (N.d.R.)

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Intervistiamo Giancarlo Rinaldorappresentante italiano dell’Associazione cittadini del mondo

Dopo aver conosciuto questa dichiarazione di Daniel Durand ci è venuta la curiosità di saper-ne di più tramite il rappresentante italiano dell’”Associazione cittadini del mondo” Giancarlo Rinaldo che si presenta così al PeriodicoMARCO - Io seguo soprattutto problemi di democrazia linguistica, di federalismo, specie quello europeo e seguo anche con attenzione i diritti linguistici di comunità diasporiche, come per esempio quella della popolazione rom.L’associazione Cittadino del mondo però non ha un’effettiva attività in Italia... purtroppo. Sono tenuto al corrente dell’attività internazionale da Parigi ove ha sede l’organizzazione mondiale per mezzo della lingua internazionale esperanto.

Oggi col vasto movimento migratorio e con la conseguente formazione anche in Italia di una nuova generazione di giovani che dovrebbe avere dimestichezza con più lingue e culture fin dalla prima infanzia, ritiene che lo slancio a diffondere il concetto di cittadino del mondo potrà essere più favorito? - Eh! Aver conoscenza scolastica con una primitiva esperienza è assai lontano dall’aver dimestichezza. Comunque, tenuto conto del movimento migratorio, è attendibile un progressivo miglioramento della formazione linguistica, specie verso la lingua inglese... anche se poi all’Università di Venezia, la più frequenta facoltà di lingue in Italia, i corsi più seguiti sono quelli in cinese. D’altro lato però c’è una forte perdita dei valori civici tradizionali, humus indispen-sabile per i valori e la cultura dei cittadini del mondo. La conclusione è comunque moderatamente ottimista, soprattutto perché l’essere cittadini europei renderà indispensabile per i professionisti di domani far fronte a un mercato oggi di 500 milioni di europei, che dopo il 2050 diventeranno 800 con l’ampliamento progressivo ai restanti 50 paesi del Consiglio d’Europa.

Che cosa potrebbe fare la scuola italiana in questo senso? - Senz’altro bisogna partire dalla scuola. Anche se pure qui non è facile con i ragazzi di oggi. Sono membro attivo del Movimento Federalista Europeo e mi trovo sistematicamente a fianco d’in-segnanti che portano avanti il federalismo nelle scuole... sono sconsolati. I dirigenti scolastici però tendenzialmente hanno porte aperte per il federalismo e probabilmente anche alla cittadinanza mondiale. Forse non guasterebbe una sinergia con il movimento federalista mondiale e con quello europeo. Per esempio esiste l’Associazione Europea degli insegnanti - AEDE <www.aede.it> - d’indirizzo federalista e abbastanza diffusa in Italia.

Che cosa pensa di questo gergo globale cui ci stiamo abituando composto di termini che vanno da sushi a kebab, da target a tsunami, da mail a high tech, lo vede come un “esperan-to” del 3° millennio o come un appiattimento consumistico e massmediatico del patrimonio linguistico di tutti noi? - Una barbarie che commento con l’allegata bella poesia (vedi nelle pagine successive della rivista, N.d.R.)

Ha qualche considerazione da fare a proposito del diritto alla cittadinanza, in questo caso italiana, per i figli d’immigrati nati in Italia? - Negare la cittadinanza ai bambini nati qui è un’altra barbarie cui bisogna reagire fortemente, affidandoci alla saggezza di Napolitano. Bisogna reagire alla crudeltà mentale e alle nostre più ignobili pulsioni... tutti noi abbiamo i nostri pregi e difetti. E molti di quelli che portano dentro di se le citate tare forse hanno anche tanti pregi... tutti noi abbiamo fatto cose nella vita di cui a distanza di tanti anni ci si vergogna... bisogna dirglielo, con le buone maniere... raccontando loro magari qualche nostra manchevolezza.

Come ci s’iscrive all’Associazione e che si può fare per diffonderne in Italia una maggiore conoscenza, qual è l’indirizzo internet? - A Daniel Durand, io ho spiegato a suo tempo che posso fare molto poco... lui ha capito ed ha comunque registrato il mio nome. Provvisoriamente va bene anche il mio indirizzo in rete. Ora c’è bisogno di nuove leve e il vostro

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In tempi di mondializzazione una riflessione per chi ama dire happy hours, trend e shopping!

“Forse per nessuno al mondo la nostra lingua democratica ha tanta importanza come per i lavoratori, e spero che prima o poi la classe operaia sarà il più forte sostegno della nostra causa. I lavoratori non solo sperimenteranno l’utilità dell’Esperanto, ma anche, più di altri, co-glieranno l’essenza e l’idea dell’esperantismo”

L. L. Zamenhof

L’Esperanto è la lingua internazionale neutrale proposta nel 1887 dal medico e poliglotta Ludovico Lazaro Zamenhof, vissuto fra Bjalistok e Varsavia, città allora comprese nel territorio dell’impero zarista. Zamenhof volle sviluppare e sperimentare una lingua “artificiale” di facile apprendimen-to, regolare e semplice con la speranza che essa fosse poi accolta come seconda lingua internazionale per tutti. Riteneva che l’adozione di una lingua neutrale, patrimonio comune di tutta l’umanità, fosse non solo utile per scopi pratici, ma offrisse anche un forte contributo a più distesi rapporti fra i popoli e alla pace mondiale. L’esperanto per la semplicità delle sue regole può essere appreso in circa un terzo del tempo necessario per apprendere l’inglese o il francese. Da oltre un secolo hanno luogo congressi e convegni nei quali si parla in esperanto, sono state pubblicate decine di migliaia di libri, escono regolarmente un centinaio di riviste; l’esperanto diventa spesso la lingua famigliare quoti-diana di coppie di diversa nazionalità (e dei loro figli). Oggigiorno l’esperanto ha già raggiunto un notevole traguardo: da “progetto linguistico” si è tra-sformato, di generazione in generazione, in lingua vivente parlata da decine di migliaia di donne e uomini di tutti i continenti. La comunità esperantofona rimane stabile in Europa e negli ultimi decenni si è rapidamente diffusa in alcune regioni extraeuropee (Cina, Iran, Africa), ottenendo rico-noscimenti molto al di là di quanto generalmente risaputo – benché ancora largamente insufficienti a dargli la spinta decisiva per diventare la seconda lingua di ogni popolo. Nel 1954 l’UNESCO riconobbe ufficialmente i “risultati ottenuti per mezzo dell’esperanto nel campo degli scambi in-ternazionali e dell’avvicinamento dei popoli”, da allora l’U.E.A. (“Universala Esperanto-Asocio” = associazione universale di esperanto), collabora regolarmente con altre ONG in diversi gruppi di lavoro dell’UNESCO. Nel 1985 la stessa UNESCO ha ufficialmente raccomandato agli stati membri di incrementare la conoscenza del problema linguistico e dell’esperanto nei propri sistemi scolastici. Alcuni Paesi hanno introdotto l’esperanto come materia di studio facoltativa. L’Università di Buda-pest ha una Facoltà di esperanto; altre Università offrono corsi di apprendimento e di ricerca. Realtà locali pubblicano regolarmente materiali informativi e stazioni radio di numerosi Paesi diffondono, in onde corte o per satellite, programmi quotidiani o settimanali (le più note: radio Pechino, Vaticano, Avana, Varsavia).Molte persone, dopo un modesto lavoro di apprendimento, hanno ottenuto per mezzo dell’espe-ranto contatti diretti su scala mondiale, la maggioranza di coloro che lo parlano la usano nei loro viaggi per incontrarsi con amici e trovano nuovi contatti negli indirizzari del “Pasporta Servo” (servizio-passaporto) che offre indirizzi in ottantanove Paesi di persone disposte a ospitare per brevi periodi viaggiatori e turisti esperantisti. Nel corso di tutto l’anno avvengono incontri internazio-nali, conferenze, iniziative del tempo libero, campeggi dove spesso si trattano i temi sociologici e politici dell’attuale mondializzazione. Le due Associazioni principali di questa realtà sono l’U.E.A. di carattere neutrale, con membri in 114 Paesi e la più piccola S.A.T. (“Sennacieca Asocio Tutmonda”

Esperanto, saperne di piu!

periodico potrebbe benissimo diventar un riferimento... io vi sosterrò. Posso farvi da spalla a Padova e potrò essere il vs. consulente esperantista.

Ah che bella idea! Una frase o un pensiero finale? - 5 consigli per far fronte alle sfide del 3° millennio, da un punto di vista cosmopolita e per crescere in qualità più che in quantità:• il federalismo, come miglior metodo politico democratico• per la pace e la crescita equa, un solo esercito mondiale sotto la guida dell’ONU• un programma mondiale per la protezione dell’ambiente, condicio sine qua non• Linux, il sistema operativo stabile, sicuro ed economico per tutti• anzitutto la lingua materna, poi una sola seconda lingua per la comunicazione internazionale: l’esperanto, lingua semplice contro ogni egemonia e per risparmiarci la complessità del multilinguismo.

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= associazione mondiale anazionale). Quest’ultima è il luogo di raccolta degli esperantisti “di sinistra” (soprattutto socialisti, anarchici, antinazionalisti) impegnati in attività sindacali, ecologi-che, pacifiste.

La S.A.T. - “Il contatto tra i proletari dei diversi paesi avviene, di fatto, tramite intellettuali poliglotti. Perciò l’azione della SAT, volta ad unire e far entrare direttamente in intimo rapporto i lavoratori di tutto il mondo, è essenzialmente rivoluzionaria”

Eŭgeno Lanti, fondatore della S.A.T.La rete sempre più fitta della comunicazione su scala mondiale, insieme alla globalizzazione capi-talistica, presenta alla classe lavoratrice una crescente sfida – la sfida di far progredire cosciente-mente la globalizzazione dal basso. Molti accettano fatalisticamente l’odierna situazione linguistica e alcuni ne traggono vantaggio, in quanto la loro conoscenza di lingue estere conferisce prestigio e facilita la carriera professionale. Ma soprattutto le classi dominanti di molti Paesi hanno motivi per conservare la situazione attuale. Risponde a un loro preciso interesse che la massa dei sala-riati, maggioranza della popolazione, abbia una conoscenza limitata di altre lingue avendo in tal modo minore accesso alle informazioni e alle opinioni estere dirette, non sottoposte al filtro dei mass media nazionali controllati dall’alto. Anche la comunicazione diretta con lavoratori di altri Paesi ne è ostacolata. La “globalizzazione dal basso” – concetto spesso ricorrente negli ultimi tempi come risposta alla spietata “globalizzazione dall’alto” del capitalismo – può essere praticata soltanto da persone capaci di comunicare direttamente fra loro. L’esperanto è egualitario, è uno strumento che offre alle vaste maggioranze dei popoli del mondo la possi-bilità di comunicare direttamente al di là dei confini linguistici e politici. La S.A.T. è la più importante organizzazione mondiale di lavoratori esperantisti. È un’associazione che si prefigge lo scopo di agevolare i rapporti translinguistici e transnazionali tra quelle persone che lottano per un mondo senza sfruttamento di classe o di altro genere e raggruppa persone generalmente con opinioni di sinistra, di ogni tendenza ideologica, che trovano la propria unità in un’azione comune. Inoltre, come dice il nome, la S.A.T. è anazionale, nel senso che è del tutto irrilevante la nazione o lo stato di appartenenza dell’aderente, e l’associazione non ha filiali nazionali. Tuttavia, essa collabora a livello nazionale con le cosiddette Associazioni Esperantiste Operaie (Laboristaj Esperanto-Asocioj, LEAoj), che forniscono informazioni sull’esperanto e ne cu-rano l’insegnamento in diversi ambiti territoriali. In sintesi, la S.A.T. intende, mediante l’uso costante dell’esperanto e la sua applicazione su scala mondiale, essere di ausilio alla creazione di spiriti raziocinanti, in grado di mettere bene a confronto, capire e giudicare rettamente idee, tesi, tenden-ze, e di conseguenza capaci di scegliere autonomamente la via che essi ritengono più diritta, o più agevole da percorrere, per liberare la propria classe e condurre l’umanità al massimo livello possibile di civiltà e cultura. In concreto, la S.A.T. persegue i suoi scopi mediante l’agevolazione di scambi diretti tra membri attraverso riviste, dibattiti durante il congresso annuale, liste di discussio-ne, la messa a disposizione di materiale formativo sotto forma di articoli giornalistici, libri, opuscoli, e un vasto sito Web www.satesperanto.org.

Ĝis revido (Arrivederci)

La Babele perduta

La Bibbia dice: “Allora tutta la Terra aveva un medesimo linguaggio e usava le stesse parole. Ora avvenne che emigrando dall’Oriente trovarono una pianura nella regione del Sennaar e li abitarono e dissero ‘Orsù edifichiamoci una città e una torre con la cima che guarda verso il cielo. Fabbrichiamoci così un segno di unione, altrimenti saremo disper-si sulla faccia della terra’. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini costruivano e disse ‘ecco essi sono un popolo solo e hanno tutti un medesimo linguaggio, questo è il principio delle loro imprese. Niente ormai impedirà a loro di condurre a termine tutto quello che hanno in mente di fare. Orsù dunque scendiamo e proprio lì confondiamo il loro linguaggio in modo che non si intendano più gli uni con gli altri’. Così il Si-gnore di là li disperse sulla faccia di tutta la Terra ed essi cessarono di co-struire la città alla quale fu dato perciò il nome di Babele” (Genesi 11,1-9).

Il Catechismo ci insegna che l’uomo è stato creato a immagine di Dio ma questa lettura biblica ci presenta un Padre che dimostra in modo invero

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originale il suo amore per i figli e che al contrario sembra essere lui l’immagine esatta dell’Uo-mo ma non di un uomo qualunque, sembra l’immagine di un uomo di potere, di un padrone

che punisce severamente chi osi avvicinarglisi, che intende dominare il prossimo applicando la ben nota legge del Divide et impera! Avremmo potuto costruire una civiltà basata sul rispetto delle differenze culturali e sul rispetto delle comuni radici degli esseri umani. Invece questa nostra “ci-viltà”, o sedicente tale, sembra essere veramente scaturita dalle ceneri dell’antica Babele. Antica Babele che citata quasi sempre come simbolo negativo di confusione e perdizione umana potreb-be invece riscattare il suo ruolo di utopia da ricostruire e di armonia da ritrovare.

Laura Turchi

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Pasquale Innarella nella sua vita si è messo sempre a disposizione di tutti coloro che volessero dare voce agli emarginati, agli immigrati, ai reietti della società; da Cuba alla Romania, da Marsiglia al quartiere Bal-larò di Palermo, dalla periferia romana alle colline irpine, utilizzando le poche risorse a disposizione, ha ideato corsi, seminari e concerti… il suo motto è: Jazz Al Popolo!Ribaltare l’idea di musica colta e rendere il Jazz un canto di ribellione nelle adorne sale del potere, questa è stata, è, e sarà, la voce Free di Pasquale Innarella.

Il 4 Luglio 2012 verrà presentato al pubblico il nuovo album del Pasquale Innarella Quartet dal titolo Uomini di terra. Il disco registrato dal vivo nei club romani è incentrato sulle storiche figure di Giuseppe di Vittorio, Rocco Scotellaro, Pasquale Stiso e Placido Rizzotto. Il disco è composto da composizioni originali di Pasquale Innarella, un classico come Malayka di Fadhili William e un brano pop rivisitato di Vinicio Capos-sela, Non l’amore che va via.

PASQUALE INNARELLA QUARTET Pasquale Innarella - sax tenore e soprano

Francesco Lo Cascio - vibrafono

Pino Sallusti - contrabasso

Roberto Altamura - batteria

Queste le parole scritte da Pasquale a proposito dell’uscita di “Uomini di terra”: “La musica è il linguaggio che preferisco per esprimere idee, emozioni, convinzioni, partecipazione civica e sociale. E non è un caso che questo disco sia dedicato a Giuseppe Di Vittorio: una figura che oggi non tutti ricordano,ma che nel corso del ‘900 ha avuto un ruolo cruciale nella formazione di una nuova e diversa coscienza dei lavoratori e dei loro diritti. Bracciante ad appena dieci anni, divenne sindacalista e parlamentare, partecipò alla resistenza,fu tra i fondatori della CGIL e a lungo suo segretario, oltre a rivestire la carica di pre-sidente della Federazione Sindacale Mondiale. Ma la vera forza di Giuseppe Di Vittorio è stata la capacità di rimanere il lucido, coraggioso, appassionato uomo delle terre che ha saputo insegnare ai poveri il valore della dignità come strumento di libertà e consapevolezza”.

Segue su queste pagine una piccola ma esaustiva biografia:Sax tenore, alto, soprano, corno, compositore e didatta. Nato nell’Irpinia d’Oriente nel 1959, muove i primi passi sonori a undici anni con la locale banda musicale e nelle orchestre da ballo per matrimoni e feste paesane. Il 1984, conseguito il diploma in corno al conservatorio di Salerno, si trasferisce a Roma dove un gruppo di musici-sti africani senza permesso di soggiorno gli offrono il primo lavoro suonando con loro per un anno nel loro locale.Innarella partecipa ad importanti festival jazz in Europa ed Oltreoceano, a trasmissioni radiofoniche e televisive (Rai, Mediaset, La7). In modo particolare è ospite frequente alle trasmissioni dedicate al Jazz di Rai Radio 3.Dal 2001 è impegnato con la Cooperativa Nuove Risposte alla realizzazione della BandaRustica (banda di musicanti jazz), formata da 50 ragazzi del muretto che prima di incontrare Pasquale Innarella non avevano mai ‘visto’ ne ‘sentito’ uno strumento musicale, vivono nella periferia sud est di Roma ed hanno una età compresa tra i 7 ed i 19 anni. Questo progetto ha dato alle stampe il Cd “BandaRustica”. Su invito del Comune di Roma la RusticaXBand ha suonato al summit dei premi Nobel per la pace convenuti a Roma in Campidoglio per consegnare a Peter Gabriel il premio uomo di pace dell’anno 2006. Nel giugno 2012 la Banda ha partecipato al festival della letteratura tenutasi alla basilica di Massenzio con Ascanio Celestini e Massimo Gramellini.

Il 5 dicembre 2006 ha tenuto un Workshop dedicato ad ance e improvvisazione con ottima affluenza di studenti, workshop condiviso con Paolo Fresu che si era occupato 2 giorni prima di ottoni e improvvisazione.Nel mese di marzo dello stesso anno ha tenuto al Conservatorio di Avellino una master class sul percorso arti-stico di John Coltrane a 40 anni dalla sua prematura scomparsa.Nell’Agosto 2010 a Sant’Anna Arresi, ha preso parte alla “Conduction N° 192 Possibile Universe” di Butch Mor-ris, con Evan Parker, David Murray, Chad Taylor, Hamid Drake ed altri. Pasquale Innarella, attualmente oltre al suo quartetto storico, ha fra i suoi progetti più importanti il New Thing Quartet con John Tchicai, il duo con Matthew Shipp ed il trio con Hamid Drake e William Parker.

Rubrica musicale a cura di: Giuseppe Bianco

Uomini di terra

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CONTENUTI

REDAZIONALEpag.2

A SCUOLA DA UNA FARFALLApag.3

PARITA’ pag.4

BALLATA PER ME E PERTE CHE MI LEGGI...pag.4

DALLE PIRAMIDI AGLI APPENNINIpag.5

DAI MULINI A VENTO AGLI APPENNINI pag.6

IERI, OGGI E DOMANIpag.9

CARNEVALE TZIGANO pag.10

ESSERE CITTADINI DEL MONDOpag.10

INTERVISTIAMO GIANCARLO RINALDOpag.11

ESPERANTO, SAPERNE DI PIU’pag.12

LA BABELE PERDUTApag.13

UOMINI DI TERRApag.15

[email protected]

Fascicolo N°11 - Anno IVPrimavera 2012

Rivista aperiodica di cultura e società.

Supplemento aL’ALTRACITTAreg.trib. N°4599

del 11/7/96

Direttore ResponsabileCecilia Stefani

RedazioneMassimo De Micco

Guru Katrame

Consuelo Lorenzi Manuela Minneci

Francesca Scaramozzino Laura Turchi

Art DirectorMichele Vella

Progetto Grafico e Impaginazione

Raffaele Vella([email protected])

FotografiaRaffaella Milo

([email protected])

Rubrica musicaleGiuseppe Bianco

…..No Copyright

in caso di riproduzione di testi e immagini, purché

non a scopo commerciale, citare la fonte.Le opinioni espresse non

sempre rispecchiano i pareri della redazione.

Questo periodico non ha orienta-mento razzista e discriminatorio

Dove trovare le copie:in tutte le principali Librerie,

Circoli, Caffè culturali, Bibliotecheciviche e sedi universitarie di

Firenze e dintorni


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