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LA PSICOMOTRICITÀ FUNZIONALE
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Guido Pesci LA PSICOMOTRICITÀ FUNZIONALE Scienza e metodologia ARMANDO EDITORE
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Guido Pesci

LA PSICOMOTRICITÀ FUNZIONALE

Scienza e metodologia

ARMANDOEDITORE

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Sommario

Introduzione 7

Capitolo primo: Dalla civiltà della paideia al XX secolo 9La civiltà della paideia 9La ginnastica medica 13Verso l’educazione fi sica 16I contributi della medicina e della pedagogia 27Le scuole europee di ginnastica 41L’educazione fi sica 57

Capitolo secondo: L’evoluzione storica della psicomotricità 63

Capitolo terzo: Jean Le Boulch: genesi ed espansionedella sua scienza 79

Capitolo quarto: La psicomotricità funzionale 101Il “cammino funzionale” 105Quadro biologico 111Quadro neurologico 122Quadro funzionale 133Funzioni operative 135Le funzioni energetico-affettive 147Analisi funzionale e intervento 152Lo psicomotricista funzionale 154

Bibliografia 159

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Introduzione

Il presente lavoro inquadra storicamente e analizza con concre-tezza il lungo percorso che ha creato e consolidato le basi scientifi che e i principi su cui si fonda la psicomotricità funzionale.

L’uomo ha da sempre sentito la necessità di trovare dei metodi per mantenere il corpo sano ed effi ciente, ciò ha portato, come il-lustrato nel primo capitolo (Dalla civiltà della paideia al XX seco-lo), a partire dalla civiltà della paideia ad un confronto serrato fra medici e pedagogisti, che ha provocato il fermento di queste due scienze e l’alternarsi del dominio della ginnastica medica con quel-lo dell’educazione fi sica. Ostilità, opposizioni, divergenze e rivalità in un diversifi carsi tra interventi sanitari e interventi pedagogici tesi ad evitare un’attività fi sica che sviluppasse soltanto i muscoli con esercizi noiosi. Una confl ittualità che non è cessata neanche dopo la nascita e l’impiego della psicomotricità che, come evidenziato nel secondo capitolo (L’evoluzione storica della psicomotricità), ha por-tato innovativi orientamenti, ma, dalla seconda metà del Novecento, anche nuovi contrasti e opposizioni tra diverse concezioni e correnti di pensiero. Alcuni psicomotricisti si sono riuniti in associazioni: al-cune miravano all’utilizzo della psicomotricità per interventi di ri-educazione, altre ad interventi terapeutici e perfi no di psicoterapia, oltre a distinguersi in ragione dell’età dei soggetti con cui lavorare. A queste diverse matrici di azione e di idee è da aggiungere quella de-gli psicomotricisti orientati all’educazione, in un periodo in cui Jean Le Boulch proponeva la psicocinetica in alternativa all’educazione fi sica, dando concretezza alla sua proposta con la creazione della “scienza del movimento umano”. Una disciplina basata sul princi-pio dell’educazione globale dell’uomo e che si avvale di un metodo pedagogico che ha permesso di allontanarsi da criteri tecnicistici di

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intervento e da produzioni del corpo umano sottomesse alle leggi del rendimento.

Nel terzo capitolo (Jean Le Boulch: genesi ed espansione della sua scienza), viene analizzato dettagliatamente il processo evolutivo di Jean Le Boulch, mettendo in evidenza come questi sia giunto ad elaborare e consolidare le sue nuove idee in diversi e integrativi prin-cipi che hanno dato vita alle sue esperienze formative a Firenze. Il processo di crescita e lo sviluppo delle proprie teorie e della propria prassi, raccolte in generazioni di pensiero, andavano confermando sempre più la convergenza degli interessi di Le Boulch verso la psi-comotricità, che in seguito diventerà psicomotricità funzionale.

Proprio a questa nuova disciplina è dedicato il quarto capitolo (La psicomotricità funzionale), che ne segue da vicino il “cammino fun-zionale” illustrando il delinearsi dei postulati che l’hanno sostanziata e concretizzata dandole valore di scienza e metodologia a vocazione pedagogica.

L’espansione del grande impegno culturale e scientifi co di Jean Le Boulch si è avuta con la Scuola per la professione di Psicomotri-cista Funzionale di Firenze che porta il suo nome, in quanto è stata da lui fondata, organizzata e diretta insieme alla sua collaboratrice Renée Essioux, una scuola universalizzata perché unica, che, dopo la sua morte, è stata lasciata in eredità scientifi ca con atto olografo agli unici didatti in psicomotricità funzionale riconosciuti da Le Boulch, i professori Guido Pesci*, Letizia Bulli** e Paola Ricci***, che ne hanno seguito i dettami scritti, integrati dalla personale formazione triennale e da una lunga esperienza al suo fi anco.

Lo psicomotricista funzionale è uno specialista che, formatosi alla Scuola “Jean Le Boulch”, ha garanzia di una professionalità ricono-sciuta dall’ASPIF-Associazione Psicomotricisti Funzionali e tutelata dall’Albo Professionale tenuto dall’Associazione. Una professiona-lità che gli permette di attualizzare il sapere e il saper fare acquisito, per aiutare ogni persona a scoprire le proprie risorse, a ritrovare la spontaneità e lo spirito d’iniziativa, le funzioni di prontezza e aggiu-stamento e ad armonizzare gli aspetti emotivi.

* Guido Pesci, **Letizia Bulli e ***Paola Ricci sono didatti-trainer della Scuo-la “Jean Le Boulch” per la Formazione di Psicomotricista Funzionale, condotta dall’ISFAR®-Formazione Post-Universitaria delle Professioni®, viale Europa, 185/b 50126 Firenze, tel./fax 0556531816, info@isfar-fi renze.it-www.isfar-fi renze.it.

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Capitolo primoDalla civiltà della paideia al XX secolo

Per poter illustrare i principi e le basi scientifi che su cui si fonda una disciplina e tradurre con concretezza il suo valore non si può prescindere dal ripercorrere e analizzare tutto ciò che ha contribuito nel tempo alla sua genesi.

Nel corso dei secoli si sono susseguiti tanti modi differenti di appellare e considerare le scienze motorie. Questo lungo percorso storico ha, per così dire, fatto da “battistrada” alla psicomotricità funzionale, una disciplina elaborata ed assurta a dignità di scienza grazie al prof. Jean Le Boulch. Egli, giocando un ruolo attivo sulla motivazione e sull’intenzionalità della persona, ha fatto sì che la psi-comotricità fosse funzionale, ovvero in grado di rispondere ai biso-gni educativi delle persone di ogni età, rendendole capaci di eseguire dei movimenti convenienti. Tale modo di essere effi cace per mezzo di un’azione adeguata nel momento adatto, trova le sue origini in un lontano passato ricco di ricerche e sperimentazioni realizzate per studiare l’esercizio fi sico.

La civiltà della paideia

L’attività fi sica è certamente connaturata all’uomo. L’intento di dare risposte al bisogno di movimento dell’essere umano, sfociato nell’elaborazione e attuazione di innumerevoli teorie e metodi, ci porta molto indietro nel tempo.

Nelle culture dell’Oriente i taoisti già 2700 anni a.C. circa ave-vano individuato come raggiungere, nel rispetto di posizioni e movi-

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menti, l’equilibrio psico-fi sico, mentre i metodi codifi cati col nome di Cong-Fou (risalenti al regno di Hoang Ti [2698 a.C.]) si basavano sull’assumere diverse posizioni del corpo, sentire e vivere le diverse posture e distribuire ogni volta un’adeguata respirazione. Più tardi in India, nel 1000 a.C., furono elaborati impianti teorici e metodi rivolti ad ottenere immobilità, concentrazione, dominio cardio-circolatorio, distensione con un conseguente equilibrio psichico e fi sico.

Nella nostra cultura, invece, si dovette attendere il V secolo a.C. perché iniziasse a mostrarsi un certo interesse verso gli esercizi fi sici. In Grecia, per mantenere il corpo sano ed effi ciente, gli elleni eser-citavano l’arte ginnastica, distinta in ginnastica medica, educativa e atletismo, ed è proprio sull’atletismo che si hanno le prime docu-mentazioni, nate con l’intento di limitarne gli effetti più negativi in coloro che, sotto l’impulso edonistico, erano disposti a sacrifi carsi per vincere gare e competizioni. I primi documenti rintracciati in me-rito sono dei frammenti di Senofane (570-475 a.C.), fi losofo greco, nato a Colofone, una cittadina tra Efeso e Smirne, vissuto a Zancle, l’attuale Messina, il quale vituperava e disprezzava gli atleti profes-sionisti per il tipo di vita che conducevano. Seguirono l’opera critica il Trasibulo, di Erasistrato di Chio (330 - 250 a.C.), anatomista greco, medico reale al servizio di Seleuco I Nicatore, fondatore, insieme a Erofi lo, della grande scuola medica di Alessandria d’Egitto e il Perì Gymnastiké (opera ritrovata nella metà dell’Ottocento) di Filostrato di Lemno (II sec. d.C.), un ammiratore e conoscitore del mondo ago-nale. Questi, nel suo trattato sulla ginnastica difendeva la vera ginna-stica e accusava di immoralità gli allenatori e gli atleti. Di Erodico, un insegnante greco di ginnastica si ebbe notizia nel V secolo a.C. e si stima che sia stato lui il primo ad applicare l’arte della ginnastica, come ci informa Platone nel libro III della Repubblica (XIV, 405a). Erodico, che fu maestro di Ippocrate di Coo (460-376 a.C.), avrebbe messo a punto una specie di ginnastica terapeutica e si hanno docu-menti, ancora oggi di notevole interesse, sull’effi cacia del massaggio da lui utilizzato nel trattamento delle articolazioni, sulla modalità se-guita e sulla distinzione fra esercizi caratterizzati da spontaneità e da una connessione con l’anima ed esercizi imposti. Ciò che stupisce degli scritti di Erodico è la modernità dei concetti, come quello sulla conservazione delle capacità funzionali degli organi solo grazie ad un uso e ad un esercizio appropriato. Tutti coloro che se ne serviran-

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no si assicureranno la buona salute, uno sviluppo armonico ed una lunga giovinezza. Facendo tesoro delle teorie e delle esperienze di Erodico, Diocle (IV secolo a.C.), suo discepolo, e Protagora (486-411 a.C.) mutarono la medicina terapeutica in medicina conserva-tiva, denominata in greco “igiene”. Pur in presenza dell’atletismo e della ginnastica conservativa, questo periodo è riconosciuto come “era dell’educazione ellenistica” e le opere apparse sulla ginnastica educativa ne danno ampia prova.

Platone (427-347 a.C.), assieme al suo maestro Socrate ed al suo allievo Aristotele, ha posto le basi del pensiero fi losofi co occidentale e nelle sue opere ha riconosciuto la validità della ginnastica, concepi-ta come parte integrante dell’educazione; ad essa attribuì il compito di mantenere l’uomo in buona salute e alla medicina quello di gua-rirlo dalle malattie con pratiche fi siche come quelle esercitate da Ma-caone e Podaliro, fi gli di Asclepio. La ginnastica secondo Platone, oltre a migliorare le abilità fi siche, è capace di produrre sull’anima effetti assai sensibili, è indispensabile alla formazione dei cittadini e all’educazione nella paideia. Egli sosteneva che è col muoversi che il corpo può “imitare la nutrice e la madre del Tutto” (Timeo, 88d-e) e ciò che dà all’uomo la bellezza e nel contempo la virtù è la proporzione fra anima e corpo (ivi, 87d), motivo-guida del pen-siero e della pedagogia platonici. Il fi losofo voleva che il corpo non restasse inerte, tuttavia riteneva che non tutti i movimenti potessero essere adatti, «fra tutti i movimenti del corpo, il migliore è quello che nasce in lui per un proprio impulso perché è il più conforme al movimento dell’intelligenza e a quello del Tutto», nella convinzione che “un ordine, una natura, presiede ai movimenti del corpo e formu-la un’autocinesi” (ivi, 81e, 89a). La ginnastica per Platone rivestiva un’importanza metafi sica, sia per il corpo che per l’anima; secondo lui ogni educazione insuffi ciente del corpo creerebbe un ostacolo in-superabile nell’ascesa dell’anima.

A Platone fece eco Aristotele (384-322 a.C.), il quale sosteneva che la ginnastica dovesse favorire l’estensione della grazia del cor-po e lo sviluppo normale di esso, e ciò era possibile se gli esercizi venivano proposti in base alle differenti situazioni particolari, alla speciale costituzione e stato dell’individuo e alle diverse età. È questa l’idea aristotelica che si caratterizzò nella morale: il giusto mezzo, l’optimum, va defi nito in funzione non dell’oggetto ma del soggetto.

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Aristotele fece rientrare la ginnastica in una fi losofi a naturalistica e la collocò fra le discipline educative accanto alla grammatica e al disegno e, come Platone, alla musica e alla danza. Sono questi i prin-cipi fi losofi ci che sostengono la ginnastica educativa, quel moto che l’uomo fa per se stesso, volontariamente operato per conservare una sana costituzione fi sica e un equilibrio psichico. Una pedagogia della ginnastica che in Grecia veniva soddisfatta nel gymnasium, la scuola dell’anima e del corpo, una vera occasione per formare dei cittadini sapienti, resistenti e vigorosi e che ben incarnava la convinzione che uno Stato senza ginnastica, senza conferire alla vita e alla salute il giusto valore, non potesse dirsi felice. Un gymnasium era disposto

in dodici zone, i portici esterni, dove i fi losofi , i rettori, i matematici, i medici ed altri dotti davano lezioni pubbliche, discutevano e legge-vano le loro opere; l’ephebeum, dove i giovani si riunivano all’alba per imparare la ginnastica; il coryceum, detto anche apodyterion o gymnasterio, dove i frequentatori del ginnasio si svestivano; l’e-loetherium, l’alipterïon o l’unctuarium, destinato alle unzioni che precedevano o tenevano dietro ai bagni, alle lotte, ecc.; la palestra propriamente detta, in cui ci si esercitava alle lotte, al pugilato e ad altre maniere di ginnastica; lo sphoeristerium, riservato ai giuochi della palla; i grandi viali non lastricati, che stavano fra i portici e il muro che circondava tutto l’edifi cio; gli xisti o portici, sotto i quali gli atleti si esercitavano nell’inverno o durante il brutto tempo; altri xisti, o viali scoperti con o senza alberi, per l’estate e i giorni di bel tempo; l’appartamento dei bagni; lo stadio, terreno spazioso in emiciclo, sabbioso e circondato da gradinate per gli spettatori e il grammateion o luogo destinato alla custodia degli archivi atletici. Questi splendidi ginnasii erano sorvegliati dal ginnasiarca, dallo xi-starca, che presiedeva agli xisti e allo stadio, dal ginnaste o maestro di ginnastica, dal pedotriba, specie di maestro subalterno o di assi-stente alla cattedra e da una moltitudine di atri impiegati subalterni (Mantegazza, 1912, pp. 110-11).

I primi ginnasi pare sorgessero in Lacedemone, indi in Atene che ne ebbe tre famosissimi, l’Accademia, il Liceo, il Cinosarges. Essi erano un ambiente di vita e ricreazione di tutto l’uomo; qui prendea forza ed avea innocente sfogo l’ardor della giovinezza guidato da

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prudenti maestri a svariata esercitazione; molti bagnavasi in fresche o tiepide o calde acque, chi nel bagno comune, chi in private cel-le spezialmente matrone oneste; d’altre che non tenessero questo modo troviamo indizio nelle opere di Marco Valerio Marziale (40-103 a.C.); qui, in spaziose ed aperte sale dette exedrae con sedii o vogliamo dire letti per adagiarvisi, si pasceva lo spirito nelle dispute dei fi losofi o nelle declamazioni dei retori, matematici, medici, udi-tori o maestri che fossero. Tali erano un tempo le scuole, non quali noi le abbiam fatte, supplizio e veleno della gioventù, che stivata in anguste e chiuse pareti respira un’aria pestifera, e nelle membra continuamente ferme ed aggruppate non ha libero né il corso pure del sangue. Scole cioè riposo erano dette dai greci, ludus ovver sol-lazzo, perché non destinate a mortifi care i teneri corpicciuoli e a por nello spirito una giusta avversione agli studi; ma a dare insieme buon ordine alle forze corporali e a nutricare con dilettazione l’in-gegno (Bianchini, 1884, pp. 11-12).

La civiltà della paideia si mantenne salda per cinque secoli, no-nostante l’interesse che contemporaneamente avevano richiamato gli studi e le esperienze che erano approdate all’esercizio fi sico con fi nalità curative.

La ginnastica medica

La ginnastica medica trovò la paternità in Ippocrate di Coo (460-376 a.C.), ad essa si ispirarono i medici e nel tempo ha preso diverse denominazioni, a volte fu defi nita “terapeutica” e presentava un trat-tamento rivolto particolarmente agli organi e alle funzioni, altre volte fu chiamata “ginnastica conservativa” o “igiene” ed era più orientata al concetto di salute e tesa a favorire lo sviluppo delle abilità espres-sive e organizzative. Era considerata terapeutica la ginnastica sugge-rita da Ippocrate, conservativa e igienica invece quella di Diocle e di Protagora. A Ippocrate fece eco successivamente l’anatomista Era-sistrato di Chio (330-250 a.C.), ritenuto il creatore della fi siologia, che fondò insieme a Erofi lo, considerato il creatore dell’anatomia, la grande scuola medica di Alessandria d’Egitto. Fu proprio Erasi-strato, come rivelò nel suo Trasibulo, a rivendicare la ginnastica alla

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medicina sottraendola all’incompetenza dei pedotribi (Crasso, 1538; Cagnati, 1605).

Nella ginnastica medica trovò spazio ogni arte medica, come quella di Asclepiade di Bitinia (129-40 a.C.) i cui rimedi terapeutici si basavano su massaggi, bagni termali, passeggiate e musica, con il ricorso a farmaci o salassi. Anche Galeno di Pergamo (129-216 d.C.) aveva un’avversione ai gymnasia e ai pedotriba, e chiedeva che la ginnastica fosse sottratta alla loro incompetenza per rivendicarla alla medicina. La critica galenica era particolarmente indirizzata alla dia-tesi atletica e rivolta alla persona stessa degli atleti per denunciarne la nullità intellettuale: «Ammassando essi una grande quantità di carne e di sangue. La loro animasi annega quasi in un vasto letamaio; non può avere nessun pensiero chiaro, è ottusa come quella dei bruti» (Exhortation, I, 36). E sulle sue orme Erasistrato di Chio con ancora più forza affermava:

[…] l’arte ginnastica è il conoscimento delle potenze che sono pro-prie di ciascun esercizio, è quell’arte che considera i particolari effet-ti di ciascuna esercitazione ed insegna il modo di porla in opera o per mantenere la sanità o per acquistare e conservare buona complessio-ne. Una chiara volontà di sostituire la ginnastica medica all’antica ginnastica, sostenuta dalla sua concezione della salute legata al buon equilibrio, raggiungibile con l’insieme dei mezzi della ginnastica con cui è possibile evitare discrasie (De sanitate tuenda, I, 7).

La ginnastica per Galeno consisteva in esercizi che classifi cava in naturali e forzati, in attivi, passivi o misti, adattati a chi li praticava, con l’intento di giungere ad un effetto, al ristoro e rafforzamento delle facoltà fi siche, ad alimentare l’anima e le facoltà intellettuali. Galeno comprese che il cervello era deputato a far scaturire i mo-vimenti e il tónos, a defi nire la funzione tonica del muscolo e ogni contrazione muscolare, fi no a darci, anticipando la teoria haleriana, un’articolata spiegazione della teoria del movimento muscolare, pre-messa essenziale per la teoria galvanica. La ginnastica medica per Galeno si poneva nel principio di euexia, di salute perfetta, di buon equilibrio, capacità di usare senza impedimenti il corpo e le membra, altrimenti ostacolate o rese impedite dalla malattia. Un equilibrio che poteva essere garantito da un genere di esercizi ginnastici a cui do-

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veva ricorrere la medicina: caratterizzati essenzialmente da una mo-difi ca della respirazione, dovevano essere «eseguiti all’aria aperta, al coperto, in camera; la mattina e la sera; col cielo limpido e col cielo coperto; in clima freddo, temperato o caldo; non si usa oppure si usa l’olio, la polvere, quando la si usa, la quantità può essere maggiore o minore» (De sanitate tuenda, cc. 2-7). Galeno invitava a scegliere gli esercizi in un ricco inventario da lui concepito ad hoc, tenendo ben presente l’azione che ogni esercizio poteva avere sul corpo di ciascun individuo. Per questo classifi cava gli esercizi ginnastici e di ciascuno ne esaltava gli effetti positivi, ad esempio la marcia e il salto operano un’azione positiva sui piedi; l’acrochiria e il combat-timento sono utili contro certe malattie delle mani; il sollevare pesi e trasportare carichi possono giovare alla robustezza delle anche, il canto e la ritenzione del respiro sono produttori di effetti salubri per i polmoni, e gli esercizi con la palla vengono considerati i migliori e senza rischi per il buon equilibrio, come si legge nel suo trattato Il giuoco della piccola palla (tr. it. 1960).

Tra gli esercizi con movimenti attivi, Galeno comprendeva quel-li che dipendono dalla volontà di chi li effettua, che richiedono la forza, la rapidità e la violenza; tra quelli con movimenti passivi vi sono quelli determinati dall’esterno, mentre quelli misti sono dovuti a cause interne ed esterne. Tra gli esercizi che richiedono la forza, compaiono il sollevare pesi, il vangare, il frenare i cavalli, l’arram-picarsi su una corda…; fra i rapidi, gli esercizi del corico e della palla piccola, del muovere descrivendo circoli concentrici di un rag-gio sempre più piccolo (ecpletrizzare), nonché la corsa di un ple-tro, ossia di cento piedi greci e vari altri tipi di corsa, compresa una corsa alternata a saltellamenti sul posto, oltre alla chironomia, ossia esercizi con movimenti complessi come ad esempio camminare sulla punta dei piedi alzando alternativamente le braccia. Tra i movimen-ti violenti, che richiedono energia e rapidità, fi gurano lo zappare, il lancio del disco, il saltare ininterrottamente, i balzi, ecc. Gli esercizi passivi comprendono il movimento nella culla e l’essere cullati in braccio dalla nutrice, l’andare in vettura o in portantina, navigare… e poiché presuppongono l’azione di una forza estranea, viene contem-plata anche la frizione del corpo a cui Galeno destina una particolare importanza. Nell’elenco degli esercizi misti compare la lotta ed in particolare l’equitazione, come anche la frizione unita ad esperienze

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di ritenzione del respiro. Tutti questi esercizi saranno richiamati nei trattati di ginnastica medica fi no al XVII secolo, senza che vengano apportate signifi cative integrazioni.

Nel IV secolo il prosecutore della ginnastica medica di Galeno fu Oribasio di Pergamo (325-403 d.C.), medico ad Alessandria e, dopo alcuni anni, nel 355, medico personale dell’imperatore romano Fla-vio Claudio Giuliano. Scrisse Collectiones medicae, un’enciclopedia medica in 70 libri, in cui riassumeva i testi di Galeno.

Il secolo successivo fu caratterizzato ancora dall’orientamento a favore della ginnastica medica, come confermato da Celio Aurelia-no, di Sicca in Numidia (V sec.), un medico romano, scrittore di argomenti medici e autore di una traduzione di due opere del capo della scuola metodica di medicina, Sorano di Efeso (II sec.), partico-larmente preziosa poiché l’originale è andato perduto. Dalla tradu-zione di Aureliano si evince che Sorano possedeva notevoli abilità pratiche per la diagnosi ordinaria e anche per le malattie eccezionali. Aureliano ha lasciato inoltre frammenti della sua opera Medicina-les Responsiones, con cui ha offerto un ampio contributo a quanto già indicato da Galeno, specie sull’arte del massaggio, sugli esercizi contro-resistenza e la riabilitazione per mezzo di pesi e di pulegge.

La ginnastica medica predominò incontrastata per tutto il Medio-evo, durante il quale la tradizione greca e romana si incontrò con quelle araba ed ebraica, con grande arricchimento, senza però ap-parire in opere scritte, esclusa quella di Giulio Alessandro, intitolata Salubrium sive de sanitate tuenda (1275).

Verso l’educazione fi sica

Per un lungo periodo, dal II secolo d.C. all’alto Medioevo, che per convenzione raggiunge l’anno 1000 circa, la ginnastica educa-tiva fu invilita dalle critiche dell’arte medica e ostacolata dai freni e dalle opposizioni degli apologisti, da Tiziano a Tertulliano a cui fecero seguito molti altri (Marrou, 1950). In particolare, l’apologeta Quinto Settimio Fiorente Tertulliano (155 ca.-230 ca.), convertitosi al cristianesimo nel 195 e presi gli ordini sacerdotali, adottò posizio-ni religiose molto rigide fi no ad aderire, nel 213, alla setta religiosa dei montanisti, nota per la sua intransigenza e il suo fanatismo contro

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ogni forma di gioco. Il cristianesimo continuò con i suoi sacerdoti ad osteggiare, anche nei secoli successivi, la ginnastica educativa rivolta a garantire il coraggio, la salute e la bellezza dei giovani orientandosi al principio che tutti i giochi e tutte le distrazioni, oltre ad essere vani e non indispensabili, sviano l’uomo dall’essenziale ricerca della pro-pria salvezza. Tali orientamenti erano ancora saldi verso il 384-390, se san Gregorio Nazianzeno nella sua opera educativa, rivolgendosi al suo nipotino Nicobulo, denunciava la vanità di coloro che sciupa-no tempo e danaro allo stadio, alla palestra, al circo e alle commedie indecenti. Era un’epoca in cui si obbligavano i magistri a precludere agli scolari ogni distrazione imponendo loro con sfi brante severità dure costrizioni, sostenuti dalla concezione che l’educazione dovesse rivolgersi unicamente all’anima e che la mente non avesse nulla a che fare col corpo. Tale atteggiamento del cristianesimo maturato in area educativa, non era altrettanto avverso alla ginnastica medica ed era ancor meno osteggiante la ginnastica cavalleresca dei nobili, con i suoi momenti di ricreazione, i tornei e le giostre che presero il posto dei gymnasia, in cui il valore dell’uomo era misurato dal numero delle lance spezzate, dagli urti ricevuti senza cader di sella, dai trofei, spesso insanguinati, dei tornei. I nobili che celebrano la ginnastica cavalleresca, non certo osteggiati, furono in gran numero, tra questi vi erano Luigi il Germanico e Carlo il Calvo, i quali, verso l’842, die-dero molti spettacoli di giochi militari e di tornei, a cui si aggiunsero, intorno al 936, quelli voluti da Enrico I detto l’Uccellatore e nel 1066 da Geoffroi, signore di Preuilli nell’Anjou.

Nonostante l’accanimento nell’avversare la ginnastica educativa, trascorsi questi secoli bui, a partire dalla metà del XIV secolo, l’edu-cazione tornò ad occupare i propri legittimi spazi e a dare risposte utili al sentito bisogno di cambiamento che poteva derivare all’indi-viduo dall’educazione fi sica. A quest’epoca risalgono opere di molti pedagogisti orientati a riconoscere l’importanza del corpo in educa-zione, come evidenziato da G.B. Gerini nella sua ricerca condotta nel 1896 e pubblicata con il titolo Gli scrittori pedagogici italiani del secolo decimo quinto. Tra i protagonisti di questo secolo vi furono il Vergerio, Enea Silvio Piccolomini e Vittorino de’ Rambaldoni, cono-sciuto come Vittorino da Feltre.

Pietro Paolo Vergerio (1370-1444), famoso umanista e professore di logica a Padova, laureato in arti e medicina, ha scritto il primo si-

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gnifi cativo trattato esclusivamente pedagogico, De ingenuis moribus et liberalibus studiis adulescientiae (1385). Egli, primo pedagogista dell’umanesimo, nella sua importante opera si è ispirato a Sparta e agli esercizi praticati dagli spartani e ha fi ssato alcuni principi fon-damentali, reclamando una particolare cura del corpo per renderlo capace di rispondere ad ogni esigenza e sostenendo che gli esercizi corporei hanno una infl uenza salutare sulle attività della mente, sono idonei al compito educativo di formare il giovane alla virtù e a pla-smare un carattere sociale. L’opera di Vergerio ha infl uenzato il poeta e umanista Guarino Veronese (1370-1460) e se ne può trovare confer-ma nei testi di C. de’ Rosmini (Vita e disciplina di Guarino Veronese e de’ suoi discepoli, 1805); R. Sabbadini (Guarino Veronese e il suo epistolario edito e inedito, 1885); M. Pade, L. Waage Petersen e D. Quarta (La Corte di Ferrara e il suo mecenatismo 1441-1598, 1990).

Il senese Enea Silvio Piccolomini (1405-1464), appellato come “il papa umanista”, ha scritto alcuni libri sull’educazione dei giova-ni; fra questi è degno di menzione il trattato De Librorum Educatione (1450) in cui avvalorava il compito di curare, al pari della salute della mente, quella del corpo con esercizi ginnastici.

Vittorino de’ Rambaldoni, conosciuto come Vittorino da Feltre (1378-1446), è l’altro umanista ed educatore infl uenzato da Pietro Paolo Vergerio. Victorin diresse a Padova una scuola privata fre-quentata da un’élite di giovani studenti, dove insegnava retorica e fi losofi a. Nel 1422 se ne andò a Venezia a tenere lezioni a studenti “liberi ma poveri”, un procedere educativo che lo caratterizzò e la cui fama si diffuse rapidamente in altre città italiane. Nel 1423 Victorin accettò di fare da tutore al fi glio del marchese di Mantova, Jean-Francois de Gonzague, dopo che furono accolte alcune condizioni per svolgere con successo il suo compito, tra cui avere a disposizione una residenza adeguata dove istituire una scuola capace di accogliere il principe, altri giovani principi e studenti di corte. Venne messo a sua disposizione un edifi cio situato ad una certa distanza dal suo castello e chiamato “Ca’ Zoiosa”, un palazzo che in precedenza era stato una casa di piacere, dedicato ai divertimenti mondani, circonda-to da incantevoli giardini, decorato con grande lusso e dotato di tutti i comfort desiderabili. In questa struttura Victorin poté realizzare il sogno di una scuola simile a quelle dell’antica Atene, con palestre e giardini dell’accademia.

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La scuola prese il nuovo nome di “Ca’ Giocosa”, casa dei gio-chi, per i dipinti che ornavano le pareti e rappresentavano bambini che giocavano come nei ludi dell’antichità classica e dove venivano soddisfatti entrambi gli esercizi del corpo e della mente. A soli due anni dalla sua istituzione, quest’accademia accoglieva giovani nobili studenti provenienti da varie parti d’Italia, della Grecia, Francia e Germania; era diventata un istituto internazionale per l’educazione dei principi e, nel 1433, fu denominato “Gymnasium Letterario” e gli vennero riconosciuti autonomia, privilegi e abbondanza di risorse materiali, come alle università maggiormente prestigiose.

Tra i suoi allievi più famosi è opportuno ricordare: Federico Mon-tefeltro, che fu duca di Urbino; Lonigo Ognibene, il quale, dopo aver insegnato a Treviso e a Vicenza, prese il posto di Victorin a Mantova, dove risiedette dal 1449 al 1453; Lorenzo de Castiglione, signore di Sassuolo e Prato; Francesco Prendilacqua di Mantova, che intorno al 1474, per onorare la memoria del suo maestro, scrisse Dialogus de Vita Feltrensis Victorin.

Vittorino da Feltre sapeva che un maestro, prima di insegnare agli altri, deve essere esempio, perciò oltre al suo zelo per lo studio delle scienze e delle lettere, volle essere agile, forte, sobrio, virtuoso, non mancando di dedicarsi agli esercizi del salto, della scherma e ad ec-cellere nella corsa. Il cimentarsi in prima persona in questi sport gli diede prova della loro infl uenza salutare sulle attività della mente e gli fece sostenere nel suo insegnamento l’importanza degli esercizi corporei. Ciò spiegò il suo studio della natura e delle condizioni degli studenti, nonché lo sforzo per scoprire le infl uenze dell’ereditarietà e dell’atavismo e l’attenzione nello scegliere esercizi graduati per ciascuno. E se uno studente mostrava una tendenza che la scuola non era pronta a soddisfare, egli si affrettava a trovare soluzioni idonee per soddisfarla. A parte casi particolari, il programma riusciva tutta-via ad appagare tutte le esigenze, ad iniziare da quelle per insegnare ai bambini i primi rudimenti della lettura e della scrittura, per i quali esistevano, ad esempio, scaffali dipinti di vari colori e con le for-me delle lettere per costruire le parole, seguendo gli esempi lasciati da Quintiliano e precorrendo Fröebel. Victorin, ricco delle risorse dei suoi studi e delle sue esperienze, aiutò gli allievi a sviluppare la scienza del ragionamento, che riteneva adatta per non oscurare la verità, per assicurarsi un modo sicuro di distinguere, con un proprio

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giudizio, tra vero e falso; una maniera di insegnare che evitava agli allievi fatica o disgusto e che permetteva di coltivare in loro buoni sentimenti, positive passioni e che ottenne risultati con la fermezza e l’autorità, senza il bisogno di punizioni corporali.

Egli chiedeva alla pedagogia di sviluppare lo spirito, il cuore e il corpo, a cui riconosceva un grande valore, e riteneva che la pra-tica della ginnastica producesse vantaggiosi effetti sull’istruzione e l’educazione. Nella scuola “Ca’ Giocosa” si realizzarono gli ideali umanistici e l’esercizio mentale si alternava alle pratiche ginniche al fi ne di realizzare un tentativo di armonico sviluppo mentale e cor-poreo e ottenere, come affermava Victorin, richiamandosi alla mas-sima di Giovenale, mens sana in corpore sano. Per la formazione della mente e del cuore, l’istituto doveva garantire il diritto sia a tutti i tipi di ginnastica – corsa, salto, equitazione, tiro al bersaglio, caccia – sia all’uso di strumenti musicali, canto e ballo, adatti per educare alla forza, alla grazia, alla ferma convinzione, all’effi cacia della volontà, che conducono al dovere di non arrendersi mai. Gli esercizi si svolgevano all’aperto, al caldo come al freddo, nel bel mezzo della campagna o all’ombra delle ospitali mura della “Ca’ Giocosa”. Vittorino da Feltre non ha lasciato scritti sul sistema di istruzione e sui metodi di insegnamento da lui seguiti, ma siamo ugualmente informati in merito grazie a due fonti autorevoli, Bar-tolomeo Sacchi detto “Il Platina”, autore del Commentariolus Vita Victorin Feltrensis (1460) e E. Benoit, autore del testo in due volumi Victorin de Feltre (1853).

Ci si allontanava dunque sempre più dall’educazione militare, dai giuochi violenti, da un genere di vita bellicoso come anche con-templativo, per un rinnovamento dell’educazione che desse di nuovo importanza alle qualità fi siche, alla bellezza e alla raffi natezza. Un concetto nuovo che spinse a dare al corpo una giusta attenzione sen-za, tuttavia, utilizzare ancora l’espressione “educazione fi sica”, che sarà usata per la prima volta da John Locke nel 1693.

Ma un mutamento assai signifi cativo intorno al principio di edu-cazione, che non fosse esclusivamente quella dell’anima, si ebbe con il De educatione (1504) di Antonio de Ferrariis, detto “Il Galateo”, e soprattutto con il Cortegiano (1528) di Baldassarre Castiglione, in cui si illustravano le linee guida per formare il perfetto gentiluomo. Anche in Inghilterra Thomas Eliot (1490-1546) si interessò alle for-

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me di esercizio fi sico necessarie per un gentleman e tra quelle da lui elencate non potevano mancare la caccia e la danza.

In questo periodo il rinnovamento pedagogico saldò l’introduzio-ne della ginnastica nelle scuole, come fece Erasmo da Rotterdam il quale, pur tacciato di agire in modo poco cristiano, cominciò a preoccuparsi della salute dei giovani che frequentavano la scuola, nella convinzione che la collera, l’invidia e la maggior parte delle brame derivano corporis habitu, dall’aspetto fi sico. Per rafforzare lo spirito e tener vive le forze fi siche, riteneva essenziali la ricreazione, il giuoco e le passeggiate, poiché secondo lui anche nel momento di svago la mente poteva trovare occasioni di espansione per nuove e diverse elaborazioni. “Non so se si possa apprendere più facilmente di come accade quando si impara dal giuoco”, annotava Erasmo nei suoi Colloquia (in Benoist, 1876, p. 901).

Ad Erasmo fece eco il Vivès che, per impedire che il corpo si rendesse “pesante” si affi dò alle ricreazioni, in modo che i ragazzi potessero giocare a palla (pila) o con il pallone (globus), fare corse e passeggiate sotto portici e sostare, durante le giornate di pioggia, in sale spaziose dove poter discutere e scambiarsi idee. Anche in Inghil-terra una riforma della scuola concedette al corpo una positiva atten-zione, come si apprende dal testo di Richard Mulcaster (1531-1611) sull’educazione (De Molen, 1991). Egli individuò gli esercizi utili alla persona per mantenersi in salute, si preoccupò del loro insegna-mento e dell’utilità di affi dare ad un unico maestro l’anima e il corpo del giovane. Tra gli esercizi da lui indicati, tuttavia, non ve n’erano di nuovi: citava la corsa, il salto, la lotta, la danza, il tiro coll’arco, il gioco della pallacorda o della pallamaglio e soprattutto l’equitazione e la caccia.

L’innovazione giunse anche dai Gesuiti, infatti, con la Ratio Stu-diorum del 1556 si prescrisse di attenuare nei loro collegi il lavoro degli allievi, di diminuire le ore di studio e, successivamente, di pre-vedere una giornata di vacanza per ogni settimana. Contemporanea-mente furono introdotti gli scacchi, la dama e i giochi per l’esercizio fi sico come la corsa, il gioco del pallone, della pallacorda, la soule, il gioco delle sbarre, della pallamaglio, della palla al muro. I pedago-gisti cristiani in questo periodo elaborarono una diversa teoria delle relazioni dell’anima col corpo, sostenuti anche da Sant’Ignazio di Loyola, il quale nel 1548 scriveva a San Francesco Borgia: «Com-

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penetratevi dell’idea a che l’anima e il corpo sono stati creati dalle mani di Dio; noi dobbiamo rendergli conto di queste due parti del nostro essere e non siamo tenuti ad indebolirne una per amore del Creatore. Dobbiamo amare il corpo nella stessa misura in cui egli ha saputo amarlo» (Compayré, 1879). Ma in particolare fu Lutero con la sua Riforma che, eliminando il monachesimo e l’ascetismo cattolico, si propose di assicurare la salute, riconoscendo l’importanza degli esercizi fi sici e dei divertimenti, come ad esempio la musica, capace, secondo lui, di eliminare i pensieri malinconici.

Altri pedagogisti come Johann Bugenhagen (1485-1558), Va-lentin Trotzendorf (1490-1556) e Joachim Camerarius (1500-1574), animati dalla convinzione che l’anima non potesse essere “coltivata” e formata in modo retto se si trascurava il corpo, né il corpo potesse fare ciò senza l’anima, riuscirono ad ottenere per gli scolari, in molte scuole protestanti, delle ore libere dall’impegno scolastico da dedi-care ai giochi e alla ricreazione liberale delle anime, come si legge in Les Constitutions de l’illustre école de Bregenz.

Nello stesso periodo l’umanista francese François Rabelais nell’opera Gargantua (1534) raccontava, con un linguaggio sempli-ce e vivace, ed uno stile divertente, le avventure di due giganti, il padre Gargantua e suo fi glio Pantagruel e di come quest’ultimo rice-vesse un’educazione di stampo medievale (messa in ridicolo dall’au-tore), alla quale trovava rimedio con un nuovo metodo non enunciato esplicitamente, ma applicato. Durante la giornata, oltre agli studi, a Gargantua venivano proposti alcuni giochi, da interrompere non appena fosse stanco e per quanto riguarda l’addestramento fi sico si ricorreva alla pratica della cavalleria, alla scherma, alla caccia, al nuoto, ed ad altri esercizi, come l’abbattere alberi, il lancio del gia-vellotto, il sollevamento dei pesi, destinati a far acquistare abilità e vigore. Esercizi corporei che, inclusi in un’educazione meditata, seguiti con spirito ricreativo, costruttivo e formativo, completavano e favorivano l’educazione intellettuale. Una cultura fi sica educativa che rispondeva alle esigenze della natura, di una natura dalla quale il corpo era visto come un’espressione allo stesso titolo dell’anima, e che sostava sul principio, valido per i giovani e per gli adulti, che educare signifi ca realizzare l’essenza dell’uomo.

Anche Michel de Montaigne (1533-1592) per l’esposizione nei suoi scritti trasse origine dal concetto che “Più della scienza, biso-

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gna curare i costumi e l’intelletto” (Montaigne, 1580). Negli Essais (1580), un’ampia raccolta di scritti su diversi argomenti tra cui l’i-struzione, si legge: «Per un fi glio di buona famiglia […] se si desi-dera farne un uomo avveduto piuttosto che dotto, vorrei anche che si avesse cura di scegliergli un precettore che avesse piuttosto la testa ben fatta che ben piena» (ivi, I, p. 26). Del resto gli aspetti principali su cui secondo Montaigne si basa l’educazione, sono racchiusi nel signifi cato stesso del titolo della sua opera Essais, ossia “esperimen-ti”, “tentativi”, “prove”; egli infatti proponeva di seguire, anziché un insegnamento di conoscenze astratte, un’esperienza concreta, corporea, in cui l’anima è sempre presente e rende gli uomini “in-tellettualmente sensuali e sensualmente intellettuali” (ivi, III, p. 13). Nell’opera non mancano inoltre orientamenti per l’educazione fi sica e mentre si fa appello alla pulizia del corpo, allo svolgimento del-le attività in maniera misurata, si raccomandano le baigner salubre, l’andare a cavallo, la corsa, la lotta, la musica, la danza, la caccia e la “dimestichezza” con le armi. Mentre Rabelais evidenziava soltanto necessità di aumentare il numero delle ore di educazione fi sica, per Montaigne non potevano esistere educazioni separate l’una dall’al-tra, fi sica, intellettuale e sociale, l’educazione è una sola e nel contri-buire ad essa, quella fi sica acquista ogni diritto di venire considerata come una vera educazione. Ed è proprio l’educazione che, secondo Montaigne, evita l’esclusività degli studi in cui il soggetto “resta inattivo, è depresso e intristisce”, ogni momento deve favorire “la socievolezza e l’amicizia”, per raggiungere la saggezza che suscita un “umore gradevole ed elimina ogni aspetto arcigno” (ivi, III, p. 5).

Nel XVI secolo, dunque, la scuola accolse nuove istanze; alla luce della ragione, si è aperta all’educazione del corpo e dello spi-rito, agli esercizi fi sici, giungendo a proporre un’educazione com-pleta, mirante ad assicurare la salute ed accrescere l’effi cienza. Si ebbe inoltre una rinascita della ginnastica medica, nella forma datale da Ippocrate e da Galeno. A questo risveglio contribuirono insigni scienziati, come si apprende da K.P.J. Sprengel nella sua Histoire de la médecine depuis son origine jusqu’au XIXè siècle (1815-1820), con altrettante opere, alcune anche in lingua latina, assai importanti, come il Florida corona, quae ad sanitatis hominum conservationem ac longeva vitam producendam sunt necessaria, continens, di Anto-nio Gazi (1541), un’antologia che raccoglie con sottile critica tutta

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la dottrina esposta da greci, latini ed arabi, su come gli esercizi cor-porei siano un mezzo per conservare la salute e prolungare la vita, e le Institutionum medicinae ad Hippocratis, Galeni aliorumque vete-rum scripta recte intelligenda mire utiles libri quinque, di Leonard Fuchs (1566), dedicate in gran parte all’arte degli esercizi fi sici (in particolare la sez. III del libro II). Un testo basato esclusivamente sugli esercizi fi sici è la De arte gymnastica di Geronimo Mercuriale da Forlì (1530-1606), di professione medico. L’opera fu pubblicata in sei libri nel 1569, una data storica per la ginnastica; Mercuriale, infatti, afferma: «Un tempo all’arte della ginnastica veniva attribuito un alto valore; oggi essa è un’arte oscura e quasi distrutta. Mi pro-pongo di rimetterla in luce» (1566, p. 214). I primi tre libri sono un trattato storico della ginnastica, riferiscono dei ginnasi, delle forme della ginnastica, dei principali aspetti della ginnastica antica (l’ago-nistica, l’orchestica e la sferistica) oltre che di alcuni esercizi spe-ciali. Gli ultimi tre volumi hanno invece un carattere maggiormente medico, vi si trovano interessanti considerazioni sui vantaggi e gli inconvenienti delle attività che possono essere svolte nei ginnasi, gli esercizi realizzati nei bagni e quelli atletici propri dell’antichità. Per Mercuriale lo scopo della ginnastica medica era quello di conservare la salute, se uno già la possiede, o di raggiungere e far durare un buo-no stato generale del corpo. Egli considerava la ginnastica non una scienza ma un’arte, ars gymnastica, e distingueva il tipo di ginnasti-ca che fa bene alla salute, da lui accolto in qualità di medico, dagli altri tipi di “ginnastiche”, dannose per la salute, come la ginnastica militare o, ancor di più, quella atletica. Mercuriale quindi all’espres-sione “ginnastica medica” non attribuiva il signifi cato di “ginnastica in ambito medico”, bensì di ginnastica che ha gli stessi fi ni della medicina, defi nita anche “gymnastica vera”. Il gran numero di eser-cizi da lui individuati ed elencati, dall’acrochirismo (una lotta eser-citata per mezzo delle sole mani, palmo contro palmo, senza toccare nessun’altra parte del corpo, che dura fi nché uno dei contendenti non si arrende), dall’arte del gioco della palla, della danza, all’insieme di esercizi praticati nel ginnasio, come il correre in avanti ed indietro continuamente lungo uno stadio con distanze sempre minori fi no a non fare più un passo e cercando di fermarsi al centro dello stadio (ecpletrismo), al camminare sulla punta dei piedi, oppure alzando le braccia e muovendole celermente, l’una in avanti e l’altra indietro

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alternativamente (pitilismo), al rotolarsi da soli o assieme ad altri su un pavimento cosparso di sabbia (rotolamento), al dondolarsi in letti sospesi, ai massaggi e alle unzioni, al ridere e all’andare a cavallo. Tali esercizi hanno favorito un’importante evoluzione della ginnasti-ca, ma i benefi ci loro attribuiti, sosteneva Mercuriale, non dovevano far credere che tutti dovessero praticarli. Per proporli, infatti, il me-dico avrebbe dovuto tener conto di moltissimi fattori; non poteva-no essere trascurate le idiosincrasie, inoltre avrebbe dovuto stabilire sia se occorrevano esercizi preparatori o apoterapeutici, o esercizi di carattere speciale, sia la modalità con cui si sarebbero dovuti pra-ticare. Mercuriale riteneva che con gli esercizi occorresse regolarsi in modo che i tipi asciutti non si dovessero esercitare affatto, tutt’al più, molto lentamente e con il minimo dispendio di fatica. Anche i tipi calorosi, e soprattutto quelli dotati di colorito acceso, dovevano praticarli con moderazione, per non riscaldarsi ulteriormente con il movimento. Indicava inoltre come ogni inizio di esercizio dovesse essere condotto lentamente e dolcemente, per poi accrescerne gra-dualmente l’intensità fi no ad arrivare al limite che sembrava più op-portuno; successivamente si sarebbe dovuto rallentare di nuovo un po’ alla volta il ritmo fi nché chi si esercitava, in base alla sua stessa esperienza, avrebbe ritenuto di essersi allenato abbastanza. Mercu-riale inoltre sollecitava a stare attenti perché subito dopo gli esercizi non si passasse immediatamente al riposo e alla tavola, bensì si pra-ticasse prima un leggero moto e ci si astenesse dal cibo fi nché non fosse cessata quella perturbazione agitata e fl uttuante del corpo che è prodotta dall’esercizio e non fosse sopravvenuto uno stato di tran-quillità e di rilassamento.

Oltre al De arte gymnastica, i risultati di una fervida ricerca e sperimentazione sono evidenti nel De literatorum et eorum qui ma-gistratum gerunt conservanda valetudine (1555) di G. Gratarolus, nel Salubrium (1575) di G. Alessandrini, nel De continentia vel de sanitate tuenda (1591) di M. Cagnati. Al XVII secolo risalgono in-vece le opere di Fabrizio di Acquapendente (1533-1619), chirurgo e professore di anatomia a Padova. Egli pubblicò numerosi trattati di chirurgia ed ha il merito di aver realizzato un atlante anatomico inte-ramente colorato. A lui si deve inoltre la scuola iatromeccanicistica, che considerava il fenomeno vitale come un insieme di reazioni pu-ramente fi siche e l’organismo umano come un sistema idraulico. Una

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scuola che, tuttavia, pur avendo analizzato i gesti, le loro componenti e le loro relazioni, non riuscì ad impostare qualcosa di veramente nuovo né nella teoria né nella pratica e che permetterà a F. Hoffmann molto più tardi di affermare che «nei dispositivi meccanici vale la pena guardare non solo al valore di ciò che muove e al grado del movimento, ma anche a cosa è mosso e all’estensione della sostanza in movimento» (Hoffmann, 1695).

In questo secolo un posto di grande prestigio spetta ad Arcangelo Tuccaro (1535-1602), un aquilano, maestro di ginnastica alla corte del re Carlo IX di Francia, il quale riuscì a rendere il re un ginna-sta di prim’ordine pronto ai salti più spericolati. Tuccaro codifi cò in termini rigorosi l’arte del salto e dell’esercizio fi sico e di questo suo codice ha lasciato preziosa testimonianza nel libro Trois dialogues de l’exercise de sauter et voltiger en l’air, tre dialoghi sull’eserci-zio del salto e del volteggio con le fi gure, utili alla dimostrazione e all’intelligenza di quest’arte, pubblicato a Parigi nel 1599 (ristampa-to all’Aquila nel 2009, dopo oltre sette mesi dal tremendo sisma del 6 aprile, arricchito da alcuni saggi e proposto al pubblico in una mostra allestita dall’Archivio di Stato con il titolo “Le Saltarin du Roy”). La trattazione, di notevole rigore scientifi co, è arricchita da disegni riproducenti le eccezionali posizioni ginniche e i salti spesso al limite delle possibilità umane.

Qualche anno dopo furono pubblicati Le portrait de la santé (1608) di J. Chesne, il De tuenda sanitate studiosorum et literatorum (1615) di G. Horst e il De togatorum valetudine tuenda commentatio (1670) di V.F. Plempius. Anche se non tutti questi autori si distinsero per originalità, in un certo qual modo adattarono e proporzionarono l’igiene galenica e la confermarono quale fondamento della ginnasti-ca medica. Si professarono convinti sostenitori della necessità di tale ginnastica e cercarono ancora nel galenismo i mezzi coadiuvanti, gli ausiliari effi caci per mantenere l’uomo in salute.

Mentre un gran numero di ricercatori continuò quindi per tutto il secolo XVII, a mantenere vivi gli interessi nei confronti del ga-lenismo, i nuovi principi dell’educazione richiedevano di favorire tutti i tratti costitutivi della natura umana, con l’obiettivo di ricercare l’armonia. Cultura dello spirito ed esercizi fi sici per uno sviluppo somatico si fusero nell’ideale dell’educazione. La ginnastica era vi-sta come scuola dell’agilità e del vigore, come l’arte di esercitare le

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proprie forze e la propria abilità. Claude Fleury (1640-1723) riteneva la natura umana composta di un corpo e di un’anima e che la scuola non servisse per raccogliere delle conoscenze e limitarsi ad un insie-me di nozioni, ma in essa dovessero rientrare la cura del corpo e il conseguimento di un’educazione quale apprendistato per la vita.

Nel Traité du choix et de la méthode des études (1675) si legge che saper condurre bene la volontà è assai più importante dell’esten-dere le conoscenze e si ha un’esposizione del modo in cui incorpora-re gli esercizi fi sici in un sistema educativo. Ciò ha portato a consi-derare Fleury come l’iniziatore di una teoria dell’educazione fi sica. I temi da lui affrontati saranno ripresi da John Locke (1632-1704), padre dell’empirismo moderno e dell’illuminismo critico che, per primo, nel libro Some thoughts concerning education (1693), ha usa-to l’espressione “educazione fi sica”, sostenendo che questa dovesse precedere ogni altra educazione. Egli vedeva nell’educazione fi sica l’occasione per consolidare la salute e, al tempo stesso, garantire la ricreazione, il divertimento e lo svago, aspetti ritenuti vantaggiosi per il lavoro della mente, nel momento in cui la persona è impegnata negli studi. Quella proposta da Locke era un’educazione fi sica in cui veniva incoraggiata l’espressione diretta e spontanea dell’attività co-noscitiva e che estendeva il suo patrimonio formativo in ogni occa-sione in cui fosse possibile svolgere attività corporee che temprano e ristorano, compreso il lavoro nei campi ed altri lavori artigianali; at-tività pratiche che consentono l’apprendimento diretto di quelle idee semplici, che sono alla base dello sviluppo della conoscenza umana.

I contributi della medicina e della pedagogia

Negli stessi anni in cui guadagnava un ruolo proprio ed esclusivo l’“educazione fi sica”, i medici esponevano i risultati della loro ricer-ca, spiegavano le funzioni con le leggi della meccanica e dell’idrau-lica e ipotizzavano nelle contrazioni muscolari una causalità d’ordi-ne chimico, come illustrò G.A. Borelli nel suo De motu animalium, (1681). G. Baglivi ci ha offerto un orientamento per nuove prospetti-ve che non intendevano soffermarsi sull’origine del movimento, ma considerarne particolarmente i suoi effetti, per questo paragonava, ad esempio, i denti alle forbici, lo stomaco ad una bottiglia, le vene e le

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arterie a tubi idraulici, il cuore allo stantuffo di una pompa, le viscere a setacci, il torace ad un mantice (Sprengel, 1815-1820). Fu questo l’inizio di un’ascesa verso una diversa ginnastica medica che trovava importanti contributi in Medicina gymnastica, ou traité concernant le pouvoir de l’exercice à l’égard de l’économie animale (1704) di Francis Fuller, L’exercice modéré est-il le meilleur moyen de se con-server en santé? (1723) e L’orthopédie ou l’art de prévenir et de corriger dans les enfants les difformités du corps. Le tout par des moyens à la portée des pères et des mères et de toutes les personnes qui ont des enfants à élever (1741) di A. de Boisregard.

Fuller (1670-1706), i cui insegnamenti sono tratti dalla propria esperienza, si dichiarò contro ogni ipotesi e teoria formulate in pre-cedenza e riteneva che il corpo umano non fosse costituito soltanto da umori, ma da parti solide, e che agendo su queste fosse possibile trarne vantaggio. Proponeva dunque una ginnastica che favorisse la circolazione, la produzione del sangue e delle secrezioni, che desse all’organismo l’opportunità di difendersi per mezzo del movimento, come del resto insegna la natura con lo starnuto che preserva dall’in-freddatura, il vomito che svuota lo stomaco troppo pieno, la risata che mette in moto i muscoli del torace. La ginnastica fulleriana pre-vedeva esercizi fi sici che non si sostituivano alla natura, ma erano ca-paci di animarla. Per Fuller tutti i movimenti rappresentavano degli esercizi di cui bisognava accertarne e conoscerne l’effi cacia, ciò lo portò a parlare non di ginnastica medica bensì di “medicina ginnasti-ca”. Di ginnastica medica però tornò a parlare Andry de Boisregard (1658-1742) nel suo libro L’exercice modéré est-il le meilleur moyen de se conserver en santé? (1723), in cui illustrava cosa si dovesse intendere per “salute”. Con i suoi esercizi, provocò un grande ridi-mensionamento del galenismo, e più tardi darà vita alla ginnastica chirurgica o ortopedica (1741). Grazie a de Boisregard si iniziarono a sperimentare nuovi esercizi di ginnastica con scopi correttivi a cui ricorrere per rimediare ad un’infermità e, in base alla loro effi cacia, si pensò come adattarli ai diversi stadi di maturazione dei soggetti, ag-giungendo alla ginnastica l’ambizione di essere anche “medica e chi-rurgica”. Con questo ricercatore si cominciarono a cogliere e defi nire gli effetti degli esercizi fi sici, a studiare e stabilire la loro sostanziale funzione con il contributo della iatromatematica, che considerava il corpo umano alla stregua di una macchina.


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