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PICCOLO VADEMECUMcinque elementi, ricoperte di mantra di diverse divinità, stampati con blocchi di...

Date post: 29-Dec-2019
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    PICCOLO VADEMECUM

    PER IL VIAGGIATORE

    SUL TETTO DEL MONDO

    UN VIAGGIO IN TIBET

    IN COMPAGNIA DI FRANCO PIZZI

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    Franco Pizzi, nato nel 1948, studioso e praticante del buddismo tibetano, vive da oltre dieci anni in India; accompagna gruppi turistici in Asia, e traduce testi dal tibetano. Stampato a New Delhi, aprile 2001 Proprietà letteraria riservata a franco pizzi

    [email protected]

    mailto:[email protected]

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    INDICE GENERALE

    GEOGRAFIA DEL TIBET 11

    ACCENNI DI STORIA DEL TIBET 16

    L’antica storia del Tibet: Storia moderna del Tibet:

    LE RELIGIONI DEL TIBET 39

    La religione bön Il buddismo tibetano e le sue scuole

    La scuola Nyingmapa 43 La scuola Sakyapa 44 La scuola Kagyupa 45 La scuola Ghelugpa 49

    Il cristianesimo 50 L’islam 51

    IL POPOLO TIBETANO 52

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    OGGETTI RITUALI E DIPINTI 56

    FESTIVAL RELIGIOSI 62

    ARRIVIAMO SUL TETTO DEL MONDO! 63

    LHASA E DINTORNI 63

    CHAKZAM 63 DROLMA LHAKHANG 65 ARRIVO A LHASA 68 JOKHANG 70 CHAKPO RI 74 RAMOCHE 75 BOMPO RI 75 POTALA 75 SHOL 83 LUKHANG 84 DRALHA LÜPHUG 84 NORBULINKA 85 SERA 87 L’ORACOLO DI NECHUNG 91 DREPUNG 93 GHEPHEL RI 96

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    GANDEN 97

    TSURPHU 99

    VERSO LO YARLUNG 103

    MINDROLING 103 TSEDANG 105 TRANDRUK 106 YUMBULHAKHANG 107 CHONGYE 109 SAMYE 109

    DA TSEDANG A SAKYA 113

    GYANTSE 117 SHALU 120 SHIGATSE 122 SAKYA 125

    VERSO SHEGAR E KATMANDU 127

    BIBLIOGRAFIA 130

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    PREMESSA

    Ho scritto questo libricino senza nessuna pretesa di comporre una guida con informazioni dettagliate sulla geografia, storia e religione del Tibet, poiché queste possono essere trovate altrove. Come viaggiatore ho sempre avuto bisogno di qualche foglio che mi guidasse sulle strade che percorrevo e quindi ho pensato che poche pagine scritte in modo conciso possano aiutare altre persone a godersi il viaggio sul “ Tetto del Mondo”, lungo la Transhimalaya che va da Lhasa a Katmandu. Non ho accennato ad altre aree del Tibet, all’eccezione della zona del monte Kailash e del lago Manasarovar, essendo questi strettamente collegati al contesto religioso e culturale del Tibet. Trattandosi di un percorso molto particolare, in base alla mia esperienza vorrei suggerire alcuni elementi che possono aiutarvi ad intraprendere questo viaggio con una giusta prospettiva verso le difficoltà che si potrebbero incontrare. La strada offre sempre nuove sorprese, anche per me che da lungo tempo la percorro per lavoro, e quindi bisognerebbe lasciarsi trasportare dai paesaggi ed dagli incontri del momento; ciò che è da vedere non sono soltanto i monasteri, molti dei quali sono oramai musei privi di vita spirituale, ma il vero Tibet è quello che si osserva dal finestrino della macchina. Per cui un

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    trasferimento non è mai lungo e noioso ma pieno di cose nuove da scoprire, piccoli scorci di paesaggi, il campo nomade dove si può acquistare il formaggio, e altre scene di vita che non sono descritte, e non possono esserlo, in nessuna guida, perché stimolano un qualcosa dentro di noi, e questo succede anche per chi fa lo stesso tragitto da molti anni. Il fiume in piena ha portato via la strada, la valanga o la neve ha interrotto il nostro tranquillo viaggio; disperazione! Il nostro tempo, il nostro viaggio già pagato sta subendo degli intoppi, si sta perdendo tempo! Niente di meno vero. Il più delle volte succede che i tibetani curiosi, timidi e poi sorridenti ci avvicinano! “Quell’autista dovrebbe fare così” Gli autisti sono abituati a cavarsela da soli su queste strade; evitiamo i consigli e soffermiamoci con i nomadi arrivati a vedere i viaggiatori; per loro destiamo ancora la stessa curiosità che aveva destato Ippolito Desideri nel 1700! Approfittiamo di questo raro incontro! Evitiamo il pietismo verso i bambini che corrono a chiedere qualcosa, qualunque cosa, a noi occidentali. Il colonialismo non è solo l’imposizione di una cultura su un’altra con le armi ma anche il voler imporre, in qualche modo, le nostre cose alla gente del posto, come le penne, le brioche etc....evitiamo di accrescere una nuova forma di accattonaggio che diventerà

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    cronica per persone che non hanno bisogno di niente....Osserviamo il bambino che ci tende la mano: è bianco e rosso, paffutello, e corre a 5000 metri, cosa che noi non siamo capaci di fare. Il suo cibo ed i suoi abiti, che a noi sembrano miserevoli, sono ciò che gli serve per vivere nel suo ambiente. Pensiamo un attimo se un tibetano viene in Italia e ci dice: “Poverino, il tuo cibo non è salutare e i tuoi abiti non sono adatti, cambia la bistecca con la tsampa ed invece di quella camicia che hai, indossa un mantello di pelliccia di yak.” “Ma cosa può succedere se gli ho dato solo una caramella”, mi si chiede. Succede, in effetti, che stiamo immettendo l’idea dell’accattonaggio. Siamo in molti a viaggiare su queste strade, e molti la pensano così, con il risultato che i bambini e gli adulti vengono ad elemosinare, non per necessità ma soltanto per una cattiva abitudine che noi abbiamo creato. Ultimamente osservavo la plastica, le scatolette abbandonate lungo le rive del lago Yamdrok; i tibetani non hanno una cultura ecologica per cui abbandonano ciò che non serve dovunque gli pare: siamo noi che collaboriamo a queste spazzature in Tibet. Lasciando le cose come sono senza interferire, aiutiamo la cultura del posto a sopravvivere! Quando arriviamo a destinazione, in albergo, naturalmente, qualcosa non va. Il water è otturato, le

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    lenzuola non sono candeggiate etc etc Qui siamo nel terzo mondo; come si può pretendere che tutto funzioni! Invece di utilizzare il tempo dopo cena a parlare dell’albergo, utilizziamolo per uno scambio di vedute sulla giornata; ampliamo la nostra conoscenza su ciò che abbiamo visto durante il giorno discutendone con l’accompagnatore; egli è li non solo per assicurarsi che la logistica sia funzionante, ma anche per dividere la sua conoscenza con i clienti.

    tashi delegs….. indice

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    GEOGRAFIA DEL TIBET Venti milioni di anni fa il Tibet giaceva sul fondo del mare. L’impatto di quella che oggi è l’India con la terra ferma ci regalò quello che conosciamo come il “Tetto del Mondo”. L’altopiano tibetano copre una superficie di 2.500.000 kmq1 (3.800.000 kmq. secondo un’altra fonte)2, e contava 6.000.000 di abitanti al momento dell’occupazione cinese. Questo territorio immenso comprendeva ciò che adesso è conosciuta come la Regione Autonoma del Tibet, oltre alla provincia dell’Amdo, diventato Qinghai a Nord-Est, la provincia del Kham, divenuta Sichuan ad Est, e parte della provincia di Xinjiang a Nord-Ovest. . Da tempi antichi il Tibet è stato il paese dove leggenda e superstizione, realtà e scienza si sono mescolate; dove superbi esploratori della mente hanno mostrato teorie e miracoli eccezionali; dove credenze religiose si sono mescolate a fenomeni fisici, dove le pietre ed ogni cosa, da noi ritenuta inanimata, hanno trovato uno spazio nel quotidiano: i laghi, il colore del

    1 2.500.000 kmq: secondo “Tibet proving truth from facts” publ. The Departement of Information and International Relation, Dharamsala, 1994 pag 3 2 3.800.000 kmq secondo Barraux Roland, Histoire des Dalaï Lamas, ed Albin Michel 1993 pag 23.

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    cielo, ed i fiumi potenti sono le dimore di Dei e spiriti; le montagne, castelli di ghiaccio, sono le abitazioni di divinità tantriche, ed i passi, così difficili da valicare sono ornati dalle tarciok3 o da piccoli mucchi di sassi offerti dai pellegrini in ringraziamento agli Dei locali per la buona riuscita della salita e l’augurio di una buona discesa. A Nord il Tibet è delimitato dai monti Kunlun e a Sud dalla giovane catena dell’Himalaya. Questa muraglia di roccia e di ghiaccio scaturì dallo scontro del continente indiano, che spostandosi alla deriva nel mare di Tetis alla velocità di 10 metri all’anno, per un periodo di 40.000.000 di anni, ha formato per secoli la barriera naturale ai monsoni provenienti dall’India, ed ha impedito le invasioni e migrazioni di massa dando la possibilità di conservare inalterata la cultura locale. I molti laghi salati e i numerosi fossili, che bambini sorridenti vendono lungo la strada, sono testimonianze che ancora oggi ci ricordano il mare di Tetis. Dal Kailash, il monte Meru, il centro dell’universo nella cosmologia e il misticismo tibetano ed induista, nascono quattro fiumi: lo Tsangpo,

    3 Tarciok: bandierine di vari colori, solitamente cinque, che indicano i cinque elementi, ricoperte di mantra di diverse divinità, stampati con blocchi di legno. Si trovano dappertutto: sui passi montani, sui fiumi, sui monasteri e sulle case. Appena il vento le colpisce, il mantra viene sparso in tutte le direzioni placando le influenze negative con il suo potere benefico.

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    che arrivando in India diventa il Brahmaputra; l’Indo, intorno al quale 3000 anni A.C. si erano già stanziate le prime comunità della civiltà indiana; il Gange4, il fiume più sacro dell’India e il Sutley, che attraversa l’India del Nord nella zona di Kinnaur per poi passare in Punjab ed infine affluire nell’Indo in Pakistan. Lo Tsangpo, scorrendo da Ovest verso Est, attraversa il Tibet meridionale, e sulle sue rive si stanziarono le prime tribù che diedero origine al popolo tibetano. Più a Sud scendono altri tre fiumi, che entreranno nel Sud-Est asiatico: il Mekong, il Salween e lo Yangtse. Situati all’estremo Ovest del paese, il Kailash, che si erge come il principio dell’energia maschile, e il lago Manasarovar, simbolo dell’energia femminile, furono da tempi antichi meta di pellegrinaggio per gli antichi bön, per gli induisti e per i buddisti. “Non ci sono montagne come l’Himalaya, perché in esse vi sono il Kailash ed il Manasarovar”5. In questi luoghi meditarono

    4 Gange: a riguardo delle sorgenti del Gange sono stati fatti numerosi studi e spedizioni, dal tempo di Akbar il Grande fino al periodo coloniale Inglese. In fine furono gli Inglesi, nel XIX sec. a determinare che il Gange nasce dal lago Manasarovar ed infossandosi sotto l’Himalaya sbuca in territorio indiano a Gangotri da una roccia chiamata “Testa di Mucca” rif. Allen Charles, A Mountain in Tibet; The Search for Mount Kailash and the Sources of the Great River of India, ed Rupa&Co Calcutta, ed 1992. 5 cit. Dagli Skanda Purana.

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    molti yogin6, come il venerato ed ancora oggi famoso Milarepa. Sempre in questa zona era localizzato il regno di Shang Shung.7 Ad Oriente troviamo la zona del Kham, una regione più fertile a causa del monsone che penetra laddove la catena dell’Himalaya degrada; questa zona è abitata dal clan dei Khampa, etnia nomade, di statura alta, fieri guerrieri e banditi che si distinguono dal resto della popolazione tibetana. Il Kham è quello che ha sempre dato il più alto tributo di vite nel corso di guerre e tentativi d’invasioni, fino all’ultima ben riuscita dei cinesi nel 1959. Nella zona centrale troviamo le province più famose di Ü e di Tsang, dove le piogge più scarse e il clima più mite hanno permesso vari tipi di coltivazioni, come il grano e l’orzo. Le due province di Ü (centrale) e Tsang dal V sec. (prima data a cui è possibile fare riferimento storico) in avanti sono state il centro della vita politica e religiosa del Tibet, ed è stato da questa parte del Tibet, più esattamente dalla valle dello Yarlung, lungo la sponda Sud Est del fiume Tsangpo, che gli

    6 Yogi: praticante dello yoga; questo termine si riferisce agli asceti, di solito laici, che vivono in eremitaggio dedicandosi alla pratica della meditazione. Il più conosciuto yogin tibetano è Milarepa. Ved. Tsang Nyong Heruka, I Centomila Canti di Milarepa; traduzione di Franco e Kristin Pizzi, ed. Rassegna Culturale JM 1989. 7 Shang Shung: l’antico regno dei bön, ved cap sulla Storia.

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    imperatori tibetani hanno controllato il loro regno immenso che si estendeva fino all’Afganisthan. Le escursioni termiche, da +40 al sole a +2 all’ombra, il vento improvviso che alza mulinelli di sabbia, l’aria tersa, il cielo cobalto e il tappeto di stelle troppo vicino all’uomo, le strette valli che conducono a misteriose gompe arroccate su pendii rocciosi, i fiumi verdi in estate che diventano strade ghiacciate in inverno sono poche parole per dare l’idea del paesaggio dell’altopiano tibetano. Sebbene il Tibet è situato sulla stessa latitudine dell’Algeria, la sua altitudine rende difficile la vita a tutti i livelli: “In estate soffrono per la pioggia ed il sole, in inverno per la neve ed il vento, non avendo né cibi né vestiti. Ricolmo di pietà il Bodhisattva Avalokitesvara8 gli portò sette tipi di semi: grano saraceno, orzo, senape, grano, riso, sesamo e ceci.”9

    8 Avalokitesvara: in tibetano Cenresig, è il Bodhisattva della compassione di cui i Dalai Lama sono considerati emanazioni. Il mantra associato con lui è quello più conosciuto dai tibetani OM MA NI PAD ME HUNG HRIH. Egli è rappresentato in varie forme tra cui quella più comune come divinità bianca; seduta nella posizione del loto, con quattro braccia, di cui due con le mani giunte fra le quali tiene un gioiello che rappresenta la mente; nella mano del braccio destro tiene un rosario (mala) e in quella sinistra tiene un fiore di loto. Avalokitesvara è il nome sanscrito, il che indica la sua origine indiana. Cenresig è rappresentato anche in piedi con 11 teste; la leggenda dice che vedendo la sofferenza in cui si dimenano gli esseri sbatté la testa contro il muro e se la ruppe in undici parti. Suo padre, il

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    ACCENNI DI STORIA DEL TIBET

    L’origine del popolo tibetano non è ben definita a causa della mancanza di documenti storici. Secondo ricercatori cinesi i primi insediamenti tibetani sono avvenuti nella zona del Kham, mentre ricercatori di altri paesi sostengono che il popolo tibetano si è sviluppato attraverso mescolanze di popoli differenti in migrazione. Tutti gli studiosi si trovano d’accordo che la civiltà tibetana si sviluppò nella fertile valle dello Yarlung intorno a Tsedang.

    La leggenda, alla quale ancora oggi i tibetani fanno riferimento, tira di nuovo in ballo il Bodhisattva Avalokitesvara, che avrebbe inviato in Tibet un suo discepolo, una scimmia realizzata, con il compito di fondare un eremitaggio in Tibet, a Gampori nello Yarlung. Un giorno gli si avvicinò una sinmo, un demone femminile nelle sembianze di una orchessa, sofferente di solitudine, e la scimmia compassionevole si accoppiò

    Buddha Amithaba, prese i pezzi e ne fece 11 teste dandogli così la possibilità di poter seguire meglio gli esseri con la sua compassione. 9 Cit. Da R.A. Stein, La civilisation Tibètaine, l’Asiathèque, 1987.

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    con lei procreando sei figli che furono l’origine dei sei clan tibetani.

    L’antica storia del Tibet: può essere suddivisa, grossomodo, in tre epoche:

    1 L’epoca del regno di Shang Shung. 2 L’epoca dell’impero tibetano, corrispondente alla dinastia dei 33 re tibetani. 3 L’epoca del culmine e della distruzione dell’impero.

    1 Il regno di Shang Shung: trova le sue origini intorno al secondo millennio prima di Cristo, quando il maestro Sherab Miwoce fondò la corrente bön. Shang Shung era situata nella zona tra il Kailash ed il lago Manasarovar, ma la sua influenza culturale si estendeva praticamente in tutto il Tibet centrale ed orientale. 2 33 generazioni di re venuti al potere nella valle dello Yarlung, dal tempo di Nyatri Tsenpo (127 a.C) fino a Songtsen Gampo (618-649). Durante tutto questo periodo la cultura del regno tibetano era quella di Shang Shung, come pure la sua religione. La religione di stato era quella dei bön ed il re era sempre accompagnato da uno o più sacerdoti reali che servivano come sue guardie del corpo ed erano essenziali per il mantenimento del suo prestigio e del suo benessere, e non ultimo per

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    assicurare la prosperità del popolo e della nazione. Secondo la leggenda questi re tibetani discendevano dal cielo con una scala, ed al termine della loro vita risalivano al cielo aiutandosi con una corda che scendeva da un arcobaleno (la corda “dmu”).

    La storia del primo re Nyatri Tsenpo merita di essere raccontata: un bambino fu trovato da solo sulla montagna Yarlha Shampo, vicino a dove oggi sorge lo Yumbulhakhang, dai capi dei clan tibetani. Quando gli fu chiesto di spiegare la sua provenienza, egli indicò una direzione che fu interpretata dai tibetani come il cielo. Questo fece pensare che il bambino era di discendenza divina ed essi decisero di onorarlo come il loro re (Tsenpo). Quindi costruirono un trono (Tri) di legno e lo trasportarono a valle in spalle (Nya).

    Un altra storia racconta come l’VIII re, Grigu Tsenpo (I sec. D.C.) fu il primo re a lasciare dietro di se le sue spoglie mortali: si dice che Grigu aveva un carattere collerico ed orgoglioso, e che il suo sport preferito era quello di organizzare duelli. Nel corso di uno di questi, preso dalla collera, tagliò inavvertitamente la corda celeste con la spada, quindi non potendo risalire al cielo morì sulla terra e fu sepolto a Chongye, nella valle dei re, a 30 Km. da Tsedang.

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    Di tutto questo periodo non esistono documentazioni storiche, ma tutte le vicende sono basate su narrazioni tramandate oralmente. 3 Il culmine dell’impero tibetano: fu raggiunto sotto il regno del re Songtsen Gampo, quando l’impero divenne uno dei più potenti dell’Asia centrale. Per mantenere buone relazioni con l’imperatore tibetano, l’imperatore della dinastia dei Tang (618-906), impaurito dalla potenza del suo vicino che si spingeva fino ai suoi confini, rispose positivamente alla richiesta in sposa di una nobile cinese da parte di Songtsen Gampo; così pure fece il re Nepalese, e nel 641 avvenivano i primi due matrimoni di stato, di Songtsen Gampo con la principessa cinese Wen Chen Kanjo e con la principessa Nepalese Tritsun Bhrikuti Devi. Le due regine, entrambe Buddiste, riuscirono a convertire il loro sposo alla stessa religione e furono costruiti i primi monasteri: nel 649 a Lhasa furono fondati il Jokhang e Ramoce, allo scopo di ospitare le statue del Buddha portate in dono dalle due principesse. Songtsen Gampo intravide la necessità di modernizzare il suo paese; dalla Cina importò il sistema legislativo, l’arte della geomanzia, l’astrologia e la scienza medica e dall’India la spiritualità e l’alfabeto. Egli inviò una delegazione di sette saggi presieduta da Thönmi Sambhota in India per studiare il sanscrito e il devanagari, e da quest’ultimo fu elaborato un sistema di scrittura adatto alla lingua tibetana. Fu lo stesso Thönmi

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    Sambhota ad iniziare la traduzione dei testi sanscriti in tibetano. Songtsen Gampo, imperatore dinamico, istituì un codice legislativo, formò una gerarchia di ministri, fece un censimento dei pascoli e dei campi e formulò le regole per l’utilizzazione delle acque, oltre a far pagare pedaggi ed imposte. Poiché egli volle diffondere la nuova cultura buddista, attirò il re Ligmigya di Shang Shung in una trappola e lo uccise, arrivando così all’annessione di Shang Shung all’impero tibetano. Oltre alle principesse straniere, l’imperatore ebbe quattro mogli tibetane, fra cui una bönpo, e fu da una di queste che ebbe la sua discendenza. Gli successe il figlio Tride Tsukten, il quale diede alla luce un figlio che doveva essere il secondo dei grandi imperatori tibetani: Trisong Detsen (755-797). Con lui il Tibet acquisì una stabilità politica e religiosa. Re guerriero, egli allargò le sue frontiere dall’Afganisthan alla Cina orientale, dai monti Altai fino all’India ed al Bengala. La ragione per cui viene ricordato è quella di aver proclamato il Buddismo religione di stato. Egli incominciò con l’invitare dalla celebre università di Nalanda per primo Shantarakshita, un eminente studioso, per divulgare gli insegnamenti buddisti. Il suo approccio, con i tibetani, popolo abituato ai riti sciamani e alla magia in genere, fu troppo rigido e scolastico e quindi insoddisfacente per le

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    loro necessità. Il re, quindi, su consiglio del filosofo invitò Padmasambhava10, per continuare la sua opera. Originario della valle di Swat nell’Uddyana11, nel Nord dell’India , Padmasambhava viaggiò dappertutto; dal Kashmir al Ladakh12 , nel Sikkim, nel Buthan, finché varcò l’Himalaya ed approdò sulla sponda del fiume Tsangpo, nella regione di Drakmar. Padmasambhava fu da sempre circondato da un’aura di mistero; gli furono attribuiti poteri magici con cui avrebbe sottomesso gli Dei della vecchia religione bön costringendoli a partecipare alla costruzione del monastero di Samye (799). Egli fondò la prima comunità monastica, formata da dodici indiani e tre tibetani, che prese subito piede a causa delle sue regole abbastanza permissive e della garanzia di una buona retribuzione nella vita futura per le azioni positive fatte in questa vita. Il terzo re rimasto famoso nella storia tibetana è Tritsug Detsen Ralpachen (815-838). Egli fu un fervente buddista e si adoperò per salvaguardare e propagare

    10 Padmasambhava: è conosciuto anche come Guru Rimpocè, il prezioso maestro, sembra che fosse un parente di Shantarakshita, e che fu quest’ultimo a consigliare al re d’invitarlo. Su questo non esiste comunque nessuna documentazione storica come pure sulle origini di Guru Rimpocè. 11 Uddyana: può essere identificata con una delle regioni a Nord dell’attuale Pakistan. 12 Qui vi si trova la Gompa di Tak-Tak dove meditò Padmasambhava mentre era sulla strada del Tibet.

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    questa religione invitando pandita indiani. È rimasto soprattutto famoso per la stele davanti al Jokhang, su cui è inciso il trattato di pace con i cinesi (821-822), nelle due lingue, dopo la prima occupazione cinese avvenuta nel 763. La stele è ancora al suo posto ed in una certa parte del trattato si legge: “ Entro i due paesi, non ci sarà né fumo né polvere, non ci saranno allarmi improvvisi, e la parola “nemico” non sarà mai più pronunciata. Le guardie di frontiera non dovranno avere più nessuna preoccupazione e potranno dormire tranquilli....” questo era nell’821! La sua tendenza pro-buddista era tale da volersi fare monaco; questo, oltre a tutti i privilegi e le donazioni fatte al clero, fu troppo per i suoi oppositori che lo assassinarono. Suo figlio Tsangma, divenuto monaco, si spinse fino a mettere tutta l’amministrazione reale sotto la tutela del clero, ma fu costretto a scappare e rifugiarsi in Buthan. Rimase suo fratello Langdarma (838-842). Sotto la spinta dei sacerdoti bön, quest’ultimo instaurò un regime di terrore per i buddisti, uccidendo ed espropriando. Il risultato fu il suo assassinio per mano di un monaco, Pelgy Dorge, uno dei discepoli di Padmasambhava; egli si vestì con un mantello, nero fuori e bianco dentro, e con un cappello nero13;

    13 Scia nak: cappello nero, viene ancora oggi rappresentato nelle danze rituali tibetane (chams).

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    cavalcando un cavallo bianco annerito con il nerofumo s’introdusse vicino al re. Nella manica del suo mantello nascondeva un arco ed una freccia. Si avvicinò al re inginocchiandosi, facendo finta di salutarlo. Al primo inchino tese l’arco, al secondo sistemò la freccia, al terzo la tirò nel petto del re. Poi scappò via oltrepassando il fiume la cui acqua lavò il nero fumo dal cavallo e lui, indossando il mantello con il lato bianco verso l’esterno, riuscì a scappare alle ricerche dei soldati. Sembra che si rifugiò nella grotta di Yerpa, non lontano da Lhasa, ma secondo altri si rifugiò nell’Amdo. Con l’uccisione di Langdarma finisce la dinastia di Yarlung. Alcuni suoi discendenti fuggirono e fondarono il regno di Guge, che durò fino al 163014, e quello del Ladakh, che conservò la sua indipendenza fino al 1842, anno in cui fu invaso dal generale Zorawar Singh di Jammu (J&K India) Lo stesso generale non soddisfatto delle sue conquiste si spinse fino in Tibet e conquistò un vasto territorio vicino al Kailash, sembra lo stesso regno di Guge. I tibetani chiesero aiuto al loro imperatore cinese. L’esercito tibeto-cinese era formato da 10000 uomini contro i 5000 del generale. La guerra fu veloce, le truppe del generale furono massacrate e lo stesso generale

    14 Il regno di Guge cadde in concomitanza della presenza del Gesuita D’Andrade che per alcuni aspetti indirettamente ne fu l’artefice.

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    ucciso e fatto a pezzi ed il suo cuore mangiato in quanto ritenuto un uomo estremamente coraggioso!

    indice

    Storia moderna del Tibet: Dopo Langdarma il Tibet entrò in un periodo di lotte intestine che durò fino all’XI sec.. L’indebolimento del potere centrale si accompagnò, sotto la copertura di sviluppo culturale e religioso, con una moltiplicazione di centri di potere. Mentre si cancellavano le tracce dei re e dei principi, le grandi famiglie nobili diedero nascita alle potenze ecclesiastiche che radunarono intorno a loro gli elementi politici, economici e militari della società tibetana. Le più importanti tra queste erano: la famiglia dei Sakya, quella dei Pamodrupa nella regione del Kham, quella di Tsal, sul fiume Kyiciu ad Est di Lhasa, ed un altro clan del Kham che diede origine alla scuola Karmapa. Nel XI sec. apparve sulla scena lo studioso e traduttore Rincen Zangpo (985-1054), che fu inviato in India dal re del Guge per studiare le nuove correnti del buddismo Vajrayana.

    Egli risiedette per molti anni nel Kashmir, e fondò numerose gompe15 in Ladakh. Nel 1042 arrivò

    15 Gompa: termine tibetano per monastero; originariamente indicava un posto isolato per la pratica di meditazione.

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    sull’altopiano tibetano il maestro Bengalese Atisha, invitato dallo stesso re di Guge, che vi soggiornò fino alla sua morte nel 1054. Egli era un esperto conoscitore di tutti i veicoli del buddismo, l’Hinayana, il Mahayana e il Vajrayana imparato dai Mahasidda16 in quel momento in una fase decrescente in India. Attirò discepoli da tutte le parti del Tibet, e il suo discepolo più vicino, Dromtön (1005-1064), fondò la scuola Kadampa (1056) che più tardi il riformatore Tsongkhapa avrebbe trasformato nella scuola Ghelugpa, detta dei “ Berretti Gialli”. L’XI sec. fu un periodo di fioritura, di studi e di grandi yogin. Marpa Lotsawa17 di Lodrak (1012-1096) si recò per tre volte in India alla ricerca d’insegnamenti dal suo maestro, il Mahasidda Naropa, a sua volta discepolo del Mahasidda Tilopa. Marpa portò in Tibet molti testi tantrici, li tradusse e passò la sua conoscenza a quattro discepoli di cui il più famoso ed ancora oggi venerato Milarepa (1040-1123). Tra i discepoli di quest’ultimo vi fu Reciungpa, un famoso yogin laico i cui insegnamenti furono inseriti nella scuola Drugpa Kagyu, e Gampopa (1079-1153), un monaco Kadampa18 con gli insegnamenti dei Mahasidda Tilopa e Naropa. Il

    16 Mahasidda: termine sanscrito che indica un essere realizzato ed in possesso di poteri straordinari. 17 Lotsawa: termine tibetano per traduttore. 18 Gampopa nel suo primo incontro con Milarepa si definisce monaco Kadampa.

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    principale discepolo di Gampopa fu Dusum Kyenpa (1110-1193), il primo Karmapa, che introdusse il sistema dei Tulku19 per assicurare la successione all’intero lignaggio. Benché il lignaggio dei Karmapa è molto famoso per la sua tradizione spirituale degli yoga tramandata da Milarepa, i Karmapa stessi sono sempre stati molto attivi nella politica; alleati con i nobili di Tsang, dalla loro sede a Tsurphu, nella valle di Tolung, hanno combattuto contro i Ghelugpa e detenuto il potere sotto la protezione dei Pamodrupa che regnavano dalla città di Tsedang. La prima scuola che si affermò politicamente in Tibet fu quella dei Sakya, nell’omonimo monastero-fortezza non lontano da Shigatse, fondato nel 1073 da Kunciok Gyalpo. A lui succedettero Kunga Gnyingpo, Sonam Tsemo, Sakya Pandita e Pakpa.

    Nel XIII sec., durante il regno del Gengis Khan in Mongolia, divenne chiaro che i Mongoli volevano

    19 Tulku: una parola che si sente spesso nei viaggi in Tibet o in Ladakh, sta ad indicare la reincarnazione del Lama precedente. È un termine che viene applicato di solito solo ai Lama di alto rango e vi sono differenti metodi per il ritrovamento del nuovo Lama. Per esempio i Karmapa usano il metodo di lasciare una lettera in cui viene detto il nome del prossimo Tulku, della sua famiglia e del posto dove si deve andare a cercare; mentre per i Dalai Lama di solito ci si affida a visioni che hanno Lama con alti poteri spirituali, all’oracolo di stato etc...

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    sottomettere il Tibet e siccome i tibetani si resero conto che sarebbe stato impossibile resistere alla pressione Mongola, optarono per andare a negoziare con il loro potente vicino. Fu così che i rappresentanti delle famiglie nobili si recarono presso il Gengis Khan e più tardi presso i suoi nipoti cercando in questo modo di mantenere la loro autonomia in modo pacifico.

    La fama di eruditi ed esperti in magia dei Lama era giunta alla corte dei Mongoli e Sakya Pandita Kunga Gyaltsen (1182-1251) fu inviato dai nipoti del Gengis Khan nel momento in cui un generale troppo zelante aveva raso al suolo il monastero di Radeng (1239). Sakya Pandita convertì al buddismo Godan, placando con molta diplomazia l’eccesso distruttivo dei Mongoli. Così egli ottenne la sovranità sulle provincie di Ü e Tsang con il trattato del 1247. In seguito il secondo Karmapa, Karma Paksci, andò in Mongolia e partecipò ai dibattiti tra buddisti e taoisti. La sua fama arrivò al Kublai Khan che lo invitò. Karma Paksci vi andò, ma rifiutò di prolungare il suo soggiorno, offendendo in questo modo il Kublai Khan. Di conseguenza i Mongoli scelsero il clan dei Sakyapa come interlocutore privilegiato per gli affari tibetani. Il nipote di Sakya Pandita, Pakpa, si recò alla corte del Kublai Khan, futuro fondatore della dinastia Yuan a Pechino, e ricevette il titolo di vicere sulle tredici provincie del Tibet. Questo potere durò 96 anni; il

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    declino della dinastia Yuan nel 1368 segnò anche il declino della supremazia Sakya in Tibet. L’influenza della dinastia Yuan può essere considerata come la prima mossa d’intervento cinese negli affari tibetani. La stessa cosa venne ritentata dalla sorgente dinastia Ming, in un periodo di lotte interne tibetane durante il quale la borghesia era decadente ed il clero non era stabile politicamente e si fronteggiava con le armi. Questo ebbe fine quando Rinpung, un ministro del clan dei Pamodrupa, rimise ordine combattendo contro i Karmapa e la famiglia di Tsang che governavano su Shigatse e Gyantse. Nel 1357, sulle rive del lago Kokonor, nacque Tsongkhapa colui che fondò la scuola Ghelugpa o dei Berretti Gialli. Egli non sapeva che l’apparizione di questa scuola sulla scena tibetana avrebbe influenzato la vita politica e spirituale del Tibet fino ai giorni nostri. Tsongkhapa si concentrò soprattutto sugli insegnamenti di Atisha della scuola Kadampa, e fu ospitato a Radeng per un ritiro dal 1402 al 1405. Fu riconosciuto dalla scuola Kadampa come un erudito; ottimo organizzatore, egli impose ai suoi monaci l’obbligo del celibato, il regime vegetariano, il voto di povertà individuale e l’astensione dalle bevande alcoliche. La sua grande opera fu il “ Lamrim Cempo”. Anche se Tsongkhapa, fondando il monastero di Ganden nel 1409, non aveva previsto di mescolarsi alla politica, lo fecero i suoi discepoli che fondarono Sera (1419), Drepung (1416) e

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    Tashilunpo (1447). Queste furono delle vere e proprie città monastico-universitarie, che presto divennero politicizzate e dettero una svolta decisiva all’occupazione cinese del 1959. La morte di Tsongkhapa diede origine ad una nuova lotta di potere nel Tibet che durò 3 secoli e vide soprattutto l’alleanza dei principi di Tsang e la scuola Karma Kagyupa e Pamodrupa contro la scuola Ghelugpa. Il discepolo di Tsongkhapa, Gendün Drub20 (1391-1475), era famoso per la sua dedizione alla vita spirituale e per la costruzione del monastero di Tashilunpo21, che iniziò all’età di 57 anni. Alla sua morte le sue spoglie furono conservate a Tashilunpo. Il suo successore fu Gyalwa Gendün Gyatso (1475-1542); nella sua biografia si legge che le sue prime parole rivolte al padre furono: “Dopo la mia morte, alla fine della mia vita precedente, fui imbalsamato, il protettore Mahakala entrò nel mio lenzuolo e mi portò con lui. Incontrai il Buddha Maitreya, Atisha e Tsongkhapa. Quest’ultimo mi disse: “Tutte le tue attività saranno consacrate alla dottrina, per il beneficio degli

    20 Gendün Drub secondo alcuni studiosi non era solo il discepolo di Tsongkhapa, ma anche il nipote. 21 La costruzione di Tashilunpo richiese 15 anni. Egli chiamò dal Nepal gli artisti per la fattura delle statue, ed in particolare quella di Maitreya (Ciampa), il Buddha del Futuro, alta 26 metri, furono impegnati 150 tonnellate di bronzo e di rame e ricoperta con 170 Kg di oro.

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    esseri.” Egli fu riconosciuto come la reincarnazione di Gendün Drub e fu trasferito a Drepung dove seguì il rigido programma di studio e meditazione. A lui si deve la scoperta del lago Lhamoi Lhatso22 e la fondazione del monastero Chökor Gyel nel 1509 sulle rive dello stesso lago. Fu inumato nel monastero di Drepung. Seguì Gyalwa Sonam Gyatso (1543-1588); anche la sua infanzia ebbe qualcosa di particolare: nella sua biografia è menzionato che da bambino sedeva sempre a gambe incrociate, dispensava benedizioni, ed ancora giovane menzionò il nome del suo predecessore. Anche lui risiedette a Drepung. Fu un grande viaggiatore e visitò indifferentemente i monasteri di altre scuole; i suoi insegnamenti, nel corso di questi viaggi, furono indirizzati a riportare l’unità tra le varie scuole. Egli riuscì a convertire i Mongoli al buddismo della tradizione Ghelugpa, e l’Altan Khan volle elevarlo al di sopra dei comuni mortali dandogli il titolo di “Talai” (oceano di saggezza), che è stato conservato fino ai giorni nostri come “Dalai Lama”. Per rendere omaggio ai suoi due predecessori, egli estese il suo stesso titolo a Gendün Drub e Gendün Gyatso, divenendo così il terzo “Dalai Lama” Yonten Gyatso (1589-1617) IV Dalai Lama di origine Mongola, nipote dell’Altan Khan, sparse il

    22 Il lago prende il nome di una protettrice, Palden Lhamo, ed è situato a 150 Km. a Sud-Est di Lhasa.

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    buddismo in tutta l’Asia Centrale, fino in Siberia. Questo fu anche l’inizio dell’ingerenza Mongola nella corte e negli affari dei Dalai Lama. Il V Dalai Lama, ricordato come il “Grande Quinto” (1617-1682), Nawang Lobsang Gyatso, nato a Chongye, la vecchia capitale dello Yarlung, per arginare la potenza del re di Tsang, Karma bstan skyon, a cui erano alleati i Karmapa23, chiese l’aiuto dell’esercito Mongolo. Al comando dei Mongoli vi era Gushri Khan, il quale sconfisse il re di Tsang (1642), ed i Karmapa dovettero assistere al saccheggio del monastero di Tsurphu. Il generale non si fermò qui, ma distrusse tutti i nemici dei Ghelugpa, dal Sikkim al Ladakh. Gushri Khan stabilì la sua capitale a Gyantse, lasciando Shigatse sotto il governo del Pancen Lama24, per porre fine alle

    23 Secondo il Toscano il re di Tsang era “Il continuatore del filone nazionale del Tibet, l’assertore della piena sovranit{ del Tibet, di una patria libera da ogni influenza straniera” Alla Scoperta del Tibet Giuseppe. M. Toscano pag 319 ed E.M.I. 1977. Infatti il potere di Lhasa con l’aiuto dei Mongoli sottomise il Tibet al potere centrale di Lhasa, distruggendo tutto ciò che interferiva con la politica dei Sovrani. 24 Pancen Lama: sembra che il Pancen Lama messo sul trono dal V Dalai Lama era un suo parente. Fu riconosciuto come l’emanazione di Amithaba, uno dei cinque Dhyani Buddha, che risiede nella pura terra di Dewa Cen, situato ad Ovest nella cosmologia mistica tibetana. Quindi il Pancen Lama è considerato superiore al Dalai Lama a livello spirituale, poiché il Dalai Lama è considerato l’emanazione del Bodhisattva Avalokitesvara. Sul piano politico il Pancen Lama era il

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    continue battaglie tra questa regione e Lhasa, e si nominò re e protettore della religione. Sonam Chöpel, personaggio vicino al Dalai Lama, insistette presso quest’ultimo che si recasse a Gyantse per arginare il potere politico dilagante di Gushri Khan; così fece, e finalmente il Gushri Khan rimise il potere temporale nelle mani del Dalai Lama; così si entrò nella fase del “Dio-Re”, assistito da un reggente laico come rappresentante del Gushri Khan. Lobsang Gyatso scrisse una storia del Tibet, e considerò di spostare la sede dei Dalai Lama da Drepung a Lhasa. Nel 1645 egli iniziò la costruzione del Potala, ma prima di morire riuscì soltanto a terminare la parte bianca. Per suo volere la sua morte fu tenuta nascosta per 15 anni; questo servì al reggente, Sangye Gyatso, per terminare la parte rossa del Potala nel 1690. Il Potala diventò il centro politico e religioso, il luogo dove furono inumati tutti i Dalai Lama dal V al XIII, all’eccezione del VI. Lobsang Gyatso fu un uomo politico

    sovrano della regione di Shigatse, ed ha sempre avuto un ruolo molto importante negli affari politici fino ai giorni nostri. L’ultimo Pancen Lama non fuggì dal Tibet con l’arrivo dei cinesi e passò 14 anni a Pechino per la rieducazione perché aveva insistito presso i tibetani di continuare ad avere fede nel Dalai Lama in esilio in India. Morì in maniera misteriosa. Oggi giorno vi sono due Pancen Lama, uno riconosciuto dal Dalai Lama, scomparso nelle mani dei cinesi, l’altro messo sul trono dai cinesi e considerato il vero Pancen Lama dal governo cinese.

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    oltre che spirituale; con l’aiuto dei Mongoli assorbì i monasteri di altre scuole, diede spazio alle scienze e fu tollerante verso altri tipi di religione. Si racconta che dalla sua finestra vedeva un uomo continuamente raccolto in preghiera; un giorno decise di conoscerlo ed inviò un Lama ad invitarlo. L’uomo disse che sicuramente ci sarebbe andato. Quando il messaggero ritornò davanti al Dalai Lama, l’uomo era già arrivato. Era un mistico musulmano, ed il Dalai Lama gli chiese come si trovasse a Lhasa. Egli rispose che stava bene, ma che a Lhasa mancava uno spazio per seppellire i morti del suo credo. Il Dalai Lama salì sul tetto del Potala e tirando quattro frecce delimitò la zona di residenza dei musulmani, ancora rimasta tale oggigiorno. In seguito il mistico musulmano ritornò ad incontrare il Dalai Lama più volte, tanto che alcuni sussurrarono che quest’ultimo si fosse convertito all’ Islam. Il VI Dalai Lama, Rigdzin Tsangyang Gyatso (1683-1706) rimase nella storia come il Dalai Lama contestatore; era un personaggio assai fuori dal comune, ricordato con molto affetto dal popolo tibetano. Involontariamente egli offrì il pretesto di una nuova interferenza in Tibet ai Ching, nuova dinastia dei Manciu regnanti in Cina: viene riportato che ad un certo punto della sua carriera monastica, quando era il momento di prendere i voti da monaco, egli li rifiutò davanti al suo tutore il Pancen Lama, imbarazzando notevolmente il clero tibetano che non poteva dimetterlo poiché era una

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    reincarnazione né poteva accettarlo a causa di questo suo rifiuto e della sua condotta poco ortodossa; eccellente praticante del Vajrayana era allo stesso tempo poeta, amante delle belle donne e delle taverne, dove si recava di notte con i suoi amici a bere ed ad incontrarsi con le donne locali. Egli abbellì la residenza di Norbulinka e dietro al Potala costruì il Lukhang, il luogo dove si consumavano i suoi incontri segreti. La sua condotta fu il pretesto, non la causa reale, dell’invasione Mongola. Lhazang Khan, alleato della corte Manciu, marciò su Lhasa (1706), uccise il potente reggente Sangye Gyatso, saccheggiò Drepung e portò via il Dalai Lama, con la scusa di portarlo a Pechino. Non si ebbero più notizie di lui; sembra che fu ucciso vicino al lago Kokonor. Da quel momento in poi la reggenza passò in mano al clero (prima era in mano ai laici) e si protrasse non oltre al 20 anno di età del Dalai Lama. I rappresentanti cinesi a Lhasa mantennero la pace per un secolo e mezzo, appoggiati dai monaci Ghelugpa conservatori; questa è una delle ragioni per cui più tardi il Tibet verrà considerato come facente parte della sfera politica della Cina. A Lhasa, i reggenti pro-cinesi continuarono a mantenere il potere attraverso le morti premature dei Dalai Lama, il che durò fino al XIII Dalai Lama. Thubten Gyatso (1875-1933), XIII Dalai Lama, il primo a raggiungere la maggiore età dal VIII Dalai Lama

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    in poi, regnò nel momento del declino della dinastia Ching e della presa di potere dei nazionalisti cinesi, e, cosa più importante ancora, nel momento in cui vi poteva essere un apertura verso l’occidente da parte del Tibet. Egli andò in esilio per due volte: la prima nel 1904, con l’arrivo della spedizione Inglese comandata da Younghusband, che aveva il pretesto d’installare una missione commerciale a Lhasa (il vero motivo era di sorvegliare più da vicino le mire espansionistiche Russe e cinesi). Gli Inglesi entrarono attraverso il confine con il Sikkim ed un incidente causò una battaglia che in pochi minuti lasciò sul terreno più di 700 tibetani. Il Dalai Lama si rifugiò a Pechino e ritornò nel 1910, per ripartire di nuovo in esilio nel 1911 a Darjeeling, India, quando i cinesi tentarono di occupare il Tibet.25 Al suo ritorno egli proclamò l’indipendenza del Tibet, e subito dopo si scontrò con l’intransigenza del clero che non volle le sue innovazioni ed aperture verso l’occidente. Sembra che anche lui morì avvelenato per mano dell’opposizione.

    Il Tibet perse così l’occasione di entrare nella comunità internazionale come paese indipendente.26

    25 Questa invasione dei cinesi non fu come quelle precedenti del 1720/28/50/92, su richiesta tibetana, ma rientrava nell’ottica coloniale della spartizione del mondo. 26 Il trattato di Shimla del 1914, non sottoscritto dalla Cina, stipulava quanto segue: “ Il Tibet costituisce una parte della Cina, comunque sia la Cina che l’Inghilterra s’impegnano a non annettere tutto o parte del territorio tibetano.” Una distinzione fu fatta fra il “Tibet esterno” che

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    L’incapacità politica di Thubten Gyatso è stata fatta risaltare più volte da storici Inglesi e cinesi: sembra che abbia passato molto tempo cercando rifugio prima in Mongolia , da dove fu allontanato, quindi in Cina, e infine corse a chiedere aiuto agli Inglesi che aveva combattuto prima. Naturalmente non fu ascoltato seriamente da nessuno. A causa della sua poca responsabilità politica gli fu anche levato temporaneamente il titolo di Dalai Lama dai cinesi. Le sue valutazioni politiche erano nulle, specialmente la speranza di un aiuto militare dalla Russia in quel momento occupata con guerre più serie.

    Il XIV Dalai Lama, Jampel Nawang Lobsang Yeshe Tenzin Gyatso, nacque nella regione dell’Amdo nel 1935. Il reggente Reting Rimpocè fu l’artefice del suo riconoscimento attraverso i segni che gli si mostrarono nelle acque del lago Lhamoi Lhatso, dove egli sedette in profonda meditazione; ad un certo punto apparvero tre sillabe sulla superficie del lago: AH-KA-MA; nella visione vide anche un monastero di tre piani, con tetti d’oro e di giada, ed un sentiero che conduceva ad un abitazione ai

    si governava da se e che non sarebbe stato rappresentato al parlamento cinese, e “Tibet interno” di cui le regole non sono state ben definite. “La scelta del Dalai Lama è di competenza esclusiva dei tibetani, e sarà notificata al governo cinese che attraverso il suo rappresentante a Lhasa conferirà il titolo che gli spetta secondo il suo rango.”

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    piedi di una collina , con il tetto fatto con tegole blu. Era il 1935, ed un anno dopo una delegazione partì alla ricerca del bambino che fu trovato nell’esatto posto descritto

    dalla visione.

    Già nella sua infanzia S.S. il Dalai Lama dovette arrivare di nascosto a Lhasa, sul trono che gli spettava di diritto. L’oracolo di stato venne consultato e consigliò d’insediarlo subito; così nel 1940, all’età di cinque anni, egli si ritrovò già seduto sul trono, anche se era il reggente a curare gli affari politici. Nel 1949, dopo la caduta del governo nazionalista cinese, i tibetani considerarono terminati i vincoli di alleanza provenienti dal periodo imperialista, e quindi invitarono i cinesi residenti in Lhasa a lasciare il paese; subito dopo il governo di Tchang Kai Chek annunciò la sua decisione di voler liberare il Tibet. Fu così che all’età di 15 anni al Dalai Lama furono conferiti i pieni poteri temporali e spirituali. In attesa dei risultati delle negoziazioni tra i rappresentanti del suo governo e il governo comunista cinese, il Dalai Lama si allontanò da Lhasa nel 1950, ma vi fece ritorno subito dopo sperando che i cinesi avrebbero mantenuto la promessa di lasciare l’autonomia al Tibet e la libertà di culto. Nel 1951 avvenne l’occupazione “pacifica” del Tibet con l’arrivo delle truppe cinesi. Nel 1959 i cinesi invitarono il Dalai Lama ad uno spettacolo culturale, dove egli si doveva presentare da solo, senza scorta. Il popolo tibetano lo

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    venne a sapere e si ammasso davanti al Norbulinka per vietare a Tenzin Gyatso di andarci. Il Dalai Lama scappò di notte travestito da laico per evitare un massacro, ed al suo posto venne messo un monaco che gli somigliava. Scortato dai fedeli Khampa, il 30 marzo attraversò la frontiera dell’India, in Assam. A Lhasa scoppiò una rivolta che venne brutalmente repressa dall’esercito di liberazione; fu con la rivoluzione culturale del 1966 di Mao Tse Tung che la repressione toccò il suo apice, con la distruzione di monasteri, uccisioni, trasformazione di monasteri in comunità agricole, sterilizzazioni etc....Assurdamente alcuni monasteri furono risparmiati dalla furia delle guardie rosse da Ciu En Lai.

    Il Dalai Lama si stabilì a Dharamsala, nello stato dell’Himachal Pradesh, India del Nord, nel 1960. Con lui 100.000 tibetani hanno scelto la via dell’esilio in India, Nepal e Buthan; in questo modo sono riusciti a ricostruire i principali monasteri, in cui le tradizioni religiose e culturali vengono tramandate fuori dal Tibet. Nel mentre, nel Tibet stesso si assiste ad un’alternarsi di periodi alle volte repressivi e alle volte più permissivi. Fino ad ora i tentativi del Dalai Lama di raggiungere un punto d’accordo con i cinesi circa un suo ritorno in un Tibet autonomo, non si parla neanche più d’indipendenza, sono risultati infruttuosi.

    indice

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    LE RELIGIONI DEL TIBET La religione bön27 La tradizione bön originariamente consisteva in un assortimento di cognizioni e pratiche magico rituali basate sul principio dell’interazione tra l’uomo, le forze esterne della natura ed il cosmo, invisibili alla percezione ordinaria ma di grande influenza e determinante nell’esistenza umana. Gli antichi bönpo avevano una profonda conoscenza della dimensione energetica dell’individuo e delle energie presenti nell’universo, personificate o dominate da una grande varietà di esseri non umani capaci di essere di beneficio oppure di disturbare l’uomo. Secondo la tradizione, ad un certo momento nel tempo queste cognizioni e pratiche rituali furono revisionate e codificate da Shen Rab Miwo Che, un maestro di Shang Shung, che in molti modi era simile ai grandi saggi e fondatori delle religioni del passato. Shang shung, la città dal quale i bön, regnavano sul Tibet ha origine antichissime, si parla di 2000 anni prima di Cristo. La sua localizzazione è creduta essere nella zone del Kailash, ed diversi esploratori recentemente ne rivendicano la scoperta ed alcuni di

    27 bön: le informazioni in questo paragrafo sono state tratte dal libro: “Drung, Deu e bön; narrazioni, linguaggio simbolico nella tradizione bön del’antico Tibet” Namkai Norbu, ed. Shangshung 1991

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    essi ne fa di essa la mitica Shangrla. I bön regnavano sul Tibet, lasciando ampia autonomia politica poiché molte zone erano difficilmente raggiungibili. L’origine di questo popolo non è ancora determinata, si sa che avevano raggiunto una civiltà molto avanzata la cui distruzione incominciò con l’avvento del buddismo nel periodo di Songtsen Gampo e terminò nel periodo del V Dalai Lama quando tutto quello che era documentato venne completamente distrutto La tradizione religiosa bön era, quindi, presente in Tibet molti secoli prima della diffusione del buddismo, ed era molto probabilmente basata su elementi comuni all’eredità dello sciamanesimo pan-asiatico. Etimologicamente il termine “bön” deriva dal verbo “Bönpa”, recitare formule magiche, perché il potere che i suoi praticanti ottenevano derivava dalla recitazione dei mantra, sillabe o suoni con la capacità di influenzare certe dimensioni di energia. L’innovazione più importante nell’insegnamento di Shen Rab Miwo Che fu l’abolizione degli antichi sacrifici crudeli e l’adozione dell’uso di “effigi” di fango o burro per rimpiazzare le vittime umane o animali, una tradizione ancora mantenuta oggigiorno non soltanto nel bön ma anche in tutte le scuole del buddismo tibetano. Questa era la saggezza originale dei tibetani, che ha imbevuto tutti gli aspetti culturali e religiosi del Tibet. Dopo la diffusione del buddismo in Tibet e le susseguenti lotte e persecuzioni per tentare di eliminare

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    la tradizione bönpo, la religione bön si è trasformata e codificata in un canone di scritture molto simile a quello buddista, non differente nei principi filosofici e nelle pratiche rituali e meditative dalle altre scuole tibetane di tradizione buddista. Questa nuova corrente è conosciuta sotto il nome di “bön riformato” ed ancora adesso esistono monasteri e maestri appartenenti a questa scuola in Tibet, come anche fuori. Allo stesso tempo, negli insegnamenti buddisti tibetani sono stati incorporati vari elementi provenienti dalla tradizione bön, creando così una forma di buddismo particolare chiamata “buddismo tibetano”

    Il buddismo tibetano e le sue scuole Quando il buddismo raggiunse il paese delle nevi, in India era già passato attraverso varie fasi di evoluzione: dal tempo del Buddha Sakyamuni in cui l’accento era su forme di meditazione molto semplici per il controllo della mente nel contesto della vita monastica, i cui monaci dovevano provvedere alla sopravvivenza attraverso l’elemosina, nel corso dei secoli avevano avuto luogo vari concili che avevano dato origine ad un buddismo settario, diviso tra coloro che sostenevano di voler mettere in pratica le parole ortodosse del maestro e coloro che adottavano un punto di vista più moderato adeguandosi ai cambiamenti della società. Così nacquero in India le correnti Hinayana, piccolo veicolo, il

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    cui ideale era quello di praticare con molta assiduità per il liberarsi dalle proprie sofferenze, e il Mahayana, grande veicolo, che proponeva l’ideale del “Bodhisattva”, che aveva come motivazione quella di raggiungere l’illuminazione non soltanto per se stesso ma anche per portare allo stesso livello tutti gli altri esseri. Le due correnti avevano dato origine alla costruzione di monasteri, in India come anche a Sri Lanka, che coesistettero per diversi secoli; si era sviluppato una conoscenza teorica, filosofica e metafisica molto approfondita ed i monasteri godevano di grandi privilegi ed agi materiali. In reazione a questa forma di “imborghesimento” dei monaci si era sviluppata una nuova corrente, il Vajrayana, veicolo adamantino, che proponeva una serie di tecniche di meditazione che portavano all’illuminazione in una sola vita e che non richiedevano la rinuncia dalla vita quotidiana ma permettevano di fare uso degli ingredienti della vita comune come un mezzo per la trasformazione della mente. Nel periodo della diffusione del buddismo in Tibet, in India le tre correnti erano vive anche se vicine al loro tramonto. L’invito in Tibet del maestro Santarakshita aveva apportato soprattutto elementi del buddismo più scolastico, mentre l’arrivo di Padmasambhava, Guru Rimpocè, portò una nota più tantrica. Nel corso dei secoli, anche in Tibet, il buddismo subì varie trasformazioni che dettero origine a differenti scuole o

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    lignaggi d’insegnamento. Ancora oggi nel buddismo tibetano si trovano metodi e concetti filosofici di tutte e tre le correnti, anche se principalmente vengono praticati i metodi Mahayana e Vajrayana. La scuola Nyingmapa28 Questa scuola raccoglie gli insegnamenti diffusi da Padmasambhava, Guru Rimpocè, che arrivò in Tibet su invito dell’imperatore Trisong Detsen e fondò nel 799 il monastero di Samyè con la prima comunità monastica di dodici discepoli. I Nyingmapa assorbirono elementi sciamanici della vecchia religione bön, assimilando le divinità bön animiste come protettori del Dharma. Delle quattro scuole è quella che ancora oggi conserva un maggior carattere di magia nei suoi riti. I detentori di questa scuola non si mescolarono mai con faccende politiche, il che causò la loro poco notorietà fino all’arrivo del V Dalai Lama. La famiglia di quest’ultimo apparteneva al lignaggio Nyingmapa e perciò egli ne risollevò le sorti con la fondazione di due monasteri, quello di Mindroling e quello di Dorge Drak. Padmasambhava ebbe due consorti, una delle quali la tibetana Yeshe Tsogyal, insieme alla quale nascose, in posti segreti in Tibet ed in India, molti testi contenenti insegnamenti segreti e profezie che sarebbero stati

    28 Nyingmapa: in tibetano significa vecchia, anziana

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    riscoperti nel momento opportuno in tempi posteriori. Questi testi sono chiamati “gterma” e i Nyingmapa contano tra i loro maestri molti “tertön”, scopritori di testi. Tipico di questa scuola è la pratica dello dzogchen, attraverso il quale, con pratiche yogiche, si realizza il corpo dell’arcobaleno al momento della morte e non si lasciano tracce di spoglie mortali dietro di se.29 Poiché questa scuola non fu coinvolta nelle politica, la trasmissione in questo lignaggio avviene principalmente da padre in figlio. La scuola Sakyapa Fu la prima ad essere fondata nella seconda diffusione del buddismo in Tibet. Essa si basa sugli insegnamenti dello yogin tantrico indiano Virupa, che furono portati in Tibet da Drokmi Lotsawa30. Nel 1073 Kunciok Gyalpo fondò il monastero di Sakya e ne fu il primo abate. Gli succedette Kunga Nyingpo il quale sviluppò una mescolanza di vecchi e nuovi tantra e la

    29 Questo metodo chiamato “jangter”, letteralmente: il terma a nord, proviene da un insegnamento descritto in questo terma scoperto da un maestro chiamato Godemchen; è conosciuto per la sua semplicità, rapidità e efficacia per raggiungere la natura di Buddha; era specialmente diffuso nel XIV sec. nei lignaggi Godemchen, consistenti in linee di yogin Ngakpa per la maggior parte laici. 30 Lotsawa: in tibetano traduttore

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    sistematica analisi filosofica e logica tipica di questa scuola. I Lama Sakya furono famosi per le loro arti magiche e il loro potere politico. Sakyapandita e Pakpa furono personaggi politici potenti alla loro epoca. Dal loro monastero uscivano i lung-Gompa31. La scuola Sakyapa è principalmente una scuola monastica con l’accento sul raggiungimento intellettuale, benché essi siano specializzati nella pratica tantrica del Lamdre32, un sentiero tantrico che porta velocemente all’illuminazione. La scuola Kagyupa

    Lignaggio “della trasmissione orale” viene chiamata anche dei “berretti rossi”. Gli insegnamenti tramandati provengono dagli yogin tantrici indiani Tilopa, Naropa, Maitripa ed altri, trasmessi al tibetano Marpa Lotsawa di Lodrak (1012-1096) , che si recò per tre volte in India per riceverli e poi li tradusse e li trasmise ai suoi

    31 Lung-gom: meditazione del vento, sistema di meditazione che viene fatto al buio completo per un lungo periodo di tempo, alla fine del quale i praticanti sono capaci di coprire distanze lunghissime in brevissimo tempo. 32 Lamdre: un sentiero tantrico basato sulla dottrina del sentiero (lam) e del frutto (dras)

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    discepoli tra cui il principale era Milarepa del Gung Thang (1040-1123)33. Ci permettiamo una piccola divagazione per raccontarvi la storia della vita di Milarepa che rimane tutt’ora un magnifico esempio di un uomo del tutto comune che attraverso la pratica ascetica raggiunse la Buddhità. Prima di diventare il famoso yogin, Milarepa ebbe una gioventù travagliata che lo portò fino all’uccisione dei suoi parenti; essi si erano impossessati dei beni lasciati loro in custodia da suo padre in punto di morte con la promessa da parte dello zio di restituirli a Milarepa al raggiungimento della maggiore età. La promessa non fu mantenuta, e la madre, risentita per questo torto, spinse il figlio ad imparare la magia per uccidere i parenti. Milarepa obbedì al volere della madre, ma in seguito fu preso dal rimorso per quello che aveva fatto e seguendo il consiglio del suo maestro di magia si mise alla ricerca

    33 Mi la ras pa: Mila era il suo nome di famiglia, ras.pa significa “vestito di cotone” perché quella fu l’unica veste che indossò dopo che lasciò il suo maestro e si dedicò per tutta la sua vita alla pratica dello yoga; era uno specialista di “Tummo” una pratica che origina il calore interiore, e vestirsi solo di cotone oppure semplicemente nudo anche in posti freddissimi dimostrava la siddi (realizzazione) di questa pratica. Il tummo fa parte dei sei insegnamenti tantrici dati da Naropa a Marpa, chiamati i “sei yoga di Naropa”, che sono la crema del sentiero vajrayana; oltre al tummo vi è la pratica del corpo illusorio, lo yoga del sogno, la chiara luce, il bardo e il powa.

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    del maestro Marpa. All’inizio il loro incontro non fu dei più felici. Attraverso i suoi poteri di preveggenza, Marpa sapeva del suo passato e sapeva anche della connessione karmica con lui34. Lo sottopose a tutti i tipi di prove fisiche e psicologiche che portarono Milarepa sull’orlo del suicidio. L’unica persona ad aiutarlo fu la moglie di Marpa, Dagmema, che lo assistette con amore materno, fino al momento in cui Marpa gli diede gli insegnamenti tantrici che in seguito lo portarono alla realizzazione. Milarepa, maestro dei sei yoga di Naropa, visse nella zona di Nyalam, ed ebbe molti discepoli a cui insegnò nella maniera dei Mahasidda indiani, attraverso i canti spirituali, chiamati doha35. Due tra i suoi discepoli furono quelli più importanti per la discendenza del lignaggio: Reciungpa, uno yogin laico i cui insegnamenti sono tramandati nella scuola Drugpa Kagyu, e Gampopa, un monaco Kadampa (1079-1153) da cui discende il lignaggio Karma Kagyu. Il principale discepolo di Gampopa fu

    34 Connessione karmica: essa indica un legame con qualcun’altro proveniente dalle vite passate. 35 Doha: un metodo d’insegnamento in cui il maestro esprime i suoi concetti e le sue comprensioni in canti poetici. Insieme con la biografia di Milarepa vi è una raccolta chiamata “I Centomila Canti di Milarepa”, scritta da Tsang Nyong Heruka, in cui vengono narrati gli incontri e l’interazione con i principali discepoli nel corso dei suoi lunghi viaggi. Questa raccolta è tradotta e pubblicata da Franco e Kristin Pizzi, ed. Rassegna Culturale J.M, 1989. Roma

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    Dusum Kyempa (1110-1193), il primo Karmapa. Il lignaggio dei Karmapa è rimasto intatto fino ai giorni d’oggi con il XVII Karmapa, Oghien Trinle, riconosciuto nel 1992 come reincarnazione di Rangjung Rigpei Dorge (1924-1981) deceduto a Rumetriek, la sua sede in esilio in Sikkim, India del Nord. Il XVII Karmapa viveva nel monastero di Tsurphu, nella valle di Tölung 1998). Nel gennaio del 2000, il giovane karmapa scappa dal monastero di Tsurpu per rifugiarsi a Dharamsala. La sua fuga è stata giustificata dalla necessità di stare vicino al suo lama, per poter progredire nei suoi studi, ma, oltre ad essere poco chiara, ha creato notevole imbarazzo per il governo indiano, che ancora non ha concesso l’asilo politico, e per il governo tibetano in esilio. Per il momento è relegato in un monastero Gelugpa in Dharamsala e non ha il permesso di muoversi se non guardato a vista dai servizi di sicurezza indiani. Oltre ai Drugpa Kagyu e i Karma Kagyu, il lignaggio Kagyu ebbe altri rami, come i Drigung Kagyu, i Taklung Kagyu, ed altri meno importanti, ognuno con un lignaggio di discendenza specifico. Tutte queste scuole mettono l’accento sulla pratica di meditazione, ed hanno instaurato una tradizione di un ritiro di tre anni, tre mesi e tre giorni, come un periodo per imparare tutte le tecniche di meditazione. Nel passato gli yogin meditavano da soli, nelle grotte in montagna, ma l’istituzione del ritiro serve allo scopo pratico d’istruire molti aspiranti maestri in una volta. Il punto di vista filosofico su cui si basano gli

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    insegnamenti Kagyupa è quello della Mahamudra36, il grande sigillo, l’unione della verità ultima e relativa. La scuola Ghelugpa

    Conosciuta anche come i “Berretti Gialli”, fu l’ultima ad essere fondata in Tibet . Si originò da Tsonkhapa37 (1357-1499), un fervente seguace della scuola Kadampa, portata in Tibet da Atisha. Tsonkhapa si presentò sulla scena in uno dei tanti momenti di degenerazione del clero. Egli impose una rigida disciplina, fece indossare i berretti gialli per distinguere i suoi monaci da quelli Kagyupa che indossavano berretti rossi, ed impostò la nuova scuola dei Ghelugpa (la scuola dei virtuosi) sulla disciplina monastica, sullo studio della filosofia e sul dibattito. Egli fondò il monastero di Ganden nel 1409, ed i suoi discepoli fondarono, in seguito, i monasteri di Sera e Drepung, che divennero vere e proprie città monastiche ospitanti più di 5000 monaci. Tsonkhapa non immaginava di certo che la sua scuola sarebbe diventata la più importante a livello politico, attraverso la successione dei Dalai Lama fino ai giorni nostri. Come abbiamo visto, i Ghelugpa mettono più l’accento sullo studio, e i monaci di questa

    36 Mahamudra: in tibetano ciak-ghya-cempo; letteralmente il grande sigillo. 37 Tsonkhapa: lett.” Della regione delle cipolle.”

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    scuola ottengono il titolo di geshe38 dopo aver studiato per vent’anni. È solo dopo un lungo studio che gli viene aperta la porta della meditazione tantrica. Il punto di vista filosofico maggiormente seguito nella scuola Ghelugpa è la mahamudra.

    Il cristianesimo39 Il cristianesimo fece una breve apparizione sul Tetto del Mondo nel XVII sec.. con il gesuita portoghese Antonio De Andrade (1624). Egli diede l’avvio ad una comunità cristiana nel regno di Guge dove creò una missione con l’appoggio del re e della regina e dove costruì anche una chiesa cristiana; la missione sembrò fiorire fino al 1630 a tal punto che i lama buddisti, vedendo la loro influenza diminuire, chiesero l’aiuto all’esercito del Ladakh per destituire il re, chiudere la missione e distruggere la chiesa. La destituzione del re della vecchia dinastia di Guge segnò la fine di questo regno.

    Nel 1712 Ippolito Desideri ritornò in Tibet alla ricerca della missione fondata da De Andrade, ma sembra che fu più interessato a restare a Lhasa, dove imparò il tibetano e tradusse la Bibbia in tibetano

    38 Geshe: corrisponde più o meno ad un nostro professore di filosofia. 39 Ved Charles Allen, op cit Pag 37 a 39 e da 41 a 54.

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    piuttosto che andare a cercare la missione della quale comunque non si seppe più nulla. Egli rimase a Lhasa fino al 1721 dove incontrò il Lhazang Khan e gli fu dato il permesso di parlare ed evangelizzare liberamente. Non trovò nessuna comunità cristiana in Tibet né tentò di crearne una. Quando lasciò il Tibet portò con se le sue note che diedero origine ad un libro molto interessante, trovato tra i suoi documenti dopo la sua morte nel 1875 nella libreria di un cavaliere Italiano di Pistoia.

    L’islam Una piccola comunità musulmana risiede a Lhasa sin dal periodo del V Dalai Lama.

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    IL POPOLO TIBETANO

    Tradizionalmente si può dire che la popolazione tibetana è divisa in due categorie: i nomadi, che vivono di pastorizia e si spostano nell’arco dell’anno dai pascoli più alti in montagna l’estate ai terreni più soleggiati in inverno. Essi vivono in tende di pelo di yak tessuto in strisce e cucite insieme; la loro dieta consiste soprattutto di tsampa (farina di orzo abbrustolita) mangiata in vari modi, latte, formaggio di yak, (piccole rondelle seccate al sole ed estremamente dure da mangiare se non sciolte nelle zuppe) o ad altri tipi più somiglianti ai nostri formaggi affumicati, burro e carne soprattutto secca sempre di yak o di pecora. La loro bevanda principale è il tè al burro, che più che ad un tè assomiglia ad un brodo, molto nutriente per le altezze a cui vivono. La bevanda alcolica tradizionale è il chang, birra di orzo fermentato. L’altra parte della popolazione tibetana si dedica maggiormente a due tipi di attività: l’agricoltura ed il commercio. L’agricoltura si basa soprattutto sulla coltivazione dell’orzo, la base per la tsampa, oltre al grano, gli ortaggi e le patate in differenti zone del Tibet.

    Il commercio è una grossa fonte di guadagno del popolo tibetano. Da secoli i tibetani sono abili

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    commercianti ed è raro trovare una famiglia senza neanche un commerciante. Per tradizione un figlio o una figlia veniva donato ad un monastero, in teoria per l’accumulazione di karma positivo che maturerà nelle vite future, ma più realisticamente per questioni economiche. Un tibetano mi diceva che solitamente questa sorte toccava a quello meno dotato, mentre gli altri venivano indirizzati verso il commercio o l’amministrazione delle terre. Così era per le famiglie più abbienti, mentre per le altre donare un figlio al monastero era una questione di sopravvivenza oltre ad una questione di prestigio: al figlio veniva offerta la possibilità di un istruzione religiosa ed egli acquistava lo status del monaco che ancora oggi viene considerato come un livello elevato. Il commercio era sviluppato soprattutto verso Sud con il Nepal, e da qui fino al Bihar e il Bengala. I viaggi d’affari verso il Sud erano allo stesso tempo motivo di pellegrinaggio in luoghi sacri al buddismo: in Nepal a Boudhanath, Swayamunath e Lumbini- luogo di nascita del Buddha Sakyamuni-, in India a Sarnath -luogo del primo insegnamento del Buddha- a Bodhgaya -luogo dell’illuminazione del Buddha- e Kushinagar, luogo del para-nirvana del Buddha. Ad Est il commercio era sviluppato con la Cina, da cui importavano soprattutto tè e broccati. Recentemente la popolazione tibetana si è dovuta adattare alle richieste dell’occupante cinese che

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    ha cercato di trasformare questo paese feudale in uno di tipo socialista; quindi molti tibetani sono stati costretti a lasciare la vastità delle loro valli per lavorare nelle officine cinesi, alla costruzioni delle strade e in tutti quei generi d’impieghi che fanno parte di una civilizzazione moderna. Anche se il progresso importato dai cinesi non è stato soltanto di svantaggio ai tibetani, ha interrotto l’integrità di una cultura che come tutte le altre aveva il diritto di scegliersi le proprie vie di sviluppo e la popolazione cinese immigrata in Tibet, che a detta del governo tibetano in esilio di Dharamsala, supera oramai quella tibetana, ha tolto al Tibet la sua caratteristica di omogeneità ed ha creato il problema della fusione delle due culture e la perdita dell’autenticità da una parte per i tibetani, e il discontento per la popolazione cinese che stenta ad adattarsi nel contesto culturale e fisico del Tibet. Guardando più da vicino queste cose ed ascoltando alcuni amici tibetani, (1999-2000) le cose cambiano rapidamente anche in questo ambito . In effetti alcuni conoscenti mi dicevano che oramai le nuove generazioni tibetane e quelle cinesi tendono verso l’integrazione l’una dell’altra. Il tibetano medio, quello che vive nella campagna o il pescatore non ha più interesse nella lotta per l’indipendenza ma pensa alla propria sopravvivenza. Certo, nella loro vita almeno una volta vogliono incontrare il Dalai Lama, e sembra che oramai i permessi vengono dati facilmente per chi vuole viaggiare in India.

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    Il matrimonio: varie sono le forme di matrimonio in Tibet, ancora conservate ai giorni nostri. La monogamia è praticata nella regine dell’Amdo, la poliandria e tuttora praticata in molte zone del Tibet, all’eccezione delle grandi città. La poligamia, oramai in disuso, era praticata dai Re o dalle famiglie potenti per conservare le loro proprietà. Un mio amico mi diceva che nelle città, come Lhasa, i giovani tendono a sposare chi vogliono e non sono difficili i matrimoni fra le due etnie. La morte ha sempre avuto un ruolo importante nella cultura tibetana. La credenza nella reincarnazione ha spesso influenzato le attività giornaliere del popolo del paese delle nevi, la credenza nella legge di causa ed effetto, alla base della filosofia buddista, porta ad una condotta meritoria nella vita quotidiana. Al momento della morte vengono eseguiti dei rituali per la guida del principio cosciente del defunto attraverso i 49 giorni di bardo40. I rituali possono essere più o meno ricchi a seconda delle possibilità economiche della famiglia del defunto. Il tipo di funerale più usato è quello “dell’aria”. Il corpo viene portato in appositi posti, e sezionato. I resti vengono lasciati in pasto alle belve o agli uccelli. Altro metodo è quello di gettare il cadavere in un fiume, o la cremazione se si tratta soprattutto di lama. indice

    40 Bardo periodo intermedio fra la morte e la nuova rinascita

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    OGGETTI RITUALI E DIPINTI

    Una breve introduzione agli oggetti rituali ed ai più comuni dipinti che si trovano nei monasteri può essere interessante per i clienti che di solito si attardano per le foto e che non seguono le spiegazioni della guida. Arrivando ad un monastero la prima cosa che colpisce è una ruota dorata con otto raggi fiancheggiata da due gazzelle sul tetto, indipendentemente dalla scuola di appartenenza della Gompa stessa. La ruota rappresenta la diffusione della dottrina (chiamata dharma), e gli otto raggi all’interno di essa indicano “l’ottuplice sentiero”41, insegnamento del Buddha Sakyamuni; poiché questo insegnamento fu dato nel parco dei cervi a Sarnath, Benares, ritroviamo le due gazzelle. Ogni Gompa al suo interno è strutturata in modo da rendere omaggio ai tre luoghi di rifugio: il Buddha, il Dharma e il Sangha. Il Buddha è simboleggiato dalla statua di Sakyamuni, normalmente posta sull’altare principale;

    41 Ottuplice sentiero: questo insegnamento del Buddha spiega: la giusta visione, il giusto pensiero, la giusta parola, la giusta azione, il giusto modo di sussistenza, il giusto sforzo, la giusta consapevolezza e la giusta concentrazione.

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    Il Dharma è mostrato dai volumi del Kangyur e Tengyur, gli insegnamenti del Buddha ed i commentari ad essi, disposti generalmente in scaffali che ricoprono le pareti laterali Il Sangha è rappresentato dalla comunità monastica residente nella Gompa; mentre quello che viene definito il “Sangha Supremo” sono i dipinti o le statue onnipresenti in tutti i monasteri dei “Rig Sum Gönpo”, i signori delle tre famiglie, solitamente disposti come segue: Al centro Cenresig, Avalokitesvara, bianco, il Bodhisattva della compassione, seduto nella posizione del loto, con quattro braccia, due delle quali, con le mani giunte sul petto, stringono un gioiello, la rappresentazione della mente pura; nella mano destra tiene un mala, (rosario), nella sinistra un loto. Alla sua destra Jampel Jang, Mangiushri, rosso, il Bodhisattva della saggezza; nella sua mano destra impugna una spada fiammeggiante, simbolo del tagliare le oscurazioni della mente, nella sinistra un loto sul quale è posato un testo.

    Alla sua sinistra Chag Na Dorge, Vajrapani, blu, il Bodhisattva del potere; egli è in piedi ed in un atteggiamento irato; nella mano destra stringe un Dorge.

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    Molto spesso si vedono, su piccoli tavolini usati per i rituali, i seguenti strumenti: una campana, un Dorge, un damaru, una o due kapale ed una mala. Il significato di questi strumenti è molto profondo e complesso; qui daremo la spiegazione più facile da tenere a mente: La campana, simbolizza il principio femminile, la saggezza Il Dorge, il principio maschile, il mezzo; all’inizio di ogni rituale vengono presi il Dorge con la mano destra e la campana con la sinistra e incrociati sul petto a ricordare l’unione sessuale, base del tantrismo, per raggiungere la conoscenza della mente nel suo stato puro. Il damaru, un piccolo tamburello usato per richiamare le divinità. Kapala: tradizionalmente era una calotta cranica ora sostituita con contenitori della stessa forma ma in ottone o altri metalli. Normalmente, anch’essi oggetti appartenenti al tantrismo, sono nel numero di due e contengono una del tè, simbolo del sangue mestruale, e l’altra del chang (birra tibetana bianca), a ricordare il seme maschile. Mala, rosario di 108 semi. Quando si sgrana il mala recitando i mantra, bisogna pensare che ognuno dei semi è la divinità a cui ci si rivolge; quindi il mala viene considerato un oggetto molto personale e sacro.

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    Sulle pareti, tra gli altri dipinti, di solito ve n’è uno strutturato a forma di albero, al centro del quale vi è un Lama circondato da altri Lama; questo dipinto indica il lignaggio di appartenenza del monastero. Thangka : Dipinti su tela contornati da broccati di vari colori; nei monasteri se ne trovano decine appesi sui muri. Questi dipinti raffigurano differenti divinità, dei mandala oppure dei maestri; sono facilmente arrotolabili e permettevano al praticante o ai devoti nomadi di portarli con se dovunque andavano. Esiste una particolare tradizione per fare thangke ricamate invece che dipinte, in cui vari pezzi di seta vengono cuciti insieme, simile ad un patchwork o ad un lavoro di “appliqué”. Questo tipo di thangka, chiamato “gocen thangka”, viene utilizzato soprattutto in occasione delle feste rituali in cui un thangka enorme viene srotolato davanti agli spettatori. Mandala : I mandala possono essere dei dipinti su muro, su thangka, fatti con sabbie colorate su grosse pietre rotonde, che si trovano all’interno dei monasteri, costruiti appositamente in occasione di un particolare rituale, oppure rappresentazioni tridimensionali di legno, o altro materiale, del mondo delle divinità. Sui mandala gli occidentali hanno spaziato in lungo e largo, dando ogni sorta d’interpretazione. Brevemente il mandala rappresenta l’universo della divinità al quale è dedicato. Ve ne sono di differenti forme; circolari, quadrati o triangolari.

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    Sull’altare si trovano vari tipi di offerte. Le ciotole di offerte sono dei contenitori di acqua nel numero di sette con al centro di esse una ciömè (lampada a burro). Esse vengono riempite ogni mattina con acqua pura e svuotate la sera. Ogni ciotola rappresenta un diverso tipo di offerta di piacere sensuale per le divinità: acqua da bere, acqua da lavarsi i piedi, fiori, incenso, luce, profumo, cibo e musica. L’origine di questa usanza è indiana, poiché un ospite, in questo caso la divinità, veniva trattato con questo tipo di premure al suo arrivo. Le torme sono offerte fatte di tsampa e ricoperte di burro; alcune sono ornate con fiori fatti anche essi di burro; possono essere di varie dimensioni e forme; alcune sono offerte giornaliere, altre sono fatte appositamente in occasione di un particolare rituale. Le torme vengono considerate come cibo per le divinità, gli spiriti o i demoni. Le divinità: La ricchezza delle immagini nel panteon buddista può originare confusione o malintesi per noi occidentali abituati a rappresentazioni più sobrie, e mi sembra quindi necessario dedicare qualche linea per mettere un pò di ordine. Con divinità intendo le rappresentazioni di Yidam, divinità di meditazione, e dei Protettori con il loro seguito. Gli Yidam rappresentano un aspetto della mente pura raffigurata sotto sembianze di un Dio; non sono quindi da considerare come entità realmente esistenti in forma solida, ma la loro immagine deve “essere capita”

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    come un indicazione di un particolare aspetto della mente pura. Così tra le divinità pacifiche troviamo Cenresig, come simbolo della compassione, Tara, come simbolo della gentilezza e dell’amore, Mangiuscri, come simbolo della saggezza etc....Più che le divinità pacifiche si è colpiti da quelle di aspetto irato, con un grande dispiego di sangue, calotte craniche, teste tagliate etc... non è questo il posto per entrare in dettaglio, ma basta pensare che ognuna di questi attributi si riferisce all’eliminazione o distruzione di una particolare negatività, e quindi rappresenta un passo in avanti sul sentiero spirituale. Le divinità di meditazione sono spesso rappresentate in Yab-Yum, unione di aspetto maschile e femminile. Piuttosto che lasciarsi andare ai particolari “spinti” di queste immagini, bisogna interpretarli come facenti parte di sistemi di visualizzazione e meditazione molto elaborati appartenenti al tantrismo, dove il sesso, visualizzato oppure praticato realmente, è considerato come un mezzo per trascendere il modo di funzionare abituale della mente. I Protettori sono delle rappresentazioni particolarmente feroci, che potrebbero anche incutere paura se uno non sapesse che il loro potere e la loro forza servono a distruggere tutto ciò che è nemico o ostacolo alla via spirituale; di conseguenza queste immagini così potenti divengono amici lungo il sentiero.

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    FESTIVAL RELIGIOSI Tradizionalmente ogni monastero ha una sua particolare festività nel corso dell’anno durante il quale vengono eseguite “danze religiose” chiamate “chams”, eseguite dai monaci vestiti con abiti di broccato e grandi cappelli. Il ritmo delle danze viene scandito dai tamburi ed i cimbali. Sono danze molto lente di cui ogni passo ha un significato simbolico. Molto spesso vengono rappresentate scene della vita di Guru Rimpocè (in questo caso la festa è chiamata “tse ciu” (festa del decimo giorno perché ogni decimo giorno del mese tibetano è dedicato a Guru Rimpocè). Altro tema molto ricorrente dei chams è la danza dei “Shia Nak”, cappelli neri, che rappresenta l’uccisione del re Langdarma da parte di Pelgy Dorge. Frequentemente ci sono anche danze collegate con il protettore Mahakala, come per esempio le danze di fine anno chiamate “Gu Tor” in cui una gigantesca torma che simboleggia le influenze negative dell’anno trascorso viene distrutta per eliminare gli ostacoli. Oltre alle chams di ogni monastero vi sono una serie di altre feste rituali in vari periodi dell’anno.

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    ARRIVIAMO SUL TETTO DEL MONDO! LHASA E DINTORNI Per entrare nel Tibet vi sono molte strade che attraversano passi altissimi, le stesse che venivano usate dalle carovane, dai Gesuiti o dagli esploratori inglesi, oggigiorno sono tutte precluse per noi occidentali, quindi la più facile, che noi utilizzeremo, è il volo aereo da Katmandu a Lhasa. Un volo spettacolare di circa un’ora sull’Himalaya ci conduce a Lhasa, all’aeroporto di Gonkar, ad un’altezza di 3600 metri. Le pratiche di entrata nel paese sono lunghe e noiose, e se si vuole avere un carrello per i bagagli bisogna pagare. Lhasa dista due ore di macchina dall’aeroporto. Inizialmente si costeggia lo Tsangpo, si attraversa il ponte di Chakzam42, e si prosegue costeggiando, più avanti, la sponda del fiume Kyiciu43. Lungo la strada l’unico punto interessante dove soffermarsi è il Drolma Lhakhang, a 20 km. da Lhasa. CHAKZAM

    42 Chakzam: ponte di ferro; di questo famoso ponte , il primo in ferro costruito in Tibet, sono rimaste solo le rovine; ora vi è un ponte moderno, sorvegliato dalle guardie armate cinesi. 43 Kyiciu: lett. significa”fiume della felicit{”

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    Il ponte di ferro che attraversava il fiume Tsangpo fu costruito 650 anni addietro da Tangtong Gyalpo, famoso yogin e tertön 44 della scuola Nyingmapa, passato alla storia, più che per i suoi poteri spirituali, per la sua ingegnosità nel costruire ponti sorretti da catene di ferro. Tangtong Gyalpo si recò in Bhutan alla ricerca di questo prezioso metallo e lo ottenne in cambio della costruzione di otto ponti per il governatore del Bhutan. Gli si attribuiscono 108 ponti di cui uno in questa zona. A Sud del ponte vi era la sua residenza principale, la Gompa di Chakzam Ciuwo Ri45, costituita dal Labrang e dal Dukhang, e da un edificio più ampio che era la sua residenza. Il Ciörten46 che si trova all’estremità del ponte contiene le sue reliquie e una sua immagine, custodita nella cappella sulla punta. Il ponte è dominato dalla montagna Ciuwo Ri. Sul fianco di questa montagna vi sono 108 fonti di acqua termale; sono stati costruiti 108 eremitaggi, dove si dice che 108 yogin hanno raggiunto il risveglio dopo che questo posto era stato benedetto da Padmasambhava. La grotta dove quest’ultimo ha vissuto, una delle sue 8 grotte di meditazione, è situata sulla cima della

    44 Tertön: persone che hanno il potere di ritrovare testi nascosti da Padmasambhava e dalla sua conserte Yeshe Tsogyal, normalmente appartenenti alla scuola Nyingmapa. 45 Ciuwo Ri: la montagna dell’acqua calda 46 Ciörten: termine tibetano per “Stupa”

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    montagna, ed è chiamata ”Namkhading” (fluttuante nel cielo). Da questo posto incominciò la crociata contro il buddismo condotta da Langdarma, ultimo re della dinastia di Yarlung. DROLMA LHAKHANG A 20 km. da Lhasa si trova il complesso monastico di Nyethang, di cui l’unica costruzione che fu risparmiata per volere di Ciu En Lai è il Drolma Lhakhang.47 La fama di questo monastero è dovuta al famoso maestro Bengalese Atisha che vi risiedette dal 1042 al 1054, anno della sua morte. Nel periodo in cui risiedeva a Guge, Dromtön lo invitò in Tibet per

    47 Drolma Lhakhang: Monastero di Tara, divinità femminile pacifica che neutralizza tutti gli ostacoli alla vita e tutte le paure. Benchè ci sono immagini di molti differenti aspetti di Tara, quelli più ricorrenti sono Tara verde e Tara bianca, sedute rispettivamente nella posizione del Bodhisattva e nella posizione del loto. La leggenda dice che Tara era una principessa di nome Dawa, luna, che volendo divenire un Buddha si presentò davanti ad un assemblea di saggi esponendo il suo desiderio. Le fu detto che ciò a cui aspirava era molto elevato, e siccome lei era in possesso di un corpo femminile e quindi inferiore, doveva aspettare la prossima reincarnazione per poter realizzare il suo scopo. Lei replicò dicendo che a livello ultimo non esiste nessuna differenza di sesso e quindi continuò la sua strada fino alla realizzazione; fece il voto di eliminare tutte le paure degli esseri manifestandosi sempre in una forma femminile. Tara o Drolma in tibetano lett. significa” liberatrice”

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    risollevare le sorti di un ennesimo periodo di decadenza, e Atisha vi restò fino alla morte. Il tempio di Drolma fu costruito in questo periodo. Si accede al monastero attraverso un piccolo e simpatico giardino sui i cui lati vi sono le abitazioni dei pochi monaci rimasti; l’edificio è costituito da tre camere e le mura della Gompa sono decorate con affreschi che rappresentano Atisha con i suoi due discepoli più vicini, Dromtön e Naktso Lotsawa. Inoltre si può ammirare un affresco del Buddha Sakyamuni fiancheggiato dal Bodhisattva Jampa (Maitreya) e Jamyang (Manjugosha). I quattro guardiani48 sono rappresentati da statue risalenti alla costruzione del monastero. All’interno le tre camere sono connesse tra di loro: - La prima, il Namgyal Lhakhang, contiene due stupe; una di esse contiene pezzi di vestiti di Atisha, l’altra reliquie di Marpa; si può ammirare anche una statua di Atisha in terra cotta, dove egli, a


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