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#politicanuova - 01

Date post: 15-Mar-2016
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n. 01 - luglio 2013 Quadrimestrale marxista della Svizzera italiana.
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01 quadrimestrale marxista della Svizzera italiana luglio 2013
Transcript

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quadrimestrale marxista della Svizzera italiana

luglio 2013

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Indice

Editoriale

Salvare o affondare il lavoro in Ticino?

Le condizioni minime per la trasformazione socialista

In Venezuela la posta in gioco è il socialismo

Diplomazia “pueblo a pueblo”, cioè il nuovo internazionalismo

Quale sviluppo per il movimento di lotta in Turchia?

Lugano: quale situazione per la città e la sinistra dopo le elezioni comunali?

Il finanziamento dei partiti è una questione di classe e di uguaglianza

La necessità dell’unità d’azione a sinistra

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DirettoreDavide Rossi

Progettazione graficaRoby Gianocca

Abbonamenti25.- Normale50.- Sostenitori30€ Esteri

EditorePartito Comunista

Indirizzoc/o Max Ay, Via Birreria 19, 6503 Bellinzona

CCP69-3914-8 Partito Comunista6900 Lugano

#politicanuova

quadrimestrale marxista della Svizzera italiana

nr. 1luglio 2013anno I

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Economia e lavoro Teoria e prassi Internazionale TicinoEditoriale

Cari sostenitori,Cari amici,Cari compagni,

Dopo quasi due anni d’attesa (l’ultimo numero dell’Inchiostro Rosso aveva visto la luce nell’autunno del 2011), torna alle stampe un giornale edito dal Partito Comunista. È questo un giornale che si vede estremamente rinnovato nella for-ma e nei contenuti : si tratterà principalmente di una rivista di analisi teorica, di riferimento nella formazione dei militanti e di uno strumen-to di lotta, e non di cronaca. Oltre alla già citata eredità dell’Inchiostro Rosso, #politicanuova si propone quale successore de “Il Lavoratore”, ma vuole unire anche la sinistra di trasformazione, quella un tempo vicina all’esperienza del PSA e della prima Politica Nuova. Ci piacerebbe poter condividere questa nuova esperienza con voi, e vi invitiamo pertanto a sostenerci con lo stesso entusiasmo con cui ci avete supportati nel passato, abbonandovi a #politicanuova con la ce-dola che trovate allegata a questo primo numero. Fiduciosi nel buon esito di questa nuova avventura, speriamo di incontrarvi nelle piazze che animeranno le lotte per una società più equa, cui questa testata intente contribuire.

La redazione

Teoria e prassi Internazionale TicinoEditoriale

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Economia e lavoro

1 Il salario mediano di un settore ci indica il salario percepito almeno dal 50% della popolazione attiva. Se il salario me-diano del settore della vendita in Ticino è di Fr. 4’176.-- il 50% dei la-voratori nel settore riceve meno di Fr. 4’176.--, mentre l’altra metà dei lavoratori del settore ne riceve di più.2 Normalmente ci si aspetta che l’effetto di diminuzione dei salari dovuto all’effetto di “ancoraggio” sia tanto più grande, quanto più ele-vata è la differenza tra il salario attuale e il salario minimo di riferimento.3 Qui per salario “migliore” si intende quello a cui siamo abituati attribuire un salario elevato.

Salvare o affondare il lavoro in Ticino?Un’analisi critica dell’iniziativa popolare per dei sala-ri minimi promossa dai Verdi. Le ragioni che hanno spinto il Partito Comunista e molti sindacalisti a non sostenerla.

Alessandro Lucchini

Un comitato promotore patrocinato dai Verdi ha lanciato l’iniziativa popolare “Salvare il lavoro in Ticino”, la quale rivendica l’introduzione di salari minimi differenziati per settore e mansioni, dando pieno potere al Consiglio di Stato (CdS) di fissare un salario minimo su percentuale del salario mediano1

nazionale. Il Dipartimento Economia e Finanze del Partito Comunista ha analizzato attentamente la proposta dei Verdi evidenziando principalmente tre punti critici che rendono l’iniziativa ambigua e con-troproducente per la classe lavoratrice ticinese.

1. Salario minimo fissato dal CdS basato su una percentuale del salario mediano

Lasciare che sia il CdS a fissare il salario minimo non è affatto (anzi!) garanzia di salari minimi di-gnitosi: basti ricordare che proprio di recente il CdS ha approvato l’entrata in vigore di salari minimi (da fame) di Fr. 3’000.-- nei settori dell’industria e nei negozi con meno di dieci dipendenti. Secondo il comitato promotore un vantaggio dell’iniziativa è la possibilità di effettuare dei cam-biamenti nel tempo sul salario minimo, tenendo così eventualmente in considerazione l’aumento del co-sto della vita, ecc. Questa ipotesi rischia di essere totalmente teorica considerando la deludente poli-tica del Canton Ticino sull’indicizzazione dei salari per i dipendenti pubblici. Inoltre questa libertà di manovra permetterebbe al Governo di ritoccare verso il basso i salari quando egli riterrà necessario “far ripartire” (come dicono loro!) l’economia: tut-to questo senza la possibilità da parte della popola-zione di opporvisi. Molti testi legislativi in materia individuano al 65% la percentuale in riferimento al salario media-no svizzero come limite per fissare salari che non si-ano sotto il livello di povertà. Ci si può dunque aspet-tare che il CdS possa scegliere questo riferimento (com’è per esempio anche il caso per un simile testo di legge votato nel Canton Giura) contro un rapporto tra salario mediano ticinese e svizzero che è invece dell’85%. La grande differenza tra il futuro salario minimo e il salario mediano ticinese avrà il grave difetto di creare un enorme effetto di “ancorag-gio2” verso il basso dei salari attuali, peggiorando

così le condizioni sociali di gran parte dei lavorato-ri residenti.

2. Applicabilità solo in settori privi di CCLL’iniziativa “Salviamo il lavoro in Ticino” ha effetto solo su quelle imprese che non sono soggette ad un Contratto Collettivo di Lavoro (CCL) di applicazio-ne obbligatoria o ad un CCL con salario minimo di riferimento esplicitato. Nel caso un settore lavorativo sia già regolamen-tato da un CCL l’iniziativa in discussione non ha ap-plicazione. Il salario versato abitualmente nel setto-re potrà dunque continuare ad essere inferiore a quello che verrebbe teoricamente fissato dall’inizia-tiva lanciata dai Verdi. La mancanza di una clausola che impedisca quest’ultimo aspetto potrebbe inoltre spingere la stipulazione di accordi contrattuali “bi-done” con dei salari minimi inferiori a quelli teori-camente promossi dall’iniziativa, solo con lo scopo d’aggirare l’obbligo salariale. La creazione di nuovi CCL al fine di non dover sottostare alla nuova legi-slazione, renderebbe inutile l’iniziativa. Consideran-do la debolezza dei vertici sindacali elvetici in questo genere di trattativa, il rischio appare molto elevato. Inoltre, è da considerare che i settori più coinvol-ti dal dumping salariale dispongono già di un CCL di riferimento rendendo inutile la nuova legge avan-zata tramite l’iniziativa in questione.

3. Differenziazione tra settori e mansioniLa proposta dei Verdi vuole applicare un differente minimo salariale tra settori e mansioni. Come comu-nisti intendiamo invece lottare per un salario mini-mo dignitoso uguale per tutti, poiché il lavoro come elemento di valorizzazione dell’essere umano, non può essere suddiviso tra mestieri “migliori” o “peg-giori”. Le definizioni attuali di lavoro “migliore3” e lavoro “peggiore” sono basate sulle leggi di mercato del sistema economico capitalista che verrebbero stravolte in una matura economia socialista. E’ evi-dente che nella fase odierna come comunisti possia-mo (ancora) accettare una certa differenziazione di salario, ma solo se questa avviene verso l’alto. Se s’inizia, tramite l’iniziativa dei Verdi, a legit-timare di differenziare la dignità (e quindi la loro minima remunerazione) delle diverse professioni, si divide unicamente la classe lavoratrice indebolendo-la nel suo naturale confronto con il padronato. La dignità del lavoro, e quindi anche la sua re-munerazione minima, non può essere differente tra lavoratori che eseguono una mansione manuale (ad esempio il personale di pulizia) e i professionisti che effettuano operazioni di dubbia moralità sul merca-to finanziario. Un salario dignitoso deve essere dun-que garantito a tutti senza discriminare chi fa un lavoro considerato comunemente “peggiore”.

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4 L’iniziativa che vuole introdurre un rapporto 1:12 tra i salari più alti e i più bassi di una singola azienda, e l’approvazione da parte del popolo svizzero dell’iniziativa Minder sono esempi concreti di una limitazione salariale verso l’alto.

● ConclusioneLa costante precarizzazione delle condizioni sociali e materiali dei lavoratori ticinesi, rende necessario l’introduzione di un salario minimo capace di ridare dignità al lavoro. Quest’urgenza non deve però por-tare alla formulazione di presunte soluzioni, le qua-li, strizzando l’occhio al padronato locale, rischiano di avere l’effetto opposto all’obiettivo sperato. A questo proposito la soluzione avanzata dall’U-nione Sindacale Svizzera (USS) per un salario mini-mo di Fr. 4’000 per tutti, sopperisce in buona parte ai difetti dell’iniziativa dei Verdi e permetterebbe un primo passo verso un vero miglioramento delle con-dizioni di vita dei lavoratori ticinesi. Accanto alla rivendicazione di un salario minimo garantito non bisogna mai smettere di lottare per fermare quella sempre più grande fetta di ricchezza prodotta che si trasferisce in profitto e che è sottratta al lavoro. Solo attraverso una parallela azione di allargamento del-la massa salariale totale e d’inserimento di vincoli salariali limitativi verso il basso e verso l’alto4, avre-mo la possibilità di iniziare una vera politica di ridi-stribuzione della ricchezza.

Il commento

● Il rischioso marketing politico verde

Perché i Verdi hanno lanciato questa iniziativa? Non è solo un modo per uscire dal clichè secondo il quale gli ecologisti si occuperebbero solo di ambiente (pe-raltro falso), potrebbe bensì trattarsi di una mossa di marketing politico utile per approfondire il fossato con il resto della sinistra, secondo l’impostazione strategica auspicata dai vertici del partito. La tempistica con cui l’iniziativa è stata lancia-ta, peraltro, lascia presumere che essa sia stata pro-prio concepita come “alternativa” all’analoga propo-sta dell’USS. I più maligni, inoltre, potrebbero qui anche immaginare che la volontà sia stata quella di creare un “caso” (dall’affaire 1° maggio con Saverio Lurati, al niet dei partiti di sinistra da strumentaliz-zare comunicativamente) mediatizzando così la tesi secondo cui una “buona proposta” dei Verdi venga ostacolata da una sinistra “ultra-ideolgica”, “setta-ria” e “retriva”. La realtà è però ben diversa: il Partito Comuni-sta ha sempre saputo sostenere le buone idee, senza badare alle etichette e alla provenienza; se i Verdi ci avessero coinvolto nella stesura dell’iniziativa avremmo quindi portato il nostro contributo per mi-gliorarla e costruire su di essa un’ampia convergenza progressista e sindacale. Così non è stato e forse non è un caso: tutta que-

sta situazione per i Verdi sarà una geniale mossa di marketing politico immediato, ma sul lungo perio-do non favorirà di certo la costruzione di una cultura sensibile ai temi sociali ed ecologici, che sia capace di egemonia nella società. E se questo non avviene, significa spostare a destra i risultati elettorali, ma soprattutto favorire una mentalità collettiva per nulla progressista. In quest’ottica il Partito Comuni-sta, rimettendo in discussione almeno in parte alcu-ni miti laburisti e produttivistici della sinistra stori-ca, sta discutendo al suo interno sull’eco-socialismo e sulla necessità di coniugare il marxismo con le istanze ecologiste.

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Teoria e prassi

rispetto a questo, anche in relazione alla loro base so-ciale. Questo fronte unito non va però ricercato a tutti i costi correndo il rischio di finire subalterni ad una socialdemocrazia “governista” spesso corresponsabile del massacro sociale in atto. Il Partito Comunista deve quindi poter acquisire un rapporto di forza per riuscire a trattare e a porre precisi paletti agli altri partner progressisti per co-struire percorsi comuni, garantirsi ampi margini di iniziativa propria e mai (mai!) limitare la propria in-dipendenza di classe. In questo senso in Ticino sono da leggere la congiunzione di lista con il PS alle elezioni federali e l’unità a sinistra a livello comunale. Va poi aggiunto che a livello della base, nel nostro Paese, non riscontriamo (ancora) la totale disaffezione verso i partiti storici e persino in altri paesi occidentali, dove tale processo è invece già più avanzato, non esiste ancora la reale coscienza per immaginare un’alter-nativa di massa.

● Nessun entrismo nelle forze armate

Per quanto riguarda, infine, il terzo punto sollevato da Lenin, inutile dire che siamo ancora ben lontani da una tale ipotesi e che sogni entristi per “democratiz-zare” le forze armate borghesi (per quanto in Svizzera ancora – parzialmente – di “milizia”) si sono rivelati già nel passato mere utopie, a volte addirittura contro-producenti. Dubitiamo pure che una guerra inter-imperialista che investisse tutta l’Europa possa deter-minare scenari simili e, anche se fosse, è pur sempre compito dei comunisti quello di evitare carneficine fra la povera gente chiamata alle armi. Opportuno è al contrario delegittimare il milita-rismo nazionalista e l’esercito di classe (fino alla sua abolizione), propagandando l’obiezione di coscienza di massa ma soprattutto impegnarci per abolire la leva obbligatoria che sarà messa in votazione in settembre.

● Imparare a leggere la realtà

A mo’ di conclusione possiamo dire che è vero che bisogna sempre cercare di essere pronti ad ogni eve-nienza, perché la storia ha più fantasia della nostra più fervida immaginazione; ma anche tenere i piedi ben saldi per terra è una condizione fondamentale per evitare fughe in avanti avventuriste che impedi-rebbero di seguire e concretizzare una corretta linea di massa, popolare, partecipativa e ben estesa sul territorio. Non a caso il primo insegnamento di Marx è la necessità per i rivoluzionari di saper legge-re lo “stato di cose presente” e scegliere le migliori tattiche per poterlo mutare. Compito del Partito Co-munista in questa fase storica è quello di tornare a essere soggetto politico che sappia incidere nel dibat-tito politico: tutto parte da lì.

Le condizioni minime per la trasformazione socialista Osservando la situazione economica e sociale in cui versa la Grecia in molti sognano scenari rivoluzionari in realtà ancora immaturi. Rileggere Lenin può aiutare.

Quali sono le condizioni minime che Lenin citava af-finché un processo rivoluzionario si possa sviluppare, affermare e vincere? La prima condizione è che la si-tuazione in cui vive la grande maggioranza della po-polazione è talmente disperata che essa sente di non avere più nulla da perdere. La seconda condizione è il discredito totale della classe dominante agli occhi della stragrande maggio-ranza della popolazione, la quale non solo non le crede più, ma inizia pure ad aver fiducia in un programma alternativo e alle forze politiche che lo rappresentano. E la terza condizione è che i corpi militari, non solo l’esercito ma anche le forze dell’ordine, o passano dalla parte dei rivoluzionari o, perlomeno, si spaccano in due, neutralizzandosi a vicenda e divenendo inser-vibili per reprimere le masse popolari in agitazione e consentendo quindi alla rivoluzione di vincere. Questi requisiti nel 1917 si sono verificati, così come in altre rivoluzioni. La condizione dell’Europa di oggi, nonostante una crisi economica grave e che, probabilmente, fini-rà per ulteriormente aggravarsi, è tuttavia ancora molto lontana da uno scenario pre rivoluzionario vin-cente, e ciò su tutti e tre i punti sollevati da Lenin. Peraltro va aggiunto che Lenin si riferisce a una realtà sociale ben diverso dalla nostra: ragionare oggi nei centri imperialisti su insurrezioni armate per la presa del potere appare perlomeno riduttivo se non del tutto assurdo. Ai tre input andrebbe quindi necessa-riamente aggiunta una riflessione (ancora tutta da elaborare) sul problema gramsciano dell’egemonia culturale oggi, che riteniamo essere centrale per rico-struire una soggettività comunista nel XXI secolo.

● Fronte unito? Sì, ma…

In particolare, nel nostro contesto, non possiamo non vedere la forte consistenza delle classi medio- basse che, allo stato attuale, appaiono come più propense ad appoggiare soluzioni apertamente reazionarie e di estrema destra, inserendosi in una logica di difesa dei loro piccoli privilegi derivanti dal “banchetto impe-rialista”, ovvero una reazione tipica di quelle che Le-nin definiva le “aristocrazie operaie” e piccolo bor-ghesi. Il che giustifica, per prevenire simili scenari, una politica di fronte unito a sinistra e di convergenza tattica democratica con forze interne alle compatibili-tà di sistema non apertamente reazionarie e anti-costituzionali, o comunque pervase da contraddizioni

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Il Venezuela al Liceo di Locarno

Durante le Giornate culturali autogestite del Liceo Cantonale di Locarno (29/30 aprile) si è svolta un’attività sul Venezuela. La prima parte è stata gestita da Massimiliano Ay, delegato nel 2010 al Seminario di Rodi in so-lidarietà con l’ALBA: con l’ausilio di filmati ha ripercorso le tappe storiche del chàvismo e ha spiegato alcuni concetti teorici agli allievi: la differenza fra le due borghesie, la differenza fra rivoluzione nazional-democratica e socialista, l’analisi dell’imperialismo, ecc. In seguito è intervenuto Franco Cavalli, fondatore dell’Associazione di aiuto medico al Centro America e osservatore durante le elezioni, che ha raccontato quanto da lui vissu-to in Venezuela durante le sue visite negli ultimi 14 anni.

1 Il Partito Socialista Unito del Venezuela è sorto nel 2006 come fusione di vari partiti sostenitori di Chavez. Partito Comunista (PCV) e Patria Para Todos (PPT), pur alleati, preferirono restare indipendenti. Il PSUV conta oggi oltre 5 milioni di membri, un’età media di soli 35 anni e si definisce “avanguardia politica della rivoluzione”, riconoscendosi in una sintesi fra il patriottismo bolivariano antimperia-lista e il marxismo.2 Nei paesi della “periferia” si distingue nell’analisi marxista delle relazioni interna-zionali una grande borghesia compradora, complice del grande capitale internazionale, da una piccola borghe-sia nazionale, con tratti patriottici e anti-imperialisti.

In Venezuela la posta in gioco è il socialismo

A cura di Massimiliano Ay

Nicolas Maduro – il successore designato prima di morire dal Presidente Hugo Chàvez – ha vinto le elezioni in Venezuela, nonostante l’opposizione filo-americana capeggiata da Henrique Capriles non ammetta la vittoria del candidato del Partito Socia-lista Unito venezuelano (PSUV).1

● La borghesia compradora2 attacca

Dopo 14 anni di Rivoluzione, la destra rappresentan-te della borghesia compradora ha sfruttato il passag-gio storico determinato dal decesso di Chàvez per condurre una campagna elettorale all’attacco che ha messo a dura prova (benché non l’abbia sconfitta) la resistenza delle forze bolivariane. Negli ultimi tem-pi, infatti, gli esperti in marketing che seguivano Capriles hanno tentato di rifargli il look, creandogli un’aura sociale e definendolo come il “Lula venezue-lano”, adducendo un maggiore “equilibrio” rispetto a Chàvez. Questa cosmesi è stata smascherata con le azioni violente messe in atto dopo il verdetto delle urne; tuttavia sarà probabilmente ripresentata al prossimo appuntamento sotto sembianze simili ma più affinate. Il rifiuto di Capriles di riconoscere la vittoria di Maduro e la richiesta (peraltro fino all’ultimo mai formalizzata, ma solo declamata tramite i media) di ricontare le schede è stato un segnale nella direzione di un possibile scontro politico ancora più estremo che sarebbe potuto sfociare sia in un golpe (come successo invano nel 2002) sia in una guerra civile, che sarebbe probabilmente fatale non solo per il so-cialismo venezuelano, ma che avrebbe serie riper-cussioni sul processo di trasformazione in corso in ampia parte dell’America latina. Nei prossimi mesi questi pericoli saranno una costante: sarà utile non solo che i rivoluzionari venezuelani stiano vigili, ma che il governo di Caracas sappia mettere in campo con la necessaria energia anche misure repressive a

difesa della sovranità e della democrazia socialista. Se vi saranno serrate padronali o interruzioni della produzione (23 persone sono state arrestate dal 5 marzo ad oggi per sabotaggio alla rete elettrica) si dovrà rispondere l’occupazione operaia delle fabbri-che, come in parte già sperimentato nel 2002, e il successiva esproprio. Tutte misure che Maduro ben conosce, avendole recentemente egli stesso ventilate. Se dopo la Rivoluzione cubana, in effetti, gli USA espatriarono i borghesi; qui al contrario, li han-no foraggiati affinché restassero nel paese e dessero vita, sfruttando le libertà democratiche previste dal-la Costituzione bolivariana, azioni di destabilizza-zione con fini golpisti. Se tali nicchie borghesi esi-stono tuttora, però, non è solo a causa dell’ingerenza di Washington; ma anche perché il Venezuela non ha ancora compiuto nella sua totalità il processo ri-voluzionario. Esistono infatti tuttora settori fonda-mentali sia nell’apparato statale sia nel settore dei media (che poi creano il consenso) sotto controllo privato, il che significa potenzialmente in mano all’imperialismo. Chàvez ne era consapevole, da qui la sua esortazione a rafforzare i consigli comunali autogestiti, la socializzazione dei mass-media e della cultura, ecc. senza però cadere nell’illusione che “chiamando tutto socialista, uno può pensare che questo l’ho fatto, è a posto, è socialista, gli ho cambia-to nome, è tutto a posto”, come avvertì una volta, in-vitando i compagni all’autocritica.

● La questione dello Stato e delle elezioni

Il processo rivoluzionario venezuelano presenta ca-ratteristiche particolari: è evidente che non siamo di fronte agli stessi metodi della Rivoluzione bolscevi-ca. E tuttavia anche i “chavisti” si devono ora inter-rogare su come procedere: essere al governo non si-

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zione compradora di Capriles eserciti ora una guerra psicologica che – se le strutture dello Stato (liberale) venezuelano non verranno superate – potrebbe tra-sformarsi in qualcosa di peggio. Chàvez ne era co-sciente: di recente aveva esplicitamente fatto riferi-mento proprio alla concezione leninista dello Stato come apparato non neutrale ma di classe. Il socialismo, infatti, può avanzare dopo una prima fase riformatrice (e non riformista!) che Chàvez ha saputo costruire rimanendo nelle con-traddizioni del sistema borghese attraverso una sem-pre più chiara pianificazione economica (pur con tutti i margini di mercato ancora necessari) e con una progressiva forma di controllo operaio delle in-dustrie e di comitati popolari di difesa della Rivolu-zione nei quartieri.

● Intensificare il processo rivoluzionario

Se lo Stato bolivariano vuole garantirsi una continu-ità, è necessario che i suoi vertici procedano nella ri-scoperta di Lenin: una rottura vieppiù definitiva con le forme istituzionali tipiche del sistema borghese-democratico deve quindi essere posta all’ordine del giorno, così come una lotta senza remore a quei cen-tri di potere economico che servono all’oligarchia per costruirsi il consenso. In quest’ottica l’intenzione espressa da Maduro di integrare il Partito Comuni-sta del Venezuela (PCV) nella Direzione politico-militare della Rivoluzione è un passo corretto. Si tratta infatti ora di procedere nella costruzio-ne materiale del socialismo, adottando un adeguato programma di fase marxista con tre misure centra-li: 1) il totale passaggio sotto il controllo dello Stato della Banca Nazionale (per impedire ogni manovra speculativa); 2) la statalizzazione di tutto il settore del commercio estero (per porre fine all’utilizzo da parte della borghesia del sistema di transazioni per i titoli di valuta estera e 3) il lancio di una campagna di industrializzazione nell’ottica di estendere le atti-vità produttive statali, utilizzando le risorse petroli-fere in questa prospettiva. Dopo aver mitigato i divari sociali più gravi, in-somma, bisogna investire nelle infrastrutture: sen-za la creazione di solide basi economiche, infatti, non vi è socialismo possibile, come peraltro insegna la strategia della Cina. E ciò tenenendo però presente il monito di Chàvez: “non dobbiamo continuare ad inaugurare fabbriche che siano come un’isola, attor-niate dal mare del capitalismo, perché altrimenti il mare le inghiotte”. Le premesse per fare bene ci sono tutte: il “Pia-no della Patria” ripreso da Maduro è infatti la stessa piattaforma programmatica annunciata da Chavez nella sua ultima campagna elettorale (ottobre 2012) che prevede lo sviluppo economico e delle infra-strutture, l’approfondimento delle riforme sociali, il rafforzamento della sovranità nazionale nell’ottica di una più ampia dell’integrazione latino-americana

gnifica infatti ancora aver preso il potere! Il sociali-smo non si costruisce infatti semplicemente governan-do un paese che resta capitalista nella sua struttura. Ecco quindi che il tema della competizione elet-torale con la borghesia attraverso le regole del libe-ralismo (da lei dettate) non può più venire eluso: le rivoluzioni non si fanno per via elettorale, anche se certamente da lì possono partire. Esse devono poi, però, saper sviluppare elementi di contro-potere con vocazione egemonica. Tale riflessione è necessaria per evitare non solo scenari fascisti (come quelli che schiacciarono l’esperienza cilena di Allende), ma an-che scenari di cocenti sconfitte elettorali (come quella del 1990 ai danni del Nicaragua sandinista).Le elezioni parlamentari di tipo liberale, per quanto necessarie tatticamente in ottica marxista, sono pur sempre il terreno che più conviene alla borghesia. Non c’entra quindi molto il “debole” carisma di Maduro rispetto a quello di Chavez: per quanto la comunicazione sia importante, questa è un’analisi che si limita al dato sovrastrutturale e quindi è di per sé debole. Il “chavismo” ha infatti un suo blocco storico e le aspirazioni anti-imperialiste delle masse vanno ben oltre il semplice leader carismatico, so-prattutto oggi dopo 14 anni di bolivarismo. Non va peraltro banalizzato il fatto che l’opposi-

Chi è Nicolas Maduro?

Nicolás Maduro (1962) fa parte della nuova generazione di dirigenti dell’America latina che, come il metalmeccanico Lula o il coca-lero Morales provengono dalle lotte sociali. Egli è stato autista di autobus e sindacalista. Quando era liceale cominciò a militare di nascosto dai genitori nel movimento comunista Ruptura, partecipando dalle lotte di quartiere alle cospirazioni armate. Maduro è stato poi membro della Lega Socialista, un partito maoista, il cui fondatore Jorge Rodriguez fu ucciso dai servizi segreti nel 1976. Maduro si distinse come brillante organizzatore e agitatore di massa e con queste doti si unì poi a Chàvez. In quarta elementare difese la Rivoluzione cubana dalle critiche delle suore che insegnavano nella sua scuola: come punizione fu sospeso per tre giorni e condannato a stare in biblioteca: un premio per un ragazzo irrequieto che divorava i libri. Studiò i classici del marxismo-leninismo e interpretò la realtà venezuelana in questa luce. Nell’amministrazione ha ricoperto varie cariche, fra le più importanti ricordiamo il ruolo di ministro degli esteri, impegnato nel costruire un mondo multipolare.

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di un golpe, ma la guerra di logoramento che con-durrà la borghesia compradora: la lacune nella ge-stione dello Stato possono portare un certo malumo-re fra gli stessi ambienti “chàvisti”: la destra ha atti-vamente lavorato (a volte con la complicità dei buro-crati sindacali) come lo fece peraltro con Allende a esasperare la popolazione attraverso il metodico ta-glio dei rifornimenti di prodotti essenziali (alimen-tari, energia, ecc.) e facendo cadere la colpa sull’inef-ficienza del governo socialista. In altri momenti po-trebbero anche scatenare attentati terroristici (lo fe-cero in Nicaragua dove fu ucciso anche il giovane cooperante svizzero Maurice Demierre). Tutto ciò – con la martellante campagna denigratoria contro Maduro – facilita la diserzione di numerosi votanti bolivariani. Nonostante questo articolo, pur ribadendo la ne-cessaria umiltà e rispetto, ponga volutamente e con franchezza i punti ancora critici nel processo vene-zuelano, bisogna sottolineare che i rapporti di forza sono ben favorevoli ai fautori del socialismo: fino al 2016 in parlamento vi sono 95 deputati chavisti su 165 e Maduro sarà sostenuto da 20 dei 23 governatori sul territorio nazionale, oltre che dagli importanti partner geostrategici anti-imperialisti. C’è ora il tempo, per la direzione politico-milita-re della Rivoluzione, di fortificare la magnifica espe-rienza di pace, democrazia partecipativa e solidarie-tà di classe che rappresenta il Venezuela. E non ab-biamo dubbi che ciò avverrà. Come si legge nella di-chiarazione del Partito Comunista ticinese dello scorso 5 marzo: “Chavez ha restituito speranza non solo al suo popolo e all’intera America latina depre-data da Washington e dai suoi lacché, ma a tutti i progressisti del mondo. Egli ha affrontato con corag-gio l’imperialismo statunitense, ha gettato le basi per una nuova transizione alla società socialista e per un mondo multipolare retto da relazioni eque e pacifiche fra le nazioni, e ha lavorato giorno dopo giorno per migliorare le condizioni di vita dei lavo-ratori e delle fasce popolari”. L’insegnamento di Hu-go Chàvez è così profondo che non possiamo non con-cludere questo testo con la sicurezza che tutti i vene-zuelani onesti e le persone di buona volontà sul pia-neta ancora commossi dalla sua morte, hanno in chiaro che Chàvez vive e che …la lucha sigue!

in relazione alla lotta anti-imperialista sul piano in-ternazionale e l’aumento del protagonismo popolare per garantire la transizione socialista e per vigilare che non vi siano forme di infiltrazione borghese ne-gli apparati statali e militari, come peraltro ha chia-rito in un’intervista al quotidiano tedesco “Jun-geWelt” Adán Chávez, fratello di Hugo, che non ha nascosto problemi di corruzione e di burocratismo in alcuni settori dello stesso PSUV, sia di opportunisti arrivisti in camicia rossa sia di membri di quella parte di borghesia nazionale finora fedele a Chàvez (la quale per convenienza si era convertita al socia-lismo) ma che potrebbe ora frenare dall’interno la Rivoluzione.

● “…la lucha sigue”

Dalle elezioni dell’ottobre 2012 le forze bolivariane hanno perso 680mila voti, in buona parte a favore di Capriles. E’ un dato importante che deve servire a correggere gli errori: a partire da un maggior con-trollo e selezione dei quadri politici e da una conse-guente epurazione dall’apparato di chi non si dimo-stra degno di fiducia. Ma tutto ciò, come abbiamo visto, non avrà ef-fetti duraturi se nel contempo non si intensificherà la lotta contro le sacche rimaste di capitalismo e di potere (ideologico ed economico) borghese e se non si favorirà un ulteriore coinvolgimento dei salariati sui posti di lavoro, degli studenti nelle scuole, delle classi popolari nei quartieri e nei villaggi. La destra non è forte sul territorio: è qui che la supremazia bo-livariana non deve lasciarle spazi.Il pericolo più serio, forse, non è tanto la possibilità

Solidarietà dal Ticino

Dal 7 al 9 giugno 2013 ad Arzo su iniziativa dell’Ambasciata della Repubblica Bolivariana del Venezuela e con la collaborazione dell’Ass. Svizzera-Cuba si è svolto il “2° Incontro di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana” con l’obiettivo di trovare sinergie e strategie per poter continuare in futuro, nel nostro Paese, ad approfondire il pensiero bolivariano ai fini di contrastare la disinformazione, nonché promuovere e realizzare il Socialismo del XXI secolo nel mondo. Il primo incontro si era svolto a Rodi nel giugno 2010 alla presenza di Massimiliano Ay, Mattia Anto-gnini e Francesco Vitali e aveva approfondito la “diplomazia da popolo a popolo” senza intermediari. Per l’edizione di quest’anno, invece, il Partito Comunista ha scelto di nuovo il rinnovamento ed è stato rappresentato dai giovani Auriel Montesel e Roberto Gianocca.

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Diplomazia “pueblo a pueblo”, cioè il nuovo internazionalismo

Massimiliano Ay

L’articolo “In ricordo di Hugo Chavez” apparso su Il Fatto Quotidiano lo scorso 10 marzo a firma di Giu-lietto Chiesa merita una riflessione perché è sinto-matico di un modo di concepire la politica diversa da quella del Partito Comunista. Anzitutto chiariamo: Giulietto Chiesa è un giornalista che illustra in mo-do serio il ruolo di Chàvez. Nel suo articolo indica correttamente perché la parola socialismo abbia an-cora significato in America latina, mentre in Europa lo ha perso quasi del tutto, a causa degli stessi socia-listi (come Manuele Bertoli che sul suo blog indiret-tamente critica i compagni venezuelani). Giulietto Chiesa chiarisce bene pure come Sal-vador Allende, leader “pacifista e democratico”, fos-se una fonte di ispirazione per il leader venezuelano, ma che – come spiegava Chàvez – “a differenza di Allende, noi siamo armati”. Questo per ricordare ai sepolcri imbiancati della sinistra buonista che co-struire il socialismo non è un picnic gioioso. Pure correttamente l’autore spiega come nelle maratone televisive che milioni ascoltavano perché le sentiva-no sincere, Chavez desse lezioni di storia patria, fa-cesse scuola di formazione culturale di massa, cose che la sinistra da noi ha scordato.

● Non filantropia, ma azione politica

Eppure l’articolo di Chiesa porta con sé elementi inaccettabili per dei marxisti: egli rischia di alimen-tare la confusione che in tutta Europa ostacola la na-scita di un movimento capace di incidere nella real-tà. La tesi conclusiva del giornalista italiano è infat-ti: “noi, qui in Europa, possiamo fare poco per aiuta-re quei popoli [dell’America Latina]”. Questa tesi è sbagliata e non ha niente a che ve-dere con la solidarietà internazionalista: è piuttosto una concezione da filantropi impiegati nelle ONG. “Noi, qui in Europa” dobbiamo e possiamo fare mol-to! I popoli bolivariani ci stanno aiutando facendo tornare d’attualità il socialismo, noi possiamo ri-spondere in due modi: anzitutto occorre organizzar-ci – in partito e in sindacato – e lottare in modo effi-cace per contrastare i poteri forti gestiti dalle nostre classi dirigenti (dall’UE alle BCE, dalla NATO al FMI, ecc.). Il socialismo, infatti, non è solo (come credono i socialdemocratici) il miglioramento delle condizioni di vita delle fasce popolari (questo è sem-mai una conseguenza del socialismo!); al contrario si tratta di creare le condizioni materiali affinché la classe subalterna arrivi al potere e gestisca essa stes-sa la vita sociale e l’economia, affrontando finalmen-te il tema centrale della proprietà. Altrimenti restia-

mo nel campo della beneficenza, non dell’alternativa di potere che è quello per cui Chàvez ha lottato.

● Una diplomazia fatta dal basso

In secondo luogo si tratta di sviluppare la “diploma-cia pueblo a pueblo”, ossia costruire legami diretti fra i popoli rivoluzionari d’America latina con la po-polazione svizzera, con l’aiuto anche delle ambascia-te dei paesi bolivariani (dal Venezuela all’Ecuador, da Cuba alla Bolivia) ma senza necessariamente di-pendere da esse. In quest’ottica la convocazione del 2° incontro di solidarietà con l’ALBA che dovrebbe sancire la na-scita di un’Associazione che dia continuità a tale im-pegno è un’ottima chance a cui il Partito Comunista contribuirà. Non stiamo però parlando di un banale (e borghese) cosmopolitismo, che già nel 1848 Marx contrapponeva all’internazionalismo proletario: mentre il primo si riferisce all’ideale illuminista del superamento delle nazionalità senza valutare le con-dizioni politiche, economiche e storiche che possono determinarlo, il secondo si adegua agli obiettivi ge-nerali del movimento operaio rivoluzionario cioè il superamento progressivo dei confini nazionali solo tramite l’estinzione delle classi e dello Stato nella transizione al comunismo. E’ in questo solco che va letto l’integrazione latinoamericana così fortemente voluta da Chàvez.

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SSIER

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Quale sviluppo per il movimento di lotta in Turchia?

Mentre stavamo per andare in stampa è scoppiata la protesta in Turchia. Ripromettendoci di tornare sul tema in modo più approfondito, ci pare opportuno pro-porvi già alcune parziali riflessioni sulle ipotesi che si potrebbero ora aprire.

● Se il governo Erdogan dovesse cadere cosa succederà?

Il governo Erdogan è appoggiato dagli USA, ma co-me spesso accade Washington potrebbe anche ab-bandonarlo qualora dovesse capire che esso è ormai indifendibile e totalmente screditato. In quel caso gli scenari sono molteplici, fra i più attendibili forse si potrebbe citare il fatto che Obama potrebbe appro-fittare delle contraddizioni interne ad AKP fra la fa-zione del premier Erdogan e quella del presidente della Repubblica Gül, e quindi spingere al potere quest’ultimo, garantendo così di fatto sostanzial-mente lo status quo, oppure cambiare del tutto stra-tegia e sostenere i socialdemocratici del CHP, il cui leader Kilicdaroglu (membro del club Bilderberg) ha orientato lo storico partito rivoluzionario fondato da Mustafa Kemal Atatürk verso il New Labour di blai-riana memoria. In quest’ultimo caso si potrebbe facilmente spac-care il movimento popolare e giocando sulla carta del solo laicismo impedire una seria trasformazione sociale e geopolitica del Paese. Ci troveremmo così di fronte a una situazione apparentemente assurda, ma in verità politicamente realista: i partiti di opposi-zione parlamentare come il CHP socialdemocratico e il MHP nazionalista, di fatto abbastanza margina-li nelle proteste di piazza, potrebbero risultare vinci-tori e quindi neutralizzare il potenziale rivoluziona-rio della lotta di massa. Su questo aspetto va però usata molta cautela perché esiste comunque una base popolare dietro queste sigle che non necessariamente sono pronte a seguire i propri vertici: in modo particolare nel CHP non sono trascurabili i deputati che stanno sincera-mente al fianco delle forze rivoluzionarie (e per que-sto vengono brutalmente assaliti dalla polizia), così come il sindaco socialdemocratico-kemalista di An-talya che ha negato l’acqua per gli idranti della poli-zia così da frenare la repressione perlomeno sul terri-torio comunale.

● La necessità del governo di blocco popolare

Nel 2006 il Partito dei Lavoratori (IP) tenne il suo congresso. Un momento storico che sancì una nuova strategia per il piccolo ma sempre più radicato parti-to maoista: aprirsi a un’alleanza fra proletariato e piccola borghesia nazionale, stabilendo di completa-

re il processo di liberazione nazionale dal giogo della Trojka e assumendo l’eredità della Rivoluzione anti-colonialista di Atatürk come tappa imprescindibile per la costruzione di un regime di Nuova Democra-zia (chiaro il riferimento all’esempio cinese di Mao) e quindi consolidare quel blocco storico necessario per avanzare verso la trasformazione sociale. Oggi tutto quanto previsto da IP si sta di fatto realizzando e il partito non a caso ha subito lanciato l’appello alle organizzazioni popolari, operaie e par-titiche di unirsi tutti dietro alla bandiera della Rivo-luzione kemalista per formare un governo di unità nazionale e di blocco popolare per scacciare gli isla-misti dal governo, per conquistare la sovranità na-zionale (limitata dalla NATO e dagli accordi con UE, USA e Israele) nonché per riprendere il control-lo statale sull’economia nazionale. Questo è il programma di fase individuato an-che per risolvere l’annoso problema del separati-smo etnico curdo, fomentato dall’imperialismo che tiene in vita le strutture semi-feudali dell’oriente della Turchia.

● Che differenza c’è con le primavere arabe?

Non esiste anzitutto una sola “primavera araba”: quanto successo in Egitto, ad esempio, non è parago-nabile a quanto visto in Libia o in Siria. Nel primo caso si era sviluppato un movimento composito con-tro il dittatore filo-americano Mubarak: dalla Fra-tellanza Musulmana (molto ambigua a livello geo-politico e peraltro vicina, almeno ideologicamente, proprio al premier turco Erdogan) fino ai socialisti laici e ai comunisti, che sono poi risultati incapaci di influenzare alcunché e trovandosi alla fine della “ri-voluzione” a dover scegliere fra i generali laici (ma già fedeli del regime deposto) e l’islamismo. In Egit-to c’erano quindi dei margini per una svolta, che so-no poi stati però, almeno in parte, disattesi. Total-mente diversa la situazione in Siria dove fin da subi-to l’intervento dei diplomatici statunitensi e francesi al fianco dei “ribelli” contro il legittimo governo anti-imperialista (con tratti socialisti) di Assad era cosa nota e in cui le forze nazionaliste e comuniste (ad esclusione di qualche sparuto gruppuscolo troskista) non si sono mai unite al dissenso, come pe-raltro i sindacati e le organizzazioni popolari di massa. La rete TV Al-Jazeera ha trasmesso un servizio in cui i manifestanti turchi lodavano il governo As-sad e si distanziano dalla politica del loro governo contro la sovranità della Siria. Ha ragione quindi il Partito Comunista di Turchia (TKP) quando affer-ma: “Questa non è una primavera turca, come i me-dia occidentali vogliono definirla. Questo movimen-to ha un carattere anti-imperialista e pro-secolare. Esso è strettamente correlato con l’opposizione del popolo alla politica guerrafondaia in Siria e alla stri-sciante islamizzazione della vita pubblica”.

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Ticino

Lugano: quale situazione per la città e la sinistra dopo le elezioni comunali?

Edoardo Cappelletti

“Lugano città del benessere” sembra essere, quasi fosse una condizione eterna e immutabile, un leit-motiv più volte cantilenato trasversalmente da gran parte delle forze politiche, le quali, mistificando le reali controversie presenti sulle sponde del Ceresio, costruiscono un immaginario collettivo che possa arginare uno spostamento a sinistra degli equilibri politici. Ma al contrario, la situazione socio-econo-mica di Lugano risulta ben diversa e richiederebbe, per risolvere le sue contraddizioni, l’avanzamento di una proposta politica di sinistra: gli affitti ancora troppo alti (su un parco degli alloggi di 33’000 unità solo 300 sono a pigione moderata); un incremento delle domande di assistenza del 39% negli ultimi due anni e l’insufficiente diffusione dei servizi nei territori neo-aggregati, sono infatti problemi che, se contestuali all’ingente diminuzione del gettito fi-scale provenienti dalla piazza finanziaria, possono essere fermamente affrontati solo con il rafforza-mento della mano pubblica sui beni e servizi forniti al cittadino. Antiteticamente, dalle forze politiche liberiste si denota un tentativo di affossare questa volontà per ri-

percorrere, su scala locale, la strada dell’austerità intra-presa fallimentarmente dall’intera Europa. Strada che, comunemente fatta propria dal Partito Liberale Radi-cale (PLR) e la Lega dei Ticinesi (LdT), porterà diffi-cilmente, aldilà delle nuove maggioranze in seno all’e-secutivo, a una diversa meta. Emblematica in questo senso (con un disavanzo ultra-milionario della Città) l’alzata di scudi in difesa del mantenimento del molti-plicatore al 70%.

● L’unità della sinistra e le convergenze paral-lele fra PS e PC

Aprire un fronte progressista in questo contesto si-gnifica ricercare quelle alleanze che, oltre a porsi in antagonismo rispetto a questa offensiva, riescano a rilanciare su basi comuni una politica tesa ad am-pliare e rinsaldare le conquiste sociali degli strati più deboli della popolazione. La larghezza del panorama politico Luganese, densamente polarizzato a destra ma fortemente frammentato (PLR-Area Liberale, LdT-Unione De-mocratica di Centro), offre peraltro gli spazi affin-ché simili fronti della sinistra riescano a profilarsi come unico riferimento politico di alternativa. Per-tanto, è proprio su questo assunto che, riscontrata una puntuale affinità con il Partito Socialista (PS) sui temi cittadini, il Partito Comunista (PC) ha rite-nuto fondamentale una coesione della sinistra che garantisse, oltre che una riorganizzazione delle fila che potesse incidere nelle elezioni comunali, anche il rispetto dell’identità politica delle organizzazioni che la compongono. Il concetto di unità si è perciò caratterizzato non già come appiattimento di una forza rispetto alle li-nee programmatiche dell’altra, bensì come costru-zione di una sintesi condivisa sulla quale i temi po-tessero essere sviluppati secondo le diverse sensibili-tà politiche. Una formula di unità quindi, che non esclude l’autonomia su questioni determinanti e che si è invero espressa nella denuncia al coinvolgimen-to di Patrizia Pesenti (candidata socialista al Muni-cipio) nel gruppo di lavoro Area, inteso a smantella-re le Officine di Bellinzona. Prendendo atto della generalizzata crisi finanziaria, il PC ha altresì espli-citato i suoi margini di autonomia ponendosi in con-trasto con il rischio della candidatura di un banchie-re al Municipio (infine sventato). La convergenza delle finalità di legislatura fra PS e PC, pur facendo rimanere i due Partiti su piani paralleli, ha reso infine possibile una campagna unitaria che, grazie alle diverse espressioni politiche della lista, riuscisse a identificarne le componenti nonché a raccogliere un più ampio sostegno popolare. Un rapporto analogo non si è però riuscito a intessere con i Verdi locali, i quali, seppur avendo dimostrato nel corso degli anni precedenti una vicinanza alle posizioni del PS in sede al legislativo, hanno rigetta-to l’eventualità di un fronte rosso-verde nel corso della campagna elettorale. Presumibilmente come

Le due voci marxiste in seno al legislativoad esprimere le finalità di legislatura del Partito Comunista saranno i Consiglieri comunali Edoardo Cappelletti e Demis Fumasoli, rispettivamente commissari delle commissioni petizioni ed edilizia. Giovane studente al Liceo Lugano 1, istituto in cui svolge attività sindacali dal 2010, Cappelletti è responsabile del PC nel Luganese e membro di Segreteria del Sindacato Indipendente Studenti e Apprendisti (SISA); Fumasoli, già Consigliere comunale a Cadro, comune ormai divenuto un quartiere periferico della grande Lugano, è tecnico di impianti di riscaldamento ed esercita la sua professione in un’azienda di famiglia. A distanza di poche settimane dai risultati delle votazioni, Cappelletti si è già reso operativo sottoscrivendo un’interroga-zione dei Verdi inerente la protezione degli spazi verdi in città, riprendendo così un tema contenuto nel programma elettorale del PC che intende meglio preservare il patrimonio paesaggistico per contrastare la cementificazione sfrenata del territorio.

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riflesso di una linea cantonale dichiaratamente pro-leghista, questo rifiuto mantiene comunque aperti dei margini di collaborazioni che potrebbero funge-re, inerentemente alle tematiche comunali, da con-trappeso alla maggioranza delle destre.

● Il radicamento e gli interlocutori della sini-stra Luganese

In ultima analisi, a prescindere dalla mancata alle-anza con i Verdi, gli esiti delle votazioni permettono di trarre un bilancio sull’alleanza fra PS e PC come anche sull’influenza del primo (in quanto organizza-zione maggioritaria della sinistra) nel Luganese. Primariamente si consideri che, nei quartieri popolari, l’elettorato si è rivolto alla LdT piuttosto che alla lista PS-PC; mentre per converso, che il ba-cino elettorale della sinistra sembrerebbe essere la zona benestante. Da questo dato emerge un deficit della socialdemocrazia nel trasmettere una proposta politica che, ponendo le sue radici nei problemi im-mediati delle classi più in difficoltà, riesca ad elevar-si in una visione strategica risolutamente di sinistra che possa risolverli. Globalmente si può quindi de-notare una scollatura fra il PS e la sua base sociale di riferimento, che in assenza di un naturale ancorag-gio politico, diventa conseguentemente l’effimera base consensuale della LdT. In tal guisa, l’entrata in Consiglio comunale di due comunisti è in parte spiegabile e rappresenta il ruolo politico che il PC ha ricoperto all’interno della lista. Spostando a sinistra il baricentro dell’alleanza, esso è riuscito a raccogliere quel voto popolare che il PS cittadino sembra aver perso (ma che, seppur con l’apporto dei comunisti, non sembra essersi rivolto direttamente alla lista). Il Partito Comunista si è posto di fronte alla po-polazione come soggetto politico senza intrallazzi, dai saldi principi ma sempre disponibile al dialogo, il quale, ancor prima di entrare nell’arena politica, è stato portato avanti con la cittadinanza. Nel solco della continuità con questi valori, esso si impegnerà a promuovere il potenziamento del trasporto pubbli-co in relazione ai nuovi processi aggregativi; l’am-pliamento degli spazi di aggregazione giovanili; una migliore accessibilità all’alloggio e il rafforzamento dei servizi sociali in senso ampio.

● Dispiegare la lotta politica sull’intero tessuto sociale, ricostruire la sezione cittadina del PC

Imparando dai limiti riscontrati dall’unità della si-nistra nel bellinzonese, dove sul fronte giovanile si avvertono degli screzi con il PS, vi sono buone possi-bilità che il lavoro svolto negli ultimi mesi all’inter-no della lista sarà replicato anche nel legislativo lo-cale. Ciononostante, occorre rimarcare che la pre-senza dei comunisti internamente alle istituzioni rappresenta per essi una tribuna dalla quale portare avanti, a più ampio respiro, una lotta politica che si esprime in primo luogo sull’intero tessuto sociale.

Infatti, una capillare presenza dei comunisti nella società permette non solo di restare a contatto con i problemi della popolazione, ma anche di propa-gare un’impostazione politica popolare e di alterna-tiva alla socialdemocrazia capace di risolverli. Con-seguentemente, essere profondamente immersi nel-le odierne dinamiche sociali significa essere parteci-pi di uno scontro di classe che si esprime, seppur con modalità talvolta celate, in tutti gli angoli del sistema. Il rifiuto ad affrontare il lungo braccio della lot-ta di classe significherebbe non cogliere le contrad-dizioni da essa diffuse in tutte le sfere della società; muoversi da comunisti all’interno delle stesse signi-fica per contro riconoscere l’essenza universale di un conflitto che, nella sua progressione, implica la loro conquista morale, culturale e politica. Per questo motivo è in atto da settembre un processo di rico-struzione della sezione Luganese del PC, rivolto all’acquisizione di nuove forze militanti e alla costi-tuzione di una piattaforma politica per rilanciare il lavoro sul territorio. In fase di crescita, essa ha perciò bisogno di ampliare i suoi margini operativi per riu-scire a recepire, analizzare e risolvere le problemati-che inerenti i diversi ambiti della Città. In conclusione, dimostrare di essere in grado di coniugare, anche nel quadro comunale, il radicali-smo di sinistra con una proposta politica pragmati-ca, sarà dunque la sfida che si presenterà negli anni a venire e dal cui esito, probabilmente, riusciremo a comprendere la nostra capacità di analisi e trasfor-mazione di ciò che ci circonda.

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Ticino

to pubblico ai partiti favorisce quindi, di fatto, i parti-ti di governo, integrati nel sistema di potere attuale. Altro che trasparenza nell’azione politica: i par-titi dovrebbero rappresentare il sale della democra-zia, dell’aggregazione sociale, del confronto e del di-battito. Il successo di un partito deve infatti potersi basare sulle idee e non su quanti soldi i propri mem-bri dispongono. Di fronte all’assenza di finanziamenti pubblici i partiti, per sviluppare la propria attività (anche fare un volantinaggio costa!) ricorrono ad altri tipi di fi-nanziamento che provengono da lobby e imprendi-tori privati, i quali cercano naturalmente di trarre vantaggi dai politici sponsorizzati. In questo modo il principio dello svolgere la pro-pria attività in nome dell’interesse collettivo viene a cadere, con tutte le conseguenze sul piano della ge-stione della cosa pubblica. E’ chiara, peraltro, anche la Costituzione ticinese che sancisce l’impegno dello Stato nel favorire i gruppi politici nello svolgimento indipendente ed efficace delle funzioni di interesse pubblico (art. 25). Molto importante è l’indipenden-za dei partiti, che devono costruire la propria attività su valori e ideali, non sulle sponsorizzazioni private. In questo senso il finanziamento pubblico è una scelta trasparente ed equa, che permette di svilup-pare il pluralismo. Il compito cui sono chiamate le autorità in questa fase storica è peraltro dare delle risposte ai problemi economici e sociali che attana-gliano le fasce popolari e non certo cercare di appari-re belli e altruisti rifiutando di reintrodurre la misu-ra di sostegno ai partiti. I problemi finanziari vanno affrontati in ottica strutturale, non risparmiando i Fr. 45’000.- senza i quali si dà il via libera alle spon-sorizzazioni private e ad un più forte controllo delle lobby. Il Partito Comunista per questo ha difeso stre-nuamente la necessità di reintrodurre il finanzia-mento pubblico ai partiti.

Il finanziamento dei partiti è una questione di classe e di uguaglianza

Simone Romeo

In apparenza abolire il finanziamento pubblico dei partiti è qualcosa di giusto, in realtà è un modo per indebolire l’opposizione di classe.

Lo scorso marzo il consiglio comunale di Locarno ha votato una mozione riguardante la reintroduzione del finanziamento pubblico ai partiti. Nello specifi-co si trattava di Fr. 3’000.- per ogni gruppo consilia-re, più Fr. 750.- per ogni consigliere eletto, per un totale di Fr. 45’000.- annui per un Comune che, a preventivo 2012, ha spese correnti per oltre Fr. 78 milioni. Si tratta dunque di cifre non solo abbordabi-li, ma che non si avvicinano neanche lontanamente a quelle della vicina penisola, in cui finanziamento pubblico ai partiti spesso ha significato abusi e privi-legi di una casta.

● Nessun romantico disinteresse

Proprio dall’Italia giunge un semplice esempio di analisi di classe sul tema, benché a farla fosse un prete: don Lorenzo Milani, priore di Barbiana, noto come pedagogista con una grande capacità di lettura delle dinamiche sociali. Nel suo libro più noto, Lettera a una professo-ressa (1967), egli afferma che se la funzione di depu-tato non dà luogo ad alcuna retribuzione o indennità (come nell’Italia monarchica) non è “romantico di-sinteresse” (o un particolare amore per la cosa pub-blica), al contrario è “un sistema raffinato per esclu-dere la razza inferiore senza dirglielo in faccia”, cioè limitare l’attività politica delle classi popolari. L’av-vocato, il medico, ecc. potranno infatti dedicarsi all’attività parlamentare gratuitamente: un entrata finanziaria cospicua e assicurata ce l’hanno già! Ma quanti sono gli operai in parlamento? Nessuno! Questo perché, al di là dei costi della campagna elettorale, un operaio deve lavorare per un misero stipendio e il proprio padrone non gli concederà mai tempo sufficiente per l’onerosa attività istituzionale. E così, per dirla sempre con don Milani, finiscono in parlamento a discutere le leggi, coloro a cui in realtà vanno già bene le leggi attuali e mai i diretti inte-ressati. Il finanziamento pubblico della politica do-vrebbe sopperire a questa situazione.

● Una scelta di classe

La scelta di non finanziare pubblicamente i partiti appare come una discriminazione verso i partiti operai che dispongono di risorse limitate all’autotas-sazione di persone a basso reddito (studenti e lavora-tori), nel senso che non godono degli emolumenti di banche o multinazionali. Chi abolisce il finanziamen-

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La necessità dell’unità d’azione a sinistra

Presentiamo di seguito la dichiarazione del Partito Comunista ticinese e del Partito del Lavoro grigione-se in occasione della Giornata Internazionale dei La-voratori 2013. E’ un invito a riflettere (e ad agire) per tutti i militanti delle varie formazioni progressiste e sindacali.

Se il 1° Maggio diventa una festa dove cantare qual-che slogan, sarà sempre più autoreferenziale: esso va riconcepito, al contrario, come giornata di lotta. Quello che oggi manca, a sinistra, non è solo l’impo-stazione strategica per il socialismo, ma un progetto serio di società: occorre smettere di vivacchiare alla giornata per costruire invece un’unità d’azione coor-dinata e pianificata.

● Le buone idee non mancano

I ricchi, nonostante la crisi, diventano sempre più ricchi, mentre disoccupazione e precariato si diffon-dono. Occorre urgentemente una equa ridistribuzio-ne della ricchezza: per questo il Partito Comunista (Pc) ha lanciato l’idea della “Tassa dei Milionari”, una patrimoniale che dia respiro alla socialità e ai servizi pubblici. Proprio di servizi pubblici si occu-pano l’iniziativa “Giù le mani dagli ospediali” (Mps) e “Asili nido di qualità” (Vpod), che sosteniamo, così come giusta è l’iniziativa “1:12” (Juso). Le buone idee, insomma, non mancano: occorre però fare un passo avanti, connettendo tutte queste battaglie in un progetto strategico.

● Unità popolare o auto-referenzialità?

E’ necessario costruire un’unità popolare fra operai, studenti, ma anche professori, casalinghe, disoccu-pati, migranti: la capacità di mobilitazione dimo-strata per salvaguardare le pensioni (referendum LPP) e contro lo strapotere dei manager (iniziativa Minder) va valorizzata per costruire un’unità d’azio-ne di sinistra, impostata strategicamente per progre-dire nelle tappe di un processo rivendicativo e di at-tacco, e non solo difensivo e volto al “meno peggio”.

● Attenzione ai rischi

Come sempre nei momenti di crisi la classe dirigen-te agisce in ottica “securitaria”, aumentando il con-trollo sociale (soprattutto sui giovani). Lo vediamo con proposte di educazione civico-patriottica nella scuola, con il rifiuto di abolire il servizio militare ob-bligatorio, con la criminalizzazione del ribellismo e la diminuzione degli spazi di aggregazione. Questo clima favorisce gradualmente un irrigidimento della società in senso anti-democratico: sarà pertanto im-portante non solo saper unire diritti sociali e diritti civili, ma anche non farsi cogliere alla sprovvista dal-le strategie offensive di una borghesia in declino.

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