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Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna · Web viewAAS Acta Apostolicae Sedis , Città del...

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Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna - Cagliari - Antropologia Teologica Fondamentale CREAZIONE- PECCATO Anno accademico 2009-2010
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Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna- Cagliari -

AntropologiaTeologica

Fondamentale

CREAZIONE-PECCATO

Anno accademico 2009-2010

Padre Stefano Maria Moschetti SJ

ABBREVIAZIONI E SIGLE

1.Concilio Vaticano II e Magistero pontificioAA Apostolicam actuositatem Apostolato dei laiciCCC Catechismo della Chiesa cattolicaCD Christus Dominus VescoviDC Dominicae cenaeDCE Deus Caritas estDH Dignitatis humanae Libertà religiosaDV Dei Verbum RivelazioneEccl. de Euch. Ecclesia de EucharistiaFR Fides et ratioGS Gaudium et spes Chiesa e mondoLG Lumen gentium ChiesaOT Optatam totius Formazione sacerdotalePO Presbyterorum ordinis Ministero e vita dei

PresbiteriRH Redemptor hominisRP Reconciliatio et paenitentiaSacr. Car. Sacramentum caritatisSC Sacrosantum concilium LiturgiaUR Unitatis reintegratio EcumenismoVS Veritatis splendor

Ci V Caritas in Veritate2.Periodici, Opere, Edizioni, CollaneAAS Acta Apostolicae Sedis , Città del VaticanoAB Analecta biblicaBEL Bibliotheca <Ephenerides litugicae>

<Subsidia>. Collectio cura A. Pistoia C.M., et A.M. Triaca SDB recta

BTC. Biblioteca di Teologia contemporanea, Queriniana, Brescia

CCM Corpus Christianorum: Continuatio medioevalis, Turnhou t

Civ Catt La Civiltà cattolicaCLV Edizioni liturgiche RomaDBS Dictionnaire de la Bible supplémentDH H. Denzinger, Enchiridion Symbolorum

definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, a cura di P.Hünermann, EDB 1995

DS Dictionnaire de SpiritualitéE Oe Enchiridion oecumenicum EDB 1986ssEDB Edizioni Dehoniane BolognaEE Estudios ecclesiasticosEph. Lit. Ephemerides liturgicae, RomaEV Encheridion Vaticanum , EDB 1966ssLD Lectio divina, Cerf, ParisLEV Libreria editrice vaticana Città del VaticanoNRT Nouvel revue théologiqueOsser.Rom. L’Osservatore romano, Città del VaticanoPE Prex eucharistica (Ed. Hãnggi A & Pahl I),

Fribourg Suisse 1968PG Patrologiae cursus completus: Series greca,

ParisPL Patrologiae cursus completus: Series latina

ParisR. Thom. Revue thomiste TolouseRB Revue bibliqueRDT Rassegna di TeologiaRev. Sch. Phil. Theol

Revue des sciences philosophiques et theologiques Paris

RHE Revue d’histoire ecclésiastiqueRSR Recherces de science religieuseRTL Revue théologique de LouvainS. Th. Summa theologica, S. Tomae aquinatis, Romae

1925SC Sources chrétiennes ParisSt. Mor. Studia moralia RomaTG Tesi GregorianaTS Theological StudiesUS Unam Sanctam

3.Altre abbreviazioniAA AutoriAn.s. anathema sit, sia anatemaAT Antico TestamentoCan. CanoneCap. CapitoloEd. editore/editoriIbidem stessa opera e paginaIvi stessa operaNT Nuovo TestamentoPCB Pontificia commissione biblicaPCPUC Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei

CristianiPIB Pontificio Istituto biblicoPUG Pontificia Università gregorianaPUL Pontificia Università lateranense

I testi dell’Antico e Nuovo Testamento sono citati seguendo la nuova traduzione italiana: LA SACRA BIBBIA della CEI, «editio princeps» 2008.

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1 INTRODUZIONEIniziando un discorso teologico sull’uomo, nel delineare la sua visione che ci viene offerta

dalla rivelazione giudeo-cristiana, sperimentiamo un duplice, contrastante sentimento: siamo attratti dallo splendore di una bellezza autentica, che riflette quella del Crocifisso glorioso, ed insieme avvertiamo un grande disagio, una cultura frantumata, in cui i molteplici aspetti dell’uomo, realtà complessa, stupenda, sono coltivati in modo disarticolato, con pericolo per la stessa integrità e benessere della persona e famiglia umana.1

Per rilanciare il pieno gaudium veritatis della comprensione e cura dell’uomo, l’unica via efficace sta nel ricuperare in modo più consapevole le sue dimensioni rivelate costitutive, fondamentali, quelle che lo qualificano e accompagnano sempre, quelle che ora la cultura moderna e post moderna stimola e pone in crisi; visione rivelata del nativo umano, che tiene presente l’inquinamento del peccato originale, superato dalla Croce gloriosa di Cristo, che ancora ci invita, per la grazia sovrabbondante del Redentore, ad un impegno di conversione, serena lotta spirituale.

Si tratta di liberare l’uomo da antropologie legittime, necessarie per la sua cultura, ma che tendono a chiudersi in se stesse, coltivando alcuni aspetti sperimentali, senza cercarne l’integrazione in visioni più unitarie, la sua capacità costitutiva, di vero-bene in pienezza di orizzonti, dello stare davanti a Dio con tutto se stesso, essere qualificato dalla sua familiarità, offerta di alleanza.

Vedremo quindi anzitutto quanto la corrispondenza all’Alleanza offerta ad Abramo, Mosè, la sua pienezza in Cristo, riabilita l’uomo al corretto esercizio delle sue capacità, di verità, bontà, bellezza, che lo fanno e manifestano uomo, gli restituiscono piena consapevolezza della sua consistenza creaturale, davanti ed in dialogo con Dio.

Un recupero, sempre nel contesto qualificante dell’Alleanza, della fondamentale dimensione creaturale dell’uomo e del suo mondo, che in modo pieno, esplicito, cresce lentamente, attraverso il cammino del nomade Abramo, del popolo dell’Esodo guidato da Mosè, per raggiungere la terra promessa, della sua perdita nell’esilio in Babilonia, illuminato dalla riflessione profetica; il poema della creazione di Gn 1,1-2,4 ne costituisce il frutto maturo.

Ci sarà necessario esercitarci in queste relazioni tra Alleanza e creazione, sempre vissute nel contesto qualificante del Popolo di Dio, ma in purificante osmosi con i miti di origine delle culture del medio-oriente, incerti ed erronei tentativi di situare l’uomo e il suo mondo nel Mistero che lo origina e lo avvolge.

Per usufruire pienamente della Novità evangelica, della maturità di riflessioni paoline e giovanne, tutto è creato in Cristo, per Cristo, verso Cristo, dovremo interessarci delle relazioni Alleanza- creazione nei Libri sapienziali; il nuovo contesto ellenistico, che accompagnerà la Chiesa dei primi secoli, superate le prospettive immanentiste dello stoicismo, rappresenta con la sua prospettiva più oggettiva e razionale del cosmo e delle scienze interessate, uno stimolo anche per l’Autore ispirato.

In questo contesto di ampie riflessioni sul Dio dell’Alleanza che è lo stesso Dio della creazione, sia nella prima tappa dell’Autore ispirato del Pentateuco, il suo frutto della Preistoria biblica, sia nei tempi dei Sapienziali, sia nel pensiero paolino, troveremo l’origine di quella definizione dell’uomo: essere creatura, ma secondo l’Immagine di Dio; quell’Immagine che si manifesterà nel Verbo, la Parola filiale incarnata. Una categoria, quella dell’Immagine di Dio, che

1 SANNA I, nel suo testo, Chiamati per nome, Antropologia teologica, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 1994 3, ci fa gustare la bellezza della visione rivelata dell’uomo, dalla Creazione dell’Immagine di Dio, attraverso Grazia, Virtù teologali sino al compimento escatologico; nei saggi : L’Antropologia cristiana tra modernità e post modernità, (BTC 116) Queriniana, Brescia 2004 3, e L’identità aperta, il Cristiano e la questione antropologica (BTC 132), 2006, il travaglio e gli stimoli che la visione rivelata trova nei nostri tempi. Il nostro percorso teologico è sulla linea dei suoi suggerimenti.

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inserisce l’uomo nella Pienezza dell’Immagine, Cristo, di cui partecipa per la stessa creazione, cui è chiamato a progressivamente conformarsi, che ritroveremo in tutti i momenti felici del pensiero cristiano, anche in quello del Vaticano II.

L’Immagine umana di Dio si presenta a noi intensamente unitaria , sta tutta davanti a Dio, in dialogo con Lui, in attiva solidarietà sociale, ma insieme notevolmente complessa: necessario entrare in questa molteplicità di aspetti, che saranno poi nel pensiero cristiani maturo considerati anche costitutivi ontologici, come anima spirituale direttamente forma del corpo, per darci il responsabile soggetto personale. Il tutto sempre qualificato da una libera offerta, per una consapevole accoglienza dello Spirito Santo, che lo qualifica per una comunione vissuta con Dio.

L’Autore ispirato, il popolo dell’Alleanza, vede tutto in relazione, in dialogo con Dio: il considerarlo creatore universale, da cui tutto radicalmente dipende nell’esistere e nell’operare, costituisce una conquista di verità fondamentale, decisiva per il pensiero e la vita dell’uomo. Questo non si realizza per un particolare acume <metafisico> dell’ebreo, in questo molto inferiore al greco; ma in quanto l’uomo dell’Alleanza, ha un cuore, interiorità spirituale cui Dio può rivolgersi, illuminare, consolare, riconciliare, chiedere responsabile decisione. Il <cuore> biblico, che esercita tutte le funzioni della mente e della coscienza greca, nell’epistolario paolino, conoscerà anche un esplicito uso di queste categorie greche, per l’evangelizzazione del mondo ellenistico, per un’intelligenza del Mistero rivelato che stimola l’uso corretto di orizzonti e strumenti razionali.

Il dinamismo di crescita dell’Immagine di Dio si esprime in un’altra categoria fondamentale Teo-antropologica, quella di Gloria. Indica tutto lo splendore, la bellezza, verità affascinante della bontà di Dio, come si manifesta in modo pieno nella Croce gloriosa di Cristo, per comunicarsi, trasfigurare l’uomo. Viene quindi ad indicare il vero <peso>, valore dell’uomo, che nello Spirito Santo, per Cristo lodando e glorificando Dio, entra sempre più intensamente nella vita Trinitaria, di conoscenza, verità, bontà ed amore.

Questa pienezza di Divinità, di Verità, Grazia, tutti i tesori della conoscenza e sapienza che stanno nel Crocifisso Glorioso (Cfr Gv 1,14-18; Col 1,19. 2,3. 2,9; Ef 1,22s. 4,11-16), ci incoraggiano ad entrare nel cammino della Celebrazione liturgica, del pensiero e della vita cristiana, nel <lavoro> dello Spirito Santo, che mentre, nei tempi della Chiesa, ci fa entrare più intensamente nel <mio> comune del Padre e del Figlio, nella conoscenza della Vita trinitaria (Gv 16,12-15), ci fa parimenti crescere nella conoscenza di noi stessi.

Per valorizzare questo cammino di pensiero cristiano, necessario assimilare l’opera di Ireneo di Lione: nel superare una gnosi, dualismo aberrante, ci offre la prima Teologia sistematica, valida, perché vede l’uomo, in una prospettiva Trinitaria: il Padre che ci crea e ci redime con le sue due <mani>, il Verbo incarnato e lo Spirito Santo, e questo in tutte le tappe, <economie> della Storia salvifica.

Prospettive di creazione e redenzione Trinitarie che saranno riprese, necessariamente, da una Logos-teologia, con l’utilizzo, purificato e rinnovato della grande filosofia Greca.

La meta sarà raggiunta dalla grande sintesi trinitaria delle Summe di S. Tommaso: come la Trinità immanente, roveto ardente di conoscenza per il Verbo, di amore nello Spirito Santo, realizza liberamente, per l’Unità e l’attività propria delle Persone divine, la creazione, per operare la redenzione per Cristo, nello Spirito Santo, l’<economia salvifica>; l’uomo, creato secondo l’Immagine di Dio, può in questo contesto trinitario, per la propria attività conoscitiva, volitiva, nella grazia, virtù, beatitudini, impegno responsabile morale-spirituale, per i Sacramenti, l’Eucaristia, raggiungere la Felicità eterna. In questo contesto sapienziale, orizzonti universali, l’uomo trova il suo luogo: intelligenza teologica, con sviluppi filosofici, l’utilizzo di tutti i dati culturali, con gli evidenti limiti medioevali.

Un cammino difficile, che impegna più di un millennio per consolidarsi: è molto formativo, per entrare meglio nella visione rivelata dell’uomo, seguire, le tappe del costituirsi corretto di una

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teologia della Trinità immanente, capace di esprimersi liberamente nell’economia di una creazione per Cristo nello Spirito, per operare nell’Incarnazione-Pasqua, la redenzione dell’uomo. Per questa finalità ci soffermeremo alquanto sul primo tentativo di sintesi sistematica, quello di Giovanni Scoto Eriugena, e poi sul dissolvimento della sintesi scolastica, in Ockham, per mostrare come l’aspetto delicato è sempre la comprensione del dato rivelato di una creazione per Cristo, nello Spirito Santo.

In questo contesto Trinitario, vedremo le vicende della teologia dell’uomo creato secondo l’Immagine di Dio, nelle difficoltà della via alessandrina-agostiniana, della via antiochena-pelagiana.

Notare come saranno i Concilii cristologici, trinitari (Nicea, Costantinopolitano I, Efeso, Calcedonia, Costantinopolitano III), a fornire il discernimento di fede per superare questi blocchi, sfasature, nell’edificare una Teologia della creazione trinitaria, per esprimere l’unità dell’uomo, immagine di Dio.

Ė proprio necessario questo sobrio cammino teologico per ottenere i fondamenti della visione rivelata dell’uomo, che ci orienti nelle conquiste e difficoltà contemporanee?

Lo riteniamo, considerando che è stata esattamente la maturità dell’esposizione così comprensiva di S. Tommaso: un cosmo creato per il Verbo di Dio, animato dal suo Spirito Santo, l’uomo creato secondo l’Immagine di Dio (capace quindi di entrare nella sua conoscenza, a tutti livelli, teorici e sperimentali), a creare l’unica matrice culturale che ha permesso l’impostazione corretta e lo sviluppo inarrestabile della scienza. Ciò è avvenuto per il genio di Galileo: l’evento unico della prima formulazione rigorosa, con misure esatte e linguaggio matematico, di una legge fisica.

Dobbiamo registrare come il maturarsi di questa mentalità sperimentale razionale ha creato difficoltà nella sintesi teologica-filosofica: ogni crescita legittima pone in movimento tutte le capacità conoscitive, affettive dell’uomo. Facile la tentazione del riduzionismo, l’esaltazione delle nuove conquiste, dimenticando che è stata esattamente l’ampiezza e la verità di prospettive universali di un cosmo e uomo creature di Dio, a permettere il decollo rigoroso delle stesse scienze sperimentali-razionali, fisico-matematiche, biologiche…

Per questo ci interesseremo alquanto di Ockham e nominalismo, che pensa di favorire l’attenzione al concreto sperimentabile, trascurando la creazione per Cristo (articolo del Credo) riducendo l’ampiezza delle capacità conoscitive dell’uomo, della fondatezza delle leggi morali; una fede che non riesce più a diventare debitamente intelligente, e privata dell’ausilio della ragione metafisica, scade nel fideismo, nell’arbitrio divino.

Impostazioni erronee, che influenzano tutta la modernità; responsabili anche della lacerazione della Chiesa, per le ansietà religiose che provocano nel sensibile Lutero. Il Riformatore le supera ponendo in risalto l’articolo centrale del Credo, la fede in Cristo crocifisso, in un atteggiamento molto interiore, di fede fiduciale, che non supera l’ambiguità del Nominalismo sul primo articolo fondamentale del Credo, la Trinità in sé, e creatrice per Cristo. Posizione insufficiente per impostare una corretta vita morale, ancor più per la comprensione piena del Mistero eucaristico, e di ciò che vi è connesso, Tradizione viva della Chiesa, Ministero petrino-apostolico. Di qui l’interesse ecumenico del nostro studio: reintegrare la Giustificazione per la fede in Cristo crocifisso glorioso nell’unità di tutti gli articoli del Credo apostolico.2

Questa insufficienza di relazioni tra Theologia Crucis e Theologia gloriae, una Rivelazione-redenzione che non riesce a rianimare il corretto uso di tutte le capacità conoscitive, affettive dell’uomo, anche quelle metafisiche-morali, segnerà tutta la modernità: una razionalità geometrico-

2 Prospettive ecumeniche, nell’ambito della Teologia fondamentale e della Ecclesiologia, sono esposte nel volume Dilexit Ecclesiam, studi in onore del prof. VALENTINI Donato, a cura di GF Coffele, con presentazione del Card. J. Ratzinger, (=Bibl. di Scienze Religiose – 149) Las-Roma 1999

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matematica, di stile cartesiano, che spezzerà l’unità dell’uomo in res cogitans e estensa, in Kant una filosofia della scienza sperimentale-razionale, che <teoreticamente> non potrà più raggiungere Dio e la realtà in sé, un Dio ingegnere dell’illuminismo, che sarà presto dimenticato, perché inutile per un uomo divenuto, nello sviluppo delle scienze meccaniche, perfetto ingegnere.

Il tentativo di superamento di queste difficoltà nella dialettica hegeliana, Theologia crucis di Lutero tradotta ed abusata in un Venerdì santo speculativo, che brucia dialetticamente Dio e l’uomo, in una ambigua Filosofia, coscienza dell’assoluto: tutte le ideologie dittatoriale, con i drammi infiniti di Gulag e campi di stermino, si alimentano qui.

Comprendiamo la preziosità delle chiarificazioni in questo campo di Dio creatore, rivelatore e operatore di storia salvifica, relazioni corrette Fede-ragione, offerte dall’interrotto Concilio Vaticano I, ed il suo complemento, recupero del dato biblico-patristico della Creazione trinitaria, per Cristo nello Spirito santo, offerto dal Vaticano II.

Qui si possono sviluppare i fondamenti della visione rivelata dell’uomo, le relazioni Chiesa-mondo (che evidentemente sono sempre nell’unico ambito di Creazione-redenzione, anche nelle legittime autonomie creaturali), realizzare l’integrazione nella visione rivelata dell’uomo, con il necessario aiuto e discernimento filosofico, dei dati offerti dalle molteplici scienze sperimentali naturali.

Per realizzare questa sintesi ordinata, a vantaggio dell’uomo, ci sembra necessario un triplice impegno speculativo: le relazioni tra il Soprannaturale cristico e la natura umana; il significato della formula dogmatica, <creazione dal nulla >, cioè dalla Pienezza di Cristo, per superare un diffuso nichilismo; esercitarci nel riflettere sulla lettura discendente e ascendente dell’Uomo.

Mi spiego: discendente, partendo dallo Spirito angelico per capire l’uomo, autentico spirito, ma bisognoso del corpo per esistere e operare anche spiritualmente; ascendente, la teoria dell’evoluzione astrofisica e biologica, per ottenere quell’organismo biologico che per divenire tutto umano ha necessità dell’anima spirituale: solo Dio può direttamente crearla in ogni uomo e nei primi uomini.

Queste solidarietà con lo Spirito angelico (e la sua libera, devastante trasformazione in Demonio), e con le comuni origini umane, sin dall’inizio qualificate da una creazione per il Verbo incarnato, ci aprono al tema del Peccato originale.

Tutto l’impianto storico e la speculazione realizzata per delineare la visione rivelata dell’uomo, ci avvisano della presenza di un inquinamento peccaminoso, accecamenti, prospettive chiuse e laceranti: ma è necessario sottoporli ad una riflessione <specializzata>, seguendo il cammino della Chiesa occidentale, registrato in tutti i trattati di Antropologia teologica.

Il peccato delle origini rappresenta una diffidenza dell’uomo verso un creazione sin dagli inizi qualificata dalla <santità e giustizia> a misura del Verbo, nell’animazione dello Spirito Santo. Il Peccato delle origini è un peccato <anti-Verbo>, e possiamo capirne le conseguenze devastanti su tutto l’<umano>, la necessità della redenzione del Crocifisso glorioso, un dono più abbondante di Spirito Santo.

La peccaminosità originale costituisce un senso pieno della S. Scrittura, in particolare della contrapposizione primo e secondo Adamo in Rm 5, 12-21; dobbiamo quindi percorrere il crescere di questa consapevolezza, la riflessione Agostiniana, la definizione del concilio di Trento, nella grande crisi della <riforma >del sec XVI.

La Chiesa occidentale, che ha dovuto affrontare numerose crisi, lo sfacelo dello stato imperiale, l’evangelizzazione e l’integrazione sociale dei popoli barbarici, la ripresa culturale e sociale del Medioevo nelle tensioni tra Chiesa ed impero germanico, infine la grandi crisi a tutti i livelli, ecclesiali, sociali, culturali del secolo della Riforma, ha, più intensamente dell’oriente

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cristiano, sentito l’esigenza di porre in luce piena quel male originario, peccaminoso, del nativo personale e interpersonale umano, che il Crocifisso glorioso ha con abbondanza redento.

Una necessità anche per i tempi a noi contemporanei; questo per il rilancio corretto della libertà umana, nella solidità della crescita della persona, sua educazione ed auto-educazione, nella sua intrinseca dimensione sociale, sempre bisognosa di corrette, edificanti liberazioni. Questo, della Libertà, sarà il tema conclusivo della ricerca ed esposizione dei fondamenti di Antropologia teologica, la visione rivelata dell’uomo.

Ė bene che ora diamo ancora uno sguardo rapido alla presentazione di questi contenuti nel succedersi dei tempi e delle teologie.

1.1 Cenni di storia dell’Antropologia teologica fondamentale.Un’attenzione privilegiata all’uomo come soggetto responsabile, come persona relazionata a

Dio e alla comunità religiosa, nell’orizzonte dell’intera famiglia umana, si coltiva solo nella religione giudeo-cristiana. Il mondo ellenistico si distingue per la riflessione sul Dio-cosmo: l’uomo è parte di esso. Si segnalano incipienti umanesimi per il costituirsi delle città-stato, la polis, con le sue costituzioni; le filosofie sistematiche diventano cosmo-politiche: come assicurare valori etici oggettivi per la vita ordinata della Polis (Socrate, platonismo, aristotelismo e stoicismo).

La Rivelazione giudeo-cristiana presenta l’uomo partner del Dio creatore che offre Alleanza; l’uomo è considerato in relazione a Dio, suo dialogante, sua Immagine. Compare e si approfondisce la dimensione e concetto di Persona: la Persona di Cristo, le Persone Trinitarie, il Soggetto umano. Il dato rivelato, che la chiesa annuncia, celebra, esprime nella lode e glorificazione di Dio, realizza nella vita morale, viene compreso in profondità, esplicitato in dialogo con il pensiero ellenistico: la logos teologia dei Padri, la speculazione sulle relazioni trinitarie, secondo conoscenza e amore, e sull’immagine di Dio nell’uomo, le sue facoltà intellettive e volitive. Questa logos-teologia, per influssi filosofici, specie platonici, conosce difficoltà ad esprimere la pienezza del dato rivelato, l’unità dell’uomo che sta con tutto se stesso davanti Dio, nella storia salvifica.

Queste difficoltà vengono risolte dal dogma Cristologico e Trinitario; nella Cristologia è inclusa una solida antropologia: Cristo, vero uomo, a noi consustanziale, composto di corpo e anima razionale (C. di Calcedonia, DH 301)3, dotato di volontà (Costantinopolitano III, DH 512)4.

L’esposizione sistematica con maturità organica si ha solo nella grande scolastica del sec. XIII: S. Tommaso e S. Bonaventura. Qui possiamo parlare di Antropologia in Teologia-Cristologia. L’uomo, (la sua creazione, composizione di anima e di corpo, tutto qualificato dal dono dello Spirito Santo, Grazia e Virtù sovrannaturali) viene visto nel suo uscire da Dio creatore e nel suo ritornare a Dio, nella sua beatitudine piena: ciò avviene per Cristo, nella Chiesa-Sacramenti, per la corrispondenza dell’uomo, Immagine di Dio, capace di responsabilità, nella vita qualificata dalla Grazia.

Non vi è mai considerato un uomo puramente razionale-naturale, il contesto e sempre trinitario, cristico-ecclesiale, ma viene messa in risalto la struttura costitutiva del soggetto creato umano, la sua capacità nell’accogliere la rivelazione, nel ricercarne l’intelligenza.

Questa valida sintesi organica della grande scolastica non fu compresa ed assimilata nei secoli seguenti, caratterizzati da forti interessi umanistici, letterari, artistici e scientifici (umanesimo, rinascimento).

3 DH 301 “[…] Seguendo i Santi Padri, all’unanimità noi insegniamo a professare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero Uomo, [composto] di anima razionale e di corpo, consustanziale al Padre per la divinità, e consustanziale a noi per l’umanità, simile in tutto a noi fuorché nel peccato, generato dal Padre prima di tutti i secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria vergine e madre di Dio secondo l’umanità.”.

4 DH 512: Can 12.” Se qualcuno professa secondo gli empi eretici una sola natura della divinità e dell’umanità di Cristo, o una sola volontà o una sola attività, sconvolgendo la professione “di fede” dei santi padri, abolendo il piano “salvifico”d’azione dello stesso nostro Salvatore. Sia Anatema..”

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Specialmente il Nominalismo distacca un Dio arbitrario dall’uomo, crea ansietà di salvezza. La soluzione di Lutero, fede fiduciale in un Dio che fa tutto in ordine alla salvezza, non favorisce la teologia della creazione; la stessa umanità di Cristo non viene valorizzata in ordine alla salvezza: e come schiacciata sotto la croce, da cui nasce, in modo quasi contraddittorio, la salvezza.

Il cattolico Cartesio si muove in questo contesto lacerato, tra il soggetto spirituale e la dimensione corporea: lo razionalizza come “rex cogitans” che ha in sé l’idea di Dio, e “rex estensa”. Tutto il pensiero moderno è lacerato in razionalismo ed empirismo: i tentativi di sintesi

o risultano superficiali (illuminismo), o insistono sugli “a priori” umani (intuizioni trascendentali, categorie kantiane).Il tentativo più completo di sintesi del soggetto autocosciente e della natura, quello di Hegel

(†1831), dissolve la persona umana nella dialettica dell’idea assoluta, nella sua autocoscienza; un uomo generico, che perde il fondamento della sua personalità libera e responsabile nella relazione creaturale davanti ad un Assoluto personale già costituito.

Anche l’evoluzionismo rende l’uomo un epifenomeno dello sviluppo biologico-deterministico.

Feuerbach (†1872) realizzerà una “svolta antropologica”, per concentrarsi nuovamente sull’uomo, liberandolo dal contesto dialettico dell’idea assoluta: qui l’uomo è dio a se stesso (Homo homini deus); Dio è soltanto un simbolo, una cifra per l’uomo, l’unica realtà assoluta. Ma qui la teologia risulta totalmente antropologizzata, ridotta a pura antropologia. Qui passiamo, attraverso una svolta radicale, da un’Antropologia qualificata dal contesto Trinitario, cristico, ecclesiale cioè Antropologia in Teologia, ad una teologia talmente antropologizzata, tanto da venire disciolta in una antropologia.

Anche l’esistenzialismo di Heidegger ha cercato di riscattare lo specifico umano dalla genericità idealistica: ma questo uomo esistente gettato nel mondo, presenta un’apertura all’essere del tutto problematica, anche negata: un apofatismo (impossibilità a parlare di Dio, se non in termini del tutto negativi) che impedisce il discorso su Dio, estenua il discorso sulla identità dell’uomo.

In questo periodo anche la teologia cattolica ha difficoltà nel considerare la creazione nella qualificazione dell’evento Cristo, secondo l’evidente fede della Chiesa: tutto creato e redento in, per, verso Cristo. Palmieri, a Roma nel 1878, presentò un nuovo trattato: il De Deo creante et elevante, cui si aggiunge, il De peccato originali; un tentativo di sintesi, ora posto in crisi e superato: ad una creazione, uomo naturale razionale, trattata molto con argomenti di ragione, filosofici, si aggiunge, ma in modo troppo estrinseco, una trattazione sul soprannaturale.

Le difficoltà di questa sintesi sono evidenti: si ha l’impressione che si dia un uomo puramente naturale-razionale, completo, con sue finalità, cui si aggiunge una soprannatura; il discorso sembra partire da una natura pura del tutto conosciuta per poi estendersi ad una soprannatura.

Il peccato originale spoglia l’uomo dello stato soprannaturale: non si dà ragione della profonda ferita, vulnerazione dell’uomo esistente.

Specialmente gli studi di H. de Lubac, H.U. von Balthasar, K. Rahner, J. Alfaro, ci aiuteranno ad elaborare una teologia corrispondente al dato rivelato, più equilibrata sui rapporti tra il soprannaturale cristico e la natura.

Già possiamo usufruire della svolta antropologica in Teologia incoraggiata dal Vaticano II nella elaborazione sistematica di qualificati trattati: ricordiamo i nomi di Flick-Alszeghy, Ladaria, Sanna, Colzani, Gozzelino, Brambilla.5 Con riconoscenza, mi muovo nel solco da loro aperto.

Cerchiamo ora di delineare il posto dell’Antropologia teologica fondamentale nell’insieme degli studi teologici.

5 FLICK M. – ALSZEGHY Z., Fondamenti di una Antropologia teologica, ed. Fiorentina, 1970 si possono considerare dei pionieri; LADARIA L.F., Antropologia teologica, Piemme- PUG, Casale M.-Roma 1995 2; SANNA I., Chiamati per nome cit; COLZANI G. , Antropologia teologica, EDB 1997 2; GOZZELINO G. , Vocazione e destino dell’uomo in Cristo, saggio di antropologia fondamentale (protologia), ELLLE DI CI, Leumann (To) 1985 2; BRAMBILLA F.G., Antropologia teologica, Queriniana, Brescia 2005.

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1.2 Fondamenti di Antropologia teologica: Protologia , Grazia, Escatologia

Ricordiamo innanzitutto che tutta la teologia, discorso su Dio, presenta un’insita dimensione Antropologica. Dio Padre si manifesta per Cristo nello Spirito Santo, ci introduce alla sua vita intima, Uni-Trinitaria, ma per invitarci e qualificarci ad essere figli nel Figlio, nello Spirito Santo.

Mentre Dio rivela se stesso, manifesta anche l’uomo all’uomo, come soggetto creato qualificato della partecipazione alla sua vita intima.(GS n22) Ogni trattato teologico, mentre parla rigorosamente di Dio in sè, del suo progetto di salvezza per l’uomo, ci rivela insieme a Dio, anche il vero volto dell’uomo.

Oggi si presenta una particolare necessità di porre meglio in risalto, questo implicito antropologico incluso in ogni dimensione, articolazione della teologia cattolica: “Sotto la spinte delle scienze umane assistiamo al cadere in brandelli di consolidate problematiche circa la persona: l’originarietà della persona, la sua autonomia è messa in questione dalla sociologia, e dalla psicanalisi. […] La crisi di identità, il senso di oscura insicurezza è il frutto di un pensiero che sostituisce l’universale con la conoscenza precaria e minacciata dell’individuale”.6

La cultura della razionalità matematica delle scienze-tecniche, ha ridotto, nel suo esclusivismo, l’uomo da un oggetto, chiuso nella sue pulsioni e bisogni, che cerca di edificarsi un futuro con progetti di natura sperimentale-tecnica. È ora particolarmente necessario porre in risalto l’identità completa dell’uomo, la sua dignità-vocazione nel progetto di Dio. Vocazione-dignità cristica, soprannaturale, che qualifica, quasi trasfigura il soggetto creato uomo, già in sé costitutivamente capace di Assoluto, di Vita etica.

Come abbiamo detto il nostro discorso di Antropologia teologica considera i fondamenti, il nativo-costitutivo che già vive del definitivo (la conformità realizzata con Cristo), ma ancora nel provvisorio, la figura di questo mondo che passa. I contenuti della Antropologia Teologica Fondamentale vengono anche indicati come Protologia, non solo in senso cronologico, ma anzitutto del nativo fondamentale, costitutivo la nostra esistenza. Il settore dell’Antropologia Teologica , che tratta del definitivo sotto ogni aspetto, del mondo, della Risurrezione in terra nuova e cieli nuovi, le ultime realtà, è l’Escatologia.

Ma sia la Protologia, sia l’Escatologia sono come al servizio della principale Antropologia teologica del trattato Grazia e Virtù teologali: un discorso più approfondito sulla situazione cristica soprannaturale, la Grazia dello Spirito Santo che rinnova l’uomo specialmente nel suo aspetto dinamico di conversione, di già e non ancora.

Si dà oggi un altro motivo urgente di porre in risalto questa dimensione fondamentale, costitutiva, nativa, quindi comune a tutti gli uomini; un livello, che sebbene abbia contenuti che solo la rivelazione storica ci può fare conoscere, come la creazione per Cristo, l’Immagine <consustanziale> del Padre, e parimenti la situazione nativa di Peccato originale, contiene anche molti aspetti ancora accessibili alla ragione umana. Sotto lo stimolo e nell’ambito della tradizione viva della Chiesa, queste dimensioni fondamentali, costitutive l’umano, ancora accessibili al rigore del metodo filosofico, sono state approfondite, sviluppate. Pensiamo alla concezione della Persona umana come essere spirituale corporeo, la sua dignità, uguaglianza, libertà. Pensiamo alla comune natura razionale, la sua coscienza spirituale e morale, la legge naturale. La Fides et ratio parla con fondamento di un <Filosofia cristiana> (n 76).

Il dialogo interreligioso e interculturale per potersi sviluppare, realizzando giustizia e pace, ha estremo bisogno di questo contributo di una corretta razionalità umana, e di tutte le sue espressioni letterarie, musicali, artistiche.

6 G.COLZANI, Antropologia Teologica, EDB 1988,8-s.

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Pensiamo alla discussione circa una sana laicità, positiva, della politica, che vuole esprimere, pur nella contingenza delle situazioni sociali, politiche, culturali, i necessari e, anche non negoziabili, valori etici. Vorremo ricostruire quell’orizzonte teologico, antropologico in cui situare i recenti interventi maggiori del Magistero, che orientano i dialoghi inter-religiosi, culturali , politici : ricordiamo le encicliche Veritatis splendor, Evangelium vitae, Fides et ratio, Deus caritas est, Spe salvi, Veritas in caritate7. Potremo aggiungere a questi altri insegnamenti del Magistero, di minore solennità, di notevole incidenza sul pensiero cristiano nell’ambito di questi dialoghi urgenti.8

Ancora a livello introduttorio, accenniamo infine ai luoghi teologici da interrogare, per elaborare la nostra fondamentale visione rivelata dell’uomo, cercarne intelligenza.

1.3 Le fonti dell’Antropologia teologica: lex orandi-celebrandi, lex credendi, lex vivendi

Elaboriamo un discorso di intelligenza teologica e, con tutta evidenza, ci riferiamo alla professione e Dottrina della Fede, la lex credendi. Troviamo la sua espressione primaria nella S. Scrittura, Parola ispirata, letta e compresa nella tradizione viva della Chiesa, il senso della fede del Popolo di Dio, con l’autenticazione e la norma del Magistero.

Ci interesseremo anzitutto di Teologia biblica e Patristica, dei Maestri del Pensiero cristiano, del Medioevo (in primo luogo Tommaso, per il suo metodo), e dei Tempi moderni, con attenzione diretta all’insegnamento straordinario e ordinario del Magistero.

Ricordando sempre che il luogo teologico principale ove la Tradizione viva della Chiesa, il Pensiero cristiano si esprime e si forgia, sono la celebrazione dei Sacramenti, soprattutto l’Eucaristia, mensa della Parola e del Corpo dato e del Sangue versato. Il Sinodo dei Vescovi ne ha accresciuto la consapevolezza, espressa nell’esortazione apostolica Sacramentum caritatis, articolata in tre parti: Eucaristia, Mistero da credere, da celebrare, da vivere. Ad essa possiamo riferire l’effato antropologico principale della GS:

“Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (n 22).

Il volto rivelato dell’uomo si manifesta in modo decisivo nel vissuto cristiano, la lex vivendi delle Virtù teologiche e morali, in sinfonia con le Beatitudini, doni e frutti dello Spirito Santo, per vivere in pienezza i Comandanti del Signore.

La tre leggi, Credendi, Orandi-celebrandi, vivendi sono inseparabili, si sorreggono a vicenda, quasi una <pericoresi> rapporto intrinseco e reciproco, come tra le Persone Trinitarie.

La Celebrazione gode di un certo primato, per la densità unica dei contenti: annuncio della Parola, la più intensa presenza della Parola incarnata, il Corpo dato ed il Sangue versato del

7 La Fides et ratio, n 76, offre una chiara descrizione degli aspetti soggettivi e oggettivi della Filosofia cristiana; indica un programma di studio che dovremo tenere presente, quando dice:” Tra gli elementi della Filosofia cristiana rientra anche la necessità di esplorare la razionalità di alcune verità espresse dalla S. Scrittura, come la possibilità di una vocazione soprannaturale dell’uomo ed anche lo stesso peccato originale. Sono compiti che provocano la ragione a riconoscere che vi è del vero e del razionale ben oltre gli stretti confini entro i quali essa sarebbe portata a rinchiudersi”. Al n 4 di «un patrimonio spirituale dell’umanità»; “ Si pensi, solo come esempio, ai principi di non contraddizione, di finalità, come pure alla concezione della persona come soggetto libero ed intelligente e alla sua capacità di conoscere Dio, la verità il bene; si pensi inoltre ad alcune norme fondamentali che risultano comunemente condivise”

8 Ricordiamo gli insegnamenti della CONGREGAZIONE della DOTTRINA della FEDE, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, del 31/ 5/ ’04, in AAS 96 (2004) 6781-687; ancora, della stessa Congregazione, Dignitas Personae, in in Civ. Cat. (2009) I 50. Della PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Bibbia e morale, radici bibliche dell’agire cristiano, LEV 2008; della COMMISSIONE TEOLOGICA INERNAZIONALE, Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale, LEV 2009.

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Crocifisso glorioso, per una comunione e conformità di cuore e di vita; richiede e si esprime nella Professione di fede, l’insegnamento del Magistero, per un vissuto cristiano corrispondente e autentico.

L’elaborazione di una Antropologia teologica fondamentale richiede l’uso delle Tre leggi in modo sinfonico; in particolare si presenta ora un compito imprescindibile: mostrare le necessarie corrispondenze tra l’Antropologia teologica fondamentale e la Morale parimente fondamentale. La Veritatis splendor lo richiede espressamente (n 4; 109-113), Fides et ratio( n 6; 25; 98), Deus Caritas est ( n 25), Spe salvi (n 34), lo suppongono, offrono contributi.

In tutto il percorso teologico porteremo particolare attenzione a queste corrispondenze.

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I L’UOMO ED IL MONDO, CREATURE DI DIO SECONDO LA SCRITTURA.Sia nella lex credendi, come nella lex orandi-celebrandi, e ancora nella lex vivendi,

constatiamo che la prima realtà salvifica considerata, professata, celebrata perché diventi vita, è sempre quella relativa alla Creazione. Si tratta dei primi capitoli della Genesi, e ancora del primo Articolo del Simbolo della fede; anche nella Preghiera eucaristica II, rielaborazione dell’Anafora di Ippolito romano9, il Prefazio ringrazia anzitutto il Padre per la sua opera di Creazione, realizzata per mezzo di Gesù Cristo, sua Parola vivente.

Ma anche il primo dei Comandamenti del Decalogo, nella sua formulazione catechistica, afferma :

“Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio fuori di me”(cfr Es 20,2): aperta professione di monoteismo, affinché l’uomo tutto viva come creatura, nell’orientamento e nella dipendenza dall’unico vero Dio.10

Intuiamo subito come si tratti di una dimensione fondante la visione rivelata dell’uomo, che deve anzitutto attrarre11 la nostra attenzione, nell’elaborazione di una Antropologia teologica fondamentale.

Insieme non dobbiamo dimenticare che su questa realtà della Creazione, dell’uomo creato secondo l’Immagine di Dio, Cristo, si sviluppa tutta la Storia salvifica, da Abramo sino alla piena manifestazione della Gloria del Crocifisso Risorto, la sua definitiva Parusia: l’uomo creato secondo l’Immagine di Dio, persona nella comunità, è invitato dal Dio dell’Alleanza ad una comunione sempre più intensa, sino al vertice della piena configurazione e partecipazione alla Gloria del Crocifisso Risorto. L’unico Dio della creazione è Lui il Dio dell’Alleanza, di tutta la Storia salvifica.

La S. Scrittura ci narra le vicende dell’Alleanza offerta ad Abramo affinché diventi <benedizione> per tutte le genti (cfr Gn 12,3): un’ Alleanza, fino alla sua piena realizzazione nella vita filiale e fraterna del Figlio di Dio, offerta perché sia partecipata a tutti gli uomini. Ogni Persona umana è sin dalle origini voluta secondo quell’Immagine di Dio che si manifesterà in pienezza nel Verbo incarnato, immagine di Dio Padre invisibile.(cfr Gn 1,27 ; Ef 1,4-5; Col 1, 15)

La storia salvifica è questa offerta di Alleanza, comunione di Dio signore universale all’uomo creato secondo la sua Immagine, dalla disponibilità di Abramo, nostro Padre nella Fede, sino alla realizzazione definitiva della Gerusalemme celeste. Risulta quindi tutta qualificante, sulla misura dell’ineffabile partecipazione, nello Spirito Santo, della vita Filiale divina, la consistenza creaturale

9 HÜNGGI A. & PAHL I. (ed.), Prex eucharistica. Textus e variis linguis antiquioribus selecti, Ed. Universitaires, Fribourg (Suisse) 1968

10 Cfr CCC, P. III, La vita in Cristo, Sez. Seconda: I Dieci comandamenti, Cap. primo, Art. 1; CCC Compendio, nn 442-445.

11 Individuiamo la visione rivelata dell’uomo, nel fondamento della sua Creazione, interrogando le strette relazioni tra Lex orandi-celebrandi, credendi e vivendi: nella legge iscritta nella preghiera-celebrazione, nella professione di fede, e nel vissuto cristiano (dottrina morale-spirituale). Questo intreccio delle “tre leggi”, in cui leggiamo la visione rivelata dell’uomo, ci accompagnerà per tutto il nostro percorso; ci accontentiamo per ora della citazione di alcuni scritti in cui si tratta di casi concreti, storici di questo reciproco influsso, con una preminenza della lex orandi-celebrandi: cfr LAFONT G., Dieu, le temps, l’etre, (=Cogitatio fidei 139), Cerf, Paris 1986, 152-157; CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMAMENTI, Anno dell’Eucaristia, suggerimenti e proposta, n 23, in Notitiae 40 (2004) 529s.; PERROT, C. L’Eucharistie dans le Nouveau Testament, in Encyclopédie de l’Eucharistie, ed. BROUARD M. , Cerf, Paris 2002, 74. Le relazioni tra Liturgia, Scrittura e Professioni di Fede sono oggetto di studi: Cfr. BLANCHARD, Y.-M., Bible et Liturgie, in BRAGA, C., e PISTOIA, A., La Liturgie interprete de l’Ecriture, II Dans les compositions liturgiques, prières et chants,(= BEL ‹‹subsidia›› 126) CLV Ed. Liturgiche Roma 2003, 259-276. CONGAR, Y. , “Doctrines christologiques et thèologie de l’Eucharistie (simples notes)”, Rev. Sc. ph. th 66 (1982) 233s;Id., Le theme de Dieu-Créateur et les explications de l’Examéron dans la Tradition chrétienne. in l’Homme devant Dieu, mélanges offerts au Père H. de Lubac. T. I, Exegese et patristique, Aubier, Paris, 1963, 189-222.

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dell’uomo. Una dimensione creaturale che sempre lo accompagna, lui ed il suo mondo, dagli inizi dell’opera creatrice di Dio, sino alla Vita eterna.

Analizzare meglio, cercare intelligenza teologica delle relazioni tra questa qualificazione soprannaturale cristica, e la creatura uomo, con la sua natura, costituisce, ce ne renderemo conto, un nostro primario impegno, se intendiamo delineare i fondamenti della visione rivelata dell’uomo. Questo esige che fin dagli inizi del nostro cantiere teologico impostiamo bene le relazioni, secondo la S. Scrittura, tra Alleanza e Creazione.

Ci interessiamo anzitutto di una questione che non è soltanto esegetica, ma che possiede decisiva importanza teologica, anche ecumenica. La Storia salvifica ci fa conoscere la progressiva Rivelazione, eventi e parole, del Dio dell’Alleanza sino all’Incarnazione del Verbo, la sua Croce gloriosa; la rivelazione che il Dio della Storia è anche l’unico Dio Creatore.

Come si è realizzata? Forse che il Dio, conoscibile come universale e permanente Creatore dell’uomo e del suo mondo, si manifesta poi ulteriormente nella Storia salvifica del popolo eletto come Dio dell’Alleanza? Il movimento della Rivelazione va dal Dio della creazione pienamente riconosciuto, allo stesso Dio, Signore universale che manifesta la sua vita intima Trinitaria per farla conoscere e parteciparla alla creatura uomo? Oppure, viceversa, è il Dio dell’Alleanza a manifestarsi sempre più esplicitamente l’unico universale creatore?.

Con questo interrogativo di fondo entriamo nell’analisi dell’Antico testamento.

1 Antico TestamentoLa storia salvifica di Israele inizia con la chiamata di Abramo, la sua fede esemplare in

Elohim, che lo invita a camminare verso la terra promessa; ha un momento decisivo con Mosè, nella liberazione dall’Egitto, continua sotto lo stimolo e la purificazione dei Profeti specie quelli dell’Esilio. Ma questa storia salvifica è preceduta dalla narrazione della Creazione, dalla storia teologica dell’umanità pre-abramica, (Gn 1-11). Si concluderà con la forte riflessione dei Libri Sapienziali sul significato-valore del cosmo creato, della vita umana, per mezzo della categoria «Sapienza», nella luce dell’unico Dio della Creazione e dell’Alleanza.

Così la S. Scrittura, che inizia col presentarci i <partners> della storia della salvezza: Elhoim-JHWH, trascendente, spirituale, unico creatore in dialogo con l’uomo creato secondo la sua immagine, conoscerà nei Sapienziali un’intensa riflessione sulla intima presenza del sempre trascendente e spirituale Dio della creazione ed Alleanza nella creatura uomo e nel suo cosmo, per terminare con la visione finale della Gerusalemme Celeste, che scende da Dio :“Ecco io faccio nuove tutte le cose”( Ap 21,5).

Alla creazione iniziale corrisponderà, alla fine dei tempi, l’atto finale, sovrano, di ri-creazione, perfezionamento definitivo. Ma non si tratta solo di inizio e di fine; la consapevolezza che il Dio dell’Alleanza è il Signore universale, creatore, che l’uomo creato secondo la sua Immagine con il suo mondo, è a Lui totalmente relativo, sottomesso, risulta costante in tutta la storia salvifica: un motivo di fondo, un leitmotiv per sostenere la lode, l’obbedienza, la benedizione di Dio.

Ricordiamo il Sal 135 (136),1-5:“Rendete grazie al Signore perché è buono [….] Lui solo ha compiuto grandi meraviglie,

perché il suo amore è per sempre. Ha creato i cieli con sapienza.”; il Sal 103 (104),1-4 : “Benedici il Signore, anima mia, sei tanto grande Signore, mio Dio! Sei rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce come di un manto, Tu che distendi i cieli come una tenda”.

La fede nell’universale creatore sostiene la certezza che Dio può realizzare la sua promessa, connessa al futuro della dinastia davidica nel Sal 88 (89),6-15 :

“ I cieli cantano le tue meraviglie, Signore, la tua fedeltà nell’assemblea dei santi. Chi sulle nubi è uguale al Signore, chi è simile al Signore tra i figli degli dei ? Dio è tremendo nel consiglio dei santi, grande e terribile tra quanti lo circondano. Chi è come te, Signore, Dio degli eserciti?

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Potente, Signore, la tua fedeltà ti circonda. Tu domini l’orgoglio del mare […] Tuoi sono i cieli, tua è la terra, tu hai fondato il mondo e quanto contiene; il settentrione e il mezzogiorno tu li hai creati, il Tabor e l’Ermon cantano il tuo nome.” (cfr Is 40,27-31).

Nella preghiera si ha sempre presente una relazione dell’uomo con Dio, una radicale dipendenza creaturale, sempre qualificata dall’offerta dell’Alleanza, progetto di progressiva, intima comunione di vita con Dio.12 Quest’intima presenza del Creatore salvatore nella vita dell’uomo, il suo sapiente progetto iscritto nella stessa esistenza dell’uomo, del suo cosmo, sarà poi oggetto di intensa riflessione nei libri sapienziali.

Se osserviamo l’insieme della storia salvifica, i suoi eventi decisivi, le sue finalità di salvezza, siamo portati a dire che il Dio dell’Alleanza, suo vertice in Cristo Gesù, si manifesta ulteriormente come Dio della creazione: così K. Barth, nel suo rigoroso Cristocentrismo, parla della creazione come “fondamento esterno dell’Alleanza”13.

Se però osserviamo la successione dei testi biblici nella disposizione definitiva del redattore ispirato del Pentateuco, si direbbe che, viceversa, prevalga il movimento rivelatore dalla conoscenza del Dio creatore, delle sue opere, all’offerta dell’Alleanza. Per orientarci meglio in questa relazione fondamentale, istituiamo una sobria teologia biblica: iniziamo con un elenco di testi in cui si tratta con più estensione e insistenza dell’atto creatore di Dio, cercando di individuare tradizioni, elementi caratteristici, data di redazione.

Gn. 1,1-2,4a presenta la descrizione più esaustiva dell’atto creatore, con uso di termini teologicamente elaborati: Dio trascendente, unico, personale, non è una parte di questo mondo, crea ( nella forma verbale qal e nifal di ארב [barà] il soggetto è sempre Dio, ciò che solo Dio può fare).

Barà viene tradotto nel LXX con κτίζω, che nel greco classico indica l’atto di volontà decisivo di fondare e di edificare. I LXX lo preferirono a demiurgšw per indicare l’atto creatore di Dio Unico, che è infinitamente di più del dio demiurgo del Timeo di Platone (28 A. 29A)14: si serve della sua sola Parola per porre nell’esistenza e ordinare tutto, per creare l’uomo secondo la sua Immagine, nella prospettiva del Sabato senza mattina e senza sera.

Appartiene alla tradizione P (sacerdotale), frutto di una prolungata riflessione sull’Alleanza, per assicurare l’identità religiosa del popolo nella crisi dell’esilio: IV-V sec. a.C.

Gn 2 si concentra sulla plasmazione e insufflazione dell’uomo, sulle sue relazioni vissute con JHWH-Elohim, nella famiglia, nel giardino da custodire e conservare; meno tecnico nei concetti teologici, più simbolico, psicologico, nel vissuto. È la tradizione un tempo detta J (Jahwista).15

Is 40,26-28; 42,5; 43,1.7: “Levate in alto i vostri occhi e guardate: chi ha creato tali cose? Egli fa uscire in numero

preciso il loro esercito e le chiama tutte per nome; per la sua onnipotenza e il vigore della sua forza non ne manca alcuna. Perché dici, Giacobbe, e tu, Israele, ripeti: «La mia vita è nascosta al Signore e il mio diritto è trascurato dal mio Dio? ». Non lo sai forse? Non lo hai udito? Dio eterno è il Signore, che ha creato i confini della terra. Egli non si affatica né si stanca, la sua intelligenza è inscrutabile […]. Così dice il Signore Dio che crea i cieli e li dispiega, distende la terra con ciò che vi nasce, dà il respiro alla gente che la abita e l’alito a quanti camminano su di essa[…]. Ora

12 Cfr SANNA I., Chiamati per nome, Antropologia teologica, ed. S.Paolo, Cinisello Balsamo, 1994,3 42s; WESTERMANN C., La création dans les psaumes, in ASSOC. CATH. FRANCAISE pour l’étude de la Bible, Derousseaux L. ed., La creation dans l’orient ancien, (=L D 127), Cerf, Paris 1987, 301-322; ARMENDARIZ L.M., Hombre y mundo a la luz del Creador, Ed. Christianidad, Madrid, 2001, 38-40: Los Salmos (La creacion hécha cantico)

13 Cfr BARTH K.,Dogmatique, III / I, La doctrine de la création, Genève 1960, 101-244.14 PLATONE, Timeo, Introduzione, traduzione, note…di G. Reale, Rusconi, Milano 1994, 83-8515 Per gli studi più recenti sulla tradizione un tempo caratterizzata fortemente come Jahwista, ora posta in crisi,

SKA J.L., Introduzione al Pentateuco, Ed Dehoniane Roma 1998,151-164.

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così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha plasmato, o Israele: «Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni [….] Quelli che portano il mio nome che per la mia gloria ho creato e plasmato e anche formato.»”.

Il DeuteroIsaia, libro della consolazione, 40-55, motiva il rilancio religioso di Israele esiliato esplicitando il tema della creazione: compare il termine tecnico, barà, insieme ad altri, fare, formare, plasmare; si procura così la fedeltà al Dio dell’Alleanza, l’identità religiosa di Israele.

Troviamo ampie descrizioni dell’opera creatrice nei Libri sapienziali:Pv 8,22-36 IV – V sec a.C.Sir 24 II sec a.C.Sap 7-9 I sec a.C.

Il tema è la ricerca e la motivazione della Sapienza, iscritta attivamente da Dio creatore nella vita umana, nel cosmo. Siracide e Sapienza rispecchiano il periodo ellenistico, nuovo contesto culturale che stimola una più ampia e intensa consapevolezza del sapiente progetto divino, colto nella sua concretezza.

Notiamo quindi come tutti questi testi eccetto, forse, Gn 2 meno tecnico, più psicologico, simbolico, sono alquanto recenti, elaborati in periodi di crisi, frutto di una prolungata riflessione sull’Alleanza.16 Ma come viene rappresentata la radicale dipendenza dell’uomo e del mondo rispetto a JHWH-Elohim nelle più antiche professioni di fede?. È questo il genere letterario di cui dobbiamo ora interessarci.

Individuiamo una professione di fede di età patriarcale, situazione di nomadi, in Gn 48,16-19:

“Il Dio, alla cui presenza hanno camminato i miei padri, Abramo e Isacco, il Dio che è stato il mio pastore da quando esisto fino ad oggi, l’angelo che mi ha liberato da ogni male, benedica questi ragazzi! Sia ricordato in essi il mio nome e il nome dei miei padri, Abramo e Isacco, e si moltiplichino in gran numero in mezzo alla terra!”.

Questa professione di fede si trova nel contesto della benedizione del patriarca Giacobbe ai figli di Giuseppe: qui il nome del Dio dei padri Abramo e Isacco è Elohim, il nome del Dio vertice della religiosità semitica. Egli ha chiesto ad Abramo di lasciare la patria e la famiglia (si può supporre da Gs 24,4-14: ” Eliminate gli dei che i vostri padri servirono oltre il fiume e in Egitto” v. 14, cfr Gdt 5,5-9), perché inquinate dal paganesimo. Il Dio dei Padri, riconosciuto come unico Dio, è il Dio che ha protetto fedelmente come pastore e angelo, la tribù nel suo cammino.

Non si parla di un Signore universale, creatore, ma di Dio, pastore e angelo, protettore nel pericoloso cammino di un nomade attraverso le insidie in una terra straniera. Si potrebbe dire che la signoria del Dio dei Padri, viene espressa secondo le urgenze della vita di una tribù dedita alla pastorizia, le sue necessità di esistenza.

Cerchiamo ora una professione di fede che esprima la vita del popolo divenuto sedentario, agricoltore della terra promessa, per la guida di Mosè, la fede in Jahwè, la sua protezione sperimentata nel rischioso passaggio del Mar Rosso.

16 Osserva von RAD G., Théologie de l’Acien Testament, vol I, Théologie des traditions historiques d’Israel, Geneve 1967, 127, che nell’Antico testamento sono poche le trattazioni teologiche della creazione in vista di una istruzione diretta; le altre sono sotto forma di inni, per la lode e la glorificazione di Dio; la dottrina è una condizione per questa lode. Aggiungiamo osservazione simile anche per l’ambito morale-spirituale: gli autoelogi della Sapienza in Prv 8 e Sir 24, la sua presenza, partecipazione all’opera creatrice di Dio, sono nella prospettiva della qualità di una vita morale saggia. Anche WESTERMANN C., Teologia dell’Antico Testamento, Paideia Brescia 1983, 218 nota: “Nella religione di Israele né la dottrina né il culto sono stati autonomizzati; ed il rapporto con Dio rimase per tutta la storia uno scambio vivo, determinato da sempre nuove esperienze compiute nel mutare della vita. I Salmi di lode – siano essi del popolo, siano individuali – rispecchiano questo fatto in modo così diretto, che hanno conservato fino al presente la loro forza espressiva”. Dobbiamo sempre aggiungere la gioia della Verità, così propria dell’uomo, specialmente nel situarsi davanti a Dio.

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Ritroviamo tale professione di fede nelle offerte delle primizie, ritualmente descritta in Deuteronomio 26,5-11:

“Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi, e ci condusse in questo luogo e ci diede questo paese, dove scorre latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato. Le deporrai davanti al Signore tuo Dio e ti prostrerai davanti al Signore tuo Dio; gioirai, con il levita e con il forestiero che sarà in mezzo a te, di tutto il bene che il Signore tuo Dio avrà dato a te e alla tua famiglia”.17

Una prima lettura di questa arcaica professione di fede ci potrebbe lasciare alquanto perplessi per la mancanza di una esplicita menzione di Dio creatore; ma se manca l’esplicitazione formale, notiamo un contenuto di fede nella sovranità assoluta di Jahwè sulla terra, il lavoro, i suoi frutti, intensamente percepito ed inculcato. Anzi questa è la vera finalità del rito delle primizie e della professione di fede che lo accompagna: radicare la convinzione che il Dio dei Padri, della storia dell’Esodo, è anche il Dio creatore della terra; viene così sempre più formalmente esplicitato che il Dio della salvezza è lo stesso Signore universale.

Questo intento, esplicitare che il Dio dell’Alleanza è pure il Dio cui riferire tutta la novità di una vita di sedentari, agricoltori, risulta ancora più evidente, se teniamo presente la finalità delle catechesi deuteronomistiche. Vogliono sovvenire ad una situazione di tentazione della fede jahwista: la terra promessa ottenuta è così bella e fertile che si dimentica il suo donatore, per attribuire i frutti della terra alle divinità cananee della fertilità (Baal, Astarte).

Deuteronomio 26,6-11 cerca di prevenire questo pericolo, e attribuisce al Dio della storia-Alleanza, anche ciò che è frutto della natura, la fertilità del suolo: il Dio salvatore dell’Egitto viene ora riconosciuto come il Dio Signore della terra, datore delle benedizioni della fertilità. In altri termini, il brano, nel contesto delle catechesi di Dt 5-11, intende far diventare jahwista, ortodossia e ortoprassi, la vita dell’agricoltore israelita, che offre le proprie primizie non agli dei cananei, ma all’unico vero Dio. I riti agrari del tempo vengono trasformati in riti a JHWH, riconoscendo la sua signoria. È la forza insita nello Jahwismo, manifestare, come dal di dentro, quelle virtualità che già possiede, e che si esprime ora nella fede in Dio creatore della natura e dei frutti di essa. Lo Jahwismo esprimerà la sua insita fede in Dio creatore, specialmente durante la cattività babilonese.

Qui si deve convivere in un impero esteso dal Golfo Persico al Mediterraneo, organizzato ed efficace, dominatore dei popoli. Chi ha in mano le sorti della vita e della terra, non è forse Marduk, dio dei babilonesi? Che speranza potrà ancora avere Israele privato del tempio, dei sacrifici e della dinastia davidica?. La risposta del DeuteroIsaia è limpida: ci si deve fidare solo di Jahwè, restare fedeli alla sua Alleanza, perché Lui è il creatore universale, capace quindi di mantenere tutte le sue promesse. (Cfr Is 40,26-29; 42,5 ; 43,1-25).18

17 Cfr LOHFINK N., “Ascolta Israele. Esegesi di Testi del Deuteronomio”, Paideia, Brescia 1968; BUIS P. et LECLERC J., Le Deuteronome, Gabalda, Paris, 1963.

18 Cfr EICHRODT W., Teologia dell’Antico Testamento, vol. I Dio e il Popolo, Paideia Brescia 1979, 208-229, 223: “ Soprattutto Isaia esprime con grande vigore e torna continuamente a sottolineare questa idea [JHWH è l’unico vero Dio Signore universale]. Nel contrapporre agli dei pagani e nel valutare la loro nullità nel confronto del Dio di Israele si esprime la gioia trionfante per una idea nuova e travolgente, che significa liberazione spirituale ed è usata come arma preziosa per controbattere la religione pagana”; von RAD G., Théologie de l’Acien Testament, vol I, Thèologie des traditions historiques d’Israel, Geneve 1967; KERN W., La creazione quale origine permanente della salvezza, L’asserzione biblica fondamentale, in Feiner J. e Löhrer M.,ed., Mysterium salutis, II/2, Queriniana Brescia 1970, 59-77; VERMEYLEN J., Il motivo della creazione nel DeuteroIsaia, in ASSOC. CATH. FRANCAISE pour l’étude de la Bible, Derousseaux L. ed., La création dans l’orient ancien, (=L D 127), Cerf, Paris 1987, 184-217; FESTORAZZI F., La Bibbia ed il problema delle origini, Paideia Brescia 1967, 57-62; SKA J.L., Introduzione alla

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“La rivelazione progredisce in relazione alle esigenze e alle disposizioni di coloro che la ricevono: quando si presenta una situazione in cui, per mantenere la fedele adesione all’Alleanza, è necessario un approfondimento della conoscenza di Dio, e quando lo sviluppo culturale (realizzato per lo più in seguito all’incontro con altre civiltà) rende capace il popolo di un tale approfondimento, le concezioni originali si vanno approfondendo sotto l’influsso dello Spirito Santo.”19.

È il Dio unico personale, trascendente, rivelatosi e attivo nella storia dell’Alleanza, che viene sempre più esplicitamente riconosciuto creatore universale. Genesi 1 è innanzitutto il frutto di questa autoimplicativa maturazione dello Jahwismo.

Per cogliere tutta la ricchezza teologica della narrazione genesiaca circa la creazione, intendere i suoi mezzi espressivi, dobbiamo ancora parlare della personalità unica, trascendente, spirituale di JHWH, la visione del mondo prescientifica comune all’oriente antico, le cosmogonie che la fede jahwista pone in crisi, purifica da pagane teogonie e teomachie, per utilizzarne validi elementi simbolico-mitici. Dovremo poi trattare della purificazione e attribuzione a JHWH della pienezza divina di Elohim, il Dio creatore delle religioni semitiche.

Possiamo porre su tre colonne i fattori di cui il redattore di Genesi 1,1-2,4a si è servito per offrirci la narrazione della creazione. Decisiva è la maturazione della fede jahwista in un esplicito monoteismo ma vi hanno anche contribuito, sia le condizioni di vita del popolo dell’Alleanza, sia i rapporti culturali, i miti di origine della religiosità medio orientale:

Situazioni di vita Alleanza. InterventiSalvifici di JHWH

Rapporti culturali

Nomadismo Abramo, Isacco, Giacobbe:Gn 48,16-19; Sal 22(23)

Rappresentazioni pre-scientifiche dell’universo. .Miti di origine: cosmogonie, teogonie, teomachie

Vita Agricola sedentaria. Esilio

Mosè, Esodo, Legge:Es 20 ; Dt 26,1-11Elia: 1 Re 18,20-39Deut.Is 40-55 (40,27-31)

Simile ambiente culturale; poi il parziale superamento del Mito col diffondersi, dopo Alessandro Magno, dell’Ellenismo

Gn 1,1-2,4

1.1 Dio personale, trascendente, unico dell’Alleanza è il Creatore Il Dio dei Padri, che si mostrerà come JHWH a Mosè, si presenta con caratteristiche

fortemente personali, non confondibili con alcun altro. Già il presentarsi con un nome altamente significativo (JHWH suggerisce un rapporto con la pienezza dell’Essere che fa essere) si oppone a qualsiasi considerazione astratta della divinità, alla sua confusione con la natura o una delle sue forze. Comunicare il nome è invito di Alleanza, comunione obbediente, poiché la volontà di JHWH è sovraumana, esige totale sottomissione e non solo in senso generico, ma in ogni circostanza della vita quotidiana: peregrinazioni, famiglia, giustizia, fraternità.

Gli uomini che sono sinceramente dediti a JHWH, percepiscono l’urgenza assoluta dell’essere disponibili a tutti i suoi comandi, non viene presa in considerazione nessuna altra

lettura del Pentateuco, Ed Deh. Roma, 1998, 189s: “Per chi legge la Bibbia oggi, specialmente in un mondo cristiano o in un mondo monoteistico, le affermazioni della Bibbia appaiono scontate. Ma non fu così nei secoli turbolenti del periodo esilico e postesilico, quando Israele visse l’esperienza più drammatica della sua esistenza, vale a dire quando rischiò di essere cancellato dalla carta del mondo. Israele, anzitutto i suoi capi religiosi e la sua intelligenza, dovettero rispondere alla terribile sfida delle nazioni che erano riuscite a conquistare il paese, distruggendo tutto quello che aveva di più sacro [….] Era indispensabile poter dimostrare che il Dio di Israele non era inferiore alle divinità potenti dei vincitori. […]Era tuttavia indispensabile potere affermare che il Dio di Israele fosse il creatore dell’universo.”

19 M. FLICK – Z. ALSZEGHY, Fondamenti di una antropologia teologica, lib. Ed. fiorentina 1968, 23

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disposizione, si veglia sull’esclusività assoluta di JHWH. Egli non è mai considerato un vago ordinamento del mondo, una forza impersonale della natura, si concepisce invece sullo schema di una personalità umana, con caratteristiche proprie di trascendenza, spiritualità e unicità20

L’Antico Testamento, specie la tradizione così detta jahwista, è ricca di antropomorfismi che hanno la funzione di sottolineare la relazione fortemente e direttamente interpersonale che stringe con gli uomini; JHWH viene intuito nello schema di una persona: non è un’astrazione o una forza della natura fisica. Così viene rappresentato mentre plasma l’uomo e conversa nel giardino dell’Eden, chiude la porta dell’arca di Noè (cfr Gn 7,16) , si pente dei avere creato l’uomo (cfr Gn 6,6) , odora la soave fragranza del sacrificio di Noè (cfr Gn 8,21) .

Si pone contemporaneamente la massima cura nell’affermare il carattere del tutto sovraumano della personalità di JHWH: trascendenza in una maestà dalle dimensioni inaccessibili, del tutto santo (Is 6,1): “Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio.” Il vivente per eccellenza (Sal 35(36),10): ” È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce”, esente da ogni limite umano.

Anche la severa proibizione di fabbricare immagini, esprime la profonda convinzione di fede che la vicinanza salvifica di Dio, frutto dell’Alleanza, non si può rappresentare, in modo conforme alla trascendenza e santità del tutto uniche di JHWH, con le forme della natura. La proibizione di confezionare immagini sacre sorge dalla convinzione che Dio è di natura invisibile e spirituale (Dt 4,12.15-18) :

“Il Signore vi parlò dal fuoco; voi udivate il suono delle parole ma non vedevate alcuna figura; vi era soltanto una voce. […] State bene in guardia per la vostra vita: poiché non vedeste alcuna figura, quando il Signore vi parlò sull’Oreb dal fuoco, non vi corrompete, dunque, e noni fatevi l’immagine scolpita di qualche idolo, la figura di maschio o femmina, la figura di qualunque animale che è sopra la terra, la figura di un uccello che vola nei cieli, la figura di una bestia che striscia sul suolo, la figura di un pesce che vive nelle acque sotto la terra.”

L’uomo è BASAR, cioè carne visibile e limitata, JHWH invece è RUAH, Spirito, forza vitale infinita, da cui ha origine ogni vita. Specialmente la tradizione P (sacerdotale) accentuerà la trascendenza di Dio escludendo antropomorfismi, sottolineando il fatto cultuale: si stabilisce la comunione con Lui specialmente nel culto, nella preghiera; viene così evidenziato che il modo con cui Dio ci raggiunge, ci ricrea, stabilisce comunione, è innanzitutto la sua parola.21

Il monoteismo è chiaramente professato dal redattore ispirato del Pentateuco: JHWH è il solo ed unico Dio, possiede tutta la pienezza divina, tutto il resto è quindi non-Dio da lui dipendente: sua creatura. Lo Shemà professa apertamente l’unicità di Dio:

“Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. “ (Dt 6,4) . La grande lotta di Elia contro i seguaci di Baal, è chiara affermazione dell’unicità di JHWH. Specialmente durante l’esilio il DeuteroIsaia conferma il popolo esiliato nella fede nell’unico Dio, dell’Alleanza, creatore del cielo e della terra, del suo popolo, che assicura la realizzazione delle Promesse. Può realizzare le Promesse, è doveroso affidarsi a Lui solo, in quanto è il vivente, 22 dominatore universale; si serve di tutti, anche di Ciro, per realizzare il suo progetto salvifico a favore di Israele.(cfr Is. 45,1-7).

20 Nota EICHRODT W., Teologia dell’Antico Testamento cit., 223-229 che la professione esplicita di fede monoteistica, del creatore universale, la sua esposizione potremo dire teorica è preceduta in Israele da una esperienza viva della sovranità misericordiosa e potente di JHWH: la protezione della piccola famiglia abramica, la liberazione dall’Egitto, il dono della terra promessa. “Il fattore determinante per la nascita di un monoteismo legato alla vita e alla morale fu l’esperienza della vitalità e della reale presenza di Dio, non la riflessione filosofica, come prova l’evoluzione della fede veterotestamantaria” (229). L’indubbio fattore determinante dell’Alleanza, suscita l’esercizio delle capacità conoscitive dell’uomo, <capax Dei>.

21 Per le caratteristiche di personalità, trascendenza, spiritualità, unicità del Dio dell’Alleanza, cfr EICHRODT W., Teologia dell’Antico Testamento cit. 208-220.

22 Cfr GUILLET J., Le titre biblique le Dieu vivante, in L’homme devant Dieu, mélanges offerts au Père H. de Lubac, T. I, Exègése et patristiques, (=Theologie 56), Aubier, Paris 1963, 11-23.

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La parola <creare>, (barà) esclusiva per l’operare di Dio, ciò che solo Dio può fare, viene impiegata per indicare:

la creazione del mondo: Is 40,26-28; 42,5; 45,18; Sal 88(89),12-48; 103(104),30; 148,5 la formazione del popolo di Israele: Is 43,1.7.15; Dt 32,6 Il rinnovamento escatologico: Is 65,17

* il cambiamento del cuore, il perdono dei peccati: Sal 50(51),1223

Non si da quindi alcuna incertezza sulla professione di fede dell’unicità di Dio dell’Alleanza e creatore universale; si pone invece la questione circa il monoteismo esplicito di Abramo, Isacco, Giacobbe: il loro Dio porta il nome di El, El ‘Elyôn: Dio Altissimo (cfr Gn 14,18); El Shadday, Dio onnipotente (cfr Gn 17,1; 35,11; 48,3.)

Sappiamo che El (Elohim, Allah) è conosciuto ed adorato anche fuori di Israele: pare sia stato il Dio supremo dei Semiti. La storia dei rapporti tra i Padri ed El risulta oscura; si può avanzare l’ipotesi appoggiandoci sull’insegnamento di M. Eliade24, che El sia stato alle origini, il Dio unico, celeste, creatore, poi alquanto dimenticato ed eclissato da un politeismo più seducente e corrotto dalle divinità della fecondità: (Baal, Astarte).

Ma nel fatto di Melchisedek: “Intanto Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole: <Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici>”(Gn 14,18-20), si può intuire che El Altissimo creatore, può essere riconosciuto anche fuori dal popolo eletto; anche in Gn 20, i dialoghi tra Abramo e Abimelek, portano alla stessa prospettiva.25

Qualunque siano stati i rapporti tra Elohim e il politeismo, nella patria e nella famiglia di Abramo (cfr Gdt 5,6-11; Gs 24,2.14), l’invito rivolto da Elohim ad Abramo di lasciare patria, parentela (inquinata dal politeismo), per affidarsi a lui solo, la benedizione che in Abramo si estenderà a tutte le famiglie della terra: ”in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”(Gn 12,3), fa intuire l’unicità trascendente di questo Dio Elohim.26

Il monoteismo dei Padri è più vissuto che formalmente espresso, ma è questa esperienza vissuta del Dio unico a condurre alle affermazioni esplicite e formali.

Notiamo infatti che i Padri: escludono qualsiasi divinità secondaria; la divinità El della tribù è pure il Dio personale del singolo; manca assolutamente il complemento femminile del Dio dell’Alleanza. La religione dei Padri esclude in modo così decisivo la divinità femminile, che in ebraico manca un termine proprio per indicarla; ma JHWH possiede tutta la tenerezza materna, le rahamin, viscere materne. Isaia 49,15 usa tale termine per indicare la misericordia divina:

” Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”

1.2 La conoscenza dell’unico Creatore al di fuori del contesto dell’AlleanzaNon abbiamo più incertezze che la conoscenza di Dio Creatore e della sua opera abbia preso

consistenza nel formarsi della S. Scrittura sotto lo stimolo della rivelazione del Dio dell’Alleanza. Riassumiamo alcuni indizi: la stessa parola creare, barà, indica ciò che solo Dio può fare, nel

23 Cfr VON RAD G.,. Teologia dell’Antico testamento cit. 128s.24 ELIADE M., Trattato di Storia delle religioni, Boringhieri, Torino 1972, 43-60; cfr LIGIER L., Pèché d’Adam

et péché du monde, Bible-Kippur Eucharistie** Le Nouveau Testament, (= Théologie 48) Aubier, Paris 1961, 185, nota 131.

25 DUBARLE A. M., La manifestation naturelle de Dieu d’apres le l’Ecriture, (=L D 91), Cerf, Paris 1976 26 Cfr WESTERMANN C., Il racconto della creazione all’inizio della Bibbia, in NEGRETTI N. –

WESTERMANN C. – von RAD G., Gli inizi della nostra salvezza, Marietti, Torino 1974, 123.

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formare il suo popolo da un insieme di persone difficili alla conversione, di dura cervice, facili alla mormorazione; inoltre barà è usata per il perdono del peccato, opera esclusiva di Dio, e quindi anche il porre nell’esistenza <il cielo e la terra>, il tutto universale.

La creazione di una realtà nuova, che solo Dio può realizzare, in tutti questi campi, avviene per la Parola: ha detto le dieci parole fondamentali, il Decalogo (cfr Es 20,1-17; Dt 5,6-21), come ha detto la Parola profetica, per rinnovare il popolo dell’Alleanza mosaica; parimenti il ritornello <Dio disse> viene ripetuto in Genesi per la creazione della Luce, del firmamento, per la separazione delle acque superiori da quelle inferiori (il significato primigenio di <barà> sembra essere <separare>27) e così via sino al definitivo <Dio disse> della Creazione dell’uomo secondo la sua Immagine.

Anche il ritmo temporale, i sei giorni della creazione, tutti orientati alla creazione dell’uomo secondo l’Immagine di Dio, affinchè goda del Sabato, il culto che realizza comunione col Dio della Creazione ed Alleanza, sembra essere una proiezione, negli inizi dell’azione creatrice di Dio, dei ritmi propri della storia salvifica, il suo orientamento alla Glorificazione di Dio.28

La separazione delle acque del Mare Rosso per l’esodo dall’Egitto, ha il suo equivalente nella separazione delle acque primordiali in Gn 1,5-8; il condurre il popolo dell’Alleanza fino alla terra promessa sembra avere un suo precedente nel situare i progenitori nel giardino dell’Eden (Gn 2,8).

Queste ed altre significative concordanze, poste in rilievo nel 1936 dall’esegeta G. von Rad29, e ripresa da K. Barth nella sua Dogmatica ecclesiale, sembrarono cosi convincenti da divenire anche egemoniche, quasi potessero spiegare tutto nella Rivelazione del Dio creatore e della sua opera. Rappresentano la prospettiva assiale, e sempre vera, che la creazione è sempre da vedersi nella luce dell’Alleanza, ha consistenza soltanto in essa, e può finalmente correre il pericolo di essere assorbita in essa.

Cl. Westermann avanzò osservazioni30 complementari, che risultano ragionevoli, vere. Fa infatti notare che il tema e la credenza delle origini del cosmo e dell’uomo è presente in tutte le tradizioni religiose. E’ una esigenza dell’uomo <in pericolo, minacciato e vulnerabile> cercare una risposta nel culto; seguirà l’impegno dell’intelligenza umana, porsi la questione delle sue relazioni di origine col Mistero che lo avvolge, cercare di darne una risposta elaborata 31. Non dobbiamo aspettarci, stante il peccato dell’uomo e quindi la difficoltà di esprimere correttamente la sua relazione col Mistero divino che lo pone nell’esistenza, che i Miti e le narrazioni delle origini esprimano con limpidità la verità della creazione; accusino quindi un certo degrado religioso sulla concezione dell’unico Creatore. Ma il problema viene posto e variamente sviluppato.

27 cfr BEAUCHAMP P., Création et Séparation, étude exégétique du Chapitre premier de la Genèse, (LD =201) Aubier-Cerf, Paris 1970, che ha interpretato la crezione come distinzione/separazione.

28 Cfr NEGRETTI N., Il settimo giorno, (=AB 55), Biblical Institute Press, Rome 197329 Cfr von RAD, Genesi, vol 1, Paideia Brescia 1969, 49-78; Id. Teologia dell’Antico testamento, Paideia Brescia

vol I, 409-421, in questa opera riprende i suoi studi che datano da prima della 2° guerra mondiale, di cui aveva già offerto una sintesi in: Il problema teologico della fede veterotestamentaria della creazione, in Scritti sul Vecchio Testamento, Jaca book, Milano 1984, 9-25 (Traduzione italiana di un testo elaborato nel 1961).

30 Cfr WESTERMANN C., Creazione,(= coll. Temi di teologia 5), Queriniana Brescia 1974, 23-28; Id. Teologia dell’A.T., Paideia, Brescia 1983, 113-123; BRAMBILLA F.G., Antropologia teologica, Queriniana, Brescia 2005., 221

31 WESTERMANN C., Teologia dell’A.T., cit. 121, vede una esigenza primaria nei racconti di Creazione, il potere esprimere la totalità e l’unità del Mondo: ” Parlando della creazione del mondo, l’umanità ha imparato a comprenderlo come un tutto unitario. Il mondo nella sua totalità non poteva essere percepito dai sensi; l’uomo singolo non poteva percepirne che una piccolissima parte. La totalità del mondo poteva essere compresa solo alla luce della sua origine. Ogni successiva filosofia, nel parlare del tutto, ad esempio sotto il concetto dell’essere e dell’esistente, proviene dal concetto di creazione e senza saperlo dipende da esso, come si può ancora chiaramente vedere nei Pre-socratici. Tutte le scienze naturali, quando muovono dal concetto di natura o da quello di materia, derivano dal concetto di creazione e ne dipendono [……] Senza di esso il concetto di materia, come quello di natura, non sarebbe mai stato formulato”.

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Possiamo anche supporre che i Patriarchi , che professano un fede esigente nell’unico Dio della Promessa, vivano un perfetto enoteismo, la fede in un unico Dio dei Padri, Signore universale, implicitamente riconosciuto; i loro <credi storici> già esprimevano la sua completa Signoria nelle dimensioni di vita loro proprie, (cammini per il pascolo, produzione dei frutti della terra). Forse tali Patriarchi convissero, in modo parallelo, non impegnativo, con tali miti di origine, bisognosi di purificazione. Questa purificazione sarà realizzato quando si dovrà porre con urgenza la questione esplicita della Signoria universale di JHWH, specialmente ai tempi dell’Esilio.

Tali miti di origine, esistenti nell’ambito culturale dei Patriarchi, in ogni modo non dipendono dalla fede nel Dio dell’Alleanza. “ Solo in un secondo tempo, quando Israele si confronta con gli altri popoli e si pone il problema del creato in rapporto a Dio, afferma l’identità del Dio salvatore con il Dio creatore. La lode di Dio lega l’opera del Dio salvatore a quella del Creatore”.32

Nella prospettiva di C. Westermann, possiamo anche dare spiegazione della presenza di episodi antichi in cui si dà corretta lode al Dio Signore universale. Anzitutto in Gn 14, 19-22, la comparsa di Melchisedek, misterioso Re di Salem, la futura Gerusalemme, che va incontro ad Abramo reduce dalla vittoria sui Re sequestratori del nipote Lot, benedicendo <il Dio altissimo creatore>.

Ma anche del fatto riportato in Gn 20, (Abimelech che si prende l’avvenente Sara moglie di Abramo, presentata dal marito, con fondamento di verità, come sua sorella ): Abramo ed il Re sequestratore di Sara, chiarificando la spinosa questione, parlano con disinvoltura dello stesso Dio; non è quindi solo il Dio di Abramo, la sua Signoria è universale.

Anche nella storia dell’Israele preesilico, prima del consolidarsi della professione di fede nell’unico creatore, già si nota in più luoghi il pieno riconoscimento di una Signoria universale di JHWH: per es. Es. 15, il cantico di Mosè dopo il passaggio del Mare Rosso, e le affermazioni del Profeta Amos, nei forti avvisi alla corrotta Samaria (4,13).33

Una spiegazione teologica di questi precoci riconoscimenti della Signoria universale di Dio si può individuare in quanto afferma Sap 13,1-5, e con più incisività Rm 1,18-20, sulla capacità dell’uomo, anche pagano, di conoscere < le perfezioni invisibili> di Dio, <ossia la sua eterna potenza e divinità> <contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da Lui compiute>. 34Questa capacità costitutiva di conoscere Dio, anche se non esercitata correttamente dall’uomo peccatore (che non ri-conosce il Dio conoscibile, perché non Gli dà gloria, non si pone nel giusto atteggiamento davanti a Lui , cfr Rm 1,21-22) non può essere persa.

Se l’uomo perdesse questa capacità costitutiva di conoscere e di stare in verità davanti a Lui, non sarebbe più uomo. Come esigenza di una più matura storia e vita nella luce di JHWH e la sua Alleanza, lo abbiamo visto, può essere correttamente esercitata, come nelle narrazioni di Genesi. Ma può essere sempre esercitata, nelle condizioni opportune, con buoni frutti di verità sull’universale Creatore, anche al di fuori del popolo eletto.

In queste prospettive complementari, del cammino di Rivelazione , che dalla professione in Dio dell’Alleanza conduce alla fede nell’unico Creatore, riabilitando la capacita insita nell’uomo di giungere al Creatore, troviamo molta luce esegetica-teologica per la comprensione del poema sulla

32 Ibidem; questa discussione, del duplice e complementare orientamento, dalla Alleanza alla Creazione e viceversa, passò nei Manuali: cfr LADARIA L.F., Antropologia teologica, cit 18-27

33 BRAMBILLA F.G., Antropologia teologica, cit, 221; VACCARI A., Himnus profeticus in Deum creatorem, in Verbum Domini 9 (1929) 184-188; PENNA A., Geremia, La Sacra Bibbia, ed . S. Garofalo, Marietti, Torino-Roma 1954, 238s.; WISSER L., La création dans le livre de Jérémie, in ASSOC. CATH. FRANCAISE pur l’étude de la Bible, La création dans l’Orient Ancien, Cerf, Paris, 1987, 241-260. RINALDI P.G., Profeti Minori, Introduzione e Amos, La Sacra bibbia, ed. S. Garofano, cit. 1953, 164s.; 168s.; 210s.

34 cfr DUBARLE M.A., La manifestation naturelle de Dieu d'après l'Ecriture, (=LD 91) Cerf, Paris 1976, 127-154; 201-231.

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Creazione di Gn 1,1-2,4a, la narrazione sacerdotale degli inizi. Per un orientamento più completo dobbiamo ancora situarlo nel contesto della Preistoria biblica, Gn 1-11.

1.3 Il Poema della creazione di Gn 1 nel contesto della Preistoria biblica: Gn 1-11 35

L’aperta confessione di Dio (Elohim) creatore, è un’esigenza dello Jahwismo, sua luce-forza insita (autoimplicativa), benché la conoscenza di El, altissimo creatore, si possa trovare al di fuori del popolo dell’Alleanza; conoscenza di un Dio celeste creatore espressa in miti cosmogonici, con affermazioni normalmente bisognose di purificazione ed esplicitazioni.

La relazione tra lo Jahwismo e la religiosità naturale in Elohim creatore sono rivelabili da un attento esame di Gn 1-2, nel contesto della preistoria biblica, come già abbiamo osservato.

Nella Preistoria biblica, il criterio cronologico è l’evento storico-teologico della vocazione di Abramo: tutto ciò che la precede.36 Le questioni affrontate sono teologico-storiche: che rapporto intercorre, religioso-etico, tra Israele che gode dell’Alleanza di JHWH, e gli altri popoli e religioni, l’umanità che ha preceduto Abramo? Con l’umanità che non appartiene al popolo dell’Alleanza, ma che rimane destinataria della benedizione offerta ad Abramo ?

Si esaminano quindi le fondamentali comuni questioni di antropologia teologica: come sta l’uomo ed il suo mondo davanti al Dio della creazione-Alleanza. Si cerca nella stessa creazione originaria, così come viene creata da Dio, come esce dalle sue mani, il fondamento delle fondamentali istituzioni: culto jahwista (sabato), legge etica, famiglia, lavoro, cultura, solidarietà nel bene e nel male.

Specialmente si delineano i partners, soggetti attivi di una comune storia salvifica: JHWH-Elohim, che del tutto spirituale, trascendente, ha in completa libertà con la sua parola, creato il mondo per l’uomo, affinché questi creato secondo l’Immagine di Dio, capace quindi di relazione personale con Dio, risponda liberamente alla parola della creazione-Alleanza.

Si pongono in rilievo le decisioni libere prese dall’uomo di fronte al Dio della creazione-Alleanza: il peccato delle origini e susseguenti, il loro influsso sulla solidarietà umana; stante questa situazione peccaminosa universale, la salvezza passerà per tutti storicamente, attraverso il filone di Fede esemplare iniziato da Abramo.

Il punto prospettico da cui si spazia per ricostruire questa preistoria teologica, è costituito dalla fede jahwista, una benedizione che da Abramo si estende all’intera umanità (Gn 12,3). Si dà una sola Economia di creazione-Alleanza per tutti i popoli. Il materiale a disposizione, da sottoporre a interpretazione teologica in forza della conoscenza di JHWH, è quello comune alla cultura del tempo per congiungere l’umanità storica al tempo delle origini: liste di Re, cosmogonie. Ed è proprio lo studio comparato tra questo materiale mitico e al sua trasformazione biblica, a farci intendere la poderosa interpretazione teologica realizzata alla luce dello Jahwismo.

35 WESTERMANN C., Creazione, cit., 39: “ Nella tradizione e nella dottrina della Chiesa, i primi tre cap. della Bibbia furono isolati. Non ci si accorse che sono inseriti in un contesto più ampio, in base al quale vanno capiti. Questo contesto più ampio è il racconto degli eventi primordiali e comprende i primi 11 capitoli della Bibbia. Gli eventi primordiali possono essere compresi soltanto come un tutto unitario.”

36 Non è nostro compito trattare la storia dell’esegesi di Gn 1—11; ci si può riferire a TESTA P.E., Genesi, in GAROFALO S., ed. La Sacra Bibbia, Marietti, Torino-Roma, 1969, 2-29. Qui cerchiamo di raccogliere i risultati di una disquisizione non sempre serena; ci muoviamo nel filone, potremo dire centrale, dell’esegesi cattolica. In campo ecumenico l’interpretazione è notevolmente divergente. Significativo il ricupero della realtà del Creatore in WESTERMANN, Creazione,17: ”Se la teologia e la predicazione della Chiesa si occupano soltanto della salvezza, se l’agire di Dio nei riguardi dell’uomo si limita al perdono dei peccati o alla giustificazione, allora ne segue necessariamente che soltanto in questo contesto l’uomo ha a che fare con Dio e che soltanto in questo contesto Dio comunica con l’uomo [….] Che cosa può significare una storia della salvezza se essa non ha relazioni con la storia reale? [….] Il punto risolutivo sta ne chiedersi se Dio entri in relazione o no con tutta la nostra realtà; in altre parole: se egli sia o no il Creatore.”

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Consideriamo per esempio le genealogie di Gn 5, che collegano Adamo con Noè: il numero delle generazioni, è dieci, cioè lo stesso numero che troviamo nelle liste dei re sumerici, che collegano le mitiche origini del mondo con la dinastia reale; ma questi re sono dei personaggi mitici, dei semidei, non si tratta di generazioni umane, la durata dei loro regni è enorme 37. Invece in Gn 5, le liste degli antenati prediluviani, che uniscono Noè con l’origine dell’umanità, sono “viste come un seguito di generazioni, come una genealogia, strappata al contesto mitico della cosmogonia e ridotta a puro fatto antropologico” 38. Già con questa semplice trasformazione ad una pura condizione di generazione umana, si insegna chiaramente che gli antenati, tutti gli uomini sono semplici creature umane, che costituiscono una unica famiglia umana, partecipe di un’unica economia di creazione-Alleanza.

Non si da alcuna confusione, come nei miti, tra la condizione umana e quella divina. Quando invece il peccato, come viene insinuato, nel residuo mitico di Gn 6,1-4:

“I figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli a loro scelta. Allora il Signore disse: «Il mio spirito non resterà sempre nell’uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni»”, fa perdere il senso dei limiti della situazione creaturale e vuole invadere il piano divino, Dio si sente chiamato in causa ed interviene con il diluvio. La confusione tra Dio e l’uomo porta la stessa creazione ad uno stato di confusione caotica39: il rifiuto di Dio della sua Parola etica, è capace di riportare la stessa creazione alla situazione caotica delle acque superiori ed inferiori, come si presentava prima che la Parola creatrice vi ponesse ordine e ornato.

L’uomo viene così ricondotto alla sua condizione propria: ogni uomo è creatura di Dio, secondo la sua Immagine capace di rapporto con Dio. Ma se rifiuta la sua condizione creaturale, la Parola etica normativa le relazioni umane, specie quelle familiari, se il suo cuore si indurisce, se predomina la violenza, anche la stessa creazione fisica può ritornare alla stato caotico delle origini.

Ma Dio assicura che l’ordine cosmico, alternanza di giorni e di notti, di stagioni, che permettono l’agricoltura e il sostentamento per l’uomo (cfr Gn 8,22-9,17) non sarà sovvertito: rimarrà come segno di benevolenza, Alleanza fondamentale, inscritta e leggibile nella stessa creazione. Dio resta , evidentemente, impegnato nella conversione dell’< intento del cuore umano, incline al male sin dalla adolescenza > (Gn 8,21), ma sceglie non la via del < diluvio >, della distruzione, ma la via esigente della fede Abramica, della benedizione annessa, da estendersi a tutte le genti.

JHWH, pur attraverso varie tappe, intende perseguire per tutti un’unica economia salvifica: il Sabato senza mattina e senza sera (Gn 2,24), l’albero della vita dell’Eden (Gn 3,22) .

Il modello preistorico che fa camminare l’umanità verso i beni dell’Alleanza, è l’uomo, come Noè, che vive con giustizia; non il potere regale di Babilonia, che volendo unire i popoli sotto il suo tirannico dominio, acuisce e deteriora le naturali diversità dei popoli, realizzando incomunicabilità e contrasti insanabili (cfr Gn 11,1-9). Non il semplice e in sè lodevole sviluppo dell’agricoltura, dell’urbanistica, della metallurgia, che porta con sè la possibilità di una escalation di vendetta come risulta dal canto di Lamech:

“Lamech disse alle mogli: «Ada e Zilla, ascoltate la mia voce; mogli di Lamech, porgete l’orecchio al mio dire. Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette» “(Gn 4,23).

37 Vedi le tabelle comparative in TESTA P. E., Genesi, in La Sacra Bibbia, cit.,148-s.; per il significato della formula toledot (generazioni) vedi SKA J.L., Introduzione alla lettura del Pentateuco, cit. 31-34; NEGRETTI N., La storia dell’umanità e la storia della salvezza, cit. 31-36.

38 NEGRETTI N.,La storia dell’umanità e la storia della salvezza, in NEGRETTI N., WESTERMANN C., Von RAD G., Gli inizi della nostra storia, cit 34.

39 Cfr. ivi, 44.

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La preistoria teologica restituisce l’uomo alla sua autentica dimensione creaturale, già aperta alla comunione vissuta con JHWH: si intuisce che l’Alleanza Jahwista è offerta a tutti gli uomini. Il segno dell’Alleanza storica, la circoncisione, è propria di Israele, ma già tutti gli uomini hanno nell’arcobaleno (Gn 9,12-17), un segno dell’armonia degli elementi del mondo, l’Alleanza fondamentale della creazione.

La maledizione, conseguenza del peccato, invade subito ogni ambito dei rapporti umani, ma Dio conserverà la stabilità fondamentale della creazione, come segno della sua volontà di fare Alleanza, di estendere la benedizione di Abramo a tutti i popoli, e attraverso i suoi eletti (Abramo, Mosè, Gesù Cristo), rinnovare “l’intento del cuore umano incline al male fin dalla sua adolescenza”( Gn 8,21).

1.3.a Rifusione operata dalla fede Jahwista, circa i miti cosmogonici in Genesi 1.

Oltre alle liste dei re, ed in stretta connessione ideologica con esse, si davano nella cultura contemporanea ad Israele, miti cosmogonici. Questi miti presuppongono una visione fisica del mondo, semplice ed intuitiva. La terra è pensata come un’isola, circondata dall’oceano, il firmamento è supposto una calotta sferica, una grande volta che poggia sulle colline eterne circondanti l’oceano, e che serve a separare le acque inferiori, oceaniche, dalle acque superiori, celesti. Su questa solida calotta semisferica, sono appese sole, luna, stelle, che su di essa compiono il loro cammino. Il firmamento presenta delle aperture, le cateratte, quando sono aperte si ha la pioggia.40

Per la nostra finalità è opportuno tenere presente la cosmogonia ufficiale del regno assiro-babilonese: “Enūma Elîš”, che significa: “Quando dall’alto”, parole iniziali del testo, recitato nelle cerimonie liturgiche d’inizio anno, alla presenza del Re assiro-babilonese.41

Alle origine dell’universo si danno due principi, uno maschile, Apsu, abisso delle acque dolci, l’altro femminile, Tiamat, abisso delle acque salate, mescolati tra loro: principi cosmici divini. Dalla loro caotica unione nasce la prima triade divina, pur essa costituente principi cosmici. Anu, dio del cielo; Enlil, dio della terra; Ea, dio del mare, e altre divinità vivaci che disturbano il sonno dell’oziosa Tiamat. Apsu protesta, e si compiace del piano di uccidere le giovani divinità. Viene prevenuto da Ea. L’eliminazione del vecchio dio significa il termine della confusione caotica delle acque, un inizio di ordine cosmico ma attraverso il deicidio.

La vedova Tiamat, principio caotico delle acque salate si propone di vendicare Apsu, e genera mostri guidati da Qingu, per sterminare i rampolli parricidi. Le giovani divinità, terrorizzate, eleggono a loro capo Marduk (dio di Babilonia), fanno convergere su di lui tutti i loro poteri, per vincere Tiamat. Marduk assale e vince Tiamat, la squarta a modo di ostrica, e forma il firmamento per la separazione delle acqua superiori da quelle inferiori; da questo secondo deicidio, nasce l’ordine del cosmo. Marduk è il dio demiurgo, che con il sangue di Qingu, forma inoltre il primo uomo per il servizio interessato degli dei. Anche all’origine dell’umanità, sta un deicidio.

40 Cfr TESTA P.E. Genesi,cit. 31-33.41 Ivi, 34-38, per le variazioni, terminologiche e di particolari, tra le Cosmogonie sumere, babilonesi e

assire.Valida l’osservazione di WESTERMANN, Creazione, cit. 26s, quando ricorda che la creazione è una dimensione costitutiva di tutta la Bibbia, e parimenti i testi extra biblici di creazione devono essere situati nel loro contesto rituale e storico: “ Ora si trattava non più del problema, molto limitato e poco utile, del rapporto tra Gn 1 e il testo babilonese dell’epopea dell’Enuma Elish che tratta anch’esso di creazione. Il problema era questo: quale è il rapporto tra il discorso biblico sulla creazione preso in tutta la sua ampiezza e una storia delle narrazioni della creazione trasmessa per millenni quale la incontriamo nella serie dei testi sumerici-babilonesi-assiri?” Lo studio comparativo deve allargarsi anche a Testi egizi……”; cfr SEUX M.-J., La création du monde et de l’homme dans la littérature suméro-akkkadienne, in ASSOC. CATH. FRANCAISE pour l’étude de la Bible, DEROUSSEAUX L. ed., La création dans l’Orient ancien, (LD= 127), Cerf, Paris 1987, 41-122. Il testo di Enūma Elîš si può trovare in PETTINATO G. ,a cura di, Mitologia assiro-babilonese, UTET, 2005, 104-151.

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Enuma Elish presenta forma metrica e tono epico, rielabora antiche tradizioni sumeriche e degli Assiri: viene recitato il quarto giorno delle feste di capodanno, quando si rinnova la vita, ed il re deve acquistare coscienza del suo compito, già stabilito e predeterminato dalle origini.

Bisogna superare la prima impressione che il mito sia una favola innocua; costituisce invece una struttura profondamente ideologica, inculca un atteggiamento dell’uomo, del re, tale che sia in sintonia con quella che si ritiene essere la stoffa, la natura della vita sin dalle origini.

Più avanti rifletteremo alquanto sui limiti e sulla validità ideale della forma mitica, non dei suoi contenuti quando inculcano una dottrina su dio, uomo, cosmo, i loro rapporti, del tutto inaccettabili. La fede Jahwista, frantuma il mito, conservando una certa visione del mondo, come il firmamento che separa le acque inferiori dalle superiori, anche l’accenno ad una iniziale situazione caotica. Anche questo caos iniziale risulta creato da Dio, del tutto trascendente e buono, che sovranamente, con la sua sola Parola creatrice, lo trasforma nell’attuale forma ordinata dell’universo, in vista della vita dell’uomo, immagine di Dio.

“In principio Dio creò il cielo e la terra”(Gn 1,1): alle origini non si danno principi cosmici divini caotici, in lotta omicida tra di loro. Si dà invece il Dio unico, santo, personale, trascendente, buono, che crea cose buone, molto buone; non ha completamento di divinità femminili. L’Unico creatore buono è quel Dio che Israele ha conosciuto nella storia dell’Alleanza, Salvatore, celebrato in modo particolare nel culto del Sabato.

A lui si attribuisce non solo l’esistenza del tutto, “terra e cielo”, ma anche l’ordine vigente nel mondo, il cui grande beneficiario è l’uomo, perché rende possibile la vita dell’immagine di Dio. L’ordine vigente nell’universo è opera dello stesso Dio ben conosciuto ad Israele: tutto avviene in forza della sua Parola. Quella stessa parola che ha creato, formato, il suo popolo sacerdotale, ha posto nell’esistenza, ordinato il cielo, la terra, per l’uomo. Alle dieci parole (i dieci comandamenti), corrispondono le Parole ( Dio disse) della creazione, della separazione e dell’ornamento del < cielo e terra>.

La forza sovrana creatrice di Dio chiama all’esistenza, ordina tutto: tutto è sua creatura, buona in quanto è opera sua, disposta a servizio dell’uomo in un ordine universale che è “molto buono”(Gn 1,31). Il Dio del tutto santo crea cose buone: la loro venuta all’esistenza, il loro ordine è opera della sua santa volontà creatrice, senza alcuna resistenza, lotta tra principi cosmici.

Dio pone nell’esistenza “cielo e terra” e li ordina in vista dell’uomo in un susseguirsi di giorni, come fondamento ed inizio della Storia della salvezza. L’uomo, immagine di Dio, è creato per intendere e rispondere alla sua Parola, anzitutto quella dell’Alleanza, ma insieme intendere e rispondere alla parola di Dio iscritta nel creato, in modo del tutto particolare quella iscritta nel suo essere spirituale-corporeo, creato secondo l’Immagine di Dio.

L’uomo è responsabile della sua vita, è dotato di libertà per accogliere e realizzare la Parola dell’Alleanza e quella iscritta nella creazione, anzitutto nel suo essere spirituale-corporeo. Il suo destino è nelle sue mani, non è predeterminato in un tempo mitico delle origini. L’uomo non è creato per colmare qualche vuoto nel servizio degli dei come nel mito babilonese, cioè offrire loro un materiale servizio liturgico di cui hanno necessità; non è il frutto di deicidio, di una lotta mortale tra gli dei. È invece creato perché accolga la Parola di Dio, viva in obbediente comunione, formi ampia socialità, lavori, per entrare sempre più nella pace beatificante che Dio liberamente gli dona, il Settimo giorno, senza sera né mattino: il Sabato.

Il mito cosmogonico, teogonico e teomachico, viene così frantumato; la sua visione di Dio, e quindi dell’uomo e del suo mondo, viene totalmente rinnovata: anche in questo caso lo Jahwismo si impone e rifiuta tutti gli elementi ad esso contrari.

Per cogliere in profondità l’insegnamento di Gn 1,2-2,4a, è bene che esaminiamo ulteriormente la narrazione biblica in relazione ad altri miti di origine, così come li classifica P.Ricoeur.

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1.3.b Quattro tipi di miti di origine.

La validità del mito, come tentativo di esprimere i nostri rapporti col mistero divino che da ogni parte ci avvolge, è sostenibile. Si tratta di un discorso delicato, che evidentemente deve porsi al di là dei contenuti fortemente erronei che i miti contengono. La giustificazione del mito segue la legittimazione del simbolo come valido mezzo per esprimere realtà trascendenti l’esperienza diretta dell’uomo.

Il simbolo (per es. il giardino dell’Eden, per indicare l’elevazione dell’uomo alla comunione con Dio) può essere inserito in una storia con azioni (espulsione etc.), ed avremo un mito, legittimo per introdurci alla realtà dei rapporti tra l’uomo e Dio. Sempre ricordare che l’uso del simbolo, eventualmente anche del mito, avviene in una Storia di salvezza, in cui il protagonista principale è il Signore Dio, JHWH-Elohim, la cui narrazione biblica è opera propria dello Spirito Santo, attraverso lo scrittore umano. Inoltre ricordare che il Corpo scritturistico è un tutt’uno, il cui principio di unità e quindi di corretta interpretazione è il Logos incarnato, Crocifisso glorioso, presente ed operante nel Mistero eucaristico, nella tradizione viva della Chiesa Petrino-Apostolica.42

Possiamo anche individuare, a livello filosofico, i fondamenti della legittimità dell’uso del simbolo e del mito.

L’uomo per esprimere la sua apertura all’essere universale, ed al suo fondamento (l’Essere in pienezza) non si serve solo dell’immaginazione, ma inoltre, nel modo più esigente e scientifico, dell’intelletto (ratio, Verstand), nella luce della sua connaturale apertura all’essere (intellectus, Vernunft). La tematizzazione scientifica dell’essere, esposta nella metafisica, ontologia, si svolge alla luce dell’intellectus, nei procedimenti della ratio, sostenuti però dal modo immaginativo (simbolo, mito), e dal modo meditativo.

Ci rendiamo meglio conto come un pensiero meno evoluto fa uso più abbondante di simboli e miti, che poi lasceranno maggior spazio ai concetti più astratti del ragionamento filosofico. Questo è avvenuto nella filosofia greca, ove da Platone in poi si nota la riduzione del mito e la sua parziale sostituzione con la Filosofia. Qualche cosa di simile si può notare nella S. Scrittura ove al così detto Jahwista più antropomorfico, simbolico e forse antico, si aggiunge e coordina il Sacerdotale, più astratto, tecnico e recente.

Per esprimere e scientificamente esplicitare la sua connaturale apertura all’Assoluto, (intellectus, la <non contraddizione>, cfr FR n 4), l’uomo non può servirsi che dell’immaginazione e della ratio (Verstand), in ambito scientifico sarà del tutto prevalente la ratio

Dopo questa premessa sulla validità ideale del mito, diciamo ideale perché nella storia delle religioni la parola mito è carica di connotazioni negative, come favola, errore, politeismo, classifichiamo con Ricoeur quattro tipi di miti di origine, come li troviamo nella seconda parte, e conclusione della sua riflessione sulla finitudine e colpa umana43 Esponiamo una nostra sintesi della tipologia dei miti di origine, per poi indicare alcune connessioni che Ricoeur individua tra i quattro tipi descritti.

I°.Tipo: Enuma Elish: l’origine del male è coestensivo all’origine delle cose: la stoffa originaria del mondo è già in se stessa male, caotica. Non c’è più da ricercare l’origine del male in qualche peccato originale, perché gli stessi principi cosmici, divinizzati, sono violenti, si compiacciono del deicidio. La creazione è un faticoso apparire dell’ordine, e sempre attraverso il male: sia l’ordine del mondo, sia lo stesso uomo, sono frutto di un deicidio. Nei tempi mitici tutto è già predeterminato: l’uomo deve semplicemente accettare una vita che è già stata giocata. Il Re di Babilonia è come il continuatore del demiurgo Marduk: la cosmogenesi viene recitata nelle feste liturgiche di capo d’anno, perché il Re sia iniziato al suo compito di procurare l’ordine, anche di

42 Cfr DE LUBAC H., L’esegesi medioevale, I quattro sensi della Scrittura, P. I, vol I, Cap. V, «L’unità dei due Testamenti», in Opera omnia, vol 17, Sezione V, Scrittura e Eucaristia, Jaca book, Milano 19862, 348-351

43 RICOEUR P., Finitudine e colpa, il Mulino Bologna 1979, 419-634

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proteggere il debole, l’orfano, ma sempre attraverso la violenza, la guerra sacra perché così ha fatto il demiurgo Marduk nel tempo delle origini.44

II°.Tipo: Tragedia Greca: La colpa è ineliminabile, come si manifesta nell’esistenza dell’eroe tragico.Pensiamo ad Edipo Re, che uccide il padre, senza sapere che è suo padre, sposa la madre, senza sapere che è sua madre: non commette queste colpe con responsabilità morale, eppure è ritenuto inquinato da questi crimini. Sullo sfondo della tragedia greca sta una teologia inconfessabile del dio che tenta, acceca, svia l’uomo, per poi imputargli i suoi peccati.

Una certa liberazione estatica dell’uomo colpevole senza colpa si svilupperà nella partecipazione alla rappresentazione tragica; questa liberazione estatica, interiorizzata, porterà l’eroe tragico, tipo dell’uomo, ad una certa pietà verso se stesso, ad una certa accettazione del dio inconfessabile. Nella comprensione della necessità affiora un certo barlume di libertà interiore.45

III°.Tipo: Dell’anima esiliata (Platone): scinde l’uomo in anima e corpo e si concentra sull’anima, divina, venuta da altrove e smarrita quaggiù. “Esso racconta come l’anima di origine divina, sia divenuta umana; come il corpo, estraneo a quest’anima e cattivo per molti aspetti si imbatta in questa anima; come la mescolanza del corpo e dell’anima sia l’evento che inaugura l’umanità dell’uomo, facendo dell’uomo il luogo dell’oblio, il luogo in cui la differenza originaria tra l’anima e il corpo è abolita. In questo mito si attenua lo sfondo teogonico e cosmogonico, e si da un certo spazio alla libertà umana46

IV°.Tipo: Genesi 1-3: creazione buona e compiuta con l’uomo, il bene è originario e fondamentale; il dramma è frutto del peccato storico dell’uomo, di cui l’uomo è attore responsabile.47

Ricoeur dà la sua preferenza al Mito Adamico, la narrazione di Genesi, interpretato, mi sembra, più come riflessione umana, che come Parola di Dio, all’interno della Preistoria biblica e dell’intera Scrittura La forma mentis calvinista gli rende difficile il contesto della Tradizione viva della Chiesa. Quasi impossibile impostare i rapporti tra rivelazione del mistero di Cristo e una antropologia filosofica.

La Cristologia della Vittima assoluta sulla Croce, ove il tragico compiuto é abolito, sembrerebbe risolvere le questioni sollevate dalla Tragedia greca. Ricoeur riconosce: “ Una riflessione filosofica sui simboli dell’esistenza umana può quindi lasciarsi istruire dal simbolo del servo di JHWH [ compiuto in Cristo ].” Ma aggiunge:

“La dottrina che ipostatizza in Dio la sofferenza-scandalo, ripresa nella sofferenza-dono, non appartiene invece più alla simbolica dell’esistenza umana, perché non rivela più una possibilità anche estrema, dell’uomo. Si può certo considerare l’identità del<destino> e del <dono> realizzata nel sacrificio di Cristo come paradigma offerto al nostro agire e al nostro soffrire e assumerla quindi in una simbolica dei confini dell’umano; ma questa simbolica non è al livello di una cristologia e la cristologia non è del medesimo ordine di questa simbolica. Così il tragico compiuto e abolito della cristologia non è in potere di una antropologia filosofica.

Ecco perché la teogonia rimane come una questione in sospeso, al di là della morte delle teogonie arcaiche; il riconoscimento di una sorgente inumana del male, risuscita la tragedia. Siccome il tragico è impensabile, la teogonia si offre come l’ultimo mezzo per salvare la tragedia convertendola in logica.”

Il tragico convertibile in < logica > pensabile richiederebbe una onto-teologia <accettabile in cui il male diviene la mediazione dell’essere>, oppure la <sua inversione in una cristologia>. Conclude Ricoeur:

44 Ivi, 435-45845 ? Ivi, 473-49646 ? Ivi, 550; 549-57947 ? Ivi, 497-548

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“Con questa alternativa siamo posti a confronto ogni volta che ci accostiamo all’enigma di un male inumano, e rinnoviamo tale enigma ogni volta che facciamo apparire il male in noi e tra di noi”. 48

Il mito tragico, che rimanda al mito teogonico, risulta in tale modo più vicino al mito prioritario di Adamo; risulta invece ad esso più lontano il mito dell’anima esiliata. Ricoeur fa notare la verità storica di un Platonismo, che pone dualismo tra anima e corpo, come una minaccia alla dottrina cristiana sull’unità dell’uomo, minaccia che fin dai tempi di Origine ha suscitato l’opposizione del pensiero cristiano.

Ricoeur rifiuta, correttamente, la comprensione dei simboli in una totalità omogenea ai simboli stessi, <tale da fare sistema sul piano del simbolo stesso>49; così si elude il problema della verità, correndo da un simbolo all’altro. “Il mondo dei simboli non è un mondo tranquillo e conciliante; ogni simbolo è iconoclasta in rapporto ad un altro, e ogni simbolo lasciato a se stesso tende ad ispessirsi, a solidificarsi in una idolatria. Ma questa è una conoscenza del simbolo che rimane chiusa nel mondo simbolico. Si deve invece seguire l’indicazione del pensiero simbolico, aprendo il campo di una ermeneutica propriamente filosofica.

“ Il simbolo ci parla dunque in fondo come indizio della situazione dell’uomo al centro dell’essere nel quale si muove, esiste e vuole. Il compito del Filosofo guidato dal simbolo sarà allora quello di spezzare il recinto incantato della coscienza di sé, infrangendo il privilegio della riflessione. Il simbolo <dà a pensare> che il Cogito è all’interno dell’essere, e non l’inverso. [….] Il compito è allora quello di elaborare, a partire dai simboli, concetti esistenziali, e cioè non soltanto delle strutture di riflessione, ma strutture dell’esistenza, in quanto l’esistenza è l’essere dell’uomo”

La riflessione sui quattro miti di origine dell’uomo e del mondo secondo Ricoeur ci ha portato un po’ lontano dal nostro percorso di teologia biblica sulla creazione nella Preistoria biblica e Gn 1,1-2,4. Il Dio dell’Alleanza, JHWH, che è il Dio della creazione, Elohim, ha totalmente rinnegato, trasformato e ridimensionato i miti cosmogonici-teogonici del caos, male costitutivo del mondo, e del dio inconfessabile della Tragedia greca, tenendosi a distanza dal dualismo platonico50. Quando poi nel pensiero cristiano della riforma si porrà nuovamente in crisi l’identità tra il Dio alleato (Theologia crucis) e il Dio della creazione (Theologia gloriae), in una dimensione di interiorità, questi problemi riappariranno al filosofo cristiano.

Ricoeur ci avvisa di questo, ed è importante percepirlo sin d’ora, in prospettiva ecumenica; insieme ci indica anche la via ancora da percorrere pienamente in molti settori del pensiero cristiano: una filosofia dell’esistenza, dell’essere, in definitiva della creazione51. Riprenderemo questo discorso con Ricoeur parlando del Peccato originale.

Questo excursus, molto sommario, dell’ermeneutica filosofica del pensatore francese, ci incoraggia a continuare il nostro cammino di teologia biblica della creazione nel periodo ellenistico. La rivelazione di Dio creatore e del cosmo creato riceve stimoli ulteriori: una creazione percepita più intensamente nella sua consistenza, potremo dire nella sua oggettività di fronte all’uomo, ma

48 Ivi 603 s.49 Ivi 63050 Circa la prospettiva insufficiente, e se assolutizzata, falsa dell’interpretazione puramente simbolica, ascoltiamo

RATZINGER J., La Chiesa e la Teologia scientifica, in Communio n. 66, 1982, 40: «Mentre la filosofia buddista della creazione, e certamente per lungo tempo anche quella indù, hanno sostenuto che ogni conoscenza religiosa è solo una conoscenza simbolica, la fede cristiana ha sempre insistito sulla conoscenza come percezione della realtà, come verità che manifesta se stessa in una forma che non può essere scambiata con qualche simbolo»; 41: « La fede cristiana postula la verità quanto al contenuto, il quale non è soggetto ad una interpretazione simbolica completamente libera, ma è intesa come un’espressione incondizionatamente valida. [….] Essa sostiene che lo stesso Dio che divenne uomo in Cristo è il creatore del mondo».

51 Cfr MOSCHETTI S.M., La giustificazione luterana per la sola fede e la sua integrazione nella celebrazione e nel credo della Chiesa, in Teologica & historica, XV (2006), 63-94

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sempre nella sua radicale dipendenza nell’esistere e nell’operare, nelle sue finalità di fronte a JHWH-Elohim, trascendente ed insieme immanente, qualificante l’uomo ed il suo cosmo.52

1.4 La creazione nei libri sapienziali.La dottrina rivelata su Dio creatore dell’uomo e del suo mondo, con la loro consistenza

ricevuta, sempre a Lui in tutto radicalmente dipendente, compie nel post-esilio un ulteriore progresso. Lo stimolo culturale, sempre sul solido fondamento del monoteismo jahwista ormai consolidato, è ora costituito da una intensa riflessione “sapienziale” sulla vita umana.

Ogni persona, comunità non può a lungo sussistere senza una sua sapienza: per gestire, avere successo nella propria vita, nelle relazioni e rapporti sociali, è necessario riflettere sulla propria ed altrui esperienza, accogliere l’insegnamento del saggio, che ha saputo ben condurre la propria vita, anche nelle situazioni più difficili.53

La sapienza di un popolo si sviluppa normalmente come vero umanesimo, cultura dell’uomo, nei periodi di pace quando ci si può concentrare sul quotidiano dell’uomo, tutte le sue dimensioni, con disponibilità. La sapienza ricercata, raccolta e trasmessa in proverbi ed altre composizioni letterarie, si presenta facilmente con un certo colorito religioso: al di fuori della tradizione israelitica è essenzialmente antropocentrica, mira al successo, la felicità della vita umana, pur ricercando un certo aggancio con prospettive religiose.

In Egitto l’ordine del cosmo è espresso nella dea Maat (Isis ellenistica), figlia di Amon-Ra. Compito del faraone è insegnare Maat: esprime equità e giustizia, vigila sui deboli, si contrappone all’iniquità; può diventare astuzia ambigua, che s’ impone allo stesso Amon-Ra.54

Nelle religioni orientali, pensiamo alla grande ed antica tradizione indiana ancora vitale, la sapienza ha molteplici aspetti: si passa attraverso la legge del dharma, che regola la vita onesta, dedicata al proprio dovere, nell’ambito della comunità, ad uno stato di maturità spirituale, libero da ogni vincolo di materialità, per l’immersione nel tutto divino. Sapienza di vita con uno sfondo panteistico (o pan-en-teismo), reincarnazione delle anime, attenuazione della responsabilità personale.

Ricordiamo che nel ricco complesso della sapienza orientale, di tendenza panteistica, mancante di un centro di unità (come il Verbo incarnato, lo Spirito Santo Persona), si può trovare anche Bhakti, la devozione-amore individuale a Dio.55

Prospettive simili al tendenziale panteismo orientale possono individuarsi nella sintesi ellenistica dello Stoicismo. Si tratta dell’ideologia sincretista della grande filosofia greca con prospettive orientali, una dottrina duttile, di carattere piuttosto ottimista, razionale-virtuosa. Il tutto cosmico divino è impregnato, animato dal LOGOS che è fuoco, spirito, pneuma. L’uomo saggio deve vivere secondo il LOGOS immanente ed universale: in questa prospettiva si realizzerà l’educazione (paideia) del perfetto funzionario del colosso, plurinazionale, impero greco-romano. 56

L’ellenismo è così segnato da una forte riflessione razionale sulla vita sociale, si raccoglie l’eredità delle costituzioni delle Polis greche, si elabora il Diritto romano; si coltiva ogni espressione della vita: arti, umanesimo, anche l’abbozzo, non sviluppato, di scienze sperimentali, in ogni campo.

52 von RAD G., La Sapienza in Israele, Marietti, Torino 1975, 62 ss parla di un passaggio da visioni sacrali, come noterebbe nei racconti del modo di condurre la guerra in 1 Re 13 s., a prospettive, diremo ora secolarizzate; in Israele l’esperienza più oggettiva e concreta della vita dell’uomo e del suo mondo è sempre colta nell’ambito della creazione: tutto dipende radicalmente da Dio. Per le relazioni tra sapienza e creazione: 135-152.

53 Cfr, von RAD G., La Sapienza,cit. 13-22 tratta della necessità dell’esperienza riflessa ed esposta in composizioni sapienziali per condurre con successo la vita, e della preistoria di tali composizioni.

54 Cfr von RAD, La Sapienza, cit. 7355 Cfr Il canto del Beato (Bhagavadgītā), a cura di Gnoli R., Classici, UTET, 1976, Introduzione, 14-18.56 Cfr LARCHER C., Ėtudes sur le livre de la Sagesse, Ėtudes bibliques, Gabalda, Paris 1969, 201-223; per la

saggezza negli scritti del giudaismo ellenizzato 132-151

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La prospettiva risulta cosmocentrica-antropocentrica; notiamo il condensarsi della vita morale intorno alle 4 Virtù cardinali (Giustizia, Prudenza, Fortezza, Temperanza), sintesi etica accolta e valorizzata dal libro della Sapienza :

”Ella [la Sapienza] insegna la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza, delle quali nulla è più utile agli uomini durante vita”“ (8,7 ). Anche il pensiero cristiano ha posto queste virtù morali come principio architettonico della sua etica.

Ma il monoteismo panteistico stoico57 estenua quelle valide tensioni Teocentriche, verso un Dio trascendente, che si possono notare in Platone (Idee eterne, coordinate gerarchicamente sotto l’Idea del bene, con accenni di personalizzazione del bene stesso 58), ed in Aristotele (Atto puro di Pensiero, che tutto muove ed attira a Sé 59): ne risulta un notevole appiattimento immanentistico.

Anche Israele, come tutti i popoli, possiede una sua eredità sapienziale; la terminologia usata è varia, in modo corrispondente alla densità del concetto: con Hokmah חמכה, si intende anzitutto la Sapienza propria di Dio, sua, interna, comunicata all’uomo; a questo significato si avvicina daat ( indica che la Sapienza è frutto di una conoscenza esercitata. Musar ricorda che la (הניב) binah ;(תאדSapienza è fatto di educazione accolta, esercitata.60

Se interroghiamo l’etimologia, Sapienza indica in primo luogo l’abilità tecnica dell’artigiano come viene ricercata e menzionata per la costruzione del tempio e l’ornamento delle suppellettili ( cfr Es 28,3; 35,30-33); viene poi ad indicare una perspicace e prudente gestione delle relazioni umane, condurre con intelligenza pratica la propria vita: rappresenta una necessità vitale. La Sapienza in Israele possiede caratteri decisamente religiosi-morali: tutto, in questo modo di accostare la realtà umana con prospettive più consapevoli, interiori ed insieme ampie, tutta la consistenza oggettiva della vita, tutto viene relazionato al Dio unico, Santo della creazione-Alleanza.

Notiamo ancora: la riflessione sulla vita non è mai assente, ma prima dell’esilio prevale una teologia discendente, della Parola creatrice di Dio, si contempla Dio che agisce nelle sue opere. Nel post-esilio, specialmente quando Israele viene inserito nel colosso Ellenistico voluto da Alessandro Magno (†323), si offre più attenzione diretta alla vita umana, al suo contesto: viene anche accolto il termine greco Cosmo (19 volte in Sapienza), cioè l’universo, il tutto <terra e cielo> viene considerato come una totalità bella, ordinata, che attira su di se l’attenzione, lo studio; già in Gn 1 il commento di Dio alla sua opera di creazione è: < buono >, < molto buono >.61

Si dà un aspetto fondamentale che distingue la Sapienza di Israele e la qualifica rispetto agli altri popoli: l’atmosfera in cui si muove la ricerca è sempre quella religiosa di chi vive davanti a JHWH , Dio della Alleanza e della Creazione.

“L’originalità della Sapienza di Israele (appare chiaramente in Giobbe, è esigita da Qoelet, viene manifestata in Sapienza) sta nel presentare un Dio Signore del creato, della storia e salvatore. É Lui, che gratuitamente e superando ogni ostacolo (i sapienziali hanno sia una idea profonda del limite umano, sia una visione lucida del peccato, dalla sua origine alle sue conseguenze) salva l’uomo. La Sapienza si inserisce in questo progetto proponendo tutto ciò che pare valido per scoprire il piano del Dio vivente, per una risposta dell’uomo, il quale traduce cosi la sua esperienza generale in una esperienza di fede.

Questa concezione non è in contrasto con l’origine sperimentale della sapienza: essa al contrario spinge a non semplificare la visione stessa dell’uomo (come è tipico nella sapienza antica extra-biblica ed in parte anche in quella biblica primitiva) e a fare capire che il disegno di Dio,

57 Cfr LARCHER C., Ėtudes, cit 217-21858 Ivi, 208-21259 Ivi, 213-21660 Cfr ivi 329-331; von RAD G., Sapienza,cit. 5761 Notiamo in greco la vicinanza semantica dei termini buono e bello; il termine cosmo li assume in sè

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misterioso, rende pure misterioso l’uomo; in altre parole, il discorso teologico diventa necessariamente antropologico, come mai altrove nella Bibbia in modo così ampio e radicale” 62.

L’atteggiamento religioso che distingue il sapiente in Israele, viene quasi riassunto nell’espressione: Il Timore del Signore è principio della scienza (Pv 1,7; cfr Sir 1,14); inoltre è Pienezza della Sapienza ( Sir 1,16), Corona della Sapienza (Sir 1,18), Radice della Sapienza ( Sir 1,20)….63

L’uomo dell’Alleanza sa di avere ricevuto tutto da JHWH: il mondo con i suoi ritmi di giorno, notte, stagioni che permettono l’agricoltura e la vita (Alleanza noaica), segno fondamentale della bontà, fedeltà di Dio. Sa di avere da Lui ricevuto la legge etica, le dieci Parole, nel contesto della legislazione di Israele; tutto questo è segno della vicinanza amabile del Dio santo, che ha fatto di Israele un popolo saggio, con il senso di Dio e della dignità umana che ne consegue:

“Vedete, io vi ho insegnato leggi e norme come il Signore mio Dio mi ha ordinato, […]. Le osserverete dunque e le metterete in pratica perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente. Infatti, qual grande nazione ha gli dei così vicini a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E qual grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi do?” (Dt 4,5-8). 64

Ma il valore della vita umana va molto al di la di della buona agricoltura e di una vita etica ordinata: sorge, infatti, la questione della retribuzione del giusto sofferente.

In realtà l’Alleanza con Dio poggia sulla bontà fondamentale percepita del mondo, si esprime necessariamente, sempre, nella vita etica, ma è anzitutto qualificata dalla vicinanza, presenza familiare di Dio Creatore-Salvatore, del tutto Santo e trascendente. Le prove dell’esodo, con le sue mormorazioni, le sofferenze del giusto Giobbe, lo sguardo disincantato sulla vita del Qoelet, la difficile ricostruzione del dopo-esilio, hanno educato il popolo dell’Alleanza a superare le prospettive, sempre in sé valide, di una felice vita agricola, morale. Il Dio Santo invita l’uomo all’intima comunione con sé: tutta la sua vita ne risulta come trasfigurata.

Il Timore di Dio esprime il giusto atteggiamento di fronte al Dio certo familiare e sempre misericordioso della creazione-Alleanza, ma che è in sé il tutt’Altro, Santo e trascendente. L’uomo non può ricercare la sua identità ed ideale unicamente nella prosperità della vita agricola, familiare, ordinata, etica: è inoltre invitato alla comunione personale con il Dio Vero, Santo, che lo attrae a sé con tutta la sua vita e consistenza.

È stata la robusta educazione offerta al popolo dell’Alleanza in cammino verso la terra promessa, mentre è sempre facile mormorare, desiderare un ritorno a livelli inferiori di vita soddisfatta dalle pentole e cipolle d’Egitto (cfr Es 16,3), a richiedere la disponibilità nel fidarsi di Dio solo, un Dio che promette il dono prezioso, la comunione di vita con Sé.

Così pure Giobbe viene invitato a riconoscere che non tutto nella creazione stessa risulta comprensibile all’uomo; anche nelle prove è doveroso affidarsi fiduciosamente al Dio santo, adorare, umiliarsi. Il progetto sapiente che Dio ha sull’uomo non gli è accessibile:

“Ma la sapienza da dove si estrae? E il luogo dell’intelligenza dov’è? L’uomo non ne conosce la via, essa non si trova sulla terra dei viventi.[…] Dio solo ne discerne la via, lui solo sa dove si trovi, perché lui solo volge lo sguardo fino alle estremità della terra, vede tutto ciò che è sotto la volta del cielo. Quando diede al vento un peso e delimitò le acque con la misura, quando stabilì una legge alla pioggia e una via al lampo tonante, allora la vide e la misurò, la fondò e la

62 F. FESTORAZZI, Il valore dell’esperienza e la morale sapienziale, in “Fondamenti Biblici della teologia morale”, Atti della XXII settimana biblica, Paideia, Brescia 1973, 131-s.

63 cfr DEROUSSEAUX L., La crainte de Dieu dans l’Ancien Testament, (= LD 63), Cerf Paris 1970; von RAD G., Sapienza, cit. 57-74

64 Cfr LARCHER C., Ėtudes,cit. 331

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scrutò appieno e disse all’uomo: «Ecco, temere Dio, questo è sapienza evitare il male, questo è intelligenza» “(Gb 28,12-13; 23-28).

La sola attitudine corretta sta nell’adorazione, l’abbandonarsi a Lui, come Dio infinitamente Santo e infinitamente vicino, per ricevere da lui la vera “giustizia”, non rivendicarla come proprietà personale. Tutto sarà restituito a Giobbe che ha meglio compreso la trascendente santità di Dio, vissuto il suo timore; e sarà tutto restituito in una qualità del tutto superiore (Gb 42,12-17).

Specialmente Ben Sira presenterà una ricca dottrina sul Timore di Dio, come via necessaria alla Sapienza: il timoroso di Dio è colui che vive in una disposizione abituale di confidenza, obbedienza, adorazione e amore davanti a JHWH. Si esercita nella pietà, osservanza dei comandamenti, disciplina, è disponibile alla prova; più che appellarsi ad una propria pretesa giustizia, preferisce rivolgersi al Signore, Padre e Maestro della sua vita, accogliere il suo progetto di vita, che lo distoglie dalle illusioni infantili, lo fa crescere verso di Lui :

“Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione. Abbi un cuore retto e sii costante, non ti smarrire nel tempo della prova. Sta unito a lui senza separartene, perché tu sia esaltato nei tuoi ultimi giorni. Accetta quanto ti capita e sii paziente nelle vicende dolorose, perché l’oro si prova con il fuoco, e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore.[….] Considerate le generazioni passate e riflettete: chi ha confidato nel Signore ed è rimasto deluso? O chi ha perseverato nel suo timore e fu abbandonato? O chi lo ha invocato ed è stato da lui trascurato? Perché il Signore è clemente e misericordioso, rimette i peccati e salva al momento della tribolazione.[…] Quelli che temono il Signore non disobbediscono alle sue parole; e quelli che lo amano seguono le sue vie. Coloro che temono il Signore cercano di piacergli; quelli che lo amano si saziano della legge. [….]Gettiamoci nelle mani del Signore e non in quelle degli uomini; poiché, come è la sua grandezza, così è anche la sua misericordia. “ (Sir 2,1-5. 10-11. 15-16. 18).

La Sapienza, progetto di vita del Dio della creazione-Alleanza, impregna tutta la vita dell’uomo, la qualifica della presenza familiare del Dio Santo e trascendente; è anzitutto dono, il più prezioso di tutti, deve essere invocato nella preghiera: “Davanti al tempio ho pregato per essa, e sino alla fine la ricercherò “(Sir 51,14). Come fece il giovane Re Salomone all’inizio del suo Regno. (Cfr 1 Re 3,6-9; 2 Cr 1,8-10; Sap 8,21-9,18).65

É opportuno inoltre porre in risalto il genere femminile dei termini che esprimono la sapienza, in tutte le lingue bibliche: corrisponde bene alla convinzione che la Sapienza è dono da accogliere; manifesta, infatti, un certo carattere di alterità, essendo una vita umana ben qualificata dalla intima presenza del Dio Santo.

L’esaltazione della donna ideale che conclude il libro dei Proverbi, il desiderio appassionato dell’autore di Sapienza di prendereLa per sposa:

“È lei che ho amato e corteggiato fin dalla mia giovinezza; ho bramato di farla mia sposa, mi sono innamorato della sua bellezza.[…]Ho dunque deciso di dividere con lei la mia vita, certo che mi sarebbe stata consigliera di buone azioni e conforto nelle preoccupazioni e nel dolore”( 8,1-2. 9), fanno sorgere la domanda: dietro l’amore per la Sapienza non si trova già l’affermazione implicita del valore della castità, del celibato? “Padre Beauchamp con ragione ha risposto affermativamente a questo interrogativo”66.

65 GILBERT M., La Sapienza di Salomone, I, (=Bibbia e preghiera 22), ed. ADP Roma 1995, 113-12066 GILBERT M., ALETTI J N., La sapienza e Gesù Cristo, Gribaudi, Torino 1981, 33.

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P. Beauchamp 67 trova molti indizi: nell’ultimo libro sapienziale, la Sapienza è ricercata come Sposa, e non si parla di altra sposa. Al di là di una figura retorica, è direttamente Lei ad assicurare i beni desiderabili, come detto in Sap 8,9-18; ulteriore conferma nella lode dell’eunuco e della sterile saggi con opere buone. Anche Adamo è presentato <solo>, protetto e liberato nella sua caduta dalla Sapienza stessa (10,1-s), non si parla di Eva.

Queste prospettive sapienziali sono lentamente maturate nella vita e nelle prove di Israele: è bene ricordare la datazione dei libri:

Giobbe VI sec. Contemporaneo di GeremiaQoelet III-II sec. Siracide II sec.Sapienza I sec.

Il contenuto dei capitoli 10- 31 è molto più anticoProverbi IV-V sec.

Noi ci rivolgiamo ora al libro dei Proverbi, specialmente ai più recenti Siracide e Sapienza, perché in essi vengono progressivamente risolte le questioni che più ci interessano circa la creazione: la relazione tra Dio creatore e la sua Sapienza, che viene associata ad altre categorie, come < Parola, Gloria, Verità >; le sue finalità per l’uomo religioso, considerando la consistenza dei vari livelli della sua esistenza.

É bene sempre ricordare che tale discernimento, crescita dottrinale, avviene in contesto ellenistico, ben conosciuto dal Ben Sira, specialmente dall’autore di Sapienza, scritta in greco nel santuario dell’Ellenismo, Alessandria d’Egitto.

1.4.a Sapienza e Creazione nei capitoli VIII e IX dei Proverbi.

La sapienza personificata, parla agli uomini nel luogo del loro vivere sociale: li invita accoratamente ad accogliere il suo insegnamento, con argomenti convincenti. Anzitutto fa forza sulla sua completa conoscenza delle opere del Creatore; il suo insegnamento è quindi fondato, utile, fruttuoso.

“Il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività, prima di ogni opera, all’origine. Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra. Quando non esistevano gli abissi, io fui generata;[….] quando disponeva le fondamenta della terra, io ero con Lui come ed ero la sua delizia ogni giorno: giocavo (amon: artefice; oppure ‘amûn: piccolo bambino‘) ןמאdavanti a Lui ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli degli uomini. Ora, figli, ascoltatemi[…]”( Pv 8,22-24.29-32)..68

In questo suo auto-elogio, la Sapienza si presenta creata, generata, prima di tutte le opere di Dio: ne è stata quindi spettatrice, le conosce bene, esultando alla presenza del Signore. La sua delizia è mediare tale conoscenza-presenza agli uomini: domanda quindi di essere accolta, ha tutti i titoli per richiederlo. Può imbandire la sua mensa, offrire il suo pane ed il suo vino, la via dell’intelligenza:

67 BEAUCHAMP P., Ėpouser la Sagesse – ou n’épouser qu’elle? Un enigme du Libre de la Sagesse, in La Sagesse de l’Ancien Testament, par GILBERT M., J. Duculot-Gembloux –Leuven univ. Press 1979, 347-369, porta più motivi convergenti per rispondere positivamente all’enigma posto: Sap 2,13-15 loda l’eunuco, la sterile che producono opere buone; lode della castità. Le donne degli empi sono insensate (3,12), ma al Sapiente non si promette una sposa intelligente (la lista dei beni prodotti dalla Sapienza dei cap. 7 e 8 non la contempla, mentre Aristotele nella lista dei beni che apportano felicità, in Rhétorica 1360b, parla “ della buona qualità e gran numero di figli “. Per Sap. la vera fecondità e longevità consiste nella virtù, che trionfa dello spazio e del tempo, la sua vittoria è nell’eternità, l’immortalità, vivere presso Dio (3,9): la morte del giovane virtuoso ( 4,7-9; 4,16; 5, 15) ha più valore di una longevità senza frutti. Non c’e traccia di misoginia: in Sap 2,23s l’ingresso della morte non è attribuito al peccato della donna, come in Sir 25,24, ma “all’invidia del diavolo “.

Cfr AMSLER S., La Sagesse de la femme, Ivi, 112-116; GILBERT M., La Sapienza di Salomone, I, cit. 39-63.68 Cfr GILBERT M., Le discours de la Sagesse en Proverbes, 8. Structure et cohérence, Ivi, 202-218. LARCHER

C., La Sagesse personnifiée dans le livre des Proverbes, in Ėtudes cit., 331-340; von RAD, Sapienza, cit. 140 s

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“La Sapienza si è costruita la sua casa, ha intagliato le sue sette colonne. Ha ucciso il suo bestiame, ha preparato il vino e ha imbandito la tavola. Ha mandato le sue ancelle a proclamare sui punti più alti della città: “Chi è inesperto venga qui !“. A chi è privo di senno ella dice: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate l’inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza” (Pv 9,1-6).

Si manifesta il carattere di mediazione esercitato dalla Sapienza: media tra Dio creatore e l’uomo, media la conoscenza delle opere di Dio, nella sua gioiosa presenza. Ma si tratta di sola conoscenza, o anche si insinua una sua attiva partecipazione all’opera creatrice divina? Nel versetto 8,30 il testo ebraico, senza le vocali comporta le lettere ןמא: sono possibili due letture: ‘amon, che viene tradotto con “architetto”; oppure ‘amûn “piccolo bambino”69. La traduzione legittima “architetto” risulta isolata, non trova alcun sviluppo nel Libro dei Proverbi. Saranno i libri più recenti del Siracide ed in modo decisivo, della Sapienza, a sviluppare il tipo di mediazione esercitato dalla sapienza personificata.

1.4.b Dio creatore, salvatore-redentore, per la sua Sapienza in Sir 24.

Ben Sira ha vissuto in pieno ellenismo, lo conobbe nei suoi viaggi, ma rimane ben radicato nella tradizione viva di Israele, colma di Sapienza per la Legge:

“Tutto questo è il libro dell’Alleanza del Dio altissimo, la legge che Mosè ci ha prescritto, eredità per le assemblee di Giacobbe.[….] Essa trabocca di sapienza come il Pison e come il Tigri nella stagione delle primizie,effonde l’intelligenza come l’Eufrate e come il Giordano nei giorni della mietitura, come luce irradia la dottrina, come il Ghicon nei giorni della vendemmia. Il primo uomo non ne ha esaurito la conoscenza e così l’ultimo non l’ha mai pienamente indagata. Il suo pensiero infatti è più vasto del mare e il suo consiglio è più profondo del grande abisso “(24,23. 25-29).

Il Siracide esalta i Patriarchi e i Profeti docili alla Sapienza (44-49), ammonisce che la Sapienza è dono di Dio, da invocare nella preghiera, per metterla in pratica, esercitarsi in essa (51,1-30).

Sempre sotto forma di auto-elogio, come già abbiamo visto in Proverbi, presenta le relazioni tra Dio creatore, la sua Sapienza, e la vita dell’uomo.(Sir 24,1-27)

Qui la Sapienza specifica meglio il suo rapporto con Dio ed il mondo: dice di essere uscita dalla bocca dell’altissimo, di provenire cioè, come la Parola, dalla vita intima di Dio; inoltre aggiunge: “ho ricoperto come nube la terra” (v.3); anche in Sir 1,9 viene affermato: “Il Signore stesso ha creato la Sapienza, l’ ha vista e l’ha misurata, l’ha effusa su tutte le sue opere.” Come rugiada, nube ovunque diffusa assicura la crescita e lo sviluppo della vita. L’autoelogio è sempre nella prospettiva della accoglienza, da parte di tutti: infatti, “su ogni popolo e nazione ho preso dominio” (24,6).

Pur restando questa destinazione e necessità universale, ha ricevuto ordine dal suo Creatore “fissa la tenda in Giacobbe, e prendi in eredità Israele”(24,8). Questo sembra avvenuto in reazione al rifiuto di accoglienza sperimentato altrove:

“Poiché vi ho chiamato ma avete rifiutato, ho steso la mano e nessuno se ne è accorto. Avete trascurato ogni mio consiglio e i miei rimproveri non li avete accolti; anch’io riderò delle vostre sventure, mi farò beffe quando su di voi verrà la paura, quando come una tempesta vi piomberà addosso il terrore, quando la disgrazia vi raggiungerà come un uragano, quando vi colpiranno l’angoscia e la tribolazione”(Pv 1,24-27). Al contrario, la legge, il culto, la vita del popolo dell’Alleanza è traboccante di Sapienza.

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La Sapienza, creata prima, che conosce e anima tutta l’opera di Dio, intende mediare all’uomo tale conoscenza-animazione; solo in Israele si è data un’accoglienza ufficiale, con frutti abbondanti.70

Il Siracide presenta una teologia sviluppata del Timore di Dio, inizio, pienezza, radice, corona della Sapienza (1-2). Rimangono molte questioni da approfondire: il rapporto tra la Sapienza e la vita intima di Dio, la sua partecipazione attiva, costante, qualificata all’opera creatrice. Specificare anche le sue finalità, ai vari livelli della vita dell’uomo: religioso, morale, sociale, scientifico.

Esprimere meglio la sua natura, in quanto atta a realizzare tali finalità. Siamo in pieno ellenismo: cosa dire, nella fede Jahwista, della sapienza stoica, del suo Logos-pneuma immanente, tutto impregnante ed animante?

L’ultimo libro sapienziale, la Sapienza, scritto da un fedele Giudeo in lingua greca in Alessandria d’Egitto, ormai alle soglie dell’Incarnazione del Verbo, ci offrirà luce per rispondere a tali questioni. Si tratta di valutare la personificazione della Sapienza, aspetto costante dei Libri sapienziali, nella situazione del rigoroso monoteismo jahwista.

1.4.c La Sapienza creatrice, nei capitoli VII-IX del Libro della Sapienza.

Viene sottolineata in modo intenso, la sua dimensione divina: è donata all’uomo, non è frutto del suo ingegno; essendo puro dono, deve essere ricercata, richiesta nella preghiera, come avviene al capitolo 9. Procedendo con ordine, cerchiamo di rispondere alle questioni prima poste:

1.4.c.a Rapporto con l’attività creatrice di Dio. Non solo conosce, anima, ma vi partecipa attivamente; questo viene sottolineato specialmente

per la creazione dell’uomo: “Dio dei padri e Signore di misericordia, che tutto hai creato con la tua parola, e con la tua

sapienza hai formato l’uomo”(Sap 9,1s); è detta pure “artefice di tutte le cose”( 7,21), esprime la stessa libertà di Dio nel creare: “[…]è iniziata alla scienza di Dio e discerne le opere sue”( 8,4).

La sua partecipazione attiva non si situa solo all’origine del cosmo e dell’uomo, ma si estende a tutti gli spazi e i tempi:

“La sapienza si estende vigorosa da una estremità all’altra e governa a meraviglia l’universo” (8,1), “Sebbene unica, essa può tutto, pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova”(7,27). Per realizzare questo: “La Sapienza è più veloce di qualsiasi movimento, per la sua purezza si diffonde e penetra ogni cosa”(7,24).71

Questo progresso dottrinale nell’affermare una creazione continua, un governo provvidente ed universale, va di pari passo con un’insistenza del tutto speciale della presenza intima di Dio al cosmo, per la sua Sapienza, o per lo Spirito in essa contenuto:

“In lei c’è uno spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, agile, penetrante, senza macchia, schietto, inoffensivo, amante del bene, pronto, libero, benefico, amico dell’uomo, stabile, sicuro, tranquillo, che può tutto e tutto controlla, che penetra attraverso tutti gli spiriti intelligenti, puri, anche i più sottili”(7,22s). 72

Notiamo che tale Spirito della Sapienza, descritto con questi 21 aggettivi, impregna tutto, restando “unico, santo”, distinto per le proprie qualità divine da tutta la realtà creata. La Sapienza,

70 Cfr LARCHER C., Ėtudes, cit. 340-348: La sagesse chez le Siracide, 340-348; von RAD G., La Sapienza, cit, 220 ss

71 Cfr LARCHER C., Ėtudes, cit, 376-39872 Cfr Ivi, 369-376

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con il suo Spirito così qualificato, esprime l’intensa, attiva presenza del Creatore-salvatore, che rimane trascendente pur nella sua immanenza nel mondo sensibile.

In questa totale impregnazione del cosmo ad opera dello spirito della Sapienza, possiamo intravedere qualche analogia con elementi della filosofia-ideologia stoica: di essa si accoglie l’immanenza del Pneuma-Logos, ma ancor di più si sottolinea la sua completa trascendenza divina. Nessun appiattimento dello Spirito divino nel cosmo (cfr Sap 1,7; 9,17; 12,1) nessuna sua chiusura nella immanenza. Dio resta totalmente Dio, Santo e trascendente, pur impregnando tutta la creazione con il suo Spirito: la qualifica, la attira a sé, restando creatura, per le finalità che ora vedremo.

1.4.c.b Le finalità della sapienza. Sono molteplici, a più livelli, integrate. La finalità ultima, cui tutto si orienta, è quella

religiosa-morale: lo Spirito della Sapienza “pervade tutti gli spiriti intelligenti, puri, anche i più sottili”(7,23); essa stessa “attraverso i secoli, passando nelle anime sante, prepara amici di Dio e profeti.”(7,27). Per questo Salomone la invoca nella preghiera del nono capitolo:

“Io sappia cosa Ti è gradito”(v.10), per rintracciare “le cose del cielo”(v.16), per conoscere “ il volere di Dio” (v.17). Cosi non solo il Re, ma l’uomo in genere, potrà gestire la propria vita in sintonia con il pensare ed agire di Dio. “Ella infatti insegna la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza, delle quali nulla è più utile agli uomini durante la vita”(8,7). Questa conoscenza sostiene nel governo, addolcisce la vita familiare (cfr 8,14-16).

La Sapienza è dono di Dio, esprime la sua presenza amica e provvidente, qualificante la vita dell’uomo; è molto più di una semplice filosofia, elaborato umano. Ma in quanto impregna e governa il tutto cosmico, ne coordina le conoscenze acquisite, particolari ed universali. Si accenna ai dati elaborati dalle scienze sperimentali del tempo (7,17-21), si riconosce che la Sapienza è capace di integrarle, in modo sicuro, “mi ha concesso la conoscenza autentica delle cose”(7,17), pur avvertendo l’incertezza dei dati sperimentalmente acquisiti:

“I ragionamenti dei mortali sono timidi, e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima, e la tenda di argilla opprime la mente piena di preoccupazioni.”(9,14-15).

La Sapienza è molto più di una filosofia, insieme stimola la ricerca naturale di Dio: “Infatti dalla grandezza e bellezza delle creature, per analogia si contempla il loro autore”(13,5). Inoltre esalta le capacità intellettive e volitive dell’uomo:

“La natura degli animali e l’istinto delle bestie selvatiche, la forza dei venti e i ragionamenti degli uomini, la varietà delle piante e le proprietà delle radici. Ho conosciuto tutte le cose nascoste e quelle manifeste, perché mi ha istruito la sapienza, artefice di tutte le cose”(Sap 7,20). L’uomo può realizzare queste prestazioni sapienziali, in quanto Dio lo ha creato secondo la sua natura, secondo la sua Immagine:

” Li rivestì di una forza pari alla sua e a sua immagine li formò. in ogni vivente infuse il timore dell’uomo, perché dominasse sulle bestie e sugli uccelli [….]. Discernimento, lingua, occhi, orecchi e cuore diede loro per pensare. Li riempì di scienza e d’intelligenza, e mostrò loro sia il bene che il male. Pose il timore di sé nei loro cuori per mostrar loro la grandezza delle sue opere, e permise loro di gloriarsi nei secoli delle sue meraviglie. Loderanno il suo santo nome per narrare la grandezza delle sue opere. Pose davanti a loro la scienza e diede loro in eredità la legge della vita, affinchè riconoscessero che sono mortali coloro che ora esistono” (Sir 17,3-11).

Come la Sapienza realizza l’unità organica del cosmo, la sua persistenza armonica, fonda l’intelligibilità delle nature di tutto creato, cosi ne assicura all’uomo una conoscenza universale e

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particolare, a più livelli distinti, integrata nella finalità religiosa e morale.73 Questo insegnamento sta alla radice anche del Magistero di Giovanni Paolo II < che esista una profonda ed inscindibile unità tra la conoscenza della ragione e quella della fede > (FR nn 16 e 34) 74, < che l’uomo è capace di giungere ad una visione unitaria ed organica del sapere > (FR n 85).

1.4.c.c Natura e origine della Sapienza. Se ne tratta espressamente nel settimo capitolo, ai versetti 25-26:

“É effluvio della potenza di Dio, emanazione genuina della gloria dell’Onnipotente, per questo nulla di contaminato penetra in essa. È riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio, e immagine della sua bontà”.

Notiamo anzitutto come la Sapienza è relazionata a qualità che sono all’inizio delle attività ad extra di Dio: sta cioè al loro scaturire, con espressioni che escludono ogni esistenza indipendente da Dio. Si intende cosi ribadire la sua trascendente purezza: per questo viene posta il più possibile nell’irradiazione propria dell’Essere divino. È bene che esaminiamo un poco i cinque sostantivi esprimenti questa origine e natura:

EFFLUVIO, SOFFIO della potenza di Dio ¢tmˆj: l’onnipotenza divina passa interamente nella Sapienza, si esprime in essa come un soffio; la relazione della Sapienza all’onnipotenza divina è intima come il soffio alla sua origine.

EMANAZIONE, IRRADIAZIONE della gloria dell’onnipotente > ¢pÒrroia: la gloria è il manifestarsi luminoso ed incandescente della santità e maestà di Dio: la Sapienza è situata in questo irradiarsi proprio dell’Essere divino, tutto puro e cristallino. Così la Sapienza sfugge per natura ad ogni possibile contaminazione.

RIFLESSO, SPLENDORE della luce perenne > ¢paÝgasma: la Sapienza può offrire una luce superiore che rischiara l’uomo nella sua vita religioso-morale. Viene insinuata l’idea che in Dio si dia una Luce intellettuale eminente: questo splendore eterno sarebbe quella luce infinitamente pura, che propria dell’Essere trascendente e santo di Dio, viene ad esprimere la sua stessa natura. Di questa luce la Sapienza è il riflesso diretto; riflesso diretto della Scienza divina, che rischiara gli spiriti umani, e manifesta la verità degli esseri.75

73 Cfr GILBERT M., ALETTI J.N., La Sapienza e Gesù Cristo, (=Bibbia oggi 21) Gribaudi Torino 1981, 34s; FINAU T., Hellenistic humanism in the Book of Wisdom, in The Irish Theol. Quarterly 1960, 30-48; LARCHER C., Ėtudes, cit 395-397

74 Fides et ratio: n 16 « Il mondo biblico ha fatto confluire nel grande mare della conoscenza il suo apporto originale. Quale ? La peculiarità che distingue il testo biblico consiste nella convinzione che esista una profonda ed inscindibile unità tra la conoscenza della ragione e quella della fede [….]Essa non interviene per umiliare l’autonomia della ragione o per ridurne lo spazio di azione, ma solo per fare comprendere all’uomo che in questi eventi si rende visibile ad agisce il Dio di Israele. Conoscere a fondo il mondo e gli avvenimenti della storia non è, pertanto, possibile senza confessare al contempo la fede in Dio che in essi opera. […] La ragione e la fede, pertanto, non possono essere separate senza che venga meno per l’uomo la possibilità di conoscere in modo adeguato se stesso il mondo e Dio.” Completa il n 34: “L’unità della verità è già un postulato fondamentale della ragione umana, espresso nel principio di non-contraddizione. La Rivelazione dà la certezza di questa unità, mostrando che il Dio creatore è anche il Dio della storia della salvezza. Lo stesso ed identico Dio, che fonda e garantisce l’intelligibilità dell’ordine naturale delle cose su cui gli scienziati si appoggiano fiduciosi, è il medesimo che si rivela Padre di nostro Signore Gesù Cristo. Questa unità della verità, naturale e rivelata, trova la sua identificazione viva e personale in Cristo, così come ricorda l’Apostolo: “ La verità che è in Gesù “ (Ef 4,21; cfr Col 1,15-20).»

75 Possiamo trovare in questo versetto 7,26, nel contesto di tutto l’insegnamento sulla qualità e l’origine, l’attività e le finalità della Sapienza, uno dei fondamenti del Magistero di Veritatis Splendor nn 42-45, sulla Legge naturale: «Il Conc. Vat. II ricorda che “norma suprema della vita umana è la legge divina, eterna, oggettiva e universale, per mezzo della quale Dio con un disegno di Sapienza e di amore ordina e dirige e governa tutto il mondo e le vie della comunità umana” (DH 3).[…] Il Concilio rimanda alla dottrina classica sulla legge eterna di Dio […] S. Tommaso la identifica con “la ragione della divina sapienza che muove tutto al fine dovuto” (S.Th. I-II, q. 91, a. 2). [….] Dio provvede agli uomini […] non “dall’esterno”, attraverso le leggi della natura fisica, ma “dal di dentro”, mediante la ragione che, conoscendo col lume naturale la legge eterna di Dio, è per ciò stesso in grado di indicare all’uomo la giusta direzione

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SPECCHIO senza macchia dell’attività di Dio> œsoptron: rinvia a ciò che Dio vuole, decide, disponendo di tutte le energie per realizzare il suo progetto; la virtù efficace dei disegni e della volontà di Dio si rispecchia direttamente ed efficacemente nella Sapienza, in modo che questa agisce in tutto secondo Dio. Nella Sapienza passa l’energia divina e l’abilità ad agire con potenza efficace e creatrice.

IMMAGINE della sua bontà > e„kën: precisa la sua relazione a Dio; l’autore intende situare la Sapienza nell’immediata dipendenza della innata inclinazione di Dio a fare il Bene, e la presenta come una specie di immagine vivente e personale di questa inclinazione. La Bontà divina si esprime, in qualche modo, nella Sapienza, passa in essa, prima di effondersi nelle creature. 76

La Sapienza viene considerata come energia cosmica, ma insieme è fortemente sottolineata la sua totale dipendenza dal Dio personale e trascendente dell’Antico Testamento. È messa in rapporto immediato con la potenza, gloria, luce, bontà attiva di Dio; non è in alcun modo un focolare indipendente, ma si riferisce con tutto se stessa alla sua sorgente divina luminosa e irradiante. Resta inserita nell’IO divino personale, riflettendo diversi aspetti della ricchezza di Dio manifestata nel suo agire.

La Sapienza in quanto immagine della bontà divina incomincia a svelare la Verità stessa di Dio, come progressivamente si manifesta nel suo Mistero-Sacramento, il progetto storico di Dio per la salvezza dell’uomo : “Annuncierò che cos’è la sapienza e com’è nata, non vi terrò nascosti i suoi segreti [ nella Volgata ( 7,24): ”sacramenta Dei” ], ma fin dalle originine ne ricercherò le tracce, metterò in chiaro la conoscenza di lei, non mi allontanerò dalla verità “. (Sap 6,22).

La parola <verità > di Dio, oltre che la sua fedeltà, viene ora ad indicare lo stesso svelamento (¢lhqe…a) della vita intima di Dio, come si intravede nella contemplazione delle sue Opere.

1.4.c.d La sapienza personalizzata. Si tratta forse di un’ipostasi? come comporla con il rigoroso monoteismo Jahwista? Notiamo

anzitutto come la Sapienza creatrice non si sostituisce in alcuna maniera al Dio creatore, serve ad esprimere in modo adeguato il suo agire nel mondo, e gli attributi che qualificano tale azione. Non è una persona ma personalizzazione dell’agire divino, ne specifica aspetti fondamentali; evoca in modo nuovo e altamente espressivo i “costumi” e le intenzioni divine nel governo del cosmo, nel realizzare storia di salvezza per l’uomo. Si tratta di un fenomeno letterario originale: personificazione dottrinale e rivelatrice dell’agire divino, che certo già svela qualcosa della sua vita intima.77

Concludendo: Non si da categoria rivelata che unisca così strettamente Dio della creazione-Alleanza, trascendente e santo, personale, e quindi suscitante un santo timore, con la esistenza concreta dell’uomo; viene così espressa la presenza di Dio nella vita quotidiana dell’uomo, nel suo mondo. Mai il Dio santo è stato confessato tanto vicino all’esistenza dell’uomo, per ordinarla e

del suo libero agire. (ivi I-II, q. 90, a. 4, ad 1um.) […] In questo contesto, come espressione umana della legge eterna di Dio, si pone la legge naturale: “Rispetto alla altre creature” scrive S. Tommaso, “la creatura razionale è soggetta in un modo più eccellente alla divina provvidenza […] si ha in essa una partecipazione della ragione eterna, grazie alla quale si ha una naturale inclinazione all’atto e al fine dovuti: tale partecipazione della legge eterna nella creatura razionale è chiamata legge naturale” ( ivi, I-II, q. 91, a. 2)» (VS n 43).

76 Cfr LARCHER C., Études, cit. 376-388.77 Cfr LARCHER C., Ėtudes cit., 331-340; 398-314, GILBERT M.- ALETTI J.N., La sapienza e Gesù Cristo

cit., 38; FEDOU M., Enjeux contemporains d’un cristologie sapientielle, in ASSOC. CATH. FRANCAISE pour l’étude de la Bible, TROUBLET J ed.., La Sagesse biblique de l’Ancien au Nouveau Testament, (= LD 160) Cerf Paris 1995, 467-494 esamina le relazioni Sapienza: -Cristologia, -teologia delle culture, -teologia femminista, quindi rapporti Cristologia e Mariologia; WOLINSCKI J., La Sagesse chez les Peres de l’Eglise (de Clement de Rome à Augustin), Ivi, 423-466.

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salvarla: si avverte una tensione che preannuncia l’Incarnazione del Verbo, per inserire Dio, esprimerlo nella nostra umanità, e condurre l’uomo alla comunione con Dio.

La Sapienza viene dalla vita intima di Dio:” È effluvio della potenza di Dio, emanazione genuina della gloria dell’Onnipotente” (Sap 7,25); “Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo “ (Sir 24,3), è un suo attributo (solo Dio è sapiente: cfr Gb 9,4; 21,22; Sir 1,6; Rom 16,27), dimora con Lui in stretta intimità (cfr Sap 8,3; 9,4.9) precede la creazione, ed insieme, è detta <creata>: ”Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine “(Pv 8,22); ” Principio di sapienza è temere il Signore; essa fu creata con i fedeli nel seno materno.”(Sir 1,14).

Si presenta come il modello della creazione (cfr Gb 28,27), “ Specchio senza macchia dell’attività di Dio” (Sap 7,26), tiene rapporti privilegiati con la vita dell’uomo. Indica tutto il progetto che fin dall’eternità ha voluto per la vita dell’uomo, il suo essere presente all’uomo, in vista di questo piano tutto ha creato. Questo piano (misterium-sacramentum), sarà realizzato e manifestato in Cristo.

2 Nuovo Testamento: Con l’Incarnazione del Verbo, il Dio unico si manifesta Padre del Nostro Signore Gesù

Cristo nello Spirito Santo: la piena rivelazione del Dio Uno e Tripersonale, che si offre a noi per comunicarci la sua stessa vita.

Intuiamo l’intensa novità che qualificherà in profondità la creatura umana ed il suo mondo: conservando la sua radicale dipendenza da Dio Uno e Trino, sarà tutta assunta e qualificata da tanta familiarità. con la Vita divina.

La Sapienza progetto di Dio creatore, progetto di intima presenza personale, vi trova la sua autentica misura: tutta la creatura78 umana e mondana viene qualificata per l’Incarnazione del Verbo, l’espressione in vera umanità, solidale, dell’Immagine filiale del Padre; viene portata a questo livello.

Tale novità viene espressa in una fondamentale continuità con l’Antico Testamento.

2.1 Continuità nell’insegnamento su Dio creatoreAnzitutto dobbiamo ricordare che il Nuovo Testamento, riconosce sempre come qualcosa di

piena evidenza, che tutto l’esistente è stato creato da Dio. Si tratta di costante persuasione, una

78 Lo mettono in risalto le teologie bibliche: von RAD G., Teologia dell’Antico Testamento, Vol.. II Teologia delle tradizioni profetiche d’Israele, cit. 405-428; WESTERMANN C., Teologia dell’Antico testamento, cit 295 s, nota tre principali continuità: A.T. e N.T. iniziano ambedue con una storia di liberazione; il Salvatore è anche il Creatore del mondo e dell’uomo. La storia del popolo di Dio viene così inserita nella storia dell’umanità e nella storia del mondo, dalla creazione sino alla fine; poiché il Salvatore è il Creatore, è Signore dell’umanità dall’inizio alla fine. L’opera di Dio creatore e salvatore sin dall’inizio abbraccia la totalità della sua opera, e la guida sino al compimento: parlare di Dio significa parlare del tutto.

La continuità riguarda oltre i contenuti, anche le categorie espressive (figliolanza, gloria di Dio, alleanze, legge, culto, promesse cfr Rm 9,4s), certo portate ad esprimere nel N.T. la realtà unica e imprevedibile della stessa incarnazione del Figlio del Padre nello Spirito Santo. Si apre qui il discorso sui rapporti tra i due testamenti: cfr GRELOT P., Sens chrétien de l’Ancien testament, esquisse d’un Traité dogmatique, (= Bib.Théol., serie I, Théologie dogmatique, 3), Desclée, Tornai 1962, 142-151.

Di grande autorevole praticità: PONITIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue scritture nella bibbia cristiana, LEV 2001, II Temi fondamentali delle Scritture del popolo ebraico e loro accoglienza nella fede in Cristo, n. 24: Il Dio unico; n 25 Dio creatore e provvidenza; n. 26: “ Nel Nuovo testamento la convinzione che tutto ciò che esiste è opera di Dio proviene direttamente dall’A.T. e sembra così forte che non ha bisogno di dimostrazione e il vocabolario di creazione è poco presente nei Vangeli”.

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regola universale che si considera ormai acquisita79; è il fondamento della lode e della preghiera, dell’annuncio del Vangelo:

“Quando udirono ciò, tutti insieme innalzarono la loro voce a Dio dicendo: <Signore, Tu che hai creato il cielo , la terra e il mare e tutto le cose che in essi si trovano >”(At 4,24): così prega la comunità apostolica, dopo la liberazione di Pietro e Giovanni, per domandare la grazia di continuare l’annuncio vigoroso del Vangelo, anche nella persecuzione che si profila.

Nell’ambito dei Cristiani provenienti dal mondo giudaico, ormai consolidato in un vigoroso Monoteismo, non si presentano difficoltà. Ma come annunciare Cristo, il Crocifisso Risorto in contesto pagano ? Qui non è avvenuto quel dirozzamento del mito cosmogonico, teogonico come abbiamo visto verificarsi nel dialogo con JHWH, Dio dell’Alleanza.

Anche per il pagano Dio creatore non è sconosciuto: lo pone in forte rilievo Paolo, all’inizio della sua lettera ai Romani, 1,19-20; lo stesso Paolo invita a queste considerazioni i pagani di Listra, quando per la miracolosa guarigione del paralitico, vorrebbero sacrificare a Lui e Barnaba, scambiati per Hermes e Zeus. L’ordine fondamentale della creazione, stagioni e piogge che rendono possibile l’agricoltura, rimangono, sono testimonianza perenne della bontà del Dio vivente, creatore. Si tratta della fondamentale Alleanza noaica; in ambito più agricolo, come a Listra, viene messa in risalto, per stimolare una conforme riflessione, atteggiamenti religiosi purificati davanti al Creatore universale. (cfr At 14,15-17)

In ambito più cittadino, culturalmente impegnato, come nel discorso all’Areopago di Atene, Paolo sceglie piuttosto la via della filosofia e letteratura della classicità greca, con il suo iniziale ridimensionamento, purificazione razionale del dio mitico del culto <politico> cittadino; Paolo invita a riflettere sul Dio ignoto:

“Ebbene, colui che, senza conoscerlo, voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti dalle mani dell’uomo né dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa: è lui che dá a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cerchino Dio, se mai tastando qua e la come ciechi, arrivino a trovarlo, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: «Poiché di lui anche noi siamo stirpe».” ( At 17,23-30).80

Paolo si serve anche della via della <coscienza>: in essa per tutti risuona la voce del Creatore, indicando il bene da fare ed il male da evitare (cfr Rm 2,14-16)

La creazione non appare separata dalle altre opere di Dio: è piuttosto il presupposto di tutte queste, e gode in questo senso di una specifica rilevanza. Non sfugge del tutto alle naturali capacità di conoscenza dell’uomo: “Poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute.” (Rm 1,19-20).

Anche l’Incarnazione del Verbo e la Missione dello Spirito Santo, presuppongono, esigono, la verità fondamentale di Dio creatore, già assodata ed esplicitata nell’Antico Testamento: infatti nell’Incarnazione dell’Immagine filiale, vera del Padre, la sua Parola autoespressiva, non si da alcuna confusione tra Creatore e creatura; si realizza l’unione personale, ipostatica, del Figlio unigenito e l’umanità in Gesù di Nazaret.

79 Cfr SCHELKLE K.H., Teologia del Nuovo testamento, I, Creazione : cosmo, tempo, uomo, EDB 1969; BEAUCHAMP P., L’un et l’autre Testament, Seuil, Paris 1976, 229-274.

80 Cfr VANHOJE A., Il discorso nell’Areopago e l’universalità della verità, in Per una lettura dell’Enciclica Fides et ratio, (=QDR 45) Città del Vaticano, 1999, 57-65, breve analisi esegetica, e storia della sua interpretazione.

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Il suo IO personale è il Figlio del Padre, nello Spirito Santo, ma l’umanità in cui si esprime la Persona del Figlio rimane vera umanità, nessuna confusione tra Creatore e creatura. Questa umanità , a noi solidale viene, rimanendo creatura, totalmente trasfigurata dalla presenza del Dio-con-noi.

2.1.a Novità: la Creazione in, per, verso Cristo, nello Spirito Santo.

Una decisa novità appare quando si esplicita il rapporto della nostra creazione con il Mistero di Cristo. Non si dà infatti una generica, ancora filosofica e astratta dipendenza radicale da Dio; questa creazione è tutta specificata, qualificata, dall’essere voluta sin dalle origini, in, per, verso, Cristo. Tutto l’operare di Dio e della creatura uomo viene come sottoposto a una nuova ermeneutica, in forza dell’incarnazione della Parola, l’Immagine filiale, <irradiazione della gloria di Dio, impronta della sua sostanza> (Eb 1,3)).Qui avviene una nuova soglia di Rivelazione del progetto sapiente di Dio: nel manifestarsi a noi di Gesù di Nazaret, il Mistero divino-umano che esprime, tutto entra in una nuova e definitiva prospettiva di verità.81

Come già avvenne nell’Antico Testamento per i rapporti Elhoim-JUWH, Dio della creazione e Dio dell’Alleanza, l’esplicitazione di questa relazione creaturale dell’uomo col Mistero di Cristo, è frutto di un cammino di Fede, vita cristiana, riflessione credente; anzi, qui la riflessione credente risulta del tutto necessaria: la creazione in Cristo è conosciuta per stretta rivelazione storica. Non se ne da infatti una certa conoscenza naturale, come per Dio unico creatore: i misteri dell’Incarnazione e della SS. Trinità sono professati solamente dalla Chiesa, anche se in ogni uomo Cristo ed il suo Spirito sono in azione, con una certa tensione del pensiero e della vita umana.

Se ora consideriamo i ritmi della esplicitazione credente, nella Chiesa neotestamentaria, della Creazione in relazione a Cristo, possiamo distinguere tre tappe:

>la prima di livello, escatologico: Gesù, Crocifisso glorioso, è il Messia che porta a pienezza il progetto di Dio: si attende il suo ritorno glorioso. Si può intuire nelle lettere più antiche di Paolo, le lettere ai Tessalonicesi.82

>la seconda, in questo contesto escatologico che rimane, di livello soteriologico, espresso nelle grandi Lettere Paoline: Corinti, Galati, Romani; il Battezzato, per l’incorporazione credente in Cristo, può già germinalmente sperimentare la vita del Risorto, in quanto giustificato e capace di vita nuova, nei comandamenti osservati nella pienezza della Carità.

>il terzo livello, protologico: è individuabile nelle lettere della cattività: Colossesi ed Efesini, inoltre nel prologo di Ebrei e Giovanni, con un anticipo in 1Cor 8,6 :

“Per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui “.

81 Cfr von RAD G., Teologia dell’A.T., cit. 396; WESTERMANN C., Teologia dell’A.T., cit 296; ALETTI J. N., Gesù Cristo unità del N.T.?, Borla, Roma 1995; REY B., Creati in Cristo. La nuova creazione secondo S.Paolo, AVE, Roma 1968. PONT .COMM. BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue scritture nella Bibbia cristiana,cit. n 64; 19. La novità di Cristo, della sua Pasqua, guida l’intelligenza del senso pieno della Scrittura: cfr GRELOT P., Sens chrétien de l’A.T., cit 458-497; 148s.; P.C.B., L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, LEV 1993, II B. Sensi della Scrittura. Dice DE LUBAC H., L’esegesi medioevale, I quattro sensi della Scrittura, P. I, vol I, Cap. V, «L’unità dei due Testamenti», in Opera omnia, vol 17, Sezione V, Scrittura e Eucaristia, Jaca book, Milano 1986 2, 348-351: «Cristo dunque fa l’unità della Scrittura perché ne è il fine e la pienezza. Tutto in essa ha relazione a Lui. In definitiva, ne è l’unico oggetto. Dunque possiamo dire che ne è tutta l’esegesi.[….] poiché egli è l’esegesi della Scrittura, ne è anche l’esegeta […] Perché l’esegesi di Cristo, in quello che ha di essenziale e di decisivo, non è innanzitutto in parole: essa è anzitutto in atto. Essa è Atto. [….] Prima di spiegare ai suoi discepoli, la sera di Pasqua, come l’antica Scrittura rende testimonianza al Nuovo Testamento ed è perciò cambiata in Lui, Gesù opera questo mutamento. […] Esegeta della Scrittura, Gesù lo è per eccellenza nell’atto in cui compie la sua missione, in quell’ora solenne per la quale è venuto: nell’atto del suo sacrificio, nell’ora della sua morte sulla Croce. E’ allora che dice in sostanza: Ecce nova facio omnia (nota 69: Ap., 21,5; cfr I Cor 5,17; I Cor 15, 47-49; Ef 4,28)»

82 Questo aspetto è posto in risalto dalla teologia dei riformati: MOLTMANN J., Teologia della speranza, (=BTC 6) Queriniana, Brescia 19713

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Si può già ora vivere, conformati a Cristo, la verità stessa della creazione, in quanto tutto, sin dalle sue origini, è stato creato in, per, verso, Cristo, per essere in Lui ricapitolato. Il rinnovamento escatologico e soteriologico è cosi decisivo, per opera di Cristo, che richiede di essere fondato nella stessa creazione originaria: tutto, fin dagli inizi, è chiamato all’esistenza per la mediazione, la partecipazione, la finalizzazione a Cristo.

La nostra attenzione è attirata da questi testi, in modo particolare da Col 1,15-20, in cui il primato di Cristo nella creazione, viene strettamente unito a quello della redenzione; si tratta di testi di grande rilievo teologico e letterario: pongono in rilievo come la mediazione del Verbo, Immagine svelata, filiale del Padre, raggiunga la stesso venire all’esistenza dell’uomo e del mondo.83

Le categorie già elaborate, come vedemmo, dalla riflessione sapienziale:e„kën, ¢paÝgasma, alhqe…alÒgo$vengono ora usate per esprimere contenuti

nuovi, in quanto sono impiegate per indicare non solo le qualità della creazione in quanto sgorga dal Dio santo e trascendente (Sap 7,25s), ma lo stesso rapporto intra-divino tra Cristo ed il Padre: ne è la stessa perfettamente espressiva, vera, immagine filiale. Qui si situa la mediazione della creazione per Cristo, professata dalla Chiesa: tutto il sapiente progetto di Dio è qualificato in questa realtà inaudita. Contenuti del tutto nuovi: la qualità del progetto creatore, la Sapienza, deve ora essere considerata sulla misura dello stesso rapporto intradivino tra Gesù Cristo di Nazaret e Dio Padre; la creatura uomo viene così introdotta alla partecipazione della stessa vita filiale.

Una Sapienza su questa misura, sulla misura della Croce, ove Gesù di Nazaret manifesta tutta la sua relazione, dedizione al Padre: sulla Croce si manifesta in modo pieno che Gesù è una cosa sola col Padre, tanto sicuro del suo amore, da portare il peso di tutta l’umanità peccatrice, riconciliarla a Dio Padre, offrire vita risorta nella sua Risurrezione. La Sapienza della follia della Croce di cui ci parla Paolo nella sua I Cor 1-2.

Possiamo quindi notare come il nuovo Adamo, Cristo non è sulla semplice misura della piena perfezione creaturale del primo Adamo: qui infatti si tratta dello stesso Figlio unigenito del Padre, che totalmente Lo esprime, che si incarna in una vera umanità, senza discioglierla.

In termini moderni: Cristo non è solo la pienezza degli spazi trascendentali dell’uomo (la sua naturale capacità di assoluto), ma è il Figlio, immagine svelata del Padre, Dio santo e trascendente, che, in quanto si incarna, li ricolma, anzi li dilata, li qualifica sulla misura della Persona divina del Figlio. Prima di esaminare questi testi “forti”, è bene considerare la storia del Figlio di Dio tra noi, come narrata nei Vangeli.

2.1.a.a Vangeli sinottici. Qui la signoria, il rapporto unico tra Gesù di Nazaret e la vita dell’uomo, viene descritto,

narrato nel paziente ed illuminante stare in mezzo a noi del Figlio di Dio, nel suo vivere la nostra storia, in tutte le sue dimensioni. Si tratta è vero, di un mondo distante da noi 2000 anni, che ancora non conosce lo sviluppo della scienza e della tecnica; ma presenta una vita autentica, qualificata dalle forti radici dell’Alleanza, ben situata nel colosso ellenistico-romano.

Gesù è sempre presentato ben inserito nel suo ambiente, come colui che vede tutto e conosce tutto, per interpretare e rinnovare tutto ad una profondità unica.

Ad una familiarità così padrona di sé con gli uomini, con la loro vita, corrisponde una pari familiarità con la presenza attiva di Dio, in cui uomini e cose trovano la propria origine. Nell’aprire i suoi occhi su tutto, Gesù vede direttamente l’opera del Padre, sempre in attività; le cause seconde, la natura delle cose create, sono Lui ben conosciute: ha Lui stesso esercitato un mestiere. Ma attraverso la natura, raggiunge anzitutto Colui che la pone nell’esistenza: cosi attraverso il sole e la pioggia, gli uccelli ed i gigli dei campi, coglie l’amore operoso di Dio che dispensa senza

83 Cfr ALETTI J.N., Colossiens 1,15-20 Genre et exégèse du texte. Function de la thématique sapientielle, (=AB 91), BIP, 1981; Id., Lettera ai Colossesi, introduzione, versione, commento, (= Scritti delle origini cristiane 12), EDB 1994; OTERO LAZARO T., Col 1,15-29 en el contexto de la carta, (=TG, serie teologica 48) Ed. PUG Roma 1999

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condizioni quanto necessita all’uomo per la sua vita. Non c’è, nelle parole di Cristo, alcunché di bucolico, arcadico; nello spettacolo grandioso della natura (l’Alleanza noaica), e anche nei segni minori degli uccelli e dei gigli, vede per trasparenza l’azione continua di Dio per la vita dell’uomo, nella proporzione del suo insito valore:

“Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno” (Mt 6,30-32).

C’è un amore misericordioso che presiede alla creazione: “Il Padre mio agisce anche ora, ed anch’io agisco” (Gv 5,17); anche Gesù opera: con il lieto annunciò del Vangelo, il perdono dei peccati, i miracoli, ricrea il cuore dell’uomo e rinnova la creatura di Dio; rende tollerabile la vita purificando l’uomo dalle sue passioni, guarendolo dai suoi mali, annunciando con autorità e già iniziando quella restaurazione escatologica che porterà a compimento nel suo avvento glorioso.

Tutta l’esistenza umana di Gesù, la sua parola e la sua opera, appare come una sonda esistenziale discesa nella profondità della vita, per ricondurla alla semplicità e rettitudine intese da Dio nel creare l’uomo. Non c’è aspetto essenziale e decisivo della nostra vita che non sia da Lui visitato, giudicato e salvato.

Anzitutto il rapporto dell’uomo con Dio, suo Padre: fa avanzare l’uomo in questa relazione vivificante, affinché possa dire con Lui, Abbà! Padre: l’uomo è stato creato per vivere di questa comunione!. Il rapporto con Dio vivo, che in Lui viene restaurato e portato a perfezione, si sviluppa e manifesta in un atteggiamento nuovo verso l’uomo, in una giustizia più esigente di quella di scribi e farisei:

“Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.” (Mt 5,20); più esigente perché parte direttamente dal cuore dell’uomo, aperto da Lui alla legge divina della Carità, quella Carità che presiede alla stessa creazione e redenzione. Cosi alla fine della notte trascorsa nel pregare il Padre, può insegnare la sua preghiera, sgorgata dal cuore del Figlio unigenito, preghiera tutta illuminata dalla prima parola: Padre, nella quale alla domanda per il riconoscimento della santità e della volontà di Dio, che vuole impregnare e trasformare tutto col suo Regno, si unisce la domanda del pane e del perdono, della vittoria sul male.

Introduce in modo particolare i Dodici nella sua identità filiale di unico mediatore della Grazia paterna, perché ne siano maestri autentici, i dispensatori: ha affidato loro il Memoriale della sua Pasqua, per l’edificazione del suo popolo sacerdotale. Giudica parimenti il centro nevralgico della socialità umana, la famiglia, che riporta allo splendore del progetto originario di Dio: “All’inizio però non fu cosi”(Mt 19,8); toglie la durezza di cuore, perché la famiglia possa esprimere, nel dono reciproco tra uomo e donna, l’amore fedele di Dio che presiede a creazione e redenzione. E’ venuto a svelare e curare ciò che in ogni campo, danneggia veramente l’uomo :

“Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi del male: impurità, furti, omicidi, adulteri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo” (Mc 7,20-23).

Introduce alla sua povertà, affinché l’uso delle ricchezze sia corretto, al servizio di ogni uomo, secondo il piano di Dio, che contempla la necessità del pane, dei mezzi materiali, ma va molto al di là di essi: “non di solo pane vivrà l’uomo”(Mt 4,4); “Cercate invece anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”(Mt 6,33).

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Anche i compiti dello stato vengono riportati ai loro giusti limiti, per il servizio dell’uomo: “Il Signore tuo Dio adorerai, a Lui solo renderai culto”(Mt 6,10); “Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire, e dare la propria vita in riscatto per molti ”(Mt 20,28).

Solo chi lo segue nel cammino delle Beatitudini, in cui si esprime l’atteggiamento mite, giusto, misericordioso, retto, pacificante e paziente del Figlio di Dio, entrerà nel Regno, possederà la terra (cfr Mt 5,1-11). E con lo stesso abbandono filiale scende nella sua morte, non si sottrae ad essa, subendo una sentenza ingiusta e dolorosa; freme al pensiero dell’ingiustizia e del peccato umano che lo costringono a tale passo, ma l’accoglie senza alcun risentimento verso i suoi crocifissori.

Sa trasformare la sua morte ignominiosa in una testimonianza di dedizione al Padre; vive in un Popolo che ha viva coscienza di dovere tutto, i beni dell’Alleanza, come quelli della creazione, alla sola bontà di Dio: nell’una e nell’altra la risposta della dedizione totale è obbligatoria. Nella sua morte in Croce Gesù vive in modo unico il suo fiducioso abbandono al Padre, dedizione che è la vera vita dell’uomo. È nella verità e nella forza di questa comunione col Padre, vissuta nell’abbandono della morte, che l’Alleanza trova il suo vertice, la riconciliazione della creazione con Dio la sua realtà. Per questo la morte che sembra distruggere tutto, può esprimere la sua suprema parola, di carità e di risurrezione; deve anche permettere a Dio stesso di dirsi come mai ancora ha avuto occasione di farlo.

Dio non si è mai espresso con tanta intensità come nella vita, morte e risurrezione di Gesù; ha cosi visitato l’intera vita umana nelle sue dimensioni essenziali, l’ha giudicata e rinnovata, inserendo in essa la forza della verità e dell’amore al Padre e per i fratelli, più forte dell’errore, del peccato e della morte. Ha espresso nella vita umana quella verità e quell’amore che dall’eternità uniscono il Figlio al Padre nello Spirito Santo, quella verità e quell’amore che ha presieduto alla stessa creazione.

Per questo, “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli Angeli con lui, siederà sul trono della sua Gloria”(Mt 25,31), sarà giudice degli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, dimostrando una sovranità che si estende “fin dalla creazione del mondo”(Mt 25,34;cfr Ef 1,4s), alla piena realizzazione del Regno. Egli, che nella sua sovranità universale non può essere confuso con nessuno, ha una relazione così esclusiva con tutti, tanto che ciò che viene offerto o negato al più piccolo dei suoi fratelli, anche nelle dimensioni materiali dell’esistenza, viene offerto o negato a Lui stesso: “Lo avete fatto a me […] non l’avete fatto a me” (Mt 25, 40. 45).84

Paolo e Giovanni, accogliendo quest’insegnamento esposto come storia evangelica, lo scandaglieranno in profondità, esprimendolo in formule sintetiche, inni, di grande rilievo letterario e teologico.

2.1.a.b Cristo creatore nell’Inno di Colossesi 1,15-20 85 . Per apprenderne l’insegnamento, cerchiamo anzitutto di individuare la situazione storica e le

motivazioni dello scritto, con le sue articolazioni interne. Procederemo poi ad una prima lettura del

84 Cfr ALETTI J.N., Gesù Cristo unità del N.T.? cit 211-214 esprime l’importanza del racconto per la completezza dell’annuncio evangelico.; MARTELET G., Il primogenito di ogni creatura. Abbozzo di una visione cristologia della creazione, in Communio n.1/1976, 37-47

85 15 Ój ™stin e„kën toà qeoà toà ¢or£tou, prwtÒtokoj p£shj kt…sewj, 16 Óti ™n aÙtù ™kt…sqh t¦ p£nta ™n to‹j oÙrano‹j kaˆ ™pˆ tÁj gÁj, t¦ Ðrat¦ kaˆ t¦ ¢Òrata, e‡te qrÒnoi e‡te kuriÒthtej e‡te ¢rcaˆ e‡te ™xous…ai: t¦ p£nta di’aÙtoà kaˆ e„j aÙtÕn œktistai, 17 kaˆ aÙtÒj ™stin prÕ p£ntwn kaˆ t¦ p£nta ™n aÙtù sunšsthken. 18 kaˆ aÙtÒj ™stin ¹ kefal¾ toà sèmatoj, tÁj ™kklhs…as: Ój ™stin ¢rcÉ, prwtÒtokoj ™k tîn nekrîn, †na gšnhtai ™n p©sin aÙtÕj prwteÚwn, 19 Óti ™n aÙtù eÙdÒkhsen p©n tÕ plÉrwma katoikÁsai 20 kaˆ di’aÙtoà ¢pokatall£xai t¦ p£nta e„j aÙtÒn, e„rhnopoiÉsaj di¦ toà a†matoj toà stauroà aÙtoà, (di’ aÙtoà) e‡te t¦ ™pˆ tÁj gÁj e‡te t¦ ™n to‹j oÙrano‹j.

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testo greco, con osservazioni circa la sua struttura letteraria. La ricerca e l’analisi teologica delle parole chiavi ci abiliteranno infine a percepirne l’insegnamento.

--- La situazione storica:Non sembra che la comunità di Colossi sia stata evangelizzata direttamente da Paolo in

persona: si parla di Epafra. Paolo ricorda ai destinatari che un tempo furono degli estranei (Col 1,21), sottoposti al potere delle tenebre (Col 1,13), ma ora trasferiti, introdotti dal Padre, per la predicazione apostolica (Col 1,23), ed il Battesimo (Col 2,12), “nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati”(Col 1,13s).

La vita ed il comportamento della comunità non offrono alcun motivo di biasimo; ma l’autore è molto preoccupato che i Colossesi possano essere irretiti ingenuamente da una falsa dottrina; sono sollecitati a distinguere la vera dalla falsa predicazione:

“Fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo”(Col 2,8).

Dietro questo avvertimento si delinea la minaccia che sovrasta la comunità: si sono introdotti uomini che chiamano la loro dottrina “filosofia”, che contempla una particolare attenzione agli “stoicheia” elementi del mondo, presentati come potenze angeliche (Col 1,16; 2,8.16-23).

Si tratta di dottrine sincretiste che trovano la salvezza nell’inserimento in un ordine cosmico di tipo panteista, con particolare sottomissione alle forze e presenze angeliche. Paolo avverte in queste dottrine un pericolo mortale per il Vangelo di Gesù Cristo: non è più il Signor universale, che solo opera la riconciliazione con Dio, una vita redenta.86

La fede vieta di porre, accanto a Cristo, altre potenze decisive per la salvezza dell’uomo. “A questa dottrina […] viene contrapposta la chiara antitesi: solo una autorità, Cristo, può a buon diritto pretendere di essere il Signore di tutti, e quindi anche l’unico Signore sulla vita ed il comportamento della comunità [..] essa nel suo cammino deve soggiacere unicamente al comandamento del Signore” 87.L’annuncio di Cristo Crocifisso Glorioso deve essere assunto come assolutamente valido per rispondere a tutte le domande e a tutte le ricerche dell’uomo: per contrastare la falsa filosofia, la lettera, sin dal suo inizio, riporta un inno liturgico a Cristo, e di li sviluppa il suo insegnamento dottrinale e morale. L’inno costituisce il vero cuore della lettera.88

Le articolazioni della lettera esprimono tutta la sovranità unica di Cristo: dopo i saluti, il rendimento di grazie per la fede in Cristo, segue la parte didattica, che rappresenta il fondamento anche della parte morale, l’esortazione ad una coerente vita cristiana (cap. 3-4). Anche questa parte, parenetica, è contraddistinta dal tema dell’universale sovranità di Cristo: quelli che sono risuscitati con Cristo devono cercare le cose di lassù (cfr Col 3,5-7). Il che significa che essi devono mortificare le membra che sono sulla terra, deporre l’antico stile di vita, spogliarsi dell’uomo vecchio e rivestirsi del nuovo. Dominato dall’amore, l’uomo nuovo diviene operante, dimostra in sé efficace, la parola di Cristo, per mezzo del quale è offerta la lode di ringraziamento a Dio Padre. Come poi l’obbedienza al “Kyrios” debba di volta in volta concretamente effettuarsi, è reso noto in seguito, tenuto conto dei differenti stati di vita in cui vivono i singoli membri della comunità (cfr Col 3,18-4,1).

--- La struttura letteraria del testo greco: Risulta chiaramente trattarsi di un inno, tanto è evidente la cadenza ritmica, per la ripetizione

delle stesse parole: Ój ™stin 15.18; prwtÒtokoj 15.18; e‡te 16.20 ;Óti: 16.19). Si possono

86 Cfr ALETTI J.N., Lettera ai Colossesi, (= Scritti delle origini cristiane 12) EDB 1994, 16-22; 179-18387 E. LOHSE, Lettera ai Colossesi e a Filemone, Paideia, Brescia 1979, 192.; VANNI U., La creazione in S.

Paolo, una prospettiva di teologia biblica, in RDT, 1995, 285-32588 DUPONT J., Gnosis. La connaissance religieuse dans les Epitres de S.Paul,Louvain-Paris 1949, 16: “Les

Juifs ont confiance de possèder dans la Loi des trésor de sophia et de gnosis; S.Paul dit que les chretiens les trouvent tous dans le Christ. Le Christ est ansi substitué a la Loi”.

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distinguere due strofe, la prima 15-17, e la seconda 18b, 20, per il comune inizio Ój ™stin: Egli è; trattano la prima del Primato di Cristo sulla creazione, la seconda del suo primato nella Redenzione; 18a è un intermezzo ecclesiale.

Paolo ha trovato nella liturgia della Chiesa un inno che esalta il primato di Cristo e lo incorpora (con sviluppi?) nella sua lettera per riaffermare tale primato attraverso un testo già familiare ai suoi destinatari.89

--- Analisi teologica delle parole chiavi:Si nota anzitutto l’insistente ripetizione del pronome Egli, Lui (Ój aÙtÒ) oltre 14 volte in

sei versetti!, in relazione di sovranità rispetto al Tutto (t¦ p£nta: specificato: visibile ed invisibile, con enumerazione delle potenze angeliche perché non vi sia alcun dubbio). Assolutamente tutto, è ricollegato a Cristo: la creazione avviene in, per, verso Lui, la pace della riconciliazione è venuta solo da Lui, da nessun altro.

Immagine: e„kën (v.15) Cristo è colui nel quale il Dio invisibile si manifesta, come in Gv 14,9: “Filippo, chi ha visto me, ha visto il Padre”. Quale immagine del Dio invisibile, Cristo fa tutt’uno col Padre il quale agisce per Cristo. 90Egli non è nel numero delle cose create: è sovraordinato al cosmo, in tutte le sue dimensioni. Infatti Cristo è detto immagine, ma non in relazione ad Adamo (Gn 1,27) ma in relazione immediata al Padre invisibile.

La parola immagine può anche riferirsi alla funzione mediatrice di Cristo rispetto a tutta la creazione; il termine potrebbe significare modello, paradigma: Gesù sarebbe il principio esemplare a partire dal quale Dio ha creato il mondo. Essendo stato creato attraverso questa immagine divina, l’uomo e tutta la creazione ne portano come impresso il sigillo, il marchio.

Le due interpretazioni: Cristo immagine perfetta del Padre invisibile, Cristo modello esemplare mediatore della creazione (secondo l’insegnamento esplicito di questa strofa), non sono alternative, ma complementari: Cristo è mediatore della creazione, partecipa all’atto creatore del Padre, in quanto ne è la sua perfetta immagine, una sola cosa con Lui.

Primogenito (prwtÒtokoj): non significa che sia stato creato per primo, quindi sia semplice inizio, capofila della creature; non si tratta tanto di preminenza temporale, ma di superiorità unica in dignità e influsso su tutto il creato: viene infatti spiegato dal “poiché” (Óti): primogenito poiché tutto è stato creato in, per, verso Lui.

Ricordiamo come nell’Antico Testamento, primogenito è colui che, ricevendo la pienezza di benedizioni del Padre, ha una certa dignità sui fratelli, come Giacobbe ed Esaù, Efraim e Manasse. Ci si ricollega anche alle speculazioni giudaiche sulla Sapienza: “Il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine”(Pv 8,22; cfr Sir 1,4; 24,9).

Cristo è “primogenito” della creazione in modo unico, secondo la misura della sua partecipazione all’atto creatore divino, secondo i termini con i quali viene spiegata. Gesù sembra essere il primo nel progetto di Dio, cioè a partire dalla sua Incarnazione si deve intendere l’opera creatrice di Dio ed in particolare il ruolo di Gesù in essa. Con la primogenitura di Cristo si indica qui un rapporto con la creazione ed il mondo, non si contempla, almeno in primo luogo, la relazione del Figlio col Padre.

Ritroviamo il termine prwtÒtokoj anche nella seconda strofa, che tratta del primato di Cristo nella redenzione; Cristo è causa (¢rcή) e primogenito dei risorti: in quanto è il primo risorto dai morti, garantisce la futura risurrezione, ne è causa e inizio; per questo è il primo in tutto (v.18.c).

89 Cfr ALETTI J.N., Colossiens, cit 125-14090 Cfr ALETTI J. N., Lettera ai Colossesi, cit, 91

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Viene qui affermata la preesistenza divina di Cristo?. Certo viene chiaramente insinuata perché Cristo è l’Immagine del Padre invisibile, partecipa alla creazione; ma qui il discorso di Paolo, più che distinguere la persona divina pre-esistente del Figlio, contempla la concretezza della Persona incarnata: parla del “sangue della croce” (v.20b). Sarà Giovanni, nel Prologo, ad esplicitare la preesistenza divina del Figlio-Logos:

“In principio era il Verbo, ed il Verbo era presso Dio ed il Verbo era Dio. Egli era, in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste[…] Dio nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito che è Dio, ed è nel seno del Padre, è Lui che lo ha rivelato”(Gv 1,1-3. 18)

Creare: (kt…zw) è usato due volte, in due tempi diversi: l’aoristo passivo indicativo (Óti ™n aÙtù ™kt…sqh, al v.16: poiché in Lui tutte le cose sono state create), che indica una azione puntuale nel passato: Cristo ha esercitato un influsso universale all’istante stesso della creazione, alle sue origini; kt…zw viene poi usato al perfetto passivo (œktistai) che indica un effetto iniziato nel passato ma il cui effetto continua a durare: tutte le cose sono state in Lui create e continuano a restare create....

In, per, verso (™n, dia, e„j): sono le tre particelle che specificano in quale rapporto sta l’azione creatrice divina con Cristo. Possono essere considerate insieme, per significare che Cristo, come partecipe della creazione divina, ha effetto su tutto, fonda, regge, media, finalizza tutto, dall’alfa all’omega.

Lo Stoicismo conosce l’uso delle tre particelle per indicare che la natura è tutta compenetrata da forze divine, l’estrema unità di tutto ciò che esiste; può darsi che Paolo accolga in qualche modo queste categorie stoiche, per indicare la vastità ordinata del cosmo, in cui Cristo ovunque agisce, ma come Sovrano creatore, stando di fronte al Cosmo, senza confusioni panteistiche.

In Lui: (™n aÙtù [dativo]), indica Cristo come centro portante e qualificante di tutte le cose, ne è la ragion d’essere: da loro unità e fondamento. Può essere inteso come causalità esemplare: tutto, in particolare l’uomo, partecipa alla perfezione di Cristo, ha in lui il suo modello.

Per Lui: (di`aÙtoà [genitivo]), indica Cristo mediatore della creazione, anche nella sua umanità: senza Cristo, nell’unico piano esistente voluto da Dio, non esisterebbe questo mondo e l’uomo; in quanto per Gesù a tutti discende l’essere, tutti vengono all’esistenza, si può intendere come causa efficiente.

Verso Lui: (e„j aÙtÕn [accusativo]), indica Cristo come fine, scopo, meta perfetta di tutte le cose; tutto è creato in vista di Lui, per la sua glorificazione, cosicché tutto raggiunga la sua perfezione. Ci avviciniamo al concetto di ricapitolazione di Ef 1,9-10.: “ [Il Padre] ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà […] ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra”.

Solo in Lui: (sunšsthken [perfetto, con significato presente di sun-ίstamai), le cose stanno insieme, sun hanno coesione, senso, armonia, ragion d’essere; senza Cristo l’universo sarebbe caotico, si sfascerebbe.91

Il capo del corpo della Chiesa: (¹ kefal¾ toà sèmatoj, tÁj ™kklhs…aj): questo intermezzo tra la strofa insegnante la Signoria assoluta nella creazione, e quella riguardante il primato assoluto nella riconciliazione/pacificazione, introduce alla questione: sì, Cristo ha un primato universale, intimo, perdurante, sin dall’origine, ma come viene ora esercitato concretamente, storicamente?.92

91 Ivi 48-9792 Seguiamo le indicazioni di BENOIT P., Capo, corpo, pleroma, nelle lettere della prigionia, in Esegesi e

Teologia, Ed. Paoline - Roma 1964, 394-460, in campo in cui gli esegeti sono discordi, come risulta dagli autori citati nelle note seguenti.

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Il Cosmo è infatti sottoposto all’idolatria, la venerazione indebita degli “elementi” del mondo, delle Potenze angeliche; il cosmo, nell’ideologia stoica panteistica, è considerato il corpo del Logos Pneuma divino, che tutto lo compenetra, anima, guida. Ma nella prospettiva secondo Cristo, l’unica vera, questo non si può dire: il cosmo è inquinato dal peccato dell’uomo, non è il corpo sottomesso a Dio.

Può invece essere detto, in modo corretto, corpo di Cristo, la sua Chiesa, di cui Egli è Capo, a tutti gli effetti. La comunità ecclesiale accetta infatti la sovranità di Cristo, la sua parola evangelica, la forza della sua Pasqua, celebrata nei Sacramenti, presente nell’Eucaristia: il corpo del Crocefisso glorioso si partecipa nella koinwnˆa (comunione) ecclesiale, costituisce la Chiesa suo corpo.

Non si da alcuna confusione nell’intima comunione; la distinzione viene sottolineata dall’espressione <capo>: Cristo è capo, sia nel senso di sovrana autorità, sia nel senso di alimentatore-vivificatore.

Ma dopo avere indicato, con un nuovo, corretto significato dell’espressione corpo, in quale luogo Cristo esercita il suo necessario, benefico influsso, rimane la domanda: come si realizza nella storia la riconciliazione-pacificazione di tutte le cose per il Sangue della sua Croce? Per quali vie quindi Cristo esercita la sua signoria universale già fondata nella creazione, riconquistata, per il peccato umano, nella sua Pasqua?.

La lettera ai Colossesi esprime la sovranità universale già posseduta dall’umanità del Crocifisso Glorioso, Cristo, attraverso la categoria pl»rwma che come significato profano indica spazio riempito, saturo, pienezza di qualcosa. La rivelazione veterotestamentaria usa tale concetto per esprimere la presenza sovrana di Jahwè: “Tutta la terra è piena della sua gloria”(Is 6,3).

Anche l’espressione che troviamo in Col 1,19: (Óti ™n aÙtù eÙdÒkhsen p©n tÕ pl»rwma katoikÁsai) <è piaciuto infatti a Dio che abiti in Lui tutta la pienezza> è una risonanza, biblica: “La montagna (Sion) che Dio ha desiderato per sua dimora” (Sal 67(68),17).

Ma il significato proprio deve essere desunto dalla stessa lettera ai Colossesi e dalla simile e complementare lettera agli Efesini, in cui il termine pl»rwma viene più volte usato per spiegare la sovranità di Cristo (4 volte in Ef, 2 in Col).

Di quale pienezza si tratta in Col 1,19 p©n tÕ pl»rwma? In Col 2,9 è detto: “È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità”: infatti nell’umanità del Crocifisso glorioso è presente in modo unico, personale, l’Immagine filiale del Padre, la pienezza quindi, della divinità; e per la sua partecipazione alla creazione e la realizzazione della riconciliazione nel sangue della Croce, sono nascosti il Lui, tutti i tesori della sapienza e della conoscenza”(Col 2,3).

Anche Giovanni, nel suo Prologo afferma: “Il Verbo si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la

sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità”(Gv 1,14) e ancora: “Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia” (Gv 1,16).

Nel Crocifisso Glorioso sta quindi tutta la pienezza della divinità, della verità, grazie capaci di restaurare la necessaria sovranità di Cristo su tutte le cose, già iscritta ovunque per la stessa creazione; possiamo dire che la pienezza della verità e della riconciliazione del cosmo abita in Cristo, Cristo è questa pienezza tutta accogliente e redimente.

La Lettera ai Colossesi ribadisce questa sovranità sotto ogni aspetto (creazione e redenzione) di Cristo: viene anche accennato che i Cristiani sono già partecipi di tale pienezza: “[…] e voi partecipate della pienezza di Lui.”( Col 2,10) ; resi partecipi di essa, in quanto sono già inseriti in Cristo, il Capo del suo corpo ecclesiale.93

93 ALETTI J.N. Lettera ai Colossesi, cit 138; 235; SCHLIER H., Lettera agli Efesini, Paideia, Brescia, 115-119; WITTE J.L., l’Eglise “sacramentum unitatis” du cosmos et du genre humaine, in G.Baraùna ed., La Chiesa del

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Su questo fondamento ormai assodato della indiscussa sovranità di Cristo (in Lui sta tutto il pl»rwma), Ef 4,9-16 indicherà le mediazioni ecclesiali di questo pl»rwma, la sua appropriazione da parte dei cristiani. Che relazione quindi tra la Pienezza divina che sta in Cristo, ed il suo corpo ecclesiale?

Ef 1,22-s afferma che la pienezza che è in Cristo (è di Cristo, e rimane sua) abita nella Chiesa, il corpo di cui è Capo: anche la Chiesa può essere detta sua Pienezza: “Tutto infatti ha messo sotto ai suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di Lui, che è il perfetto compimento di tutte le cose”. Ossia” La pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose.”, la traduzione, forse più soddisfacente del medio: plhroumšnou.

Riflettiamo sulle ultime parole, in greco: tÕ plήrwma toà [Cristoà] t¦ p£nta ™n p©sin plhroumšnou: la traduzione del medio plhroumšnou (soggetto è Cristo) è stata controversa; alcuni insistono sul senso attivo, come nella stessa lettera leggendo in senso cristologico il Salmo 67(68),19: “Asceso in alto ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini”(Ef 4,8), cui viene aggiunto: “Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza [riempire] di tutte le cose”(Ef 4,10).

Accettando il senso attivo si afferma che Cristo, Crocifisso risorto, riempie attivamente tutte le cose, sovranamente le salva, le impregna di presenza di Dio, perché Dio sia tutto in tutti (1Cor 15,28, in relazione a Col 3,11. “Cristo è tutto in tutti”).

Ma è meglio conservare il senso medio, raccomandato dalla filologia e dai Padri: cioè mentre Cristo attivamente riempie il mondo, esercitando la sua signoria per creazione e redenzione, ne viene anche riempito in quanto manifesta ed esercita efficacemente nella storia quella Signoria che già possedeva in sé: il mondo redento viene come attualmente accolto in Lui, nel suo ambito, nel quale era già da sempre situato per potenza di creazione e redenzione94.

Ma ancora: quale relazione tra la Chiesa corpo di Cristo capo, e questa pienezza? Pur essa può venire contrassegnata da questa stessa pienezza del suo Capo, in quanto già ne partecipa, e soprattutto la serve, la media, efficacemente la offre con l’annuncio evangelico e i sacramenti.

Gli spazi-tempi della Chiesa sono cioè gli stessi spazi-tempi già riempiti da Cristo redentore e creatore (plήρωμα), affinché nell’annuncio del Vangelo e nell’introduzione alla Chiesa-sacramento, la presenza di Cristo si manifesti con tutto il suo vigore di verità e salvezza.

La Chiesa quindi si muove e serve la stessa pienezza universale di Cristo, fa crescere in essa i suoi membri. È ancora l’insegnamento di Ef 3,19 nel contesto della preghiera di Paolo (Ef 3,17-21):

“Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la larghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio”

Vaticano II, Vallecchi, Firenze 1965,457-490; RENWART l., “Primier né de toute creature” NRT (1989) 895-918; PENNA R., Lettera agli Efesini, EDB, 120; MONTAGNINI F., Lettera agli Efesini, Queriniana 1994, 138-142; LIGIER L., Pèché d’Adam et péché du monde, Bible-Kippur Eucharistie, cit 335-346: chap. VIII, 2. Le nouvel Adam et l’Eglise. Gli studi relativi al “Pleroma” in ASSOCIAZIONE BIBLICA ITALIANA, La Cristologia in S. Paolo, Atti della XXIII Settimana biblica, Paideia-Brescia 1976: PANIMOLLE.A., L’inabitazione del plήroma nel Cristo (1,19) 177-206; BERNINI G., La pienezza di Cristo alla luce di alcuni testi veterotestamentari (Col 1,19), 207-220. FEUILLET A., Le Christ sagesse de Dieu d’apres les Epitres pauliniennes, (=EB) Gabalda Paris 1966, 217-237; 275-320; De LA POTTERIE I, Le Christ Plérome de l’Eglise, in Biblica 1977, 500-524.

94 Cf. BENOIT P., Capo, corpo, pleroma, nelle lettere della prigionia, in Esegesi e Teologia, Ed. Paoline - Roma 1964, 457. Seguiamo l’esegesi di Benoit, perché ci sembra spiegare meglio le relazioni tra Cristo capo della Chiesa e Cristo nella sua capacità salvifica per l’intera umanità, secondo l’uso paolino in Col ed Ef, e nel Prologo di Giovanni. Siamo consapevoli della discussione controversa, come viene riassunta nello studio citato nella nota precedente di Panimolle S.A.e di Feuillet A. Ci convince in Benoit il rispetto per il verbo al tempo medio: plhroumšnou.

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Questo avviene nella Chiesa, accogliendo le sue articolazioni ministeriali, fondamentale quella apostolica: “È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri” (Ef 4,11), perché il cristiano giunga “allo stato dell’uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (toà plhrèmatoj toà Cristoà)(Ef 4,13).

Nella lettera ai Colossesi il cosmo risulta creato nella prospettiva di Cristo; nella lettera agli Efesini 1,4-14 è piuttosto la Chiesa, che, subordinatamente a Cristo, viene posta in risalto come fine della creazione: sin dalla fondazione del mondo Dio ci ha prescelti ad essere, in Cristo, figli adottivi, santi e senza macchia, per la lode della sua gloria. Il piano sapiente di Dio, che Cristo realizza nella storia, il “mysterium sacramentum” consiste in questo: “ Le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”(Ef 3,6) .Tutto sempre avviene nell’ambito e in forza della Pienezza (plήrwma) di Cristo.

2.1.a.c Concludendo, sintetizziamo l’insegnamento di Paolo. Per controbattere il culto esorbitante delle Potenze angeliche, Paolo sviluppa il tema della

potenza, eccellenza, superiorità, primato universale di Cristo. Sottolinea:

>l’unicità di Cristo: l’insistenza è posta su Lui solo, contrapposto a tutto il creato.

>l’universalità (tutti) e totalità(tutti i livelli): la mediazione di Cristo è creatrice e salvifica; essa è contemporaneamente la causa e lo scopo di tutta questa creazione e di tutta la sua salvezza.

>la superiorità-anteriorità di Cristo, inculcata col titolo di “primogenito”, l’espressione “prima di tutte le cose”, “principio (¢rcή)”, indicante inizio e causa; anzitutto e„kën, immagine di Dio

>il compimento (plήrwma): cioè il carattere definitivo della dignità di Cristo, e della sua duplice mediazione di creazione e salvezza. La Mediazione creatrice costituisce tutti gli esseri nella loro verità creaturale, e continua a venire esercitata; la mediazione salvifica è descritta con termini riconciliare e pacificare, che si riferiscono essenzialmente alla situazione finale e definitiva, escatologica, che è già la nostra, in attesa della piena manifestazione del Signore Gesù.95

2.1.b L’Uomo creato secondo l’Immagine di Dio, Gesù Cristo.

Nostro Signore Gesù Cristo, in quanto immagine del Dio invisibile, presiede alla creazione e opera la redenzione. Il Padre crea il mondo contemplando la sua immagine filiale espressa in Cristo, come modello, fondamento, verità e bontà, da partecipare agli uomini.

Infatti il primo uomo (Gn 1,26-27) è creato secondo l’immagine di Dio, il Figlio, Parola vivente incarnata, come specificherà Rom 5,14: il primo Adamo “è figura di colui che doveva venire”, cioè tipo,schema che rimanda al definitivo futuro Adamo, Cristo.

Intuiamo l’importanza del tema per esprimere l’identità rivelata dell’uomo; si fa anche notare che l’attenzione alla categoria biblica-teologica dell’Immagine di Dio distingue i periodi più felici e fruttuosi del pensiero cristiano.96

95 ALETTI J. N., Lettera ai Colossesi, cit, 233s osserva che Col. non presenta una cristologia completa, non ne ha la pretesa, tuttavia:”La valorizzazione della situazione di Cristo, legata in particolare alla sua mediazione creatrice, testimonia lo sviluppo necessario al quale era chiamata la cristologia”

96 Cfr SCHŐNBORN C., L’homme creè par Dieu: le fondament de la dignité de l’homme, in Gregorianum 65 (1984), 337-353, ove a pag. 344 osserva: “[…] si può anche dire senza esagerazioni che i grandi periodo di rinnovamento teologico sono stati pure dei momenti forti della teologia dell’Immagine di Dio. Alquanto negletto ai tempi della Scolastica, il tema ha ricevuto un luogo di prim’ordine nei documenti dell’ultimo Concilio e del Magistero recente”. In realtà i grandi Padri della Chiesa, i teologi del rinascimento carolingio e cistercense, come S. Bernardo, la grande scolastica del XIII e., in particolare S. Tommaso, e più vicini a noi Scheeben, K. Barth, il Vaticano II ed i suoi

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Iniziamo con una sinossi dei testi più significativi in cui compare nell’Antico e nel Nuovo Testamento:

>AT: Gen 1,26-27: “ Dio disse :Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: domini [...]. Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò”;

Gn 5,1-3 : “Questo è il libro della discendenza di Adamo. Nel giorno in cui Dio creò l’uomo, lo fece a somiglianza di Dio; maschio e femmina li creò, li benedisse e diede loro il nome di uomo nel giorno in cui furono creati. Adamo aveva centotrenta anni quando generò u figlio a sua immagine, secondo la sua somiglianza, e lo chiamò Set”;

Gn 9,6 “Chi sparge il sangue dell’uomo dall’uomo il suo sangue sarà sparso, perché ad immagine di Dio è stato fatto l’uomo.”;

Sir 17,3-12 “Li rivestì di una forza pari alla sua, e a sua immagine li formò. In ogni essere vivente infuse il timore dell’uomo, perché dominasse sulle bestie e sugli uccelli.[….] Discernimento, lingua, occhi, orecchi e cuore diede loro per pensare. Li riempì di scienza e d’intelligenza, e mostrò loro sia il bene che il male. Pose il timore di sè nei loro cuori, per mostrar loro la grandezza delle sue opere.[…] Loderanno il suo santo nome per narrare la grandezza delle sue opere. Pose davanti a loro la scienza e diede loro in eredità la legge della vita.[….] Stabilì con loro un’Alleanza eterna e fece loro conoscere i suoi decreti”;

Sap 2,23 “Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura.”; cfr 7,26, ove è la sapienza ad essere indicata <immagine della bontà di Dio>.

Notiamo che il termine Immagine compare in testi tardivi, Sacerdotali e Sapienziali, che sono già il frutto di una prolungata riflessione sulla Storia salvifica.

>NT: Cristo immagine di Dio:Col 1,15 “Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione “; 2Cor 4,4 “In loro, increduli, il dio di questo mondo ha accecato la mente, perché non

vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo che è immagine di Dio “;

Eb 1,3 “Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza “.L’uomo deve conformarsi all’immagine di Cristo:Col 3,9-11 “Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le

sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato “

2Cor 3,18 “E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore”; 4,6 “E Dio che disse:« Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo “.

Teologi, hanno tutti valorizzato questo tema.COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Comunione e servizio, la persona umana creata a

immagine di Dio, in Civ Cat 2004 IV 256-286, a pag. 255 accenna alle cause del declino di interesse nella teologia degli ultimi secoli: «Nella Filosofia il concetto di “immagine” è stato oggetto di pesante critiche provenienti da quelle teorie della conoscenza che o privilegiavano il ruolo “dell’idea” a scapito dell’immagine (razionalismo), o consideravano l’esperienza il criterio ultimo della verità, senza fare riferimento al ruolo dell’immagine (empirismo). [ Altri fattori culturali, come l’inflazione di immagini, il porre in crisi l’orientamento ontologico verso il divino]. All’interno della stessa teologia occidentale lo scarso peso attribuito a questo tema si spiega anche alla luce di interpretazioni bibliche che hanno sottolineato la validità permanente del divieto di fare immagini (cfr Es 20,3-4) o hanno postulato un influsso ellenistico sulla comparsa di questo tema nella Bibbia». Cfr le osservazioni di un membro della Commissione teologica internazionale, SANNA I, Identità aperta, Il cristiano e la questione antropologica, (=BTC 132), Queriniana Brescia 2006, 288-290

Per i rapporti con l’ebraismo: PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue S. Scritture nella Bibbia cristiana, LEV 2001, 64s.

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1Cor 15,45-49 :” Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. Il primo uomo tratto dalla terra, è fatto di terra, il secondo uomo viene dal cielo. Come è l’uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l’uomo celeste, così anche i celesti. E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili al celeste” [ “E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste” suona una traduzione più letterale];

Rm 8,29 :” Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli “.

Per il Nuovo Testamento notiamo l’uso fortemente Paolino; non si trova in Giovanni che sviluppa una teologia del Logos.

2.1.b.a Significato antropologico-teologico: Immagine (סלצ [selem]; e„kën) indica in ebraico la rappresentazione fisica di un modello,

come può essere una statua. Può caricarsi anche di un senso magico, come le immagini d’oro dei topi e dei bubboni che in 1 Sam 6,1-18, vengono appesi all’arca restituita dai Filistei, per liberarsi dai mali dei topi e bubboni veri.

Immagine viene ad indicare sia conformità al modello, anche una certa partecipazione alla sua natura e perfezione, sia alterità rispetto al modello.

Al termine immagine, in Gn 1,26; 5,1-3, é unito somiglianza: תומד [demut], Ðmo…wsiς): il suo significato è inteso come tautologico, cioè dice la stessa cosa, oppure attenuante, immagine non identica, ma somigliante il modello. Dion P.-E., dopo avere esaminato usi biblici e probabili derivazioni, conclude: “Dobbiamo accontentarci di dire che l’autore sacerdotale ha usato sinonimi per un più completo effetto stilistico”.97

Per cogliere il significato antropo-teologico di «immagine» possiamo ricordare la severa proibizione di fare immagini di JHWH, e di altre realtà (cfr Es 20,4-s), questo per assicurare la trascendenza e la spiritualità di JHWH-Elohim. Per l’uomo invece il termine può essere usato e lo è, in testi che già esprimono una forte e prolungata riflessione sull’Alleanza, testi elaborati, per assicurare l’identità religiosa di Israele, il suo rapporto con l’umanità (fonte sacerdotale e i sapienziali); questa osservazione ci sarà preziosa per individuare meglio il significato rivelato del termine.

Per meglio cogliere il significato biblico di immagine, è bene anche accennare al suo uso in altri contesti religiosi filosofici:

-- Il Platonismo è decisamente una filosofia “iconica”: il mondo visibile, considerato come un grande essere vivente, è plasmato dal demiurgo secondo il modello delle Idee Iperuraniche, ne è l’immagine (Timeo, 29b)98; l’uomo ha in sé una particella dell’anima cosmica. La visione platonica costituisce una versione filosofica dalle profonde e durature intuizioni di una più ampia simbologia mitica: la corrispondenza tra cielo elemento divino fecondante e la terra (materia mater) elemento divino accogliente. Notiamo che l’immagine delle Idee divine iperuraniche è propriamente il

97 DION P.-E., Resemblage et image de Dieu, I Egipte et Mésopotamie. II A. T. Le textes sacerdotaux, in Supplément au Dict. de la Bible, T. X, Paris 1985, col 365-403, qui col 387. Risalto all’uomo creato ad Immagine di Dio appare anche nelle teologie bibliche di area protestante, cfr WESTERMANN C., Teologia dell’Antico testamento, cit 130-136: osserva a pag 131 “Dalla storia si può rilevare che nelle epoche della cristianità in cui i cristiani (o un popolo cristiano) affermarono con insistenza il loro stato di elezione nei confronti dei non cristiani, la dignità di essere creati ad immagine di Dio, conferita a tutti gli uomini in quanto sue creature, passò in secondo piano o non ebbe più alcuna inportanza”. In realtà la consapevolezza del cristiano è impegno di rispettare e suscitare in tutti gli uomini la dignità dell’immagine di Dio. Id., Creazione, cit., 98-106

98 PLATONE, Timeo, Introduzione, traduzione, note…di G. Reale, Rusconi, Milano 1994, 27-29

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cosmo, non l’uomo, ma <considerata la posizione privilegiata dell’uomo nel mondo, si poteva giungere sino a quella conclusione>.99

-- Nell’ideologia faraonica della sovranità lo stesso Faraone è l’immagine terrestre delle divinità; ne comunica la sapienza, Maat. Entriamo qui nella prospettive comuni al mito, in cui il Re, prototipo dell’uomo, ha un rapporto confuso col divino; è il bambino del dio, il quasi dio discendente dagli dei: il divino trapassa, si mescola con l’umano e viceversa.100

Su questa incerta visione mitico-filosofica lo Jahwismo esercita la sua consueta opera di chiarificazione: solo Dio è Dio, nessuna confusione con la sua creatura umana radicalmente dipendente; ma con Abramo l’uomo è stato chiamato all’Alleanza, è il partner dialogante di Dio: come può avvenire questo? Come si spiega la chiamata di Abramo, di Mosè ?

Ciò è avvenuto perché l’uomo sin dalle origini è stato creato capace di dialogo con Dio, capace di intendere la parola dell’Alleanza, capace di intendere la parola inscritta nella creazione stessa. Per realizzare questo c’è nell’uomo una capacità che lo pone dalla parte di Dio, senza confusione tra l’umano ed il divino. Per spiegare l’Alleanza, l’uomo cui viene offerta, bisogna affermare nella creatura «uomo» una costitutiva capacità di dialogo, di vita comunionale con Dio. Con tutto se stesso l’uomo è immagine di Dio: immagine dice infatti qualcosa di fisicamente espresso. Per capire l’uomo, tutto l’umano, si deve partire da Dio, dalla sua insita capacità di Dio: l’essere cioè creato secondo tale immagine.

Si tratta di una capacità relazionale «un esse ad» fondato nella stessa costituzione dell’uomo: una capacità relazionale tanto insita e costitutiva, che neppure il peccato dei Progenitori la toglie, continua infatti nella discendenza (Gn 5,1-3; 9,6), neppure il crimine dell’omicidio, come in Caino. (Gn 4,14-s).

La dominazione sugli animali è già una conseguenza dell’essere capace di dialogo, di conoscenza di Dio. Mai l’autore sacerdotale afferma che l’uomo è semplicemente Immagine di Dio, aggiunge sempre la particella attenuativa <be>, creato secondo l’Immagine di Dio, solo Cristo è semplicemente « Immagine del Dio invisibile» ( Col. 1,15). Se l’uomo non assomiglia in nulla a Dio, tutta la Scrittura-Alleanza perde di senso; non si direbbe più nulla di vero e di intelligibile quando, per esempio, si descrive l’amore di JHWH con categorie materne, sponsali.

“Ponendo la rassomiglianza divina dell’uomo, l’autore sacerdotale non solo afferma con formula ben calibrata la situazione privilegiata dell’uomo descritta in Gn 2, e che rende possibile un lungo dialogo umano-divino; assicura pure, in tensione con una trascendenza più chiaramente percepita, le condizioni indispensabili per un linguaggio religioso”. Stabilisce così le basi del discorso teologico, di una effettiva relazione dialogale dell’uomo col Dio della creazione-Alleanza: il termine <immagine> acquista, nell’architettura generale della Storia salvifica <un’importanza epistemologica fondamentale>.101

La capacità costitutiva di dialogo, relazione vissuta con Dio è ben espressa nella definizione dell’uomo creato secondo l’immagine di Dio; notando subito come il Sacerdotale, dopo l’affermazione: “Dio creò l’uomo a sua immagine, ad immagine di Dio lo creò” sente l’esigenza di specificare: “maschio e femmina li creò”: Quasi per dirci che in quel <a sua immagine lo creò>, in quel <lo>, è già incluso il <li>, cioè maschio e femmina, ambedue nella dignità di immagine di Dio. L’uomo creato ad immagine di Dio è costitutivamente un essere sociale, fondamentale la relazione uomo e donna. Ciò che qualifica l’uomo e la donna come <immagine di Dio> è la capacità

99 DION P.-E., Resemblage .. cit., col 406100 Ivi col 396; “Ma se l’autore sacerdotale ha voluto fare allusione a un titolo reale delle grandi civiltà vicine, è

senza dubbio perché vi vedeva un mezzo particolarmente ingegnoso di riunire tra loro le due direzioni della sua antropologia religiosa: la posizione dell’uomo davanti a Dio, ed il suo inserimento nell’universo empirico”. A differenza dell’immagine faraonica, l’Immagine di Dio nell’uomo di Genesi non comporta alcuna predominanza sull’altro uomo, neppure dell’uomo sulla donna, ma solamente sugli animali.

101 Ivi col 403

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personale di rapportarsi al Creatore-Alleato, dando una tonalità nuova, dignità unica al fatto di essere maschio e femmina, la differenza sessuale, in sè comune al mondo biologico infraumano.

Come il comandamento di gestire il mondo (cfr Gn 1,28) non costituisce in sè l’essere immagine di Dio, ma ne manifesta l’identità, così pure la relazione uomo-donna non è causa intrinseca dell’essere immagine, ma ne rappresenta una sequela indispensabile; la sessualità è inclusa, partecipe della dignità del rapporto vissuto con Dio, della qualificazione che ne proviene.102

Per quale via possiamo supporre che l’Autore ispirato del Pentateuco sia giunto ad affermare la creazione secondo l’Immagine di Dio sia per l’uomo sia per la donna, nella loro reciproca relazione ?

Il Dio unico dell’Alleanza si dimostra lo sposo fedele di Israele (cfr Osea 1-4; Ger 2,2.20; 31,3; Ez 16,1-43.59-63; Is 54,1-8; 61,10; 62,4-s): questo è l’ambito di tradizione vivente di Alleanza sponsale, che ci spiega la valorizzazione della coppia umana, la sua dignità, fondata nella stessa creazione (Gn 1,27; 2,23-s), ma scelta, voluta per essere espressiva, anzi partecipe, della comunione sponsale di JHWH con il suo Popolo.

È importante osservare come nelle coeve culture medio-orientali, i miti di origine non valorizzano la dimensione sponsale della coppia umana 103. Sullo sfondo vitale di tale valorizzazione sta l’unico trascendente Dio sposo di Israele, che offrendo Alleanza all’uomo e alla donna, ne assicura pari dignità, ambedue capaci di dialogo con Lui, creati secondo la sua immagine, con Lui concreatori del figlio che sarà ancora secondo la stessa immagine (Gn 4,1; 5,1-3). Inoltre JHWH, sposo fedele del popolo, è già simboleggiato nella fedele dedizione sponsale, la famiglia, nucleo decisivo della socialità umana, iscritto nella stessa natura originaria dell’uomo e della donna.104

Ma al di là della cellula fondamentale della socialità, la famiglia, cosi voluta e qualificata sin dalla creazione, è la stessa più ampia e variegata socialità umana a venire valorizzata. È utile ricordare che la preistoria biblica è composta riflettendo dal fondamento stabile dell’Alleanza vissuta. Ognuno deve accogliere l’altro in quanto chiamato all’Alleanza, capace del Dio dell’Alleanza, capacità fondata nella stessa creazione. La legge dei dieci comandamenti, nella seconda tavola, esprime la corretta accoglienza-rispetto dell’altra immagine di Dio, che capace di Dio, chiamata all’Alleanza è riconosciuta intangibile nelle sue fondamentali dimensioni di vita: vita familiare (genitori, sposi...) vita fisica, spirituale (sincerità dovuta...), beni...

Insieme così partecipe della superiorità di Dio creatore sul cosmo, l’uomo è chiamato alla laboriosità: dominare, umanizzare, rispettandola e interpretandola, l’opera di Dio.

L’immagine di Dio si presenta così intrinsecamente relazionale, secondo una triplice polarità: :

102 Cfr von BALTHASAR H.U., TeoDrammatica, vol. II, Jaca Book, Milano 1982, 345-352; qui von Balthasar nota l’insufficienza della teoria barthiana, esposta nella sua Kircliche Dogmatik, III/2 (1948), 344-391 (traduz. francese Dogmatique, III, La doctrine de la Création, T. 1°, Gèneve, 1960, 190s; 309-344). K. Barth pone nel dialogo uomo-donna il costitutivo formale dell’essere secondo l’Immagine di Dio. Per K. Barth nel plurale di Gn 1,26 “facciamo”, sarebbe già inclusa una realtà relazionale interpersonale nello stesso Creatore; essa sarebbe partecipata analogicamente nella creazione dell’uomo-donna in relazione. Perché capaci di dialogo reciproco, come lo sono le Persone divine, sarebbero secondo l’immagine di Dio. Oltre un anticipo forzato della rivelazione delle Relazioni personali trinitarie, è il comune essere creature personalmente capaci, costitutivamente, di dialogo con Dio, a realizzare l’Immagine di Dio nell’uomo e nella donna. Ma stabilito questo, la tripersonalità dell’Unico Dio della Creazione ed Alleanza, e la vocazione dell’uomo alla sua intima partecipazione personale, ci fanno comprendere ulteriormente come l’uomo e la donna, creati secondo l’immagine di Dio, siano chiamati alla socialità interpersonale, della Chiesa, la grande famiglia dei Figli di Dio, e della Famiglia, piccola Chiesa. Ovunque la relazione uomo-donna risulta fondamentale.

103 BRIEND J., Gn 2-3 et la création du couple humain, in ASSOCIATION CATHOLIQUE FRANCAISE pour l’étude de la Bible, DEROUSSEAUX L. ed., La création dans l’orient ancien, (=LD 127) Cerf Paris 1987, 137: “C’e là l’originalità fondamentale de Gn 2 par rapport à la réflection des nations qui n’attachent pas une importance particuliére au couple comme tel. […] La couple comme tel ne donne pas lieu à un réflection antropologique et religieuse approfondie.”

104 Cfr CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, del 31/5/ ’04, in AAS 96 (2004) 671-687.

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1 Il polo di relazione con Dio che lo costituisce sua immagine, dimensione decisiva che lo fa uomo, persona.

2 Il polo della relazione all’altro uomo nella sua intrinseca dimensione sociale: l’immagine di Dio non è mai voluta sola ma in comunità a vari livelli.

3 Il polo del lavoro, della relazione di superiorità sul creato come luogotenente di Dio.Le tre relazioni devono essere eticamente esercitate affinché l’uomo esprima e cresca nella

sua identità.

Nel Nuovo testamento si manifesta l’Immagine filiale di Dio incarnata in Cristo, che totalmente rivela il Padre, ne è il vero <esegeta>, ne svela la piena verità (Gv 1,17s); qui cade l’attenuante (l’ebraico be, il greco katà, tradotti in italiano col termine < secondo >). Insieme svela all’uomo la sua vera identità. 105Fortemente illustrativo è l’inno di Colossesi, già esaminato: “Egli (Cristo) è Immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione” così pure il testo di Eb. 1,3: “Questo Figlio che è l’irradiazione della sua Gloria e impronta della sua sostanza”. Abbiamo già fatto notare che le categorie usate da Sap 7,25s per indicare l’origine, la natura della Sapienza, ponendola il più possibile vicino al libero irradiarsi di Dio creatore verso l’uomo ed il cosmo, sono ora usate per indicare il situarsi del Figlio, Logos incarnato nella stessa vita intratrinitaria divina, rispetto al Padre, partecipando del suo atto creativo e redentore.106

Ne segue che l’uomo, creato secondo l’Immagine vera di Dio, Cristo, deve lasciarsi trasformare, conformarsi a Lui, che ha in sé tutti i tesori della scienza e della sapienza (Col 2,3), pienezza di ogni grazia e verità (Gv 1, 14-18), in cui abita corporalmente la stessa pienezza della Divinità (Col 2,9).

In questa conformità, trasformazione donata nel Battesimo, intensificata nell’Eucaristia per la stessa Presenza della Croce trasfigurante, gloriosa dell’Immagine filiale del Padre, consiste tutta la vita del Cristiano, passaggio progressivo dalla condizione terrena e peccatrice del primo Adamo a quella spirituale celeste del vero Adamo (cfr 1 Cor 15,45-49). S. Paolo lo descrive con categorie che avvisano di una situazione di celebrazione eucaristica:

“E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la Gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore” (2 Cor 3,18). Si tratta di una azione creatrice-redentrice di Dio, come ci avvisa la stessa 2 Cor 4,6: “E Dio che disse: rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per fare risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo”.107

Il parteciparci, nello Spirito Santo, la dignità filiale dell’Immagine del Padre, qualificherà sotto ogni aspetto la dimensione sociale vissuta nel Corpo ecclesiale di Cristo, in tutte le sue articolazioni. Fondamentale quella tra Ministero ordinato e sacerdozio battesimale (cfr Ef 4,11-16); qualificazione particolare ne acquisterà la Famiglia-sacramento, che partecipa e manifesta il dono sponsale di Cristo Signore alla sua Chiesa (cfr Ef 5,22-33).

Come abbiamo già accennato nel commento all’Inno cristologico di Col, tutta la vita morale spirituale del Cristiano ne viene come trasfigurata, nella sua concretezza; compreso il mondo delle relazioni lavorative (Col 3). Trasfigurazione di quella tripolarità dell’Immagine di Dio, già presente in Gn 1.

105 Cfr l’insegnamento offerto nella Gaudium et spes, n 22: “ In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo era figura di quello futuro (Rm 5,14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”

106 ALETTI J. N., Colossiens 1,15-20, cit. 85-87: Il termine eikon di Col 1,15a fa allusione a Gen 1,26-27? Aletti osserva che il Figlio manifesta Dio per la sua mediazione creatrice descritta nei vv. 16-17, il Figlio non appartiene alla serie delle creature, anche le più perfette, al contrario si afferma la creazione di tutte le cose in Lui, per Lui, verso di Lui; dobbiamo respingere ogni specie di cristologia adamica.

107 cfr VANNI U., Immagine del Dio invisibile, primogenito di ogni creazione (Col 1,15), in ASSOCIAZIONE BIBLICA ITALIANA, La cristologia in S. Paolo, Atti della XXIII Settimana biblica, Pideia-Brescia, 1976, 104 .

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Per una comprensione più viva, concreta di questa tripolare relazionalità, è utile, nella qualità cristica offerta dal Nuovo testamento, riferirci ora al testo, così detto Jahwista, di Gn 2: non vi compare il termine teologico tecnico di “immagine di Dio” proprio del Sacerdotale ma ne vengono espressi in modo vivace, lo stile narrativo simbolico, gli stessi contenuti antropo-teologici.

2.1.b.b La solitudine dell’uomo narrata da Genesi 2. La prospettiva è diversa rispetto a Genesi 1: il Sacerdotale pone l’uomo al vertice della

creazione, chiamato all’esistenza con particolare deliberazione, intensità, creato secondo l’immagine di Dio, uomo e donna, perché costituiscano, dominando il mondo, ampia socialità: tutto nella prospettiva del Sabato, della lode, comunione e riposo con Dio.

In Genesi 2, l’uomo è il centro delle intenzioni di Dio, l’unica creatura plasmata direttamente dalle sue mani 108, insufflata dal suo Spirito; tutto il resto viene realizzato intorno a questo centro, per l’uomo: il giardino da custodire e coltivare, l’albero della vita, l’albero del precetto del bene e del male 109, della vita etica responsabile, gli animali. Tutto avviene alla presenza di Dio che osserva e scende a dialogare con l’uomo (cfr Gn 3,8s).

L’uomo così creato capace di dialogo con Dio, di osservare liberamente e responsabilmente i precetti, nella prospettiva di intensa comunione di Vita con JHWH (l’Albero della vita Gn 2,9) sperimenta una originaria solitudine nel gestire le opere di Dio; le conosce, se ne serve (dà il nome agli animali) ma non trova un aiuto che sia al suo livello. Lo riconoscerà nella donna che in una corporeità simile alla sua perché “tratta” da lui, possiede una pari dignità, perché capace di dialogo con Dio, di responsabile moralità, di dominio sul cosmo. L’accoglienza dell’aiuto simile a sé allevia la solitudine originaria dell’uomo in quanto può comunicare allo stesso livello di vita religiosa, morale, operativa, allo stesso livello di dignità corporalmente espressa.

Insieme l’accoglienza dell’altra immagine di Dio rispettata e amata nella dignità propria, fa crescere nella consapevolezza di essere immagini di Dio, del modello divino di cui si è immagine, stimola il desiderio di Dio stesso, esalta in qualche modo la solitudine dell’uomo. Questa solitudine originaria, sarà saziata nell’accogliere l’Immagine filiale del Padre, che totalmente Lo esprime, immagine filiale visibile dell’umanità del Nostro Signore Gesù Cristo.

108 Anche per Gn 2, la particolare creazione dell’uomo, si danno numerosi paralleli extrabiblici: WESTERMANN C., Creazione, cit. 27: “La descrizione della creazione dell’uomo dall’argilla o dal fango o dalla terra, insieme con il motivo della animazione mediante il respiro, si incontra nei miti sumerici e babilonesi, come anche in narrazioni molto primitive della creazione”; Id., Il racconto della creazione all’inizio della Bibbia, in NEGRETTI N., WESTERMANN C., von RAD G., Gli inizi della nostra salvezza, Marietti, Torino 1974, 84, nota che l’immagine del vasaio per esprimere l’operare proprio di Dio è ricorrente nell’A. e N. Testamento (Is 45,9; Ger 18; Rm 9,21), e “come tale dice continuamente ai posteri e quindi anche a noi qual cosa di essenziale“.

109 cfr TESTA P.E., Genesi, introduzione, storia primitiva, cit. 288

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Sia il primo110 che il definitivo Adamo si presentano con il costato aperto: Gv 19,33-37, ci mostra Cristo in croce con il costato trafitto dalla lancia da cui esce Sangue ed Acqua, i Sacramenti pasquali del Battesimo e della Eucaristia che formano la Chiesa, la alimentano: “Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa.” (SC 5).

Cristo è lo sposo che si è donato sulla Croce perché la Chiesa sua sposa sia tutta gloriosa santa ed immacolata (cfr Ef 5,25).

La stessa sponsalità umana sin dagli inizi esprime la sponsalità di Cristo, ne viene qualificata e redenta. Si può anche dire che siamo uomo (Collegio apostolico, Presbiteri nel S. Celibato, Mariti...) e donna (Maria. SS, tipo perfetto della Chiesa cfr LG 63-65, Verginità consacrata, Mogli...), per esprimere il Mistero voluto dalla SS Trinità creando il mondo: perché sia Cristo, centro della comunità fraterna redenta, la Chiesa, sua diletta sposa.

Se già in Gn 2,24 la relazione sponsale appare così forte e costituisce famiglia, il che richiede di lasciare Padre e Madre, tanto più di fronte a Cristo, la perfezione nell’immagine di Dio espressiva la Paternità divina nello Spirito Santo, dobbiamo tutto ridimensionare, lasciare: 111

“Se uno viene a me, e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo[…]chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo”( Lc 14,26-33).

E chi avrà realizzato, nel modo conforme alla propria vocazione, questo lasciare per seguire Cristo, avrà in dono una socialità più qualificata ed ampia sulla misura del Figlio di Dio, fratello primogenito, sposo verginale:

Mc 10,28-31 “Pietro allora prese a dirgli: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”. Gesù gli rispose: “In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà.” (cfr Mt 19,27-30; Lc 18,28-30, che aggiunge alla lista delle persone da lasciare anche < la moglie >).

Così in Cristo troviamo l’archetipo vero dell’umanità solidale secondo la pienezza, il pleroma, dell’immagine di Dio: non soltanto ci introduce, e dona l’amore paterno che ci costituisce figli e fratelli, a Lui conformi, ma anche ci rende partecipi del suo dono sponsale alla Chiesa come celibato, vita consacrata, e come famiglia piccola chiesa.

110 La narrazione della creazione dell’uomo e della donna di Gn 2,21-24 esplicita ciò che afferma con sobrietà Gn 1,27: “a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò”. I commenti dei rabbini parlano di una congiunzione iniziale uomo-donna sullo stile del mito dell’Androgino, cui segue la separazione, l’attrattiva, cfr TOSATO A., Il Matrimonio nel giudaismo antico e nel Nuovo Testamento, Città nuova ed., Roma 1976, 54: “Che Dio abbia creato l’uomo maschio e femmina, che abbia cioè inizialmente creato non un singolo, ma una coppia, la coppia umana, nella perfetta unione di un solo corpo, questa idea insomma sulla prima creatura umana occupa nel pensiero rabbinico un ruolo tutt’altro che marginale. Essa è punto di partenza e parte integrante di tutta una concezione e dottrina molto organica sull’uomo, sulla donna, sul matrimonio, sugli sposi”.

Nei Rabbini si cerca il motivo della creazione della donna dalla costola di Adamo, e non da altro organo, considerazioni che esprimono inferiorità della Donna cfr Bereschit Rabba 18; sono riprese anche dai Padri, cfr COSMAS INDICOPLEUSTIS, Topographie chretienne, (=SC 141) Paris 1968, III, 47, 482: “Dio non l’ha creata dalla parte anteriore, perché la donna non domini sull’uomo, né dal dorso, perché l’uomo non domini la donna; ma dal fianco, perché essa è uguale all’uomo per la sua natura; e anche se l’uomo la precede nel tempo, come causa, non la superi per la sua natura”. Come constatiamo, nei Padri alla luce del rapporto Cristo-Chiesa di Ef 5,22-33, la Donna è trattata con rispetto. Cfr de MERODE M., “Un aide qui lui corrisponde”, l’exegese de Gn 2,18-24 dans les écrits de l’Ancien Testament, du judaisme e du Noveau Testament, in RTL 8(1977) 329-352; Cfr DANIELOU J., Les figures du Christ dans l’Ancien Testament, Sacramentum futuri, Beauchesne, Paris, 37-44. TERMES P., La formacion de Eva en los Padres latinos hasta S. Augustin inclusive, in EE (1960) 421-459; SCOLA A., Il Mistero nuziale 2 – Matrimonio-Famiglia, PUL-Mursia 2006, 127-136.

111 Cfr Gesù e l’urgenza delle decisioni in ALETTI J.N., Gesù Cristo unità del Nuovo Testamento ?, Borla, Torino 1995, 138s

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In Cristo troviamo anche vissuto, al livello della stessa immagine perfetta di Dio, la dimensione lavorativa: già la sua stessa vita di famiglia che ricopre la massima parte della sua esistenza terrena, è in se stessa un Vangelo del lavoro. Lo stesso lavoro umano diviene simbolo espressivo della grande opera di Dio creatore e redentore, per realizzare il suo Regno, impregnare tutto della sua presenza salvifica e trasfigurante; cosi il Regno sarà simile al lavoro del seminatore, del pescatore, del costruttore, del pastore, della donna che lievita il pane e spazza la casa.

A somiglianza della sponsalità, il lavoro umano diviene segno espressivo della continua opera di Dio nell’introdurci e realizzare la Gerusalemme celeste: terra nuova, e cieli nuovi, il pieno riposo sabbatico con Dio.112

3 L’unità dell’uomo e i vari aspetti della sua esistenza.L’uomo, nella storia della Salvezza, ci appare sempre di più come soggetto responsabile,

dialogante, che si realizza in una molteplicità di rapporti. In quanto è voluto secondo l’immagine di Dio è invitato alla comunione con Dio e le altre immagini di Dio, a sottomettere e custodire la terra; in quanto creato, risulta altro da Dio, possiede una complessa consistenza, che riconosce ricevuta, in relazione di assoluta dipendenza dal Dio della creazione e Alleanza.

Il suo rapporto con l’invisibile lo qualifica, e lo caratterizza anche nelle sue relazioni con il visibile, ne risulta una struttura profondamente unitaria, in una molteplicità di rapporti, di realtà apparentemente opposte. Non dobbiamo cedere alla tentazione di semplificare la complessa, e unitaria, struttura dell’uomo, ridurla ad una sola delle sue dimensioni. Lo stesso rapporto fondamentale e qualificante con Dio viene vissuto e deve svilupparsi anche nei rapporti con gli altri, nella vita sociale, nel sottomettere, custodire e coltivare la terra.

L’uomo è fatto di realtà opposte tra loro anche passibili di contrasto, e quindi mai realtà definibile con uno sguardo semplificato. Dobbiamo evitare tutti quegli sguardi sull’uomo che sappiano di monismo religioso, teologico, sociologico, politico.

L’attenzione alla complessità, unificabile dell’uomo, deve presiedere lo studio dell’uomo sapendo tener conto della compresenza di elementi diversi, e questo contraria, va contro, sfida una certa esigenza istintiva di chiarezza che talora si fa strada in noi, un bisogno di vedere le cose chiare, ma riducendole ad una sola dimensione, per poter giudicare ed operare in esse, quando in realtà bisogna sempre tener conto di elementi diversi. Altro è la chiarezza conquistata attraverso una faticosa sintesi degli opposti, altra invece la chiarezza risultante da un semplicismo di analisi.

Vogliamo procedere in questa chiarificazione dell’uomo a se stesso, sempre nella luce della Parola di Dio. Essa ci presenta l’uomo, nei suoi molteplici inserimenti sempre davanti a Dio, nella storia di salvezza che ha il suo fondamento e il suo vertice in Cristo. L’uomo che per essere se stesso, realizzare la sua unità personale, deve accettare il rischio di uscire da se stesso, vivere tutte le sue molteplici relazioni accogliendo la pienezza di Cristo, capo dell’universo e della sua Chiesa.

Nella Scrittura l’uomo viene presentato sempre davanti a Dio, come un “esse ad” in relazione, in una storia, in cammino verso la sua realizzazione escatologica.

Evidentemente non si può descrivere un “esse ad” senza nulla dire del suo “esse in” della sua intima costituzione. Se, per es., vedo sull’autostrada una cinquecento procedere ai duecento all’ora, pur senza nulla vedere della sua costituzione, meccanica, e soltanto constatando una

112 Individuiamo qui gli stessi elementi portanti della Dottrina sociale della Chiesa: la Persona umana in quanto capace di Dio e quindi di responsabilità morale, sociale; persona come valore fondante tutto l’edificio della Dottrina, cui tutto deve essere sempre riferito. La solidarietà, come dimensione intrinseca della persona, che si realizza a vari livelli di comunità, ma sempre con riferimento alla comunità fondamentale: la famiglia. La sussidiarietà quindi: le comunità più ampie devono coordinare, sostenere, mai sostituire, i nuclei umani più personalizzanti, in modo particolare la Famiglia. Cfr PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, LEV 2004, Cap. III La persona umana e i suoi diritti. Cap. IV: I principi della Dottrina sociale della Chiesa. Cap V: La Famiglia cellula vitale della società. Cap. VI: Il lavoro umano.

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relazione (la velocità, rapporto spazio-tempo), non ho difficoltà ad intuire alcuni aspetti del suo motore: evidentemente truccato.

Cerchiamo ora di descrivere con la S. Scrittura i molteplici aspetti dell’uomo che ci fanno intuire i suoi costitutivi; sarà poi il pensiero cristiano che accogliendo gli interrogativi, non la totalità delle soluzioni di aristotelismo e platonismo circa le cause intrinseche, fornirà una dottrina più elaborata, e speculativa, sui costitutivi dell’uomo.

3.1 Basar, Nefesh, Ruah, Corpo, Anima, Spirito.Sotto questa terminologia la S. Scrittura ci descrive i molteplici aspetti dell’esistenza umana,

senza mai perdere di vista la sua unità. 113

BASAR: (רשב) il suo significato primario è “carne” in contrapposizione ad “ossa”; in senso metaforico esprime tutto l’uomo in quanto percepibile, visibile, solidale con gli altri, una unità in rapporto orizzontale con gli altri, persone e cose.

Può anche stare per il pronome personale: per es.: “Si rivelerà la gloria di Jahwè a tuti gli uomini [ad ogni carne (cioè ciascuno)]”( Is 40,5). Basar può anche aver il significato di parentela, e famiglia: nostra carne, per dire nostro fratello, o nostro congiunto (cfr Is 58,7). Ogni carne abbraccia l’intera umanità davanti a Dio, che solo è Spirito (Ruah).

Con la parola “basar”, come formula di parentela, la tradizione, così detta Jahwista, esprime anzitutto la comunione, il vincolo tra gli uomini. Nel Deuteronomio l’espressione kol-basar (ogni carne), viene applicata agli uomini in quanto stanno davanti a Dio come creature caduche (Dt 5,26). Quando invece, P, usa questa formula per la prima volta: “Dio guardò la terra ed ecco essa era corrotta, perché ogni uomo (kol basar) aveva pervertito la sua condotta sulla terra “(Gn 6,12), è per fare esprimere da Dio la totale corruzione morale dell’uomo. Tuttavia questo uso in P non può indicare una visione dualista, fra componenti spirituali e corporee dell’uomo, una svalutazione del corpo, in se cattivo; qui ogni carne si riferisce a tutta l’umanità nella sua situazione peccaminosa, storica davanti a Dio, da cui si è separata.

Basar viene tradotto in greco con due termini:Soma (sèma): Indica l’uomo intero nel suo aspetto di visibilità, accentuando il significato

sociale di basar: come avviene nella dottrina paolina del corpo ecclesiale di Cristo.(Cfr 1 Cor 10, 17; 12,27; Rm 12,5).

Sarx (s£rx): che presenta due accentuazioni:(1) secondo alcuni, testi specialmente in S. Paolo (cfr 1 Tm3,16; 1 Pt 3,18b), può indicare

tutto l’uomo nel suo aspetto esteriore, marcando i limiti creaturale di fragilità e debolezza, che lo contraddistinguono dalla potenza di Dio: così Ð lÒgoj s¦rx ™gšneto il logos, assume questa nostra carne debole e mortale (Gv 1,14); non si dà qualificazione negativa, morale, ma neppure il trionfalismo di un certo incarnazionismo superficiale.

(2) può indicare questa stessa realtà fragile dell’uomo in quanto diffida e si chiude a Dio, rimane Adamo peccatore, non si apre allo Spirito Santo: (cfr Rm 7,14-8,18). Questa qualificazione morale non è del solo corpo, ma dell’uomo intero che non si lascia guidare e possedere dalla Spirito Santo; così Col 2,18 applica l’aggettivo «carnale» anche alle facoltà spirituali: “ gonfio di orgoglio nella sua mente carnale”.

Basar non è mai riferito a Dio: infatti non è corpo.L’uomo si presenta sempre in una realtà visibile, come gli altri viventi, ma è un corpo vivo,

con una vita caratteristica, a più livelli, diremo ora, naturale e soprannaturale. Ora la vita umana è

113 Cfr WOLFF H.W., Antropologia del l’Antico testamento, Queriniana Brescia 1975; MORK W., Linee di Antropologia biblica, ed. Esperienze, Fossano 1971; DEISSLER A., L’uomo secondo la Bibbia, per una antropologia esegetica, Città nuova, Roma 1989

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colta, nel suo respiro. Non ci stupiremo quindi se i termini che descrivono la vita dell’uomo, a tutti i livelli di qualità (ed infine anche il principio ontologico costitutivo: “anima”), hanno sempre a che fare con il respiro, l’aria respirata: : ,(nefesh) שפנ ,(neshamat) תמשנ ;(ruah) חור yuc» (psykè), pneàma (pneuma); animus, spiritus; anima 114. Esaminando questi termini nel loro uso biblico, individueremo le qualità della vita umana e divina del basar.

NEFESH: in senso primario indica gola, sia come organo della nutrizione, e quindi gli stati di bisogno dell’uomo, gola assetata, arida, nauseata, sia come organo del respiro. Se poi si considera la parte esterna dell’organo del respiro, il collo come esposta a pericoli (il laccio: Sal (123)124,7) si nota la vulnerabilità della vita umana. La gola contiene le corde vocali, che nell’uomo hanno capacità espressive totalmente differenti dall’animale: voce linguaggio, per esprimere pensiero, emozioni, stringere relazioni. L’uso della gola, della bocca nell’animale, si esaurisce in funzioni biologiche; nell’uomo si libera per attività eminemente spirituali.115

Ne segue il senso traslato: nefesh è tutto l’uomo in quanto è corpo vivo: respira, ha fame, sete, brama, sperimenta stati d’animo, sentimenti, è vulnerabile. Indica l’uomo vivo, la sua vita con le sue tendenze, con la nota di indigenza e vulnerabilità, per cui si apre alla speranza, al ringraziamento benedicente Dio che sovviene alle sue necessità: “Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome. Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici.”(Sal 102(103),1-4).

Può stare, come basar per un pronome personale, indicare la totale personalità umana. Usato 755 volte nell’Antico Testamento, in 600 casi tradotto dai LXX con yuc¾ Si osserva anche un limitato uso (3%) per Dio, in un moderato e corretto antropomorfismo.

La vita dell’uomo è generata dal soffio di Dio, (nishamat:-hajjim םייח תמשנ Gn 2,7), per tale soffio l’uomo plasmato dalle mani di Dio, e così insufflato diviene: היח שפנ (nefes hajjah), yuc¾n zîsan (psykè zosan), anima vivente, con una vita con le caratteristiche spirituali umane.

Nota G.F. Ravasi : “La neshamah/nishmat è, infatti, una realtà che nelle 24 volte in cui è evocata nell’A.T. è

attribuita soltanto a Dio e all’uomo, e mai agli animali e copre una serie di funzioni alte, che sono spesso in connessione con Dio. E’ attraverso di essa che l’uomo compie atti <spirituali> e riceve uno statuto particolare nell’ordine della creazione”.116

Abbiamo molteplici altri passi biblici in cui l’attività creatrice di Dio anche per l’uomo viene espressa come frutto della sua ruah: ” La spirito di Dio mi ha creato”(Gb 33,4).” Se Egli pensasse solo a se stesso e a sé ritraesse il suo spirito e il suo soffio, ogni carne (basar) morirebbe all’istante e l’uomo ritornerebbe in polvere” ( Gb 34,14-15). La stessa ruah realizza la vita propria di tutti i viventi (Sal 103(104),30). Ma, come ci ha fatto notare G.F. Ravasi, solo per la creazione dell’uomo in Genesi 2,7, la ruah è sostituita dalla neshamah/nishmat; e non si tratta solo di un sinonimo; infatti la neshamat , attribuita solo a Dio e all’uomo, realizza tutte quelle funzioni spirituali propriamante umane ( autocoscienza; intelligenza; vita morale); diviene indice della sua capacita costitutiva di Dio, essere cioè creato secondo l’immagine di Dio.

Per essere autentico, vivo in pienezza, l’uomo nella storia salvifica deve lasciarsi guidare, vivificare dallo Spirito di Dio (Ruah ; חור pneàma pneuma), divenire spirituale. “Ma l’uomo lasciato alle sue forze [naturale yucikÒj] non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito. L’uomo mosso dallo Spirito [spirituale pneumatikÒj], invece, giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno.” ( 1 Cor 2, 14-!5).

114 cfr Di NOLA A., Anima, in Enciclopedia delle Religioni, Vallecchi Firenze 1970, 380115 Cfr MALDAME’ J.M., Le Christ pour l’univers, (=Jésus et Jésus-Christ 73), Desclée, Paris 1998, 123116 RAVASI G.F., Breve storia dell’anima, Mondadori Milano 2003, 83

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Intuiamo il valore teo-antropologico di ruah, spirito: è anzitutto una realtà divina, concessa all’uomo, qualificante l’uomo.

RUAH: in senso primario indica aria mossa, vento. Per es.:Es 14,21: “Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte, risospinse il

mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto”.

Gn 8,1: [Dopo il diluvio] ”Dio fece passare un vento sulla terra, e le acque si abbassarono”.

In senso traslato: indica la forza vitale, irresistibile, creatrice di Dio. “Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera” ( Sal 32(33),6)

Il riferimento a Dio, nell’uso veterotestamentario, costituisce la maggioranza relativa (35%): si tratta essenzialmente di un concetto teo-antropologico, che esprime l’azione di Dio nell’uomo, la qualifica spirituale che ne risulta. La maggioranza dei testi che trattano della Ruah di Dio e dell’uomo, mostrano Dio e l’uomo in relazione dinamica: che l’uomo si muova nell’ambito dell’Alleanza, ne sia qualificato, sia indicato come ruah, ciò non proviene da lui stesso ma dalla ruah di Dio.

Ruah appartiene a Dio, esprime la sua trascendenza ; appartiene anche all’uomo ma solo in quanto la riceve, per essere così reso partecipe dell’Alleanza, della stessa vita divina: risulta trascendente e immanente all’uomo.

3.1.a Attività dello Spirito di Dio nella Creazione e Alleanza.

La Ruah di Dio è sempre menzionata all’inizio dello opere più significative della storia della salvezza:117

(a)L’universo: Gn 1,2 dove lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque(b)Mosè ed i settanta anziani: ”Il Signore [….] tolse parte della spirito che era su di lui e lo

pose sopra i settanta uomini anziani”( Nm 11,25)(c)l’inizio del Regno di Saul: “Lo spirito del Signore irromperà anche su di te [….] e sarai

trasformato in un un altro uomo”. (1 Sam 10,6)(d)il Messia venturo: “Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di

intelligenza……” (Is 11,2)(e)La Nuova Alleanza: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo” (Ez

36,26).Osserviamo da questi testi come la Ruah di Dio non si presenti come una forza cieca: infatti

la Parola creatrice realizza l’ordine cosmico, i capi del popolo il senso della storia della salvezza, l’ordine morale:” Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo” (Sl 50 (51), 12).

Nei libri sapienziali la ruah di Dio regge e governa tutto l’ordine cosmico, il suo dinamismo (cfr Sap 1,7); alla Sapienza è interiore uno Spirito Santo che tutto impregna, per suscitare gli amici di Dio, i profeti; l’uomo morale saggio gestore della stessa creazione (cfr Sap 7,23.27; 8,7; 9,10)

Anche il Nuovo Testamento mostra l’intervento dello Spirito nei momenti decisivi, costitutivi della nuova ed eterna Alleanza:

(a)Il Messia, Cristo, è concepito per opera dello Spirito Santo (cfr Lc 1,35; Mt1,18-21).(b)Lo Spirito si manifesta all’inizio della vita pubblica di Gesù, al suo Battesimo (cfr Mt 3,13-

17); lo guida nelle sue opere, tentazioni da vincere (cfr Mt 4,1); Gesù è posseduto dallo Spirito, opera nella forza dello Spirito (cfr Mt 12,28; Mc 3,30). Lo Spirito è dunque il principio vitale interno dell’esistenza e dell’opera del Salvatore: è lo Spirito di Cristo, che viene a noi donato: “Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.” (Rm 8,9); “Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà,

117 Cfr HAULOTTE E., L’Esprit de YAHWE dans l’Ancien Testament, in l’Homme devant Dieu, T. I, cit. 26-36.

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Padre!”(Gal 4,6; cfr At 16,7); Eb 9,14: ”… il sangue di Cristo – il quale mosso dallo Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio- purificherà la nostra coscienza dalla opere morte, perchè serviamo il Dio vivente “.

(c)Lo Spirito Santo, frutto della Pasqua (cfr Gv 7,37; 14,16s; 15,26s; 16,13s)) è il dono inviato dal Risorto agli Apostoli, affinché la Chiesa viva e si estenda. I cristiani “ quelli che sono stati una volta illuminati, che hanno gustato il dono celeste, sono diventati partecipi dello Spirito Santo.” (Eb 6,4). Dice inoltre Gal 6,1: “Voi che avete lo Spirito”. 118

La presenza dello Spirito è un fatto decisivo dell’esistenza cristiana, presenza sempre attiva, operante; S. Paolo contemplando la varietà dei fenomeni stupendi che si manifestano nella comunità dei credenti, ne segnala il principio ultimo e comune: “Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole”(1 Cor 12,11).

L’azione dello Spirito si manifesta soprattutto nel camminare secondo la Spirito, mostrare il suo molteplice frutto:” amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé “(Gal 5,22-25), in uno comportamento simile a quello di Gesù.

Anche nel Nuovo Testamento è la forza divina che presiede a tutti gli inizi, concezione, missione di Cristo, vita del Risorto, della Chiesa, dei Cristiani. Ma ha una sua “attività caratteristica”: è Persona divina.

Essendo “l’amore”, mutuo, personale, del Padre e del Figlio, porta in Se, come i figli rispetto ai genitori, i lineamenti dell’amore fontale del Padre, e dell’amore obbediente del Figlio: introduce all’infinità dell’amore del Padre, per suscitare la risposta filiale, fraterna.

3.1.b Ruah come concetto Teo-antropologico.

La Ruah di Dio è propria di Dio; è trascendente, creatrice, presiede a tutto il dinamismo ordinato dell’universo, della vita (cfr Sal 103(104),29-30), nella prospettiva dell’uomo, della sua vita soprannaturale, filiale. E’ bene avanzare subito una considerazione di fondo: lo Spirito divino creatore anima tutto, impregna e orienta tutto (cfr Sap 7,22-23), con una attività diacronica (coordina e dinamizza tutto attraverso tutti i tempi) e sincronica ( nella contemporaneità del tempo); tutto è orientato all’uomo, creato secondo l’immagine di Dio, Cristo. Ma nell’uomo l’attività dello Spirito Santo è del tutto Personale e personalizzante, rende partecipi della stessa vita divina, Trinitaria, filiale, conformata a Cristo.

Diversa appare quindi l’azione creatrice, tutto governante, della Ruah di Dio, che sostiene e orienta tutto il dinamismo del cosmo e della vita, dall’efficacia dello Spirito Santo personale nell’uomo, come già abbiamo sopra accennato, parlando dell’azione creatrice dello Spirito nel Nuovo Testamento.

Nelle tradizione così detta Jawista dell’Antico Testamento, viene affermato che il soffio vitale di JHWH-Elohim (neshamat) comunicato all’uomo plasmato con la polvere del suolo, lo rende vivo, anima vivente, con la sua attività spirituale caratteristica (cfr Gn 2,7); nelle tradizioni più recenti (P, grandi profeti), consolidata l’esplicita professione in JHWH come creatore trascendente, Signore universale, la Ruah trascendente di Dio viene considerata anche immanente, propria dell’uomo.

Si manifesta il carattere Teo-antropologico di Ruah: è divinità trascendente, è offerta e partecipata all’uomo, lo rende spirituale e vivente, tutto davanti al Dio dell’Alleanza, in comunione di vita con Lui; realizza un cuore nuovo, di carne, solidale, che percepisce e realizza i precetti di Dio (Ez 36,27-28), che porta il frutto molteplice dello stesso Spirito (Gal 5,22).

118 Cfr CONGAR Y., La parola ed il soffio, Borla Roma 1985, 151-161; Id., Credo nello Spirito Santo, (= BTC 98) Queriniana Brescia 1998, 17-78; GIOVANNI PAOLO II, Dominum et Vivificantem, nn 12-26 del 18 /5 / 1986, in AAS 78 (1986), 809-900; BENEDETTO XVI., Sacramentum caritatis, n. 12.

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Ma non si da alcuna confusione tra la Ruah trascendente divina, e lo Spirito che qualifica il basar – nefesh umano. Così in Sap 7,22, si distingue tra lo spirito dell’uomo e lo Spirito della Sapienza, che gli viene donato: anche Paolo dirà, in Rm 8,16: “Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio”.

Anche tra la ruah partecipata all’uomo, il suo spirito, e la nefesh che la riceve, rimane una chiara distinzione; quando si parla della personalità dell’uomo, il termine appropriato resta nefesh (psykè), che esprime il soggetto, l’individuo; ruah (pneuma) indica piuttosto le qualità dell’animo (energia, coraggio, fermezza, la vita filiale nel Nuovo Testamento), non è mai sufficiente da sola a designare un individuo.

Sempre nel desiderio di precisare il carattere teo-antropologico della Ruah, notiamo come i testi del Nuovo Testamento rispecchino una particolare tensione: nella sinergia del dono dello Spirito Santo e della corrispondenza dell’uomo, viene affermata con chiarezza la distinzione tra lo Spirito Santo e il cristiano. Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, nel modo in cui vuole e nella misura in cui vuole (cfr 1Cor 12,11); anche Gv 3,8: ”Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene nè dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito”.

L’azione dello Spirito non è mai violenta, non si impone in modo meccanico dall’esterno, ma trasforma il soggetto umano, affinché egli stesso voglia e possa agire ad un livello che supera le proprie capacità. Lo Spirito abita nel cristiano, produce in Lui una nuova vita, che pur essendo ricevuta dallo Spirito Santo persona, diventa del Cristiano, sua propria vita. Una vita che può essere spenta, se il cristiano si chiude all’opera dello Spirito: ”Non spegnete lo Spirito” (1 Tes 5,19).

Inoltre: quando il Nuovo Testamento parla dell’azione dello Spirito in Cristo, ne parla sempre in modo positivo. Gesù in tutto si lascia condurre dalla Spirito; invece per noi la vita nello Spirito di Gesù è nel segno della conversione, il superamento di ciò che eravamo un tempo, spiritualmente morti, perché chiusi nella nostra debolezza egoistica. Anche ora la nostra sequela di Cristo è sempre un no ai residui di “vita carnale”, di diffidenza allo Spirito Santo, che deve sempre essere temuta, combattuta e vinta.

La Ruah, pur venendo da Dio, restando sempre il suo Spirito, diventa immanente all’uomo, lo rende spirituale, capace di comunione con Dio, di vita filiale, con una preghiera nuova (Abbà Padre! Gal 4,6; Rm 8,16), una capacità nuova di conoscere, valutare, orientare la vita. In categorie bibliche, avere un cuore nuovo, uno spirito nuovo (Ez 36,26-28; Sal 50(51),12-14; Ez 18,31; Ez 37,1-14; Ger 31,33-s). Per questo accostamento della Ruah che qualifica il basar-nefesh, al suo cuore, siamo stimolati ad esaminare l’uso di cuore nell’antropologia biblica.

3.1.c Leb, cardia, cuore nell’uso biblico vetero testamentario 119

La sua importanza come categoria antropologica risulta già dalla sua frequenza; nell’Antico Testamento contiamo 814 usi, più di Nefesh 755.

Cuore, ,בל kard…a, l’uso primario è fisico: si vede nel cuore l’organo centrale, che presiede alla capacità motrice delle varie membra. Il battito ordinario del cuore non è percepito nella sua importanza, si coglie invece l’alterazione del battito; una catastrofe imminente provoca una affezione cardiaca :

“Mi scoppia il cuore in petto, mi batte forte; non riesco più a tacere, perché ho udito il suono del corno, il grido di guerra”(Ger 4,19).

Si pensa anche al cuore come un organo nascosto; si è quindi predisposti all’uso traslato, che attribuirà al cuore tutta la vita interiore, dei sentimenti, soprattutto l’intelligenza e l’orientamento

119 Cfr WOLF H.W., Antropologia dell’A.T., cit., 58-78; MAJORANO S., La coscienza, ed. S. Paolo, Cinisello Balsamo 1994, 68-71; COENEN L. - BEYREUTHER E. – BIETENHARD H., ed., Dizionario dei concetti biblici del N, Testamento, EDB 1976, voce cuore, 424-434.

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dell’esistenza; viene così a corrispondere , ma la prospettiva è del tutto diversa, alla nous greca, a molte funzioni del nostro cervello.

Il cuore sta in contrapposizione con ciò che appare esternamente, come si nota in 1 Sam 16,7:

“Non conta quello che vede l’uomo: l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”; questo in occasione della scelta di Davide, per la sua unzione. Dio solo conosce i segreti del cuore: Sal 43(44),22. Siamo così entrati spontaneamente nel significato metaforico, traslato di cuore, che ora cerchiamo progressivamente di enucleare.

Attribuzioni: (a)sede dei sentimenti, “Hai esaudito il desiderio del suo cuore”(Sal 20(21),3); sede della

gioia e del dolore: cuore afflitto di Anna, senza figli (1 Sam 1,8); cuore di Anna che si rallegra in JHWH dopo la nascita di Samuele(1 Sam 2,1).

(b)struttura del carattere, umore, anche temperamento. “Un cuore tranquillo è la vita del corpo, l’invidia è la carie delle ossa”(Prv 14,30).

(c)analogamente a nefesh, esprime il desiderio, l’aspirazione, anche la più segreta: “Hai esaudito il desiderio del suo cuore” (Sal 20(21),3).

(d) può essere usato, come nefesh e basar, per indicare la persona umana, nell’uso di pronome personale.

Qual’è l’attribuzione specifica del cuore, che si può intuire “dietro” le osservazioni sulla pace e sull’affanno, sul coraggio e sull’angoscia, sul desiderio, l’alterigia?

Nella maggioranza dei casi vengono attribuite al cuore funzioni intellettuali e razionali: cuore intelligente, <assennato>(Prv 15,33); cuore saggio: “ Insegnaci a contare i nostri giorni, e acquisteremo un cuore saggio” (Sal. 89(90),12; cfr Gb 8,10, specialmente la preghiera di Salomone, per avere un cuore docile, saggio e intelligente cfr 1 Re 3,9-12; 5,9-14).

Rubare il cuore significa fare perdere la conoscenza a qualcuno, ingannarlo: come Giacobbe a Labano (Gn 31,20); mancare di cuore significa mancare di saggezza.

La conoscenza del bene può trasformarsi in atteggiamento permanente, e così significare coscienza anche morale: “Questi precetti che oggi ti do, ti siano fissi nel cuore”( Dt 6,6). Quando Geremia 17,1 dice che i peccati di Giuda sono scritti con uno stilo di ferro, con una punta di diamante incisi sulla tavola del cuore, indica il cuore inteso come la voce della coscienza.

Nel cuore quindi si attuano tutte quelle attività che noi attribuiamo alla testa e la cervello: capacità conoscitive, la ragione, l’intuizione, la coscienza, il ricordo, il sapere, il giudizio.

Risulta facile il passaggio dalla funzione giudicante e raziocinante a quella di orientamento della vita, scelta, decisione. L’Israelita, dal punto di vista linguistico, riesce con difficoltà a distinguere fra riconoscere e scegliere, udire ed ubbidire; per noi molto abituati a distinguere teoria e prassi, questo modo d’unire comprensione e volizione può costituire una certa difficoltà.

Cuore risulta essere anzitutto l’organo della comprensione e del volere, per es. in Prv 6,16-18: “Sei cose odia il Signore [….] un cuore che trama progetti iniqui”. Cuore luogo della decisione, sulla base della comprensione; dove si compie la decisione e ci si imbatte anche nell’indurimento: il cuore che si irrigidisce, diventa incapace di recepire, immobile, come per es.il cuore indurito del Faraone in Es 4,21.

Poiché è nel cuore che si trovano i criteri per i progetti e l’agire, ne segue anche il significato di coscienza: così in 1 Sam 24,6 ove Davide si sentì battere forte il cuore dopo avere tagliato un lembo del mantello di Saul.

È con il cuore che si ama Dio: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore (leb), con tutta la anima (nefesh), con tutte le forze”( Dt 6,5); mentre nefesh sottolinea il desiderio autentico,

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l’aspirazione profonda nell’amare Dio, leb indica la consapevole dedizione dell’uomo. Avere il cuore con Jahwè, indica dedizione, obbedienza piena ed incondizionata: i discendenti di Davide, infatti, vengono valutati se abbiano il loro cuore completamente con JHWH: cfr 1Re 8,61; 11,4; 15,3.14. Togliere il prepuzio del cuore per indicare la conversione di vita: Dt 10,16 :” Circoncidete dunque il vostro cuore ostinato e non indurite più la vostra cevice.”

Concludendo: il cuore copre tutto l’ambito delle emozioni, delle funzioni intellettive, indicando l’interiorità dell’uomo che vive in maniera consapevole e responsabile davanti a JHWH. Il cuore è chiamato alla ragione, all’accoglienza soprattutto della parola di Dio.

Nell’uso biblico cuore indica la personalità intera dell’uomo, come sta totalmente davanti a Dio dell’Alleanza-creazione, in modo consapevole e responsabile; Dio conosce questo intimo proprio dell’uomo, pensiero e condotta morale: “ Signore tu mi scruti e mi conosci […..] intendi da lontano i miei pensieri [….] ti sono note tutte le mie vie”( Sal 138(139),1-3); può farlo in quanto “ Lui che di ognuno ha plasmato il loro cuore, e ne comprende tutte le opere”( Sal 32(33),15).

Anche questo sacrario interno della vita dell’uomo risulta essere opera di Dio, ma per suscitare una risposta responsabile guidata dal suo santo timore, dalla speranza in Lui: “Ecco l’occhio del Signore è su chi lo teme , su chi spera nel suo amore ”; se agiamo così “ Ė in lui che gioisce il nostro cuore, e confidiamo nel suo santo nome” (Sal 32(33),18.21).

Si tratta, l’abbiamo visto, della categoria antropologica più usata, esprime più di tutte il <proprio> dell’uomo: creato secondo l’immagine di Dio, corpo animato dalla neschamat ahjiim, soffio vitale di Dio, vivificato dalla sua ruah, è dotato di leb, cuore, dotato di interiorità consapevole, ove Dio si fa conoscere per una risposta libera in sintonia con i <pensieri> i progetti di vita del <cuore> stesso di Dio( Sal 32(33),11). Il cuore nell’Antico testamento è soprattutto la sede dei processi intellettuali e volitivi dell’uomo, tutti suscitati e orientati dal Dio della creazione ed Alleanza.

L’antropologia biblica non conosce espressioni per indicare le facoltà conoscitive e volitive dell’uomo, secondo le analisi del pensiero greco; semplicemente pone in risalto i processi conoscitivi, sempre orientati alla prassi di risposta a Dio.. Non indulge all’analisi della facoltà spirituali in sè, le vede funzionare.

Tanto meno conosce l’uso greco di porre talmente in primo piano l’intelletto umano, da quasi isolarlo dalla complessa struttura umana di anima e corpo; e quando l’Ebreo introduce il discorso sui processi spirituali umani, non ne ricerca una teoria astratta di facoltà e di attività, ma tutto orienta al retto agire come responsabile risposta alle iniziative del Dio della creazione ed Alleanza.

L’affermazione più importante circa la teoria della conoscenza biblica si può riassumere nella convinzione che ogni vera conoscenza e retto agire viene da Dio120; è compito della Sapienza, personalizzazione dell’agire salvifico di Dio, comunicarla all’uomo.

3.1.d Cuore nell’uso neotestamentario

Nel Nuovo testamento tutto questo risulta ancora più marcato, in quanto si narra il più intenso e definitivo donarsi di Dio all’uomo per il suo Verbo incarnato, Immagine filiale, nello Spirito Santo; è normale che l’idea di cuore, vita interiore, nucleo intimo e responsabile della Persona umana, ove Dio non solo si fa conoscere, ma viene ad abitare ,” Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori” ( Ef 3,17), in cui Dio riversa il suo amore per mezzo dello Spirito Santo (cfr Rm 5,5), risulti ancor più chiaramente espressa.

120 Possiamo trovare un’affermazione simile nella FR, al n 16, ove pone la domanda quale sia l’apporto originale del mondo biblico al grande mare della teoria della conoscenza: “ La peculiarità che distingue il testo biblico consiste nella convinzione che esista una profonda ed inscindibile unità tra la conoscenza della ragione e quella della fede.”

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Inoltre per indicare più specificatamente le funzioni del cuore, senza incrinare in nulla l’unità dello stare responsabilmente davanti, con Dio, vengono introdotte e adattate categorie greche, come coscienza, mente.

Il cuore esprime l’Io senziente, pensante, volitivo dell’uomo, la sua stessa persona nella sua interiorità . Pietro nella sua prima lettera 3,4 parla di <uomo nascosto del cuore>, luogo in cui Dio si rivolge, agisce in modo salvifico, centro della responsabile risposta umana, della fede obbediente, anche del dubbio e dell’indurimento. Il peccato ha segnato non soltanto la corporalità dell’uomo, il suo sentire, ma soprattutto la sua profonda interiorità, da cui tutto proviene, cioè il suo cuore.

A partire del cuore tutto l’uomo si trova irretito nella schiavitù del peccato: si forma per esprimere questa situazione peccaminosa un neologismo, ignoto al greco profano (già nei LXX, Dt 10,16; Sir 16,10; Ger 4,4), usato unicamente nel N. T. (Mc 10,5 e //; cfr Rm 2,5) e nella letteratura cristiana antica : σκληροκαρδία: sclerocardia, indurimento del cuore.

“Durezza di cuore significa chiusura verso Dio dell’uomo concentrato in se stesso, chiusura alla sua offerta e al suo comandamento, come pure ai propri simili. Dalla natura l’uomo riceve un cuore duro come la pietra, alieno da Dio e dal prossimo, finché l’intervento divino non gli conferisce un cuore nuovo ed obbediente ( Cfr Ez 36,26s)121

Da questo cuore indurito, resistente nel capire e vittima delle tenebre, <escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adulteri[….] > ( Mc 7,21); le alterazioni vergognose dei comportamenti sociali :

“Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi, poiché hanno scambiato la verità di Dio con la menzogna…”(Rm 1,24s).

Gesù avvisa che il cuore dei Farisei è <lontano da me>(Mc 7,6, citando Is 29,13); prima di ascendere al Cielo, rimprovera gli stessi discepoli :

“ per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto”(Mc 16,14). E neppure i Pagani possono ritenersi scusati al cospetto di Dio, perché <quanto la legge esige, è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza> (Rm 2,15).

Soltanto Dio può rivelare ciò che si nasconde nel cuore dell’uomo <manifesterà le intenzioni dei cuori>(1 Cor 4, 5, cfr. Ger 17,9s).Questa capacità di Dio, onniscienza di scrutare (cfr Rm 8,27) provare ed esaminare le profondità del cuore umano (1 Ts 2,4), idea del tutto corrente già nell’A.T, viene espressa nel N.T. con un vocabolo estraneo al greco profano e anche ai LXX : Dio <cardiognostes>, colui che conosce e scruta i cuori (At 1,24 e 15,8, e nella letteratura cristiana antica).

Dal cuore dell’uomo proviene tutta la corruzione dell’agire umano, e risulta normale che Dio realizzi proprio da qui la sua opera risanatrice. I Giudei attendono miracoli strepitosi, i Greci una sapienza di potere e logiche umane, il Cristo crocifisso va fino alla radice delle difficoltà umane, offrendo <conversione> (metanoia) al cuore . Rm 2,5 definisce il cuore dei Giudei <impenitente> άμετανόητον; la conversione interessa il cuore, il luogo ove l’uomo decide riguardo a Dio, per restituire alla verità, davanti a Lui, tutto il suo esistere.

All’annuncio pentecostale di Pietro, Ebrei e proseliti <si sentirono trafiggere il cuore>(At 2,37). La luce del Vangelo non illumina solo l’intelletto, i sensi, ma penetra nell’Io più intimo del cuore, ove Dio fa risplendere la sua luce:

“ E Dio che disse: rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per fare risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo”(2 Cor 4,6).

121 COENEN L.- BEYREUTHER E–BIETENHARD H., Dizionario dei concetti biblici del Nuovo testamento, EDB 1976, voce Cuore, 427.

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Dio Padre si fa conoscere e chiamare <Abbà Padre> inviando<nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio >(Gal 4,6 ;cfr Rm 8,14-16); tramite <lo Spirito Santo che ci è stato dato> riversa il suo amore nei nostri cuori (cfr Rm 5,5); ancor più, con la fede Cristo abita nei nostri cuori (Ef 3,17).

La conversione è passaggio dall’uomo vecchio, dal cuore indurito del primo Adamo, alla somiglianza con Cristo, il vero uomo, spirituale: una somiglianza, partecipazione che raggiunge il cuore; il <cuore nuovo> preannunciato dal profeta Ezechiele 36,25-27.

Non ci stupiamo del testo di Mt 11,28-30, ove Gesù indica se stesso come modello e causa di questa novità perché <mite ed umile di cuore >:

“ Venite a me, voi tutti che siete affaticati ed oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite ed umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero.”

Evidente lo stile sapienziale dei versetti, con l’invito a prendere sulle proprie spalle il giogo della Sapienza, per trovarvi riposo e gioia (cfr Sir 6,23-28). Ma Gesù parla non del giogo della Sapienza, ma del suo giogo, chiede di imparare da Lui, perché mite ed umile di cuore, e sarà ancora Lui ad offrire ristoro. Ora è proprio in Gesù, per la sua conoscenza unica, fontale del Padre (Mt 11,27), nella sua Persona, nella sua SS Umanità, che si trova la <pienezza della divinità>(Col 2,9), <sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza> (Col 2,3), perché <pieno di grazia e di verità>(Gv 1,14). Gesù è la sorgente attiva di questi doni divini, offrendo a tutti coloro che lo accolgono con fede, luce (cfr Gv 9), pane del cielo per la vita eterna (cfr Gv 6), acqua viva (cfr Gv 7,38), verità (cfr Gv 8,31s).

Gesù dona tutti questi beni, che solo possono dare ristoro e conforto, attraverso la sua SS Umanità, qualificata dalla mitezza ed umiltà di cuore; non una umiltà e mitezza generica, ma tale da scendere sin nel centro della sua Persona, il suo cuore. Gesù si presenta come l’unico che può fare conoscere il Padre, e si rallegra che questo avvenga nei <piccoli>, gli umili davanti a Dio, i veri sapienti; veri sapienti perché umili, disponibili ad accogliere da Lui la conoscenza dell’amore paterno.

Ma la via per accedere a questi tesori della stessa vita intima di Dio è la sua SS Umanità, totalmente umile davanti al Padre, mite con i fratelli: umiltà e mitezza incomparabili, a misura divina, espressi in modo umano nel suo stesso cuore, la sua vita più interiore.

Porta così a pienezza divino-umana la povertà e l’umiltà del resto di Israele 122, speranza per il futuro di tutta l’umanità; per la sua SS Umanità umile sin alla radici del suo cuore, egli sa e può rivelare tutto ciò che serve alla nostra salvezza e ristoro.

Ed avendo, così fondato nell’amore e conoscenza del Padre, una mitezza, capacità di sopportare senza esserne schiacciato, la fragilità dei fratelli, non è incline ad imporre gioghi troppo pesanti.

Questo passo di Matteo scende, nel segno del cuore, raggiunge con tanta profondità la ricchezza salvifica interiore, divina–umana del Signore Gesù, da presentare risonanze gioannee, per cui è detto <comma giovanneo>.

Giovanni conosce espressioni simili usando il simbolo del cuore di Cristo? E in modo, come fa Matteo, quasi sintetico, vertice riassuntivo di tutto l’operare salvifico di Cristo, il suo programma di assimilarci in tutto alla sua umiltà e mitezza di cuore ? Giovanni passa dal simbolo alla realtà stessa del cuore di Cristo.

Siamo per questo attirati dalla scena conclusiva la vita umana di Cristo, la crocifissione con la trafittura del costato, che raggiunge ed apre il cuore umano di Cristo. Il flusso di sangue ad acqua che ne deriva non è in se miracoloso, ma Giovanni lo afferma come fatto di straordinaria

122 Cfr Dizionario di Teologia Biblica, a cura di X. LEON-DUFOUR, MARIETTI TORINO 1968, voce Resto, 943-945

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importanza, culmine di tutto il suo Vangelo; piena rivelazione dell’efficacia salvifica della Pasqua del Signore nei Sacramenti, Eucaristia e Battesimo, della Chiesa.

“Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al padre, dopo avere amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino a alla fine”(Gv 13,1), sino a potere esclamare, spirando, <Ė compiuto>(Gv 19,30). La rivelazione dell’amore ha raggiunto il suo vertice, ed ora attraverso la celebrazione sacramentale della Chiesa, <sangue ed acqua> continuano a vivificare la vita della Chiesa.

Ricorda Benedetto XVI: ”Nella storia di amore che la Bibbia ci racconta, Egli ci viene incontro, cerca di conquistarci fino all’ultima Cena, fino al cuore trafitto sulla Croce, fino alle apparizioni del Risorto […] Anche nella successiva storia della Chiesa il Signore non è rimasto assente: sempre di nuovo ci viene incontro – attraverso uomini nei quali Egli traspare; attraverso la sua parola, nei Sacramenti, specialmente nell’Eucaristia”123

Gesù ha conservato anche nel suo corpo glorificato e risorto, le cicatrici, la piaga del costato, e Tommaso è invitato a ispezionarla con la sua mano, come prova convincente di un amore che si è donato sino alla fine.

Stupisce, tornando ora alla scena della trafittura del costato e cuore di Cristo in Croce, unito al fluire di <sangue ed acqua>, la solennità unica con cui Giovanni ci invita a rimanere nella contemplazione di questa scena vertice dell’amore di Cristo sino alla fine, del suo permanere presente ed attivo nella celebrazioni sacramentali della Chiesa.

Giovanni insiste che la sua testimonianza è veritiera, testimonianza di spettatore oculare, esposta con solennità inconsueta, per portare anche noi ad una fede salvifica. Non solo testimonianza oculare, ma professione che qui convergono e giungono a piena realizzazione due eventi, profezie. Quella riguardante l’agnello pasquale, le cui ossa non vengono spezzate ( cfr. Es 12,46): è Gesù il vero Agnello pasquale, per l’esodo, sacrificio definitivo, secondo le indicazioni già date da Giovanni il Battista ( Gv 1,36), secondo le narrazioni della liturgia celeste nell’Apocalisse (cfr. 5,6-14, e ben altre 28 volte). Inoltre la profezia di Zaccaria 12,10: <volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto>.124

Dal suo costato-cuore trafitto, dal Sangue e dall’Acqua che ne scaturiscono nasce la Chiesa sua diletta sposa ( Ef 5,25-27), con un vincolo di amore a proporzione della Pienezza che risiede nel Signore Gesù. Risulta corretta la necessità-invito: ”Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre , la moglie, i figli, i fratelli e le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14,26).

Se il primo Adamo, per il valore riconosciuto nella donna-moglie nella prospettiva della famiglia, deve essere disposto ad abbandonare Padre e Madre (Gn 2,23-24), nei confronti del Signore Gesù la disponibilità del discepolo deve essere un lasciare tutto, per tutto ritrovare in Lui, nella sua vera misura e valore (cfr.1 Cor 3,21-23; 8,6; Col 1,17; 3,11).

La ricchezza, preziosità insostituibile della categoria <cuore> nell’Antropologia biblica è tale che alcuni suoi contenuti, senza dispersione, saranno meglio compresi e valorizzati utilizzando categorie della cultura ellenistica. Lo stare correttamente davanti al Dio dell’Alleanza, che è pure Dio della creazione, richiede questa specificazione di capacità costitutive dell’uomo creato secondo l’Immagine di Dio, per una risposta umana piena, responsabile. Per gestire in modo corretto la propria comune umanità insieme agli altri uomini, tutti creati e redenti in Cristo, ma ancora non appartenenti al suo corpo ecclesiale..

123 BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n 17; Contenuti, fondamenti biblici, storia della spiritualità della devozione al Cuore di Cristo, sua preziosità per la vita attuale della chiesa, sono stati ampiamente esposti nella lettera enciclica Haurietis aquas di PIO XII, Civ Catt 1956, II, 449-461; 561-572; III, 3-16.

124 Cfr de la POTTERIE, La sete di Gesù morente e l’interpretazione giovannea della sua morte, in La Sapienza della Croce oggi, Atti del Congresso internazionale, Roma 13-18 ott. 1975, ed. ELLE DI CI Torino-Leumann, vol I La Sapienza della Croce nella rivelazione e nell’ecumenismo, 1976,

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3.1.e Alcune funzioni del cuore biblico espresse con categorie ellenistiche: coscienza, mente…

La bibbia ebraica non conosce un termine specifico per indicare la realtà interiore della coscienza, come invece si nota nella lingua greca, col termine suneidήsij (syneidesis), frequente negli autori stoici del I sec a.C. Questo perché l’atteggiamento di fronte a se stessi (coscienza di sè, coscienza morale) passa in secondo piano rispetto allo stare davanti a Dio: è la voce del giudice divino, JHWH, che esige dall’uomo rendiconto del suo comportamento. Questa voce fa battere il cuore (la categoria leb assume le funzioni della coscienza) di Davide peccatore, dopo l’indizione del censimento (2 Sam 24,10), lo induce alla preghiera: “crea in me un cuore puro”( Sal 50(51),12). Il termine syneidesis compare nella Bibbia dei LXX solo tre volte (Qo 10,20; Sap 17,10; Sir 42,18).

Nel Nuovo Testamento, Coscienza, suneidήsij, si trova trenta volte, e sempre in contesto paolino125: è Paolo infatti che non solo ha fatto da mediatore tra la giovane comunità cristiana ed il mondo ellenistico cui annunciare il Vangelo, ma inoltre ha introdotto categorie ellenistiche per una migliore intelligenza, esplicitazione e comunicazione dello stesso Vangelo. Un testo precipuo paolino è Rm 2,14-16:

“Quando i pagani, che non hanno la Legge, per natura agiscono secondo la Legge, essi, pur non avendo Legge, sono legge a se stessi. Essi dimostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono. Così avverrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini, secondo il mio Vangelo, per mezzo di Gesù Cristo,”.

Notiamo anzitutto che Paolo unisce il termine kard…a, dai contenuti di conoscenza, volizione, coscienza che già conosciamo nella bibbia ebraica, al termine greco suneid»sij, ma nel contesto del giudizio di Dio secondo il Vangelo di Gesù Cristo, annunciato da Paolo.126

Questo accostamento cuore, coscienza, Vangelo, Mistero della fede, Gesù Cristo, risulta comune nei testi neo-testamentari; constatazione che risulta molto significativa per una teologia della coscienza cristiana.

Tornando a Rm 2,14-16 la coscienza (nel contesto del Vangelo, nella dimensione del cuore biblico) risulta essere l’organo del giudizio responsabile, morale, che costituisce la legge dei pagani a somiglianza della legge rivelata per l’ebreo; è in grado di valutare come le azioni sono state compiute davanti a Dio, come sarà per tutti, ebrei e pagani, nel giudizio effettuato per mezzo di Gesù Cristo.127

Così per i Cristiani risulta evidente che il giudizio di coscienza e quello frutto della Fede vengono a congiungersi. Nella I Tm 1,5, viene detto: “Lo scopo del comando è però la carità che nasce da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera”; sempre la I Tm 3,9 si

125 Tra queste trenta volte, cinque volte in Eb: 9,9.14; 10,2.22; 13,18, tre nella 1 Pt: 2,19; 3,16.21, che sono considerati alquanto apparentati all’uso paolino cfr CIPRIANI S., La coscienza, in AA. VV., Antropologia biblica e morale, ed Dehoniane Napoli 1972, 97s.

126 Il decalogo, “seconda tavola”, compare anche nel N.Test. come peccati che escludono dal Regno: cfr. Mt 19,18s; 1 Cor 6, 9-10; Gal 5,21; Trento DH 1544; VS n.49; RP n 17. Corrisponde alla legge naturale, nelle sue norme prime e essenziali che regolano la vita morale, affinchè l’uomo raggiunga il proprio fine. Questa legge è detta naturale, “non in rapporto alla natura degli esseri irrazionali, ma perché la ragiona che la promulga è propria della natura umana”: CCC n 1955, con le citazioni di Agostino, De Trinitate 14, 15, 21, e di Tommaso d’Aquino, Collactiones in decem preceptis, 1.

127 MACERI F., in TREMBLAY R. e ZAMBONI S. ed., Figli nel Figlio, una teologia morale fondamentale, EDB 2008, 231:”Questo riferimento a Cristo [ in Rm 2,16] oltrepassa il contesto in cui è posto e sembra funzionare come uno spiraglio per aprire su qualcosa di nuovo e di inaspettato: il giudizio di Dio avverrà per la mediazione di Cristo […] Ma come ha potuto farlo senza una certa conoscenza [come avviene nel pagano] di Cristo? [….] Essa [coscienza] è una partecipazione nella creatura dell’unico Centro dal quale l’opera divina si espande […] (cf Col 1,15-29). […] Cristo alfa e omega delle quattro solidarietà esercita un’attrazione a sé di tutti gli uomini [….].”

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richiede, ai Diaconi “conservino il mistero della fede in una coscienza pura” 128. Nella I Pt 3,21s, la domanda a Dio <di una buona coscienza>, fa parte dell’essenza del Battesimo, per la fede nella risurrezione di Gesù Cristo.

Mentre la coscienza del pagano è inquieta di fronte al ricordo del passato, senza speranza di futuro nel gestire il presente, il Cristiano è certo che “il Sangue di Cristo - il quale mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio - purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, perché serviamo il Dio vivente”( Eb 9,14); “Accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da cattiva coscienza ed il corpo lavato con acqua pura”( Eb 10,22).

Solo a partire dall’efficacia unica del Sacrificio del sommo Sacerdote Gesù Cristo, per mezzo di esso, nella vita ecclesiale c’è speranza di ottenere un cuore sincero, purificato da cattiva coscienza.129

L’ideale del cristiano è quindi una coscienza retta, capacità <naturale> costitutiva dell’uomo creato secondo l’Immagine di Dio, che la vita rinnovata secondo il Vangelo, nel dono dello Spirito Santo, riporta al suo corretto esercizio: è questa una esigenza della vita cristiana.. Certo si danno casi di coscienza debole, come riconosce Paolo in Cor 8,5-13, e 10,25-33, nella questione del mangiare carne sacrificata agli idoli; la libertà della coscienza retta, sempre desiderabile, deve stare attenta a non costituire scandalo per la coscienza non illuminata. Il rispetto dovuto alla coscienza debole non costituisce una <norma di coscienza>: la meta è per tutti quella concordanza tra fede vissuta e vita morale che contempla una coscienza matura ed irreprensibile. Essa richiede anche l’ossequio alle leggi positive giuste promulgate da chi esercita l’autorità (cfr Rm 13,1-7).

Accenniamo brevemente ad altri termini greci per esprimere l’attività spirituale dell’uomo, accolti nell’uso biblico neotestamentario, per esplicitare i contenuti ricchissimi del leb, il cuore:

mente, νóoς nous, nella filosofia greca indica la ragione, lo strumento del pensiero con cui l’uomo conosce il mondo e l’esistenza. Platone la indica come parte superiore dell’anima, Aristotele pone la mente, nous, al di sopra delle potenze, facoltà dell’anima, come il <divino> nell’uomo. Già usato nei LXX, sei volte per tradurre l’ebraico leb, nel N. Testamento viene usato 24 volte, di cui 21 nelle grandi lettere di Paolo.130

Qui la comprensione riguarda il capire Dio, la sua volontà di salvezza, nella parola della Scrittura, nella predicazione ecclesiale. Comprensione unita ad un disponibilità di fede religiosa. Per es. in Rm 7,23-25:

“ Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge che combatte contro la legge della mia ragione[mente]”. Mente indica l’uomo interiore, in grado di decidere tra il bene ed il male, conoscenza religiosa della legge di Dio. In Efesini e Tito significa intelletto, comprensione religiosa , contaminata e corrotta: Ef 4,18: “Non comportatevi come i pagani, con i loro vani pensieri, accecati nella loro mente”; Tt 1,15: ”Tutto è puro per chi è puro, ma per quelli che sono corrotti e senza fede nulla è puro: sono corrotte la loro mente e la loro coscienza”.

Accanto a coscienza, mente , compare anche <pensiero> (dianoia): tutte categorie greche per specificare meglio dinamismi e capacità della vita religiosa, orientamenti di fede, per esplicitare i contenuti ricchissimi della categoria biblica di cuore: ma siamo lontani dall’impostazione e dalla teoria della filosofia greca.131

128 Cfr MAJORANO S., La coscienza, ed. S.Paolo Cinisello Balsamo 1994, 78129 Ivi 78 s.130 cfr HARDER G. voce Ragione, in COENEN L. – BEYREUTHER E. – BIETENHARD H., ed., Dizionario

dei concetti biblici del Nuovo testamento, cit. 1478-1484.131 Ibidem

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3.1.f Soma e psykè nella traduzione dei LXX e nel Nuovo Testamento.

Ci poniamo ora la domanda se la traduzione dei termini ebraici nelle categorie greche, con uno specifico significato filosofico (yuc» p.es. dualismo spirituale dell’anima in Platone, naturalismo dell’anima in Aristotele 132), non abbia introdotto questi contenuti filosofici nel testo ispirato.

Esaminiamo con questa finalità qualche testo importante:Gn 2,7 “ Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici

un alito di vita (neshamat hajiim) e l’uomo divenne un essere vivente (nefesh hajjah ,psykè zosan )”.

Qui venne detto che l’uomo è vivo in forza del soffio vitale di Dio. Psykè indica tutto l’uomo in quanto vivo, con le caratteristiche vitali proprie, spirituali dell’uomo, che hanno la loro origine nel soffio di Dio: psykè non presenta il significato platonico costitutivo, di un’anima spirituale che abita in un corpo. La traduzione greca conserva i contenuti rivelati esposti in lingua ebraica; evidentemente non si esclude un ulteriore approfondimento circa i costitutivi co-principi metafisici (anima razionale come forma del corpo: il tutto qualificato dallo Spirito Santo), per l’intelligenza del dato rivelato (vita cristiana, redenzione-risurrezione).

Abbiamo già fatto notare parlando della creazione dell’uomo in Gn 2,7, come il soffio vitale di Dio (neshamat hajiim) realizza un essere vivente, dotato di interiorità, che lo collega in modo unico al suo Creatore, nella vita religiosa morale; anche in questo caso, “ Non siamo di fronte ad una realtà <spirituale> e di natura immortale [un principio costitutivo divino], bensì ad una qualità che rende l’uomo simile a Dio libero e morale” 133

Sap 3,1-18 “le anime (yucaˆ) dei giusti […] sono nelle mani di Dio, e nessun tormento li toccherà. Agli occhi degli insensati pare che morissero[…] ma essi sono nella pace […] risplenderanno e come scintille nella stoppia correranno qua e là. Governeranno le nazioni e avranno potere sui popoli”.

Ricordiamo che il libro della Sapienza, è composto in greco, da un ebreo in Alessandria di Egitto, quasi alla vigilia dell’Incarnazione. Il contesto riguarda la sorte del giusto, secondo la valutazione degli empi: il corpo (sèma) si riduce in polvere, lo spirito (pneàma) si disfà come aura tenue, cioè non resta niente: quindi cercare tutto il piacere possibile, ed uccidere il giusto che dà noia con il suo comportamento.

Il testo citato riporta il pensiero dell’autore ispirato circa la sorte beata del giusto eliminato. L’autore usa i termini greci (yuc»), ma non insiste sulla distinzione tra la yuc» che sopravvive ed il sèma che va in cenere: infatti parla dei giusti dopo la morte, come realtà personali ben concrete. Si passa dalle yuk£i, anime dei giusti (genere femminile) al pronome personale maschile (aÙtÒj\): ciò che resta è la concreta personalità del giusto, (indicata con yuk£i), con le sue attività (gioia, governare i popoli). Si sottolinea la sopravvivenza del giusto, non si insegna una filosofia circa la costituzione metafisica dell’uomo: è ancora un semita del popolo dell’Alleanza, pur esprimendosi con categorie greche. Non si esclude un ulteriore processo speculativo per l’intelligenza della fede, che porti ai concetti molto astratti di un’anima spirituale, immortale, e del corpo. 134

132 cfr DIHLE A., yuc» nel mondo greco, in Grande lessico del Nuovo Testamento, KITTEL ed., Paideia Brescia 1987, vol XV, 1168-1188

133 RAVASI G.F., Breve storia dell’anima, cit., 84; MIGLIORI M., La domanda sull’immortalità e la risurrezione. Paradigma greco e paradigma biblico, in AAVV, L’Anima,Mondatori, Milano 2004, 183-206;

134 Cfr anche LARCHER C., Ėtudes sur le livre de la Sagesse, cit. 237-244; 263-284; RAVASI G.F., l’Anima nella tradizione biblica, in AAVV, L’anima, Mondadori, Milano 2004, 148-152.

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Ma già si insinua che non si può coerentemente affermare la sopravvivenza della persona umana, senza co-affermare un principio intrinseco, questo principio intrinseco di immortalità viene già qui considerato.

Mt 10,28 :“Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo ma non hanno il potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geenna e l’anima e il corpo”.

Il contesto è l’invio in missione, come stare di fronte al martirio per il riconoscimento di Gesù. Bisogna avvertire che il persecutore può uccidere solo il corpo (sèma), l’inserimento sensibile in questo modo, ma non può toccare la vita della persona (yuc»), che non dipende in modo esclusivo dall’inserimento in questo mondo. Notiamo che si precisano come due settori dell’uomo, di cui uno esposto alla violenza del persecutore, l’altro, l’anima, no, poiché sfugge ai dinamismi di questo mondo sensibile.

Notiamo ancora come nella Geenna periscono anima e corpo: viene insinuato che anche la dimensione corporea ci accompagna nell’aldilà, la persona umana non è ridotta ad un’anima disincarnata. Ci possiamo inoltre domandare cosa sarà il corpo nella Geenna, situazione di cui non abbiamo esperienza. Qui le categorie di anima e di corpo sono sottoposte ad un notevole processo di astrazione, in quanto continuano a specificare aspetti della persona umana, anche nella situazione escatologica, così diversa dalla nostra. In questo già iniziato processo di astrazione, possiamo trovare la legittimazione di una certa analisi metafisica, purché si eserciti per l’intelligenza della rivelazione, della storia salvifica.135

Possiamo concludere che l’accoglienza di categorie greche non altera il dato rivelato, che riguarda la totalità dell’uomo, nei suoi molteplici aspetti, nell’economia della salvezza. Non viene accolto il dualismo platonico, ma si apre il passaggio legittimo della metafora ebraica al principio costitutivo metafisico di anima: il risultato di questa operazione legittima, che il pensiero cristiano realizzerà, il concetto di <anima razionale forma del corpo> (DH 902), pur drenando elementi di provenienza varia, è un qualcosa di totalmente nuovo, intelligenza dell’uomo nella sua relazione col Dio della creazione ed Alleanza, nelle varie fasi della storia salvifica.

4 Dio crea l’uomo liberamente per la sua Gloria.Cerchiamo ora un termine biblico che esprima il dinamismo, il senso finale della creazione,

verso quale meta, bene, è stata ordinata; il bene, pienezza di vita, vita beata, la Speranza che attira l’uomo, verso la quale deve orientare tutta la sua esistenza.

Abbiamo visto nell’inno di Colossesi come tutto è creato e rimane tale in Cristo, e per Cristo, e inoltre verso Cristo. Il prologo di Efesini parla di tutto “ricapitolare” in Cristo (Ef 1,10); ricapitolare vuol dire tutto ordinare a Cristo Capo, tutto sottometterGli. riportando così ad unità ciò che dal peccato era stato lacerato.

I contenuti di questa categoria di <ricapitolare> esprimono la realizzazione del Regno di Dio: “Perché Dio sia tutto in tutti”, e questo attraverso la previa sottomissione di tutte le cose a Cristo (cfr 1Cor 15,28). In categorie più antropologiche, già considerate nel nostro cammino di teologia biblica, questa sottomissione a Cristo, può anche esprimersi nel conformarsi alla sua Immagine, <perché sia il primogenito fra molti fratelli> (Rm 8,29); questo avviene <di Gloria in Gloria>, in modo progressivo, sotto l’azione dello Spirito (2 Cor 3,18).

Anzi, nello prologo degli Efesini, la stessa ricapitolazione, è vista nel progetto del Padre, di avere in Cristo figli santi ed immacolati nella carità, per la lode della sua Gloria (Ef 1,4.6.11.14). La categoria Gloria ci appare quindi la più atta per indicare il fine, la meta di tutto l’operare di Dio creatore e dell’Alleanza, come pienezza di vita per l’uomo.

135 Cfr RAVASI G.F., L’Anima nella tradizione biblica, cit., 152-154

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Sin dalla creazione del mondo siamo stato prescelti in Cristo, ad essere figli adottivi, santi e senza macchia “per la lode della sua gloria”; la Gloria risulta il fine di tutto l’operare creatore e redentore di Dio.

Anche tutto l’Antico Testamento ci invita ad interessarci del tema della Gloria, sempre canta la Gloria del creatore, re e salvatore, santo di Israele, arde dal desiderio di vederla riconosciuta da tutto l’universo. Il Nuovo Testamento vive in questa prospettiva, si compiace di vederla ormai realizzata in Cristo, il Crocifisso glorioso, e si conclude con le liturgie celesti della glorificazione di Dio e dell’Agnello (Ap 4,8-11; 5,8-14; 7,10-16; 11,15-18; 12,10-12; 14,3; 15,2-4).

4.1 Libertà di Dio nel creare.Il prologo di Efesini presenta abbondanti espressioni (prescelti, secondo il beneplacito della

sua volontà, il consiglio della sua volontà,…), che ci invitano a riflettere su come Dio ha voluto l’esistenza del mondo:

o necessariamente: come una forza che non può non espandersi, anche una Persona che non realizza se stessa se non agisce,

o liberamente: per un atto del tutto volontario, di gratuita effusione di bontà, senza alcuna costrizione interiore?.

Dobbiamo a questo scopo meglio esaminare i verbi, i sostantivi che esprimono la scelta di Dio, la sua decisione di creare:

v.4 ™xelšxato (ek-lšgomai): sceglierev.5 kat¦ t¾n eÙdok…an toà qelÉmatoj aÙtoà: beneplacito della sua volontà… v.9 tÕ mustÉrion toà qelÉmatoj aÙtoà: il progetto manifestato…

v.11 kat¦ t¾n boul¾n toà qelÉmatoj aÙtoàQueste espressioni, adoperate con frequenza nei LXX e nel Nuovo Testamento per designare

l’atteggiamento di Dio nei riguardi dell’uomo, esprimono una volontà personale ed in un certo senso arbitraria, tanto che l’uomo non capisce (la parabola del vasaio: Is 45,9-12 :”Dirà forse la creta al vasaio: “Che fai?”; cfr Rm 9,19-23); ma la decisione di Dio, non procede da un impulso cieco, ha invece qualcosa in comune con le prese di posizione umane, quando una persona assume liberamente una ferma risoluzione dopo un riflessione, deliberazione, in vista di un bene da raggiungere.

Esclude una necessaria diffusione del bene divino nel mondo, cioè un Dio che per realizzare se stesso, deve creare mondo e uomo.

La Libertà di Dio nel creare fonda la comprensione di quale sarà l’atteggiamento corretto dell’uomo davanti al creatore e redentore: Dio non è una forza, un principio da scoprire e dominare, ma anzitutto una Persona sovrana, libera, da accogliere, con cui entrare in sintonia, cui responsabilmente rispondere.136

Dio è libertà che suscita responsabilità, ci invita alla partecipazione della sua stessa vita, stabilisce con noi rapporti interpersonali, da accogliere come il massimo, decisivo valore che ci realizza, ma senza costrizioni, liberamente. La libertà del creatore, cui corrisponde la subordinata libertà dell’uomo, è condizione prerequisita di tutta la storia della salvezza, del dialogo dell’Alleanza tra Dio e uomo, della Preghiera stessa. Tutto è voluto liberamente dal creatore-redentore per la Gloria di Dio, che è vita piena dell’uomo.

Costruiamo ora una sobria teologia biblica della Gloria.

136 Cfr LEVIE J., Le plan d’amour divin dans le Christ selon S. Paul, in l’Homme devant Dieu, T. I, op.cit.,159-168

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4.2 Gloria di Dio, fine della creazione-Alleanza.Gloria traduce l’ebraico (kabod), espresso nel greco biblico come dÕxa.137

Kabod דבכ, come senso primo, indica peso, quindi valore di una cosa, l’onore dovuto; nelle grandi teofanie dell’Antico Testamento, Dio dimostra la sua importanza, valore, potenza attraverso le manifestazioni grandiose, terrificanti che le svelano: fuoco e tuoni sul Sinai (Es 24.15-18), la nube della Tenda dell’Alleanza (Es 40,34), l’uragano devastante del Salmo 28(29),1-3:

“Date al Signore, figli di Dio, date al Signore gloria e potenza: date al Signore la gloria del suo nome, prostratevi al Signore in santi ornamenti. Il Signore tuona sulle acque”. Queste immagini subiscono un processo di spiritualizzazione, interiorizzazione, per significare la salvezza, la pace che offre al suo popolo.138

Significativa è soprattutto la teofania a Mosè sul Sinai, dopo il peccato del vitello d’oro, riferita in Es 33,18-s: “Mosè disse: «Mostrami la tua Gloria !». Rispose: «Farò passare davanti a te tutto il mio splendore, e proclamerò il mio nome: Signore davanti a te [...] ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessuno può vedermi e restare vivo [...] ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe, e ti coprirò con la mia mano finché sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere.»” ( vedi anche la descrizione della teofania di Es 34,6-7). Questa è la risposta di Dio a Mosè che Gli chiede di essere vicino, attivo nel suo popolo; solo con la presenza di JHWH potranno camminare verso la terra promessa; in questo contesto la domanda di Mosè: “Mostrami la tua Gloria”. Gloria indica una manifestazione divina, rivelazione dell’essere, della attiva bontà divina, svelamento della personalità divina, come insinua anche la domanda di conoscerne il nome, solo JHWH può guidare il popolo nell’esodo (cfr Es 3,13-15).

L’esperienza di Dio non può essere facciale, completa, non si può conoscere Dio come Lui conosce se stesso: equivarrebbe alla dissoluzione dell’uomo, il dissolvimento proprio dei sistemi panteistici. Gloria quindi indica: l’essere, la bontà, la personalità di Dio, in quanto si manifesta e si comunica all’uomo per farlo vivere. Mosè può contemplare solo il dorso di Dio: si fonda qui la dimensione negativa (apofatica) della rivelazione e della teologia.

I fatti stupendi e anche terrificanti.che accompagnano le teofanie indicano il potere, la Gloria di Dio, ma per la salvezza dell’uomo. Lo zelo di Elia sarà educato, nello stesso luogo delle teofanie, il Sinai, a riconoscere la presenza di Dio, dialogante con l’uomo, non nella violenza, eventi terrificanti (terremoto, fuoco), ma nel sollievo della brezza tonificante:

“Gli fu detto: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore». Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel

137 Cfr SKA J. L., Introduzione alla lettura del Pentateuco, cit, 177-179; KITTEL G. – Von RAD G., voce dÕxa., in Grande lessico del Nuovo Testamento vol II, KITTEL G., ed., Paideia Brescia 1358-1398; COENEN L. – BEYREUTHER E– BIETENHARD H., Dizionario dei concetti biblici del N.T., cit 809-813; MOLLAT D., Gloria, in Dizionario di Teologia biblica, LEON-DUFOUR X. ed., Marietti, Torino 1968, 437-444.

138 Von BALTHASAR H.U., Gloria, vol 6, Jaca book Milano 1980, nota a pag. 22: “Il mutarsi di forma dell’idea della gloria divina tra il Pentateuco e gli Scritti giovannei, è intuibilmente grande, eppure tutti i gradi intermedi sono tra loro così legati, si riferiscono così fortemente l’uno all’altro, che nella loro molteplicità, formano un intero e si sostengono e si comprovano a vicenda”; per es. nube e anche timore sia sul Sinai che sul monte della Trasfigurazione; anche sul Calvario, come sul Sinai, la terra trema, il sole si oscura, esperienza di tenebra come sul Sinai. Solo la Gloria di Cristo (che Gesù annunzia davanti al Sinedrio –Mt 26,64 riunendo Sal 109(110),1 e Dn 7,13; che Stefano contempla nel suo martirio –At. 7,56 e che convince Saulo sulla via di Damasco –At 9,3-9) disperde definitivamente le tenebre del peccato. La Gloria, globale tema biblico che collega tutti gli scritti ispirati, trova la sua pienezza nel Vangelo di Giovanni 1,14: “gloria come di unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità “. Commenta von Balthasar : ” Il fatto che Giovanni sia capace di vedere questa gloria, con la compiuta verità dell’Immagine e la compiuta grazia dell’Alleanza, nell’unità infine di Croce e di Risurrezione, fa si che la sua interpretazione sia l’ultima parola della Bibbia, tanto che in essa persino la tensione tra visione presente della Gloria e speranza escatologica, in essa, appare come qualcosa di definitivo”.

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terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: «Che fai qui, Elia ? »” (1 RE 19,11-13).

Per entrare meglio nel significato di Kabod, riportiamo altri testi dell’Antico Testamento: “Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Attorno a lui stavano dei serafini, ognuno aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l’uno all’altro: “Santo, santo, santo (Qadosh (שדק è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria»”.(Is 6,1-3)..

Notiamo in questa teofania come la vera dimensione di Dio non può essere percepita, è superiore, trascende l’uomo: solo i lembi del mantello riempiono il tempio. Dio è proclamato Qadosh, cioè del tutto distinto da noi, per la sua superiorità morale ed in tutto: se Dio è cosi trascendente, tutta la terra (promessa per l’esodo) è piena della sua kabod, la sua Gloria; la sua presenza gloriosa, la forza salvifica dimostrata da Dio nel passato è ancora attiva, per un nuovo esodo.

Qadosh sottolinea la trascendenza di JHWH, kabod come questa trascendenza si comunica all’uomo, diviene a lui immanente come forza salvifica.139

Lo splendore è una nota caratteristica della Kabod; quando la Kabod risplenderà luminosa nel tempio ed in tutto il mondo, si avrà il segno della venuta del regno di Dio: ”Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria” (Is 66,18). La Kabod divina si può anche notare nelle opere della creazione: “ I cieli narrano la Gloria di Dio” (Sal 18(19),1).

La Kabod è tanto propria di Dio, che non può cederla ad altri: cfr Is 42,8; 48,11. Tutta la preghiera del popolo dell’Alleanza, ogni sua autentica aspirazione, brama che la Gloria di Dio sia riconosciuta, si manifesti, si estenda al mondo intero: “Date al Signore o famiglie dei popoli, date al Signore Gloria e potenza, date al Signore la Gloria del suo nome” ( Sal .95(96),7s; cfr. Sal 56(57),12; Is 60,1-3).

Se la Gloria è svelamento, rivelazione della stessa Trascendenza, ineffabile bontà della Vita divina, può essere quindi data, attribuita solo a Dio; ma in quanto svelata, offerta all’uomo, lo tocca in profondità, qualifica e valorizza la sua vita. Anzi , il <peso della Gloria>, esprime il vero valore dell’uomo.

Neppure dobbiamo stupirci di questa constatazione, che una qualità ineffabile della Vita divina venga partecipata alla creatura uomo: in questa linea la categoria Ruah, Spirito, anche Immagine. Anche la categoria Gloria acquista un significato Teo-antropologico: è predicato nella sua divina pienezza soltanto al Dio della creazione e Alleanza, ed insieme in quanto manifestata, donata alla creatura uomo costituisce il suo massimo valore. Ci sono sufficienti alcune citazioni vetero-testamentarie per esserne convinti:

Sal 3,4: “Ma tu sei mio scudo, Signore, sei la mia Gloria”.Sal 8,6: “…di Gloria e di onore lo hai coronato”.

Ger 2,11: “Ma il mio popolo ha cambiato me, sua Gloria, con un idolo inutile”.

Cioè la vera importanza, il valore dell’uomo proviene da Dio; tanto che l’uomo peccatore, che si sottrae a Dio, è uomo senza valore: “Perché tutti hanno peccato e sono privi della Gloria di Dio”(Rm 3,23).

139 Von BALTHASAR, Gloria, vol I, Jaca book Milano 1985, 608-618 vede la Gloria nella storia di Israele, come svelamento che solo Dio salva, come un continuo no a tutte le pretese dell’uomo e del popolo di costruirsi una propria salvezza; un chiaro no al mito, tentativo dell’uomo di affermare la propria gloria e di renderla visibile come essere divino o semi divino. Deciso no a sbarazzarsi delle potenze del destino e della morte con la magia religiosa, a vedere la vita ed il mondo dalla prospettiva del prestigio della propria autosufficienza umana, politica o individuale.

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Sarà il Nuovo testamento a confermarci nel significato teo-antropologico di questa categoria; lo farà manifestandoci la pienezza della rivelazione della Gloria nel Crocifisso Risorto, la reciproca glorificazione del Padre e del Figlio, la sua partecipazione nella preghiera dossologica e nella vita del cristiano. Gloria viene ad esprimere tutto il dinamismo e finalità della vita umana.

4.3 La Gloria (Doxa) nel Nuovo Testamento.Doxa (dÕxa) nel greco classico significa opinione, anche buona quindi fama; nella

traduzione dei LXX si carica del significato di Kabod, quindi acquista un ulteriore significato, quello sopra ricordato, teo-antropologico. Risulta comprensibile come le enunciazioni e le manifestazioni della Gloria, si concentrino nella figura di Gesù:

1 Cor 2,8: “Il Signore della Gloria”.2 Cor 4,6: “E Dio che disse: « Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori per fare

risplendere la conoscenza della Gloria di Dio sul volto di Cristo”. Eb 1,3: “Egli è l’irradiazione della sua Gloria e impronta della sua sostanza”.

La natura santa di Dio appare ora nella sua estrema purezza e pienezza nel Figlio incarnato, Crocifisso risorto, come splendore ed irradiazione della Gloria paterna: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, e noi abbiamo contemplato la sua Gloria, Gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità”(Gv 1,14).

Giovanni attribuisce la Gloria divina a Gesù già nella sua vita terrena: a Cana “manifestò la sua Gloria e i suoi discepoli credettero in lui”(Gv 2,11); risulta pure nella risurrezione di Lazzaro, dalla risposta di Gesù all’informazione delle sorelle sulla sua malattia: ”Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinchè per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato”; inoltre nel dialogo con Marta: ”Le disse Gesù <non ti ho detto che, se crederai, vedrai lo gloria di Dio ?>” (Gv 11,4.40).

Anche nel Vangelo di Luca, la Trasfigurazione di Gesù avviene in dimensioni di gloria :

“Ed ecco due uomini parlavano con Lui: erano Mosè ed Elia apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. Pietro ed i suoi compagni erano appressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con Lui” (Lc 9,30-32).

La manifestazione gloriosa di Dio, della sua bontà, del suo amore paterno che suscita la dedizione filiale, fraterna, piena, appare specialmente nella croce di Cristo: per Giovanni la Croce è esaltazione, trono di Gloria. “«E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire”(Gv 12,32).

Il mistero pasquale è per Giovanni glorificazione del Figlio e del Padre: “Padre è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi Te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. Ed ora, Padre, glorificami davanti a te con quella Gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse” (Gv 17,1-5).

Il Figlio glorifica sulla croce il Padre, manifestando la pienezza del suo amore paterno, cui totalmente si affida, con obbedienza filiale; il Padre glorifica il Figlio, manifestando che è una sola cosa con Lui, riconciliando in Lui l’umanità intera, di cui è il Primogenito.

La gloria di Dio che si manifesta in Cristo, viene comunicata ai suoi discepoli: “E la Gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una cosa sola, come noi siamo una sola cosa”(Gv 17,22). Cristo dona a coloro che credono in Lui quella stessa Gloria che Lui stesso ha ricevuto dal Padre, per essere una sola cosa con Lui, come Lui è una sola cosa col Padre; essere uniti per Lui al Padre, significa entrare, partecipare della Gloria, avere la vita eterna.

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Lo Spirito Santo, glorifica Cristo, perché farà entrare sempre di più i discepoli, in quel “mio” di Cristo, che è lo stesso “mio” del Padre; realizzerà con la sua azione personale una più intensa conoscenza e partecipazione alla vita filiale e fraterna nell’amore del Padre (cfr Gv 16,13-15). La Gloria che brilla sul volto di Cristo, crocifisso-glorioso, e che attraverso l’annuncio del Vangelo, la fede e i Sacramenti si rispecchia nei discepoli, li fa crescere progressivamente in quella stessa Gloria:

“E noi tutti, a viso scoperto riflettendo come in uno specchio la Gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di Gloria in Gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore”(2 Cor 3,18); “E Dio che disse: «Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori, per fare risplendere la conoscenza della Gloria di Dio sul volto di Cristo”( 2 Cor 4,6). La Gloria viene a significare la partecipazione a tutti i beni del regno di Dio, concentrati nella pienezza di Cristo: come il peccato svuota della Gloria di Dio, sottrae all’uomo il suo vero valore, così la fede in Cristo giustifica e glorifica, fa <entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio>(Rm 8,21).

Von Balthasar nota la totale differenza tra la glorificazione di Dio nell’Antico e nuovo Patto: nel Vecchio testamento si glorifica Dio per le sue grande opere di creazione e di Alleanza. Israele abitava così nella sua vera casa: la terra, il Tempio. Nel Nuovo testamento, il rapporto Signore-servo è qualificato dalla partecipazione alla vita Trinitaria. Il cristiano stesso è glorificato, per dono gratuito partecipa della glorificazione che il Figlio, crocifisso glorioso, eleva al Padre.140

La Gloria, svelamento della verità e bontà dell’immagine filiale di Cristo, partecipata ai suoi discepoli, non deve apparire solo nella contemplazione, nella liturgia, ma in ogni azione del cristiano: “Dunque, sia che mangiate sia che beviate o che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la Gloria di Dio” (1 Cor 10,31); “ Glorificate dunque Dio nel vostro corpo”(1 Cor 6,20).

La stessa creazione attende questa trasformazione gloriosa dei figli di Dio, questa loro vera libertà, per essere lei stessa liberata dalla vanità del peccato, che in lei comprime la manifestazione della bontà, Gloria di Dio, in lei racchiusa ad opera di Dio creatore:

“ L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità - non per sua volontà, ma per volontà di colui che la ha sottoposta - nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.”( Rm 8,19-21).

Riassumiamo il significato della categoria Gloria, cui ci hanno condotto i testi riportati:(a)Gloria indica lo stesso Dio, la sua vita intratrinitaria, la sua bontà, in quanto vuole

manifestarsi, comunicarsi all’uomo, donandogli la pienezza della sua vita; è categoria di rivelazione trasformante la vita dell’uomo.

(b)la pienezza di questa manifestazione si dà in Cristo, nella sua Croce e Risurrezione.(c)la gloria del Crocifisso glorioso, il suo essere uno col Padre, nell’amore dello Spirito Santo, si

comunica ai cristiani; la carità, la grazia, dignità filiale e fraterna che accogliamo dal Cristo, è la Gloria che vuole esprimersi in tutta la vita del cristiano, in modo progressivo.

(d)in tutto l’universo brilla un raggio della bontà di Dio, della sua gloria; il peccato umano abusa, comprime questa gloria. La libertà gloriosa dei figli di Dio, che anche nell’uso del mondo manifesta la verità e la bontà filiale dell’immagine di Dio, restituisce alla creazione la sua dimensione di gloria, quel raggio di verità e bontà divina esistente in essa, ora riconosciuta e promossa.

(e)l’uomo è stato creato per: “la lode della sua Gloria” (Ef 1,6); come già anche tutto l’Antico Testamento arde dal desiderio che la Gloria divina sia riconosciuta, accolta, lodata.

Anche la grande Preghiera eucaristica romana termina con una solenne dossologia al Padre, per Cristo, nell’unità dello Spirito Santo: “ Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a Te, Dio

140 Cfr Von BALTHASAR H.U., Gloria, vol 7, cit.,352-358; ARMENDARIZ L.M., Ombre y mundo a la luz del Creador, cit., 337-376.

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Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, pere tutti i secoli dei secoli. Amen”.

4.4 La Gloria di Dio, massima perfezione e vita dell’uomo.In che senso la “lode della sua Gloria”, può rappresentare per l’uomo una crescita, anzi la

sua più intensa perfezione ? Infatti il riconoscere la glorificazione altrui è sovente accompagnato da una certa amarezza, l’amarezza che accompagna certe congratulazioni: «Lui e non Io!».

Insieme intuiamo che già il riconoscere e lodare un certo valore è in sé non solo indice di sensibilità intelligente, ma anche una iniziale partecipazione, possesso di quel valore: il buon gusto, la comprensione del bello, del sinfonico, la contemplazione estetica della grande arte, non solo interiorizza i valori del vero-buono-bello sensibilmente espressi, ma li fa nostri. Sarà il complemento della gioia del paradiso l’assenza d’ogni invidia, la gioia per il bene di tutti.

Nel caso della Gloria divina, il suo riconoscimento, la sua lode, è già in se stessa la massima partecipazione alla stessa vita Trinitaria interpersonale di verità paterna, filiale, di comunione di amore Spirito Santo. In cosa consiste l’ineffabile pienezza della Vita divina che intravediamo adorando il Mistero trinitario? Il dinamismo ineffabile della Vita divina consiste nel riconoscere e compiacersi della propria assoluta perfezione. Il Padre riconosce nel Figlio la sua perfetta immagine, il Figlio diletto riconosce e ama nel Padre il principio senza principio, di tutta la sua perfezione; lo Spirito Santo è il reciproco Amore personale suscitato da questo duplice compiacimento.

Riconoscendo la Gloria divina manifestata in Cristo, la sua molteplice, graduale e sinfonica partecipazione nel Corpo mistico ed in tutto l’universo, lodandola, noi entriamo sempre più nella sorgente divina di essa, il dinamismo stesso personale della vita Trinitaria, fatta di unità di conoscenza e di amore.141

Glorificare Dio nel Nuovo Testamento significa avere la <doxa> divina non solo come <oggetto> del glorificante, ma inoltre come suo principio interno: “Fede, Amore, Speranza sono in noi vita divina vissuta, che deriva dalla Gloria divina, che ci rende capaci di vita cristiana (resi forti secondo la potenza della sua gloria: cfr Col 1,11), e che perciò ha come scopo intimo di essere <per la lode, gloria, onore> della vita divina (1 Pt 1,7), mentre da sempre la sapienza di Dio ha avuto come scopo la nostra glorificazione: «che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria» (1 Cor 2,7; cfr Rm 8,30).142

Il tema biblico della Gloria rappresenta il fondamento rivelato di numerose speculazioni teologiche-filosofiche: esemplarismo, partecipazione, “analogia entis”. Sarà quindi ripreso in sede di teologia storica e speculativa.

Appare frequentemente nell’uso liturgico, la sua sede, nella riflessione dei Santi Padri: ricordiamo Ireneo di Lione: “La Gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo è la visione di Dio” 143; “La Gloria dell’uomo consiste nel perseverare nel servizio di Dio”144; “Poiché la Gloria dell’uomo è Dio; l’uomo è il ricettacolo dell’operazione di Dio, di tutta la sua sapienza, di tutto il suo potere”145.

Ricordiamo infine come un autore a noi contemporaneo, H.U. von Balthasar, ha fatto della categoria biblica <Gloria>, forma precipua della Rivelazione che attraversa e unisce tutta la Scrittura, la guida ispiratrice di tutta la sua opera Teologica.

141. von BALTHASAR H.U. , ibidem; cfr ALSZEGHY Z. - FLICK M., Gloria Dei, Gregorianum 36 (1959), 361-390

142 von BALTHASAR H.U., Ivi, 358.143 IRENEO, Adversus Haereses, IV, 20,4-6.144 Id., Adversus Haereses, IV, 14,1. 145 Id., Adversus Haereses, III, 20,2.

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II STORIA DEL PENSIERO CRISTIANO, INSEGNAMENTO DEL MAGISTERO.

5 Introduzione.La dimensione storica ha sempre caratterizzato il nostro studio, non è una novità che

introduciamo solo ora. Abbiamo, infatti, nella parte biblica, seguito il cammino storico religioso della famiglia di Abramo, del popolo di Israele per porre in risalto la sua accoglienza, in una fede segnata anche da momenti di crisi, del Dio dell’Alleanza, che si manifesta progressivamente il Dio universale di tutto creatore.

Ciò è avvenuto nella storia religiosa del popolo, attraverso i suoi mediatori, (Abramo, Mosè, Profeti, Sapienti) sempre in dialogo con le culture dell’oriente antico, dell’ellenismo. La piena e definitiva rivelazione di Dio nella sua Immagine Filiale, Verbo Incarnato in Gesù di Nazareth, ci ha dischiuso il significato della preparazione vetero testamentaria alla sua Incarnazione, ci ha fornito il senso vero della creazione, voluta sin dall’inizio, in, per, verso Cristo; ci ha donato l’identità dell’uomo, creato secondo quest’Immagine filiale del Padre, nell’amore Spirito Santo.146

Il mistero di Cristo illumina e qualifica tutto: passato, presente, e futuro, tutte le dimensioni dell’universo. Questa piena intelligenza del mistero di Cristo, consegnata alle parole ispirate del Nuovo Testamento, in particolare da Paolo e da Giovanni, nei prologhi e negli inni, si è realizzata nei tempi della Chiesa apostolica; essa già rappresenta il frutto di una prolungata meditazione della Comunità che celebra l’Eucaristia, che annunzia e vive secondo il Vangelo, sulla Storia della salvezza che percepisce sempre più chiaramente tutta racchiusa, fondata e ricapitolata in Cristo. La Chiesa che annuncia il Cristo, nel contesto greco-romano, ne riceve anche alcuni stimoli culturali religiosi, anzitutto la filosofia del logos.

La chiesa dei Padri, dei Dottori medioevali e moderni, continuerà questa riflessione credente, in vari contesti culturali, e ne offrirà sintesi organiche, come la teologia biblica di Ireneo, le Summae del secolo XIII, i trattati teologici scolastici.

Noi percorriamo questo cammino storico teologico, per individuare come la visione rivelata dell’uomo viene percepita ed espressa; questo non per disperderci nei meandri della storia, ma per comprendere il presente dell’Antropologia teologica nei suoi fondamenti, attraverso la “memoria” del pensiero cristiano, per elaborare un metodo atto a dialogare con le culture contemporanee. Lo studio storico risulta inoltre indispensabile per meglio collocare l’insegnamento del Magistero e così poter precisare le Verità contenute nel pensiero cristiano sull’uomo, verità normative anche per l’oggi.

Per una più fruttuosa ricerca sul pensiero credente circa un mondo creato in per verso Cristo, il suo vertice nell’uomo creato secondo l’Immagine di Dio, Cristo, è bene premettere, esplicitare alcuni presupposti, dimensioni, che già abbiamo individuato nella teologia biblica, e che risultano ora necessari.

5.1 Cristo, personalità concreta, con dimensioni universali di creazione e redenzione, fonda la nostra comunione e solidarietà storica, salvifica, con ogni uomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

Vogliamo esplicitare meglio la fondazione del nostro percorso storico: che utilità possiamo ricavare nel delineare la sviluppo del pensiero cristiano sui fondamenti di Antropologia teologica? , e domanda ancor più radicale, trattasi di operazione teologica legittima ?

Il tempo di Cristo, concentrato nell’ora della Croce che porta alla Risurrezione, è tempo di <pienezza> salvifica: Paolo, in Gal 4,4-6, ci parla di <pienezza del tempo>, in quanto si manifesta a

146 Cfr BRAGUE R., La saggezza del mondo. Storia della esperienza umana dell’universo, Rubettino, Soneria Mannelli 205

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noi in Gesù di Nazareth, l’Immagine del Dio invisibile, che ha realizzato e realizza in modo unico, universale, decisivo sotto ogni aspetto, per tutti, la mediazione di creazione e di riconciliazione.

<Ė in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità >(Col 2,9), <tutti i tesori della sapienza e della conoscenza>(Col 2,3); in Lui si manifesta <la Gloria, come di Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità>(Gv 1,14).

Una <Gloria> così intensa, piena manifestazione di Dio e del suo progetto, di cui gli Apostoli sono avvisati <per il momento non siete capaci di portarne il peso>(Gv 16,12). Appunto per questo Gesù promette l’invio dello Spirito di verità, < che mi glorificherà>, facendoci ulteriormente entrare nel <mio> comune del Padre e del Figlio. E in questo < mio> comune si dà sia la fondamentale mediazione di Creazione, tutta realizzata <in Cristo, per Cristo e verso Cristo>(Col 1,16), sia la riconciliazione avvenuta <nel sangue della Croce>, posta in piena luce (Col 1,20).147

Percorrere la storia del Pensiero cristiano, sarà per noi seguire la realizzazione di questa promessa nei tempi della Chiesa; constatare come le chiarificazioni offerte con autenticità di Magistero petrino-apostolico, rappresentino normalmente il felice superamento di periodi di crisi e difficoltà nell’esprimere l’intelligenza della fede.148

Per comprendere questa operazione storica, che ci raggiunge, in cui siamo coinvolti, è bene porre in risalto un altro aspetto della Personalità unica di Cristo: Egli, appunto perché pienezza unica, decisiva di tutte le mediazioni di Creazione e Redenzione si presenta a noi, Persona divina espressa in vera umanità, crocifissa-gloriosa, con una relazione di signoria unica, universale sugli uomini di tutti i tempi e luoghi.149

Non soffre alcun concorrente che si ponga ulteriormente al suo livello: tutto e sotto ogni aspetto creato e riconciliato in Lui, per Lui e verso di Lui.(cfr Col 1,15-20)

Potranno darsi altri mediatori, ma del tutto a Lui subordinati, attingendo a Lui per portare a Lui.

Neppure è, sulla falsariga di Hegel, un forma simbolica, sotto cui agisce la realtà dell’Idea assoluta nella sua dialettica impersonale di naturalizzazione e di recupero di consapevolezza nella coscienza dell’assoluto. Non lo è, in quanto Cristo Signore è Persona divina in espressione umana del tutto concretissima: dopo avere visitato e illuminato tutta la realtà umana sino ai suoi Inferi ( discese agli Inferi, il terzo giorno risuscitò dai morti), il concretissimo Crocifisso-glorioso è nella

147 Cfr COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONLE, Interpretationis problema, de interpretazione dogmatum, cit. 1989, in EV, 11,EDB, 1725: B. I fondamenti teologici, 2. Prospettive ermeneutiche nella Scrittura,“ Gesù Cristo è la parola unica, presente nella molteplicità delle parole”; 1739: III Riflessioni teologiche sistematiche fondamentali, 1. Il dogma all’interno della “paradosis” della Chiesa, “La proclamazione fondamentale della fede cristiana consiste nella confessione che il Logos, il quale, per anticipazione e in maniera frammentaria, brilla in ogni realtà, e la cui venuta fu promessa concretamente nell’A.T., è apparso in sotto una figura storica e concreta, in tutta la sua pienezza in Gesù Cristo (Gv 1,3s. 14)[…..] La presenza dell’eterno in una figura concreta e storica appartiene di conseguenza alla struttura essenziale del mistero cristiano della salvezza. In lui l’apertura indeterminata dell’uomo è determinata concretamente da Dio.[…] In Maria e nel suo “si” senza riserve nei confronti della volontà salvifica di Dio che Lei ha pronunciato per tutto il genere umano, la Chiesa vede l’archetipo del suo proprio “si” nella fede. […] Nella sua Tradizione, la comunicazione che il Padre fa di sé mediante il logos nello Spirito Santo rimane sempre presente nella Chiesa sotto molteplici forme: nella sua parola e nelle sue opere, nella sua liturgia e nella sua preghiera come pure in tutta la sua vita. Le definizioni dogmatiche sono solo un elemento all’interno di tale tradizione molto più comprensiva. […] Senza la Chiesa non “abbiamo “ Cristo, Vangelo e sacra Scrittura. Un Cristianesimo adogmatico che prescindesse da questa mediazione ecclesiale non sarebbe che esteriorità”; KASPER W., Unicità e universalità di Gesù Cristo, in AAVV, Gesù Cristo nella storia e nella fede, Cittadella ed.,Assisi 1980, 96-114; LADARIA L.F., Antropologia teologica, Piemme-PUG, 1995, 48-62.

148Grande aiuto ci offrono gli scritti di de LUBAC H., Esegesi medioevale, I quattro sensi della Scrittura, P. II, vol I,Verbum abbreviatum, in Opera omnia, v.19, Sezione V, Scrittura ed Eucaristia, Jaka book,Milano, 1986, 249-271; Id. ivi, P. I, vol II, Cap X, Anagogia ed escatologia, III, L’unità del quadruplice senso, vol.18, 19882, 301-315.

149 Cfr BIFFI G., Soddisfazione vicaria o espiazione solidale?, in Id. Tu solo il Signore: Saggi teologici di altri tempi ,Piemme, Casale Monferrato 1987. Von BALTHASAR H.U., Teodrammatica 4, Jaca Book, Milano 1986, 213-236. SCOLA A., Questioni di Antropologia teologica, Pul-Mursia Roma, 1997, 14-19

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gloria del Padre150, e nell’attesa di manifestare la sua potenza di fare terra nuova e cieli nuovi, è attivo e presente nella sua Chiesa; in modo intensissimo <sostanziale> nell’Eucaristia.

Crea quindi una solidarietà amplissima, universale, con gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, realizzando una cattolica <comunione dei Santi>: non solo offre ad ogni uomo la partecipazione alla sua Pienezza, lo sottrae così al suo isolamento, ma lo rende capace, nel modo proprio, secondo la vocazione data, di ricevere e mediare la <grazia e verità> della sua Pienezza.151

Questo è affermato in modo esplicito per il ministero apostolico, e quindi la successione e collegialità apostolica con Pietro e sotto Pietro. Così la lettera agli Efesini afferma:

“ E’ Lui che ha dato ad alcuni di essere apostoli […..] per preparare i fratelli a compiere il ministero alla scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino allo uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza ( Pleroma) di Cristo “( Ef 4, 11-13).

Questa mediazione apostolica autentica della Pienezza di Cristo risulta necessaria per la vita della Chiesa, al servizio dell’autenticità di tutte le mediazioni; per questo viene inoltre detto:

”A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo.”( Ef 4,7); ne segue una vita morale, in cui tutto avviene in Cristo (cfr Ef 5,21-33; 6,1-20).

Il dramma di Cristo, l’<ora> della sua Pasqua, in cui converge tutta la storia salvifica dell’umanità, in cui realizza la vittoria su tutto il male dell’intera umanità, ha pretese di carattere universale, comunicando ad ogni singolo destino umano la sua propria universalità concreta e cattolica. All’interno del dramma di Cristo ogni destino umano viene deprivatizzato ed acquista personalmente una portata universale nella misura in cui consente attivamente ad essere inserito, partecipe della drammatica normativa della vita, morte e risurrezione di Cristo: è il mistero della <Comunione dei Santi>. In tale modo l’incalcolabile pluralità dei destini umani viene raccolta in un punto unificante concreto universale152, il Crocifisso glorioso, conservando in questa comunione lo specifico della sua personalissima vocazione e libertà.

I destini personali non vengono così assorbiti nell’odissea della Spirito, come nella Dialettica di Hegel, o inseriti nello sviluppo deterministico di leggi economiche (Marx-Lenin), o evolutive; è il dramma di ogni libertà umana che, partecipe di Cristo, possiede in sé una efficacia universale, sia pure non computabile in termini di bilancio.

Nella Celebrazione eucaristica accogliamo la presenza più intensa della Pienezza pasquale di Cristo, che ci inserisce e fa partecipi attivamente di questa comunione universale di libertà personali esercitate. Qui troviamo celebrato, vissuto quel fondamento della visione cristiana dell’uomo che ci sta a cuore. Lo possiamo considerare sia in nella contemporaneità del tempo, in prospettiva sincronica, sia nel suo dinamismo diacronico, attraverso i tempi.

150 Cfr LETHEL F-.M., Théologie de l’agonie du Christ: la liberté humaine du Fils de Dieu et son importance sotériologique mises en lumière par Saint Maxime le Confesseur, Beauchesne, Paris 1979

151 Cfr BALTHASAR H.U., Teodrammatica, vol II, Le persone del dramma: l’uomo in Dio, Jaca Book, Milano 1982, 55: “ è da considerare che il dramma di Cristo ha pretese di carattere universale, cattolico, nel senso che comunica ad ogni singolo destino umano la sua propria universalità concreta e cattolica […] La partecipazione della cattolicità radicalmente ad ogni dramma umano è lo stesso che il mistero della comunione dei santi [….] In tale modo l’incalcolabile pluralità dei destini umani viene non solo raccolta in un punto unificante concreto universale, ma insieme mantiene entro l’unità la sua la sua pluralità, benché funzione di questa unità.”; BIFFI G., Approccio al Cristocentrismo, (=già e non ancora 255) Jaca Book Milano 1994. Id., Il primo e l’ultimo. Estremo invito al cristocentrismo, Piemme, Casale Monf., 2003. VOEGELIN E., Anamnesi. Teorie della storia e della politica, Giuffrè, Milano 1972,46-47.

152 L’espressione si trova in Nicolò Cusano, cfr COPLESTON F., Storia della Filosofia, vol. III, Paideia, Brescia 1966, 307s. Sul tema cfr BALTHASAR H. U., Gloria, V, nello spazio della metafisica: l’epoca moderna 5, Jaca Book, Milano 1988, 187-223; Id., Teo-logica. Verità di Dio 2, Jaca Book, Milano 1990, 180-188. Non si può sostenere che questo sia causa di violenza, come in ASSMANN J., Mosè l’egizio. Decifrazione di una traccia di memoria, Adelphi, Milano 2001.

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5.2 La creazione in Cristo dell’uomo secondo l’immagine di Dio in prospettiva sincronica.

Una indicazione necessaria per vivere in modo comunicativo, universale, solidale la contemporaneità del nostro tempo. Nel <Pleroma> di Cristo possiamo comunicare in modo pienamente salvifico; questo si realizza, in modo storico, efficace, nella comunione ecclesiale. Siamo in essa impegnati nella Evangelizzazione affinché le libertà umane accolgano il Signore Gesù in cui solo si dà salvezza, ma insieme in Lui ricuperiamo la consistenza propria, creata dell’uomo, del suo valore personale, delle sue costitutive dimensioni sociali.153

Questo ci permette di costruire insieme, con tutti, ad ogni livello di socialità, il bene comune di cui necessita l’umanità. Individuare la legge naturale, iscritta in ogni uomo in quanto creato secondo l’Immagine di Dio. Nel dialogo rispettoso del cammino di Verità cui è chiamato ogni uomo, sapendo che a nessuno Dio nega la sua Grazia se non viene rifiutato, impegnarci a costruire una società in cui la comunità più immediata e personalizzante, come la Famiglia, venga sostenuta anche a livello di legislazione. Richiedere e favorire la libertà religiosa, fondamento di ogni altra debita libertà. Troviamo qui i fondamenti di tutta la dottrina sociale della Chiesa: un’attenzione che dovrà manifestarsi nel nostro cammino storico.

Sempre ricordando che il volto rivelato dell’uomo ci è consegnato non in una generica creazione, astratta, esaminata da una riflessione semplicemente filosofica, quasi si desse unicamente un uomo creato razionalmente capace di assoluto, per le sue aperture trascendentali.

Ci è offerta l’identità rivelata dell’uomo, in una creazione tutta cristicamente fondata, qualificata, finalizzata, non ne esiste un’altra. L’uomo ne risulta creato non secondo una generica capacità di assoluto, ma secondo la misura di Cristo; riceve in dono la partecipazione, configurazione alla sua vita filiale e fraterna, una misura divina che va molto al di là delle capacità trascendentali umane, che vengono del tutto non solo colmate, ma trasfigurate.

Il mondo e l’uomo sono creati secondo l’immagine filiale del Padre, il suo Verbo Incarnato; da sempre l’uomo porta il sigillo di Cristo e non ha consistenza fuori di Lui. Nulla esiste che non abbia a che vedere con Cristo, sia indipendente, non segnato da Lui. La risurrezione di Cristo, che anticipa il compimento finale della creazione, pienamente lo realizzerà, costituisce il centro, la meta del disegno di Dio, sin dal suo inizio. In Cristo ci è offerta la parola creatrice, il Logos, la ragione, sia del cosmo che della storia, in una prospettiva tutto unificante.

Tutte le realtà create rappresentano una piccola parola partecipante della Parola divina, creatrice espressa in pienezza in Cristo. Nelle creature si colgono parole-logiche (partecipazione creata, infinitamente limitata della Parola-Logos creatrice), che rappresentano come una irradiazione analogica secondo la consistenza della creatura, della pienezza di verità e ragione divina propria del Cristo.

153 La VS n 25: «Il Maestro, che insegna i comandamenti di Dio, che invita alla sequela e dà la grazia per una vita nuova, è sempre presente ed operante in mezzo a noi, secondo la promessa: “Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). La contemporaneità di Cristo all’uomo di ogni tempo si realizza nel suo corpo che è la Chiesa». Questa affermazione della contemporaneità tra Cristo e il Cristiano rappresenta la più significativa affermazione ecclesiologica dell’Enciclica, cfr JLLANES J.L., La Iglesia, contemporaneidad de Cristo con el Hombre de todo tempo, in BORGONOVO G., ed., Gesù Cristo, legge vivente e personale della Santa Chiesa. Atti del IX Colloquio internazionale di Teologia di Lugano sul primo capitolo dell’Enciclica “Veritatis splendor”, Lugano 15-17 giugno 1995, Facoltà Teologica di Lugano, Piemme Casale M. 1996, 177-209; LAFITTE J., Contemporanéité du Christ a l’homme de tous les temps dans le premier chapitre de l’Encyclique “Veritatis splendor”, Ivi, 211-223. Questi autori notano che il discorso della contemporaneità di Cristo all’uomo di ogni tempo e luogo è stato portato avanti da Kierkegaard S., in opposizione a Hegel, che considera la storia come un processo dialettico che divora individui e generazioni, assorbiti in un impersonale genere in evoluzione. Per il teologo danese la pienezza sta ora, nel momento in cui ciascuno entra in comunione con Dio. Per i testi di Kierkegard, loro collegamento e interpretazione, cfr FABBRO C., Riflessioni sulla libertà, a cura di C.Ferraro, Ed. del Verbo Incarnato, Segni, 2004, 153-258

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Nella fede confessiamo che in Cristo, il Logos, (in maniera minima e frammentaria già presente nelle realtà create) si è manifestato in una figura storica concreta, come Parola espressiva del Padre, tutto il Mistero del Dio della creazione-Alleanza. Non solo gli spazi di un universo in espansione trovano nel Crocifisso-glorioso il loro punto luminoso di riferimento, ma è anzitutto la storia umana a trovare in lui il centro di solidarietà, di pienezza personale, filiale, fraterna.

5.3 La creazione in Cristo, per Cristo, verso Cristo in prospettiva diacronica.

La fede in Cristo, la sua sequela, non significano una separazione dalla dinamica della storia, ma un porsi in sintonia, un operare secondo il senso vero della storia e del cosmo. La mediazione creatrice e redentrice del Logos incarnato costituisce infatti la vera unità di tutto l’operare di Dio, di tutta la responsabile cooperazione umana. «L’atto di fede introduce l’intelletto isolato e frammentato dell’individuo nel regno di Colui che è il Logos, la ragione, e il fondamento ragionevole di tutti gli esseri, di tutte le cose, e di tutta l’umanità.»154

Tutto l’operare di Dio “ad extra”, la libera creazione, è sempre mediata dal suo Logos, la sua perfetta immagine. Tutto ciò che viene creato passa come attraverso il Logos, è creato in e per Lui: cosi ogni realtà creata esprime un minimo, più dissomigliante che somigliante, della Parola-Logos divina. Ora nell’unica creazione esistente, creata in, per, verso Cristo,155 ogni realtà creata avviene nella prospettiva dell’Incarnazione storica del Verbo nell’umanità di Cristo. Cristo, Logos di Dio, è sempre il principio attraverso il quale Dio esce da se stesso, sia nella creazione, sia nella salvezza-redenzione.

Non dobbiamo mai confondere creazione e salvezza, (grazia, vita filiale...), ma poiché ogni relazione del mondo a Dio si stabilisce sempre attraverso il Logos incarnato, Gesù di Nazareth, dalla fondazione del mondo al suo manifestarsi glorioso, abbiamo in Lui l’unità intrinseca di creazione e salvezza. Cristo vero Logos di Dio, la sua Verità immagine filiale, mediando creazione e salvezza, ci introduce al progetto sapiente di Dio; lo realizza nello Spirito Santo, Amore, come dono. La crescita vera dell’uomo nella storia non avviene come un procedimento logico razionale, una <Etica more geometrico demonstrata> 156, tipo Spinoza, ma in un dinamismo di dono, di Amore vero, comunicativo.

Accogliendo Cristo, ponendoci alla sua sequela nella Chiesa, viviamo secondo il dinamismo autentico, la ragione vera del cosmo e della storia. Nella sequela di Gesù, non ci poniamo accanto, non risultiamo marginalizzati al corso della storia, ma ci situiamo nel suo filone centrale: operiamo in sintonia con la ragione e senso vero della storia.157 Avendo Cristo questa rilevanza storica e cosmica cosi universale e decisiva, la fede in Lui non potrà mai convertirsi in una faccenda solamente personale: i valori evangelici possiedono una insostituibile rilevanza universale. L’evento storico Cristo, apparentemente tanto irrilevante, costituisce il centro e la ragion d’essere di tutta la storia e dello stesso cosmo: rappresenta il paradigma, luce, grazia, di ogni ideale umano. Cristo è capo della Chiesa, Signore dell’universo, per creazione e redenzione: l’uomo ed il cosmo hanno sempre senso solo a partire da Lui. La qualità cristiana della vita, non è quindi una semplice sovrapposizione, aggiunta, abbellente l’umano, bensì l’uomo nella sua pienezza e profondità decisiva; non esiste infatti altra creazione, se non l’unica esistente e tutta sulla misura di Cristo: il rifiuto di Lui, del suo Spirito Santo costituisce il fallimento totale dell’uomo (l’inferno).

154 RATZINGER J., La Chiesa e la teologia scientifica, cit. 43.155 Cfr l’insegnamento di Benedetto XVI in Deus caritas est, n 13: ” Se il mondo antico aveva sognato che, in

fondo, vero cibo dell’uomo – ciò di cui ogni uomo vive -- fosse il logos, la sapienza eterna, adesso questo Logos è diventato per noi nutrimento – come amore. L’Eucaristia ci attira nell’atto ablativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione”.

156 CONGAR Y.-M. J, Le theme de Dieu-Créateur et les explication de l’Examéron dans la Tradition chrétienne. in l’Homme devant Dieu, mélanges offerts au Père H. de Lubac. T. I, Exegese et patristique, Aubier, Paris, 1963, 189-222

157 Cfr LADARIA L.F., Antropologia teologica. cit 49-62; MERSCH E., Le corps mystique du Christ, Bruxelles 1951

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L’Immagine filiale incarnata realizza al massimo l’umanità, pur restando la Persona divina senza alcuna confusione con la natura umana. Non si dà altro modello per l’uomo che Cristo stesso: non solo per il Cristiano, ma per ogni uomo.

5.4 Dio creatore per Cristo nell’insegnamento della Chiesa dei Padri.

I cristiani hanno sempre professato la loro fede in Dio Padre onnipotente, creatore, per Cristo, di tutto ciò che esiste: questa professione costituisce il sicuro fondamento, il primo orientamento, che rende possibile l’accettazione della globalità della rivelazione cristiana.

Non ci stupiamo quindi di vedere la professione di fede in Dio creatore rinnovata nei momenti più solenni ed impegnativi della vita della Chiesa e dei singoli cristiani. I catecumeni la professano nel loro Battesimo: ai tempi di Giustino, filosofo e martire del II sec.158, la prima domanda nel conferimento del sacramento era: ”Credi tu nel Padre, Signore e Dio dell’universo?”. Possiamo notare lo stesso nel rito Battesimale descritto nella Tradizione apostolica di Ippolito Romano (III sec.).159

I Simboli della Fede (DH 1-60), che con tutta probabilità trovano la loro origine nelle liturgie battesimali, esprimono nel primo articolo la fede in Dio onnipotente (pantokrator, cioè sovrano dominatore). Nei Simboli di fede elaborati nelle Chiese orientali si specifica la funzione creatrice di Cristo con espressioni che riecheggiano Gv 1,3 e Col 1,16 ( DH. 40-60). 160

Già Giustino (Apologia I,67, 1-7) afferma che in tutte le loro offerte i Cristiani benedicono il Creatore dell’universo per mezzo del Figlio suo Gesù Cristo e dello Spirito Santo. Le costituzioni Apostoliche (fine del IV sec.) così rendono grazie a Dio nell’Anafora della Liturgia Clementina:“ E’ veramente degno e giusto di lodarti sopra tutte le cose Te , vero Dio, che esisti prima di tutte le creature [….] Tu hai condotto tutte le cose dal nulla all’essere per mezzo del tuo unico Figlio, avendolo generato prima di tutti i secoli [….] per Lui Tu hai creato […] “ (Const. Apost. VIII 12,6s).161

Le Anafore eucaristiche contengono azioni di grazie per i doni della creazione; nelle Anafore orientali ciò avviene nel Prefazio, così pure nella preghiera eucaristica di Ippolito Romano. Nel Canone romano la preghiera benedicente Dio creatore rappresenta invece la conclusione del Canone, quasi per riassumere tutti i doni di grazia che da Dio creatore e salvatore nella celebrazione del Memoriale del Signore scendono per Cristo sull’uomo; così suscitare la seguente Dossologia, la Glorificazione che per Cristo, nello Spirito Santo, risale al Padre.

Si rinnova la fede nel Creatore anche nelle preghiere liturgiche del Messale romano: i Cristiani, come già gli Israeliti, hanno imparato a fondare la loro certezza che Dio avrebbe realizzato il suo piano di salvezza e soccorso il popolo, invocandolo come Onnipotente creatore. La sua attuale opera di redenzione e misericordia è in continuità con la sua opera di creazione: la stessa onnipotenza dimostrata nella Creazione, viene invocata affinché porti a compimento il suo progetto di salvezza.

Così molte delle nostre attuali preghiere liturgiche iniziano con l’invocazione del Pantokràtor :<Omnipotens sempiterne Deus>. La creazione, nella Liturgia come nella Scrittura, è considerata il fondamento stabile della storia salvifica. La stesa struttura settimanale della preghiera liturgica presenta un chiaro riferimento a Genesi 1: modello di tutte le settimane liturgiche è stata la settimana della Creazione.

158 JUSTIN, Apologie pour les Crétiens, Introduction, Texte critique, traduction et notes par MUNIER Ch., (=SC 507), Paris 2006, 61, pag 290-293. GIUSTINO, Le Apologie, introduzione di Rebuli L., ed. Messaggero, Padova

159 HIPPOLYTE de Rome, La Tradition apostolique, Introduction, Traduction, notes par BOTTE B., (SC= 11bis), Cerf, Paris 1968, 21, pag 84s.

160 Cfr KELLY J.N.D., I Simboli della fede nella Chiesa antica. Nascita, evoluzione, uso del Credo, E.Dehoniane Napoli, 1987, !92: “ Entrambi i tipi di Credo sono assolutamente teologici, ma nel credo occidentale il centro di interesse è il Kerigma originario sul Salvatore, mentre nel Credo orientale si impone con maggior chiarezza la dimensione cosmica del dramma”

161 Les Constitutions apostoliques, T.III,par M. Metger (=SC n 336), 52-53

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Per i Cristiani, rispetto ad Israele, si dà questa profonda differenza: ”Il giorno di riposo (la Domenica) non è più per noi la conclusione dei giorni lavorativi, ma il loro inizio, in memoria della Risurrezione di Cristo, che è l’inizio della nuova creazione”.

Congar osserva ancora che la massima celebrazione liturgica dell’anno, la Veglia pasquale, con il battesimo dei Catecumeni, inizia le sue letture con il ricordo della creazione: nelle acque battesimali continua l’opera creatrice e ordinatrice di Dio, come già nelle acque primordiali di Genesi 1. La lettura dei primi capitoli di Genesi è costantemente presente, anche nelle Chiese orientali: N.S. Gesù Cristo nella sua Pasqua ricrea, riconcilia quel mondo che già agli inizi era stato creato per Lui.

“Si, [commenta Congar], la creazione è strettamente connessa e presupposta alla redenzione. Dio rigenera perché all’inizio ha donato l’essere e la vita; egli inaugura una nuova creazione perché all’inizio ha creato tutte le cose. Il fedele ha bisogno che qualcuno che glielo ricordi nel momento in cui si impegna in una conversione ove si tratta <di noi e di tutto noi>, nel momento in cui si abbandona a Dio per accogliere la sua azione di salvezza; nel momento in cui si affida alla promessa, il fedele si ricorda e confessa che questa promessa e questa opera di salvezza vengono da Colui che ha fatto il cielo e la terra, al quale tutte le cose sono sottomesse, e che modera sovranamente il loro corso.” 162

Si afferma qualcosa di più che l’identità del Creatore e del Salvatore, si afferma un rapporto intimo tra la creazione e la salvezza, perché la salvezza costituisce una ricreazione, una rigenerazione. In questa prospettiva accogliamo il comando di Gesù :

”A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato”(Mt 28,18-20).

Gesù è inviato a “cercare e salvare ciò che era perduto”(Lc 19,10), ristabilire la conformità a Dio nelle creature, fatte all’inizio a sua immagine e somiglianza, poi dolorosamente deformate.Anche i Martiri hanno sovente confessato Dio creatore davanti ai magistrati, come già era narrato nel Libro dei Maccabei II, 7,27-29.

Alla Liturgia, lex orandi-celebrandi che esprime in modo autentico questi aspetti fondamentali in sintonia con la lex credendi della Professione di fede, corrisponde un insegnamento più catechistico, teologico, morale, che i Padri affidano a commenti sulla creazione dei sei giorni di Genesi, chiamati perciò Hexaemeron163. Essi si prestano bene per presentare una dottrina corretta non solo su Dio creatore, ma anche sull’uomo Immagine di Dio e sul mondo creatura di Dio.

5.5 La fede in Dio creatore nel contesto culturale monista e dualista.

Il cristianesimo diffondendosi nel mondo culturale greco-romano, si trovò a confrontarsi con religioni a carattere fortemente cosmico: senza principio, questo mondo è considerato divino, il dio cosmo; i corpi celesti sono eterni e incorruttibili, non conoscono altro movimento che quello circolare, uniforme, considerato perfetto. La teologia diviene facilmente un capitolo della cosmologia; l’uomo è considerato un microcosmo, per conoscere se stesso deve guardare le stelle.164

Il monismo particolare che la Chiesa affronta annunciando il Vangelo è lo stoicismo, la sintesi culturale della grande filosofia greca, l’ideologia sottostante i metodi ideali del governo imperiale; lo stoicismo esprime una grande fiducia in un cosmo ordinato, animato da un Logos razionale. Ai funzionari si richiede, attraverso una opportuna educazione (paideia) di conoscere i segreti di questo logos tutto reggente, per essere in grado di governare con successo il mastodontico impero.

162 CONGAR Y.M.,Le theme de Dieu-Créator, cit., 195163 Id. ivi, 215-221, Congar espone un inventario letterario della Tradizione cristiana riguardo l’opera dei sei

giorni164 MINNERATH R., Les chrétiens et le monde, (I° et II° siècles). Gabalda, Paris 1973, 1-6

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Vedremo, nel nostro percorso storico, la ricomparsa di altre forme di Monismo: il sottofondo culturale che le genera, è sempre un atteggiamento ottimistico, l’illusione di avere individuata la legge fondamentale che regge il pensiero e la prassi, che rigorosamente applicata, risolverà ogni problema umano. Questo è l’atteggiamento che possiamo individuare nell’idealismo hegeliano, nel marxismo.165

La crisi che segue a queste speranze idealizzate, non corrispondenti alla realtà né di Dio, né dell’uomo, tanto meno dello stesso mondo, portano facilmente ad un atteggiamento opposto, di sfiducia in tutto ciò che sa di corporeo, in una visione dualistica: il male, le tenebre convivono con la luce, il bene. Si tratta di settori distinti della realtà: il male, le tenebre sono irrecuperabili, talora così intensamente ontologizzate da essere attribuite ad un Principe del male.166

Esamineremo con più attenzione il dualismo proprio della Gnosi valentiniana del II sec., la sua confutazione in Ireneo di Lione. Prospettive dualistiche si trovano nelle credenze religiose di molti popoli, specialmente nella Persia, con Zaratustra trovano una sistematizzazione.

Quando prospettive dualiste si introducono in ambito cristiano, il disprezzo della materia si traduce in opposizione tra il Dio della salvezza e il Dio della creazione, perché la materia risulta in se cattiva. Gesù ha un corpo apparente (monofisismo), la sacramentalità e l’istituzione della Chiesa non hanno significato salvifico. Il dualismo mai del tutto spento nell’oriente, risorse con virulenza nei sec.XII e XIII nell’Italia settentrionale e nella Francia meridionale (Catari e Albigesi); al suo rifiorire non sono estranei i movimenti spirituali, pauperistici che contestavano la Chiesa istituzionale alquanto mondanizzata in un contesto sociale di ricchezza male distribuita.

Tendenze dualiste attraversano la cultura moderna, quando si stenta a comporre in visione unitaria, Spirito e materia, anima e corpo: pensiamo alla res cogitans e extensa di Cartesio, fenomeno e noumeno in Kant, l’esistenzialismo angosciato di alcune tendenze che trascurano un sano inserimento nel cosmo; forse anche in certe forme di pensiero debole, di nichilismo.Il monismo e dualismo di fronte alla fede.

Notiamo anzitutto come il luogo di riferimento per valutare monismo e dualismo non è la propria esperienza soggettiva, più serena o drammatica, ottimista o pessimistica, ma la parola di Dio come è annunciata, celebrata, nella Chiesa e accolta nella fede, il sano esercizio della mente e del cuore.

Il cristiano alla luce della fede nell’unico Dio della creazione ed Alleanza ha una chiara coscienza del male e del peccato, della finitezza e della sofferenza, ma contemporaneamente una coscienza ancor più forte del Bene, dell’Essere che gli dà speranza e promette liberazione e beatitudine.

Questo Bene, Essere dominante non lo localizza nel mondo, in una sua parte o forza terrena immanente, ma in un Dio personale che liberamente crea, elegge, perdona e salva. Questo Bene, Essere, Dio personale è infinitamente superiore alla nostra realtà umana, mondana, ai desideri stessi dell’uomo: risulta essere veramente trascendente. La bontà dell’uomo e del mondo non sono in sé divine, ma unicamente creazione buona di Dio, che per Cristo, nello Spirito Santo, restando creature, sono accolte nella stessa intimità di verità ed amore del Padre. Anche il corpo, la materia le istituzioni sono creature di Dio, quindi buone, redimibili, possono essere strumenti sacramentali della Grazia.

Il Dio trascendente è pure immanente, sino al vertice dell’Incarnazione, dell’unione <ipostatica> delle Persona divina del Figlio nella sua SS. Umanità. Il male morale, e l’acuta sofferenza che ne consegue, tollerate e redente nel progetto di Dio, sono frutto della libertà dell’uomo, del suo peccato.

La salvezza non consiste nella negazione della materia, del corpo come zone irredimibili dell’essere, ma nell’accettazione del dono di Grazia, Spirito Santo, frutto della Croce gloriosa di

165 Cfr TRESMONTANT C., Cristianesimo, filosofia, scienze, Jaca Book, Milano 1983, 14-43, esamina i monismi, sia di tipo orientale, idealista, più spirituali, sia quelli di tipo più materiale, come marxismo, evoluzionismo materialista.

166 MINNERATH R., Les chrétiens et le monde, cit., 6-17.

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Cristo, che stimolano la responsabile conversione, per risanare, rinnovare, riorientare a Dio il cuore umano e attraverso esso tutta la realtà creata. Il male sarà definitivamente vinto nella Parusia, la manifestazione finale del Crocifisso glorioso, la sua capacità di creare cieli nuovi e terra nuova.

Il no al Dualismo significa l’accettazione dei dogmi in cui il corpo ha la sua parte nell’economia salvifica: Incarnazione, Sacramenti, Chiesa, Escatologia; significa anche interessamento onesto per tutta la realtà creata, secondo il valore proprio di ogni creatura, la vocazione personale di ciascuno (Cfr GS n 38 e 43). Significa opere di Giustizia, Carità e promozione umana, affinché l’uomo possa sviluppare pienamente la sua vocazione di Immagine di Dio.

La vera dualità non è da porsi tra un mondo della luce e uno delle tenebre confusi nella realtà umana, costitutivi della stessa, ma tra un Dio trascendente, pienezza di essere, e questo mondo creato di perfezione partecipata, finita e dipendente, chiamato nell’uomo, Immagine di Dio, ad una intensa comunione di vita in Dio stesso.

Nella stessa creatura si dà, è vero, una certa dualità: nell’uomo l’anima espressa in un corpo; il soggetto umano così costituito e la grazia soprannaturale che intimamente lo segna e qualifica. Ma queste dualità sono naturali, costitutive, per il bene dell’uomo ( anima, sue facoltà spirituali ed il corpo, suoi sensi e psichismo), o indicano il carattere del tutto gratuito della Grazia soprannaturale, che impregna intimamente l’uomo, ma restando divina, mai del tutto naturalizzabile.

Il no della fede al monismo significa ribadire la trascendenza di Dio; Egli non è parte di questo mondo imperfetto e contingente, in continuo divenire. Dio non ha nessuna necessità di creare il mondo, quasi avesse bisogno di realizzare se stesso attraverso un processo storico. Appunto perché Dio è pienezza di vita e di ogni perfezione, ci assicura che il mondo da Lui creato, redento, può raggiungere la propria perfezione.

Distinguendo il mondo da Dio si assicura al mondo la sua autentica realtà e consistenza creata, la sua relativa, giusta autonoma attività (GS n 36); in conseguenza la salvezza dell’uomo non sarà la passiva accettazione eroica di un fato ineluttabile, non consisterà nel frutto di uno sforzo naturale, autosufficiente, ma nella libera disponibilità dell’uomo a collaborare con Dio creatore e salvatore.

La fede ammonisce il monismo a non trascurare alcune necessarie distinzioni: non ci è lecito identificare Dio e il mondo, lo Spirito con la materia; non si può ridurre la vita soprannaturale, qualitativamente diversa, alla vita razionale. L’errore del monismo sorge da un desiderio legittimo di ordine, armonia universale, superamento delle alienazioni. La fede accoglie queste aspirazioni legittime: in realtà tutto è creato da Dio e tutto deve servire, ordinatamente, attraverso la partecipazione al Mistero pasquale a riportare l’uomo in stretta comunione di vita con Dio.

Ma non perché il principio ed il fine ultimo delle creature sono lo stesso Dio, si può confondere Dio col mondo, lo Spirito con la materia, la Persona divina di Cristo con la natura umana in cui si esprime e con cui ci salva, la Chiesa col mondo da salvare.

In termini di filosofia scolastica: l’analogia entis indica una certa somiglianza ma ancor più la dissomiglianza tra chi possiede la perfezione dell’essere in modo pieno ( Unità, Verità, Bontà delle Relazioni sussistenti trinitarie), e chi questa perfezione la possiede in modo partecipato e limitato.

La fede non ci dice aut-aut (Dio o mondo, Spirito o materia = dualismo) che si trasforma facilmente in un solus (solo Dio, solo Spirito = panteismo, idealismo; o sola materia = materialismo) ma invece ci comunica un et-et ( Dio e mondo, Spirito e materia) affermando il primato dello Spirito e di Dio.

6 La salvezza della creazione dalla gnosi dualista.L’ideologia del mondo con la quale gli Autori dei Libri sapienziali e neotestamentari ebbero

a confrontarsi, fu anzitutto lo stoicismo, duttile sintesi della grande filosofia greca, in una prospettiva ottimista, monista, circa il Cosmo, il suo carattere divino, animato dal Logos-Pneuma.

Il primo articolo del credo battesimale introduce un primo ordine fondamentale tra Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, il suo Figlio incarnato, per il quale tutto è stato creato, lo Spirito Santo Signore e vivificante, e la totalità della creazione. La bontà del mondo risulta essere quella propria, limitata, di una creatura, certo qualificata dall’incarnazione del Figlio,

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redenta nel suo sangue. Il Vangelo sposta il fondamento della Speranza (ottimismo) dal dio cosmo, che è in sè solo una creatura limitata, al Dio Figlio incarnato, crocifisso-glorioso, datore dello Spirito Santo vivificante.

La Professione battesimale ed eucaristica costituisce un atto personalissimo di fede nel Dio Uno-Tripersonale, vissuta in sintonia con la confessione pubblica della Chiesa apostolica, fondamento di una personale conversione a Cristo, Figlio incarnato del Padre, nella sua Chiesa; un atteggiamento del tutto diverso dal razionalismo virtuoso stoico.

Come avverrà per tutti i monismi ottimistici che si ripeteranno nel corso dei secoli (illuminismo, idealismo, scientismo, marxismo), anche lo stoicismo cederà necessariamente il passo ad un dualismo disperato: la gnosi; il mondo infatti delude, si finisce per disprezzare la materia in se irredimibile. L’unica salvezza è posta in alcuni germi, spirituali, divini, che si trovano in alcuni uomini, di cui bisogna prendere coscienza per ricongiungersi al pleroma divino del tutto trascendente.

Una salvezza individuale, per alcuni spirituali, di natura razionale, e non del corpo e della materia, in se irredimibili. Qui dobbiamo situare la grande opera di chiarificazione realizzata dai Padri del II secolo: la prima realtà bisognosa di salvaguardia nella sua bontà-verità fondamentale è stata il cosmo e il corpo. La prima grande opera di salvataggio operata dalla Chiesa ha riguardato il cosmo ed il corpo, creature di Dio. In quanto create da Dio, sono da considerare nel progetto cristico-ecclesiale di incarnazione e redenzione, chiamate alla risurrezione, smantellando le ideologie gnostiche nel loro pessimismo disperante, contrario a rivelazione e ragione.

In questa prospettiva della creazione “cristofondata”, dell’uomo creato secondo l’Immagine di Dio, Cristo, esaminiamo l’opera di un campione della fede apostolica, nella chiarificazione anti-gnostica: Ireneo di Lione, il primo teologo sistematico con la sua convincente teologia biblica. Sarà poi Clemente di Alessandria a rilanciare la logos-teologia: un cammino necessario per l’intelligenza della fede apostolica, che si dimostrerà lungo e complesso.

6.1 Ireneo di Lione (n.130 - † inizi III sec.).È un orientale, nativo della regione di Smirne (verso il 130), discepolo di Policarpo (†160),

appartiene alla seconda generazione dopo gli Apostoli; ha chiara coscienza che la divina Rivelazione si è compiuta in Cristo, Figlio, Verbo di Dio, e viene fedelmente trasmessa nella Chiesa apostolica affinchè sia ovunque annunciata.

Emigrato nella valle del Rodano, Vescovo di Lione verso il 180; la sua principale opera antignostica è: Contro le Eresie (Adversus Haereses), smascheramento e confutazione della falsa gnosi, in cinque libri 167. Nel primo libro Ireneo espone il sistema gnostico di Valentino, contrapponendovi un sunto della dottrina della Chiesa. Segue a questo “smascheramento” la “confutazione” nei seguenti quattro libri, basati il secondo sulla ragione, il terzo sulla tradizione e sull’insegnamento degli Apostoli, il quarto su detti del Signore e su passi profetici dell’Antico Testamento. Il quinto libro tratta specialmente dei novissimi, la risurrezione della carne: qui l’autore si rivela millenarista.

Ricordiamo inoltre di Ireneo: Dimostrazione della Predicazione Apostolica, con carattere catechetico di edificazione; dimostra la verità del Vangelo basandosi su passi dell’Antico Testamento.

167 IRENEO di Lione, Contre les hérésies, livre I, ed. Rosseau A. et Doutrellau L., T. I, Introduction, notes justificatives, tables; T. II, Texte et traduction, (=SC 263-264) Cerf, Paris 1979; Livre II, (=SC 293-294) id. 1982; Livre III, (=SC 210-211) id. 1974; Livre IV, ed. Rousseau A., Doutrellau L., Hemmerdinger B., Mercier Ch., (=SC 100) id. 1965; Livre V, ed. Rousseau A., Doutrellau L., Mercier Ch., (=SC 152-153) id. 1969; Contro le eresie e altri scritti, a cura di Bellini E., Jaca Book Milano 1979; Cfr ORBE A., Antropologia di S. Ireneo, BAC Madrid 1969; von BALTHASAR H.U., Gloria, vol II, Stili ecclesiastici, Jaca Book, Milano 1975, 21-77; SESBOÜÈ B., Tout récapituler dans le Christ, Cristologie et sotériologie d’Irénée de Lyon, Desclée Paris 2000

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L’insegnamento gnostico valentiniano, che stava inserendosi ovunque, corrompendo del tutto la fede ecclesiale, si può cosi indicare nelle sue linee essenziali:

a) Il Pleroma o pienezza divina, è costituito da trenta Eoni, o emanazione divine, con al vertice di tutte il Padre divino, con al suo lato Sige, il Silenzio.

b) Il nostro mondo non è il frutto di una libera creazione, ma il triste risultato dell’insubordinazione dell’Eone Sofia, che ha tentato di comprendere il Padre supremo, cosa che non le è concessa; la presunzione di Sofia, produce una realtà mostruosa, che viene espulsa dal pleroma divino.

c) Il nostro mondo è pertanto il frutto di un incidente del Pleroma divino, una decadenza; non si tratta di vera creazione, libera, per amore.

d) L’ordinatore di questo mostruoso prodotto di insubordinazione, non è il Padre supremo, ma un demiurgo identificato al Dio della rivelazione veterotestamentaria: ne segue un completo disprezzo dell’Antico Testamento.

e) Non si dà vera incarnazione perché la materia è in se irredimibile.f) Si salva chi ha in sè germi del mondo divino, che per qualche sotterfugio sono passati nel

nostro mondo; devono essere riconosciuti per un impegno intellettuale; non si considera l’impegno morale, nella Carità.

g) Questa gnosi è una dottrina segreta, esoterica, il vero vangelo, consegnata ai maestri della gnosi, ed ora manifestata. Sotto una patina di vocabolario biblico, si introduce una completa corruzione della Dottrina apostolica. 168

Ireneo confuta queste false dottrine, in modo sistematico, valorizzando storia e categorie bibliche; si astiene invece da speculazioni sul dato rivelato, su Dio e sull’uomo, volendo contrastare gli eccessi aberranti della gnosi sulla natura di Dio e dell’uomo. Insiste sulla creazione e sulla storia salvifica. Realizza anzitutto una solida fondazione della Dottrina della Fede, attraverso quella che ora indicheremo come Teologia fondamentale: “credo Ecclesiam”, per credere in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Solo nell’insegnamento delle Chiese con successione apostolica, si può trovare la Dottrina del Signore: a questo scopo fornisce la lista dei Successori di Pietro in Roma, la Chiesa apostolica cui riferirsi.

Riportiamo alcuni testi dall’Adversus Haereses:III, 3,1 La tradizione degli apostoli diffusa in tutto il mondo, può essere trovata in ogni

Chiesa, da coloro che vogliono vedere la verità, e a noi è possibile elencare coloro che dagli apostoli furono costituiti vescovi nelle varie Chiese, e i loro successori fino a noi; tutti costoro non hanno mai né insegnato né conosciuto le pazzie che quei tali (gli gnostici) vanno sognando. Se gli Apostoli avessero conosciuto misteri arcani da insegnare solo ai «perfetti», di nascosto dagli altri, li avrebbero senz’altro tramandati a coloro cui affidarono le stesse Chiese. Volevano infatti che fossero perfetti e irreprensibili in tutto, quelli che lasciavano come loro successori, affidando ad essi il loro magistero; infatti, agendo essi bene, ne sarebbe venuta grande utilità a tutta la Chiesa, mentre se fossero venuti meno, ne sarebbero provenuti gravi danni.

III, 3,2 Ma poiché sarebbe troppo lungo in un volume come questo numerare le successioni di tutte le Chiese, indichiamo solo la tradizione ricevuta dagli apostoli, la fede annunciata a tutti gli uomini e giunta fino a noi nella successione episcopale, della Chiesa più grande e più antica, conosciuta da tutti; della Chiesa fondata e costituita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e

168 Sotto l’aspetto letterario e culturale la gnosi di Valentino ha grande fascino: von BALTHASAR H.U., Gloria, vol. II Stili ecclesiali ,op. cit 27: “Se ci si lascia influenzare da questo sistema, qui definito solo sinteticamente, non gli si può negare una grandiosità ed una completezza filosofica e religiosa; vi è preso in considerazione tutto ciò che può commuovere gli uomini, e tanto più, tutto ciò che può entusiasmare i dotti della tarda antichità. [...] Valentino è senza dubbio un vigoroso poeta, ed è ben comprensibile che i grandi poeti abbiamo sempre di nuovo sentito il fascino dello gnosticismo e ne siano stati vittime.[...] la stessa passione per il bello, lo stesso spiritualismo, la stessa tragica e manichea scissione interiore e soprattutto la stessa indistinzione e ambiguità estetica, che con tutte le posizioni gioca solo musicalmente, senza impegnarsi moralmente neppure una volta, e perciò genera semplicemente l’illusione estetica”; KELLY J.N.D., Early christian doctrines, A. and C. Black, London 1958, 22-28.

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Paolo. Possiamo confondere così tutti coloro che in qualsiasi modo, o per presunzione, o per vanagloria, o per cecità e gusto dell’errore, fondano conventicole.

Con questa Chiesa, per la sua esimia superiorità, deve accordarsi la Chiesa universale, cioè i fedeli che sono ovunque; in essa infatti viene conservata, per coloro che sono dovunque, la tradizione derivante dagli Apostoli.

III, 3, 3. I beati Apostoli, che fondarono e costituirono quella Chiesa, affidarono poi a Lino l’ufficio episcopale di governarla. Questo Lino è ricordato anche da Paolo nelle sue lettere a Timoteo. Lo seguì Anacleto; dopo questi, al terzo posto dopo gli apostoli, ebbe l’episcopato Clemente, che aveva conosciuto i beati Apostoli, aveva conversato con loro e, mentre risuonava ancora la loro predicazione, aveva avuto sotto gli occhi la tradizione; e non era il solo, perché sopravvivevano molti direttamente istruiti dagli apostoli. Sotto Clemente ebbe luogo una ribellione non piccola tra i fratelli che erano a Corinto; la Chiesa di Roma scrisse perciò ai Corinti una lettera molto energica, richiamandoli alla pace, rinsaldando la loro fede e proclamando la tradizione poc’anzi ricevuta dagli Apostoli [.….]

A questo Clemente successe Evaristo, e ad Evaristo Alessandro; poi, sesto dagli apostoli, fu costituito vescovo Sisto; dopo di lui, Telesforo, che sostenne un glorioso martirio. Poi Igino, poi Pio e poi Aniceto. Ad Aniceto successe Sotero; e ora, al dodicesimo posto dopo gli apostoli, ha l’episcopato Eleuterio. Per quest’ordine e questa successione, la tradizione apostolica, la predicazione della verità nella Chiesa è giunta fino a noi. È questa una dimostrazione fortissima che una e identica è la fede vivificatrice affidata dagli apostoli alle Chiese e conservata genuina fino ad oggi.

Ireneo edifica su questa base di sicura tradizione petrima-apostolica, un’organica teologia biblica che ha per verità centrale, “architettonica”, la creazione-redenzione per il Verbo Incarnato, Crocifisso-Glorioso, nello Spirito Santo.

a) Il Padre crea con le sue due mani, il Figlio e lo Spirito Santo :IV, 20, – Secondo il suo amore, poiché è questo che ci conduce a Dio mediante il suo Verbo,

coloro che gli obbediscono, imparano […] che esiste un Dio che è stato così grande che è stato Lui stesso, da Se stesso a fondare, creare, ordinare tutte le cose[…], dunque anche noi siamo stati creati da Lui. Dio non aveva bisogno di loro [intermediari] per creare ciò che aveva deciso di creare. come se non avesse le sue mani!. Da sempre infatti, gli sono accanto il Verbo e la Sapienza, il Figlio e lo Spirito 169

L’uomo è modellato (la plasmazione del limo della terra Gn 2,7) secondo l’Immagine del Verbo Incarnato.

V, 6,1 – Dio sarà glorificato nella sua propria creatura, rendendola conforme e simile al suo proprio Figlio. Infatti per mezzo delle mani del Padre - che sono il Figlio e lo Spirito – l’uomo nella sua interezza, e non in una sua parte sola, è fatto ad immagine e somiglianza di Dio.

V, 16,1 – Non si deve più cercare un altro Padre all’infuori di questo, né un’altra sostanza [il limo di questa terra], con cui siamo stati plasmati oltre quella che abbiamo detto prima e che è stata indicata dal Signore, né un’altra mano di Dio oltre a quella che dall’inizio alla fine ci plasma, ci prepara per la vita, è accanto alla sua creatura e la rende perfetta a immagine e somiglianza di Dio.

b) Il Verbo presiede a tutte le economie, della creazione, legge, profeti, dell’Incarnazione-croce: in tutte queste economie concede una manifestazione progressiva, opportuna, secondo il tempo della storia salvifica considerato, del Dio invisibile.170

169 Cfr il cap. VIII di SESBOŰĖ B., Tout récapituler dans le Christ, cit. 183-199: Le Père et ses deux mains, le Fils et l’Esprit.

170 Il termine “economie” indica in Ireneo le tappe della storia salvifica, in cui agisce Cristo, per poi tutte ricapitolarle in sé. Già in Melitone di Sardi compare il verbo “proikonomeo”, “disporre secondo un piano” ( Peri Pascha n 57); già un autore precedente, come Ignazio di Antiochia, usa “oikonomia”, per riferirsi a fatti storici particolari (concezione verginale, nascita, morte di Cristo: Ef 18,2; 20,1), cfr VIGNOLO R., Storia della salvezza nel Peri pascha

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IV, 20,7 – Perciò il Verbo divenne dispensatore della grazia paterna a vantaggio degli uomini, per i quali ha stabilito così grandi economie, mostrando Dio agli uomini e presentando l’uomo a Dio: salvaguardando l’invisibilità del Padre, affinchè l’uomo non divenisse disprezzatore di Dio, e avesse sempre un punto verso cui progredire, ma nello stesso tempo mostrando Dio visibile agli uomini, per mezzo delle molte economie, affinchè l’uomo privo totalmente di Dio, non cessasse di esistere. Infatti la Gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la manifestazione di Dio, e molto di più la manifestazione del Padre per il Verbo.

c) Il Verbo incarnato ricapitola in se tutte le precedenti economie, e ricapitola nella sua vita ogni condizione umana (fanciullezza, età adulta) 171

III,18,1 -- Si è dimostrato chiaramente che il Verbo, che esisteva in principio presso Dio, mediante il quale sono state create tutte le cose, che da sempre era presente al genere umano, egli stesso negli ultimi tempi, nel tempo stabilito dal Padre, si unì alla sua creatura e divenne uomo passibile [….]; ma quando si incarnò e divenne uomo, ricapitolò in se stesso la lunga storia degli uomini, procurandoci in compendio la salvezza, affinchè ricuperassimo in Cristo Gesù ciò che avevamo perso in Adamo, cioè l’essere ad immagine e somiglianza di Dio

II,22 - Egli è venuto a salvare tutti per mezzo di se stesso […] E per questo è passato attraverso ogni età: si è fatto infante per gli infanti, per santificare gli infanti; fanciullo tra i fanciulli per santificare coloro che avevano questa stessa età divenendo contemporaneamente, per loro, esempio di pietà, di giustizia e di sottomissione; giovane tra i giovani, per divenire esempio per i giovani e consacrarli al Signore. Così si è fatto adulto tra gli adulti, per essere un maestro perfetto in tutto, non solo in rapporto all’esposizione della verità, ma anche in rapporto all’età, per santificare anche gli adulti divenendo primogenito anche per loro. Giunse poi fino alla morte per essere <il primogenito dai morti, essendo egli il preminente in tutte le cose>, il principe della vita, il primo di tutti e colui che precede tutti.

d) La salvezza dell’uomo consiste nel perseverare nella fede e nell’amore, opere di onesta carità: lasciarsi “fare” da Dio : 172

IV,39,2 - Perché non sei tu che fai Dio, ma è Dio che fa te. Se dunque sei l’opera di Dio, aspetta la mano del tuo Artefice, che fa tutte le cose al tempo opportuno, naturalmente per te che sei fatto. Presentagli il tuo cuore morbido e malleabile.

Consiste nell’ “assuefarsi” a stare con Lui: “ Il Verbo di Dio che abitò nell’uomo divenne Figlio dell’uomo per abituare l’uomo ad accogliere Dio ed abituare Dio ad abitare nell’uomo secondo il beneplacito del Padre” (III, 20,2); “infatti la Gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo è la manifestazione di Dio.”(IV, 20,7)

.e) L’uomo è immagine di Dio per il corpo plasmato dalle mani di Dio, secondo il modello

dell’umanità di Cristo; accogliendo il dono dello Spirito Santo diviene somiglianza di Dio:

V, 6,1 – Dio sarà glorificato nella sua creatura, conformata e modellata sul proprio Figlio, poiché per le mani del Padre - che sono il Figlio e lo Spirito – l’uomo nella sua interezza, e non in

di Melitone di Sardi in La Scuola Cattolica XCIX (1971), 3-26; interessante notare con PRESTIGE G.-L., Dieu dans la pensée patristique, Aubier, Paris 1955, 98-108, come Tertulliano usa il termine “economia “, come unità strutturata, per indicare l’Unità e la Tripersonalità della SS Trinità. In Ad. Haer. V,18,3 Ireneo afferma che il Verbo invisibile era già fin dall’inizio iscritto (infixus) nella creazione intera, per dare a tutto consistenza, ordine, finalità, alludendo al tema patristico della Croce cosmica, con qualche riferimento al Timeo di Platone: cfr DANIELOU J., La teologia del giudeo cristianesimo, Mulino-EDB 1974, 382-396.

171 Cfr SESBOŰĖ B., Tout récapituler dans le Christ, cit, 130-163; Ireneo sembra insinuare che nostro Signore Gesù Cristo sarebbe vissuto sino al cinquantesimo anno: avrebbe così raggiunto l’età senile. Trova qualche aggancio in Gv 8,57. cfr Ad. haer. II,22,5

172 Cfr von BALTHASAR H.U., Gloria, vol. II Stili ecclesiali, op.cit 52; SCHLIER H., La concezione dell’uomo nel pensiero gnostico, in La fine del tempo, Paideia, Brescia 1974, 125-144.

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una sua parte sola, diventa simile a Dio. L’anima e lo Spirito costituiscono una parte dell’uomo, e non tutto l’uomo, l’uomo perfetto infatti risulta dalla compenetrazione e dall’unione dell’anima, che accoglie lo Spirito del Padre, con la carne, creata anch’essa ad immagine di Dio [….]. La carne strutturata, da sola, non è l’uomo completo, ma solo il corpo dell’uomo, cioè una parte dell’uomo. Ma neppure l’anima da sola costituisce tutto l’uomo: è l’anima dell’uomo, cioè una sua parte. E neppure lo Spirito è l’uomo: si tratta appunto dello Spirito, non di tutto l’uomo. Solo la fusione, l’unione e l’integrazione di questi elementi costituisce l’uomo perfetto.

Per questo l’Apostolo, spiegando il suo pensiero, parlò dell’uomo redento, perfetto e spirituale, con queste parole, nella prima lettera ai Tessalonicesi 5,23: “Il Dio della pace santifichi voi e vi renda perfetti, serbando intatti e senza biasimo il vostro Spirito, l’anima e il corpo, per la venuta del Signore Gesù Cristo. Che motivo aveva di augurare la perfetta conservazione, per la venuta del Signore, appunto dell’anima, del corpo e dello Spirito, se non avesse saputo che l’intima unione di questi tre elementi altro non è che la loro salvezza? E perfetti sono appunto coloro che presentano questi tre elementi uniti, senza meritare rimprovero alcuno. Perfetti sono quindi quelli che hanno costantemente in sé lo Spirito, e custodiscono, evitando ogni biasimo, l’anima e il corpo, conservando la fede in Dio e osservando la giustizia verso il prossimo.

Riguardo all’uomo immagine di Dio per il suo corpo plasmato, dotato di anima (per l’insufflazione di Gn 2,7), reso somigliante per il dono dello Spirito Santo divino, notiamo anzitutto la stretta aderenza di Ireneo alla storia e categorie bibliche. Ascoltiamo quanto in proposito dice L. Ladaria: 173

“Ireneo costruisce la sua antropologia sul corpo, che deve essere trasformato dallo Spirito di Dio. Conosce la definizione corrente dell’uomo come composto di anima e di corpo, ma non si appoggia su di essa per la sua visione teologica […] Lo Spirito opera la salvezza della carne in modo che, agendo su ciò che e’ debole, manifesta meglio il suo potere. L’insufficienza delle nozioni filosofiche viene messa anche in evidenza quando il nostro autore parla della necessità dello Spirito, perché si realizzi l’uomo perfetto, l’essere umano completo. Si tratta dello Spirito di Dio comunicato all’uomo; è chiaramente un principio divino, non una componente antropologica in senso stretto, ma necessario affinchè l’uomo raggiunga la sua salvezza e realizzi il disegno divino su di lui. L’anima è il vincolo di unione necessaria tra lo Spirito ed il corpo, e in virtù della sua libertà, propende verso l’uno o l’altro di questi elementi […] per Ireneo quello che è fondamentale, è la nozione storica dell’uomo, nella quale entrano i disegni di Dio su di lui, non quella filosofica, che per i suoi presupposti è insufficiente. Ireneo vede l’uomo alla luce di Cristo, non pensa ad un uomo costituito al margine di Gesù, che in un secondo momento sia il destinatario della salvezza; sin dal primo istante è la pienezza di vita che Cristo offre quella che determina la sua visione dell’essere umano chiamato a riceverla”.

f) Per il peccato delle origini l’uomo ha perso insieme allo Spirito Santo la somiglianza con Dio; per l’incarnazione del Verbo, che dona le Spirito Santo, viene riconfermato nell’immagine e riottiene la Somiglianza 174

V, 16,2 – Ora questo si mostra vero allorquando il Verbo di Dio si fece uomo; di fatti nei tempi passati si diceva che l’uomo è stato fato ad immagine di Dio, ma non appariva tale perché era ancora invisibile il Verbo, ad immagine del quale l’uomo era stato fatto, ed appunto per questo facilmente perse la somiglianza; ma quando il Verbo di Dio si fece carne, confermò l’una e l’altra cosa: mostrò veramente l’immagine, divenendo egli stesso ciò che era la sua immagine. E ristabilì saldamente la somiglianza, rendendo l’uomo simile al Padre invisibile attraverso il Verbo che si vede. 175.

173 L. LADARIA, Antropologia teologica,,ed Piemme- Pont. Univ. Greg .,Casale Monfer.-Roma, 1995, 126.174 Per la distinzione tra Imago e similitudo in Ireneo cfr. ORBE A., Antropologia de S. Ireneo, Madrid 1969,

118ss175 Cfr anche III,18,1; IV,39,2.

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g) Contro il disprezzo della materia e del corpo, come decisiva prova antignostica, Ireneoparla dell’Eucaristia: la materia eucaristica, pane e vino, divenuti il Corpo e Sangue di Cristo, indicano la bontà fondamentale di questa creazione, inculcano opere concrete di carità:

V, 2,3 - Come possono dire (gli gnostici ) che andrà in corruzione e non avrà parte alla vita quella carne che è nutrita dal corpo e dal sangue del Signore? Cambino di opinione oppure cessino di fare le offerte di cui ho parlato. La nostra dottrina è in accordo con l’Eucaristia e a sua volta L’Eucaristia conferma la nostra dottrina. Noi infatti offriamo a Dio cose sue, manifestando con questo fatto la comunione e l’unione (del Verbo con il corpo ed il sangue) e professando la risurrezione della carne e dello spirito176.

L’opera di chiarificazione dottrinale, spirituale e morale di Ireneo risultò molto efficace nella confutazione della falsa gnosi; si impegnarono in questa estrema necessità, ma non con tanta sistematicità, pure Ignazio di Antiochia, Policarpo e Melitone di Sardi. Ottenuto tanto successo, Ireneo fu presto quasi dimenticato; riscoperto da Erasmo di Rotterdam, la sua conoscenza, stima è stata in continua crescita, tanto che risulta il Padre più citato dal Concilio Vaticano II, dopo S. Agostino.

7 La creazione dell’uomo e del suo mondo per Cristo nella Logos-teologia

La teologia sistematica di Ireneo risulta veramente riuscita perché il campione della lotta contro la falsa gnosi l’ha costruita individuando il vero cuore palpitante della rivelazione-fede e storia salvifica: il Dio della Rivelazione è lo stesso Dio della creazione, che tutto opera nel creare e redimere l’uomo, per il Verbo incarnato crocifisso glorioso nello Spirito Santo; può quindi tutto <ricapitolare>, riportare sotto un unico Capo, lo stesso Cristo Crocifisso glorioso.177

Sa inoltre ispirarsi e unire strettamente ciò che si presenta indivisibile: la Lex credendi, della professione di fede e della S. Scrittura, con la lex orandi, l’Eucaristia <coppa della sintesi> e la lex vivendi, lo stile proprio della vita cristiana, nello Spirito Santo conformata a Cristo. 178

Il Vescovo di Lione nel realizzare così la sua convincente teologia sistematica, si attiene al terreno solido, semplice, delle categorie bibliche, evitando categorie riflesse teologiche, non ancora mature. Risulta evidente nel campo della teologia trinitaria: il Figlio e lo Spirito che partecipano con Dio Padre, all’opera divina della creazione e redenzione, sono indicati come le due <mani> del Padre. L’utilizzo della categorie bibliche, l‘attenersi al linguaggio corrente della Chiesa, lo contraddistingue e lo difende dall’uso intemperante di categorie culturali, psedo-filosofiche come avvenuto nella gnosi valentiniana. Un atteggiamento che potremo indicare anti-modernista, che non indulge alle facili mode culturali del tempo, come erano le costruzioni fantasmagoriche della Gnosi; essa cercava di accontentare tutti, in sintesi estetiche belle e vuote, costruzioni poetiche affascinanti, senza alcun impegno di verità e di morale.

La prudenza circospetta di Ireneo non escludeva i tempi opportuni di una teologia sistematica che, per l’intelligenza della Fede, usasse anche categorie delle grande filosofia greca. Lo consigliava la constatazione che la filosofia aveva già, anche se in modo parziale, purificato le concezioni false e degradate del divino contenute nella mitologia pagana; lo suggeriva l’opportunità di fare emergere il legame tra ragione e religione rivelata. Tale incontro non fu immediato né facile,

176 Per l’Eucaristia, coppa della sintesi, ricapitolazione della ricapitolazione, cfr SESBOŰĖ B., Tout récapituler dans le Christ, cit. 157-159

177 Si fa notare il limite di Ireneo di “ attribuire ad Abramo (IV, 5,5 ) e ai Profeti (IV, 9,3) una conoscenza previa del piano di Dio che si sarebbe compiuto nella Passione di Cristo”: VIGNOLO R., Storia della salvezza nel Peri pascha di Melitone di Sardi ,cit ; cfr von BALTHASAR, Gloria, vol. II Stili ecclesiali ,op cit., 73ss.

178 Ireneo ci offre la prima Teologia sistematica: von BALTHASAR H.U., Gloria vol II, Stili ecclesiastici, op.cit 21:“La teologia cristiana, in quanto riflessione sul mondo della realtà rivelata, è nata con Ireneo; una riflessione che non si esaurisce in un approccio incerto e parziale, ma realizza il miracolo di una speculazione riflessa e compiuta nel suo ordine da parte della ragione credente.”

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anzi l’incontro con la filosofia poteva apparire anche un disturbo; la Dottrina rivelata ha già in sé una completezza e organicità, può essere esposta in una convincente ed intelligente sintesi sistematica, come dimostra l’opera di Ireneo di Lione. (FR n 66).

Si deve inoltre in primissimo luogo offrire la Verità salutare del Vangelo: ”Per i cristiani primo ed urgente dovere era l’annuncio di Cristo risorto da proporre in un incontro personale capace di condurre l’interlocutore alla conversione del cuore e la richiesta del Battesimo.( FR n 38)”.

Tutti devono essere messi in grado di percorrere questa via, i semplici ed i poveri, non solo i dotti, l’élite colta. Possiamo così comprendere la parte di verità contenuta nell’affermazione esagerata di Tertulliano: “Che cosa hanno di comune Atene e Gerusalemme ? Che cosa l’accademia e la Chiesa ?” 179

L’incontro si presentava non solo utile, anzi, nelle debite condizioni necessario: l’unico Dio dell’Alleanza, Padre del N.S. Gesù Cristo è il creatore del mondo e dell’uomo secondo la sua Parola, la sua Immagine filiale. Già l’atto del tutto soprannaturale della Fede, accogliente Dio rivelato, è un atto che impegna sempre l’intelligenza umana, la facoltà che afferma la Verità. La verità razionale della creazione risulta ancora nella capacità naturali dell’uomo (cfr Rm 1,19-21), anche se il suo esercizio appare difficile, fuori dell’ambito ecclesiale, per l’oscurità del peccato originale. Possiamo ritenere che anche la grande filosofia greca non sia mai giunta ad una espressione dottrinale completa del Creatore.

Abbiamo già visto come, nel nostro campo della creazione, la piena espressione che il Dio della rivelazione è l’unico creatore universale, è avvenuta in dialogo purificante con la cultura religiosa-filosofica del tempo: il mito cosmogonico assiro-babilonese prima, la visione stoica del cosmo in seguito, nell’ellenismo.

Anzi nel N.Testamento si trova già un’indicazione di termini per l’accesso al dialogo con la filosofia: in Giovanni Cristo Logos, Verbum, Parola creatrice incarnata; in Paolo Cristo eikon, immagine del Dio invisibile, che presiede a creazione e redenzione. Terminologia la cui provenienza immediata è nella S. Scrittura: la parola di Dio dell’Alleanza e Redenzione, l’uomo creato secondo l’Immagine di Dio. Insieme, parimenti, Logos risulta essere la parola chiave di tutti i sistemi e sintesi filosofiche.180 L’Immagine eikon, specialmente in Platone, esprime la relazione cielo e terra, il mondo delle Idee e la sua corrispondenza nel cosmo.

Quale pioniere di un incontro positivo tra la filosofia del Logos e la rivelazione del Logos incarnato, anche se nel segno di un cauto discernimento, va ricordato S. Giustino, filosofo e martire (+ 165).

Ascoltiamo dalla sua I Apologia, 46,2-3: “Il Cristo è il primogenito di Dio, il suo Logos, del quale tutti gli uomini partecipano […] quelli che sono vissuti secondo il Logos, sono cristiani, anche se passarono per atei, come fra i Greci Socrate ed Eraclito.”

179 De praescriptione haereticorum VII, 9, (=SC 46) 98180 Evidente in Platone: il logos è presente come centralità dell’idea del Bene-vero-bello; il Demiurgo,

contemplando il mondo delle Idee dà ordine alla materia caotica; l’anima umana, proveniente dai residui dell’anima cosmica, ha necessità di rinnovare la conoscenza delle Idee, per gestire, nella razionalità matura del filosofo, la socialità ordinata della “polis”.

In Aristotele il logos si manifesta come forma sostanziale, o accidentale, degli enti naturali; Dio è atto puro di pensiero che contempla beatamente se stesso, e attira a sé tutti gli enti capaci di pensiero, ancora potenziali; l’orizzonte di questa filosofia è ancora la “polis”.

Lo Stoicismo, grande sintesi della classicità greca nei tempi dell’ellenismo, attenua gli slanci di trascendenza del Logos, [Idea di Platone, Atto puro di pensiero in Aristotele], per darci un cosmo divino, qualificato ed animato dal Logos-pneuma. Qui l’orizzonte è la megalopoli dell’impero ellenistico-romano.

Anche nel Neo-platonismo emanazionista di Plotino (+ 270), il logos risulta centrale nella Triade Uno trascendentale, Logos e anima; l’anima umana deve distogliersi dalla degradazione, dispersione insensata della materia, volgere lo sguardo verso il Logos, qualche risalita estatica verso l’Uno inconoscibile.

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Una semenza del logos è quindi sparsa in tutta l’umanità, ma lo stesso Logos si è manifestato pienamente in Cristo:

II Apologia, XII: “Noi Cristiani dopo Dio adoriamo ed amiamo il Verbo che procede da Dio, ingenito ed ineffabile; e anche perché Egli si è fatto uomo per noi, ed ha preso parte alle nostre sofferenze per procurarci salute. Tutti gli scrittori, in virtù della semenza del Verbo insito in ciascuno, poterono intravedere debolmente la Verità. Ma una cosa è il seme e la facoltà che ci è concesso di imitarlo, ed altra cosa è il Verbo stesso, del quale si partecipa e al quale ci si conforma, mercè la grazia che discende da Lui stesso”.181

Giustino ha certamente individuato la via giusta per iniziare un proficuo dialogo tra Vangelo e la filosofia del logos, in un cauto discernimento che riconosce nel cristianesimo <l’unica sicura e proficua filosofia >(Dialogo con Trifone 8,1)182

Non avremo l’incandescente e convincente sintesi di Ireneo, senza l’opera pionieristica di Giustino: commenta in proposito H.U. von Balthasar:

“Ireneo sta a Giustino come il genio sta al talento [….] Giustino ha in tutta la sua assennatezza qualcosa di opaco, la sua diligenza non riesce a vincere un senso di tedio; Ireneo riluce da ogni poro, il suo messaggio non deriva da un sapere erudito e pio, ma da uno sguardo creativo gettato nel più intimo centro incandescente” 183

La differenza tra Ireneo e Giustino sta anche nell’essere Ireneo anzitutto pastore, attento al corretto annuncio evangelico, la sua intelligenza, nel portare il suo gregge nelle vie della fede e della carità di Cristo; attento, come abbiamo osservato, ad evitare ogni speculazione teologica immatura che potrebbe disturbare professione di fede e vita morale nella Carità. Giustino, martire per la testimonianza di Gesù e del suo Vangelo, rimane anzitutto filosofo, entra in dialogo con la cultura ellenistica, si rivolge nelle sue Apologie, non a cristiani, ma alla massima autorità imperiale.

Prendendo la corretta via del Logos, avverte come tutti gli apologisti, le difficoltà della teologia sistematica del Logos, anzitutto quella di rispettarne la relazione unica filiale, col Padre. Una teologia tutta pazientemente da costruire: il logos stoico è del tutto immanente ad un cosmo divinizzato, e la filosofia greca si è sempre mossa dell’ambito della <natura>, non conosce una autentica creazione. Un patrologo come Altamer offre questa valutazione dei tentativi pionieristici di Giustino:

“Quanto al problema dei rapporti del Logos rispetto al Padre, la dottrina di Giustino è affetta di subordinazionismo. Solo ai fini della creazione e del governo del mondo, il Logos-Figlio divenne indipendente verso l’esterno, rendendosi persona, subordinata tuttavia al Padre” 184

Seguiamo quelle che ci sembrano essere le tappe fondamentali della crescita di una Teologia matura del Logos, che permetterà a S. Tommaso l’edificazione di una Sistematica teologica, con lo stesso principio architettonico del Verbo incarnato che guida e ricapitola tutto il progetto di salvezza di Dio per l’uomo, come in Ireneo, ma col servizio di una purificata strumentazione filosofica e teologica.

Procediamo in questa prospettiva ad interrogare un massimo campione della Logos-teologia, Clemente di Alessandria (+ circa il 215). Altamer lo definisce come:

“Il primo dotto cristiano. Non soltanto conosceva tutta la S.Scrittura e quasi interamente la letteratura cristiana esistente, ma possedeva inoltre, come lo dimostrano le citazioni più di 360 autori profani, una vasta cultura […].

181 Cfr MINNERATH R., Les chrétiens et le monde cit. 240-242182 Non stupiamoci di questo uso del termine “filosofia”: Le categorie filosofia e teologia acquisteranno il

significato attuale solo con Origine: cfr FR n 38. Nella filosofia aristotelica il nome “teologia” designava la parte più nobile ed il vero apogeo del discorso filosofico. Alla luce della Rivelazione Cristiana invece, ciò che in precedenza indicava una generica dottrina sulla divinità venne ad assumere un significato del tutto nuovo, in quanto definiva la riflessione che il credente compiva per esprimere la vera dottrina su Dio. Questo nuovo pensiero cristiano che si andava sviluppando si avvaleva della filosofia, ma nello stesso tempo tendeva a distinguersi nettamente da essa.

183 H.U. VON BALTHASAR, Gloria, vol. II Stili ecclesiali, Jaca Book, Milano 1975, 22184 B. ALTAMER, Patrologia, Marietti, Casale M. 1968, 71; PRESTIGE G.-L., Dieu dans la pensée patristique,

cit., 122-141.

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Clemente insegnava a considerare la rivelazione nei suoi rapporti con ogni vera conoscenza e particolarmente con la filosofia pre-cristiana , dalla quale raccoglieva gli elementi di verità allo scopo di dimostrare che nel Cristianesimo trovano la loro unità, e che questo ne era il coronamento e la luce […] Veramente nei suoi sforzi per mettere in accordo il contenuto della fede con la Filosofia corrente, cadde in parecchi errori.” 185

Clemente designò Dio come l’origine dell’esistenza di tutte le cose (cfr Paedagogus 1,62); la Parola, Logos rivelato nell’Antico testamento manifesta Dio creatore ai Giudei; nella sua Incarnazione, lo manifestò in pienezza. Ma anche la filosofia greca ha costituito una valida preparazione evangelica nel purificare la concezione di Dio, può concludere: “Che altro ci resta ? Pensare l’inconoscibile per mezzo della grazia divina e del Verbo unico che proviene da Lui (Stromata 5,12,82)”.

Il logos, la ragione divina, è il maestro che istruisce l’umanità, con la Rivelazione vetero-testamentaria i Giudei, con la Filosofia i Greci; ricordiamo che gli Apologisti ritengono che anche i Filosofi greci avrebbero attinto alla rivelazione mosaica.186

Cristo Logos incarnato ci dona la pienezza della Verità, per mezzo di lui accediamo alla Vita divina. Clemente alessandrino non ha incertezze sulla completezza della Rivelazione del Logos incarnato, che non abbisogna di aggiunte della filosofia greca:

“La dottrina del Salvatore è esauriente e sufficiente a se stessa. Poiché è <potenza e sapienza di Dio>; la Filosofia greca se vi si accompagna, non perciò rende più valida la Verità, ma rende inefficaci gli attacchi della sofistica contro di essa, e respinge le ingannevoli insidie tese alla Verità: ed è stata propriamente detta <siepe> e steccato del vigneto. E l’una, la Verità della fede, è necessaria alla vita come il pane; la propedeutica invece rappresenta il companatico e la frutta; <al termine del pranzo piace il dolce>, come dice Tindaro tebano” (Stromata 1,20, 100).A differenza di Ireneo, che con sapienza pastorale, di fronte alle aberrazioni della gnosi, si astiene da speculazioni immature, il Filosofo Clemente è impegnato a formare il gnostico cristiano attraverso le tappe della sua Trilogia:Il logos esorta alla conversione nel ProteptikòsIl logos educa nella fede accolta nel PaidagogòsNegli Stromata ci attenderemo una costruzione sistematica edificata sul fondamento del Logos incarnato, creatore e salvatore: ma lo stesso titolo Stromateis, tappezzeria, indicherebbe la difficoltà di una organica costruzione unitaria, per cui ci si limita a sapienti verità accostate.Si presenta la difficoltà di coordinare, sul fondamento dell’evento dell’Incarnazione-Pasqua del Verbo, Immagine filiale del Padre, la storia salvifica, le <economie salvifiche> di Ireneo, con una teologia sistematica speculativa.

Per edificare questa splendida cattedrale dell’intelligenza della fede, mancano ancora, ad un ben equipaggiato gnostico cristiano, una corretta speculazione sulla Trinità immanente, sulle relazioni intratrinitarie tra il Padre, la sua Immagine, Logos filiale e lo Spirito Santo; approfondire inoltre le relazioni tra la creatura ed il Logos incarnato creatore, lo Spirito Santo vivificante, diremo ora la Trinità economica.Il tempo dei Santi Padri costituisce la stagione favorevole di successivi contributi, che attraverso i fondamentali Concili cristologico-trinitari, quindi il Lateranense IV, permetteranno la grandiosa sintesi sapienziale di Bonaventura e Tommaso.

L’apologista Atenagora , filosofo cristiano di Atene, in sintonia con Giustino, Teofilo, Tertulliano ed Ippolito, afferma che Dio è spirito, mente <nous>, eterno, ha vita intellettuale, ha in se il Logos, questo Logos uscì da Dio per creare il mondo, senza però essere una creatura (Supplica per i Cristiani, 10,2,3) 187

185 ivi, 195; MINNERATH R., Les chrétiens et le monde, cit., 242-245186 cfr PRESTIGE G.-L.,.,Dieu dans la pensée patristique, cit., 116, cita Stromata, 5,14,99: Clemente, come tutti

gli Apologisti ad eccezione di Atenagora, suppone che i Filosofi greci, che dicevano di intendere la voce di Dio contemplando in profondità la struttura dell’Universo, attingevano questa idea da Mosè; MINNERATH R., op.cit. 246s

187 Cfr KELLY J.N.D., Early christian doctrines, cit. 99s

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Il Vescovo Teofilo di Antiochia, il primo scrittore che usi la parola <Trias> (Trinitas) per Dio, distingue un Logos <endiatetòs>, interiore, generato da Dio prima della creazione del mondo, ed un Logos <proforikòs>, proferito, che ha parlato con Adamo nel Paradiso (Ad Autolicum 2,10,22).188

Le difficoltà teologiche riguardano la generazione interna, costitutiva la Paternità generante il Logos Figlio, nella Spirazione dello Spirito Santo, cioè la stessa Vita trinitaria, evitando il subordinazionismo di Ario, Cristo creatura; la distinzione tra questa generazione eterna e la libera creazione del mondo e dell’uomo.Altro contributo positivo, già nell’atmosfera del Concilio di Nicea, viene fornito dal Vescovo Atanasio di Alessandria (+ 373), quando distingue bene tra la generazione eterna del Verbo, che costituisce la Vita trinitaria con spontaneità, e la creazione per il Verbo, che avviene con deliberazione:“Il creatore, creando il mondo, delibera di fare ciò che prima non era; quando invece genera il Verbo, secondo natura e da se stesso, non fa alcuna deliberazione (Contra Arianos 3,61)”.La partecipazione del Verbo incarnato all’opera creatrice, dimostra la sua Personalità divina, consustanziale al Padre; luogo teologico privilegiato per queste constatazioni è la Preghiera eucaristica.189

I Padri cappadoci, sviluppando i contenuti dei propri Simboli di fede, precisano le categorie trinitarie, natura e persone, difendono la divinità del Verbo e dello Spirito Santo, la loro partecipazione all’attività creatrice, non fanno speculazioni sulla generazione del Verbo e la processione dello Spirito Santo, come intraprenderà Agostino. 190

8 Vicende teologiche della categoria biblica dell’ Immagine di Dio.

Cerchiamo ora di vedere, nel contesto della reazione alla gnosticismo e della elaborazione della logos-teologia, l’uso della categoria biblica dell’immagine di Dio, e questo nelle scuole teologiche sino a S. Agostino († 430). 191

Richiamiamo brevemente la grande pregnanza, ricchezza di contenuti teologici espressi in Col 1,15-20: «Cristo immagine del Dio invisibile, primogenito di ogni creatura, perché in Lui tutto è stato creato, riconciliato».

Di chi Cristo è l’immagine? Anzitutto del Padre invisibile; qui si indica la preesistente Persona divina (immagine del Padre invisibile), ma si sottolinea con forza la sua concretezza di Incarnazione storica (il sangue della croce, v.20), in quanto fondante, operante, finalizzante le economie di creazione e salvezza-redenzione.

Paolo insegna che Cristo, in quanto Immagine incarnata del Padre, costituisce il senso pieno dell’uomo creato secondo l’immagine di Dio in Genesi 1,27 e 2,7. Lo stesso Paolo in Romani 5,14 considera Adamo essere il tipo del futuro, cioè Cristo. In 1 Cor 15,45-49 contrappone il terrestre, anima vivente, al pneumatico celeste, spirito datore di vita e conclude: «come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, cosi porteremo l’immagine dell’uomo celeste».192

In Col 1,15, l’Immagine filiale del Padre, (manifestata in Gesù di Nazaret, la persona incarnata del Figlio che totalmente esprime e rivela il Padre invisibile), manifesta il modello divino-

188 Ivi, 119189 Cfr CONGAR Y. M-Y., Doctrines christologiques et Théologie de l’Eucharistie (simples notes), in Revue des

sciences philosophiques et théologiques, 66 (1982) 233ss.190 Cfr KELLY J, N.D., Early christian doctrines cit., 263-269191 R. CANTALAMESSA, Cristo immagine di Dio, le tradizioni Patristiche su Colossesi 1,15, in AA VV, “La

Cristologia di San Paolo”, Atti della XXIII Settimana Biblica, Paideia - Brescia 1976, 269-288; Id., Dal Kerigma al Dogma, Studi sulla cristologia dei Padri, (=Stud. Patristica mediolanensia 26), Vita e Pensiero, Milano 2006, riporta, ampliato lo stesso Studio, 153-214.

192 La nuova traduzione dice: ”E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste”; preferiamo, per l’uso teologico, la vecchia traduzione, più letterale, che conserva il termine greco <eikon>, Immagine.

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umano cui già faceva iniziale riferimento l’immagine di Gn 1,27, ed anche il fango plasmato e vivificato di Gn 2,7. L’immagine rivelante il Dio invisibile è l’ e„kën preesistente, in quanto incarnata in Gesù di Nazaret, crocifisso-glorioso. Questa immagine presiede, fonda, orienta, realizza le due economie di creazione-redenzione. È immagine del Dio invisibile in quanto “Verbum-caro”(Ð lÒgoj s¦rx ™gšneto Gv 1,14).

In Col 1,15 l’insegnamento circa l’immagine è densissimo di contenuti: indica la Persona del Figlio, sottolineando l’unità della natura divina (immagine del Dio invisibile), colta nella sua concreta umanità, nell’economia della creazione e della riconciliazione; quindi Persona divina in relazione al Padre (vita trinitaria), espressa nella concreta natura umana, realizzante creazione e redenzione.193

Non ci stupiamo se l’esegesi dei Padri incontra difficoltà nell’esprimere adeguatamente tale ricchezza esuberante di contenuti: si profila anche la rottura tra teologia (relazioni col Padre) ed economia di creazione-redenzione, tra natura divina e natura umana, primo e secondo Adamo.

Ciò è dovuto sia all’esuberanza dei contenuti espressi da Paolo, difficilmente esprimibili tutti insieme, sia alle sollecitazioni pastorali, dottrinali, che richiedono di porre in risalto l’uno o l’altro aspetto. Percorriamo le due linee storico-teologiche complementari:

quella anti-gnostica di Ireneo e Tertulliano, sino agli estremi antiocheni di Nestorio-Pelagio. quella della logos-teologia, di Scuola alessandrina, che dopo avere prodotto il

subordinazionismo di Ario, sfocerà nella Unica sostanza in tre Persone dei Cappadoci, e infine nelle speculazioni agostiniane sulle processioni divine secondo Memoria, Intelligenza, Amore; l’uomo è immagine del Dio uno e trino, per l’unità della sua mente (Memoria), e per le intenzionalità di Verità (Intelligenza) e Amore (Volontà).

8.1 La linea antignostica di Ireneo e Tertulliano.Esaminando Contro le Eresie, abbiamo già notato come Ireneo considera il primo Adamo

l’immagine plasmata secondo il modello Cristo, Verbo incarnato: (Gn 1,27; 2,7). L’Immagine del primo Adamo è del tutto relativa, rimanda all’Immagine del Dio invisibile di Col 1,15 secondo il rapporto terrestre-celeste di 1 Cor 15,45-49.

La refutazione dello gnosticismo, (che è disprezzo della creazione e del corpo) induce a sottolineare il Verbum-caro (la Parola incarnata) come immagine del Dio invisibile; anzi già sappiamo quanto Ireneo valorizzi come immagine di Dio nell’uomo, il suo corpo, plasmato in riferimento al modello dell’umanità di Cristo.

Secondo Ireneo, il Figlio incarnandosi ci conferma nell’immagine, cioè la sua umanità già anticipata, abbozzata in Adamo, e ci restituisce, col dono vivificante del suo S. Spirito, la somiglianza divina persa col peccato; ci abitua, assuefa a stare con Dio, la cui manifestazione è vita per l’uomo. Ricordiamo ancora come Ireneo non si addentra nelle speculazioni trinitarie, le relazioni tra le persone (teologia trinitaria), mentre si concentra sulle varie e successive economie, le opere salvifiche di Dio, tutte realizzate e ricapitolate dal Verbo incarnato.

Per Ireneo e Tertulliano l’Immagine del Dio invisibile è il Verbum-caro; sottolineando nell’uomo l’aspetto corporeo dell’immagine, in quanto plasmata secondo il modello corporeo dell’Umanità santissima del Signore Gesù.194

193 cfr. CANTALAMESSA R. , Dal Kerigma al Dogma, cit. 156-162.194 “L’insistenza sulla plasis dell’uomo a immagine del Verbo ha fatto sempre pensare che Ireneo vedesse nella

carne del Salvatore il modello a immagine del quale fu plasmato l’uomo. Orbe A., ha messo in luce che per Ireneo il modello vero, l’uomo ideale, non è la carne del Salvatore in se stessa e materialmente presa, ma la carne resa perfetta e trasfigurata dallo Spirito che era in Cristo”: CANTALAMESSA R., Dal Kerigma al Dogma, 155; Ivi, 157s: “In Tertutlliano l’idea tocca l’apogeo della sua fortuna e ottiene la più alta espressione teologica. Ecco una delle tante formulazioni forse la più espressiva: “tutto ciò che nel fango si veniva esprimendo (cfr Gn 2,7) era a Cristo che si pensava (De res. mort. 6,3-4)”.

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La scuola Antiochena (Teodoro di Mopsuestia †428), raccoglie questa eredità, ma con una tendenziale trasposizione tra Col 1,15 e Gn 1,27: Cristo è immagine di Dio per il fatto di essere uomo (caro), e la sua umanità-immagine viene considerata più sulla linea di Genesi, come la sua perfezione storica, che non sulla linea di Colossesi, l’Immagine del Dio invisibile incarnata. Prevale cioè una prospettiva, interpretazione storica (Cristo è la perfezione storica dell’immagine di Genesi), su quella Cristologica (Cristo e„kën del Padre incarnata), Pienezza della divinità e di ogni bene salvifico, senso pieno, chiave ermeneutica dell’intera Scrittura e storia salvifica.

Gli estremi di questa tendenza compaiono in Nestorio: è disposto a considerare Cristo uomo perfettamente realizzato secondo Gn 1,27, con una ulteriore presenza della Persona divina del Figlio; Cristo risulta immagine di Dio in quanto uomo perfetto inoltre assunto dal Verbo. “La tradizione si è in un certo senso irrigidita, passando dalla ireniana imago qua Verbum-caro (che abbraccia ancora tutta la realtà divina e umana di Cristo), alla <nestoriana> imago qua caro Verbi. Anche questa formulazione si propone di abbracciare tutta la realtà divina e umana, ma solo attraverso elaborati e discussi passaggi teologici che non sempre permettono di raggiungere lo scopo”. 195

Questa tendenza favorisce una prospettiva antropologica di imitazione morale: dobbiamo porci alla scuola di Cristo in quanto esempio perfetto di umanità, sino all’obbedienza della Croce. L’estremo della tendenza si manifesterà nel naturalismo pelagiano: l’uomo in sè buono, bisognoso di disciplina, dell’esempio di Cristo. L’esegesi antiochena-nestoriana, pone in risalto l’economia storica, di carattere etico-morale, mentre pone scarsa attenzione alla dimensione teologico-trinitaria dell’immagine di Dio, alla soteriologia-redenzione, necessità della grazia redentrice.

8.2 La logos-teologia: l’immagine di Dio sta nella mente umana.Per comprendere la linea alessandrina, è necessario tenere presente la sua reazione

all’arianesimo: i primi tentativi dell’uso teologico del logos, del giudeo platonizzante Filone, e poi di Origene portano ad Ario. Abbiamo già accennato a Clemente di Alessandria, che sceglie la via del Logos per contrastare le aberrazioni gnostiche: intende cosi realizzare una intelligenza corretta del Mistero rivelato con la formazione di un gnostico credente.

Questo valido cammino incontrava una grossa difficoltà; il Logos della filosofia greca esercitava compiti essenzialmente cosmologici: animazione, ordinazione del Cosmo. La sua applicazione a Cristo-Logos, induceva a considerare in primo piano la sua relazione al cosmo, la sua funzione immanente di ordinazione. Poteva in questo essere di aiuto la speculazione del platonismo medio di Filone di Alessandria: ma in questo Giudeo ellenizzato la Parola, il Logos che media la creazione è di natura inferiore al Dio creatore.

Nel Neo-platonismo di Plotino, il Logos emana necessariamente dall’Uno del tutto trascendente, contiene in se tutti i logoi inferiori della realtà cosmica emanante, ma lo stesso Logos risulta inferiore all’Uno trascendente, non lo può comprendere.

Origene non si libera del tutto da questo contesto filosofico, si avrà sentore di un Cristo-Logos inferiore, subordinato al Padre; in Ario la divinità di Cristo, il suo essere uno col Padre sarà in piena crisi.

In Origene l’immagine di Dio, Verbo incarnato, presenta difficoltà non solo sul fronte della natura divina (inferiore, subordinata al Padre?196), ma anche sul fronte della natura umana. L’insegnamento di Paolo, Cristo immagine del Dio invisibile in quanto Verbo incarnato (Cfr. Col 1,15 come senso pieno di Gn 1,27 e 2,7), viene lacerato: l’immagine del Dio invisibile in Cristo è il

195 Ivi, 206.196 Ivi, 182: “Il suo impiego [il titolo di Imago Dei] in Origine [….] lasciava adito, come si è visto, sia ad una

utilizzazione ortodossa (nel senso dell’umità sostanziale tra il Figlio ed il Padre), sia ad una utilizzazione ariana nel senso dell’inferiorità dell’immagine rispetto all’archetipo”.

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Logos, e nell’uomo creato secondo il modello di Cristo-Logos è l’anima.197 Tale è l’Immagine di Dio indicata da Gn 1,27; la plasmazione del corpo di Gn 2,7 è già frutto del peccato delle anime (peccato originale). Origene non si libera del tutto da prospettive platoniche, come appare anche nella sua dottrina della reintegrazione finale (apocatastasi: tutti si salvano).

Siamo ora in grado di comprendere meglio la tradizione alessandrina che non accetta l’equivoco di Ario198 e non segue il platonismo, non del tutto purificato di Origene. Anche qui abbiamo un notevole indebolimento dell’esegesi di Col 1,15 in relazione a Gn 1,27 e Gn 2,7; cioè l’immagine del Dio invisibile non può essere che il Logos preesistente, divino, infatti l’immagine del Dio invisibile, spirituale, non può essere che divina, puramente spirituale, il Logos preesistente nella vita col Padre (cfr Gv 1,1).

L’uomo creato secondo questa immagine spirituale non potrà essere che spirituale, la sua mens (noàj) anima; solo l’anima spirituale può essere immagine del Logos, che perfettamente esprime il Dio invisibile. Una dottrina che favorisce la spiritualità della fuga dal sensibile, ma recupera il valore del corpo in quanto sede dello Spirito Santo, suo tempio. Chi segue lo Spirito Santo , viene vivificato, anche nel suo corpo.

La reazione anti-ariana, la consustanzialità di Cristo e dello Spirito Santo col Padre, l’unità divina cosi riaffermata (Nicea, Costantinopolitano I), incoraggia la teologia trinitaria dei Cappadoci ( una sostanza in tre Persone) e induce ad una ulteriore speculazione sul significato dell’uomo in quanto immagine di Dio: se Dio è Uno e Trino, tale sarà anche la sua immagine nell’uomo. Dobbiamo cioè ricercare nell’uomo, nella sua anima e facoltà spirituali, l’immagine del Dio Uno e Trino, dell’Unità e Trinità divina.

Qui si inserisce la speculazione trinitaria di Agostino: i Cappadoci parlano di relazioni trinitarie, ma senza ulteriore speculazione. In Sant’Agostino l’uomo è immagine della SS Trinità per la sua Memoria (il Padre, Unità) intenzionalità intellettiva (il Verbo, Verità) e volitiva (lo Spirito Santo, Carità, Amore). Assistiamo ad un notevole sviluppo delle prospettive teologiche, della e„kën paolina, del lÒgoj giovanneo, utilizzando l’analogia tra l’Unità della mente umana (considerata nella sua Memoria), le sue intenzionalità intellettive e volitive, e l’Unità divina e le sue processioni del Verbo e dello Spirito Santo.

Si dà una meravigliosa corrispondenza tra la vita intima di Dio, la Trinità immanente, e la costituzione e attività della mente umana. 199 Agostino non procede a considerare come le singole Persone divine partecipano all’atto creatore dell’unico Dio, non compie il passaggio dalla Trinità immanente alla Trinità economica; se non riesce a compiere questo passaggio, offre un notevole contributo in questa direzione, precisando la dottrina delle <idee esemplari della creazione>.

Agostino riconosce che Dio non ha potuto creare irrazionalmente, e quindi concepì le forme <rationes>, di ciò che volle creare. Ma dove stanno queste forme, idee esemplari ?

La Filosofia greca presentava varie soluzioni. Nel Timeo di Platone sembrano sussistenti in un mondo divino, superiore al Demiurgo, plasmatore del Cosmo e dell’uomo.200

197 Ivi, 165: “ Ecco come si esprime Origine (Hom. in Gen., 1,13): “Quest’uomo di cui si dice che è fatto a immagine di Dio (Gn 1,27), non lo intendiamo riferito al corpo. Il corpo infatti non può contenere l’immagine di Dio [….] Quello che fu fatto a immagine di Dio è il nostro uomo interiore, invisibile, incorporale, incorrotto ed immortale””.

198 Cfr. Ivi, 183: Prima la formula aparallaktos eikon (immagine senza differenze), poi la formula homoousios, per eludere ogni fraintendimento, per “fissare inequivocabilmente con un termine filosofico l’unico autentico significato dell’espressione biblica”. Ma homoousios, prima ancora di essere termine filosofico, afferma il dato rivelato che la Persona filiale del Verbo incarnato sta decisamente dalla parte del Padre, è della sua “stessa sostanza”, non è creatura.

199 Cfr KELLY J.N.D., Early christian doctrines, cit., 276-279.200 PLATONE, Timeo, Introduzione, traduzione, note…di G. Reale, Rusconi, Milano 1994, 27-29.

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Per Aristotele le idee, forme hanno invece il loro unico fondamento nelle sostanze concrete, in Plotino stanno nel Logos emanato, ma già inferiore all’Uno trascendente. Tutti questi autori non hanno una concezione corretta di Dio creatore.

Agostino trovò la soluzione soddisfacente: egli pose le idee in Dio creatore. In questo modo tutto <l’esemplarismo> viene ancorato direttamente nelle idee divine, ultimamente nella stessa essenza divina. Queste considerazioni teologiche furono sviluppate profondamente dalla teologia medioevale, che le considerò fondamentali per esprimere la relazione tra il mondo e Dio creatore. Ma vedremo trattarsi di operazione teologica non facile.201 Ricordiamo che Agostino è un Pastore, che ricerca l’intelligenza della Fede sempre all’interno di quanto insegna, celebra, vive la Chiesa cattolica: l’azione pastorale secondo l’economia della salvezza è sempre il cuore dei suoi interessi dottrinali.

Se guardiamo alla dottrina, anche in Agostino si manifesta la debolezza comune in tutta la logos teologia alessandrina: l’attenzione sull’uomo è concentrata sulla sua anima spirituale, mente e facoltà, con difficoltà ad esprimere l’unità dell’uomo anche nel suo corpo. Siamo molto lontani dalle prospettive di Ireneo e Tertulliano: l’Immagine di Dio espressa nel corpo umano per la sua plasmazione ad opera delle Mani di Dio, il Verbo e lo Spirito Santo, secondo il modello della SS. Umanità di Gesù di Nazaret.

Concludiamo questo rapido sguardo alle teologie della creazione dell’uomo secondo l’Immagine di Dio ancora osservando che la Logos teologia stenta molto ad esprimere coerentemente le relazioni rivelate tra Trinità immanente, Vita dell’unico Dio in tre Persone, e Trinità economica, la creazione e salvezza operata dal Padre per il Verbo nello Spirito Santo; anche l’unità biblica dell’uomo nefes-basar., soma-sarx-psyke, animata dalla Ruah, Spirito Santo stenta ad esprimersi.

Consideriamo ora come il Magistero di Nicea e Costantinopolitano I per le relazioni tra Trinità immanente ed economica, e il Concilio di Calcedonia per quanto riguarda l’Umanità di Cristo, integra di corpo-anima-facoltà, abbiano preservato la visione rivelata dell’uomo.

9 La creazione per Cristo nello Spirito Santo nel Niceno –CostantinopolitanoAbbiamo già notato come la difficoltà primaria incontrata dalla Teologia del Logos nel dare

intelligenza della creazione trinitaria, procedeva dal formulare in forma teologica corretta la distinzione tra:

la relazione filale divina del Verbo incarnato col Padre dalla relazione del Verbo incarnato dal cosmo : tutto è creato in, per ,verso Lui.

L’assenza di espressioni rigorose portava a supporre l’immanenza totale del Verbo incarnato nella Creazione, scivolando nell’Arianesimo. Difficoltà simili presenta la teologia dello Spirito Santo..

Nicea ha precisato che Cristo è certo l’immagine di Dio invisibile (Col 1,15), ma tale immagine è a Lui consustanziale, della stesa natura divina. La Persona del Figlio Verbo Immagine del Padre sta decisamente dalla parte di Dio creatore, non della creatura; sappiamo tutti come tra creatore e creatura non si dà via di mezzo.

Il Niceno non si limita a definire l’evidente dato rivelato della consustanzialità di Cristo al Padre 202, ma dichiara con abbondanza di espressioni, di sapore biblico, la relazione nativa del Figlio

201 A questo livello agostiniano, incompiuto, della comprensione delle relazioni tra Trinità immanente (che il Concilio di Nicea e Costantinopoli I hanno posto in risalto nelle loro definizioni, che i Cappadoci hanno espresso con le categorie di Persona, Natura divina, relazioni, accolte nell’insegnamento del Lateranense IV, DH 800) ed economica, si possono comprendere le difficoltà di RAHNER K: ”La problematica di una <dottrina psicologica> della Trinità”, espresse in Corso fondamentale sulla Fede, ed. Paoline, Alba 1977, 185-188.

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unigenito rispetto al Padre : <nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato> 203

Per noi è della massima utilità notare come si distingue tra il <generare> ed il <creare>, nel definire la relazione di origine di Cristo dal Padre: esattamente quella distinzione che sembrava fare difetto nei Padri Apologisti, perché mancava la terminologia opportuna; ora nel Niceno la terminologia per esprimere la relazione di generazione Gesù Cristo-Padre risulta abbondante: della stessa sostanza del Padre, a Lui <omoousios>, perché nato dal Padre prima di tutti i secoli, non creato, generato come Luce da Luce, Dio vero da Dio Vero.

Una generazione eterna , che costituisce Dio Padre-Filio in tutto indissociabili: una generazione coeterna alla Vita divina, del tutto propria, spirituale, come Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; un generare di natura intellettuale, in analogia con la vita conoscitiva umana, espressa nella categorie rivelate di Logos (Gv 1,1-3), di Eikon-immagine (Col 1,15). Esse portano a livello unico intradivino, ciò che già si diceva della Sapienza creata in relazione della vita intima di Dio, da cui sgorga. (Sap 7,25s).

Analogie del procedere intellettuale e volitivo della mente umana, che rispettano l’assoluta trascendenza della consustanzialità divina col Padre del Verbo e dello Spirito Santo, saranno utilizzate da Agostino in poi nella speculazione intratrinitaria, per esprimere teologicamente le relazioni sussistenti delle Persone divine.

Appunto in quanto generato, non creato, il Verbo incarnato può essere partecipe dell’atto creatore di Dio, secondo l’insegnamento dello stesso Niceno <per quem omnia facta sunt>(cfr Gv 1,3.10), che riporta un’affermazione comune in molti Simboli orientali; talora associata ad amplificazioni di sapore paolino :< le cose del cielo e della terra, visibili ed invisibili>(Col 1,15; DH 44. 45.48)

Il Costantinopolitano I completerà il simbolo Niceno, definendo la divinità dello Spirito Santo, posta in cristi dai Macedoniani (pneumatomachi: DH 150). La sua partecipazione all’opera creatrice del Padre e del Figlio risulta implicitamente affermata in quanto <Signore e dà la Vita>204; con evidenza nella storia salvifica, in quanto <ha parlato per mezzo dei Profeti>, ancor più evidentemente in quanto è opera sua l’Incarnazione del Verbo: questo è affermato in tutti i Simboli con schema trinitario tripartito sviluppato (DH 10-35. 42-49. 61). Anche per lo Spirito Santo, al di là della sua attività nella creazione <dare la vita> e nella storia salvifica, si afferma la sua relazione intratrinitaria <procede dal Padre> ( e i Latini aggiungeranno: e dal Figlio).205

Il Costantinopolitano II (553) affermerà esplicitamente la partecipazione dello Spirito Santo alla Creazione :

“Uno è infatti Dio Padre dal quale sono tute le cose; uno il Signore Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose; uno è lo Spirito Santo, nel quale sono tutte le cose”(DH 421).

202 Specialmente Giovanni è molto insistente nel dichiarare la relazione unica, in tutto (essere, agire, parlare, amare-donare la vita, salvare, giudicare….) di Cristo col Padre; questo non solo nei discorsi dell’ultima cena, ma anche nei concitati dialoghi con gli increduli giudei; accese dispute che vertono sempre sulla reazione unica col Padre, ritenuta bestemmia, causa della sua condanna.(cfr Gv 8,42-59). Per l’uso teologico della categoria “sostanza” ousia, sia nella dottrina rivelata Trinitaria che Eucaristica, cfr CARLE’ P., Le sacrifice de la nouvelle alliance, consubstantiel et trasubstantiation, de l’Incarnation a l’Eucharistie, Bordeaux 1981.

203 Cfr J.N.D. KELLY, I simboli della fede nella Chiesa antica, ed Dehoniane Napoli, 1987, 209-217; ARMENDARIZ L.M., Hombre y mundo a la luz del Creador, cit. 56-58

204 Cfr LADARIA L. F., Antropologia teologica, cit. 65-67.205 Cfr LADARIA L.F., Antropologia teologica, 64-69. Per l’accordo tra Chiesa romana e bizantina circa il

<Filioque>, cfr PCPUC, La tradizione greca e latina al riguardo della processione dello Spirito Santo, dell’ 8 Sett. 1995, in E Oe 7, Dialoghi internazionali, 1995-2005, EDB 2006,1204-1214; SESBÖUÉ, B., La personalità dello Spirito Santo nella testimonianza biblica, nella teologia trinitaria recente e nell’esperienza storica della Chiesa e degli uomini, in TANZARELLA, S., ed, La personalità dello Spirito Santo, in dialogo con B. Sesboüé, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 1998, 25-31; BENEDETTO XVI riassume felicemente le relazioni Cristo-Spirito Santo nella Scrittura in Sacramentum caritatis, n 12

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9.1 Recupero dell’unità dell’uomo, corpo-anima-facoltà nella Cristologia di Calcedonia

In II. 4 abbiamo seguito l’evolversi delle dottrine teologiche dell’uomo creato secondo l’immagine di Dio, il Verbo incarnato; la ricchezza pregnante delle categorie paoline, che esprimono la completezza del Verbo incarnato, crocifisso-risorto, sia nell’essere l’Immagine del Padre invisibile, sia nell’essere primogenito e prototipo dell’uomo in Lui e verso Lui creato, non si è conservata integra nelle scuole teologiche. Esse hanno sottolineato la natura umana di Cristo, a scapito dell’unità strettissima col Figlio di Dio (Scuola antiochena-nestoriana), o hanno esaltato il Logos filiale, divino, a scapito della sua Umanità corporea (Scuola Alessandrina).

A somiglianza di queste debolezze cristologiche, comprensibili in una teologia pionieristica, in costruzione, anche la visione rivelata dell’uomo, creata secondo l’Immagine di Dio, Cristo, ne viene a soffrire, specialmente nella scuola alessandrina; in Agostino, la dimensione corporea dell’uomo stenta a trovare il suo posto, ad esprimere l’unità biblica rivelata dell’uomo.

Nella prospettiva nestoriana che porta a Pelagio l’intima necessità di una grazia cristica redentrice stenta ad essere accolta.

Dobbiamo ricordare che le difficoltà delle scuole teologiche non rappresentano la vera densità del pensiero cristiano: l’immagine rivelata dell’uomo, la sua intrinseca unità di anima spirituale e corpo, la necessità della grazia cristica risanante viene annunciata nelle S. Scritture, celebrata nei Sacramenti, in particolare l’Eucaristia, inculcata nella corretta vita morale spirituale, l’esercizio della carità cristiana.

Non ci stupiamo quindi che su questo fondamento sorgivo e normativo della Lex orandi-celebrandi, credendi et vivendi anche la dottrina autenticata dal Magistero abbia potuto trovare espressioni capaci di esprimere correttamente la complessa ricchezza del Mistero rivelato. Nelle definizioni cristologiche di Calcedonia, che completano Efeso, troviamo anche quella corretta antropologia che il pensiero teologico delle scuole stentava tanto ad esprimere.

L’umanità di Cristo, in cui si esprime la Persona dell’Immagine filiale, Logos del Padre, è una umanità completa di corpo-anima–facoltà206: l’insegnamento di Calcedonia e del Costantinopolitano III sono normativi in questa materia..

Confermata a Nicea la personalità divina di Cristo, consustanziale al Padre, di fronte alle esitazioni di Nestorio ed Eutiche Efeso e Calcedonia affermeranno l’unione ipostatica tra la Persona del Figlio e la natura umana, senza separazione ma neppure confusione delle nature divina e umana; una umanità integra di anima razionale, corpo e volontà. Quest’ultima definita nel Costantinopolitano III (DH 553) 207

In questa presentazione e conferma del dato rivelato circa la persona divina e l’integra Umanità di Cristo, abbiamo la fedele esplicitazione del modello divino-umano, secondo cui siamo stati creati, alla sua Immagine; così queste definizioni cristologiche costituiscono inoltre validi fondamenti di antropologia teologica (Calcedonia: DS 301-302208.). Abbiamo notato come nella

206 Nota Ravasi, citando Leclercq H. , come l’iconografia cristiana, a livello funerario o devozionale, dei primi secoli, <è tutta di matrice pagana, ancorata alla concezione greca dell’anima>: L’anima nella tradizione biblica, in AAVV, L’Anima, cit. 137.

207 Cfr KELLY J.N.D.,Early christian doctrines, cit., 338-342. 208 [301] “ Seguendo i santi Padri, all’unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il

Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo [composto] di anima razionale e di corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale a noi per l’umanità, simile in tutto a noi fuorché nel peccato [cf. Eb 4,15], generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria, vergine e madre di Dio, secondo l’umanità. [302] “uno e medesimo Cristo Signore Unigenito, da riconoscersi in due nature [ėn dÚo fÚsin], senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata anzi salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi; Egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio, Unigenito, Dio, Verbo e Signore Gesù Cristo, come un tempo ci hanno insegnato i profeti e poi lo

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prospettiva Alessandrina, e anche Agostiniana dell’Immagine di Dio, il corpo non veniva valorizzato: un certo contrasto con la visione biblica rivelata dell’uomo, che lo mostra stare davanti a Dio nella totalità del suo essere, unità di anima e corpo.

L’integra Umanità di N.S. Gesù Cristo, personalmente unita, senza divisioni e confusioni, alla Persona divina filiale, è mediatrice di salvezza per l’uomo. L’Immagine filale, consustanziale al Padre, si incarna, viene espressa in una vera e completa umanità: tutta la SS Umanità del Signore ha una sua importanza decisiva nella storia salvifica. Vedremo come S. Tommaso saprà esprimere, teologicamente, anche per l’uomo creato secondo l’Immagine di Dio, questo dato rivelato, superando le difficoltà della scuola Alessandrina, anche agostiniane. Si potrà così giungere al Concilio di Vienne per una chiara affermazione, anche magisteriale, dell’unità strettissima nell’uomo della anima razionale e del corpo (DH 902).

Notevole l’importanza normativa nel fare teologia assumono i quattro avverbi-aggettivi con cui Calcedonia esprime i corretti rapporti tra la Persona divina e l’integra Umanità del Signore Gesù: devono essere affermati senza divisione, ma neppure confusione, senza separazione, ma neppure mescolanza (DH 302). Questi assiomi, poiché esprimono in modo corretto il Mistero di Cristo, nella sua consustanzialità personale col Padre, nella sua consustanzialità con noi nella natura umana, ci offrono la <chiave d’oro> teologica e antropologica in tutti i campi del pensiero e della vita cristiana. Lo notiamo ora, ma ne constateremo l’importanza in tutto il nostro cammino storico e speculativo. 209

In questa presentazione e conferma del dato rivelato circa la Persona divina e l’integra Umanità di Cristo, abbiamo la fedele esplicitazione del modello divino-umano, secondo cui siamo stati creati e redenti, alla sua Immagine. Ricordiamo infine come per guidare il concilio di Calcedonia abbiamo al fianco di S. Leone Magno il sardo S. Ilario, suo uomo di fiducia e quasi martire al Conciliabolo di Efeso (449), e suo successore come Papa (461-468).

10 Tra i Padri e la Scolastica: Giovanni Scoto EriugenaUn autore di nascita irlandese (morto dopo 877), che rappresenta bene la transizione dal

tempo dei Padri a quello della scolastica. Esprime con la sua genialità la rinascita degli studi promossa da Carlo Magno, nella vivacità culturale della corte di Carlo il Calvo (843-877); costituisce un anello di congiunzione della Patristica greca con il pensiero latino. E’ stato il traduttore in latino di Massimo il Confessore, di Gregorio di Nazianzo e di Nissa, anzitutto di Dionigi l’Areopagita, con tutta la venerazione che Parigi riservava a questo misterioso personaggio, allora ritenuto vero discepolo di S. Paolo (cfr At. 17,34).

È la conoscenza di questi Padri orientali, specialmente l’Areopagita 210, a suggerirgli la poderosa sintesi teologica espressa nella sua stupefacente De Divisione naturae 211. Il titolo e anche le sue articolazioni sembrano ispirarsi all’inizio del cap. XV del de Trinitate di Agostino:

“Vogliamo esercitare il lettore nella contemplazione delle cose create per condurlo alla conoscenza di Colui che le ha create [….] al di sopra di questa Natura [l’uomo con l’anima razionale] se cerchiamo qualcosa e cerchiamo la verità, incontriamo Dio, cioè la Natura non creata e creatrice”.

Natura, per l’Eriugena, significa tutto ciò che si dà, di visibile e di invisibile, secondo le sue articolazioni, divisioni, che sono espresse dialetticamente, ma che al di là della logica vogliono

stesso Gesù Cristo, e infine come ci ha trasmesso il simbolo dei Padri”.209 Cfr LAFONT G., Historie thélogique de l’Eglise catholique. Itineraries et formes de la Teologie , (=CF 179)

Cerf, Paris 1994, 456s.210 Cfr von BALTHASAR, Gloria, vol. II, Stili ecclesiastici, Jaca book, Milano1975, 130s.211 SCOTTI J. seu ERIUGENAE, Periphyseon, liber I, JEAUNNEAU E.A., ed., (=CCM 161) Brepols Turnholti

1996; Id. liber III, (=CCM 163), 1999; Id. liber IV (=CCM 164), 2000; Id., liber V, (=CCM 165) 2003. Liber II, Migne PL 122

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essere metafisiche, indicare articolazioni causali, di origine. Così l’irlandese indica queste divisioni della natura, per cui tutto si esplica e si origina, dall’Uno al molteplice individuale:

1.Natura che crea e non è creata2.Natura che è creata e che crea3.Natura che è creata e non creaEriugena contempla una quarta divisione, <natura che non crea e non è creata>, il <riposo>

di Dio, la risalita di tutto all’Unità divina.

Grande stupore produsse nel mondo latino, parigino, la potenza speculativa di questo barbaro, venuto dall’estremo occidente, che con gli strumenti di pensiero offerti dalla cultura greca, la sintesi neoplatonica che riceveva attraverso lo Pseudo-areopagita, costruiva la novità di un tale edificio omnicomprensivo, di un intenso misticismo.

Ci interessiamo quindi di Giovanni Scoto Eriugena perché pioniere di sintesi teologiche, un modello tipico, di creazione Trinitaria, di uscita e di ritorno di tutto a Dio; il suo ardimento ispirerà tutte le successive opere sistematiche, che troveranno nella Summa di S. Tommaso maturità teologica e filosofica di espressioni e contenuti.

E’ bene interessarci di Scoto Eriugena, delle difficoltà incontrate in questo suo incontro pionieristico di Fede e ragione, creazione e salvezza, perché le questioni da Lui suscitate rimangono attive nel cosciente e subcosciente teologico, anche oggi: per es. le cause esemplari, idee creatrici, la loro relazione al Verbo Trinitario, una mistica che sembra andare al di là del Dio uno-trinitario verso un Uno, super essenziale, di risonanze neoplatoniche…

Per la corretta valutazione di un’opera che ha suscitato nei suoi contemporanei, e anche oggi, molte perplessità (razionalimo, panteismo…) è onesto anzitutto ricordare l’intenzione limpidissima di Eriugena, la volontà espressa di ricercare, con la dialettica filosofica, solo l’intelligenza della fede rivelata; ascoltiamo per questo E. Gilson, che così sintetizza il procedere teologico dell’irlandese :

“In primo luogo, poiché Dio ha parlato, per la ragione di un Cristiano è impossibile non tenerne conto. La fede è ormai, per lui, condizione di intelligenza : <Nisi credideritis, non intelligetis Is. 7,9>. E’ lei che passa per prima, e, secondo il modo che le è proprio, raggiunge l’oggetto dell’intelligenza prima dell’intelligenza stessa [..come Pietro che in Gv 20,6, entra per primo nel Sepolcro vuoto, poi entrerà Giovanni, per acquisire l’intelligenza del Mistero] .Faccia lo stesso la nostra fede, passi davanti, e poiché la rivelazione divina s’esprime nella Scrittura, facciamo precedere lo sforzo della nostra ragione da un atto per il quale accettiamo come verità ciò che la Scrittura insegna. Per capire la verità, bisogna in primo luogo crederla” 212

Il metodo di cui la ragione si serve per conseguire intelligenza di ciò che crede è la dialettica, le cui due operazioni fondamentali sono in Eriugena la <divisione>, da cui il titolo dell’opera, per mezzo di essa si procede dall’Uno al molteplice; segue il ritorno all’unità del Tutto in Dio, <l’ana-lisi>, la risalita, ascesi. Si manifesta qui, condizionante l’economia della storia salvifica di creazione per Cristo nello Spirito, verso il compimento escatologico, lo schema plotiniano, dell’emanazione, discesa dall’Uno, ed il ritorno all’Unità, attraverso l’uomo.

La prima divisione della Natura, la <Natura che crea e non è creata>, intende considerare evidentemente il Dio Trinitario, della Rivelazione. Il Dio vero e rivelato, non le prospettive già riduttive dell’Uno neoplatonico o dell’Atto puro di pensiero di Aristotele.

La seconda divisione, la <natura creata e che crea>, già nel suo titolo per noi paradossale, entra direttamente nella questione speculativa di fondare, rendere comprensibile, nella vita intima di Dio, la creazione del mondo angelico, umano, biologico e fisico; di essi si tratterà nella terza divisione della natura, la <Natura che è creata e non crea>.

212 GILSON E., La filosofia nel Medioevo, dalle origini patristiche alla fine del XIV secolo, Sansoni, 2004, 230

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Nella seconda divisione si tratta delle cause, idee esemplari, archetipi della molteplicità creata. Paradossale per noi porre nella vita intima di Dio qualcosa di creato, come appunto le idee esemplari delle cose; ma Scoto Eriugena ha delle scusanti: si tratta di una impostazione rigorosa di questioni nuove, per cui manca una terminologia matura. Si può anche supporre un significato ampliato di <creato> 213, bilanciato dall’espressione correttiva <creanti>; il modello cui ci si poteva allora ispirare, soggiacente nelle opere dello pseudo Areopagita, era quello emanazionista di Plotino.

Vedremo come l’esposizione corretta dello statuto ontologico delle idee esemplari in Dio, nel suo Logos <incarnando> e <incarnato in Cristo>, e nelle creature in forza della libera volontà creatrice, rappresenta un test di maturazione teologico-filosofica, e sarà pienamente raggiunto in Bonaventura e Tommaso; sarà nuovamente posto in crisi nella nuova situazione culturale del Nominalismo, Illuminismo e Idealismo.

Le difficoltà di espressione (contenuto?) sono acuite dalla condizionante, non del tutto purificata prospettiva neoplatonica: l’Uno risulta al di là dell’Essere, sopraessenziale, non conoscibile; Eriugena dà talora l’impressione che l’Uno, nelle tenebre della sua superiorità inaccessibile, prenda conoscenza di se stesso manifestandosi nelle idee create e creatrici. Lo stesso Logos, che contiene queste Idee, si direbbe, in alcuni passi, identificato con esse.:

“Tutte le cose nel Verbo di Dio non solo eterne, ma sono anche lo stesso Verbo” ( De div. Naturae III, 8 : PL 122; C CM, CLXIII 641 A)

“ Scoto può dire allora delle idee, proprio come afferma abitualmente del Logos, che in esse Dio esprime se stesso e crea. La creazione delle Idee nel Logos è un atto dell’auto-conoscenza creatrice di Dio: <Creato da sé stesso> e < crea se stesso in tutte le cose> ( De Div. Nat. III,20. PL 122;C CM,CLXIII 683A-684 B). Certamente Scoto si sforza sempre di trovare una distinzione tra il Logos e le Idee delle cose: il Logos, dice, è <coeterno> al Padre, mentre le Idee sono dette <eterne> e non <coeterne>.( De Div. Nat. III, 5 : PL 122; C CM, CLXIII 635 C)” 214

Certamente, Scoto, a differenza di Plotino, si sforza di sottolineare la libera volontà creatrice di Dio, evitando la supposizione di una oscura necessità imposta dalla natura. Ma insieme presentando la creazione delle Idee come atto necessario a Dio per autoconoscersi, sembra attribuire alle Idee lo stesso ruolo della generazione eterna del Verbo.

La distinzione tra Trinità immanente, nelle relazioni-dono delle Persone divine, e Trinità economica, creatrice e salvatrice, non è bene espressa dall’irlandese, coraggioso esploratore di realtà fondamentali della fede; mentre la Chiesa, nel Niceno-costantinopolitano, ha espresso, certo sobriamente (professione di fede, non speculazione teologica) l’articolazione di queste realtà fondamentali, senza cedere all’ellenismo, questa cessione in Eriugena si avverte, pur bilanciata con molti correttivi.

La grande novità di Agostino è di avere speculato restando sul terreno della Trinità immanente, del Dio Uno-Trino di Nicea-Costantinopoli, il Dio vivo e vero della Rivelazione; in Scoto riappare anche l’Uno del Neoplatonismo:

“ [Eriugena] presentando la creazione delle Idee come un atto necessario a Dio per conoscere se stesso, mostra nello stesso tempo che attribuisce loro, nella vita della Trinità immanente la stessa funzione della generazione del Logos, e che pertanto non attribuisce al Logos alcuna funzione trinitaria propria. Parimenti per quanto riguarda la Terza Persona divina, lo Spirito

213 Lo fa notare lo stesso Scoto Eriugena in De Divisione naturae, quando precisa in V, 16, PL 122, di considerare le idee creature in senso derivato: ”In effetti, il termine creatura significa propriamente gli esseri generati che si distribuiscono nelle loro proprie specie, visibili o invisibili, seguendo per così dire il movimento del tempo. Quando a ciò che è stato fissato prima, poiché è al di là del tempo e del luogo, non lo si chiama propriamente creatura, benché per sineddoche si chiami creatura l’universalità degli esseri posti da Dio dopo di sé”

214 SCHEFFCZYK L Création et providance, Cerf, Paris 1967, 116

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Santo, si può notare che l’esistenza trinitaria coincide totalmente con la nascita del mondo, e viene totalmente assorbita in essa.

Compito dello Spirito Santo è di espandere e ripartire le Idee che in Dio erano pensate nell’unità e semplicità assoluta. È Lui che sviluppa nei generi, specie e individui le idee che nel Logos costituivano ancora una unità.

In tutto questo, sicuramente, la struttura trinitaria della creazione e la relazione di ciascuna persona della Trinità con le realtà create sono fortemente sottolineate, ma pagando il prezzo della dissoluzione della Trinità immanente nell’evoluzione del mondo”.215

Questo risulta con evidenza anche nel modo di condurre la terza divisione, la <Natura creata che non crea>, l’apparire del Molteplice, gerarchico dall’Angelo, all’uomo, al mondo.

Le Idee eterne, riguardano tutto ciò che viene dopo Dio, perché Dio ne è la causa: sono in Dio, create e creanti, manifestate nella terza Divisione della natura, le realtà create e che non creano. Per Eriugena non si tratta esattamente di un Dio causa dell’essere della creatura, quanto piuttosto di un ordine gerarchico della conoscenza, illuminazione: un simile Dio non agisce mai fuori di se che per manifestarsi. In qualunque modo possa essere considerata, la produzione, creazione degli esseri da parte di Dio rappresenta una teofania Ascoltiamo ancora E. Gilson:

“Questo atto di automanifestazione divina, che occupa un posto importante nella dottrina di Eriugena, è ciò che egli chiama, rifacendosi a Gregorio di Nazianzo e a Massimo il Confessore una <teofania> [….] Dal che risulta che come la creazione è rivelazione, la rivelazione è creazione. [….] preludendo a certi temi della Mistiche speculative del XIII sec., Eriugena si rappresenta quindi la natura divina inconoscibile, non soltanto per noi, ma per se stessa, senza una rivelazione che sia una creazione.[….] La nozione di creazione così concepita come teofania introduce nell’universo eriugeniano un altro tema, quello dell’illuminazione [ …] la creazione, in fin dei conti, non è che una illuminazione destinata a fare vedere Dio” 216

Per la continuità tra Trinità immanente ed economica, creatrice, si direbbe inoltre che l’Uno superessenziale, inconoscibile, crea per conoscere, illuminare se stesso.

Questa visione grandiosa in cui ogni cosa creata è <essenzialmente> un segno, un simbolo, in cui Dio si fa conoscere, costituisce il <manifesto> del simbolismo medioevale, il suo uso in teologia, in filosofia, anche nelle arti figurative, pensiamo alle cattedrali.

L’insieme delle teofanie della <natura creata e che non crea> è un universo che si divide in tre mondi: le sostanze puramente immateriali che sono gli Angeli, le sostanze corporee e visibili, e tra l’uno e l’altro, questo universo ridotto che è l’uomo, che partecipa dell’uno e dell’altro e che li unisce.

“Ogni Angelo è il grado teofanico definito da quanto egli riceve di luce e da quanto ne trasmette […] Ancor meno dell’Angelo l’uomo è capace di illuminarsi con i propri mezzi. Simile all’aria che non è che tenebra se non la penetra la luce del sole, egli può ricevere la luce e trasmetterla, ma non ne produce.” 217

Accogliendo prospettive origeniane, l’Irlandese suppone che l’attuale mondo dei corpi, della sessualità, sia già frutto del peccato originale dell’uomo. Poiché tutto è teofania, illuminazione che si trasmette dall’alto in basso, tutto ciò che viene dopo l’uomo, è come contenuto in lui, nello stato meno perfetto che nell’Angelo, ma più perfetto di quanto sarà in sé.

“Nulla si oppone al fatto che l’universo sensibile sia stato creato da Dio nell’uomo, cioè, come si deve intendere, non in quell’Adamo che compare alla fine dell’opera dei sei giorni, ma

215 SCHEFFCZYK L. Création..., cit. 116216 GILSON E., La Filosofia nel Medioevo cit., 241-243217 ivi 245

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nell’Uomo intelligibile e riempito di intelligibili che esiste eternamente in Dio. Questo universo è in lui allo stato di unità e di distinzione intelligibile” 218

Nella terza divisione della Natura, <che è creata e che non crea> Eriugena commentando l’Esamerone si impegna a dimostrare come nel comando di Gn 1, 20 <Le acque brulichino di esseri viventi> viene significata la produzione di una vita universale, o Anima del mondo, che si divide in Anima razionale (Angeli e uomini), e irrazionale (animali e piante).

L’errore dell’uomo, che qui è valutato come una <semplice nozione divina>, il suo Peccato originale, è consistito nel non conservare la sua posizione intelligibile: così è apparsa la materia, concepita come fatta di intelligibili coagulati. E’ sorta intorno a noi la fantasmagoria del mondo dei corpi; la divisione della natura, per il peccato dell’Uomo, è degenerata in separazione, dispersione.

Ma anche in questa dispersione Eriugena vede ancora un’opera della misericordia di Dio, che ci concede di cercare anche nel sensibile il modo per ritornare a Lui. La Divisione della Natura permette all’uomo di ritornare all’Uno superessenziale, realizzare il Dio tutto in tutti (Cfr 1 Cor 15,28).

Nella quarta Divisione della Natura, che non è creata e che non crea, sempre in modo paradossale, Eriugena indica lo stesso Dio, considerato come colui che ha cessato di creare, è entrato nel suo riposo sabbatico, in cui anche l’uomo deve entrare, riportando tutto nell’unità dell’Uno, la deificazione.

Dio è posto come creatore nella prima divisione e come fine della creazione nella quarta, e tutte le creature sono comprese tra questo principio e questo fine. Come avviene questo ritorno nell’Uno ? :

“ E’ un processo di ordine mistico [ dell’Anima], e che richiede l’aiuto della grazia [….] E’ il pensiero puro che si <divide> sempre più via via che discende dall’Unità divina ai generi, alle specie che la ragione conosce, poi agli individui che la sensazione percepisce, come in senso inverso è lo stesso pensiero che parte dalla molteplicità degli individui percepiti dai sensi, per riunirli con la ragione nelle loro specie e nei loro generi, e infine superare questi limiti per raggiungere Dio [….] Questo processo di ritorno è l’opera comune della natura e della grazia, perché senza la resurrezione di Cristo, pegno della nostra, questo movimento universale verso Dio sarebbe impossibile; ma esso si completa con un secondo, che è opera della sola grazia.[….] Se dunque, una grazia s’aggiunge alla precedente, non sarà più per restaurare tutte le nature, ma per elevare alcune di esse ad uno stato <soprannaturale>[…] Non si tratta dunque per gli eletti di vedere Dio faccia a faccia, ma di sprofondarsi nella luce [….] Qui non si tratta in alcun modo di una trasmutazione o d’una confusione di sostanze, ma di una riunione senza mescolanza né composizione, poiché tutte le proprietà sono conservate e sussistono immutabilmente: adunatio sine confusione, vel mixtura, vel compositione”.219

Ciò che non viene conservato in questo ritorno delle sostanze intelligibili nell’Uno è la materia, i corpi in quanto sono “coagulazione di intelligibili”, che verrà totalmente risciolta dal pensiero puro nei suoi intelligibili. In questa prospettiva non si dà più luogo per un inferno di fuoco, come già insinuava Origine.

L’abissale differenza, soprannaturale, degli eletti e dei riprovati persisterà eternamente, ma persisterà nei pensieri puri, nelle coscienze. Non c’è infatti altra beatitudine che la conoscenza della Verità, che è Cristo:

“Non bisogna dunque desiderare nient’altro che la gioia della verità, che è Cristo, null’altro si deve fuggire che la sua assenza, che è la sola ed unica causa di ogni tristezza eterna. Toglietemi Cristo, non mi resterà alcun bene[…] perché ecco il tormento di ogni creatura

218 ivi 247219 ivi 249-251

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razionale, la privazione e l’assenza di Cristo. Questo e nient’altro, almeno a mio parere.” ( V ,37 PL 122 )

Si può condividere la valutazione di Gilson:“S’immagina senza fatica lo stupore dei contemporanei di Scoto Eriugena di fronte a questa

immensa epopea della metafisica, manifestamente incredibile, tuttavia garantita in ogni punto da Dionigi, Massimo, i due Gregori, Agostino o una qualunque delle altre venti autorità che la sbalorditiva erudizione del suo autore gli permetteva di invocare. E’ come se Eriugena avesse fatto la scommessa di sostenere tutte le proposizioni emesse dai Dottori della Chiesa quando essi non parlavano da Dottori della Chiesa [….] Egli appare anche a noi come lo scopritore occidentale dell’immenso mondo della teologia greca, sommerso da troppa ricchezza imprevista per avere il tempo di scegliere, abbagliato da troppe idee nuove per essere capace di una critica” 220

La novità, anche debolezza del suo pensiero, è stata notata anche nella lex orandi:

“Conformemente alla sua posizione neo-platonica, caldeggiava nella dottrina eucaristica un accentuato spiritualismo mistico; secondo la testimonianza di Incmaro di Reims, Scoto parlò di una semplice ‹‹memoria veri corporis et sanguinis Christi›› e la sua opinione venne condivisa da alcuni altri.” 221

L’influsso di queste immaturità nell’esprimere teologicamente in modo corretto la Creazione per Cristo nello Spirito e le relazioni professate nel credo tra Trinità immanente e la Trinità economica, varcò l’inizio del II millennio.

Ascoltiamo cosa ci dice SCHEFFCZYK L. presentando le dottrine della Scuola di Chartres, fiorita nella Francia settentrionale sin alla metà del sec. XII:

“Accompagnandosi con un realismo più o meno affermato, il Platonismo della scuola di Chartres adotta nella contemplazione della natura un attitudine talvolta simile a quella della rinascenza e dei tempi moderni. Accettando il concetto di anima del mondo e la dottrina delle idee, tendente a vedere il mondo da un punto di vista mistico-naturalistico, sfocia in una sacralizzazione dell’universo, che mette fortemente in valore il tema dell’unità, proprio della fede cristiana nella creazione, e il suo atteggiamento positivo di fronte al mondo.

Ma l’ottimismo intellettuale della scuola di Chartres, espressivo, sul piano intellettuale, della rivoluzione tecnica che si è realizzata nel sec. XII, manca di quell’equilibrio interno che l’avrebbe posta in grado di donare alla dottrina della creazione una espressione adeguata. Così la scoperta della natura porta con sé una perdita del senso della creazione in quanto avvenimento storico [ fondamento della storia salvifica], il fascino della filosofia minaccia di svuotare questa verità del suo contenuto salvifico, finche uno spiritualismo sincretistico non riuscirà a spegnere la fede rivelata.

Dapprima latenti, questi danni divennero evidenti quando l’immanentismo della scuola di Chartres evolse bruscamente verso il panteismo con Amaury de Bene (+ 1206) e Davide de Dinant (+1215 ca.). Amaury identificava le forme (idee) creanti e create, uguagliando la creazione a Dio. Quanto a Davide de Dinant, alla base della sua concezione erronea si dà l’identificazione di Dio con la materia prima”.222

L’inizio del XIII sec. conosce inoltre, per altre vie, un rigurgito di dualismo, quel dualismo che abbiamo trovato nella Gnosi del II e III sec. Tale dualismo, mai del tutto spento nell’oriente, attraverso i Balcani, si diffonde con virulenza nell’Italia settentrionale e nella Francia del sud. Al suo fiorire non sono estranei i movimenti spirituali che contestavano la Chiesa istituzionale alquanto mondanizzata in un contesto sociale di benessere economico. Tale contestazione può

220 ivi 253221 ?BIHLMEYER K.-TUECHLE H., Storia della Chiesa, II. Il Medioevo, Morcelliana, Brescia 1960, 101.222 ?.SCHEFFCZYK L, Création....cit, 124s.

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giungere sino al disprezzo della Chiesa visibile come sacramento di salvezza, con l’accettazione dei soli valori interiori e spirituali.

S. Francesco di Assisi (n 1182 - † 1226), orientò questi movimenti spirituali in senso ecclesiale, accogliendo l’esigenza di un rinnovamento interiore attraverso la povertà evangelica, una esigente conformazione a Cristo crocifisso. Tutto questo unito ad un profondo rispetto per le creature di Dio (Cantico delle creature di Francesco stigmatizzato), la stima del lavoro, l’esercizio della predicazione apostolica in fedele obbedienza e comunione con i Pastori della Chiesa.

Gioacchino da Fiore (n 1230 - † 1202), monaco calabrese, prolungherà le processioni trinitarie in una storia salvifica segnata dall’attività del Padre (antico testamento, età dei Patriarchi), del Figlio (nuovo testamento e primo millennio, età dei Sacerdoti), e dello Spirito Santo (età dei religiosi, secondo millennio), rischiando un certo tri-teismo. Pur lodando la sua sincera sottomissione alla Chiesa di Roma, e offrendo riconoscimento della disciplina dei suoi monaci, fu richiamato dal Lateranense IV, del 1215 ( DH 803-807).223

11 Insegnamento su creazione e antropologia del Lateranense IV.

Questo splendido concilio in cui rifulge il genio pastorale e organizzativo di Innocenzo III, vide la partecipazione di più che quattrocento Vescovi 224. La rappresentanza era veramente ecumenica, ma dobbiamo ricordare che Bisanzio aveva un imperatore latino, e la gerarchia greco-ortodossa non è quasi rappresentata: è questa l’ombra maggiore che grava su questo splendido Concilio.

Le questioni sulla Creazione e la connessa antropologia che ci interessano, vengono sviluppate nella Costituzione “De fide catholica”, che rappresenta ancora la struttura di una completa professione di fede. Esprime bene la maturità del dogma, come si presenta all’inizio del XIII sec., in particolare per l’opera sistematica e chiarificante di Pietro Lombardo, novarese, maestro parigino e quindi Arcivescovo di Parigi. I quattro libri delle sue Sentenze, costruite secondo la distinzione Res (le realtà divine), Signa (le realtà sacramentali, atte a portare alle prime); Uti: di alcune realtà dobbiamo solo servirci, per giungere a quelle di cui sole abbiamo un vero godimento, beatitudine, cioè Frui, fruirne. 225

223 Cfr RATZINGER J., S. Bonaventura, La teologia della storia, ed. Porziuncola, Assisi 2008, 149-161, il superamento della dottrina delle età storiche attraverso la figura di Cristo, mediatore e “centro dei tempi”.

224 La Sardegna era rappresentata da dieci Vescovi: Della Metropolia di Torres, oltre Torres, S. Pietro di Sorres, Castro, Ottana, Ampurias, Bisarcio. Della Metropolia di Oristano, Oristano, Santa Giusta, Terralba; della Metropolia di Cagliari, il solo Vescovo di Suelli. FOREVILLE R., par, Latran I,II,III, et Latran IV, ed. de l’Orante, Pars 1965, 254, 393

225 I quattro libri delle Sentenze di Pietro Lombardo (+ 1160) presentano una struttura logica, ispirandosi a S.Agostino, De Doctrina christiana, (L. 1, c. 2. n. 2, CSEL 80,9) ove il Vescovo di Ippona afferma “ Omnis doctrina vel de rebus vel de signis”, specificando inoltre, sempre in De Doctrina christiana L. I,c. 3, n 3 (CSEL 80,9) “ Id ergo in rebus considerandum est, quod res aliae quibus fruendunm est, aliae quibus utendum, aliae quae fruuntur et utuntur”. Oltre all’accenno iniziale nel I libro delle Sentenze, P.Lombardo riprende il discorso solo all’inizio del IV Libro: “Dopo avere trattato delle verità che appartengono alla dottrina delle cose delle quali dobbiamo fruire, gioire, e delle quali dobbiamo servirci, e di quelle di cui ci serviamo e godiamo, passiamo alla dottrina dei Segni”

Così il Primo Libro parla della Trinità, il II° della Creature, il III° dell’Incarnazione, Redenzione, Virtù, ed il IV dei Sacramenti e dell’Escatologia.; questo schema logico res-signa, uti-frui, è usato con elasticità, non è decisivo. Pietro Lombardo ci offre un sommario della tradizione patristica. Con attenzione, siamo dopo Abelardo, alle relazioni tra rivelazione e ragione; separa nettamente la dottrina circa la Trinità immanente dalla Creazione. Non dimentica l’insegnamento dei Padri sulla causalità creatrice delle Persone Trinitarie (l. II dist. 13, c 6 e 7) secondo l’ordine delle loro processioni; ma la relazione della Trinità all’economia della salvezza non è posta in rilievo; inizia a prevalere l’aspetto razionale della creazione, essendo considerata tra le conoscenze filosofiche fondamentali. Anche la Provvidenza viene trattata come attributo di Dio, la sua esistenza ideale nell’essere divino, senza riferimento alla storia salvifica: cfr SCHEFFCZYK, Création. cit. 133s

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Il Testo del Lateranense IV (DH 800), secondo lo schema del Simbolo degli Apostoli, professa in primo luogo la SS Trinità: un unico Dio, una sola essenza, sostanza, in tre Persone, distinte per le loro relazioni di origine. Si afferma che questo Dio unico in tre Persone è il solo creatore di tutte le cose. La creazione è del Dio Uno-Tripersonale, non si parla della partecipazione delle tre Persone, secondo il proprio personale, alla comune azione creatrice. Si può anche intravedere il desiderio di contrastare una certa confusione tra Trinità immanente, in sé, creatrice, ed economia trinitaria della storia salvifica, che abbiamo già notato in Gioacchino da Fiore. La teologia non aveva raggiunto una maturità sufficiente in materia.

Si afferma l’atto creatore in modo da eliminare gli errori del panteismo platonizzante e del dualismo cataro. Tutto è stato creato “simul”, nello stesso modo, ugualmente, a partire dal nulla, per l’onnipotenza divina: tutto, sia gli esseri spirituali che quelli materiali.

Questa creazione possiede un carattere temporale (ab initio temporis). L’uomo è composto di anima e di corpo, partecipe della creatura spirituale e materiale. Le creature sono buone ai loro inizi; le creature spirituali sono divenute malvagie per loro stesse, a causa del peccato.

In tale modo, la dottrina della Chiesa, esposta con chiarezza in formule concise, si opponeva sia al panteismo, per la tendenziale identificazione delle idee esemplari in Dio e nella realtà, per la confusione tra le Persone trinitarie in sé, e loro partecipazione all’economia della salvezza, sia al dualismo e al materialismo.226

L’errore di Gioacchino da Fiore viene discusso in un documento dal titolo De Trinitate (DH 803-807); vi troviamo una preziosa affermazione sull’analogia, la somiglianza tra il Dio della creazione-Alleanza e la sua creatura. Commentando il versetto “Siate voi dunque perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48), si specifica: “Come se dicesse più chiaramente: «Siate perfetti» della perfezione della grazia, «come il Padre vostro celeste è perfetto» della perfezione della natura, cioè ciascuno a suo modo”.

Segue il principio generale dell’analogia: “Perché tra il Creatore e la creatura, per quanto grande sia la somiglianza, maggiore è la differenza”( DH 806). Il Lateranense costituisce così una chiarificazione di fondo che permetterà l’ulteriore procedere di S. Bonaventura e S. Tommaso, specialmente per quanto riguarda la Trinità immanente in sé, e la sua attività creatrice salvifica, la sua presenza nella storia salvifica, Trinità economica. In questo progresso teologico sarà possibile cercare una sistematica del dato rivelato, delineare la visione dell’uomo, creato secondo l’immagine di Dio, Cristo, che ne risulta.

12 Creazione, Cristologia e Antropologia in S. Bonaventura e S. Tommaso.

La Teologia di questi Santi esprime bene la cultura in cui operano. Un secolo non privo di grandi tensioni, ma in cui prevalgono gli aspetti positivi, nella Chiesa e nel fare teologia. Aspetto positivo della Santità nella Chiesa: santità di Francesco, l’uomo perfettamente conformato a Cristo, sin nelle stigmate, che può quindi cantare il cantico delle creature, della fraternità.

Santità di Domenico (+ 1221), vita parimenti evangelica nella sequela di Cristo povero, casto, obbediente al Padre, con studi teologici programmati, sistematici, con finalità pastorale, di annuncio del vangelo “Contemplata aliis tradere”.

Secolo della piena vitalità dei centri universitari: Bologna, Oxford, e in modo particolare, nel campo Teologico e filosofico, Parigi.227.

226 Cfr Latran I,II,III, et Latran IV, cit. 275-286227 Col nome di Università si indicano le associazioni di insegnanti, e poi anche degli studenti, che si uniscono

insieme, secondo ordinamenti e costituzioni, con riconoscimenti religiosi e civili. Le discipline fondamentali erano anzitutto la Teologia, il Diritto, la Medicina. La filosofia, con le arti liberali, costituisce la premessa e la base per lo studio delle prime, cfr van STEENBERGHEN F., L’organisation des études au moyen age et ses répercussion sur le mouvement philosophique, Louvain 1954

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Con la metà del sec. XIII si inseriscono nell’università di Parigi anche professori dei recenti ordini religiosi mendicanti, francescani e domenicani, non senza proteste da parte dei docenti del Clero diocesano. In particolare i Domenicani ponevano le loro case nel cuore delle città universitarie; sono centri di vita evangelica, di preghiera, ma forniti degli strumenti di studio, per realizzare l’intelligenza della fede in stretto contatto con i fermenti di idee della vita universitaria.228

Ora anche questa intelligenza è qualificata dalla santità: Alberto Magno, Bonaventura e Tommaso. Ricordiamo che anche il laicato è santo, nella saggezza di S. Luigi re di Francia (n1226 - †1270), come pure il pontificato, nel Beato Gregorio X (1271-†1276).

12.1 Cristo causa esemplare in S. BonaventuraLa spiritualità francescana che unisce ad un forte cristocentrismo (le stigmate di Francesco

d’Assisi) la percezione del segno dal Creatore impresso nelle sue opere, viene teologicamente espressa nella teologia di S. Bonaventura.

Tra la vita di S. Francesco e l’insegnamento di S. Bonaventura si nota una perfetta corrispondenza. Come Francesco si è avvicinato a Dio per mezzo del Cristo crocifisso, ed ha visto, concretamente, tutte le cose nella di Lui luce, così S. Bonaventura insiste nel dire che il teologo-filosofo cristiano deve vedere l’uomo, il mondo sul fondamento, dinamismo dell’opera creatrice, redentrice ed illuminatrice del Verbo incarnato, Cristo.229

Dice espressamente: Cristo è il medium o il centro di tutte le scienze; sperimenta difficoltà nell’accogliere la filosofia di Aristotele, che rifiuta l’esemplarismo di Platone. S. Bonaventura non nega la distinzione tra Filosofia e Teologia, ma poiché il suo interessamento verte sull’uomo storico esistente, l’uomo in Cristo, della vocazione soprannaturale, viene naturalmente portato a fondere motivi teologici e filosofici in una sola sapienza cristiana, più che a fare rigide distinzioni metodologiche tra filosofia e teologia 230.

Come la vita personale di Francesco culmina nella comunione e configurazione mistica con Cristo, così l’insegnamento di Bonaventura culmina nella dottrina mistico cristo-centrica delle Collationes in Hexaemeron. Si tratta di conferenze teologiche-spirituali, tenute a Parigi, nel tempo pasquale del 1273.

Sono il testamento di un teologo unicamente impegnato a portare le menti ed i cuori alla conoscenza dell’unico maestro di Sapienza, Cristo. Non deve trarre in inganno il riferimento all’opera dei sei giorni, il genere letterario patristico degli Esameroni. È cosa accidentale che S. Bonaventura paragoni il progredire delle sue illuminazioni all’opera creatrice di Genesi; si tratta bensì di illuminazioni offerte alla Chiesa, ma come passaggio ad una sapienza cristiana, considerata nelle sue origini, essenza e progredire storico. 231

Furono interrotte per la sua nomina cardinalizia, il 28-5-1273, con l’incombenza di preparare il concilio di Lione II; vi morirà, alla sua conclusione, il 7-5-1274. Riportiamo ora due

228 Cfr GILSON E., La filosofia del Medioevo, cit., 431-458229 Cfr von BALTHASAR H. U., Gloria, vol. 2, Stili ecclesiastici, Jaca Book, Milano 1978, 237-256; OROMI

M., Introducion general, filosofia ejemplaristica de S. Buenaventura, in Obras de s. Buenaventura, T. 3°, Camino de sabiduria, BAC, Madrid 1957, 3-140; VIGNOUX P., Condition historique de la pensée de S. Bonaventura: christocentrisme, eschatologie et situation de la culture philosophique, in Atti del Congresso internazionale per il VII centenario di S. Bonaventura da Bagnoreggio, Roma 1976, vol I, 409-427; SZABO T., Trinità e creazione. Riflessioni sull’attualità del pensiero di S.Bonaventura, in Atti cit., vol II, 223-231; AAVV, Teologia e filosofia nel pensiero di S. Bonaventura, Brescia 1974.

230 Cfr RATZINGER J., S. Bonventura, La teologia della storia, ed. Porziuncola, Assisi 2008, 181: ”In definitiva ciò non significa forse che in Bonaventura la filosofia, che è unita alla teologia come l’anima al corpo, non può essere svincolata e separata, laddove in S. Tommaso d’Aquino (la cui filosofia deve essere in gran parte derivata dalle sue opere teologiche) esiste fondatamente un diritto ed una possibilità di separare una filosofia relativamente autonoma ?”

231 Cfr RATZINGER J., S. Bonaventura cit., 19-26; von BALTHASAR, Gloria, vol II , cit., ibidem

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testi dalle Collationes, che pongono in risalto il cristocentrismo di S. Bonaventura, fondato nella stesa creazione:

Il Verbo esemplare eterno: “Se [il metafisico] considera quell’essere come causa esemplare di tutte le cose, non spartisce la sua competenza con altri, ed è vero metafisico. Il Padre infatti “ab aeterno” generò il Figlio simile a sè; e disse in questo atto, sè e la similitudine sua simile a sè; e con ciò disse tutto il suo potere. Disse tutto ciò che avrebbe potuto creare, e disse, massimamente, tutto ciò che volle creare. E tutte le cose espresse nel Figlio, in questo medio, come nel suo esemplare. Pertanto questo medio è la Verità”232

Notiamo come in modo stringatissimo S. Bonaventura unisca la generazione del Verbo immagine perfetta del Padre, e la libera (volle) creazione di tutte le cose, sempre nello stesso esemplare divino, il Verbo. Come esso è l’immagine filiale, la verità del Padre, così pure è il fondamento della verità di tutte le cose, che partecipano di questo esemplare. Il discepolo di Francesco ne trae una conseguenza generale: non possiamo dire di conoscere autenticamente qualsiasi cosa, se non la conosciamo così creata, redenta e quindi illuminata dal Verbo-Verità:

“L’intelletto [ il dono, regola delle norme morali, porta delle investigazioni scientifiche, chiave delle contemplazioni celesti ], risulta da una triplice conoscenza: --la conoscenza del Verbo increato, mediante il quale tutte le cose sono state prodotte.—la conoscenza del Verbo incarnato, mediante il quale tutte le cose sono state riparate.—la conoscenza del Verbo inspirato, mediante il quale sono rivelate tutte le cose.

Infatti se delle cose non si può considerare il principio donde hanno origine, il fine cui tendono, e come Dio rifulge in esse, non se ne può avere intelligenza” (3,2).

La teologia-filosofia di Bonaventura, centrata sulla causa esemplare, il Verbo incarnato, si distanza dalla tendenza panteistica della scuola di Chartres: distingue chiaramente la generazione eterna del Verbo dalla libera creazione, partecipe di Lui, delle creature. Le idee esemplari delle cose stanno nel Verbo eterno secondo il suo essere divino.

Ma la tendenza è di unire strettamente il mondo a Dio, Uno-Tripersonale:

“Omnis autem creatura clamat aeternam generationem” (11,13). Bonaventura teme l’introduzione della scienza aristotelica, che non conosce la causa esemplare, e quindi il mezzo per fondare la vera conoscenza in Cristo, delle creature.

S.Tommaso, pur muovendosi nella stessa prospettiva di fede nel Dio Uno-Tripersonale creatore, percepisce l’urgenza dei tempi, che reclamano una attenzione maggiore alla consistenza propria delle creature; sente quindi una certa simpatia per Aristotele, il suo sistema attento alle cause intrinseche costitutive delle cose (materia-forma), la loro causalità efficiente e finale.

Corregge e prolunga la riflessione di Aristotele: Dio non è solo causa finale, l’Atto puro di pensiero che tutto attrae a sé, ponendo tutto in movimento; ma è inoltre l’Atto puro di essere, causalità efficiente creatrice, che tutto ha liberamente posto nell’esistenza. Non solo causa finale del movimento, ma causa creatrice dello stesso esistere. 233

232 Collationes in Exameron 13,1233 Cfr MARENGO G., Il Principio trinitario della creazione nella teologia di Tommaso d’Aquino, PUL Roma

1990, 69-83, nota il passaggio, comparando lo Scriptum in quattuor Libros sententiarum con la Summa Th., da una accentuazione della causa esemplare a quella della causa efficiente creatrice; mi sembra in sintonia con quanto afferma Gilson sul primato in Tommaso della prospettiva dell’Atto di esistere, il Dio vivo e vero dell’Esodo e della Professione di fede cristiana, cui tutto si riconduce: cfr GILSON E., Costantes philosophiques de l’Etre, Vrjn Paris 1983, 65-68.; MARENGO G., Trinità e creazione, Città nuova Roma 1990, 134-147. PHILIPPE M.D., Analyse de l’etre chez S. Thomas, in Atti del Congresso internazionale Tommaso d’Aquino nel suo settimo centenario, Napoli 1974, vol VI L’Essere, 9-21; MONDIN G.B., Il problema del linguaggio teologico dalle origini ad oggi, Brescia 1971

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Così il principio architettonico per l’intelligenza sistematica della Creazione-redenzione in, per, verso Cristo sarà in S.Bonaventura anzitutto la causa esemplare, Cristo; in S.Tommaso il Dio Uno-Tripersonale, causa efficiente e finale, e in questo contesto, causa esemplare di tutto. 234

Si è proposto recentemente di denominare Tommaso dal mistero di fede che più gli è caro, su cui fonda tutta la sua teologia sistematica e spirituale, cioè la Creazione: sarebbe così Tommaso della Creazione, come diciamo Giovanni della Croce, Teresa del Bambino Gesù e del Sacro Volto. 235

12.2 La creazione del Dio Uno-Trino in S. TommasoViene trattata con ampiezza in molteplici opere. Come il Commento alle Sentenze (1252-

1256), La Summa contra Gentiles (1259-1265), le Quaestiones disputatae de potentia Dei (1265-1268); nella Summa Theologica (1265-1274), di cui costituisce il principio metodologico e sistematico. Possiamo così delineare l’ampio e fondamentale insegnamento di S. Tommaso circa la Creazione. L’unica esistente è opera ad extra della SS Trinità, avviene per Cristo, nello Spirito Santo, ne è tutta qualificata.

Anche sotto lo stimolo di Aristotele 236, precisa il concetto metafisico di creazione, cercando cosa sia realmente nella creatura. S. Tommaso compie questa operazione, con una duplice astrazione: prescinde dal dato di fede, che ci parla di creazione del Dio Uno-Tripersonale, ed inoltre dal dato della S.Scrittura , che indica un inizio temporale “In principio Dio creò il cielo e la terra.”(Gn 1,1).

Nel De Potentia Dei, III, art. 3, pone la questione: “Il terzo quesito che si pone è se la creazione sia realmente qualcosa nella creatura e, se lo è, che cos’è”.

Risponde distinguendo: (a) Creazione in senso attivo, cioè dalla parte di Dio creatore: indica l’azione di Dio che è la

sua stessa essenza, in Dio infatti tutto è semplice, uno, essenza ed attività coincidono. Indica la sua relazione con la creatura da Lui posta nell’essere, senza alcun presupposto, dal nulla. Ma tale relazione di Dio con la sua creatura non può essere reale, quasi che Dio dipendesse dalla sua creatura, quindi è solo concettuale, di ragione.

(b) Creazione in senso passivo: indica il frutto della sua attività creatrice, la realtà posta nell’essere, con tutta la sua consistenza ricevuta, radicalmente in tutto, dipendente da Lui, orientata a Lui. Appartiene quindi al genere della relazione. Non è qualcosa che viene aggiunto alla creatura, ma tutta la creatura, con la sua consistenza ricevuta, in quanto relazionata al Creatore, radicalmente dipendente e finalizzata a Lui.

Tommaso fa notare come creare non comporta alcuna trasformazione, da parte di Dio, che non dipende in alcun modo dalla creatura, ma neppure da parte della creatura, in quanto creare dal nulla significa porre la totalità dell’effetto, la realtà creata, non trasformare qualcosa di previo, che non si dà. Una tale precisazione metafisica della creazione in senso attivo e passivo, pone in risalto la novità della creatura, la sua natura, capacità operativa ricevuta, la sua partecipazione limitata dell’essere di Dio, la sua consistenza che si offre alla conoscenza e all’impegno dell’uomo. La creazione, in quanto relazione, ricorda che tutto questo è radicalmente dipendente da Dio, nella sua consistenza ricevuta, nell’esistere e nell’operare.

Dio creatore non dipende in nulla dalla sua creatura, che ha posto e conserva nell’essere, che attira a sè attraverso l’attività ricevuta, la sua natura propria. La purezza di questo prezioso concetto

234 LECRIVAIN P., stende una presentazione sintetica, comparativa dei sistemi di Tommaso, Bonaventura e Scoto, in SESBÖÛÉ B., ed., Histoire des dogmes, T II L’homme et son salut, Desclée, Paris 1995, 552-560

235 Cfr MILANO A., Quale verità, per una critica della ragione teologica, EDB, 1999236 L’assenza del concetto autentico di creazione è riscontrabile nel pensiero filosofico del mondo pagano. È

possibile che S. Tommaso non si sia reso perfettamente conto di tale assenza; sicuramente alla luce del dato rivelato, ha prolungato, purificato un pensiero che ne conteneva alcuni germi, senza espressa sistematica consapevolezza Cfr. . Somma contra i Gentili, a cura di T. S. Centi, UTET 1975, 291,nota 1.

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metafisico, che va al cuore della relazione creaturale, non esprime ancora la qualità trinitaria della creazione, che conosciamo dalla storia della salvezza, nel suo vertice per Cristo, nello Spirito Santo.

Nella purezza di questa relazione metafisica, in cui consiste la creazione, S. Tommaso prescinde anche dalla questione della sua temporalità, poiché, in sé, creare, non indica alcuna trasformazione, né in Dio, neppure nella creatura, che non è trasformata ma semplicemente posta nell’esistenza.

Da parte di Dio non ha senso parlare di creazione nel tempo, perché Dio è eterno, semplicità assoluta di unità, verità e amore che non conosce dispersione temporale, essendo perfezione totalmente viva e realizzata. Evidentemente il tempo interessa la creatura, come misura della sua attività, operazione; nella creatura, i suoi ritmi, viene concreato anche il tempo.

Ora questo tempo, ha avuto un inizio? S. Tommaso dice che questo principio del tempo si dà, ma è conosciuto dalla Rivelazione:

“Che il mondo non sia sempre esistito si tiene soltanto per fede, e non si può provare con argomenti convincenti: come sopra abbiamo dimostrato a proposito del mistero della Trinità”237.

S. Tommaso vede una convenienza del dato rivelato circa un inizio temporale della creazione; tale inizio era conveniente per rendere più evidente il fine inteso da Dio, manifestare la sua bontà :

“Fine infatti della volontà divina nella produzione delle cose è la sua bontà da manifestare mediante le cose da essa causate. Ora la potenza e la bontà di Dio vengono mostrate specialmente dal fatto che tutte le altre cose, all’infuori di Lui, non sono sempre esistite.

Da ciò risulta evidente che le altre cose ricevono da Lui l’esistenza, perché non sempre sono esistite. É chiaro inoltre che egli non agisce per necessità di natura, e che la sua virtù nell’agire è infinita. Perciò fu convenientissimo per la bontà divina dare alle cose create un inizio alla loro durata.”238.

Ma per quanto riguarda rigorosi argomenti di ragione che provino senza alcun dubbio l’inizio temporale, S. Tommaso si dimostra cauto, stante la grande autorità di Aristotele, che parla di eternità del mondo. Non vuole esporre all’irrisione dei non cristiani, un dato della Scrittura, quasi fosse evidente anche alla ragione. Con la conseguenza che i non cristiani pensino che la fede si fonda su discutibili questioni di ragione, come quelle circa il principio della temporalità del mondo239.

La tesi dell’eternità del mondo trovava appigli nella fisica di Aristotele, ove il tempo è la misura dei cicli del primo cielo, dalla sua eterna e semplice rotazione.

Ora la concezione del tempo della relatività di Einstein, una visione scientifica evolutiva del cosmo, offrono una prospettiva molto distante da quella di Aristotele. S. Tommaso inoltre percepiva che la sostenibilità della creazione dall’eternità dipendeva dalla possibilità che potesse darsi un numero attualmente infinito di realtà concrete. Su questo punto, S. Tommaso dimostra qualche indecisione, come nella conclusione del De Aeternitate mundi: “E inoltre non è stato ancora dimostrato che Dio non possa fare in modo che esistano infinite cose in atto”; ma nella Summa Theologica, I, q.7, art.4 dimostra chiaramente l’impossibilità di un infinito attuale in tutto l’ordine creato.

237 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologica, I, q.46,art.2.238 TOMMASO D’AQUINO, Somma Contro i Gentili, a cura di T.S. CENTI, (=Classici delle Religioni) UTET

1975, L. II, cap. XXXVIII, 344239 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologica, I, q.46, art.2.

117

Come abbiamo detto, S. Tommaso intendeva proteggere la limpidità della radicale e completa dipendenza di tutta la consistenza propria della creatura, essere ed operare, dal Creatore, rispetto ad ogni altra considerazione già in se secondaria240.

12.3 La Trinità creatrice.La creazione, come ogni altra azione con cui Dio produce qualcosa al di fuori di sè, è

comune delle Tre persone divine, la loro comune sostanza; da essa, come da un solo principio, proviene l’universo creato.

Abbiamo visto con quanta chiarezza lo professasse il Lateranense IV (DH 800). Non possiamo dimenticare il dato Biblico paolino e giovanneo circa la creazione in, per, verso Cristo, ed inoltre il costante insegnamento sulla presenza attiva e vivificante dello Spirito Santo sin dall’inizio di ogni opera di creazione e salvezza.241

La grande scolastica del sec. XIII ricerca l’intelligenza teologica di questo dato rivelato, contenuto anche nella professione di fede del Niceno-costantinopolitano: per Lui, tutte le cose sono state create. Questo è reso possibile dal rigore della speculazione sull’Unità e Trinità delle Persone: pur essendo la natura divina comune alle tre Persone, ciascuna di esse la possiede secondo gli attributi propri, le relazioni di origine.

Come le Persone divine possiedono la natura divina secondo le loro relazioni, parimenti partecipano alla creazione secondo le loro relazioni di origine, le processioni divine.

Ne consegue che l’intelligenza teologica delle processioni divine, generare il Verbo, spirare lo Spirito Santo, risulta necessaria anche per avere una certa intelligenza teologica dell’azione creatrice di Dio: Dio uno e trino crea con il suo intelletto, conoscendo nel Verbo, e con la sua volontà, amando nello Spirito Santo.

É questo il modo di procedere di S. Tommaso nella Summa Theologica. Dopo avere nelle prime questioni della I° parte sviluppato l’intelligenza sul dato di Fede trinitario, processione del Figlio secondo l’intelligenza divina, dello Spirito Santo secondo la volontà, l’amore divino, ci avvisa di avere portato avanti questa riflessione anche in vista del poter comprendere con più precisione l’atto creativo di Dio:

“Dobbiamo dire che ci era necessaria la conoscenza delle Persone divine per un duplice motivo: in primo luogo per avere una idea esatta circa la creazione del mondo; in secondo luogo, e a maggior ragione, per avere una idea esatta della salvezza del genere umano, che si realizza per l’incarnazione del Verbo e per il dono dello Spirito Santo” 242.

Infatti, come ancora spiega S. Tommaso: “Come la natura divina, pur essendo comune alle tre Persone, conviene loro secondo un

certo ordine, in quanto il Figlio la riceve dal Padre e lo Spirito Santo da entrambi; così anche la potenza creatrice, sebbene sia comune alle tre Persone, tuttavia, conviene ad esse secondo un certo ordine; infatti il Figlio la riceve dal Padre e lo Spirito Santo da entrambi. Perciò si attribuisce al Padre di essere Creatore, come a colui che non riceve da altri la potenza creatrice. Del Figlio invece si afferma che <per mezzo di Lui tutte le cose sono state fatte> perché egli ha il medesimo potere, ma da altri [il Padre] … allo Spirito Santo finalmente che ha questa medesima potenza da entrambi, viene attribuito il dirigere come Signore e vivificare ciò che è stato creato dal Padre mediante il Figlio.” 243.

Aveva già spiegato nel “Rispondo” dello stesso articolo:

240 Si può trovare un’ampia discussione di questo tema, nell’introduzione di CENTI T.S., La Summa Teologica, traduzione e commento, IV, La creazione - gli Angeli, Salani 1964, 10-19.

241 ARMENDARIZ L.M., Ombre y mundo a la luz del Creador, cit. 132-160242 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologica, I, q.32,art.1, ad.3.243 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologica, I, q.45, art.6, ad.2.

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“Le Persone divine hanno un influsso causale sulla creazione in base alla natura delle rispettive processioni: Dio Padre ha operato la creazione mediante la sua Parola, che è il Figlio, e mediante il suo Amore, che è lo Spirito.”

Così si esprimeva in S. Th. I, q.37, art.2, ad 3: “Come il Padre esprime sè ed ogni creatura mediante la Parola che egli generò, in quanto il

Verbo generato rappresenta il Padre ed ogni creatura: così ama sè ed ogni creatura mediante lo Spirito Santo, in quanto lo Spirito Santo procede come amore della prima bontà, secondo la quale il Padre ama sè ed ogni creatura”.

In tale modo le processioni delle Persone costituiscono anche i principi per la produzione delle creature. Dio ha posto nell’esistenza la creatura per il suo Verbo, che è il Figlio, e nel suo Amore, che è lo Spirito Santo. 244

Una convinzione che troviamo già nella sua opera giovanile, il Commento alle Sentenze, Prologo. La vita della SS Trinità è “il flusso delle eterne processioni”: la realtà creata è come un canale derivato da questo grande fiume, e chiamato, pur conservando la sua identità creaturale, a ricongiungersi intimamente alla corrente da cui è sgorgato.

Poiché Dio crea conoscendo la realtà creata nel suo Verbo, dobbiamo considerare la creatura come parola della Parola, voce della Parola filiale.

Ascoltiamo un passo della Summa contra Gentiles, nel libro IV,13 ,ove si riflette esplicitamente sulla Rivelazione cristiana:

“[...] quanto viene compiuto dal Verbo, può venire detto verbo, o parola, quasi verbo del Verbo, perché ostensivo del Verbo interiore”.

S. Tommaso, ormai abituato a procedere in modo rigoroso, precisa subito come Dio conosce le creature-parole della sua Parola filiale: non dipende dalla conoscenza delle cose, ma le conosce creandole, come parole della sua Parola.

Aggiunge:“[…]è necessario infatti che in Dio il Verbo mentale, per il fatto che intende se stesso, sia il

Verbo di tutte le cose. Tuttavia non allo stesso modo egli è il Verbo di Dio e delle altre cose. Poiché è il Verbo di Dio in quanto promana da Lui; mentre non lo è delle altre cose, in quanto promana da esse: Dio infatti non desume la conoscenza dalle cose, ma piuttosto mediante la conoscenza sua le produce nell’essere [...].Perciò è necessario che il Verbo di Dio costituisca la ragione perfetta di tutte le cose create.” (IV, 13).245

In quanto partecipano del Verbo, Parola esprimente la Verità di Dio, tutte le creature risultano intelligibili all’intelletto umano in un orizzonte di verità assoluta. Ogni realtà creata è infatti una idea divina del Verbo eterno, realizzata nell’extra divino: è verità “oggettivata”, ha in se una essenza, una forma conoscibile dall’intelligenza umana, che può quindi formarsi delle cose una “idea” corrispondente alla realtà.

“Come le realtà sono parole della Parola, così sono pure doni del Dono [lo Spirito Santo ]. Il carattere di parola si manifesta nella possibilità che ha l’essere di conoscere, di essere conosciuto e di avere un’essenza; il carattere di dono nella sua tensione, nella sua attualità, nel suo dinamismo realistico ed efficace, nel suo valore “ 246.

Insegna S.Tommaso: I, q.45, art.7:

244 Cfr SCOLA A., MARENGO G., PRADES LOPEZ J., La persona umana antropologia, (=Amateca, sez.6°, 15) 83s; MARENGO G., Trinità e creazione, Citta nuova Roma 1990; MATHIEU L., La Trinità creatrice secondo S. Bonaventura, Milano 1994; EMERY G., La trinità creatrice, Paris 1995; von BALTHASAR H.U., Teodrammatica 5, 70

245 Cfr PEGIS A. C., Qu’est-ce-que la Summa contra Gentiles, in L’Homme devant Dieu, cit. T.II, 169-181246 W. KERN, Interpretazione teologica della fede nella Creazione, in Mysterium Salutis, vol. 4, Brescia 1970,

121; BAILLEUX E., La création, oevre de la Trinitè selon S. Thomas, in R Thom (1962), 27-50

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“[...] troviamo in tutte le creature la rappresentazione della SS Trinità come vestigia, in quanto troviamo in ciascuna creatura degli aspetti che è necessario attribuire, come a loro causa, alle Persone divine. Infatti ogni creatura sussiste nel proprio essere, ha inoltre una forma che ne determina la specie, e finalmente un ordine verso qualche altra cosa. Allora diciamo, che in quanto essa è una sostanza creata rappresenta la causa o principio: e così indica la persona del Padre, che è principio senza principio. In quanto poi ha una data forma o specie rappresenta il Verbo; poiché la forma dell’opera d’arte deriva dal verbo mentale dell’artista. Finalmente in quanto la creatura dice ordine o tendenza, offre una somiglianza con lo Spirito Santo che è Amore.”

Valgono per noi come traccia e vestigia della SS Trinità non una qualche considerazione superficiale o aggiunte delle cose, ma quello che fondamentalmente sono, secondo la loro intrinseca unità sostanziale, verità e bontà; in altre parole, i trascendentali della tradizione metafisica. Essi sono il frutto della “recta ratio” metafisica dell’uomo, quando riflette, alla luce dei principi metafisici di non contraddizione, causalità e finalità, della partecipazione creaturale, del tutto limitata, analogica, alla pienezza dell’Essere, Uno, Vero, Buono.

Questa riflessione è avvenuta in ambito di pensiero cristiano, alla luce dell’intelligenza dei Mistero del Dio rivelato, Uno-Tripersonale, per le relazioni di origine secondo conoscenza ed amore, generazione del Figlio, comune spirazione dello Spirito Santo. Il rigore teologico-metafisico di S. Tommaso ci avvisa che si tratta di appropriazioni alle Persone divine. 247

Le Persone divine non sono conoscibili dalla ragione umana, che non può avere l’accesso alla vita intima di Dio se non attraverso la Rivelazione storica per il Figlio incarnato, nello Spirito Santo. Gli attributi così detti trascendenti (uno, vero, buono) delle cose, possono essere “attribuiti” alle Tre persone divine, per le somiglianze analogiche che presentano con le loro proprietà di origine.

La verità e la bontà delle creature hanno la loro causa esemplare nella Verità e Bontà come sono in Dio, secondo un tipo ideale la cui eminenza sorpassa la nostra ragione ed i suoi concetti. Nella luce della Rivelazione Trinitaria, possiamo affermare che questa Verità di Dio è tale che in virtù di essa nasce una Persona divina, il Verbo; questa Bontà in Dio è tale, che in ragione di essa nasce un’altra Persona, lo Spirito Santo248.

247 Cfr MARENGO G., Il Principio trinitario della creazione nella teologia di Tommaso d’Aquino, cit. 134—148: La nozione di appropriazione

248 Per meglio comprendere quanto stiamo esponendo, è bene riferirsi a ciò che con più ampiezza viene esposto nei trattati sulla SS Trinità: B. de MARGERIE, La Trinité chrétienne dans l’histoire, Beauchesne, Paris 1975, 262. VI: «L’Appropriation a chacun de Trois de leurs oeuvres communes met en relief leurs propriétés personnelles». Distingue bene tra: Attributi essenziali, come potenza, scienza, amore, che sono comuni alle Tre Persone divine, come attributi della loro comune essenza; essi sono già conoscibili con il retto esercizio della ragione umana, quando riflette sulla creazione, (Rm 1,20s) e proprietà personali: paternità, filiazione e spirazione passiva, che distinguono le singole Persone, e che conosciamo per rivelazione, per Cristo nello Spirito Santo. Ora le S. Scritture, Simboli della Fede, Padri appropriano alle singole Persone predicati ed operazioni che le stesse fonti dichiarano comune ai Tre: Credo in Dio Padre onnipotente, creatore, lo Spirito Santo Signore e santificatore: (1 Cor 12,4-6) Come afferma S.Tommaso “L’unico fondamento delle appropriazioni sta nella loro somiglianza con le proprietà” (I Sent. dist. 31,q. 2,art. 1,ad 1). Così la creazione, evidentemente comune alle Tre Persone, si appropria al Padre, in quanto principio senza principio, la Sapienza al Figlio, in quanto Parola che procede per intelligenza, la vivificazione allo Spirito Santo, in quanto Amore che unisce il Padre ed il Figlio. Parlare di ap-propriazioni significa da una parte rispettare l’unità dell’essenza divina, ma dall’altra porre in evidenza l’affinità tra un attributo comune e la proprietà personale. Conclude B. de Margerie: “L’appropriazione mette dunque la creazione tutta intera, attraverso l’esercizio della ragione umana, al servizio della contemplazione del mistero rivelato delle proprietà personali, e le loro relazioni reciproche.[...] Senza saperlo, ma in modo del tutto reale, i giudei e i mussulmani, che pur restando tali, hanno accolto la grazia del Cristo, la grazia del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, amano Dio come è, Tripersonale [....] certi negatori della SS Trinità, vittime di una ignoranza invincibile e non colpevole, l’amano in realtà al di sopra di tutte le cose, può essere anche più di noi […] E se le Persone divine sono state a noi rivelate, non è forse affinchè noi le riveliamo ad essi, affinchè possano amare coscientemente e in piena luce ciò che la loro coscienza già ama, senza doverlo fare incoscientemente.[...] noi amiamo le Tre Persone, secondo l’ordine che esiste tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Questo punto merita riflessione, per meglio percepire tutto ciò che è implicito nell’ordine di Cristo glorioso: “Battezzatele nel nome del Padre, del Figlio e

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Ora le realtà create, che provengono dalla conoscenza e dalla volontà amante di Dio, ap-propriate alle processioni trinitarie del Verbo e dello Spirito Santo, nella loro uscita da Dio, possono raggiungere la loro perfezione, ritornare a congiungersi con Dio solo attraverso la conoscenza secondo verità e la volontà conforme ad onesta bontà dell’uomo; solo nell’uomo, immagine di Dio per la sua struttura spirituale che comporta conoscenza ed amore, si compie la grandiosa “circulatio” tra Dio e la creatura, il ritorno a Lui: ciò avviene quando l’uomo conosce ed ama il suo Creatore, e conosce ed ama tutta la realtà creata in relazione alla verità e alla bontà di Dio.249

12.4 Creazione ed Incarnazione.L’esame della Creazione alla luce della sua origine dal mistero della SS Trinità, non solo ci

ha permesso di cogliere più in profondità la verità e la bontà delle cose, dell’uomo, il loro dinamismo (appropriarle alle Persone del Verbo e dello Spirito Santo), ma ci permette anche dì comprendere la possibilità stessa del fine concreto (causa finale), in vista del quale è voluta sin dall’inizio la creazione, che è l’Incarnazione redentrice del Verbo.

Infatti la creazione ci è apparsa come il prolungamento ad extra delle processioni divine, che nell’uomo, strutturato spiritualmente secondo la capacità di conoscere ed amare di Dio stesso, raggiunge il suo vertice. Questa creazione del mondo per la Parola, nello Spirito Santo, costituisce in se una “struttura grammaticale” logica-dinamica, in cui è possibile l’espressione dello stesso Verbo eterno, la sua Incarnazione, il dono dello Spirito Santo.

Per l’incarnazione del Verbo, nella missione dello Spirito Santo, l’assimilazione dell’uomo a Dio raggiunge la massima perfezione ed intensità: non solo colma tutta la capacità creaturale umana di Dio, ma la trasfigura, nella partecipazione del tutto soprannaturale ed indebita alla Natura divina, la Vita trinitaria, in essa alla Verità filiale, nel dinamismo dell’amore Spirito Santo. Né dobbiamo pensare che la creazione dell’uomo debba necessariamente condurre all’Incarnazione del Verbo e all’effusione dello Spirito; diciamo solamente che essendo già in sè strutturata ad immagine delle processioni divine, ha in sé la possibilità di accogliere l’Incarnazione del Verbo e l’effusione dello Spirito. Possiamo ancora riferirci al testo già citato di S. Tommaso:

“Dobbiamo dire che ci era necessaria la conoscenza delle Persone divine per un duplice motivo: in primo luogo per avere una idea esatta circa la creazione del mondo [...] in secondo luogo, e a maggior ragione, per avere una idea esatta della salvezza del genere umano, che si realizza per l’incarnazione del Verbo e per il dono dello Spirito Santo” 250.

Siamo pure in grado di comprendere come solo l’Immagine filiale del Padre poteva personalmente assumere una forma creaturale, incarnarsi, e come questa forma creaturale potesse essere solo l’uomo. Infatti si deve appropriare al Verbo eterno se ogni realtà creaturale ha in sè una forma, una essenza, che la definisce, e solamente nell’uomo questa essenza esiste come anima spirituale, dotata di autocoscienza, forma di tutto il composto umano, in cui il Verbo eterno può esprimersi incarnandosi.

Come sappiamo dalla Rivelazione, la creazione è stata da sempre voluta, qualificata nella prospettiva dell’Incarnazione; essa si presenta nel Crocifisso glorioso redentrice, perché l’uomo è

dello Spirito Santo” [...] Non è dunque senza ragione che Cristo ha scelto ed espresso un ordine determinato nel suo modo di parlare del mistero fondamentale che Egli completava di rivelare, come non è senza ragione che Egli aveva scelto per ciascuna delle Tre Persone dei nomi che non passeranno mai: “il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Questo ordine, come questi nomi, esprimono le relazioni di origine in Dio.

Cf. anche L.F. LADARIA, Il Dio vivo e vero, il mistero della Trinità, Piemme, Casale Monferrato (Al) 1999, 309: ”Anche negli attributi divini essenziali, quelli che competono a tutta la Trinità, troviamo una manifestazione delle Persone. Queste manifestazioni costituiscono, secondo Tommaso d’Aquino, le appropriazioni (I, q. 39,art. 7)”. Cf id., Antropologia teologica, Piemme, Pont. Univ. Gregoriana 1995, 64-69. B. FORTE Trinità come storia, Saggio sul Dio cristiano, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi)1985, 177, parla di vestigia e di analogia.

249 Fonda così una spiritualità Trinitaria: cfr TORREL J.P., Thomas d’Aquin, II, Doctrine Spiritelle, in D. de Spi.. T.XV, Paris 1991, 749-756

250 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologica, I, q.32, art.1, ad .3.

121

stato liberamente peccatore sin dagli inizi. Il Verbo incarnato sino alla Croce gloriosa, datore dello Spirito Santo, ricapitolatore universale, è la causa finale, il Vero Bene per il quale, verso il quale, nel quale tutto è stato creato e redento (Col 1,15-20; Prologo di Efesini , Ebrei e Giovanni).

In questa prospettiva di fine pienamente realizzato per il Crocifisso glorioso, nello Spirito Santo, la Beatitudine paradisiaca, il fine che tutto orienta e qualifica sin dagli inizi della Creazione, possiamo discernere la visione rivelata dell’uomo, creato sin dal principio secondo l’Immagine del Padre, Il Verbo incarnato, crocifisso glorioso.

Con S.Tommaso distinguiamo tre livelli: l’Immagine della Beatitudine, quando, nella perfetta somiglianza e conformità a Cristo

glorioso, l’uomo esercita in modo pieno e attuale la sua attività suprema: conoscere e amare Dio come egli conosce e ama se stesso; partecipa così della natura divina, della conoscenza e dell’amore del Figlio per il Padre.

l’Immagine per la Grazia di Cristo, in questa vita pellegrinante: la comunione con Dio Padre è reale, secondo il “proprio” del Figlio incarnato, e dell’Amore Spirito Santo, ma è ancora imperfetta; Dio Uno e Trino non si manifesta ancora senza veli, il che modifica il processo della conoscenza e dell’amore.-- l’Immagine nella sua struttura fondamentale, costitutiva, capacità non ammissibile di

conoscere e amare Dio (neppure nell’eventuale inferno), capacità radicale di accogliere, pervenire ai primi due gradi, di riprodurre in sè l’Essere intimo di Dio, la sua Conoscenza filiale ed il suo Amore Spirito Santo251.

L’uomo è creato secondo l’immagine di Dio, il Figlio, la perfetta immagine del Padre (S. Th. I, q.35, art.2, ad.3); esaminando la costituzione dell’uomo, questo si realizza per il suo principio spirituale, l’anima, la sua capacità di conoscere ed amare, a somiglianza delle processioni divine, come è stato detto.

In questo S. Tommaso si pone sulla linea degli Alessandrini, di S. Agostino. Ma muovendosi nella prospettiva della Genesi (S. Th. I, q.65 - 74), ed inoltre per il benefico influsso di Aristotele, ha il senso fortissimo dell’uomo concreto, la sua unità, basar-nefes, corpo-anima, qualificato dalla Ruah, Spirito Santo; questo uomo che conosce, ama, entra nella Beatitudine, richiederà la Resurrezione dei Corpi. Il Dottore angelico sviluppa una teoria dell’unità dell’uomo, secondo quanto abbiamo visto nella parte biblica, cui la dottrina dell’anima razionale unica forma del corpo, di ispirazione aristotelica, fornisce stimoli e strumenti di pensiero.

Tutto questo gli permette di sviluppare una dottrina sull’unità dell’uomo, che ha sempre fatto difetto in Agostino, e che sola permette di pensare la natura ed il destino dell’uomo in modo equilibrato: può superare prospettive materialiste o disincarnate e angeliche 252.

12.5 L’immagine di Dio nella teologia di S. Tommaso:L’uomo, creato secondo l’Immagine di Dio fa da cerniera tra la prima e la seconda parte

della Summa Theologica: risulta dal Prologo, con cui S. Tommaso introduce alla II° Parte:

“Poiché l’uomo è stato creato ad immagine di Dio, in quanto […] è dotato di intelligenza e libero arbitrio, dominio sui propri atti, dopo avere trattato dell’esemplare, cioè di Dio, e delle creature che sono venute all’essere per la divina potestà secondo la sua volontà, ci rimane di trattare della sua Immagine, in quanto principio delle proprie azioni, per il libero arbitrio e per la capacità di disporre di sé “ 253.

251 Cf. LAFONT G., Structures et méthode dans la Somme théologique de S.Thomas d’Aquin, Cerf, Paris 1990.252 Cf. LAFONT G., op. cit. 291-298.253 S.Tommaso tratta il tema in modo particolare a proposito della creazione dell’uomo, secondo l’immagine di

Dio: nel Commento delle sentenze, I, d.3; II, d.16; nel De Veritate, q.X, a.7; nella Summa Theologica, I, q. 93. Vedi SANNA I, Immagine di Dio e libertà umana, Città Nuova, Roma 1990, 173-177. Il Brano citato, Prologo alla II parte, è certo il più significativo; inoltre la teologia (e filosofia) dell’immagine si esprime in modo eminente nella trattazione dell’anima razionale, forma del corpo: Summa Theologica, I, q. LXXV – XC.

122

Ricompare qui la categoria biblico patristica dell’Immagine di Dio, che avevamo lasciato notevolmente compromessa nella linea antiochena, nestoriana pelagiana, e alquanto indebolita nella speculazione alessandrina e agostiniana 254.

Nonostante questa difficoltà di scuola, il pensiero credente ha conservato riferimenti antropologici corretti professando la sua fede nella vera umanità di Cristo, integra di anima razionale, volontà, corpo (Concilio di Nicea, Calcedonia, Costantinopolitano III). Ugualmente, nelle sue professioni di fede, la Chiesa ha affermato l’attività creatrice del Figlio e dello Spirito Santo: la Trinità immanente presiede, qualifica, anima tutte le economie della storia salvifica, tutte fondate, ricapitolate nell’Incarnazione redentrice del Verbo, nel dono del suo Santo Spirito.

S. Tommaso recupera l’integrità biblica dell’Immagine di Dio, attraverso, l’uso e la trasformazione (nel contesto della fede, al servizio della cristologia e antropologia professata nei Simboli) della categoria greca dell’anima razionale forma del corpo. Si dà un forte recupero del significato del corpo; sotto il primato dell’anima, il corpo è quella materia prima che l’anima razionale, come sua forma, plasma, in cui si esprime.

L’anima razionale non esiste indipendentemente dalla materia, che fa essere suo corpo: non si dà anima senza la sua espressione corporea, come non si dà corpo umano senza l’anima razionale sua forma.

La necessità del corpo indica la debolezza del più piccolo degli Spiriti, l’anima razionale umana, che non esiste se non espressa nel corpo, che non può esercitare la sua attività, anche spirituale, senza i dati ricevuti attraverso i sensi corporei. Insieme si afferma il valore del corpo; è per il bene dell’anima, per la sua esistenza ed attività, autenticamente spirituale.

Si tratta di una fedele traduzione dell’antropologia biblica, come si può vedere nella prima parte della Somma teologica.( I. q. 65-74). La prospettiva tomista, oltre ad esprimere bene il dato biblico, fondamentale dell’unità dell’uomo, riesce a recuperare anche il senso della Trinità immanente, ed economica, creatrice e redentrice. Tutta la realtà creata ha struttura logica (è creata per il Logos), è pneumatica, (è animata dallo Spirito Santo); l’uomo è poi ad immagine della Santissima Trinità, per la sua capacità di conoscere il vero, amare il bene, in analogia delle processioni trinitarie del Verbo e dello Spirito Santo 255.

In questa struttura creata logico-pneumatica, può del tutto liberamente, incarnarsi il Verbo, e donare il suo Spirito; e l’uomo immagine di Dio, per il Verbo Incarnato e i Sacramenti della Chiesa ( III Parte della S.Th.), qualificato dall’abito soprannaturale della Grazia e Virtù, può nella sua vita morale cogliere la Verità Bontà inscritta nelle creature (II Parte della S.Th.), giungere alla comunione beatificante con le Persone divine 256.

Questo tentativo teologico di esprimere e coordinare i dati rivelati di Trinità Creatrice, dell’economia salvifica per il Verbo Incarnato, nello Spirito Santo (Chiesa-Sacramenti), dell’uomo secondo l’immagine di Dio, risulta particolarmente felice. 257

Queste novità introdotte da S. Tommaso nell’Antropologia teologica (nel loro cuore, il recupero della prospettiva biblica, l’unità spirituale-corporea dell’uomo creato secondo l’Immagine

254 Cf. CANTALAMESSA R., Cristo immagine di Dio e le tradizioni patristiche su Col 1,15,in “ la Cristologia di San Paolo”, Atti della XXIII settimana biblica, Paideia - Brescia 1976,pp.269-288; a cura di A. G. HAMMAN, L’uomo immagine di Dio, testi patristici, Paoline, Milano 1991.

255 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologica, I, q.45, art.7c; I, q .32, art.1, ad. 3; I, q.37, art. 2, ad. 3.256 Vedi KERN W., Interpretazione teologica della fede nella creazione, in Mysterium Salutis, vol. 4, 89-192.257 TORREL J.P., Tommaso d’Aquino, cit., 175-181, espone le tre posizioni principali circa il piano della Summa

Teologica: le differenze riguardano l’integrazione nell’insieme dell’uscita e del ritorno a Dio, della terza parte, Cristologica sacramentale. Il primo a porre la questione del piano è CHENU M.D., Introduzione allo studio di S. Tommaso, Lib. Ed. Fiorentina 1953, 260-275; uno studio comprensivo in LAFONT G., Structures et méthode dans la “Summe théologique de saint Thomas d’Aquin, (= CF 193) Cerf Paris 1996

123

di Dio) sono un felice frutto del suo modo di cercare intelligenza nel Mistero del Dio vivo e vero, da cui tutto dipende radicalmente, nella Storia salvifica , nell’esistenza.

Tommaso ha professato il Dio Cristiano Uno-Trino del Simbolo Romano e Niceno-costantinopolitano; si è inserito nella tradizione agostiniana.258. Afferma cioè in primo luogo con energia che per esprimere teologicamente la realtà rivelata di Dio non dobbiamo partire dall’Atto puro di pensiero di Aristotele, tanto meno dall’Ipostasi gerarchiche di Plotino (Uno, Logos, Anima), o anche dal Bonum diffusivum, ma da Dio atto puro di esistere, che liberamente ha creato tutto dal nulla.

Tommaso ha costruito l’intelligenza della fede nel Mistero fondamentale del Dio Uno-Trino sul terreno concretissimo dell’Esistenza, Esse subsistens, Atto puro di essere: tutte le sue perfezioni, ( vita, pensiero, amore…) sono come radicate, per identità, nel nostro modo umano di esprimerci, in questo primum della Rivelazione ( Es. 3,14, YHWH: Io sono colui che sono), e della ragione.259

Per la libera creazione del Dio Uno-Tripersonale, Atto puro di esistere, pienezza d’essere, tutti gli esseri creati sono considerati nel loro Atto di essere ricevuto, proprio, che unifica tutti i loro costitutivi (forma, materia, facoltà) e operazioni. 260

Dio Uno-Trino, Atto puro di esistere, realizza, creando, atti di esistenza creaturali; le creature, le loro operazioni valgono secondo l’intensità dell’atto di esistenza ricevuto da Dio, Atto puro di esistere. Commenta Gilson:

“[….] il mondo degli individui attualmente esistenti, ciascuno dei quali struttura complessa di potenza ed atto, di sostanza, di facoltà ed operazioni diverse, riceve la sua unità dall’Atto puro di esistere per il quale esso è tutto questo insieme, e che, derivando da questo atto esistenziale il potere di operare, lavora senza interruzione a completarsi, secondo la legge della sua essenza, in uno sforzo incessante per raggiungere la sua causa prima che è Dio.”

Questa visione completamente nuova si esprime nel campo antropologico, recupera la rivelazione dell’Uomo creato secondo l’Immagine di Dio, unità di basar-nefes, anima-corpo qualificata dallo Spirito Santo, la dice con l’effato: l’anima razionale unica forma del corpo umano.

13 L’uomo, creato secondo l’Immagine di Dio, in quanto anima razionale, forma del corpo.

Le categorie usate provengono dalla filosofia greca, ma i contenuti espressi sono rivelati, nella prospettiva della risurrezione, vita escatologica; da Aristotele poteva ricevere l’unità naturale dell’uomo, l’anima è infatti forma del corpo. Ma la filosofia dell’anima in Aristotele risultava del tutto insufficiente e problematica, quando si trattava di fondare la trascendenza spirituale di ogni singolo uomo, la sua immortalità personale 261

258 Fa notare GILSON E., La Filosofia nel Medioevo, cit. 668, come il vero agostinismo consista esattamente nell’essersi sempre mantenuto, nell’intelligenza teologica del Dio Uno-Trino, sul terreno del Dio vivo e vero della Rivelazione e tradizione cristiana, del Simbolo Niceno-costantinopolitano; non ha ceduto in questo a nessuna filosofia di moda.

259 Piace il modo di ANSELMO di Aosta nell’impostare nel Menologio tale questione, con i principi di perfezione, di identità e di unità: “Ogni predicato che si attribuisce alla somma natura esprime il suo essere stesso, e non una sua qualità […..] Ciò vuol dire che i predicati che vanno attribuiti al sommo ente sono tra loro identici, sia nel senso che ciascuno è identico agli altri, sia che ciascuno esprime la totalità identica e unitaria dei predicati”: Monologio e Proslogio, Introduzione, traduzione, note e apparati di SCIUTO I., Bompiani, Milano 2002, 22 s.

260 GILSON E, Costantes philosophiques de l’Etre, Vrin, Paris 1983, 64: “Il primo principio, che è l’essere, è dunque primo sia nell’ordine dell’essere che della conoscenza, benché egli appartenga non all’ordine della dimostrazione, ma a quello […] dell’intuizione”; 65: “C’e dunque primo l’essere della cosa; quindi l’adeguazione dell’intelletto alla cosa, la quale adeguazione è la verità stessa; infine la conoscenza che è un certo effetto della verità”. Gilson cita Tommaso, Quest. Disp. De veritate, q. 1, aet. 1, resp.:” Illud quod primo intellectus concipit quasi notissimum, et in quo omnes conceptiones resolvit, est ens” […] “Entitas rei praecedit rationem veritatis”.

261 Vedi FABBRO C., L’anima nell’età patristica e medioevale, in L’Anima, AA.VV., a cura di M. F. SCIACCA, Morcelliana, Brescia 1954, 58; Id., L’Anima, Introduzione al problema dell’uomo, a cura di Chr. Ferraro, EDVI, Segni

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Invece per S. Tommaso, l’anima razionale non si esaurisce nel compito metafisico di informare la materia, per avere questo corpo umano vivente. Essendo la sua natura puramente spirituale, pur nel dipendere dal corpo, dai sensi nell’esistere e in ogni sua attività, infinitamente li supera: la sua attività conoscitiva, attraverso e al di là dell’impressione sensibile, cerca il vero in quanto è vero, il vero comunicabile nell’orizzonte della Verità totale, assoluta; al di là della soddisfazione personale, cerca il bene in quanto bene, il bene comune, il Bene assoluto 262.

Così attraverso la capacità di conoscere la Verità, volere il Bene, l’anima di ciascun uomo avvisa della sua intrinseca spiritualità, infinita superiorità sul suo corpo: è cioè non solo forma naturale del corpo, ma forma in sé spirituale, bisognosa del corpo, per esistere e operare; restando spirituale, qualifica il suo congiunto corporeo, rende tutto l’uomo capace di Alleanza, vita morale, di rapporti personali con Dio, di beatitudine (e di dannazione).

L’anima razionale forma del corpo, spirituale e immortale, risulta quindi nei suoi contenuti una elaborazione propria di S. Tommaso, filosofia al servizio del dato rivelato; non è né Aristotele, né Platone, anche se drena bene e sviluppa gli aspetti positivi dell’uno e dell’altro, specialmente del primo. L’uomo vi appare secondo una visione unitaria , vera nel suo esistere ed operare concreto.263

Tutto, vita vegetativa, sensitiva, psichismo viene qualificato, come impregnato di spiritualità dall’anima, affinchè tutto possa servire all’attività proprie dell’uomo, che Tommaso esamina nella II Parte della sua Summa Theologica,: ne abbiamo visto il programma nel suo Prologo.

Tutto così acquista vera dignità umana, fondamento di tutte le valutazioni spirituali-morali che ne conseguono.264 . Una prospettiva, un metodo di procedere teologico-filosofico, diversa da quella dei suoi predecessori, capace di raggiungere la profondità del reale per il carattere veramente ultimo in cui si pongono le questioni, quello dell’esistenza, di Dio e dell’uomo creato secondo la sua Immagine, Cristo Signore. Tommaso nel suo secolo appare come un gigante altamente incompreso, e lo vedremo subito per quanto riguarda l’anima che informa direttamente il suo corpo; ma per la sua aderenza di pensiero all’esistenza concreta, anche se incompreso nel suo tempo, aveva per se i secoli futuri.265

13.1 Anima forma del corpo, dottrina contrastataPer Tommaso l’anima razionale è l’unica forma del corpo, presiede non solo alla vita

intellettiva e volitiva, ma anche sensitiva-psichica, vegetativa: questo corrisponde bene al dato immediato di coscienza. Lo stesso Io conosce, vuole, sente, vive, e secondo la Rivelazione, viene tutto elevato dalla Grazia di Cristo alla vita filiale, chiamato alla Risurrezione.

2005262 Vedi de FINANCE J.,, Cittadino di due mondi, Lib. Ed. Vaticana 1993, 38-47.263 Nel pensiero greco, l’anima supera il mondo mutevole in quanto è subordinata al mondo delle idee, la vera

realtà; questo appare evidente in Platone, ma si nota anche in Aristotele, in cui le idee sono <forma> dei corpi; in ogni caso prevale un intellettualismo, conoscenza delle verità necessarie, eterne. Solo nella rivelazione Giudea-Cristiana, Dio Uno, la cui vita tripersonale pulsa di Verità e Amore, offre dialogo e comunione personale all’uomo, in una storia di salvezza. Qui si può cogliere quella dimensione costitutiva, spirituale, che assicura unità e dignità umana a tutto l’esistente Personale, la sua Anima.

264 Accenniamo brevemente ad una conseguenza di valutazione morale, che segue l’impostazione tommasiana, dell’anima razionale unica forma del corpo. Conosciamo dalla genetica, embriologia, che l’ovocita umano fecondato ha già tutto il suo patrimonio genetico (genotipo) caratteristico, che deve solamente manifestarsi con lo sviluppo (fenotipo), dell’essere umano adulto, con le sue attività spirituali caratteristiche. Onde risulta più che ragionevole che riceva l’anima spirituale, l’unica sua forma, sin dall’inizio, affinchè tutto lo sviluppo embrionale, sin dalle prime divisioni, sia umanamente qualificato, per ottenere quel corpo, la sua vita vegetativa, sensitiva psichica, per cui l’uomo possa esistere ed operare, secondo la sua dignità spirituale-razionale. Questa valutazione corretta, esistenziale, esclude in modo categorico possibilità di aborto.

265 Cfr GILSON E., La Filosofia nel Medioevo cit. 672s; Id., Le thomisme. Introduction à la philosophie de S. Thomas d’Aquin, Vrin, Paris 1965

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Ma questa filosofia costituiva anche una perturbante novità rispetto alla teologia agostiniana, di ispirazione platonica; qui l’anima spirituale (composta di forma e materia spirituale) non è l’unica forma: si unisce ad un corpo già qualificato da una “forma corporeitatis”. Questa prospettiva agostiniana pone certo più in risalto l’anima spirituale, vi ha una sua maggiore consistenza, è forma di una materia spirituale: si spiega meglio la sua immortalità, perseveranza nell’esistenza anche dopo la separazione dal corpo.

Può sembrare più facile parlare anche dei suoi rapporti con Dio: in quanto spirituale, con un esercizio più indipendente dal corpo; si può parlare di <illuminazione divina>, certa conoscenza delle <idee divine>, con una certa semplicità nell’accogliere la prova ontologica, anselmiana, dell’esistenza di Dio.

La visione agostiniana dell’anima favoriva una, per tutti doverosa, spiritualità dell’anima, il rifugiarsi nel tempio della propria anima.

Con l’affermazione di Tommaso dell’anima razionale unica forma sostanziale del corpo (il corpo è quella materia che l’anima razionale plasma, comunicandogli la sua dignità, perché essa possa concretamente esistere ed operare spiritualmente), tutte queste prospettive agostiniane vengono ristrutturate, ripresentate diversamente.

Certo l’anima spirituale, forma immediata del corpo, non si esaurisce in questa informazione, conserva la sua spiritualità di esistenza ed operazione; ma è più legata al corpo, sia nella sua esistenza, sia nella sua operazione.

Non si può più parlare di illuminazione, di una certa conoscenza di <idee divine>, un certo innatismo, quasi <etichette> già formulate in noi della legge naturale. Ora, con maggiore aderenza alla realtà creaturale dell’uomo, con Tommaso si parla della facoltà conoscitiva dell’anima razionale, articolata in <intellectus> e <ratio>:

“Supremum in nostra cognitione non est ratio, sed intellectus, qui est rationis origo” (Valore massimo nella nostra facoltà conoscitiva, non è la <ratio>, ma <l’intellectus>, che è l’origine della <ratio> (Contra gentiles, I, c. 57,7); afferma anche che “ Intellectus est rationis principium et terminus” ( In III Sent. Dist. 35, q. 1, art. 3). Parla anche di <Intellectus habitus principiorum>, cioè capacità sorgiva dei primi principi dell’esistenza e del pensiero: principi di non contraddizione, causalità, finalità (FR n 4); una certa corrispondenza col <cuore, spirito di finezza, capacità intuitiva > di Pascal.

L’<Intellectus > ha queste capacità perché lavora nella luce dell’<Essere>, orizzonte dell’esistente, delle sue leggi insite :

“ Primum enim quod cadit in apprehensione intellectus est ens”( S.Th. I, q.12, art. 1, ad 3)Poiché l’uomo, per il suo <Intellectus> si muove nella luce dell’<Ens>, dei Primi principi in

esso insiti, è dotato di ragione (ratio), discorsiva, argomentativa: può elaborare, riflettendo sulla sua esperienza, che parte sempre dai sensi, scienza etica, ontologia…; applicando il metodo sperimentale-razionale tutte le scienze positive…

Ricordando che poi l’uomo è sempre creato in, per verso Cristo, accogliendoLo nella conversione battesimale, nella vita cristiana-eucaristica, lo può trovare nel suo <cuore>:

“Che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori” (Ef 3,17)Tutti i valori della vita cristiana, per il suo fondamento creaturale-naturale qualificato per

Cristo nello Spirito Santo, vengono così recuperati, anzi meglio espressi in una cultura umanistica che giustamente desidera che, pur nella sintesi teologica, l’autonomia corretta della Filosofia, il suo modo proprio di procedere vengano rispettati. Riappare qui quanto abbiamo detto sopra, della novità metodologica e di contenuti introdotta da Tommaso, la sua aderenza, sia nel trattare del Mistero di Dio, sia dell’uomo sua Immagine, alla concretezza dell’Atto di essere, dell’Esistente. Proprio per questo la filosofia, e di riflesso anche la Teologia, hanno la possibilità di rinnovarsi, nella fedeltà alla Rivelazione e all’uomo, restare <giovani>, accogliere altri corretti contributi. S.

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Tommaso, il solitario incompreso del suo tempo, ha lavorato soprattutto per i secoli futuri della vita e del pensiero cristiano.

Ma possiamo immaginare la sconcerto della tradizionale teologia e filosofia agostiniana. Così la descrive Gilson:

“L’umiltà, cara ai figli di S. Francesco, questa dolcezza squisita che essi preferivano a tutte gioie della terra, non la dovevano al sentimento di una unione e come di una tenerezza personale tra la loro anima e Dio?” 266

Abbiamo sopra accennato come in S. Bonaventura la sapienza cristiana unisse strettamente Fede e ragione, nella tensione all’unione con Dio. Tommaso mira alla stesa finalità, ma per una via che esprima la consistenza della creatura, dei metodi razionali, come i tempi moderni esigevano. Tra S. Bonaventura e S. Tommaso si dà una complementarietà perenne; l’inserimento in un mondo secolarizzato, il dialogo sui comuni valori etici umani, il dialogo interreligioso richiede una maggior attenzione al procedere filsofico-teologico di Tommaso.

Ma dobbiamo comprensione al disagio dei teologi di matrice agostiniana del sec. XIII; l’attualità di Tommaso, la correttezza del suo procedere non è stata, specialmente a Parigi, subito compresa. Altri fattori accrescevano l’ansietà: l’utilizzo massiccio della filosofia aristotelica, naturalista, non chiara circa l’immortalità spiritualità dell’anima personale, creava sospetti. Tommaso si era impegnato per togliere tutti i veleni.

Le condanne ripetute di S. Tempier (1270-1277) arcivescovo di Parigi, e degli arcivescovi di Canterbury, erano rivolte specialmente alla facoltà delle Arti (propedeutica alla Facoltà di Teologia, e priva di veri maestri), con una certa ansietà, per l’accoglienza di un Aristotele non purificato e indurito dai commenti di Averroè; ma potevano sembrare colpire anche Tommaso, che nella sua sintesi aveva completamente rifusi gli aspetti positivi di Aristotele al servizio dell’intelligenza della fede 267.

La sottigliezza degli anti-aristotelici arrivava anche a porre la domanda: cosa è il Corpo di Cristo nel sepolcro? Se l’anima razionale con la morte si separa dal corpo, il cadavere di Gesù, nel sepolcro, non ha più nulla a che fare con Lui; i tomisti rispondevano che il corpo di Cristo gode sempre di una particolare presenza del Verbo incarnato, permanenza dell’unione ipostatica durante il triduo della morte: è quindi sempre degno di adorazione anche nel sepolcro. 268

A parte queste sottigliezze e le iniziali incomprensioni, la dottrina circa l’anima razionale direttamente forma del corpo, risultò utilissima per esprimere la fede nella vera Umanità di Cristo, strumento divino della nostra redenzione, e dell’unità dell’uomo, del valore umano del suo corpo, della legge naturale…..

13.2 Le definizioni del Concilio di Vienne (1312, DH 900-902)II capo dei francescani spirituali, Pietro G. Olivi (+ 1298), presentava riflessioni sull’anima

umana, dalle conseguenze almeno conturbanti: l’anima razionale, spirituale non può essere direttamente forma del corpo; lo è attraverso forme intermedie. Se infatti l’anima razionale fosse per sé, direttamente forma del corpo, scadrebbe dalla sua natura spirituale: necessario quindi fare intervenire una gerarchia di forme.

Le conseguenze sono inquietanti: si perde il senso biblico della profonda unità dell’uomo. Pericolose le conseguenze morali; se il corpo non esprime l’anima spirituale, valori spirituali umani, può essere usato in molti modi, senza ledere la coscienza: lassismo e permissivismo. (Ora si aprirebbe la porta alle manipolazioni genetiche, contraccezione).

266 GILSON E., La Filosofia nel Medioevo cit. 617267 Vedi LOTTIN O. Psychologie et morale au XII et XIII siècles, Abbaye du Mont César – Louvain, J. Duculot,

Gembloux: tome I, Problèmes de Psychologie, 252-280,II partie, 651-666.268 Cfr GRILLMEIER A., Der Gottensshon im Totenreich, Zeitschrift fur catholische Teologie, 71 (1949) 1-53.

184-203

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Inquietanti anche le conseguenze circa l’incarnazione redentrice del Verbo: se la sua anima presenta un rapporto debole con il suo corpo, come ci redime con la sua Croce? La dottrina sull’anima dell’Olivi, benché complessa ed oscura, non sembra in sé eretica: su questo concordavano la maggioranza degli esaminatori incaricati da Clemente V 269.

Ma per eliminare ogni incertezza, il Concilio di Vienna si servì del progresso realizzato dalla scuola tomista (anima razionale, per sé essenzialmente forma del corpo) per esprimere con più chiarezza l’unità dell’uomo (sul paradigma dell’uomo Cristo), secondo la rivelazione; già il concilio Costantinopolitano IV (DH 657270, a. 870) aveva definito l’unicità dell’anima razionale ed intellettuale nell’uomo.

Ricordiamo che il Concilio usando una categoria ben elaborata da Tommaso (l’anima razionale forma del corpo umano), non ha inteso consacrare, definire la dottrina di una scuola particolare: questo la Chiesa non lo ha mai fatto; ci si serve di categorie umane, secondo l’uso della tradizione ecclesiale (certo usufruendo degli approfondimenti-chiarificazioni realizzate da una particolare elaborazione teologica) unicamente per ribadire un dato rivelato, qui la profonda unità dell’uomo, in un contesto culturale compromettente 271. Il Concilio di Vienne definisce l’unità profonda dell’uomo, in quanto il suo principio spirituale, l’anima razionale, si unisce direttamente, per se stessa, essenzialmente (unità fondata sull’essere stesso, non solo mescolanza di attività) col corpo umano, ne è la sua forma. Le dottrine filosofiche che parlano, di più anime (vegetativa, sensitiva) devono, riconoscere che l’anima razionale, spirituale è Lei, direttamente, responsabile di tale intensa unità, perché direttamente unita al corpo 272.

Giovanni Paolo II ha ricordato l’importanza di questa definizione di Vienne, sull’unità spirituale corporea dell’uomo, nel campo delle valutazioni morali, nella elaborazione delle norme morali.273

13.3 Vantaggi per l’Escatologia: la visione beatifica (1336, DS 1000).La Chiesa, lo ricordiamo ancora, non si lega mai alle speculazioni di una scuola particolare,

ma trova grandi vantaggi nella corretta elaborazione teologica di una categoria (come l’anima direttamente forma del corpo) per esporre la sua dottrina della fede, in nuovi contesti culturali.

Ciò che fece Benedetto XII, nella sua Costituzione Benedictus Deus (DH 1000-1002) sulla sorte degli uomini dopo la loro morte, in attesa della manifestazione gloriosa di Cristo. La categoria dell’anima gli permette di definire la visione beatifica dell’uomo purificato, nell’attesa della risurrezione dei corpi, per la <parusia> di Cristo. La Chiesa è concorde nel professare questa fede: per l’Ascensione al Cielo di Cristo, la via al Padre, la beatitudine celeste è già aperta, realizzata per l’uomo purificato, anche prima della Risurrezione dei corpi, di terra nuova e cieli nuovi.

La terminologia giudaica, molto metaforica, accolta anche nel Nuovo Testamento e nella liturgia della chiesa ( i martiri sotto l’altare cfr Ap 6,9; il povero Lazzaro portato dagli Angeli nel seno di Abramo cfr Lc 16,22; “Oggi sarai come in Paradiso” come assicura il Crocifisso al buon ladrone cfr Lc 25,43; locum refrigerii, lucis et pacis: (Canone romano, memento dei defunti) è stata assimilata nella prospettiva nuova del Mistero pasquale; ora la categoria dell’anima (forma del

269 Cfr LECLER J, Vienne, ed. de l’Orante, Paris 1964, 105-113270 DH 657 (can 11 – traduzione latina): “Mentre l’Antico ed il Nuovo Testamento insegnano che l’uomo ha una

sola natura razionale e intellettuale, e tutti i Padri e i Dottori della Chiesa divinamente ispirati sostengono la stessa dottrina, alcune persone, dedite all’invenzione del male, arrivarono a tal grado di empietà da affermare spudoratamente come dogma l’esistenza di due anime nell’uomo cercando di provare la propria eresia…”.

271 Cfr. l’insegnamento di PAOLO VI in Mysterium Fidei, En. Vat., 2,441.272 Cf. FLICK M., ALSZEGHY Z., Il Creatore, Lib. Ed. Fiorentina 1964, 86-91.273 Cfr Veritatis splendor, n 48, En Vat 13, n 2658s; Cfr De FINANCE J., Etica generale, Ed. Pont. Univ.

Gregoriana, Roma 1997, 270-273. RATZINGER J., Escatologia, morte e vita eterna, (=Piccola dogmatica cattolica 9), Cittadella ed., Assisi 1979, 149-153

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corpo, immortale) permette di definire la visione beatifica immediata per i defunti purificati in attesa della risurrezione dei corpi, secondo il comune consenso di fede della Chiesa 274.

13.4 Altri contrasti circa l’Anima: la definizione del Lateranense V (1513, DH 1440-1441). Immortalità dell’anima, e le relazioni tra Fede e filosofia.La teologia tomista dell’anima forma spirituale, immortale del corpo di ogni uomo, suscitò

altri contrasti, e diede occasione al Magistero di chiarificare la grossa questione delle relazioni tra fede, la sua intelligenza, e la filosofia. L’interpretazione più comune di Aristotele (Alessandro di Afrodisia) non riconosceva nella sua speculazione, l’affermazione di una anima immortale di ciascun uomo: l’intelletto che attivamente conosce la verità nell’uomo è comune a tutti, è universale, quindi nessuna immortalità personale. Gli umanisti lo ponevano in risalto, commentando Aristotele; e non si può vedere nulla di male, nell’esporre criticamente quello che sembrava essere la posizione autentica di un filosofo, specialmente pre-cristiano.

P. Pomponazzi (1462-1325) 275si difendeva dalle accusa di eresia, dicendo che era tenuto, per assolvere i suoi impegni universitari sanciti dal Papa, ad esporre fedelmente quello che sembrava essere il pensiero autentico di Aristotele. Non ricevette alcuna molestia da Leone X.

Evidentemente, specialmente nei confronti degli averroisti che indurivano Aristotele, si presentavano difficoltà per l’intelligenza della fede: l’antropologia dell’anima mortale contrasta evidentemente col dato rivelato; neppure è tollerabile ripiegare su una duplice verità: l’anima sarebbe mortale per la Filosofia, immortale per la Teologia.

Il Concilio Lateranense V (1513, DS 1440-1441) ribadisce che l’anima razionale è per se essenzialmente forma del corpo (Vienne), immortale, che è propria di ciascun uomo, rifiuta nettamente la duplice verità276.

Non mancano accenni che aiutano a distinguere la verità della Fede, dalla sua comprensione con metodo filosofico: si legge infatti negli Atti del concilio277: i docenti di filosofia “quando ai loro uditori leggono o spiegano i principi o le conclusioni dei filosofi, che deviano dalla retta fede, come quando si tratta della mortalità dell’anima, o della sua unità, o dell’eternità del mondo […], devono rendere manifesta agli studenti la verità della religione cristiana, e devono insegnarla, persuadendoli, in quanto è possibile. Inoltre essi devono, con ogni diligenza, secondo le loro forze, confutare e risolvere gli argomenti (contrari) dei filosofi, perché tutti questi argomenti possono essere risolti”.

Questo testo fa riflettere: l’uomo naturale, razionale, è chiamato, per Cristo, alla visione Beatifica: l’immortalità della anima beata è posta in pieno risalto, esaltata; si tratta evidentemente di una qualità, l’immortalità, già propria dell’anima razionale personale, capace di stare davanti a Dio.

Ma non si tratta della stessa evidenza, per la fede e per il ragionamento filosofico. La luce della fede sull’immortalità dell’anima sarà evidentemente di aiuto per la comprensione, con metodo rigorosamente filosofico, dell’immortalità dell’anima razionale (“absolute sumpta”, cioè a prescindere dal suo stato soprannaturale, l’unico esistente).

274 Cf. Comm. Teol. Int., Alcune questioni attuali riguardanti l’escatologia, in Civ catt 1992,I, .472-475; RATINGER J., Escatologia morte e vita eterna, Citadella ed., Assisi 1979, 149-153

275 GILSON E., in Latran V et Trente, par O.de la Brosse, J. Lecler, H. Holstein, Ch. Lefebure , ed. de l’Orante, Paris 1975, 91 così valuta l’insegnamento del Pomponazzi: “ Secondo il punto di vista della storia, la posizione di Pomponazzi risulta vera sotto molti aspetti. Contro S. Tommaso, afferma con motivazione che Aristotele non ha mai presentato l’anima come se fosse ad un tempo una sostanza intellettuale e la forma sostanziale del corpo umano; contro Averroè ritiene con buone ragioni che Aristotele non ha mai insegnato esplicitamente che l’intelletto agente e l’intelletto possibile siano della sostanze separate comuni a tutti gli uomini; contro l’interpretazione cristiana di Aristotele, sostiene a buon diritto che il Filosofo non ha esplicitamente insegnato l’immortalità dell’anima, e che in tutti i casi questa nozione non ha un ruolo nella sua dottrina”

276 ivi 86-91.277Amplissima Collectio Conciliorum a Mansi et continuatoribus edita, T. 52, col.843, testo non riportato dal DH

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Tommaso de Vio (1469-1554, detto Caietano perché nativo di Gaeta)278 partecipando al Concilio in qualità di Maestro generale dell’Ordine Domenicano, fece presenti le difficoltà sperimentate in questa materia dal filosofo.

Il Caietano ritiene che l’immortalità dell’anima è conosciuta per rivelazione, la equiparava ai Misteri; non si può pretendere che la Filosofia la penetri del tutto, appunto, come recita il Concilio “si sforzino...secondo le loro forze”; risulta quindi definita l’immortalità personale dell’anima razionale, e che questa proprietà le compete in forza della sua natura; non sembra direttamente definita la dimostrabilità, con la sola ragione dell’immortalità personale dell’anima 279.

14 Teologia della creazione nei sec. XIV-XV: Il Nominalismo

Abbiamo constatato come i Concili di Vienne e del Lateranense V ricuperano la visione biblica rivelata dell’unità dell’Immagine di Dio, dell’uomo che sta con tutto se stesso in dialogo con Dio nella storia salvifica; vi sta come basar-nefes, corpo-anima, qualificato dalla Ruah, Spirito Santo, nella dedizione del cuore, il leb. Questa rivelazione biblica viene espressa in questi Concili con le categorie di <anima razionale, immortale, per se, direttamente forma del corpo>, cioè di un principio spirituale, l’anima, espressa nel suo corpo, senza il quale non può né esistere né operare spiritualmente. Queste categorie sono sicuramente in sintonia, anche il frutto della sistematica di S. Tommaso.

La sua impostazione sulle relazioni Fede-ragione, Teologia e Filosofia hanno certo facilitato tali definizioni, anche se la sintesi tommasiana è entrata nelle scuole, in modo prevalente, solo col Concilio di Trento. Tommaso, l’abbiamo già constatato per il suo secolo, continua ad essere un gigante solitario, alquanto incompreso.

E’ sufficiente per questo riportare l’impostazione nel fare teologia, del Beato Giovanni Duns Scoto ( +1308) e di Guglielmo d’Ockham (+ 1349).

La Scolastica è nata, meglio preannunciata, con l’opera sistematica di Giovanni Scoto Eriugena; nel cuore della sua opera pionieristica De divisione naturae compaiono le categorie problematiche < Natura creata e creante>, come egli intende indicare le <cause esemplari> del Verbo divino. Abbiamo notato come le relazioni tra le <cause esemplari> ed il Verbo divino risultino molto problematiche nell’Eriugena.

Ne dipendono le relazioni tra la Vita Trinitaria immanente e la creazione che avviene, come insegna il Simbolo Niceno-costantinopolitano, per il Verbo (per quem omnia facta sunt), nello Spirito Santo, Signore che dà la vita (Dominum et vivificantem).

Bonaventura e Tommaso ne daranno una spiegazione teologica, in perfetta sintonia reciproca, lasciandosi guidare dalla Professione di fede della Chiesa: distinzione tra la Trinità immanente (Il Verbo è generato, non creato, della stessa sostanza del Padre), e Trinità creatrice (per Lui tutto viene creato).

L’essenze, la dimensione intelligibile delle creature, le loro cause esemplari, sono nel Verbo divino come <capacità, potere> di creazione, per venire liberamente realizzate <ad extra> nelle creature. Dio conosce le creature liberamente creandole, come partecipazione limitata della propria Essenza; la libertà del Creatore è sempre illuminata, come guidata, dal proprio Verbo, Logos.

Questa intelligenza della Fede del Verbo divino creatore permette in S.Tommaso uno sviluppo armonioso delle relazioni tra Trinità immanente ed economica, Fede e ragione, Teologia e Filosofia. La Rivelazione-Fede ci introduce certo nella vita intima Trinitaria, superando le capacità

278 E’ uno dei più profondi commentatori di S.Tommaso: anche per suo merito la Summa Theologica sostituì le Sentenze del Lombardo come testo scolastico

279 Cf. FLICK M. ALSZEGHY Z., Il Creatore, cit., 210-212.

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della ragione naturale, ed insieme sostiene e illumina la ragione nel ricercare intelligenza possibile del Mistero rivelato, elaborare Teologia. Inoltre purifica la ragione umana, per elaborare in una corretta filosofia una visione ampia, sapienziale di tutto ciò che risulta ancora accessibile alla stessa ragione.280 Con Gilson E., potremmo parlare di un felice matrimonio tra Fede e ragione, con rispetto e vantaggio reciproco.281

Ma tale felice unione non è percepita nel sec. seguente, XIV; già il Beato francescano Giovanni Duns Scoto (muore a circa quarantanni nel 1308) inizia quella che Gilson, proseguendo l’uso di categorie matrimoniali, chiama una prima separazione di beni tra Teologia e Filosofia. Tutto dipende dal modo con cui viene espresso l’atto creatore di Dio. In S.Bonaventura e Tommaso Dio liberamente crea conoscendo nel suo Verbo eterno, la libertà creatrice di Dio pone nell’esistenza esseri partecipi, a livello creaturale, del Logos divino; ne segue <analogia> , <comunione> dell’essere, capacità naturale dell’uomo di conoscere Dio, elaborare intelligenza della Fede, un ampia filosofica visione sapienziale.

In Duns Scoto la relazione in Dio tra la libertà di creare e la conoscenza delle realtà create viene elaborata in modo originale. Ascoltiamo Gilson E:

“In un testo assai curioso, in cui Duns Scoto si sforza di descrivere un’ipotetica generazione delle essenze in Dio, vediamo che in un primo momento Dio conosce la propria essenza in se stessa ed assolutamente; in un secondo momento Dio produce la pietra conferendole un essere intelligibile, e conosce la pietra; in un terzo momento Dio si paragona a questo intelligibile e con ciò stesso si stabilisce una relazione tra di loro; in un quarto momento Dio riflette in qualche modo su questa relazione e la conosce.” 282

Qui le essenze delle creature sono considerate in un certo distacco, posteriorità rispetto all’essenza infinita di Dio creatore. Tutto dipende dalla libera volontà di Dio, ed ha poco senso chiederci la ragione per cui Dio opera : <L’unica causa per la quale Dio ha voluto le cose è la sua volontà […..] non c’è dunque da risalire oltre. Le sole condizioni alle quali si sottomette questa libertà [divina] sono di evitare le contraddizioni di scegliere soltanto delle essenze compossibili a quelle che Dio ha prodotto, e di conservare immutabilmente le leggi quali sono state decretate una volta.[….] Se Dio vuole una cosa, questa sarà buona; e se egli avesse voluto delle leggi morali diverse da quelle che ha stabilito, queste altre leggi sarebbero state giuste>283

Scoto insiste sulla posteriorità delle essenze rispetto al pensiero, alla conoscenza di Dio, insiste su un primato della Volontà rispetto all’Intelligenza in Dio. Scoto insiste sul realismo di queste essenze <formalitates>, quasi un residuo dell’antica dottrina agostiniana della pluralità delle forme. In questa prospettiva si può considerare la sua famosa <ecceitas>, l’ultima forma che determina l’indeterminazione della forma essenziale, in sé indifferente all’universale e all’individuale, alla singolarità dell’individuo.

Così troviamo in Scoto l’intenzione di garantire il più possibile l’originalità dell’individuo, in relazione alla sua concezione del primato della volontà divina.

Questa impostazione più volontaristica di Scoto nel descrivere l’atto creatore di Dio, condiziona tutto le possibilità concrete dell’uomo nel risalire alla conoscenza di Dio, affermare la sua esistenza, precisare i suoi attributi: la conoscenza di Dio <a posteriori>, dai suoi effetti creati, al Creatore stesso diventa problematica; così pure che l’anima umana sia una forma spirituale immortale: solo la Fede ci può assicurare in questo.

280 Cfr FR n. 76281 Rispetto, vantaggi e necessità dell’aiuto reciproco, espressi nella FR n 77, nel n 78 si riconosce in

S.Tommaso: ”Nella sua riflessione, infatti, l’esigenza della ragione e la forza della fede hanno trovato la sintesi più alta che il pensiero abbia mai raggiunto, in quanto egli ha saputo diffondere la radicale novità portata dalla Rivelazione senza mai umiliare il cammino proprio della ragione”.

282 GILSON E., La Filosofia nel Medioevo cit. 684283 ivi 684s.

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Ne segue che tutta una serie di conoscenze su Dio e sull’uomo che secondo S.Tommaso erano di competenza della Filosofia, ora vengono affidate esclusivamente alla Teologia; ne segue una trasformazione dello stesso metodo di fare Teologia. A un tendenziale volontarismo divino, corrisponderà una teologia di carattere <pratico>, più disposta a orientare le nostre azioni in vista della Beatitudine promessa, che a offrircene approfondita conoscenza. Infatti la nostra ragione naturale risulta impotente a darci una conoscenza sufficiente del progetto di salvezza divino, che dipende fortemente dalla sua Volontà. 284

Teologia e Filosofia sono invitate a separare i loro ambiti, anche la loro collaborazione; il distacco della Teologia positiva dalla metafisica è ampiamente avviato; Guglielmo di Ockhampercorrerà questo cammino fino in fondo, sino ad una completo divorzio. Commenta Gilson:

“Dopo una breve luna di miele [ la sintesi di Tommaso, incompresa, ma che era riuscita a togliere il veleno di Averroè, a battezzare Aristotele] Teologia e Filosofia credono di accorgersi che il loro matrimonio è stato un errore. Attendendo la separazione fisica, che non tarderà molto, si procede ad una separazione dei beni. Ciascuna riprende possesso dei suoi beni e impedisce all’altra di accennarvi”285

Duns Scoto , nel suo volontarismo divino, ha disperato delle capacità conoscitive dell’uomo, una filosofia indebolita, con un territorio ridotto; la Teologia sembra trionfare, ma senza l’aiuto della ragione umana risulta essa stessa indebolita. S.Tommaso in una visione più corretta della creazione, certo libera, ma sempre <per il Verbo, la sua luminosità>, dà più fiducia alle capacità filosofiche dell’uomo, che la Rivelazione libera dalle tenebre del peccato, e ne facilita il corretto esercizio.286

Guglielmo di Ockham sarà il punto di arrivo di questa separazione tra Trinità immanente ed economica, non parlerà più di <cause esemplari> nel Verbo eterno, tutta l’economia di creazione e salvezza costituisce un atto libero, in fondo arbitrario, di Dio. 287

Possiede un gusto vivissimo per il fatto concreto, singolare, espresso in uno degli empirismi più radicali che la Filosofia abbia conosciuto. Riconosce come valido un solo genere di dimostrazione; così Gilson commenta il procedere filosofico di Ockham:

“ Provare una proposizione consiste nel mostrare sia che essa sia immediatamente evidente, sia che essa si deduce necessariamente da una proposizione immediatamente evidente [….] Ora l’evidenza è attributo della conoscenza completamente diverso dalla scienza, o dall’intellezione, o dalla sapienza, perché queste non vertono che su dei rapporti necessari [ cioè affermano la verità di ciò che esiste, le relazioni che si danno negli esistenti ] mentre può esserci evidenza nell’ordine del contingente [ senza riportare il contingente in prospettive di necessità ] “ 288

Guglielmo di Ockham non smette di ripetere che la conoscenza intuitiva è la sola che coglie ciò che veramente esiste, e ci permette di raggiungere i fatti. Ne segue che la conoscenza sensibile è la sola sicura nel raggiungere ciò che esiste. 289

284 Cfr MINGES P., J. D. Scoti doctrina philosophica et teologica quoad res praecipuas proposita, vol 2, Quaracchi 1908

285 GILSON E., La Filosofia nel Medioevo, cit. 692286 Come pone in rilievo E. Gilson, la prospettiva di Tommaso del Dio vivo e vero di Nicea-Costantinopoli, il

Dio della rivelazione, YHWH, pienezza di Essere sussistente, con la sua generazione del Verbo Verità,della spirazione dello Spirito Santo Amore, e della libera creazione secondo le proprietà di origine delle persone divine, supera tutto l’intellettualismo del Pensiero puro di Aristotele, il suo procedere per pura necessità razionale, così pure il necessario emanare dall’Uno plotiniano, un Uno al di là dell’essere.

Ma ora questa sintesi viene scompaginata: Dio è al di là dell’Essere, ed il volontarismo divino introdotto per superare il procedere necessario del Pensiero puro e dell’Uno plotiniano, tende ad escludere una ancor minima analogia dell’essere, con una quasi incomunicabile Trascendenza divina.

287 LECRIVAIN Ph., descrive le rotture introdotte da Ockham nel pensiero cristiano in SESBOŰĖ B., ed., Histoire des Dogmes, cit, 560

288 ivi 731

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“ Perciò Ockham si impegnerà attivamente a spiegare le cose nel modo più semplice possibile e a sgombrare il campo della filosofia dalle cause [per Lui ] immaginarie che l’ingombrano [….] Uno stesso effetto può avere parecchie cause, ma non bisogna attribuirgliene nessuna senza necessità, cioè a meno di esservi costretti dall’esperienza. Si conosce la causa di un fenomeno dal fatto che, posta la sola causa, e distrutto tutto il resto, si produce l’effetto, mentre se la causa non è posta, pur essendo posto tutto il reato l’effetto non si produce […..]Il solo mezzo per provare che una cosa è la causa di un’altra è dunque il ricorso all’esperienza e il ragionamento attraverso la presenza e l’assenza [….]

Da ciò risulterà immediatamente, tra le altre conseguenze la negazione delle specie intenzionali e il sospetto gettato da Ockham sulle prove classiche dell’esistenza di Dio [….] Di reale c’è soltanto il particolare, o come dice Ockham, che le cose individuali e le loro proprietà sono le uniche sostanze. L’universale esiste nell’anima del soggetto conoscente e soltanto in essa [….] Non avendo l’universale alcuna realtà fuori dell’anima, resta da considerare se ne abbia una nell’anima.. Quale può essere la natura di questa realtà ? [….] i termini o nomi [ concetti universali] con cui noi formiamo le proposizioni di cui è formata la nostra scienza, sono altrettanti segni e sostituti [ ricordiamo le suppositiones ockhamiane ] che nel linguaggio tengono il posto dei corrispondenti individui […]

Poiché esiste soltanto il singolare, le parole che significano i concetti devono o non avere alcun significato, o in fin dei conti significare gli individui, ma in modo diverso [….] significano quindi degli oggetti confusamente conosciuti. […] Quando ci sono delle cose simili, si formano [nell’anima] delle immagini comuni, che servono per tutti questo oggetti. A questa comunanza, costituita dalla sua stessa confusione, si riduce la sua universalità Questa quindi si genera per se stessa nel pensiero sotto l’azione delle cose individuali, senza che l’intelletto debba produrla.” 290

Tutta le prove razionali dell’esistenza e della possibile conoscenza di Dio si trasformano in semplici probabilità; anche dell’anima umana spirituale, immortale non possiamo dare alcuna certezza razionale. E tutte le leggi morali vengono condotte alla sola e semplice volontà di Dio. Commenta ancora Gilson :

“Tranne Ockham e i suoi discepoli, non si può citare altri che Descartes che abbia sostenuto che, se Dio l’avesse voluto, avrebbe potuto essere un atto meritorio odiarlo. L’odio di Dio, il furto, l’adulterio, sono cattivi in ragione del precetto divino che li vieta, ma sarebbero stati degli atti meritori se la legge di Dio ce li avesse prescritti […] Dio quindi può dannare gli innocenti e salvare i colpevoli, non c’è nulla di tutto questo che non dipenda dalla sua semplice volontà” 291

Ockham non cessa di ricordare che il primo articolo del Simbolo Romano è: “Credo in Deum, Patrem onnipotentem”, e questa sua onnipotenza non deve sottomettersi a nessun <intelletto> <idee divine>; poiché nessuna necessità intelligibile si dà in Dio stesso, l’universo creato è radicalmente contingente, anche nella sua intelligibilità; tutto viene risolto in forza della potenza assoluta della volontà di Dio. Si può vedere in ciò una difesa contro la necessità dell’Intelletto puro dei Greci, di Averroè, anche di Plotino e Avicenna. Per Ockham il Dio cristiano non obbedisce a nulla, nemmeno alle sue Idee; anzi sopprime in Dio l’esistenza di queste idee. Così il Cristianesimo viene finalmente totalmente disellenizzato.

289 Commenta von BALTHASAR H. U., La teologia di K. Barth, Jaca Book, Milano 1985, 359: “Fu una sciagura che i Riformatori abbiano voluto costruire la loro teologia su un nominalismo filosofico […] La teologia, in quanto vera scienza de singularibus (che però in quanto tali sono universalmente normativi), ha bisogno di una filosofia, in cui, come in Tommaso, sia energicamente garantito il momento essenziale e realistico: il logos incarnato è norma e compimento di tutti i logoi presenti nella natura e nella storia”

290 GILSON E., La Filosofia nel Medioevo cit. 732-740291 ivi 744

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Alla Filosofia rimarranno così poche verità, e per di più probabili, tanto che si cadrà in vero scetticismo; e questo scetticismo sarà accolto con disinvoltura, perché avrà il compenso di un fideismo in Teologia.

Del resto, in tutti i tempi lo scetticismo in Filosofia porta sempre con se il fideismo in Teologia; chi viene a soffrine è ancora la Scienza sacra, costretta a ripiegarsi su se stessa, in una pretesa autosufficienza, senza ricorrere ai buoni uffici della ragione.292 Ma, restando nel nostro campo, così siamo ancora fedeli ad una Creazione nella prospettiva dell’Alleanza, alla professione del Niceno-costantinopolitano, la generazione del Verbo divino, <luce da luce> <per mezzo di Lui tutte le cose sono state create> ? Le relazioni tra Trinità immanente ed economica, non avvengono tutte per il Verbo, nello Spirito Santo <che è Signore e dà la vita>?. Isolare l’Onnipotenza divina creatrice, realizzante storia della salvezza, dalla luminosità del Verbo incarnato e redentore, dall’animazione vitale dello Spirito Santo non stride contro la stessa Professione di fede comune all’Oriente e all’Occidente ?

Ci siamo dilungati alquanto nel pensiero di Ockham per cogliere le linee maestre del nominalismo, la Filosofia-Teologia che ebbe notevole influsso culturale nei secoli di transizione tra il Medioevo e la Modernità; o meglio ancora, la Filosofia esprimente un pensiero cristiano che non regge di fronte alle molteplici pressioni, novità che si affacciano: come congiungere l’attenzione sperimentale alla natura con la razionalità matematica, comporre queste nuove esigenze di metodo, già avvertite nel subconscio culturale, con le capacità <metafisiche> dell’uomo; come comporre le norme canoniche ecclesiali, il diritto <naturale> con la positività giuridica emergente degli stati nazionali….? 293

Anche Rinascimento e Umanesimo introducono atteggiamenti nuovi davanti all’uomo e al suo universo: promozione dell’uomo, nella sua individualità, trovare il suo luogo in un universo di cui non pensa più di occupare il centro astronomico, gli infiniti mondi, la difficoltà di comporre queste nuove visioni del mondo con quella tradizionale biblica, con la tentazione di confondere Dio con una forza vitale animante la natura, sino al Panteismo di Giordano Bruno (+ 1600).294

14.1 <Theologia Crucis e theologia Gloriae > in LUTERO Il Nominalismo realizzava uno scollamento teorico tra Dio e l’uomo, che ha favorito

atteggiamenti contrapposti di vita umana: può condurre a rimarcare la sovrana ed ormai arbitraria volontà di Dio, di fronte al quale l’uomo si sperimenta un vero nulla; tutto si deve attendere da Dio. 295 Può anche favorire un atteggiamento di compiacenza verso questo mondo: Dio è così lontano, l’infinità dei mondi ne rappresenta un sostituto, col formarsi di una visione naturalista-panteista, rigurgiti di una certo paganesimo, di cui il Rinascimento non è stato esente.

In questo contesto effervescente e disastrato di pensiero, e di vita, situiamo la personalità religiosa di Martin Lutero (1483-1546), il dramma del lacerarsi della Chiesa. Ne ricercheremo le cause sul nostro territorio dell’Antropologia teologica. Non pensiamo che una tragedia simile, una

292 CONGAR Y., Vraie et fausse réforme dans l’Eglise, (=US 72), Cerf 1968, 338 pone in risalto che i riformatori, come Ockham, hanno “minato” l’unità della Chiesa con indebolimento-rottura dell’intelligenza della fede, con una corrispondente debole filosofia, con professioni fideistiche, anche verso la Chiesa, di rimettersi alla sua autorità; ma non avevano più il senso dei contenuti della fede, propositi velleitari.

293 cfr lo studio eccellente di VIGNAUX P., Nominalisme, in VACANT, MANGENOT, AMANN, Dictionnarie de Théologie catholique, vol IX, 748-784.

294 Accenniamo solo come al Nominalismo, la sua demolizione delle formule tradizionali dell’intelligenza della Fede, scetticismo filosofico e fideismo, si accompagna la nascita del Misticismo tedesco: fenomeni diversi, ma favoriti dall’abbandono di una scolastica teorica, per l’accoglienza di una pietà pratica; il misticismo ricerca e coltiva l’esperienza personale religiosa, risveglio di un interesse psicologico per Dio e per l’anima. Ricordiamo la personalità del Domenicano Maestro Eckhart (+ 1327).

295 Per uno studio complessivo sulla Teologia della croce: FLICK M. ALSZEGHY Z., Il Mistero della Croce, (=BTC 31), Queriniana Brescia 1978; La Sapienza della Croce oggi, Atti del Congresso internazionale, Elle Di Ci Leumann-Torino 1976; nel vol I, 541-573, GHERARDINI B., La Theologia crucis, chiave ermeneutica per la lettura e lo studio di M. Lutero; von LOEWENICH W., Thelogia crucis, visione teologica di Lutero in una prospettiva ecumenica, (=Nuovi saggi teologici 6), EDB 1975.

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frattura così orribile nella Santa Chiesa possa essere causata da semplici incomprensioni storiche, da fatti accidentali; anche questi hanno avuto il loro influsso.

Giovanni Paolo II nella sua visita alla luterana Scandinavia, ricordava quanto la ricerca storica: « ha posto in luce in maniera convincente il profondo spirito religioso di Lutero, animato da una passione bruciante per la questione della salvezza eterna [….] Nel dibattito sulle relazioni tra la fede e la tradizione erano in gioco delle questioni fondamentali sulla retta interpretazione e la recezione della fede cristiana, questioni il cui effetto lacerante la Chiesa non possono essere superate per una comprensione puramente storica [cioè né una incomprensione da parte dei Pastori della Chiesa cattolica delle posizioni di Lutero, né ad una intelligenza insufficiente del vero cattolicesimo da parte di Lutero]>

Si è certamente data responsabilità da ambo le parti, la polemica ha inoltre deformato lo sguardo corretto, ma sono le questioni di fondo della <Verità> della fede che debbono essere ricercate e rettificate.296

Le ricerchiamo nel nostro campo di interesse teologico, constatando che le difficoltà dottrinali stanno proprio a questo livello, anche se sono poi esplose, in modo dirompente e per allora irrimediabile, nel campo dell’Eucaristia. Cerchiamo di ricostruirle, tenendo conto dell’eredità nominalista, deficiente e superficiale nel campo della Creazione, ed inoltre del carattere predicatorio e sovente polemico del Riformatore, certamente non teologo sistematico. Il rifiuto della ragione lo porta alla facile accoglienza di espressioni paradossali, al limite della razionalità. Favorisce la tragica lacerazione, l’eclissi del senso della Comunità vivente della Chiesa, depositaria della Rivelazione, che si esprime non solo nella S. Scrittura, ma in tutta la vita della tradizione ecclesiale. 297

Le difficoltà delle relazioni Alleanza-creazione, Fede-ragione le individuiamo già prima del 1521, l’anno decisivo della Riforma, piena rottura con la Chiesa; le individuiamo nella disputa di Heidelberg, legittimo atto accademico in cui l’agostiniano Lutero, nel 1518, tre anni prima della rottura, presenta e spiega alcune tesi circa le sue posizioni teologiche.

Attirano la nostra attenzione le antinomie che Lutero avanza tra la ‹‹Theologia gloriae››, l’intelligenza del mistero di Dio con l’uso della capacità razionale umana che riflette sulle opere create, e la ‹‹Theologia crucis››, la conoscenza rivelata di Dio attraverso il Mistero della passione:

tesi 19: ‹‹Non è degno di essere chiamato teologo chi considera la natura invisibile di Dio comprensibile per mezzo delle sue opere››. Spiega Lutero: ‹‹è chiamato insensato in Rm 1,22. La natura invisibile di Dio sono la forza, la divinità, la sapienza, la giustizia, la bontà etc. La conoscenza di tutte queste cose non rende degno né savio.››

tesi 20.‹‹Ma piuttosto colui che conosce le invisibili e inferiori di Dio, considerandole a partire dalla passione e dalla Croce.››

Spiega Lutero:

‹‹le inferiori sono [...] l’umanità, la debolezza, la pazzia (1 Cor 1,25)[...] in realtà poiché gli uomini hanno abusato della conoscenza di Dio manifestata nelle sue opere, Dio ha voluto al contrario essere conosciuto attraverso le sue sofferenze [...] “Tu sei veramente un Dio nascosto” (Is. 45,15).››

tesi 21: ‹‹ La teologia della gloria dice che il male è bene, ed il bene male; la teologia della Croce dice le cose quali stanno in verità››.

Commenta Lutero:

‹‹Tali sono coloro che Paolo chiama nemici della Croce di Cristo (Fil. 3,8) [...] ora noi l’abbiamo detto, non si trova Dio se non nelle sofferenze e nella Croce [...] è infatti impossibile che

296 Cfr. La Documentation Cathilique 1989, 688-689297 cfr LORTZ J., Storia della riforma in Germania, vol I, Jaca Book Milano 1971, 261

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non sia gonfiato dalle sue buone opere colui che non è stato prima annientato e distrutto per le sofferenze ed i mali, al punto di sapere che egli stesso è un nulla e che le opere non sono sue, ma di Dio››.

tesi 22: ‹‹Questa saggezza che considera le realtà invisibili di Dio tali quali sono comprese a partire dalle sue opere, gonfia acceca e indurisce totalmente››.298

tesi 24:‹‹L’uomo senza la teologia della Croce usa di nuovo in modo totalmente pericoloso le cose migliori››.

Commenta Lutero:

‹‹La legge è santa ed ogni dono di Dio è buono, ed ogni creatura è notevolmente buona (Gn 1). Ma colui che non è stato ancora distrutto, ridotto al nulla per la Croce e le passioni, attribuisce opere e saggezza a se stesso e non a Dio, così egli abusa dei doni di Dio e li insudicia. Ma colui che è stato annientato per le sofferenze, non opera più lui stesso ma ha conosciuto che Dio opera in lui e compie ogni cosa. Per tanto sia che gli operi, sia che non operi, è per lui la stessa cosa; egli non si glorifica se Dio opera in lui, non si confonde se Dio non opera. Egli sa che per lui è sufficiente di soffrire e di essere distrutto per la Croce, allo scopo di essere ancor più ridotto al nulla. E ciò che Cristo dice in Gv 3,7: “E’ necessario che voi rinasciate di nuovo”; se bisogna rinascere, si deve prima morire ed essere innalzato col Figlio dell’uomo; morire io dico significa sentire la morte presente››.299

Ricordiamo che Lutero è più un predicatore dai toni paradossali, che un teologo riflessivo dai toni pacati.300 Ma già qui si manifestano indizi di una prospettiva in cui la creatura, la sua attività razionale-morale, la sua innata capacità di conoscere Dio, tende a scomparire.

La sapienza della Croce così intesa porterebbe ad affermare che nell’ordine salvifico Dio fa tutto; si sta scivolando verso un mono-energismo, attualismo divino.

Il riformatore tedesco sta introducendo un significato nuovo nella classica affermazione, che troviamo anche nel Lateranense IV, della creazione ‹‹dal nulla››: non indica solamente che Dio creatore pone la totalità dell’effetto creato, che nulla è presupposto alla sua azione creatrice, ma viene inoltre ad insinuare una non attività della creatura nell’ordine della salvezza, Dio fa sempre tutto, la creatura è sempre un nulla.

Tutti accogliamo la verità rivelata (essa sta a fondamento dell’accordo ecumenico del 1999 sulla Dottrina della giustificazione301), che solo nella Croce gloriosa di Cristo siamo riconciliati, perdonati, riceviamo il puro dono della Grazia; solo la Croce svela pienamente la Gloria di Dio, ci offre la sua piena rivelazione (cfr Gv 17).

Ciò che i toni veementi di Lutero pongono in crisi, è la capacità della creatura, dell’uomo, delle sue facoltà spirituali, di corrispondere ai doni gratuiti, totalmente soprannaturali di Dio. Ascoltiamo a questo proposito le osservazioni di SCHEFFCZYK L.:

“Se la concezione della creazione propria del riformatore, per il suo tono biblico e salvifico, presenta in paragone della concezione scolastica che si perde nella categorie ontologiche, degli

298 Per un esame dell’esegesi di 1 Cor 1,21: ”Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione, LIGIER L., Péché d’Adam et péché du monde, Bibie-Kippur Eucharistie, cit., 163-169, concludendo: « C’est donc un sens global, ou conflue tout l’A .T. qu’il faut entendre 1 Cor. 1,21: le monde n’a ni reconnu ni onoré le Dieu unique; il n’a ni compris ses desseins ni obéi à sa volonté. Voilà pourquoi le Seigneur a rejeté la sagesse et choisi la folie.». Le relazioni tra conoscenza naturale e rivelazione in materia religiosa saranno definite dal Vaticano I DH 3004; 3026.

299 ? Luthers Werke in auswahl, Berlin 1950, vol. V, 377-392.300 Cfr LORTZ J., Stroria della Riforma in Germania, vol. I, Jaca Book Milano 1971, 203-210.301 ? Cfr. PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITA’ DEI CRISTIANI, Dichiarazione

congiunta sulla dottrina della giustificazione tra la Chiesa cattolica e la Federazione Luterana Mondiale del 31 Ottobre 1999, in Ench. Vat. 18, nn 1728-1738.

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indubbi vantaggi, tuttavia non dobbiamo nasconderci i suoi difetti che si possono raccogliere anzitutto sotto i nomi di attualismo e della concezione troppo volontaristica del Dio onnipotente che vi è legata. Questo legame spiega l’assenza di causalità esemplare e di esemplarismo. Si trova al loro posto la convinzione che le creature sono vere maschere di Dio, che lo nascondono piuttosto che rivelarlo.

La concezione volontaristica di Dio e l’attualismo conducono Lutero a sottolineare risolutamente la trascendenza di Dio creatore; ma contemporaneamente rischia di adottare un punto di vista monoenergetico e di compromettere l’autonomia relativa delle creature, soprattutto la libertà e la responsabilità degli esseri spirituali”.302

Lutero non cura la speculazione sulla Trinità in sé immanente 303, come neppure considera in Cristo la collaborazione della sua integra umanità all’opera divina della salvezza dell’uomo; Y-M. CONGAR pone in rilievo, anche in dialogo con il luterano PANNENBERG, come Lutero non cerca intelligenza teologica della mediazione salvifica dell’umanità di Cristo. 304

Anche per quanto riguarda la collaborazione dell’umanità di Cristo, Lutero tende ad un monoenergismo divino, cioè Dio fa tutto, attualismo divino: nell’Umanità di Cristo Dio agisce facendo tutto nell’ordine salvifico; non sembra cercare intelligenza della subordinata attività propria della natura umana di Cristo, integra in tutte le sue componenti e facoltà, ipostaticamente unita, senza confusioni, alla Persona divina del Figlio. Natura divina e natura umana ‹‹inconfuse, indivise››: è questa, lo sappiamo, la preziosa eredità dei primi Concili, sino al Costantinopolitano III (DH 550, anno 681).

In corrispondenza a questa visione riduttiva dell’Umanità SS del Signore Gesù, che ci salva nello schiacciamento della Croce, (sub contraria specie, l’opposto della salvezza), per risorgere, offrire il dono dello Spirito Santo, anche la collaborazione dell’uomo alla necessaria grazia dello Spirito Santo, non viene posta in risalto: cosa è il libero arbitrio in ordine salvifico, la necessaria corrispondenza della creatura uomo alla Grazia ?

L’esperienza spirituale di Lutero, molto sentita, ansiosa nel ricercare vie di salvezza, coltiva l’interiorità della fede fiduciale in un Dio che fa tutto nell’ordine salvifico. La tendenza sta in una certa rottura tra l’interiorità della fede fiduciale e la consistenza della creatura, anche della struttura sacramentale della Chiesa.

Nel campo dei Sacramenti si nota un suo impegno, in contrasto con Calvino e Zwingli, per assicurare una certa ‹‹sostanzialità›› della presenza eucaristica; un’operazione in sé illusoria, in quanto portata avanti con i criteri di un dottore privato, che stabilisce Lui i contenuti del Mistero centrale della fede, non li accoglie dalla fede continua della Chiesa. Non si può costruire una norma sacramentale, così decisiva, su opinioni e motivazioni personali, inoltre soggettive ed oscillanti.305

Possiamo ora dire che l’intelligenza così divergente della consistenza della creazione in ordine salvifico (Umanità SS di Cristo, Sacramenti, Ministero, corrispondenza dell’uomo....) costituisce la vera radice delle lacerazioni ecclesiali del secolo XVI; lacerazioni così profonde che lo stesso Lutero non aveva programmato, ma divennero inarrestabili nel clima di emotività conflittuale suscitata, sino alla manomissione del Canone Romano, dei contenuti del Sacrificio eucaristico, quindi del Ministero apostolico, Sacerdozio ordinato....306

302 ? SCHEFFCZYK L., Création et providance, Cerf, Paris 1967, 179. 303 ? Cfr. MARTENSEN H.L., La foi de Luther en la Trinité, in N R T (1983), 685.304 ? Cfr CONGAR Y. M., Chrétiens in dialogue, Cerf, Paris 1964, 453-486.305 ? Cfr. LORTZ J., Storia della riforma in Germania, vol I, Jaca Book, Milano 1971, 453.306 Cfr. LUTERO, M. , Opere scelte, 7, Messa, sacrificio, e sacerdozio, Un sermone sul Nuovo Testamento, cioè

sulla S. Messa (1520); Giudizio di M. Lutero sulla necessità di abolire la Messa privata (1521); La Messa privata e la consacrazione dei preti (1533), a cura di NITTI S. , Claudiana, Torino 1995, 129 passim. Id. Scritti religiosi, a cura di VINAI V. , UTET, 1967: Sermone sul venerabile Sacramento del santo vero corpo di Cristo e sulle confraternite, 297-322; Messa in volgare e ordine del servizio divino, 653-672. Per la storia dolorossa della incomprensione e

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Non ci stupisce quindi un S. Ignazio di Lojola che, senza indulgere a polemiche aggressive, contribuisce efficacemente a consolidare la tradizione viva della Chiesa apostolica, curando anzitutto, nei suoi Esercizi spirituali, un recupero del senso rivelato e razionale della Creazione, dell’Umanità SS del Signore Gesù, dei suoi Misteri salvifici, della libertà dell’uomo.307

15 Teologia della creazione nei secoli XVI-XIX:La Teologia cattolica della creazione sviluppa, in questo periodo, soprattutto gli aspetti

razionali di questo fondamantale situarsi dell’uomo davanti a Dio; è impeganata nel difendere le capacità naturali dell’uomo di conoscere Dio, corrispondere liberamente alla preveniente e necessaria Grazia. Si nota il limite di presentare questi aspetti razionali in una accentuata distinzione dalla dimensione cristologica. Si danno lodevoli eccezioni, come il gesuita Dionigi Pettau (†1652) e l’oratoriano Luigi Thommasin (†1695).

L’autore che più esprime questa nuova impostazione di coltivare gli aspetti filosofici della Creazione è Francesco Suarez (+ 1617), specialmente nelle sue Disputationes metaphysicae. Anche l’Ortodossia protestante ne risente l’influsso: saranno adottate perfino nelle università luterane tedesche.308.Questi influssi dell’opera del Suarez, in un contesto già illuministico, dureranno sino a Ch. Wolff (+ 1754).

Sarà il Pietismo (F. G. Spener, 1635-1705) a riportare in primo piano la fede fiduciale e la Theologia Crucis e la continua conversione di Lutero nel pensiero teologico riformato; con notevole influsso anche sulle nuove filosofie.

E. Przywara 309 ritiene che l’atteggiamento del concentrarsi sull’interiorità dell’uomo accompagnato da un certo distacco da tutto ciò che è esteriore (magistero, sacramenti, autorità.….. secondo le prospettive della fede fiduciale), avrebbe influito anche sul filosofare del cattolico Cartesio, il suo concentrarsi sulla Res cogitans, distinta dalla res estensa. 310

Cartesio ha sempre professato fede cattolica, ma il dogma della creazione, la radicale dipendenza di tutto dalla SS Trinità, non presenta influsso vitale sul suo pensiero. Abbiamo già notato la sua somiglianza con le dottrine di Ockham sulla libertà arbitraria dell’Onnipotente Dio nel creare. Cartesio ammette, sì una idea innata di Dio nella mente umana, quasi il segno impresso dall’Artefice divino nella sua immagine, ma utilizza, nel suo sistema, tale idea anzitutto a finalità

manomissione del Canone, cfr JEDIN H., Storia del Concilio di Trento, Morcelliana, Brescia 1973; NEUNHEUSER B., L’Eucharestie II. Au Moyen age et à l’epoque moderne, (= Histoire des dogmes) Cerf, Paris 1966

307 Il fondatore della Compagnia di Gesù non è propriamente un teologo di professione; è soprattutto un convertito da una vita cristiana superficiale e tradizionale, ad una sequela illuminata e totale del Signore Gesù, nella sua Chiesa. La sua conversione si situa esattamente nello stesso anno, 1521, della rottura di Lutero.

I suoi Esercizi spirituali sono il frutto del suo personale cammino spirituale di conversione; anche se il santo basco si rese conto che, nella situazione ecclesiale in cui viveva, per l’efficace aiuto spirituale del prossimo, era necessaria una solida cultura filosofica-teologica: la acquistò specialmente a Parigi, con studi sistematici prolungati dal 1530 alla data della sua ordinazione sacerdotale a Venezia, 1546.

Quale posto riserva nei suoi Esercizi alla Creazione in relazione alla SS Umanità di Cristo, verità di fede molto incomprese in una Chiesa lacerata? Sappiamo che gli Esercizi spirituali consistono essenzialmente in una contemplazione dei Misteri della Vita di Cristo: qui l’efficacia salvifica della SS Umanità di Cristo è pienamente accolta. L’uomo vi trova il perdono dei peccati; nel contatto vitale con la vita pubblica di Gesù il modello e la grazia per scelte evangeliche, per il servizio del Regno; la sua Croce lo redime e introduce ad una vita risorta. E la creazione in tutto questo che posta occupa ? Talmente fondamentale da esserne esattamente ‹‹Principio e fondamento›› sempre attivo e orientante l’intero percorso degli Esercizi. Si tratta dell’atrio di ingresso negli Esercizi, pagina introduttoria, non una meditazione particolare, ma una prospettiva di fede, e ragione, che sorregge e guida l’intero programma di rinnovamento, di scelte responsabili.

308 Lo nota anche Giovanni Paolo II nella Fides et Ratio n 62; per il contesto, e quindi la prospettiva limitata della metafisica di Suarez, von BALTHASAR H. H., Gloria, V, nello spazio della metafisica, ; GILSON E., Costantes philosophiques cit. 69-72

309 Cfr PRZYWARA, Augustin passion et destins de l’Occident, Cerf, Paris 1987, 42-47310 Cfr COPLESTON F., Storia della Filosofia, vol IV, Paideia, Brescia 1975, 156-158; DESCARTES R., Opere

filosofiche, Classici della Filosofia, UTET, vol I, 796s. 807-810

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intellettuale, avere certezza nel fare scienza nel campo della res estensa. Non si serve dell’idea di Dio per coltivare il giusto atteggiamento, adorante, verso Dio, come invece esercita Agostino.311

Questa trascuratezza del Dio creatore, come si nota nel filosofare di Cartesio, porterà i cultori del suo meccanicismo fisico alla professione di un materialismo agnostico (come in La Mettrie 1709-1751)

Anche il razionalismo, con la sua superficiale teodicea, ed il suo opposto ancor più superficiale, il positivismo, porteranno alle stesse posizioni agnostiche.

Non ci stupiremo quindi se un filosofo della Scienza, come Kant, non riuscirà più a giustificare teoricamente l’idea di Dio creatore; rimarrà l’esigenza di un Dio rimuneratore nella sola ragion pratica. 312

Il rapporto teorico tra Infinito e finito ritornerà in primo piano come dimensione portante, fondamentale, nei tre massimi idealisti: Fichte (†1814), Hegel (†1831), Schelling (†1854); si tratta di filosofi che sono partiti da studi teologici (Fichte a Jena, Wittemberg e Lipsia, Hegel e Schellinga Tübingen). Sul loro filosofare influisce anche il Pietismo protestante, che coltivando atteggiamenti di fede fiduciale-conversione senza molto preoccuparsi dell’ortodossia dottrinale, lasciava largo spazio alle avventure di un pensiero sbrigliato.

Per l’influsso avuto sul pensiero e sulla storia, per la maggiore perseveranza nella propria prospettiva sistematica (Schelling si avvicinerà a posizioni più ortodosse; l’ultimo Fichte 313sembra superare un chiaro panteismo) ci interessiamo brevemente di Hegel.

15.1 Dalla luterana fede fiduciale e <Theologia crucis>, alla dialettica hegeliana dell’Assoluto

Nel giovane Hegel si nota un accostamento favorevole all’ortodossia cristiana: Gesù ci riconcilia nell’amore al Padre; la filosofia si ferma a questa soglia, riconoscendo un primato alla religione rivelata. Come sappiamo, con Glauben und Wissen (1802) Hegel invertirà le posizioni tra fede cristiana e filosofia.

311 Il dogma della creazione dell’uomo secondo l’immagine del Signore Gesù, con tutte le sue implicanze filosofiche-antropologiche, è professata dal buon cattolico Cartesio, ma risulta scarsamente operante nel suo pensiero, colmo di genialità, ed insieme di tensioni esplosive: ma il suo secolo, dopo la guerra dei trent’anni cui ha preso personalmente parte, ha una solidità affettiva cattolica (anche a suo modo nell’ortodossia protestante) che riesce ancora a dominare queste incongruenze: la creazione professata, anche senza sua sufficiente intelligenza della fede, può ancora guidare i comportamenti religiosi morali.

Questo equilibrio si spezzerà nel secolo seguente, quello dei lumi, con la sua visione superficiale del Creatore e dell’uomo, un deismo, con un Dio sempre più evanescente. Cfr LENOBLE R., Storia dell’idea di Natura, ed. Guida, Napoli 1974

312 Osserva von BALTHASAR H.U.,Gloria, V, cit. 442s: “C’è anzitutto l’eco della diffidenza di Ockam-Lutero contro la ‹‹ragione sgualdrina››; ma più fortemente ancora il filosofo appare, controvoglia, stabilito sulla forma conoscitiva scientifica come forma normativa per ogni conoscenza razionale: ordinamento categoriale della materia-mondo fenomenica, conoscenza quindi come dominio senza riguardo su ciò che là ‹‹ appare ›› (<l’in sé> risulta inconoscibile), o sul perché là appare. Giacché la categoria del ‹‹perché›› (causalità) mette ordine soltanto in ciò che già appare sotto di sé ed è appunto per questo non autorizzata a domandarsi che cosa ci sia dietro il fenomeno (terza e quarta antinomia della ragion pura). Se conoscere è dominare, allora Dio rimane senz’altro ciò che per definizione non è dominabile e quindi non conoscibile. In questo presupposto, che induce però una notevole differenza, Kant può essere allineato tra i grandi rappresentanti della teologia negativa, anzi egli perviene all’esatta formula di Anselmo (rationabiliter conprehendit incompreensibile esse, comprende razionalmente che Dio è in sé incomprensibile)”

313 COPLESTON F., Storia della filosofia, vol. VII, da Fichte a Nietzsche, Paideia Brescia 1982, 22: “Fichte nella maturità del suo filosofare parla dell’esistenza di un Assoluto divino che trascende in sé la portata del pensiero umano, e Schelling (+1854) nella sua tarda filosofia della religione accentua l’idea di un Dio personale che si rivela all’uomo”. Nel Fiche della maturità la generazione intratrinitaria del Verbo (Gv 1,1-4), è intesa come espressione del pensiero divino nella realtà del mondo, che finalmente la coscienza del progetto idealista fa brillare nell’uomo: vedi testi dell’ Introduzione alla vita beata ovvero la dottrina della rivelazione, in Grande Antologia filosofica, Marzorati ed. Milano 1971, 1064-1071

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La religione cristiana è rivelazione assoluta, insuperabile, ma ci parla dell’Assoluto ancora attraverso rappresentazioni ed immagini. Tali sono le credenze circa Dio creatore, il peccato originale, il redentore crocifisso; ma filosofia assoluta, la filosofia finalmente matura, ci introduce alla verità attraverso il puro concett: rappresenta quindi il livello superiore, ultimo, del pensiero, della verità.

Hegel ritiene di essere così il vero erede, maturo, razionale, degli atteggiamenti della riforma, della fede fiduciale, cioè del principio protestante, che coltiva l’interiorità pura del pensiero, rifiutando la vuota autorità:

“In questo nuovo periodo il principio è il pensiero, il pensiero che parte da se stesso - questa interiorità che si connota con riferimento al cristianesimo, e che è il principio protestante. Ora, il principio generale è di ritenere questa interiorità in quanto tale, di rifiutare l’esteriorità morta, l’autorità, e di considerarla come inaccettabile. Secondo questo principio dell’interiorità, il pensiero, il pensiero per sé, è la punta di diamante della coscienza, e questa interiorità è ciò che si regge di per sé” 314.

Hegel ritiene che Agostino sia l’iniziatore di questo processo di interiore coscienza, col suo porsi solo davanti al Dio solo; Cartesio avrebbe esposto l’intelligenza di questo situarsi davanti a Dio nella propria interiorità, a prescindere dal mondo; quindi attraverso il cogito cartesiano, L’Io delle categorie trascendentali kantiane si giunge sino all’autocoscienza della filosofia matura, assoluta, quella di Hegel.

Insieme alle prospettive religiose luterane della fede interiore, fiduciale, si devono considerare i paradossi della Theologia Crucis luterana: un Dio che fa tutto, nell’ordine salvifico, la creatura davanti a lui è un vero nulla; deve solamente accogliere, nella fede fiduciale, che Dio in Cristo, un Cristo schiacciato sotto la Croce, attraverso l’opus alienum della morte, realizza l’opus proprium della vita, la salvezza. Un Dio in sé inaccessibile alla ragione umana “Deus absconditus”, un Dio che si manifesta celato in Cristo (posteriora Dei cfr Es 33,23) Deus revelatus nella sua umanità schiacciata sotto la croce, sub contraria specie.

In queste prospettive luterane - Deus absconditus, Deus revelatus sub contraria specie, vita risorta nello Spirito - possiamo, intravedere la triade dialettica hegeliana: Idea divina astratta, sua concretizzazione nella natura, autocoscienza umana dell’Assoluto pensiero.

Possiamo offrire qualche ulteriore precisazione per comprendere il passaggio dalla fede fiduciale - Theologia Crucis luterana alla dialettica triadica di Hegel. Lutero non cura la speculazione sulla Trinità, in se immanente315, come neppure considera in Cristo la collaborazione umana della sua integra Umanità all’opera divina della salvezza dell’uomo 316. Presenta una visione molto concreta del Dio uomo: la comunicazione degli idiomi (per cui si riferisce alla Persona del Figlio di Dio, senza confusione di nature, le qualità e attività sia divine, sia umane) sembra indicare nell’uso luterano una certa confusione, mescolanza delle qualità umano-divine. Questo è il frutto di una impostazione religiosa che accetta solo categorie, concetti biblici, rifiutando completamente la riflessione scolastica, gli approfondimenti sviluppati da un millennio di pensiero credente. Lutero valorizza in queste prospettive riduttive il tema patristico liturgico, dell’admirabile commercium (vedi il Prefazio di Natale, III): Cristo, l’uomo-Dio ha assunto il mio peccato, si è sottoposto all’ira di Dio verso il peccatore, per comunicarmi la sua giustizia divina.

Abbiamo già notato come Congar pone in rilievo, anche in dialogo con Pannenberg, che Lutero non ricerca l’intelligenza teologica della collaborazione dell’Umanità di Cristo in questo misterioso scambio del mediatore: scivola verso un Monoenergismo divino, attualismo.

314 PRZYWARA E., Augustin passion et destins de l’Occident, Cerf, Paris 1987, 41315 MARTENSEN H.L., La foi de Luther en la Trinité, in N R T (1983), 685.316 Specialmente CONGAR Y.M., ha esaminato questi aspetti, vedi nel suo Chrétiens en dialogue, Cerf, Paris

1964, il capitolo La Christologie de Luther, testo già edito in H. GRILLMEIER et E. BACH, Das Konzil von Chalcedon. Geschichte und Gegenwart, Band. III, Würzburg, Ecther, 1954, 457-486, ma con un’aggiunta alle risposte di W. PANNENBERG, apparse in Theol. Literaturzeitung 1957, col 97-98.

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Nell’Umanità di Cristo Dio agisce, fa tutto, salva sub contraria specie; non viene indicata l’attività propria della natura umana ipostaticamente unita, senza confusioni, alla Persona divina del Figlio; la prospettiva luterana dell’uomo-Dio è tanto concreta sino ad introdurre una certa confusione tra le nature divina ed umana. Si ha quasi l’impressione che sulla croce Dio lotta contro Dio “Qui vale l’oscuro detto di Goethe: « nemo contra Deum, nisi Deus ipse »”.317

Ho già accennato che Lutero non coltiva l’intelligenza della fede circa la Trinità in sé, immanente, la generazione del Verbo, immagine filiale, la spirazione dello Spirito, (le processioni divine, in cui i teologi del XIII secolo fondavano la creazione per il Verbo, nello Spirito, la redenzione per il Crocifisso glorioso, la missione dello Spirito Santo): è un aspetto del suo rifiuto dello scolasticismo.

Ora l’evento della Croce, come lotta di Dio contro Dio, può infine essere inteso come lo stesso costituirsi della distinzione intra-trinitaria tra il Padre ed il Figlio, superata nel comune Spirito Santo. Non era questa l’intenzione di Lutero: intendeva ricuperare una spiritualità centrata sul Dio crocifisso, il sacramento salvifico, svelamento, sub contraria specie, del Deus absconditus, e che per l’ammirabile commercio, scambio delle nature divina ed umana, ci riveste progressivamente della forma Verbi, ci dona interiormente lo Spirito, per una continua penitenza.

Ma Lutero rifiuta l’uso della ragione, nega un vero libero arbitrio umano, misconosce un millennio di intelligenza della fede; ricordiamo la sua totale incomprensione e orribile mutilazione del Canone romano.

Hegel, in questo contesto, compie una arditissima operazione: razionalizza dialetticamente le prospettive teologiche della teologia della croce, inoltre pone in un terreno ambiguo, umano-divino, l’autocoscienza razionale - libera dell’Assoluto (la ragione umana e il libero arbitrio negati da Lutero); ne segue che l’idea astratta, prende coscienza di sé attraverso l’autocoscienza umana, raggiungendo la consapevolezza del pensiero assoluto. Questo nel dolore assoluto dell’Idea universale che si aliena nel concreto particolare umano, per risorgere, nell’auto-coscienza umana, alla consapevolezza del Pensiero di pensiero, identità assoluta di Soggetto ed oggetto.

Così il Venerdì Santo storico dell’evento della Croce di Cristo è stato razionalizzato nel Venerdì santo speculativo della negazione dell’Idea astratta, un dolore infinito, per risorgere nell’autocoscienza umana come Spirito assoluto, Pensiero di Pensiero.

Per situare questa dialettica Infinito-finito-Assoluto, oltre all’interiorità e paradossi cristologici luterani, si deve inoltre ricordare la decadenza dell’intelligenza dell’articolo di fede sulla Creazione (relazioni dell’uomo e del suo mondo alla SS. Trinità creatrice e redentrice), nella cultura occidentale del secolo. Inoltre la teodicea del razionalismo è molto superficiale, non percepisce e sviluppa la capacità naturale di Dio propria dell’Intellectus umano; ancora più poveri di contenuto metafisico si presentano i Positivisti e gli Illuministi; molti scienziati sostengono un materialismo agnostico. Anche in Kant l’idea di Dio è teoricamente vuota di contenuti.

Hegel ha voluto rifare sintesi teorica tra infinito e finito, esasperando e razionalizzando la dialettica della Teologia della croce; ma la sua sintesi non corrisponde alla verità della dimensione creaturale 318, è artificiosa sistematica, che compromette sia l’assoluto divino, sia la creatura uomo; nel suo panteismo dialettico, in definitiva, sia Dio, sia l’uomo risultano bruciati 319, tutte le realtà

317 Cf. JÜNGEL E., Dio mistero del mondo, Queriniana, Brescia 1982, 472. 318 Von BALTHASAR H.U., Gloria, V, cit 516-518 nota quanto Hegel si impegni in una: “totale eliminazione

dell’elemento ebraico. Nella sua insaziabile polemica piena di odio contro il Vecchio testamento, Hegel perseguita il solo elemento di cui egli non ha in nessun modo bisogno per il suo sistema pur così omniconciliante: la sovrana, dominatrice supremazia di Dio sul mondo [...] Questo antisemitismo precisamente doveva emergere alla fine della nostra storia dello spirito - in senso antico-classico e poi cristiano -venne livellato nello schema implicazione-esplicazione.”

319 Ivi 130.

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fondamentali rivelate (Creazione, Peccato originale, Redenzione) vengono alterate, rese irriconoscibili 320.

Questa visione dialettica dell’Assoluto che si costituisce nell’infinito dolore del Venerdì santo speculativo, già indicata in “Glauben und Wissen” (1802) viene poi sistematicamente sviluppata nella Trilogia dell’Assoluto:

Fenomenologia dello Spirito: come maturazione nella storia della filosofia, della coscienza di sé dell’Assoluto Pensiero di pensiero;

La scienza della logica, cioè la metafisica hegeliana; Enciclopedia delle scienze, che rappresenta la bibbia dell’ hegelismo.Per questa razionalizzazione e sistematizzazione delle relazioni, infinito-finito, Hegel, è

stato detto, a ragione e a torto, il S. Tommaso del protestantesimo; la sua opera si presenta infatti come una autentica Summa, che sotto varie prospettive, ma sempre alla luce delle coordinate dialettiche infinito-finito, relaziona storia del pensiero, religione, arte, socialità, eticità. Abbiamo già detto della profonda alterazione delle realtà della fede, in quanto sottoposte a questa dialettica dell’Assoluto panteistico.

Nel vecchio Hegel sono stati notati recuperi da ortodossia cristiana 321. La destra hegeliana ha cercato (ma in prospettive del tutto protestanti) un accordo tra sistematica hegeliana e dogmi religiosi. Ma la Storia della teologia ci ricorda come i fratelli separati della riforma hanno ondeggiato dalla teologia liberale (una quasi completa razionalizzazione della fede), alla teologia dialettica barthiana (hegelista nelle Romerbriefen, più equilibrata nella Dogmatica ecclesiale ma ancora lucida predestinazione, debolezze dell’Ordine sacramentale...), sino ai più recenti tentativi, ancora insufficienti, di coordinare Trinità immanente, economica, creazione 322.

Questa rapida panoramica dell’eredità luterana, ci convince dell’urgenza di ricercare la Dottrina corretta della Chiesa su Dio, la sua distinzione dal mondo, il suo atto creatore e dipendenza creaturale da Dio dell’uomo e del mondo. È il lavoro chiarificatore realizzato dal Vaticano I. L’interrotto Concilio dell’ottocento, oltre a chiarificare le ambigue relazioni infinito-finito della sbrigliata speculazione idealista, intendeva porre rimedio al materialismo, anche all’ontologismo.

Il Magistero Pontificio e Conciliare terrà infine molto presente l’ambiguo influsso di kantismo ed hegelismo sulla teologia cattolica; in particolare le questioni sollevate da Hermes G. (†1831): applicando a Dio creatore il principio categorico di fare il bene disinteressatamente, insinua che Dio non può creare per la sua gloria, rischiando così di sacrificare l’Assoluto di Dio sugli altari della sua generosità per l’uomo (DH 2758-2740; 3025).

Günther A.: applicando modelli di autocoscienza idealistica alle relazioni trinitarie, tendeva ad un Triteismo. Nel nostro campo della creazione, riteneva necessaria la creazione dello Spirito angelico, del mondo, e della loro sintesi, l’uomo; il “nulla” da cui vengono necessariamente creati sarebbe costituito dalla negazione, quasi l’ombra, delle persone del Padre Figlio e Spirito Santo (DH 2828-2831; 3025) 323

320 Cf. F. COPLESTON, Storia della Filosofia, vol. VII, da Fichte a Nietzsche, Paideia, Brescia 1982, 292-293.321 Cf. E. JÜNGEL, Dio mistero del mondo, Queriniana, Brescia 1982, 126, nella nota 66. 322 A questo riguardo si segnala la teologia sistematica protestante contemporanea: MOLTMANN J., Dio nella

creazione, (BTC 52) Queriniana, Brescia 1985,che riprende temi sulla Trinità creatrice, già sviluppati ne Il Dio Crocifisso, Queriniana, Brescia 1970,e Trinità e Regno di Dio, Queriniana, Brescia 1980; PANNENBERG W, Teologia sistematica I, Queriniana, Brescia 1980; JÜNGEL E., Dio mistero del mondo, Queriniana, Brescia 1982: è utile esaminare questi scritti in relazione a: von BALTHASAR H.U., La Teologia dei tre giorni,(BTC 61), Queriniana, Brescia 1990,e KASPER W. Il Dio di Gesù Cristo, (BTC 45), Queriniana, Brescia 1984.

323 Cfr ORBAN L., Teologia guenteriana et Concilium Vaticanum, I, Roma 1942

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16 L’insegnamento dogmatico del Vaticano I: “Dei Filius”: Il cap. I: “De Deo rerum omnium creatore”

Per introdurci all’insegnamento del Concilio, sono opportune due premesse. 324 Anzitutto la fedeltà al modo di procedere della Rivelazione biblica: abbiamo visto che il Dio dell’Alleanza si presenta come il Creatore universale, pur avendo l’uomo la capacità <naturale> di conoscere il Creatore

Il Vaticano I è fedele a quanto abbiamo individuato nella S.Scrittura? Nella <Dei Filius> il cap. I sulla Creazione, precede il II sulla Rivelazione, il III sulla Fede ed il IV sui rapporti Fede-ragione. Dobbiamo subito porlo in evidenza, notando che non si fanno separazioni tra il Dio della Rivelazione e della storia della salvezza, e il Dio della Creazione, anche se il Vaticano I, col suo modo di procedere, sottolinea la necessaria distinzione; anche la S. Scrittura, secondo l’autore ispirato del Pentateuco, incomincia col descriverci l’atto creatore di Dio, per poi, col cap. 12 di Genesi narrarci la vocazione di Abramo, l’inizio della Storia salvifica. Che poi la conoscenza del Creatore sia facilitata dall’Alleanza vissuta, viene chiaramente affermato nel cap. II sulla Rivelazione :

“Va attribuito a questa divina Rivelazione il fatto che , tutto ciò che nelle cose divine non è di per se impervio alla umana ragione, possa anche nel presente stato del genere umano [ di peccaminosità originale] essere conosciuto da tutti speditamente, con ferma certezza e senza mescolanza di errori”(DH 3005, riportato in DV n 6).325

La Rivelazione facilità quindi la conoscenza del Creatore, già accessibile con la riflessione della mente umana sulle opere visibili di Dio:

“La stessa santa madre Chiesa ritiene ed insegna che Dio, principio e fine di ogni cosa, può essere conosciuto con certezza mediante la luce naturale della ragione umana a partire dalle cose create; <infatti dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da Lui compiute (Rm 1,20)”(DH 3004). Anche il Canone corrispondente, DH 3026, afferma :

“Se qualcuno dice che il Dio unico e vero, nostro creatore e Signore, non può essere conosciuto con certezza, grazie al lume naturale dell’umana ragione: sia anatema”

A questo proposito è bene premettere all’esame del cap. sulla Creazione una ulteriore domanda: in forza di ciò che abbiamo riportato, si dà nel Vaticano I una definizione formale che la ragione naturale è capace di dimostrare l’esistenza di Dio creatore dal nulla? Notiamo anzitutto che il testo definito non parla di “demonstrare”, ma di “certo conosci posse”; di Dio in quanto considerato “rerum omnium principium et finem”( DH 3004) et “unum verum creatorem et Dominum”(DH 3026), non quindi espressamente in quanto creatore dal nulla.

Inoltre il Concilio non volle porre in primo piano la questione di fatto, che cioè nella storia del pensiero umano si è giunti a questa conoscenza esplicita di Dio creatore dal nulla di tutte le cose, ma del principio, cioè della capacità della ragione umana di giungere a questo. La distinzione tra la questione di fatto (cioè di concreto, situato nella storia, esercizio della ragione) e di principi (cioè delle capacità conoscitive, in sé, della stessa ragione umana), era nella consapevolezza dei Padri del Vaticano I.

324 Acta et Decreta S. Conciliorum recentiorum, Collectio Lacensis, T. 5 e 7, Herder, Freiburg im Br. 1890; Amplissima Collectio Conciliorum a Mansi et continuatoribus edita, T. 48-53; HOCEDEZ E., Histoire de la théologie au XIX siècle, Paris 1902; POTTMEYER H., Der Glaube von dem Anspruch der Wissenschaft, Freiburg im Br 1968

325 Questo principio, esprimente quanto sin dall’inizio osserviamo delle relazioni Alleanza e creazione, riguarda anche il campo morale, e nella sua consistenza , quello del Diritto: CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Vocazione ecclesiale del teologo, del 24/ 5/ 1990, in AAS 82(1990) 1550-1570, nn 10; 16 ; D’AGOSTINO F., Il Diritto come problema teologico, (=Recta ratio 17), Giappichelli, Torino 1992, 11-30.

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Per rendercene conto basta rileggere la Relatio di mons. Gasser V., Vescovo di Bressanone; ad un Padre che domandava cosa significasse parlare di lume della ragione naturale, quando mai l’uomo è stato in situazione puramente naturale, rispondeva: non confondere “principia rationis” e “exercitium rationis”. Il Concilio parla solamente dei principi della ragione; con essi Dio può essere conosciuto con certezza; non si intende dire nulla delle situazioni in cui l’uomo perviene all’esercizio della ragione. 326

Osserva von Balthasar: qui il Concilio parla di natura razionale presa in senso assoluto, cioè prescindendo dalle sue realizzazioni storiche. Esso insegna: all’interno di ogni concreta situazione storica, di ogni sua modificazione e trasformazione, trasfigurazione, la natura umana non viene distrutta o mutata nel suo contrario, ma viene conservata e funziona insieme alla sua capacità naturale di conoscere Dio.

In altre parole: l’uomo nel conoscere ed amare Dio, non viene spinto come un pezzo di legno, come una pietra; è invece sempre lui stesso, la sua facoltà conoscitiva, sollecitata dalla grazia a mettersi in movimento davanti a Dio.

Anche nel peccato di incredulità ed idolatria l’uomo ha sempre a che fare con questo Dio, rimane capace di Dio; Dio non può essere negato in verità neppure nel tentativo esplicito di farlo: Egli è implicito formalmente in ogni atto del suo pensiero.327

Queste osservazioni ci rammentano che nel Vaticano I, pur nella valorizzazione della natura umana, razionale, capace di Dio, sempre funzionante e mai del tutto corrotta (già sappiamo come la Chiesa cattolica ha sempre difeso la bontà naturale, fondamentale dell’uomo) non si è data nessuna rigida separazione, tra natura ed il Soprannaturale Cristico, ragione e rivelazione-fede.

Riflettiamo ora sul testo delle sobrie e concise dichiarazioni del Vaticano I. Le osservazioni al margine del testo, sono tratte dalla presentazione autorevole di Mons. Gasser della Costituzione dogmatica in aula, prima della votazione; indicano le articolazioni del testo, sono utili per più esattamente percepirne l’insegnamento.

Vaticano I Costituzione dogmatica Dei Filius, sulla fede cattolicaCaput I De Deo rerum omnium creatore

[3001] L’unico Dio, perfetto, distinto dal mondo

Professioedi fede:titoli Biblici

Sancta catholica apostolica Romana Ecclesia credit et confitetur. unum esse Deum verum et vivum. Creatorem ac Dominum caeli et terrae, omnipotentem,

La santa chiesa cattolica apostolica romana crede e confessa che vi è un solo Dio vero e vivo

creatore e signore del cielo e della terra onnipotente,

Chi sia Dio in sè: attributi espressivi dell’essenza divina

aeternum. Immensum, incomprehensibilem. intellectu ac voluntate omnique perfectione infinitum:

eterno, immenso, incomprensibile, infinito nel suo intelletto, nella sua volontà. e in ogni perfezione,

Distinzione di Dio dalle creature, per la sua sostanza spirituale.

qui cum sit una singularis, simplex omnino et incommutabilis substantia spiritualis. praedicandus est re et essentia a mundo distinctus. in se et ex se beatissimus,

che essendo una sostanza spirituale unica e singolare, assolutamente semplice e immutabile, deve essere dichiarato realmente ed essenzialmente come distinto dal mondo, sovranamente beato in se stesso e per se stesso

In modo infinito et super omnia, quae praeter ipsum sunt et concipi possunt, ineffabiliter excelsus

e ineffabilmente elevato al di sopra di tutto ciò che è e che può essere concepito al di fuori di lui

[3002] Atto creatore di Dio del tutto libero “de nihilo”Causa efficiente, causa movente

Hic solus verus Deus bonitate sua et «omnipotenti virtute»

Nella sua bontà e con la sua «onnipotente virtù»,

326 A questo riguardo vedi in: Collectio Lacensis, vol. VII, Herder, Friburgi Brisgoviae 1890,col. 238-239.327 H. U. von BALTHASAR, La teologia di K. Barth, Jaka book, Milano 1985, 328-333.

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Causa finale,causa esemplare 328

non ad augen-dam suam beatitudinem nec ad acquirendam, sed ad manifestandam perfec-tionem suam per bona. quae creaturis impertitur,

non per aumentare la sua beatitudine ne per acquistare perfezione, ma per manifestarla attraverso i beni che concede alle sue creature,

Libertà nel creare liberrimo consilio, «simul ab initio temporis utramque

questo solo vero Dio ha, con la più libera delle decisioni, «insieme all’inizio dei tempi,

Elenco delle creature

de nihilo condidit creaturam. spiritualem et cor-poralem. angelicam videlicet et mundanam, ac deinde humanam quasi com-munem ex spiritu et corpore constitutam» [Concilium Lateranense IV: *800

creato dal nulla l’una e l’altra creatura, la spirituale e la corporale, e cioè gli angeli e il mondo, e poi la creatura umana, come partecipe di entrambe, costituita di anima e di corpo» [Concilio Lateranense IV: *8OO]

[3003] La Provvidenza DivinaLa

ProvvidenzaUniversa vero. quae condidit. Deus

providentia sua tuetur atque gubernat, «attingens a fine usque ad finem fortiter et disponens omnia suaviter» [Sap 8,1].

Dio. con la sua provvidenza, protegge e governa tutto ciò che ha creato, poiché «essa si estende da un confine all’altro con forza, governa con bontà ogni cosa» [Sap 8,1].

Conoscenza dei futuri liberi

«Omnia enim nuda et aperta sunt oculis eius» [Hb 4,13], ea etiam, quae libera creaturarum actione futura sunt.

«Tutto è nudo e scoperto davanti agli occhi suoi» [Eb 4,13], anche quello che sarà fatto dalla libera azione delle creature.

Le osservazioni a margine del testo, come ho detto, sono tratte dalla presentazione di mons. Gasser.329 Riferendoci al testo prima riportato, così ne riassumiamo l’insegnamento, sempre seguendo la relazione di Gasser: dopo la solenne iniziale professione di fede in Dio, usando i nomi biblici: uno, vero, vivo, creatore e Signore del cielo e della terra, onnipotente, si definisce chi sia Dio in sé, elencando gli attributi che dai teologi vengono indicati come costitutivi dell’essenza divina, secondo il nostro modo umano di pensare; — la distinzione di Dio dall’universalità delle creature, dicendo che è essenziale, in quanto Dio è: “una sostanza spirituale unica e singolare, rigorosamente semplice ed inalterabile”— e lo è in modo infinito, in quanto “sovranamente beato in se stesso e per se stesso, indicibilmente più alto di tutto ciò che, fuori di Lui, esiste o si può concepire”.

Si definisce inoltre: — la dottrina cattolica circa l’atto di creare proprio di Dio, che avvenga con “la massima libertà” (una novità rispetto al testo riportata dal Lateranense IV, DH 800) e “dal nulla all’inizio del tempo” è affermato per opporsi agli errori del tempo, l’idealismo panteista.

Circa l’atto creatore si insegna: in primo luogo il motivo della creazione, cioè la “sua bontà” poi la causa efficiente della creazione: la “sua onnipotenza”, quindi il fine del Creatore: “non per aumentare la propria beatitudine ne per acquistare una

perfezione, ma per manifestare quella che egli possiede, accordando i suoi beni alle creature”II fine così indicato del Creatore si intende meglio considerando anche la causa esemplare

della creazione, che viene insinuata dal testo definito: tale causa esemplare è l’essenza di Dio in quanto imitabile ad extra, per cui la creazione è una certa imitazione di Dio, certa manifestazione della sua sempiterna virtù e bontà.

Questa manifestazione avviene nello stesso atto creatore di Dio.In quanto le creature sono considerate unicamente nella causa esemplare, sono solamente

creabili e possibili. Affinché tali realtà solo possibili vengano di fatto create, si deve inoltre 328 La somiglianza della sua perfezione che Dio ha così impresso nella creatura, segue un piano da Lui

liberamente scelto, cioè secondo una causa esemplare; già Gasser faceva notare che l’espressione “per manifestare le sue perfezioni” doveva restare, in quanto si voleva fare menzione della causalità esemplare. ( Collectio Lacensis vol VII, Herder, Friburgi Brisgoviae 1890, col. 110-111)

329 Collectio Lacensis, vol. VII, Herder, Friburgi Brisgoviae 1890, col. 102. 109-111.

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considerare la causa movente, cioè la bontà stessa di Dio, in quanto Dio non è solo imitabile, manifestabile, ma è sommamente comunicativo, diffusivo di se.

Quindi il fine del Creatore, insegnato dal Concilio, dipende: dalla causa esemplare: la sua perfezione in quanto manifestabile, comunicabile dalla causa movente: la sua bontà, sommamente comunicativa, diffusiva di sé, la causa efficiente che, in una decisione del tutto libera, senza alcun condizionamento, “dal

nulla”, è la sua onnipotente volontà e virtù.Dopo l’insegnamento circa l’atto del Creatore, si elencano infine le creature cosi prodotte:

spirituale e corporale, citando il Lateranense IV.

Il terzo paragrafo del Capitolo tratta della Provvidenza divina, che tutto abbraccia, dispone e guida, anche le libere azioni future delle creature. Notiamo che tali azioni restano libere, anche se per noi è impossibile penetrare del tutto il mistero della conciliabilità tra la Libertà e Provvidenza divina, e la nostra vera libertà.

Questo insegnamento viene offerto contro i Deisti, e per ribadire la fede della Chiesa in Dio che tutto conosce e dispone 330.

Qualche parola infine riguardo i Cinque Canoni, che riprendono e specificano la dottrina del Capitolo. Ricordiamo che la forza di “anathema sit”, deve essere qui intesa in senso stretto, in quanto si tratta di Verità di Fede definita.

Canoni3021 1. Si quis unum verum Deum visibilium et

invisibiliùm creatorem et Dominum negaverit: anathema sit

1. Se qualcuno nega un solo, vero Dio, creatore e signore delle cose visibili e invisibili: sia anatema

3022 2. Si quis praeter materiam nihil esse affirmare non erubuerit: anathema sit

2. Se qualcuno non si vergogna di affermare che non esiste niente al di fuori della materia, sia anatema

3023 Si quis dixerit, unam eandemque esse Dei et, rerum omnium substantiam vel essentiam: anathema sit

Se qualcuno dice che la sostanza e l’essenza di Dio e di tutte le cose è unica e identica: sia anatema

3024 4. Si quis dixerit, res finitas tum corporeas tum spirituales aut saltem spirituales e divina substantia emanasse,

aut divinam essentiam sui manifestatione vel evolutione fieri omnia,

aut denique Deum esse ens universale seu indefinitum, quod sese determinando constituat rerum universitatem in genera, species et individua distinctam: anathema sit.

4. Se qualcuno afferma che le cose finite, sia corporali che spirituali, o almeno le spirituali, sono emanazione della sostanza divina;

o che l’essenza divina manifestandosi o evolvendo diventa ogni cosa;

o, infine, che Dio è l’essere universale o indefinito, che determinandosi produce la totalità delle cose, distinta secondo i generi, le specie e gli individui: sia anatema.

3025 5. Si quis non confiteatur, mundum resque omnes, quae in eo continentur, et spirituales et materiale secundum totam suam substantiam a Deo ex nihilo esse productas,

aut Deum dixerit non voluntate ab omni necessitate libera, sed tam necessario creasse, quam necessario amat se ipsum,

aut mundum ad Dei gloriam conditum esse negaverit: anathema sit

5. Se qualcuno non confessa che Dio ha prodotto dal nulla il mondo e tutte le cose che esso contiene, spirituali e materiali, nella totalità della loro sostanza;

o se dice che Dio le ha create non con una volontà libera da ogni necessità, ma tanto necessariamente, quanto necessariamente ama se stesso;

o se nega che il mondo sia stato creato per la gloria di Dio: sia anatema.

Il 1° can. si oppone a tutti gli errori circa Dio creatore.Il 2° can. contro il materialismo.Il 3° can. contro i panteisti in generale, anche ontologisti.

330 Collectio Lacensis, vol. VII, Herder, Friburgi Brisgoviae 1890,col. 105. 98. sul terzo paragrafo del capitolo I

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Il 4° can. contro i panteisti in particolare: infatti l’Assemblea conciliare decise di specificare varie forme di panteismo, usando le tre espressioni: sostanza, essenza, ente universale.

Il 5° can.; nel 1° par. contro panteisti e materialisti: tutto è creato da Dio “dal nulla, nella totalità della loro sostanza”;

nel 2° par. contro i Güntheriani; nel 3° par. contro Güntheriani ed Hermesiani si afferma che “il mondo è stato creato per la

Gloria di Dio”; anche la felicità della creatura è subordinata a questo fine ultimo, poiché si può acquistare felicità solo tendendo a Dio, e quindi riconoscendo come fine ultimo la Gloria di Dio331.

Come già sappiamo, l’approfondimento della categoria biblica “Gloria” aiuta molto per una comprensione più unitaria del fine di Dio creatore (manifestare, comunicare la sua bontà, perfezione, alle creature) e del fine della creatura (definito dal Vaticano I essere la Gloria di Dio).

Ci ricordiamo infatti che la categoria biblica “Gloria” categoria di rivelazione, indica Dio in quanto si manifesta, si comunica all’uomo. Ora l’uomo che da gloria a Dio, riconosce questa verità-bontà comunicata per il Figlio, nello Spirito Santo, il suo vertice, donato in totale gratuità nell’Incarnazione del Verbo sino al suo Mistero pasquale con l’effusione dello Spirito Santo; l’uomo riconoscendo, gustando, lodando la Gloria di Dio, partecipa della stessa Vita trinitaria, la reciproca conoscenza ed amore della Persone divine. Questo sarà, pienamente, nella Visione beatifica, in terra nuova e cieli nuovi.

La dimensione Trinitaria della Creazione, il suo essere per Cristo nello Spirito Santo, sta nell’implicito evidente della Dei Filius, ne sorregge l’ordine dei Capitoli : Creazione, Rivelazione, Fede, Relazioni fede-ragione. Con il Vaticano II diverrà esplicita..

17 Creazione in Cristo, antropologia teologica nel Vaticano II

Un Concilio celebrato a fini pastorali, senza avere all’orizzonte questioni di grosse deviazioni dottrinali, che desidera, alla sua conclusione, presentare, specialmente nella Gaudium et Spes, la visione rivelata dell’uomo, per la sua promozione, difesa in un dialogo chiarificatore e arricchente nei contesti vitali e culturali del mondo contemporaneo.

È bene anzitutto situare questo ricco insegnamento nel contesto dell’insegnamento dell’intero concilio, appunto perché la visione rivelata dell’uomo, presentata con le finalità della sua promozione e difesa nel dialogo con il mondo d’oggi, rappresenta un frutto maturo di una lunga riflessione, contenuta nelle quattro costituzioni maggiori, sulla Liturgia, sulla Chiesa, sulla Parola di Dio e infine sui rapporti Chiesa mondo. E’ bene non dimenticare i documenti potremo dire complementari, come Ad Gentes, sulle Missioni, Dignitatis humanae, sulla Libertà religiosa, e anche Nostra Aetate, sulle religioni non cristiane.

Cerchiamo in primo luogo di individuare l’insegnamento sulla creazione, creazione trinitaria, in Cristo, nello Spirito Santo, che rappresenta il fondamento della visione rivelata dell’uomo, creato secondo l’Immagine di Dio.

Non dobbiamo cercarvi una riflessione esplicita, che non è stata realizzata, in modo separato. Si tratta invece di porla in risalto, come dimensione rivelata (e con aspetti razionali) fondamentale, che sottostà e regge necessariamente ogni presentazione del Mistero, nella storia salvifica.

331 Collectio Lacensis, vol. VII, Herder, Friburgi Brisgoviae 1890, col. 86. 115-116, riguarda i cinque canoni del capitolo I

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17.1 La Creazione nella Sacrosanctum concilium, La Liturgia.Si individua l’azione liturgica come il luogo privilegiato in cui la Chiesa vive e celebra la

propria consapevolezza, nella corale lode e adorazione, ringraziamento e intercessione del Dio Uno e Trino.

“In questa opera così grande con la quale viene resa a Dio la gloria perfetta e gli uomini vengono santificati Cristo associa a sé la Chiesa sua sposa amatissima, la quale prega il suo Signore e per mezzo di Lui rende culto all’eterno Padre [....] per ciò ogni celebrazione liturgica in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessuna altra azione della Chiesa allo stesso titolo e alla stesso grado ne uguaglia l’efficacia.”(SC 7)

Ci rivolgiamo quindi alla riforma liturgica promossa dal Vaticano II, e notiamo subito il rilievo che viene dato non solo alla Creazione, ma specificamente alla creazione Trinitaria, in Cristo, per situare il contesto proprio della Storia e dialogo della salvezza, storia e salvezza dell’uomo, secondo l’Immagine di Dio, Cristo Crocifisso glorioso, che il Memoriale eucaristico celebra e rende presente.

Neppure ci stupiamo di questo recupero, avendo già notato come la liturgia occidentale ha dato nei suoi simboli, preghiere liturgiche, uno spazio grande all’opera della redenzione, il secondo articolo del Credo apostolico romano. Si trattava quindi di porsi in maggiore sintonia con i Testi liturgici della Chiesa dei Padri, della Chiesa orientale 332. Anche in sintonia con la grande teologia latina del sec. XIII.

Notiamo nella riforma delle preghiere eucaristiche il grande spazio che viene riservato, specie nei prefazi, alla Creazione per Cristo: pensiamo al Prefazio della II preghiera eucaristica, che presenta i contenuti della Tradizione apostolica di Ippolito romano, del III sec.; inoltre al prefazio che fa un tutt’uno con la quarta preghiera eucaristica, così pure ai nuovi prefazi come il V delle Domeniche ordinarie, i Prefazi ordinari II, III, VI. Troviamo così ben esplicitato quel chiaro riferimento alla creazione, e creazione per Cristo, che conclude il Canone romano prima della Dossologia finale:

“Per Cristo nostro Signore tu, o Dio, crei e santifichi sempre, fai vivere, benedici e doni al mondo ogni bene”

Le preghiere eucaristiche esprimono la tensione orante della Chiesa, che unita Cristo, si rivolge al Padre, mentre si rende presente l’opera della nostra redenzione, il sacrificio di Cristo, fonte di Spirito Santo, di vita nuova. La preghiera-sacrificio ripresenta la Pasqua, in cui il vero Dio realizza il vero uomo, rendendo partecipi i fedeli, la comunità, della sua autenticità divino umana.

La preghiera eucaristica suscita nell’uomo, per il Cristo crocifisso-glorioso, l’atteggiamento corretto, filiale e fraterno, adorante il Padre; rende l’uomo in Cristo collaboratore di Dio nel suo piano storico di salvezza. Il linguaggio liturgico, che possiamo definire “creativo”, in quanto anzitutto mira a suscitare l’atteggiamento corretto di lode, adorazione, ringraziamento, offerta, impegno, comporta sempre una componente “constatativa”, l’affermazione e professione delle realtà di fede corrispondenti.333

332 Cfr. HÄNGGI A. & PAHL I., ed., Prex eucharisitca. Textus e varriis liturgiis antiquioribus selecti, Edit. Universitaires, Friburg-Suisse 1998; Cfr. MC PARTLAN, P. , The Eucharist makes the Church, H. de Lubac and J. Ziziulas in dialogue, T*T Clark, Edimburg 1993: in questo confronto si indicano le tendenze fondamentali delle liturgie eucaristiche di oriente ed occidente; Ziziulas vede l’Eucaristia della Chiesa quasi a partire dalla sua dimensione escatologica, rinnovamento universale, cosmico; de Lubac sottolinea la dimensione storica dell’Eucaristia, che costituisce e fa crescere la Chiesa nel tempo; dà più risalto al Celebrante che agisce non solo nella Chiesa, con la Chiesa, ma anche in Persona Christi, capo della Chiesa.

333 Cfr. ALSZEGHY Z. FLICK M., Come si fa teologia, ed Paoline, Alba 1974, 46-51, riferendosi all’analisi linguistica di LADRIERE J, L’articolation du sens, (= Cogitatio Fidei 124-125) Cerf, Paris 1970

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Riassumiamo brevemente queste verità rivelate, nelle quali l’uomo ritrova se stesso, la sua vera dimensione:

– Dio creatore, per Cristo nello Spirito Santo, degno di gioiosa lode e glorificazione; l’uomo deve anzitutto professare che la sua vita sgorga liberamente dalla pienezza della vita Trinitaria:

“Per mezzo di Lui, tua Parola vivente, hai creato tutte le cose, e Lo hai mandato a noi, salvatore e redentore”(Prefazio della II Preghiera eucaristica, come anche l’anamnesi pre-consacratoria del III Canone).

La creazione Trinitaria, libera espansione di vita filiale, di carità, risulta lo stabile fondamento della storia salvifica, affinchè in una vita rinnovata per la partecipazione al Corpo dato e al Sangue versato, fonte di Spirito Santo, si possa dare al Padre la perfetta glorificazione, come espressa nella dossologia, luogo vertice del Canone.

l’uomo immagine di Dio: l’uomo viene creato, vive la sua storia come immagine di Dio, capace di dialogo, di obbedienza al Padre, quel dialogo-comunione posto in crisi dal peccato, ma che in Cristo, la vera Immagine di Dio, nella sua Croce, viene pienamente vissuto e partecipato ai suoi discepoli. Questa realtà misterica di conformazione di preghiera e di vita filiale e fraterna viene resa presente ed operante nell’Eucaristia.

La IV Preghiera eucaristica usa esplicitamente la categoria dell’Immagine di Dio:

“Noi Ti lodiamo. Padre Santo, per la tua grandezza. Tu hai fatto ogni cosa con sapienza ed amore, a tua immagine hai formato l’uomo, alle sue mani operose hai affidato l’universo, perché nell’obbedienza a Te, suo creatore, esercitasse il dominio su tutto il creato”.

Gli stessi temi sono annunciati nei nuovi prefazi, come nel Prefazio comune III.Viene poi narrata la storia dell’Immagine di Dio, storia di peccato e di continua offerta di

salvezza, portata a compimento nella Croce gloriosa di Cristo, con il dono dello Spirito Santo. L’uomo ricupera nella partecipazione alla preghiera-sacrificio di Cristo, tutte le dimensioni dell’immagine di Dio ;

dimensione personale: “Rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza, a compiere il servizio sacerdotale” (Preg.Euc.II): “Egli faccia di noi un sacrificio perenne a Te gradito” (Preg.Euc.III)

dimensione sociale: ovunque si chiede di: “essere riuniti in un solo corpo”, divenire un solo corpo ed un solo spirito.

dimensione cosmica: “Per Cristo nostro Signore, Tu, o Dio crei, santifichi sempre, fai vivere, benedici e doni al mondo ogni bene” (Preg.Euc.I). “Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo, fai vivere e santifichi l’universo” (Preg.Euc.III). “Padre misericordioso, concedi a noi tuoi figli di ottenere l’eredità eterna del tuo regno, ove con tutte le creature, liberate dalla corruzione del peccato e della morte, canteremo la tua gloria” (Preg.Euc.IV).

Concludiamo rilevando come la finalità della creazione-redenzione, della restaurazione e adempimento delle varie dimensioni dell’Immagine di Dio, viene espressa nella categoria della Gloria: tutte le preghiere eucaristiche convergono nella Dossologia finale.334

Ci siamo dilungati alquanto in queste considerazioni sui contenuti di Antropologia teologica fondamentale messi in grande risalto dalla Riforma liturgica del Vaticano II, perché rappresenta un luogo teologico necessario per l’interpretazione di un Concilio, che ha posto come suo fondamento una costituzione sulla Sacra Liturgia. Esaminiamo ora il contesto di Storia salvifica vissuto nella Chiesa, proprio della Lumen gentium, e della Rivelazione, proprio della Dei Verbum.

334 Molto significativo che due maestri del rinnovamento dell'Antropologia teologica, FLICK M. e ALZSEGHY Z., abbiano composto un trattato su questo tema, commentando la IV Preghiera eucaristica: I primordi della salvezza, (=Teologia attualizzata 4), Marietti, Casale Mon., 1978.

149

17.2 La Lumen Gentium, Costituzione dogmatica sulla Chiesa.È la prima volta nella sua storia che la Chiesa offre una trattazione così ampia e articolata su

se stressa 335; risulta così ancora più significativo che la Chiesa non può acquistare piena consapevolezza della sua identità, senza fondarsi nella Creazione e la Creazione trinitaria, per Cristo, nello Spirito Santo. Riportiamo alcuni testi:

“L’eterno Padre, con liberissimo e arcano disegno di sapienza e di bontà, creò l’universo, decise di elevare gli uomini alla partecipazione della sua vita divina, e caduti in Adamo non li abbandonò, ma sempre prestò loro gli aiuti per salvarsi, in considerazione di Cristo, Redentore, “il quale è l’immagine dell’invisibile Dio, generato prima di ogni creatura”(Col 1,15).Tutti infatti gli eletti il Padre fino dall’eternità “li ha distinti nella sua prescienza e li ha predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinchè sia il primogenito tra molti fratelli”(Rm 8,29). I credenti in Cristo li ha voluti chiamare nella S. Chiesa, la quale già prefigurata sin dal principio del mondo, mirabilmente preparata nella storia del popolo di Israele, e nell’antica Alleanza, e stabilita “negli ultimi tempi”, è stata manifestata dall’effusione dello Spirito, e avrà glorioso compimento alla fine dei secoli. Allora infatti, come si legge nei S. Padri, tutti i giusti a partire da Adamo, «dal giusto Abele fino all’ultimo eletto» saranno riuniti: presso il Padre nella Chiesa universale” (LG 2)

“È venuto quindi il Figlio, mandato dal Padre, il quale in Lui prima della fondazione del mondo ci ha eletti e ci ha predestinati ad essere adottati in figli, perché in Lui volle accentrare tutte le cose (Cfr Ef 1,4-5.10)[…]Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo, che è la luce del mondo; da lui veniamo, per Lui viviamo, a lui siamo diretti”( LG 3)

“Capo di questo corpo è Cristo. Egli è l’immagine dell’invisibile Dio, e in Lui tutto è stato creato. Egli va innanzi a tutti, e tutte le cose sussistono in Lui: Egli è il capo del corpo, che è la Chiesa. Egli è il primogenito dei redivivi, affinchè in tutto abbia Lui il primato (Cfr Col 1,15-18). Con la grandezza della sua potenza domina tutte le cose celesti e terrestri, e con la sovreminente perfezione operazione sua, riempie di ricchezza tutto il suo corpo glorioso. (Cfr Ef 1,18-23)”(LG 7).

“Così la Chiesa prega insieme e lavora, affinchè l’intera pienezza del cosmo si trasformi in popolo di Dio, Corpo del Signore e tempio dello Spirito Santo, e in Cristo, Capo di tutte le cose, sia reso ogni onore e gloria al Creatore e Padre dell’universo”(LG 17).

Rileggendo questi testi, vi ritroviamo la ricchezza dell’insegnamento biblico e patristico; per assimilarlo, è bene rileggere quanto è stato detto in Teologia biblica, specialmente circa l’inno cristologico di Col 1,15-20, e il Pleroma paolino e giovanneo.

All’inizio del decreto Ad Gentes, sull’attività missionaria, troviamo articolati la Trinità immanente e la Trinità economica, la creazione per Cristo, la Missione del Figlio e dello Spirito Santo, da cui la Chiesa deriva la propria origine e missione.

“La Chiesa che vive nel tempo per sua natura è missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la propria origine.( Cfr LG 2)

Questo piano scaturisce dalla «fonte dell’amore» cioè dalla carità di Dio Padre, che essendo il Principio senza principio, da cui il Figlio è generato e lo Spirito Santo attraverso il Figlio procede, per la sua immensa e misericordiosa benevolenza liberamente creandoci ed inoltre gratuitamente chiamandoci a partecipare alla sua vita e alla sua gloria, per pura generosità ha effuso continua ad effondere la sua divina bontà, sicché come di tutto e creatore, possa anche essere «tutto in tutti» (1Cor 15,28), promuovendo insieme la sua gloria e la nostra felicità. Sennonché piacque a Dio di chiamare gli uomini a questa partecipazione della sua stessa vita, non

335 Cfr BARAUNA G. ed., La Chiesa del Vaticano II, Vallecchi, Firenze 1965; Id. ed., La Chiesa nel mondo d’oggi, ivi, 1966

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tanto ad uno ad uno, ma di riunirli in un popolo, nel quale i suoi figli dispersi si raccogliessero in unità ( Cfr Gv 11,52)”.(AG 2)

Nella conclusione del n. 3 si fondano la missione del Figlio, la sua incarnazione redentrice, l’unione fraterna ecclesiale, nella stessa originaria creazione per Cristo: “Colui dunque, per opera del quale aveva creato anche l’universo, Dio costituì erede di tutte quante le cose, per tutto in Lui riunire”.

Nella dichiarazione sulle religioni non cristiane Nostra Aetate, viene anche introdotta la categoria dell’Immagine di Dio: “Non possiamo invocare Dio Padre di tutti se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio” (NA 5).

L’insegnamento della migliore tradizione viva della Chiesa, quella più sensibile al dato rivelato, è raccolta e operante. Questo non significa che potrebbe anche essere più valorizzata; ma tenendo conto di quel certo distacco tra la creazione ed il mistero di Cristo, il soprannaturale, di cui risulta indiziata la Teologia scolastica, la teologia più diffusa alla vigilia del Vaticano II, il risultato che abbiamo registrato appare sorprendente.

Esaminiamo ora il contesto della rivelazione.

17.3 Creazione per Cristo, e Rivelazione-fede: la Dei Verbun“Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (Cf.Gv 1,3), offre agli

uomini nelle cose create una perenne testimonianza di Sé (Cf. Rm 1,19-20), e inoltre volendo aprire la via della soprannaturale salvezza, fin dal principio manifestò se stesso ai progenitori. Dopo la caduta, con la promessa della redenzione, li risollevò nella speranza della salvezza..( cfr Gn 3,15)”.(DV 3)

La relazione tra conoscenza naturale di Dio, attraverso le opere create per mezzo del Verbo, e la Rivelazione soprannaturale, nel suo vertice Cristo, Verbo fatto carne, vengono ripresi nel n. 6. Viene ribadita la capacità dell’umana ragione di conoscere Dio dalle sue opere create, per poi riportare l’insegnamento del Vaticano I, doversi attribuire alla divina Rivelazione il fatto che <tutto ciò che nelle cose divine non è di per sé impervio alla umana ragione, possa, anche nel presente stato del genere umano, essere conosciuto da tutti speditamente, con ferma certezza e senza mescolanza di errore (DH 3004 e 3005)>

Anche questo insegnamento sulla capacità di verità, potremo dire metafisica, della ragione umana, sull’iniziale svelamento del Mistero stesso di Dio, già in prospettiva soprannaturale, offerto ai progenitori, e sulla pienezza di rivelazione in Cristo, così come appare relazionato nei nn. 2-6, è ricco di implicanze antropologiche ed ermeneutiche :

Antropologiche, perché si parla di capacità conoscitive dell’uomo, naturali, ma sin dall’inizio in contesto soprannaturale; di come la rivelazione per Cristo assicura il recupero di quelle capacità naturali di conoscenza di Dio messe in crisi, nel loro esercizio, dal peccato delle origini.

Ermeneutiche: si indicano appunto le capacità umane di ragione, che vengono attivate nello studio dei Testi sacri nella viva tradizione della Chiesa.

Il cristocentrismo del Vaticano II appare, secondo alcuni, ancora timido; come abbiamo accennato, è una eredità della neoscolastica. Si manifesta più evidente il Cristo omega, ricapitolatore, come in Lumen Gentium n 13.17, Apostolicam Actuositatem 5 336, Gaudium et spes

336 AA 5: “L'opera della redenzione di Cristo, mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure la instaurazione di tutto l'ordine temporale. Perciò la missione della chiesa non è soltanto di portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche di permeare e perfezionare l'ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico. I laici dunque, svolgendo questa missione della chiesa, esercitano il loro apostolato nella chiesa e nel mondo, nell'ordine spirituale e in quello temporale: questi ordini, sebbene siano distinti, nell'unico disegno di Dio sono così legati, che Dio stesso intende ricapitolare in Cristo tutto il mondo per formare una nuova creatura, in modo

151

57. Questi passi sulla ricapitolazione in Cristo dell’intera creazione-storia umana si appoggiano volentieri sull’autorità di Ireneo di Lione, il padre della Chiesa più citato dopo Agostino.337

La dimensione di Cristo alfa, attivo nella stessa creazione del Padre, realizzata in Lui, per Lui e verso Lui, di cui è la misura, la Pienezza, è presente; ma, come abbiamo visto, si vorrebbe anche più marcata. Sono questioni che sono state messe in risalto specialmente nella stesura e poi nei commenti della Gaudium et Spes.

17.4 Creazione in Cristo e l’Immagine di Dio nella Gaudium et SpesLa costituzione pastorale rappresenta il frutto maturo del Concilio, in modo particolare delle

sue tre Costituzioni dogmatiche. Una Chiesa che acquista una maggiore consapevolezza di sé, nella sua Liturgia, nella comprensione della Parola, ha sentito l’esigenza di precisare i suoi rapporti col mondo dei problemi umani, di interesse comune con tutti gli uomini, il suo contributo specifico per la loro corretta gestione.

I Padri del Concilio, richiamando e completando l’ampio insegnamento già realizzato da Pio XII e Giovanni XXIII, si resero conto dell’urgenza e della possibilità dell’operazione. Dopo l’individuazione delle questioni più urgenti, le cinque dei corrispondenti capitoli della attuale II Parte della Costituzione, si percepì la necessita di esplicitare i fondamenti di una antropologia teologica, che di quel dialogo col mondo dei problemi umani, costituisse come l’orizzonte, la norma e la guida.

I Padri sentirono questo compito come urgente, ma anche difficile a realizzare, perché mai nella storia della Chiesa un Concilio aveva formulato tale sintesi teologica: indicare le linee essenziali della visione cristiana dell’uomo, in modo da essere intesi anche dai non cristiani. Ma se una riflessione così spinta e con interlocutori così allargati rappresentava una assoluta novità, risulta semplicemente normale che la Comunità dell’Alleanza, ben stabilita nella sua situazione, consapevole della sua intensa e vissuta comunione di vita col Dio della creazione e della salvezza, e godendo dei segni efficaci della sua attiva presenza, allarghi il suo sguardo alla situazione universale dell’uomo, stabilisca un dialogo, nella luce di ben individuate realtà di fede.

Nell’ambito della rivelazione biblica, possiamo indicare tre precedenti: la preistoria biblica (Gn 1-11), i più recenti libri sapienziali (Siracide e Sapienza),

l’epistolario paolino.Gli antecedenti nella Genesi: ai tempi dell’Esilio e del primo post-esilio, il popolo

dell’Alleanza sentì l’urgenza di assicurare, in situazione di tanta precarietà, la propria identità religiosa e culturale: il Pentateuco ne rappresenta il frutto ispirato. Si può intravedere qualche analogia con il lavoro del Vaticano II, al volgere del secondo millennio.

Alla storia dell’esodo di Abramo e di Mosè, la costituzione del Popolo dell’Alleanza e della promessa, il Popolo sacerdotale, si senti l’esigenza di premettere la così detta preistoria biblica, Gn 1-11. Essa non intende solo descrivere le grandi linee della storia teologica, degli eventi etico-religiosi determinanti la vita dell’umanità prima della vocazione di Abramo, ma intende anche precisare la relazione del popolo dell’Alleanza con tutti gli altri popoli, ben situare la loro esistenza

iniziale su questa terra, in modo perfetto nell'ultimo giorno. In ambedue gli ordini il laico, che è ad un tempo fedele e cittadino, deve continuamente farsi guidare dalla sola coscienza cristiana.”

337 LG n 4, nota 3: Adv. Haer. III, 24, 1: lo Spirito Santo ringiovanisce la Chiesa. Lg n 13, nota 10: Adv. Haer. III, 16, 6; III, 22, 1-3: Cristo ricapitola, nell’unità dello Spirito Santo, tutta l’umanità, nella sua Chiesa. LG n 17, nta 22: Adv. Haer. IV, 17, 5. LG 20, nota 9-10, Adv. Haer III, 3, 1; III, 2, 2: per la Successione apostolica la tradizione apostolica è manifestata e custodita. DV 7, nota 3: Adv. Her. III, 3, 1: per l’insegnamento dei successori degli Apostoli, il Vangelo rimane integro nella Chiesa. DV n 16, nota 3, Adv. Haer. III, 21, 3: relazioni tra i due Testamenti. AG n 3, nota 8: Adv Haer III, 18 1; IV,20, 6-7; Demonstratio n 34: la preparazione evangelica. AG n 7, nota 45, la dottrina di Ireneo circa la ricapitolazione in Cristo. AG n 8, nota 48: Adv. Haer. III, 15, 3: nessuno si libera da se stesso dal peccato. GS n 39, nota 16: adv Hser V, 36, 1: passa la figura di questo mondo deformata dal peccato. GS 57, nota 5: Adv Haer III, 11, 8: presenza del Verbo di Dio nel mondo prima dell’Incarnazione.

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davanti all’unico Dio salvatore e creatore, delineare la comune situazione umana, Famiglia, cultura, socialità.

Il primo risultato di questa grandiosa operazione di fede e di sensibilità umana è una più esplicita e universale affermazione che tutto è creato da Dio: Dio personale, trascendente, spirituale è anche l’unico Dio di tutto creatore; l’uomo e la donna sono creati secondo questa immagine, portano i segni della diffidenza verso Dio, il peccato delle origini, ma a tutti è promessa la redenzione. Già sappiamo dalla teologia biblica come questa riflessione, nella luce propria del Dio dell’Alleanza e creazione, viene sviluppata in dialogo con le culture dell’oriente antico, ma purificando tutto ciò che è frutto del peccato, non concorda con l’unico Dio della creazione salvezza.

Un secondo modello lo ritroviamo quando il popolo di Dio viene a convivere con la cultura ellenistica e con la sua visione razionalista e fondamentalmente monista del cosmo; un cosmo divinizzato, che rischia di prendere il posto di JHWH. I Libri sapienziali riflettono la nuova situazione culturale, con le sue prospettive più oggettive; ma tutta l’opera di discernimento si svolge sempre in dialogo con il Salvatore e creatore, nell’atmosfera propria dell’Alleanza: l’inizio della Sapienza è infatti il timore di Dio.

Un terzo modello di riflessione sulle relazioni Chiesa mondo, il modello su cui si ispira la Chiesa di oggi, lo ritroviamo nel Nuovo testamento, specialmente in Paolo. Con Lui il Vangelo viene annunciato, la Chiesa edificata nel mondo greco-romano.

Il progetto sapiente di Dio creatore e redentore si realizza in Cristo, mistero inteso sin dalla fondazione del mondo, “affinchè siamo in Lui figli santi e immacolati nella carità, a lode della sua gloria”( cfr Ef 1,3-12.)

Mentre Cristo .introducendo l’uomo all’amore del Padre e dei suoi figli, libera dal peccato e dall’ egoismo, mentre lo riconferma nella via dei comandamenti e manifesta con autorità la volontà divina sulle dimensioni decisive etiche-religiose della vita dell’uomo, lascerà piuttosto all’uomo di penetrare le leggi particolari della creazione.

La libertà del cuore, la legge della carità, rende atti a penetrare una natura umana creata buona, anche se l’uomo deve restare vigilante, attento a Cristo, perché è fragile e peccatore, perché passa la figura di questo mondo.

Notiamo come in questa situazione sapienziale e neotestamentaria di serrato dialogo col mondo, riappare la categoria dell’immagine di Dio: essa è il Cristo, immagine del Padre invisibile, in cui, per cui e verso il quale tutto e stato creato e redento; insieme è il vero definitivo Adamo, secondo Lui è stato creato il primo, suo abbozzo, e per di più deformato dal peccato. L’uomo, già creato secondo questa immagine perfetta di Dio che è Cristo, deve lasciarsi conformare a Lui.

Tutti aspetti che abbiamo posto in risalto nella parte biblica. Dopo queste considerazioni sui fondamenti e antecedenti biblici della Gaudium et Spes, possiamo ritornare più espressamente ai suoi contenuti di antropologia fondamentale.

Di quale uomo tratta la Gaudium et Spes ?. Lo dice bene il n 3 § 1: “É dunque l’uomo integrale, nell’unità di corpo e di anima, di cuore

e coscienza, di intelletto e di volontà, che sarà il cardine di tutta la nostra esposizione”.

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In particolare notiamo l’insistenza sul “cuore” dell’uomo, ( 1 338, 3§1, 10§1, 13§1, 16§1, 18§1 339, 21§7 340, 22§5 341), cioè “sul fondo spirituale dell’uomo, il luogo ove viene interpellato, avvisato, perdonato, trasformato dal Tu assoluto, in breve costituito persona, nella corrispondenza di un appello di grazia e di una risposta di fede” 342.

Quindi l’uomo concreto, colto nel vivo della sua esistenza quotidiana, il vissuto che interessa tutti gli uomini. Si cercano i dati e i valori umani, già riconoscibili nel retto esercizio della ragione, che costituiscono come una infrastruttura razionale, costitutiva la realtà creata umana, che il Concilio rispetta, inserendola nella visione propria, secondo Cristo, vero Dio e vero uomo.

Se questi sono i contenuti antropologici che si cercano e si pongono in risalto, il livello dell’analisi, il contesto è quello di una antropologia cristiana, con i suoi fondamenti teologici-trinitari e cristologici. Si appoggia sulla Rivelazione, il suo vertice in Gesù Cristo, Parola di Dio. Una analisi della struttura permanente dell’uomo (anche se tante volte non colta e anche disattesa), che trova in Cristo la sua conferma e pienezza.

Il modo di procedere della Gaudium et spes pone in risalto il compimento in Cristo, perfezione che tutto assume e ricapitola in se: tutti i 4 capitoli della prima parte hanno una conclusione forte, cristologica: n 22, 32, 38-39, 45 343.

Ma ci lasceremo trarre in inganno se pensassimo che il Concilio si è soltanto lasciato attrarre e illuminare da Cristo in quanto OMEGA, pienezza ricapitolatrice. Tutto il discorso si muove

338 GS 1 “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini, i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre e hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò essa si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia”.

339 GS 18 “In faccia alla morte l'enigma della condizione umana diventa sommo. Non solo si affligge, l'uomo, al pensiero dell'avvicinarsi del dolore e della dissoluzione del corpo, ma anche, ed anzi più ancora, per il timore che tutto finisca per sempre. Ma l'istinto del cuore lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l'idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona. Il germe dell'eternità che porta in sè, irriducibile com'è alla sola materia, insorge contro la morte. Tutti i tentativi della tecnica, per quanto utilissimi, non riescono a calmare le ansietà dell'uomo: il prolungamento della longevità biologica non può soddisfare quel desiderio di vita ulteriore che sta dentro invincibile nel suo cuore.”

340 GS 21 “La chiesa sa perfettamente che il suo messaggio è in armonia con le aspirazioni più segrete del cuore umano, quando difende la causa della dignità della vocazione umana, e così ridona la speranza a quanti disperano ormai di un destino più alto. Il suo messaggio non toglie alcunché all'uomo, infonde invece luce, vita e libertà per il suo progresso, e all'infuori di esso, niente può soddisfare il cuore dell'uomo: « Ci hai fatto per te, o Signore, e il nostro cuore è senza pace finchè non riposa in te ( S. Agostino, Confess. I,1, PL 32,661)»".

341 GS 22 “E ciò non vale solamente per i cristiani ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale.”

342 MOUROUX J., Sur la dignité de la personne humaine, situation et signification du chapitre I, in CONGAR Y.M.- PEUCHMAURD M., L’Eglise dans le monde de ce temps, (=Unam sactam 65 b) Cerf, Paris 1967, T. II, 230. Tutto quanto ora esponiamo è molto ispirato a questo studio, completo e profondo.

343 GS 45 “La chiesa, nel dare aiuto al mondo come nel ricevere molto da esso, a questo soltanto mira: che venga il regno di Dio e si realizzi la salvezza dell'intera umanità. Tutto ciò che di bene il popolo di Dio può offrire all'umana famiglia, nel tempo del suo pellegrinaggio terreno, scaturisce dal fatto che la chiesa è « l'universale sacramento della salvezza», che svela e insieme realizza il mistero dell'amore di Dio verso l'uomo.

Infatti il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare, lui l'uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale. Il Signore è il fine della storia umana, «il punto focale dei desideri della storia e della civiltà», il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni. Egli è colui che il Padre ha risuscitato da morte, ha esaltato e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti. Nel suo Spirito vivificati e coadunati, noi andiamo pellegrini incontro alla finale perfezione della storia umana, che corrisponde in pieno col disegno del suo amore: «ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef. 1,10).

Dice il Signore stesso: «Ecco, io vengo presto, e porto con me il premio, per retribuire ciascuno secondo le opere sue. Io sono l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e la fine»” (Ap. 22,12-13).

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sempre nella luce e sul fondamento di Cristo, in quanto ALFA della creazione e salvezza; è da Lui che si deve partire.

Ci convinceremo di questo leggendo il n 1; 2§ 2 344; 3; 13§ 2 345; 18§ 2; 21§ 5 346.

Ma il Paragrafo più importante è soprattutto il §2 del n 10:“Ecco, la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all’uomo, mediante il

suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua suprema vocazione, ne è dato in terra un altro nome agli uomini in cui possano salvarsi. Crede ugualmente di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro ed il fine di tutta la storia umana. Inoltre la Chiesa afferma che al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso, ieri ed oggi, e nei secoli. Così nella luce di Cristo, Immagine del Dio invisibile, primogenito di tutte le creature, il Concilio intende rivolgersi a tutti, per illustrare il mistero dell’uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo”.

Così pure, concludendo il Primo Capitolo sulla Dignità della Persona umana, con un numero, il 22, Cristo, l’Uomo nuovo, dai contenuti esplicitamente rivelati, il Concilio potrà affermare:

“Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte [ l’immagine di Dio, la sua unità di corpo ed anima, le sue capacità di Verità-sapienza, sua coscienza e libertà ], in Lui (Cristo) trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice”.347

Il Concilio, nello stendere la Gaudium et spes, non ha voluto parlare direttamente dei due ordini, naturale e sovrannaturale; ha scelto invece, in modo del tutto coerente con quanto abbiamo già considerato nella parte biblica, di riflettere sull’unico ordine esistente, per tutti sovrannaturale, cristico, che include la legittima autonomia della creatura.

Ci muoviamo sempre nella prospettiva fondamentale che l’Unico Dio della Alleanza-salvezza e anche l’unico creatore; la consistenza creaturale, l’uomo creato capace di Dio, sua immagine, viene colto nell’unico ordine soprannaturale esistente.

Ma in questo ordine cristico, divinizzante l’uomo, la sua consistenza creaturale viene qualificata, trasfigurata nella vita filiale, nello Spirito Santo, non alienata ne disciolta. Sono queste strutture costitutive dell’uomo, permanenti, potremo dire essenziali, già accessibili alla stessa ragione, è quindi oggetto di dialogo con tutti, che il Concilio desidera soprattutto porre in risalto.

344 GS 2 “Esso ha presente perciò il mondo degli uomini, ossia l'intera famiglia umana, nel contesto di tutte quelle realtà entro le quali essa vive; il mondo, che è teatro della storia del genere umano e reca i segni degli sforzi suoi, delle sue sconfitte e delle sue vittorie, il mondo che i cristiani credono creato e conservato nell'esistenza dall'amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma dal Cristo crocifisso e risorto, con la sconfitta del maligno, liberato e destinato, secondo il proposito divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento. “

345 GS 13 “Così l'uomo si trova in se stesso diviso. Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. Anzi l'uomo si trova incapace di superare efficacemente da se medesimo gli assalti del male, così che ognuno si sente come incatenato. Ma il Signore stesso è venuto a liberare l'uomo e a dargli forza, rinnovandolo nell'intimo, e scacciando «il principe di questo mondo» (cf. Gv. 12,31), che lo teneva schiavo del peccato. Il peccato è, del resto, una diminuzione per l'uomo stesso, impedendogli di conseguire la propria pienezza. Nella luce di questa rivelazione trovano insieme la loro ragione ultima sia la sublime vocazione e sia la profonda miseria, che gli uomini sperimentano.”

346 GS 21 “La chiesa, poi, pur respingendo in maniera assoluta l'ateismo, tuttavia riconosce sinceramente che tutti gli uomini, credenti e non credenti, debbano contribuire alla retta edificazione di questo mondo, entro il quale si trovano a vivere insieme: il che non può avvenire certamente senza un sincero e prudente dialogo. Essa pertanto deplora la discriminazione tra credenti e non credenti che alcune autorità civili ingiustamente introducono, non volendo riconoscere i diritti fondamentali della persona umana. Rivendica, poi, in favore dei credenti una effettiva libertà, perché sia loro consentito di edificare in questo mondo anche il tempio di Dio. Gli atei, poi, essa li invita cortesemente a volere prendere in considerazione il vangelo di Cristo con animo aperto. “

347 Inoltre cfr.: GS 12, 24, 34, 62; RH. 10; FR 60; CCC 359 e 1701.

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Ma si procede sempre nella luce e sul fondamento di Cristo, non solo OMEGA, ma anche ALFA.

Così gli elementi costitutivi, essenziali, permanenti (essere secondo immagine di Dio, unità di anima e corpo, …), vengono colti non solo nella loro qualificazione soprannaturale, cristica, ma inoltre nella storia salvifica, di peccato e di redenzione. Tutto ciò che riguarda la struttura profonda, essenziale, permanente, è considerata nella condizione storica, concreta dell’uomo: peccato, morte, ateismo, la redenzione in Cristo. Così i numeri 12.14-17, trattano propriamente dell’essenza dell’uomo, mentre i nn 13.18-22, la sua situazione storica.

Si può parlare di essenza storica dell’uomo; il Concilio ha cura di affermare che:

“in questo stesso ordine divino la giusta autonomia della creatura, specialmente dell’uomo, nonché tolta, viene piuttosto restituita nella sua dignità ed in essa consolidata” (GS 41 § 2)

Ciò significa riconoscere l’esistenza, la consistenza e la permanenza delle strutture create all’interno dell’ordine soprannaturale cristico: è il contenuto dei numeri 12-18, le verità essenziali sulle quali si può largamente trovare un consenso tra tutti gli uomini.

“Cosi Cristo chiarisce l’uomo a se stesso, «lo manifesta pienamente a se stesso», affinchè appaiano più limpide e più solide le sue strutture naturali nella loro stessa trasfigurazione soprannaturale, e questo nell’unità dinamica di una sola e identica vocazione, «la sua vocazione divina»” 348

In questa prospettiva, in quanto Cristo ha assunto e redenta la consistenza creaturale propria dell’uomo, già chiamata all’esistenza in Lui, per Lui e verso Lui, Egli rappresenta la sorgente di tutte le verità sull’uomo, che il Concilio enuclea; se poi consideriamo l’uomo nel suo pieno sviluppo e realizzazione, è ancora in Cristo, norma e misura di ogni verità umana, che in esso raggiunge la sua perfezione.

Così Cristo, l’ALFA, è ancora l’OMEGA.349

348 MOUROUX J.,Sur la dignité de la personne humaine, cit., 233.349 Indico brevemente i contenuti dei 4 cap. della I° parte:1° cap. La dignità della persona umana: abbiamo già detto trattarsi delleA) strutture costitutive dell’uomo: l’essere ad immagine di Dio (12), costituito di anima e corpo (14), capace di

verità, anche metafisica, di sapienza, (15), dotato di coscienza morale (16), di libertà (17); B) strutture permanenti e costitutive, considerate nella concreta storia dell’uomo: il peccato fin dalle origini (13),

il mistero della morte (18), l’ateismo contemporaneo(19-21).Specialmente in questi numeri della concreta situazione storica compare la luce di Cristo, sempre operante; il n

22 ? è poi del tutto Cristico, il vertice della Costituzione.2° cap. tratta della Comunità degli Uomini. Già sappiamo che l’immagine di Dio ha una intrinseca dimensione

sociale, è persona nella Comunità, Cristo perfeziona e porta a compimento la solidarietà umana (32: Il verbo incarnato e la solidarietà umana). Ci interesseremo ancora di solidarietà, in Cristo, parlando del peccato originale; trattando della libertà dell’uomo, riprenderemo il discorso sulla solidarietà.

3° cap. L’attività umana nell’universo. Qui troviamo i richiami più espliciti alla creazione, sua legittima autonomia, sua qualificazione nell‘unica situazione soprannaturale cristica. Riprenderemo questo insegnamento trattando del Soprannaturale cristico, in relazione alla natura umana.

4° cap. la Missione della Chiesa nel mondo contemporaneo. Sulla base di quanto detto, si può impostare un dialogo sul “mondo” delle comuni questioni umane. Si tratta di quella dimensione antropologica costitutiva, naturale, strutturale, già in sé accessibile alla ragione umana. Nel rispetto delle legittime autonomie, CRISTO, ALFA ed OMEGA costituisce sempre la luce e la norma decisiva e risolutiva.

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II TEOLOGIA SPECULATIVANella parte storica, guidati dalla sincronia e diacronia di Cristo con ogni tempo e luogo,

persona e comunità, abbiamo percorso le grandi linee dell’intelligenza della fede circa l’uomo creato secondo l’Immagine di Dio, Cristo Gesù, nello sviluppo del pensiero cristiano. Abbiamo cercato l’intelligenza della fede circa la visione rivelata fondamentale dell’uomo ben situata nei luoghi e nella storia del vivere e pensare cristiano. Infatti la Pienezza che è in Cristo si manifesta capace di illuminare, risanare tutte le situazioni umane. E’ appunto in questo contatto vivo che il Pleroma che risiede il Lui si manifesta in tutta la sua pienezza: nella sua vita con noi sino alla Croce ha visitato ogni realtà umana sino agli inferi della sua peccaminosità; possiede in sé la pienezza di ogni verità, grazia, sapienza e scienza, per la molteplicità di tutte le situazioni umane, per redimerle, riportarle all’unità e splendore del suo progetto, inserirle nel suo Corpo ecclesiale.

Ora continuiamo a realizzare questo contatto vivo del nuovo Adamo, Crocifisso glorioso alla realtà umana, mirando più intensamente all’uomo persona, comunità dei nostri tempi e luoghi.. Si tratterà di crescere nella comprensione dell’Antropologia teologica del Vaticano II, testo conciliare e la sua corretta intelligenza nel post-Concilio, col riferimento dell’autenticità dottrinale che ci offre il Magistero di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Evidentemente teologia biblica, patristica , medioevale e dei tempi moderni non vengono dimenticate affrontando ora il così detto postmoderno: solo in questa continuità del ricevere e trasmettere la Rivelazione-Fede, tenendo presenti difficoltà sperimentate e superate, possiamo ricercare ulteriore intelligenza della visione fondamentale rivelata dell’uomo, per dare speranza e assicurare l’identità cristiana anche nell’oggi dell’umanità.

In un corso fondamentale come il nostro è bene condensare la ricerca in due prospettive fondamentali, già individuabili all’inizio del II millennio e pienamente in <ebollizione> anche oggi: si tratta delle relazioni tra il Soprannaturale cristico e la natura umana; della Creazione, per Cristo, dell’uomo e del suo mondo in modo del tutto libero e dal nulla. Si tratta delle questioni ancora oggi discusse, brucianti, ma decisive per delineare meglio l’identità cristiana dell’uomo.

Aggiungeremo l’interesse per una terza questione, più vicina a noi, fine ottocento e novecento, suscitata dallo sviluppo delle scienze sperimentali-razionali: l’origine dell’uomo secondo la sua componente biologica-psichica, la questione dell’evoluzionismo, della creazione dell’anima spirituale umana. La completeremo con una quarta ed ultima questione, esplicitando alquanto l’intrinseca socialtà umana.

Sono questioni speculative che ci permetteranno di entrare con più sicurezza, meglio equipaggiati, nell’ultimo passo che ci aspetta, sempre intravisto ma non ancora visitato in modo sistematico: come sta l’uomo, per nascita, nella comunità solidale davanti alla Croce redentrice di Cristo, il tema del Peccato originale.

1. Il soprannaturale Cristico e la natura umanaAffrontiamo per primo questo tema per la sua fondamentale necessità e utilità: sin dall’inizio

del nostro percorso biblico abbiamo constatato le strette relazioni tra Alleanza, progetto storico di salvezza, e Creazione.

Queste strette relazioni si sono presentate a noi sotto molteplici aspetti: il Dio dell’Alleanza è Lui il Creatore universale, già accessibile, come possibilità, all’intelligenza naturale dell’uomo. Parimenti l’uomo, creato secondo l’Immagine di Dio, capace quindi di conoscere e vivere secondo Dio, è Lui, sin dagli inizi, chiamato all’intima comunione con Dio propria dell’Alleanza, a misura del Verbo incarnato nello Spirito Santo.

Anche esaminando altri aspetti, come la costituzione intrinseca dell’uomo, abbiamo già visto che il <basar-nefes> corpo-anima spirituale risulta essere il soggetto umano, qualificato dalla <Ruah>, lo Spirito Santo, dono preveniente da liberamente accettare. Una prospettiva di fondo

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(Alleanza-creazione, uomo creatura chiamato alla intima comunione di vita con Dio, soggetto creato secondo l’immagine di Dio, costitutivamente capace di Dio e ulteriormente qualificato dal dono gratuito dello Spirito Santo) che ci ha sempre accompagnato nel percorso storico, sino a entrare profondamente in crisi, divenire scottante al sorgere dei tempi moderni: sotto le categorie, contrapposte, luterane, di <Theologia crucis> e <theologia gloriae>, Rivelazione-fede e capacità metafisiche dell’uomo, si sono sviluppate quelle incomprensioni così gravi da addirittura lacerare l’unità vissuta della Chiesa occidentale.

Ma tutta la cultura occidentale vive di questo dramma dell’incomprensione, separazione, tra Rivelazione-fede e ragione: e questo proprio mentre necessità urgenti della vita sociale e personale richiedono, a credenti e non credenti, cristiani e appartenenti ad altre religioni, di intendersi sul valore dell’uomo, la difesa della persona e delle solidarietà fondamentali.

Può alleggerire la tensione attuale, lo smarrimento dell’identità dell’uomo, ricordarci come tali questioni fondamentali si sono già presentate ai tempi dell’esilio babilonese, con la risposta della preistoria biblica, Gn 1-11; ai tempi dell’impero ellenistico-romano, con la risposta dei Sapienziali; e all’inizio della diffusione del cristianesimo, con Paolo e Giovanni. Anche il pensiero cristiano del I° e II° millennio ha dovuto più volte esercitarsi nel dare risposte sul come vivere la Sapienza della Croce, quella della pienezza divino-umana di Cristo, in contesti culturali monisti e dualisti.

Ci riallacciamo inoltre all’introduzione della storia del pensiero cristiano, circa il significato universale di Gesù, sia in prospettiva sincronica che diacronica. Lo facciamo ora delineando il tema, classico in teologia, dei rapporto tra il Soprannaturale cristico e la natura creata.

Si possono intravedere più utilità:1. La comprensione del nostro essere cristiani, come creature partecipanti di Cristo, nello Spirito

Santo: cerchiamo cioè una prima sintesi tra valori religiosi, rivelati, e la dimensione razionale naturale.

2. La comprensione del Vaticano II, che delinea questa sintesi sotto i valori cristiani, per, specialmente nella Gaudium et Spes, impostare con rigore il dialogo Chiesa – mondo. Comprendere in questa prospettiva il significato di una giusta autonomia della creatura, nell’ambito della sua qualificazione e finalità sempre soprannaturali; quindi il significato di una filosofia cristiana, di una cultura cristiana. Come ricapitolate tutto in Cristo, fare in Lui sintesi della propria vita.

3. Fondare il dialogo ecumenico con i fratelli separati del sec XVI: già sappiamo che esso ruota intorno al significato e valore della ragione, libero arbitrio, della natura creata dall’uomo; quindi significato della metafisica, teodicea

4. Conoscere alcuni aspetti, fondamentali, del modo teologico di procedere di grandi teologi contemporanei: specialmente De Lubac., von Balthasar.

1.1 Etimologia dei termini:Natura: traduce il termine greco fÚsij del verbo fÚsein, nascere, generare; viene ad

indicare lo stato in cui si nasce, come si genera e si é generati, quindi l’attività propria di un soggetto in quanto esprime il suo modo di essere; natura come modo di esistere, essenza, come principio di operazione.

Il termine è proprio di una cultura, come quella greca, molto interessata a riflettere sul cosmo ed i suoi corpi: attività, costitutivi e principi ontologici.

La cultura ebraica è, al contrario, tutta impregnata del dono dell’Alleanza, sviluppata nel dialogo salvifico che Dio offre al suo popolo. Conosce a stento una riflessione sulle cose in sé, autonome, in quanto sempre le considera tutte nella luce del Dio della creazione ed Alleanza. A tale punto che la Bibbia ebraica non conosce termine equivalente al fÚsij greco; esso ricorre

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sporadicamente solo nei testi ispirati scritti originariamente in greco; per noi sono significative tre citazioni dal Libro della Sapienza:

Sap 7,20 “La natura degli animali e l’istinto delle bestie selvatiche, la forza dei venti e i ragionamenti degli uomini, la varietà delle piante e le proprietà delle radici. Ho conosciuto tutte le cose nascoste e quelle manifeste, perché mi ha istruito la sapienza, artefice di tutte la cose”.

Qui le conoscenze naturali, proprie della riflessione di tipo ellenistico, sono inserite nell’unico progetto di Dio creatore, dell’Alleanza, la sua Sapienza rivelata; quindi le scienze “naturali”, anche antropologiche, frutto di una riflessione sulla creatura di Dio, (con tutti i limiti di una ricerca scientifica umana), sono considerate nell’ambito dell’unica Sapienza creatrice, in quanto è artefice di ogni cosa

Notiamo la stima della ricerca scientifica già abbozzata nella cultura ellenistica; superando la frammentazione della ricerca, essa acquista valore se inserita nel progetto sapiente del Dio dell’Alleanza e creazione. Anzi è la stessa Sapienza, cioè l’agire intelligente del Creatore-Salvatore, ad insegnare tali scienze, diremo ora naturali, razionali-sperimentali, in quanto le ha iscritte nella stessa creazione, e le offre alla sagace ricerca dell’uomo.

Un secondo senso fondamentale di natura troviamo nei testi biblici del tempo dell’ellenismo:Sap 13,1: “Davvero vani per natura tutti gli uomini che vivevano nell’ignoranza di Dio”

Ef 2,3: “Anche tutti noi, come loro, un tempo, siamo vissuti nelle nostre passioni carnali, seguendo le voglie della carne, e dei pensieri cattivi: eravamo per natura meritevoli d’ira, come gli altri”.

Si dà un avviso all’uomo in ricerca di Sapienza circa Dio e se stesso, le verità fondamentale di cui l’uomo è capace, iscritte nella sua stesa natura razionale: l’uomo è avvisato di un male radicale, presente in Lui per nascita, che gli rende difficile l’esercizio della sue capacità naturali di conoscere Dio e se stesso, orientare in modo salvifico la propria vita, bisognoso quindi di redenzione.

Qui natura viene ad indicare la situazione dell’uomo, così come nasce, se prescindiamo dalla Redenzione di Cristo; questa situazione è segnata in profondità dalla comune nativa peccaminosità umana, per il semplice fatto di nascere uomini (Peccato originale).

La categoria soprannaturale è del tutto assente nella Scrittura; ma è appunto questa assenza ad essere del tutto significativa. Infatti la situazione umana, qualificata dall’invito e dono della comunione con Dio, per Cristo, nello Spirito, è considerata la situazione vera dell’uomo, persona e comunità. Questa è l’unica realtà umana dell’uomo davanti a Dio; non si da altra situazione, per la creatura uomo, se non quella qualificata dal dono dell’Alleanza, per Cristo, nello Spirito. La dimensione naturale deve essere colta, estratta da questa universale situazione di soprannaturalità cristica.

Quando ci si riflette, ne viene stupore, gioia grande, per un dono immenso, divino, del tutto immeritato, offerto alla fragile creatura umana.

Non compare il termine soprannaturale perché si riflette sempre a partire da questa situazione di Alleanza, non a partire da una ipotetica natura pura, che il pensiero semitico non considera: ma vi è sempre la piena consapevolezza che è una creatura ad essere donata e qualificata del dono divino dell’Alleanza, per Cristo, nello Spirito.350

Possiamo distinguere nella Storia della riflessione sul “soprannaturale cristico-natura”, i seguenti periodi:

Unicus ordo concretus supernaturalis.Unicus ordo concretus supernaturalis realis.

350 Anche Col 1, 17 “ tutte le cose sussistono in Lui, Cristo”, cfr BARSOTTI D. Il Mistero della Chiesa nella Liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2007, 81s

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Unicus ordo supernaturalis absolute solus.Duplex ordo supernaturalis et naturalis.351

1.1.a Unicus ordo concretus supernaturalis della S. Scrittura e dei Padri

Copre l’intero periodo biblico e patristico: si riflette sull’uomo qualificato dall’Alleanza per Cristo, nello Spirito; non si da altro uomo esistente, altra umanità. Ma in questa qualificazione, si coglie la gratuità del dono divino offerto alla creatura, che rimane creatura.

Si distingue infatti tra il Dio dell’Alleanza e il Dio della Creazione, un unico Dio considerato nella sua Signoria universale creatrice, che pone nell’esistenza la sua creatura, distinta da sé, e nell’invitare questa sua creatura all’Alleanza, la comunione con Sé.

Cosi secondo la Tradizione sacerdotale, l’uomo creato secondo l’immagine Dio, vertice della creazione, trova la sua perfezione nella celebrazione del Sabato, memoriale dell’Alleanza, del riposo beatificante della pace di Dio, nel giorno benedetto e consacrato, senza mattina e senza sera, qualificante cioè tutta l’opera dei sei giorni (Gn 2,1-4b).

Secondo la tradizione, così detta Jahwista l’uomo creato dalla terra per la plasmazione ed insufflazione divina (Gn 2,7), viene posto da Dio nel Giardino di Eden, perché nell’obbedienza a Lui espressa nell’albero della conoscenza del bene e del male (Gn 2,8-10), comunichi all’albero della Vita (Gn 3,22).

Notiamo ancora come l’uomo biblico, quando riflette sulla sua situazione di Alleanza, è colmo di stupore, non può trattenersi da un grido di esultanza di fronte alla qualità divina, in sé indebita del dono ricevuto.

Simili stupori già si notano nell’Antico testamento: Dt 7,7-8: “II Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli

altri popoli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli - ma perché Dio vi ama”; possiamo rileggere in questa prospettiva il Salmo 8.

Nel Nuovo Testamento citiamo:1 Gv 3,1-2: “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di

Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto Lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui, perché Lo vedremo così come Egli è”.

1 Gv 3,16: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito”.

Il discorso del Pane di vita in Gv 6, pone in crisi chi non si apre con totale disponibilità al progetto “eucaristico” qualificato da tale intima e familiare presenza del Santo di Dio, che Pietro esclama:

“Signore da chi andremo?. Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”(Gv 6,68-69)

Ricordiamo infine le domande colme di meraviglia di Rm 8,31: “Che diremo dunque di queste cose?. Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?. Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà forse ogni cosa insieme con Lui?’

E la preghiera di Paolo, affinché i Cristiani comprendano il dono che ci supera del tutto: “[…]io piego le ginocchia davanti al Padre, […] perché vi conceda […] siate in grado di

comprendere con tutti i santi quale sua l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di

351 Conserviamo il latino della dizione di von BALTHASAR H. U., nella sua opera, mia fonte di ispirazione in questa materia: La teologia di Karl Barth, Jaca Book, Milano 1985, 276-283.

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conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio”(Ef 3,14-19).

Anche il periodo patristico esprime una situazione di Chiesa che vive, riflette, annuncia un mondo creato per Cristo, nel suo Spirito, redento nel Mistero della Pasqua-Pentecoste.

Le prime analisi teologiche della situazione soprannaturale dell’uomo sono incluse nell’intelligenza, e definizioni di Fede, circa il Mistero del Verbo incarnato, propria di questo periodo.

La definizione della vera divinità del Figlio di Dio incarnato (Nicea, a.325, DH 125, 130 352), qualifica non solo l’Umanità SS di Cristo, ma l’intera natura umana a Lui solidale, a livello di autentica comunione con Dio: Cristo ne è l’immediato (perché Figlio consustanziale al Padre) mediatore.

Di fronte poi alle incertezze di Nestorio sul rapporto tra la persona del Figlio di Dio e la sua umanità, già costituita nella sua qualità di una quasi indipendenza, Efeso (a. 431) reagirà con l’espressione forte mia fÚsij (una sola natura)(DH 254-256353), per sottolineare l’intima, personale unione del Figlio di Dio e la sua umanità: Dio e l’uomo vi sono uniti non solo mediante l’effetto, l’attività, moralmente, ma anche ontologicamente (fisicamente).

Ma quando Eutiche cercò di spiegare questa unità come miscuglio di nature di Dio e uomo (monofisismo) Calcedonia definisce in Cristo unità di Persona divina, e distinzione di natura divina ed umana (a. 431, DS 300 354 -301-302).

352 DH 130: “Anzitutto venne presa in esame, alla presenza del piissimo imperatore Costantino, l’empietà e la perversità di Ario e dei suoi seguaci. All’unanimità abbiamo deciso di condannare la sua empia dottrina e le espressioni blasfeme con cui si esprimeva a proposito del Figlio di Dio: sosteneva infatti che questi proveniva dal nulla e che prima della nascita non esisteva, che era capace di bene e di male, insomma che il Figlio di Dio é una creatura. Il Santo concilio ha condannato tutto ciò, non volendo nemmeno ascoltare questa empia dottrina, né le parole blasfeme.”

353 DH 254:”Se qualcuno dopo l’unione divide nell’unico Cristo le due sostanze congiungendole con un semplice rapporto di dignità, cioè d’autorità o di potenza, e non piuttosto con un’unione di natura sia anatema.” .DH [255]:” Se qualcuno attribuisce a due persone o a due sostanze le espressioni contenute nei vangeli sia nelle lettere degli apostoli, o dette dai santi sul Cristo, o da lui stesso, e alcune le attribuisce all’uomo, considerato distinto dal Verbo di Dio, altre invece come degne di Dio, al solo verbo di Dio, sia anatema. DH [256]:” Se qualcuno osa dire che il Cristo é un uomo portatore di Dio, e non piuttosto veramente Dio come Figlio unico per natura, e partecipò a nostra somiglianza della carne e del sangue, sia anatema.”

354 DH [300]:”[Proemio della definizione. Premessi i due simboli di fede di Nicea e di Costantinopoli. segue:] Questo sapiente e salutare simbolo della divina grazia sarebbe già sufficiente alla piena conoscenza e conferma della fede. Offre infatti un perfetto insegnamento intorno al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo e presenta, a chi l’accoglie con lede, l’incarnazione del Signore. Ma quelli che tentano di respingere l’annuncio della verità, con le loro eresie hanno coniato nuove espressioni: alcuni cercano di alterare il mistero dell’economia dell’incarnazione del Signore per noi, e rifiutano l’espressione Theotokos [Madre di Dio] per la Vergine; altri introducono confusione e mescolanza immaginando scioccamente che unica sia la natura della carne e della divinità, e sostenendo assurdamente che, a causa di questa confusione, la natura divina dell’Unigenito può soffrire. Di fronte a tutto questo, volendo impedire ad essi ogni raggiro contro la verità, l’attuale santo e grande concilio ecumenico che insegna l’immutabile dottrina predicata sin dall’inizio, stabilisce prima di tutto che la fede dei 318 santi padri dev'essere intangibile. E conferma la dottrina sulla natura dello Spirito Santo, trasmessa in tempi posteriori dai 150 padri raccolti nella città imperiale a causa di quelli che combattevano lo Spirito Santo (pneumatomachi); i padri conciliari dichiarano a tutti di non voler aggiungere nulla all’insegnamento dei loro predecessori, come se vi mancasse qualche cosa, ma di voler solo esporre chiaramente, se -condo le testimonianze della Scrittura, il loro pensiero sullo Spirito Santo, contro coloro che tentavano di negarne la signoria. Nei confronti di coloro che tentano di alterare il mistero dell’economia [della salvezza] e hanno l’impudenza di sostenere che colui che nacque dalla santa vergine Maria è solo un uomo, [questo concilio] fa sue le lettere sinodali del beato Cirillo, che fu pastore della chiesa di Alessandria. a Nestorio e agli orientali, come adeguate sia a confutare la follia nestoriana, sia a spiegare il vero senso del simbolo salvifico a coloro che desiderano conoscerlo con pio zelo. A queste ha aggiunto giustamente la lettera del beatissimo e santissimo arcivescovo della grandissima e antichissima città di Roma Leone, scritta all’arcivescovo Flaviano, di santa memoria, per confutare la malvagia concezione di Eutiche; essa. infatti, è in armonia con la confessione di fede del grande Pietro ed è per noi una fondamentale colonna contro gli eterodossi e a favore dei dogmi dell’ortodossia. [Questo concilio] si oppone a coloro che tentano di separare in una dualità di figli il mistero della divina economia di salvezza; esclude dall’ordine clericale quelli che osano affermare soggetta a sofferenza la divinità dell’Unigenito; resiste a coloro che pensano a una mescolanza o confusione delle due

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Efeso sottolinea l’unione ontologica di natura umana e divina, nell’unità della Persona del Figlio di Dio. Calcedonia inoltre sottolinea, in questa indiscussa unità, la distinzione delle nature; solo nella distinzione, non confusione delle nature, era possibile la vera unione tra Dio e l’uomo.

Possiamo dire che, secondo il paradigma di Cristo, qualcosa di simile, per l’intrinseca unità e la necessaria distinzione, è avvenuto nella storia della riflessione ecclesiale circa la soprannaturalità cristica dell’uomo e la sua natura creata. 355

1.1.b Unicus ordo concretus supernaruralis realis della grande scolastica, sec XIII

Il mondo culturale cristiano, monolitico nella sua visione soprannaturale, conosce nel sec. XIII il sistema metafisico naturale di Aristotele: è un sistema di nature universali, eterne, autosufficienti razionalmente sviluppato ed esposto.

Alberto Magno e Tommaso lo inseriscono, trasformandolo profondamente dall’interno, nell’intelligenza della visione cristiana dell’uomo. Ma il gigantesco impegno razionale sviluppato per l’intelligenza della Fede, finisce per indicare la consistenza della natura umana, anche se del tutto inserita, e trasformata, nell’unico ordine concreto soprannaturale, nell’unico fine della Visione di Dio. Si comprende quindi che questo è si, l’unico ordine reale esistente soprannaturale, ma non sarebbe in sé impossibile un altro ordine puramente naturale, che di fatto non si da. L’ordine soprannaturale è dunque l’unico reale; ma quello puramente naturale si intuisce in sé possibile, anche se non è stato scelto dalla libertà del Dio della creazione ed Alleanza. Questa considerazione della sua possibilità, risulta utile per porre meglio in risalto la gratuità unica dell’ordine soprannaturale esistente.

Citiamo dalla Summa Theologica I, q. 25, a.1 in c: “Il fine a cui le cose sono state ordinate da Dio è duplice: uno che sorpassa i limiti e le capacità di ogni natura creata, e tale fine è la vita eterna consistente nella visione di Dio, che trascende la natura di ogni essere creato, come già fu dimostrato. L’altro fine lo può raggiungere con le sue forze naturali. Ora quando si tratta di un fine che un essere non può raggiungere con le forze naturali, è necessario che un altro ve lo porti. Per tale motivo la creatura ragionevole, capace di vita eterna, è strettamente parlando, condotta e come trasferita in essa da Dio”.

In questa prospettiva, Tommaso parla di desiderio naturale, inefficace, di vedere Dio. 356

Desiderio naturale, perché essendo l’uomo costitutivamente religioso, capace di Dio, non può non desiderare di conoscerlo sempre meglio, di unirsi a Lui nella conoscenza e nell’amore; desiderio in sé inefficace, perché solo un dono ulteriormente gratuito di Dio, per l’Incarnazione del Verbo, il dono dello Spirito Santo, le virtù teologali, può pienamente realizzarlo, nell’intima partecipazione al Mistero Trinitario,

nature di Cristo; scaccia quelli che hanno la follia di ritenere celeste, o di qualche altra sostanza, quella forma umana di servo che egli assunse da noi; e scomunica, infine, coloro che favoleggiano di due nature del Signore prima dell’unione, e di una sola dopo l’unione. “

355 ? von BALTHASAR, La teologia di K. Barth, cit. 355: “Cristo in particolare è il <fondamento ed il modello dell’esistenza umana> (Schmaus M., Katolische Dogmatik, II (!949), 118); perciò soltanto per virtù sua può venire determinato ciò che chiamiamo vera umanità. E poiché egli non si è aggiunto ad una natura in sé sussistente come una specie di secondo momento, come una “sovrannatura”, ma è sin dall’inizio il fondamento della creazione, per il mondo e per l’uomo in particolare Cristo stesso è il “fondamento ed il modello dell’unità di naturale e soprannaturale”: la sintesi in Lui attuata tra natura umana e natura divina, è il criterio per tutte le sintesi che il cristiano deve cogliere tra i due ordini.”

356 Cfr COLOMBO G., Del Soprannaturale, Glossa, Milano 1996, 249-234; LADARIA L.F., Antropologia teologica, cit. 201-202.

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1.1.c Unicus ordo supernaturalis absolute solus della Riforma del XVI sec.

Abbiamo già visto le difficoltà del Nominalismo, il suo Dio distante dalla vita dell’uomo, arbitrario nella sua volontà, le ansiosità di salvezza suscitate nell’uomo religioso. Lutero trova un’ancora di salvezza rifugiandosi nella Fede fiduciale, ponendo in crisi l’uso della ragione, nel fare teologia, e il libero arbitrio nella vita morale. Pone così in discussione una vera consistenza della natura creata umana nell’ordine salvifico: si muove quindi nella prospettiva che l’ordine soprannaturale cristico (Deus revelatus sub contraria specie, admirabile commercium) è l’unico possibile; senza di esso non si da un vero uomo.

Anche Bajo e Giansenio (Cattolici in crisi conflittuale col Magistero), parleranno di uno stato soprannaturale necessario per l’uomo: lo stato soprannaturale è dovuto all’uomo. Dio poteva solo creare l’uomo della situazione soprannaturale. 357

Un altro uomo non avrebbe vera consistenza.Le conseguenza di questa novità teologica risultano gravi:

Si perde il senso del soggetto umano creato, attivo nella trasformazione ricevuta di grazia soprannaturale

Il peccato originale fa perdere totalmente la capacità di Dio, pone in crisi l’uso teologico della ragione e il libero arbitrio: l’uomo è radicalmente corrotto

Da una teologia escludente l’uso della ragione, si può passare ad una filosofia che esclude una vera rivelazione, o la subordina a sé: Filosofia dell’Assoluto in Hegel; naturalismi ideologici, che, se accettano qualcosa della religione rivelata, la costringono ad essere parte di comuni leggi universali razionali.

1.1.d Duplex ordo supernaturalis et naturalis della neoscolastica, sec. XIX- XX.

L’intelligenza corretta della fede non può rinunciare ai termini correlativi soprannaturale e natura: tale uso entra anche nel Magistero romano, ad opera di S. Pio V, disputa con Bajo, a.1597, DH 1921.

La neoscolastica (sec XIX e prima metà del XX) porterà avanti una riflessione che sembra dare sempre più importanza al possibile, non esistente separatamente, di una natura pura.

Infatti la definizione-descrizione del soprannaturale sembra talora partire dalla stessa natura pura. Il soprannaturale è ciò che non può essere preteso da una natura pura razionale nè costitutive: quasi che potesse fare parte dei suoi costitutivi essenziali; nè consecutive, quasi potesse essere il risultato dei suoi sforzi; né exigetive: come esigenza necessaria del suo essere ed agire, come è, per ex , il concorso divino ordinario.

Queste osservazioni sulla natura ed il soprannaturale sono in sé corrette, perché il soprannaturale, partecipazione alla vita stessa di Dio, è veramente ciò che nessuna natura creata o creabile può in alcun modo esigere, pretendere. Ma resta molto delicato il volere descrivere lo stato soprannaturale partendo da quello naturale; si può infine supporre che si dia veramente una natura pura esistente, già del tutto costituita, capace di ricevere, ma del tutto passivamente (potentia oboedentialis) lo stato soprannaturale. Si può avere anche l’impressione che esistano due ordini in sé autosufficienti sovrapposti l’uno all’altro, senza collegamento intrinseco.358

357 Per la disputa sul Soprannaturale tra Bajo e Bellarmino, Giansenio ed il gesuita Ripalda, COLOMBO G., Del Soprannaturale, Glossa, Milano 1996, 3-144.

358 E’ necessario completare queste riflessioni con la trattazione più ampia di von BALTHASAR, La teologia di K. Barth, cit., 292-301. Non dandosi nella realtà una natura pura, e neppure una creazione che non sia cristofondata e qualificata, il concetto di natura e creazione deve sempre estrarsi da una natura, creazione “graziata”; per de LUBAC, Petite catéchèse sur Nature et Gràce, Fayard. Paris 1980, 15, il senso teologico di natura, correlativo del

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Oltre a non corrispondere del tutto alla costante tradizione viva della Chiesa, che sempre ha parlato di ordine concreto soprannaturale come primo dato offerto alla riflessione teologica, la tendenza alle sovrapposizione dei due ordini può indurre in molte difficoltà:

può giustificare l’effato: bisogna prima essere uomini, poi cristiani, quasi potesse darsi una umanità matura che non sia già il frutto della grazia di Cristo.

può falsare anche le prospettive di dialogo: quasi esistesse una base umana concreta, comune, in sé esistente, indipendentemente dal Cristo, su cui poi aggiungere qualche elemento cristiano.

non permette di individuare l’attività propria della Chiesa: essa non è solo la Santificazione dell’uomo, il Culto al Padre, per il Figlio nello Spirito Santo, ma anche l’animazione cristiana di tutte le realtà temporali; all’unico, necessario fine soprannaturale sono internamente collegati i fini propri delle realtà temporali. Si potrebbe anche favorire l’impressione che la Chiesa sia un altro ordine soprannaturale, aggiunto e senza intrinseci rapporti con la società naturale umana.

• quindi favorire culture che si possono autodefinire “cristiane”, ma che in realtà sono prospettive variamente ideologiche, che si ritengono naturali, cui si può aggiungere una qualche incipriatura di elementi cristiani, superficiali.

Queste osservazioni devono tutte essere tenute ben presenti per elaborare una teologia del Soprannaturale come vera intelligenza del dato Rivelato, per una autentica antropologia teologica fondamentale: è stato l’impegno dei teologi che ora esamineremo, specialmente De Lubac.

Ma dobbiamo ricordare che un duplex ordo, la necessità dei termini correlativi del Soprannaturale cristico e della natura creata, anche se da meglio coordinare secondo il dato rivelato, fa parte della stessa Rivelazione, ed è stato anche definito nel Vaticano I: vedi l’intero impianto della Dei Filius (rapporti creazione, rivelazione, fede, ragione), in particolare il canone 5 del cap 2° De Revelatione:

“Se qualcuno dicesse che l’uomo non può essere da Dio portato ad una conoscenza e perfezione che superi quelle naturali, ma da se stesso può e deve raggiungere finalmente, con un continuo progresso, il possesso di ogni verità e bontà, sia scomunicato”(DH 3028). 359

Anche per l’antropologia teologica è avvenuto qualcosa di molto simile alle definizioni cristologiche dei primi sette secoli: l’unità personale del Figlio di Dio nell’unione ipostatica, la necessaria distinzione delle nature divina ed umana, il loro corretto rapporto nelle attività proprie; i quattro avverbi che abbiamo già incontrato nella definizione di Calcedonia : inconfuse, indivise, immutabiliter, inseparbiliter (DH 302).

Continuiamo ad approfondire le relazioni della natura umana con il Soprannaturale cristico, esaminando aspetti della teologia di alcuni autori contemporanei:

1.2 von Balthasar Hans Urs (n.1905 - †1988):Ha condotto un’accurata analisi dialogando con il teologo calvinista Karl Barth; ho già

abbondantemente attinto da questo teologo per quanto riguarda la storia teologica della situazione soprannaturale dell’uomo.360

Sottolineo anzitutto i caposaldi di von Balthasar nell’impostare le relazioni tra il soprannaturale cristico e la natura: insiste nell’affermare che l’effettivo ordine cosmico di Dio è

Soprannaturale, è facile da individuarsi: “Tutto ciò che non origina dall’adozione divina dell’uomo, anche se sorge dallo spirito e libertà, può essere chiamato naturale”.

359 Per la dottrina della elevazione all’ordine soprannaturale nel Concilio Vaticano I, COLOMBO G., op.cit., 155-176; per la concezione di natura nel Vaticano I, von BALTHASAR, La teologia di Karl Barth, Jaca Book Milano 1985, 323-347

360 von BALTHASAR, La teologia di Karl Barth, cit.

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l’unità concreta, nella Persona del Figlio di Dio incarnato dei due ordini (divino-umano) che rimangono distinti anche nella loro oggettiva unione.

La grazia increata (lo stesso Cristo che si dona a noi nello Spirito Santo) non è mai naturalizzabile; trasforma l’uomo in profondità (è immanente) come grazia creata, pur restando divina, trascendente. La creatura uomo, pur intimamente trasformata, resta creatura umana, con la sua costituzione propria (anima razionale forma del corpo).

La Chiesa cattolica nell’opporre a questa naturalizzazione della Grazia il concetto di natura umana (che non include ad integritatem il concetto di Grazia), intendeva difendere la purezza del concetto di Grazia; soltanto in questa netta distinzione concettuale di Dio dalla creatura (come fece Calcedonia per Cristo, tra Persona, natura divina e natura umana, ed il Vaticano I tra la Rivelazione-Fede e la ragione umana) poteva essere garantita la loro massima e vera unione.

Von Balthasar fa inoltre notare la differenza in Cristologia ed Antropologia, tra il concetto teologico di natura divina e quello filosofico di natura umana; infatti in Cristo:

la natura divina è identica alla Persona del Verbo, che si manifesta, in modo positivo nell’evento dell’Incarnazione, Mistero pasquale. Questa natura divina è la concretissima vita di Dio Uno Tripersonale: non si da una natura divina generica al di là delle Persone divine nell’Unico Dio.

natura umana è invece un concetto che esprime la comune creaturalità umana come sta davanti a Dio, e che può anche divenire filosofico, tratto dalla nostra comune esperienza umana (che Cristo vive nella misura unica del Figlio di Dio); non ha esistenza separata, deve essere estratta dalla storica situazione soprannaturale.

L’evento Cristo, il Figlio di Dio che si fa uomo, la grazia che offre all’uomo (come partecipazione donata alla sua vita divina di Figlio), non è in nessun modo deducibile da un concetto filosofico. La definizione positiva di Grazia (increata-creata) può essere data solo mediante la Grazia stessa: infatti ciò che costituisce l’intimo di Dio (vita filiale nello Spirito Santo), può essere rivelata solo da Lui stesso (cfr 1 Cor 2, 6-11).

Nell’ordine soprannaturale unico esistente, la natura filosofica dell’uomo deve essere distaccata, astratta a posteriori, cioè da una totalità “graziata” già data; non si da un resto di natura pura. Infatti la grazia realizza una trasformazione, una compenetrazione della natura umana con la Vita divina così radicale, da non escludere nessun aspetto, nessuna latitudine della natura umana. K.Rahner parla opportunamente di esistenziale soprannaturale: <esistenziale>, situazione in cui nasciamo, in modo previo alle nostre decisoni morali; <soprannaturale>, perché ci segna, connota sia che lo accettiamo nello stato di Grazia, che ci porterà al Paradiso, sia nelo stato di rifiuto della Grazia, che ci porterà all’inferno.

Anzi la situazione di peccato, dell’estrema distanza e rifiuto di Dio, è stato scelto, da Dio come luogo della più intensa manifestazione e comunicazione della sua Vita interpersonale: la Croce del Figlio di Dio, il suo donarsi filiale al Padre nell’amore Spirito Santo, portando le resistenze fraterne, scendendo sino agli inferi della condizione umana, per offrire a tutti misericordia e perdono, partecipazione alla sua stessa vita.

Ricordando inoltre che la vita umana non presenta che un unico fine, quello soprannaturale; quindi non solo i singoli atti, ma anche il centro, il principio operativo della natura, il cuore, deve essere centro elevato, sostenuto orientato in modo radicale.

Già sappiamo che in questa intima compenetrazione, la Grazia, partecipazione della Vita divina, non diventa mai naturale nell’uomo: cioè l’uomo conserva la sua natura; pur nell’intima trasformazione, resta sempre lui, soggetto umano, anche se graziato, trasfigurato dalla grazia; la stessa Grazia di Cristo lo trasforma, non lo sostituisce.

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L’ordine della creazione, nella sua totalità, non può essere dedotto dalla Grazia: la Grazia è per una natura umana, in una natura creata; quanto la Grazia viene effusa e raggiunge una natura creata, non diviene un altro soggetto, che resta lo stesso, anche se aliter.

Il Mistero rimane integro: il punto di vista della Rivelazione-fede rimane intatto, non si lascia mai ridurre a quello della scienza filosofica (sarebbe Hegel).

La retta via del pensiero teologico sarà quella che, all’interno del complesso ordine di questo mondo, che è l’unico oggetto legittimo del pensiero teologico, farà compiere in virtù della chiamata alla grazia e della grazia già effusa e accolta, il passo pieno di timore nel riconoscimento della totale gratuità di questa grazia, dell’indegnità della creatura a riceverla, insomma del riconoscimento dell’essere servo, creatura, che emerge direttamente dal diventare amico, figlio di Dio

L’evento della Rivelazione non può essere rivolto che ad una creatura, ad una creatura che in quanto tale non include affatto la rivelazione nel suo concetto; cosi la teologia non sarà mai una sovrastruttura della filosofia, una sua forma piena: essa teologia risulta, soltanto in virtù della fatticità della rivelazione.

La filosofia, sviluppata col suo metodo proprio, che prescinde dai contenuti della Rivelazione, è il pensiero di questo mondo reale, che, in quanto tale, è creato in vista dell’evento della Rivelazione. La necessità filosofica del rapporto creatura-Dio, ora viene addirittura sostenuto e compreso nella fatticità della Rivelazione, senza per questo identificarsi con esso.

La filosofia e la teologica costituiscono una coppia tale che nè dal basso verso l’alto (filosofia), nè dall’alto verso il basso (teologia), possono essere conciliate in una metafisica filosofica totale, che assorba in sé la teologia, o in una teologia totale che nell’intelligenza della fede escluda l’uso rigoroso della ragione filosofica.

1.3 de Lubac H. (n.1886 - †1991)Ha dedicato l’intera sua vita a questa fondamentale dimensione della Antropologia

teologica.

Qui mi riferisco al suo pensiero maturo, esposto dopo il compimento degli 80 anni, in una felice sintesi: Petite catéchèse sur Nature et Grâce, 361 Così imposta la sua riflessione sulle relazioni tra il Soprannaturale cristico e la natura umana:

1.3.a Due termini necessari, correlativi:

De Lubac ricorda, in sintonia con quanto sinora detto, che si deve partire dal termine e situazione soprannaturale; l’uomo di cui tratta la Rivelazione è sempre l’uomo chiamato per Cristo, nello Spirito Santo, alla comunione col Padre.

Non si può, a rigore, partire dai contenuti concreti di una natura pura, perché storicamente non esiste; il discorso concreto sulla natura pura, quasi si desse esistente, diviene ambiguo: si ritorna all’uomo pre-cristiano di Aristotele, con le sue essenze, nature eterne, o si ricade negli errori di Illuministi e Marxisti, con una natura in sé conclusa, di cui il Mistero cristiano rappresenta un epifenomeno, una non decisiva sovrastruttura.

Ma in nessun modo si può riflettere sull’uomo soprannaturale, cercarne l’intelligenza, senza farvi intervenire il termine correlativo di natura:

361 de LUBAC H., Petite catéchèse sur Nature et Grace, Fayard, Paris 1980; traduzione italiana in Spirito e Libertà, Opera omnia, vol. 13, Jaca Book, Milano 1980, 11-100; per le opere fondamentali precedenti, il suo percorso teologico, si può consultare con vera utilità LADARIA L., Antropologia teologica, 19952, 190-194, e SANNA I, Chiamati per nome, Antropologia teologica, San Paolo, Cinisello B. (Mi), 19943, 282-288. Mi limito alle conclusioni cui è giunto de Lubac, ma è estremamente formativo seguire il suo percorso di studi nelle linee storiche principali e secondarie dei Padri della Chiesa.

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“[…] si tratta di un termine dalle risonanze multiple, […] un termine di cui occorre fare un uso critico, ma è l’uso stesso a testimoniare che non si può trascurare […] Anche dopo le più severe esclusioni lo si ritrova subito davanti.” (p. 15)

Il suo uso teologico, il solo che dobbiamo tenere presente, non offre grandi difficoltà. E’ un termine puramente correlativo, che di conseguenza si intende bene solo nella sua relazione con l’altro termine, soprannaturale. “Tutto ciò che non origina dall’adozione divina nell’uomo, anche se sorge dalla spirito e libertà, potrà essere chiamato naturale.”(p.15)

Il termine natura è necessario per mettere in risalto:- il dono del tutto gratuito del soprannaturale362

-il soggetto creato, trasfigurato in Cristo, ma che rimane.De Lubac condensa le caratteristiche della relazione tra Soprannaturale e natura nelle

seguenti indicazioni:

1.3.b Infinita sproporzione:

Tra la nostra natura umana e la sua soprannaturale trasformazione, si da una infinita sproporzione; tra l’uomo e Dio si dà un abisso: l’analogia, per creazione, tra il Creatore e la creatura, implica una minima somiglianza per una massima dissomiglianza (DH 806) e può essere colmato solo da Dio, per una meravigliosa invenzione della sua carità. Nello sua rigorosa accezione, da rispettare, il soprannaturale ci è offerto come relazione del tutto gratuita, totalmente non naturalizzabile.

Il soprannaturale è quindi questo elemento divino, non accessibile allo sforzo umano, che viene offerto all’uomo, penetrandolo per divinizzarlo, e che ci rende “consortes divinae naturae”( 2 Pt 1,4 )..

La Grazia soprannaturale non è assolutamente una supernatura: è infatti infinitamente superiore a qualsiasi natura creata o creabile; ma anche se non proviene da noi, è profondamente inserita in noi.

“Essa è come un accidente nuovo, nascosto nella sostanza dell’anima, e che l’adatta, in tanto che l’anima, a vivere della stessa vita propria di Dio, tutta divina”(p. 35)

1.3.c Intrinseco rapporto:

Lo Spirito Santo, lo Spirito di Cristo, non resta esterno all’uomo: senza confusione di nature, imprime realmente il suo marchio nel nostro essere, diventa in noi principio di vita. E’ difficile per noi concepire cosa sarebbe una natura umana puramente razionale; certo l’uomo avrebbe goduto di un certo desiderio naturale di vedere Dio, un desiderio inefficace. Il dono soprannaturale si inserisce in questa naturale apertura a Dio, in questa capacità di Dio, in questo desiderio di Dio.

Senza dissolvere il soggetto creato, che rimane con la struttura fondamentale (costituita da anima spirituale forma del corpo), tutto viene trasformato al livello proprio della conformità a Cristo, per opera del suo Santo Spirito. Non è un miracolo (resta la natura umana con le sue leggi fondamentali), non è un preternaturale (che soltanto prolunga le capacità umane, ancora sulla linea della natura), ma è di un altro ordine, l’ordine del Verbo incarnato, del suo santo Spirito.363

Soprannaturale: aggettivo o sostantivo?Considerato come sostantivo, si darebbe l’impressione di un qualcosa di aggiunto,

estrinseco: un secondo piano, una soprannatura; l’aggettivo precisa meglio che è l’uomo, con questa sua natura, non disciolta nè alienata, che è stato reso soprannaturale.

362 ARMENDARIZ L.M., Ombre y mundo a la luz del Creador, cit.161-196363 de FINANCE J, in Citoyen de deux mondes, la place de l’homme dans la création, Grégorienne-Téqui, Rome-

Paris, 1980, fa notare, 286, come “L’Incarnazione non è soltanto l’esaltazione della natura umana in uno dei suoi rappresentanti: essa ridonda sull’insieme dell’umanità e dell’umano”.

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Nota von Balthasar, riguardo a questa trasformazione dell’uomo secondo la misura di Cristo: Cristo è venuto a portare non l’infinito (il finito esteso infinitamente), ma l’incondizionato (la Vita del Figlio di Dio), non il sempre nuovo, ma il decisivo, il definitivo, non il molteplice o l’inesauribile, ma l’unico necessario, la pienezza della Vita divina 364

Per approfondire le relazioni tra il Soprannaturale cristico e la natura, de Lubac introduce ancora l’espressione liturgico-teologica di:

Admirabile commercium.Valorizza in questo contesto, il binomio inscindibile di Grazia increata-creata.

La Grazia increata è la stessa presenza del Crocifisso glorioso, nel dono del suo Santo Spirito: questo dono increato perché divino (non viene da noi) accolto in noi trasforma in profondità l’uomo, lo fa il suo tempio vivente, vivificato dalla presenza del suo ospite, assimilando la nostra vita alla sua propria vita. Questa trasformazione viene indicata come grazia creata.

Grazia creata non indica in noi una specie di lava fredda, una entità di grazia staccata dalla sua origine, di cui l’uomo si approprierebbe: essa esprime il fatto incontestabile che siamo proprio noi, il nostro essere di creatura, che la presenza attiva dello Spirito Santo, lo Spirito di Cristo, divinizza, senza per questo assorbirci o dissolverci in Dio

Dopo avere così descritto i termini correlativi, de Lubac delinea le fondamentali conseguenze, la spiritualità cristiana che ne deriva:

1.3.d Umiltà:

Virtù relativa alla verità fondamentale del rapporto religioso, soprannaturale, quindi alla realtà essenziale delle cose, che mette in primo piano l’esistenza di Dio personale, onnipotente, onnipresente, che si dona all’uomo, l’attira a sé; è l’umiltà della S. Vergine del Magnificat, che conferisce alla creatura, nella totale dipendenza da Dio, la propria vera consistenza.

Umiltà è la disponibilità ad accogliere ciò che non può nascere né dalla carne, nè dal sangue, che discende dall’alto (Gv l,12-14; 3, 6-7); è una novità cristiana, sconosciuta ai Greci, ai pagani; ha realizzato una vera e completa rivoluzione morale-religiosa; è frutto della consapevolezza della Incarnazione del Verbo, della sua Pasqua.

Del tutto evangelica, paolina, rappresenta la caratteristica stessa dell’essere cristiano. Come l’espressione piena dello spirito del mondo peccatore consiste nell’orgoglio della vita (1 Gv 2,16), al contrario il Cristianesimo ha fatto dell’umiltà il suo stesso modo di esistere, il suo ritmo, il suo gusto segreto, la sua attitudine esteriore e profonda, carnale e spirituale, la sua andatura, il suo costume, la sua esperienza continua, il suo essere. Questa umiltà teologica non deprime l’uomo, ma lo innalza alla comunione con Dio, ne consacra la grandezza.

L’umiltà si oppone ad un desiderio di autonomia totale, di inventare il mondo, di creare i propri valori: in pratica rifiutare Dio ed il suo dono; umanesimi senza riferimenti, che si trasformano in anti-umanesimo

1.3.e Mistero:

Il soprannaturale cristico esprime la nostra assimilazione al Verbo incarnato, il Crocifisso glorioso, nel suo Santo Spirito. Ora il Verbo incarnato, profondamente partecipe della nostra natura umana (ne è Lui la vera misura, il centro della solidarietà salvifica) si presenta a noi trascendente, sta dinnanzi a noi, sia nella sua Persona divina di Figlio (Dio da Dio, luce da luce, consustanziale al Padre), sia nella sua Umanità crocifissa gloriosa (essa ha in sé il Pleroma, la Pienezza di ogni verità e grazia per tutta la creatura)

364 Cfr von BALTHASAR H.U., La teologia di K. Barth, Jaca book, Milano 1985, 362

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Stante questa dimensione trascendente (pur nella sua intima immanenza) il Soprannaturale cristico è strettamente Mistero, realtà rivelata, esprime l’evento unico dell’Incarnazione-Pasqua di Cristo, che ci conduce sino alla visione beatifica di Dio

Se così il fine ultimo e necessario dell’uomo è strettamente soprannaturale, se esso trascende tutto ciò che potrebbe essere ottenuto con le forze umane, risultare da una storia semplicemente umana, non ci stupiremo del suo carattere di Mistero.

La nostra situazione soprannaturale è di un altro ordine: nè per la penetrazione di una intelligenza geniale, nè per uno sforzo collettivo, nè per la lenta maturazione della storia potrebbe essere razionalizzata.

Il Mistero della fede è generatore di ragione (Fides, si non cogitatur, nulla est): ma essa non è nè una scienza, nè una filosofia rivelata; tali termini non hanno alcun senso: essa è di un altro ordine.

Il Mistero della fede trova la sua norma, anche linguistica, nella Parola filiale, Immagine verità del Padre, che si dona a noi nella sua Incarnazione, che si esprimerà pienamente nel Mistero pasquale. Sin dall’origine la fede cristiana si è spontaneamente tradotta in simboli e concetti normativi; la Chiesa apostolica ha riconosciuto il dono della Scrittura ispirata. Nel corso della sua storia la Chiesa apostolica ha ritenuto necessario concettualizzare in modo ancor più preciso il Mistero rivelato: Cristo, SS. Trinità., SS Eucaristia, Peccato originale, Mistero Mariano….per guidare il cristiano su rotta sicura verso il suo fine soprannaturale, per proteggerlo contro i tentativi incessantemente reiterati di mettere le mani su di esso, rinchiuderlo nella strettoia alterante degli schemi umani.

I nostri Padri della Fede, i principali autori delle fondamentali definizioni Cristologiche e Trinitarie temevano più di tutto una curiosità sacrilega, riducente il Mistero rivelato al chiuso della razionalità umana.

1.3.f Trasformazione.

Il Soprannaturale non solo eleva la natura (termine corretto, ma ancora debole), non solo penetra la natura per aiutare e prolungare il suo slancio, farlo riuscire; la Pienezza divina non si limita a prolungare la creatura, le sue finalità immediate, ma trasforma, trasfigura, metamorfosa la natura umana; il Cristianesimo è una dottrina di trasformazione, perché lo Spirito di Cristo, che viene a rinnovare la creazione, realizza una nuova creatura, attraverso una rinascita.

Questa trasformazione sarà del tutto evidente nella Parusia, quando la piena manifestazione del Crocifisso glorioso, di Cristo, realizzerà il mondo della Risurrezione, in cieli nuovi e terra nuova; ma già ora, nella giustificazione battesimale, si da una vera rinascita. In ogni caso questa rinascita passa attraverso una morte: un guardare oltre la figura di questo mondo e del nostro corpo mortale, segnati dal peccato; la fine di una vita di peccato. Cristo si presenta a noi in una vera natura umana, per portarci, nella sua Pasqua, alla comunione col Padre, come figli, fratelli; non è venuto direttamente, per liberare Israele, fare riuscire le tecniche e le scienze, darci una perfetta legislazione sociale, ma per donarci la vita soprannaturale, la sua Verità filiale, fraterna, nell’Amore Spirito Santo: quindi una preghiera nuova, una comunità religiosa nuova, un sacerdozio nuovo, beatitudini, famiglia nuova….

Il soprannaturale cristico diviene cosi il principio, la misura dell’Ascesi cristiana: essa non è nè il disprezzo del corpo o di qualche aspetto di questa creazione, nè solo un certo controllo, astinenza, in vista di una qualche più efficiente prestazione naturale; essa è la disponibilità affinché si realizzi, sulla misura di Cristo, l’unione vitale di due incommensurabili, Dio e l’uomo.

Il Verbo di Dio, venendo in questo mondo, non entra in concorrenza, sullo stesso piano, come se fosse uno dei tanti elementi di questo mondo, con tutto ciò che l’umanità poteva offrire nei

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comportamenti individuali o nella vita sociale, di vero, di bello, di giusto; neppure è venuto come una forza rovinosa, che distrugge nella sua conquista tutta la storia religiosa dell’umanità, le acquisizioni della loro cultura morale, ma è venuto come esigenza di un rinnovamento totale.

Cristo richiede di essere accolto, amato più di tutti e di tutto, di essere anche disposti a tutto perdere per Lui, i valori evangelici; ma questa operazione è solo apparente perdita, in realtà è salvare, ricevere una creazione nuova, autentica.

Il digiuno cristiano ha come sua misura la conformità allo Sposo, Cristo, che ci attira a sé per la pienezza della Comunione trasformante (cfr Mt 9,14-17); non si tratta di ingolfarci di creature, ma di aderire a Cristo, nella lode, riverenza di Dio, con l’uso onesto delle creature, secondo la propria vocazione.

Aderire a Cristo, sapendo che in Lui si da il Pleroma, la pienezza dei valori, per la trasfigurazione di ogni creatura. Lui è la misura, la realizzazione piena di ogni <archetipo>, dimensione sociale costitutiva umana: come Figlio, fratello, sposo, signore, servo. Nella sua Croce gloriosa ha vissuto con intensità unica tutte queste dimensioni archetipali, prendendo su di sé tutte le profanazioni del peccato, per rinnovarle, riconciliarle nel suo Corpo ecclesiale.

H. U. von Balthasar per esprimere queste finalità, cita il forte cristocentrismo di Guardini R.:

“In che cosa consiste, ad esempio la formazione cristiana del pensiero? Anzitutto l’uomo vive con i suoi pensieri nel mondo generale, e assume come loro criterio l’esperienza delle cose e le regole generali della logica. In base a ciò egli giudica ciò che è e può essere. Ma appena si incontra con Cristo, deve prendere una decisione: può giudicare anche costui secondo i punti di vista generali? Dapprincipio l’uomo cercherà di comportarsi proprio così, ma ben presto noterà che qui ha da fare con qualcosa di speciale. Avvertirà una esigenza; di rovesciare il rapporto e prendere Cristo come punto di partenza. Non si tratterà più di riflettere su di Lui, ma a partire da Lui. Non si tratterà più di porlo sotto le leggi del pensiero e dell’esperienza immediati, ma di riconoscerlo come il criterio supremo del reale e del possibile. Quanto sinora era sicuro, viene messo in discussione.

L’immagine della realtà subisce una trasformazione. E diventa sempre più pressante il problema se Cristo sia realmente così grande da poter essere il criterio di tutto. Se veramente il mondo tenda verso di Lui. […] Ma nella misura in cui persevera, il pensiero si rende conto che egli è veramente la categoria che fonda ogni cosa, il sistema di coordinate logiche in cui tutto acquista la sua verità. Ora la figura di Cristo trascende tutti i criteri, per essa non c’è alcuna misura. Ė essa stessa la misura” 365.

E’ semplicemente l’insegnamento di Paolo, quando professa che Cristo è lo spazio, la figura, la potenza che elevano e trasformano il credente e l’intera esistenza. Non Cristo è nel mondo, ma piuttosto il mondo è in Lui, esistente in Lui.

Ricorda ancora Przywara E. che non esiste nessuna religione puramente naturale, ma tutto, senza eccezione, coscientemente o meno, in misura massima o minima porta come forma ultima l’unico soprannaturale cristico; tutte le relazioni devono ricondursi all’unica relazione portante: Dio nel Cristo crocifisso, nella Chiesa con-crocifissa 366

1.4 SintesiAbbiamo ora a disposizione elementi sufficienti per delineare la vita cristiana come sintesi,

sotto il Soprannaturale Cristico, dell’intera esistenza umana.

Il soprannaturale imbibisce, spiritualizza l’ordine naturale, senza per questo privarlo dei suoi diritti e delle sue ricchezze; il fine dell’uomo è unico, necessario, soprannaturale: ma esso attraversa, qualificandoli, tutti i fini naturali più immediati.

365 von BALTHASAR, H.U. La teologia di K. Barth, cit., 352s366 ivi 350s

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Le tre virtù teologali, Fede, Speranza, Carità, dimostrano il loro vigore, la loro forza divina, se oltre ad animare ed esprimersi in una vita di Preghiera, adorazione filiale, purificano, informano, perfezionano la realtà autenticamente umana.

La santità cristiana è di altro ordine rispetto ad una equilibrata saggezza umana; ma attraverso circostanze nuove, lotte spirituali rinnovate, dovrà sempre ricercare equilibrio, armonia, sintesi. Per questo nella Summa theologica di S. Tommaso le virtù cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza hanno un così largo spazio.

Nessuna cultura è mai neutra, e la cultura di un Cristiano non potrà essere che cristiana: essa sarà tanto più cristiana e profonda, se facendo drenaggio di più elementi umani attinti alle sorgenti più diverse, li illuminerà, purificherà, vaglierà, trasformerà e coordinerà per quel principio assimilatore che è la Fede di cui si nutre.

.

1.5 Sintesi, ricapitolazione in Cristo, autonomia legittima, [Teonomia, Cristonomia]

H. de Lubac osserva che il termine soprannaturale è sì usato nel Vaticano II 367, ma in contesti alquanto marginali. Ma risulta normale che un Concilio eviti terminologie troppo di scuola, ed inoltre alquanto consunte dall’uso diffuso occidentale, mentre l’Oriente non vi è quasi ricorso.

Ma se manca il termine, si danno tutti i contenuti sopra ricordati, per esempio:

LG 2:“L’eterno Padre con liberissimo disegno decise di elevare gli uomini alla partecipazione della vita divina”.

LG 5:“E venuto quindi il Figlio mandato dal Padre, il quale in Lui, prima della fondazione del mondo, ci ha eletti e ci ha predestinati ad essere adottati in figli”.

LG 7: “Il Figlio di Dio, unendo a sé la natura umana, ha redento l’uomo e lo ha trasformato in una nuova creatura”.

LG 48: “La Chiesa, alla quale tutti siamo chiamati in Cristo Gesù, e nella quale per mezzo della grazia di Dio acquistiamo la santità”.

DV 2: “Piacque a Dio nella sua bontà manifestare il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura”.

DV 6: “Con la divina rivelazione Dio volle manifestare e comunicare Se stesso e i decreti eterni della sua volontà riguardo alla salvezza degli uomini, per renderli cioè partecipi di quei beni divini, che trascendono la comprensione della mente umana”.

GS 22: “Poiché in Cristo la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche, per conto nostro innalzata ad una dignità sublime”.

GS 38: “Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, fattosi carne Lui stesso e venuto ad abitare sulla terra degli: uomini, entrò nella storia del mondo come uomo perfetto, assumendo questa e ricapitolandola in sé”

AG 2:“[…]Per la sua immensa e misericordiosa benevolenza il Padre liberamente ci crea ed inoltre gratuitamente ci chiama a partecipare alla sua vita e alla sua gloria”.

II rapporto Cristo realtà temporali viene espresso con particolare attenzione allorché si parla della vita e dell’attività del cristiano: in esso ritroviamo la stessa esistenza secolare, con le sue

367 LG n 12, 61; CD 17, 20, 22, 35; OT 11, 2l; AA 6, 7,8, 24, 30; PO 16

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riconosciute libertà e autonomie, ma animata da valori religiosi, evangelici, sottoposta al progetto storico e al comandamento di Dio:

LG 31: “Ai laici quindi particolarmente spetta di illuminare e ordinare tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente legati, in modo che siano sempre fatte secondo Cristo, e crescano e siano di lode al Creatore e Redentore”.

GS 45: “Siano contenti i cristiani seguendo l’esempio di Cristo, che fu un artigiano, di poter esplicare tutte le loro attività terrene, unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio”.

Si insiste tanto sulla sintesi cristiana, da suscitare la questione:GS 36: “Molti nostri contemporanei, però sembrano temere che, se si fanno troppo stretti i

legami tra attività umana e religione, venga impedita l’autonomia degli uomini, della società, delle scienze”.

In questo contesto, per orientare una corretta sintesi cristiana, eliminare ansietà, viene introdotto l’uso di autonomia: si ricerca una autonomia vera, giusta, evitando false e dissolventi autonomie

1.5.a Autonomia, Teonomia, Cristonomia nel Vaticano II e nella Veritatis Splendor.

II discorso sull’autonomia non si presenta facile: lo stesso termine è nuovo nell’uso teologico, bisognoso quindi di precisazioni e di contesto. Ha un uso anzitutto giuridico: una indipendenza limitata, come le regioni autonome italiane.

Si attribuisce a Kant il lancio del termine in questioni morali 368. La discussione circa autonomia, eteronomia, Teonomia, Cristonomia si è sviluppata nel campo della Teologia morale: la ritroveremo nella Veritatis splendor.

Nei testi del Vaticano II il termine <autonomia> compare 17 volte, con un uso limitato - ed è significativo - alla GS 13 volte e AA 4 volte; la massima frequenza si nota nel n 36 della GS (5 volte), apparendovi fin dal titolo: “La legittima autonomia delle realtà terrene”. Infatti questo n 36 intende sciogliere l’ansietà sopra ricordata, che nella sintesi cristiana venga impedita l’autonomia degli uomini, società e scienze.369

Per superare tale ansietà viene teologicamente precisato il termine in questione:

“Se per «autonomia delle realtà terrene» intendiamo che la cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradualmente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza legittima, che non solo è postulata dagli uomini del nostro tempo, ma anche è conforme al volere del creatore. Infatti è dalla loro stessa condizione di creatura che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità e bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l’uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza ed arte”.

Il testo conciliare riconosce quindi che una ricerca scientifica, condotta secondo il metodo delle singole discipline e “secondo le norme morali”, non sarà mai in contrasto con la fede, anzi ne favorirà l’inserimento nel progetto sapiente di Dio; si deplorano perciò certe contese del passato “derivate dal fatto di non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza”.

368 Cfr KANT I., Fondazione della metafisica dei costumi, A 88; Critica della ragion pratica, A 58, cfr SALA G.B., Competence of the Magisterium, Reazione, in L’Antropologia della Teologia morale secondo l’Enciclica “Veritatis splendor”, Atti del Simposio promosso dalla Cong. per la Dottrina della Fede, Roma, sett. 2003, LEV 2006.

369 Cfr ARMENDARIZ L.M., Ombre y mundo a la luz del Creador, cit. 377-408.

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Dopo avere cosi individuato i contenuti di una legittima autonomia, si pone la questione dell’abuso del termine:

“Se invece con l’espressione «autonomia delle realtà temporali» si intende che le cose create non dipendono da Dio, e che l’uomo può adoperarle così da non riferirle al Creatore, allora nessuno che creda in Dio non avverte quanto false siano tali opinioni. La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce. Del resto tutti coloro che credono, a qualunque religione appartengano, hanno sempre inteso la voce e la manifestazione di Lui nel linguaggio delle creature. Anzi l’oblio di Dio priva di luce la creatura stessa”.

Notiamo in questo testo come l’autonomia delle realtà terrene, viene considerata quasi, un corollario della “creazione”, cioè della verità rivelata, ma già accessibile alla stessa ragione, che esprime il fondamentale corretto rapporto tra Dio e la sua opera.

Confessare il Creatore significa riconoscere Dio come Dio, e la creatura come l’altro da Dio, quindi con una sua consistenza oggettiva, con una sua natura principio di attività propria, anche se, in quanto creata, del tutto dipendente e radicalmente ordinata al proprio Creatore. L’autonomia corretta delle scienze, della società, importa il costante richiamo trattarsi di realtà create: qui si fonda il metodo corretto per trattarle, conoscerle, orientarle al loro fine.

In quanto poi sono attività propriamente umane, ogni ricerca deve condursi secondo le norme morali. Questo richiamo alla creazione, in particolare per le norme morali umane, ci ricorda che la debita autonomia è teonomica, cioè in ogni campo, e specialmente nel comportamento morale, il riferimento ultimo è sempre Dio, della Creazione e dell’Alleanza. In ogni campo si ricerca, con metodo appropriato, la sua verità iscritta nella creazione, perché l’uomo possa orientarle al loro fine.370

L’uomo in particolare è conscio, come creatura secondo l’immagine stessa di Dio, che la sua intelligenza partecipa dell’intelligenza divina, il suo progetto di Vita è già tracciato dalla Sapienza creatrice.

L’uomo partecipa dell’intelligenza divina, perché è stato creato secondo l’Immagine di Dio, il Logos di Dio, Verbo incarnato, capace quindi di conoscere quelle leggi che la stessa Sapienza creatrice ha iscritto nel suo essere spirituale-corporeo, nella natura razionale interpersonale umana. L’uomo infatti è anima, principio spirituale razionale, direttamente forma del suo corpo (DH 902; VS n 48). Il corpo umano è quella materia biologica-psichica, di cui l’anima ha necessità per esistere e operare spiritualmente. 371

Il corpo, così plasmato direttamente dall’anima spirituale, porta in sé, nelle sue inclinazioni fondamentali, come un programma di comportamenti morali ivi iscritti per creazione dal suo Creatore ;372 l’uomo deve responsabilmente come decifrarli con la sua ragione, raggio creato della Sapienza ragione creatrice, ricavarne la legge naturale in lui iscritta.373.

Possiamo qui riferirci all’insegnamento della Veritatis Splendor:

370 Cfr MOSCHETTI S., La legittima autonomia delle realtà terrene, riflessioni sulla GS, in Civ. Cat. 135 (1984) IV 428-440.

371 In questa unità dell’uomo, che sta tutto davanti a Dio, il cui corpo ed i suoi atti umani hanno dignità e valore morale, come dice VS al nn 48-50, si fonda l’osservanza della legge morale, dei Comandamenti, cfr CANIZARES LLOVERA A., L’orizzonte teologico della morale cristiana, in MELINA L.-NORIEGA J., Camminare nella luce, prospettive della teologia morale a partire da Veritatis splendor, Lat. Univ. Press 2004, 47-64.

372 Si può notare come dopo Cartesio la considerazione dell’uomo come natura razionale è stata dissociata; da una parte la res cogitans, dall’altra la res estensa; l’unità dell’uomo, come anima razionale direttamente forma del corpo umano, non guida più la ricerca dei valori morali, tenendo presente le inclinazioni naturali della natura razionale; di qui molte difficoltà della morale fondamentale, quelle indicate dalla Veritatis splendor, nn. 74-83. Ne segue un’etica in cui libertà e verità vengono pur esse dissociate, come indica la Veritatis splendor nn. 60-64. Per evitare una morale astratta, estrinsecismo della verità morale, la lezione di BLONDEL M., L’action (1893), Essai d’un critique de la vie et d’une science de la pratique, rimane valida.

373 cfr De FINANCE J., Etica generale, ed. Pont. Univer. Gregoriana 1997, 270-273.

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VS 40: “L’insegnamento del Concilio sottolinea da un lato, l’attività della ragione umana nel rinvenimento e nella applicazione della legge morale: la vita morale esige la creatività e l’ingegnosità proprie della persona, sorgente e causa dei suoi atti deliberati. D’altro lato, la ragione trae la sua verità e la sua autorità dalla legge eterna, che non è altro che la stessa Sapienza divina. Alla base della vita morale sta sempre dunque il principio di una “giusta autonomia” dell’uomo, soggetto personale dei suoi atti[…]. La legge naturale infatti, come si è visto, altro non è che la luce dell’intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa noi sappiamo ciò che si deve compiere e ciò che si devo evitare. Questa luce e questa legge Dio la ha donata nella creazione.

La giusta autonomia della ragione pratica significa che l’uomo possiede in se stesso la propria legge, ricevuta dal Creatore. Tuttavia l’autonomia della ragione non può significare la creazione, da parte della stessa ragione, dei valori e delle norme morali; una tale pretesa autonomia contraddirebbe l’insegnamento della Chiesa sulla verità dell’uomo. Sarebbe la morte della vera libertà: «dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché quando tu ne mangiassi, certamente moriresti»( Gn 2,17) “ 374

Questa legittima autonomia morale non può essere percepita come una pesante <eteronomia>, quasi gli fosse imposta da un Dio arbitrario una legge contraria, non conforme alla sua natura, l’essere creato secondo l’Immagine di Dio, Cristo Signore; abbiamo già considerato l’errore di Ockham in proposito.375 L’uomo che ricerca e segue la legge iscritta nella sua natura razionale interpersonale, non solo agisce in modo conforme alla sapienza divina, il Verbo creatore, ma in perfetta linea con il suo essere costitutivo; cresce così verso la beatitudine, la pienezza della sua vita. 376

Anche sotto questi aspetti ascoltiamo ancora la Veritatis splendor: 377

VS 41: “La vera autonomia morale dell’uomo non significa affatto il rifiuto, bensì l’accoglienza della legge morale, del comando di Dio; «II Signore diede questo comando all’uomo…»(Gn 2,16). E pertanto l’obbedienza a Dio non è, come taluni credono, un ‘eteronomia’, come se la vita morale fosse sottomessa alla volontà di una onnipotenza assoluta, esterna all’uomo, e contraria all’affermazione della sua libertà. In realtà, se eteronomia della morale significasse negazione dell’autodeterminazione dell’uomo o imposizione di norme estranee al suo bene, essa sarebbe in contraddizione con la rivelazione dell’Alleanza e della Incarnazione redentrice.

Una simile eteronomia non sarebbe che una forma di alienazione contraria alla sapienza divina e alla dignità della persona umana. Alcuni parlano a ragione di teonomia, o di teonomia partecipata perché la libera obbedienza dell’uomo alla legge di Dio implica effettivamente la partecipazione della ragione e della volontà umana alla sapienza e provvidenza divina. Proibendo all’uomo di mangiare <dell’albero della conoscenza del bene e del male> Dio afferma che l’uomo non possiede originariamente in proprio questa <conoscenza>, ma solamente vi partecipa mediante la luce della ragione naturale e della rivelazione divina, che gli manifestano le esigenze, e

374 Anche in ambito ecumenico si assiste ad una tendenza “a <de-moralizzare> la Chiesa, quando si tratta di tematiche etiche specifiche, relative agli ambiti della moralità personale; per altro si arriva addirittura a identificare il contenuto dell’appartenenza ecclesiale (e dell’ecumenismo) con l’impegno etico politico, mettendo tra parentesi l’aspetto dogmatico, come se fosse secondario e non qualificante l’identità cristiana”: MELINA L., Chiesa ed antropologia filiale. Riflessioni sull’Enciclica Veritatis splendor, in L’Antropologia della teologia morale secondo l’Enciclica Veritatis splendor, cit 256.

375 Cfr BORGONOVO G., Che cosa diventa la legge naturale nel contesto dell’Antropologia filiale? Reazione, in L’Antropologia della teologia morale secondo l’Enciclica Veritatis splendor, cit. 234, citando PINCKAERS S., Les sources de la morale chrétienne. Sa méthode, son contenu, son histoire , Ed universitaires, Friburg-Suisse/Cerf, Paris 1993, 250-263

376 Cfr RHONHEIMER M., Autonomia y teonomia moral secun la enciclica Veritatis splendor, in del POZO ABEJON ed., Commentarios a la Veritatis splendor, BAC, Madrid 1994, 543-574

377 Cfr RATZINGER J., Il rinnovamento della Teologia morale: prospettive del Vaticano II e di Veritatis splendor, in MELINA L. NORIEGA J., Camminare nella luce, prospettive della teologia morale a partire dalla Veritatis splerndor, Lateran University Press, 2004, 35-45.

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gli appelli della sapienza eterna,[…] sottomettendosi ad essa, la libertà si sottomette alla verità della creazione”

L’autonomia teonomica non è quindi minimamente eteronomia, qualcosa di imposto all’uomo dall’esterno, contrario alla sua identità; l’intelligenza dell’uomo è un raggio dell’intelligenza divina, che gli manifesta la legge in Lui iscritta per creazione; questa legge naturale risulta conforme, assunta nella rivelazione cristiana che gli manifesta l’unico sapiente progetto del Dio dell’Alleanza e della creazione. 378

Dio che si manifesta e dona per Cristo nello Spirito Santo, benché del tutto trascendente, è parimenti del tutto interiore all’uomo: l’uomo è stato sin dall’inizio creato secondo l’Immagine del Verbo incarnato, chiamato a conformarsi a Lui. La vera autonomia, teonomia partecipata, è quindi in concreto cristonomica, ha in Cristo la sua norma e misura. Ci ricorda infatti la Gaudium et spes:

GS n 22: “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” 379

Nelle stesse prospettive si muove Giovanni Paolo II nella sua prima e quasi programmatica enciclica: la Redemptor hominis. La sua vera finalità è quella di approfondire, vitalizzare, fare penetrare ulteriormente negli inscindibili legami che uniscono il Redentore, la sua Chiesa, l’uomo; l’uomo che è “la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione”(n 14). L’uomo “deve per così dire, entrare in Cristo con tutto se stesso, deve appropriarsi ed assimilare tutta la realtà della Incarnazione e Redenzione per ritrovare se stesso”(n 10).

L’uomo per ritrovare se stesso, fare sintesi salvifica della propria vita deve accogliere con tutto se stesso il Verbo incarnato che ci porta al Padre, al mondo della sua risurrezione, attraverso la Croce.

E sulla Croce che Cristo ha realizzato la sintesi decisiva della sua vita e della vita dell’intera umanità: ha manifestato e vissuto la pienezza dell’Amore divino paterno nella dedizione obbediente filiale che porta il peso di tutta la solidarietà umana fraterna ribelle per riconciliarla al Padre:

GS 38: “Cristo ci insegna con il suo esempio che è necessario anche portare la Croce; quella che dalla carne e dal mondo viene messa sulle spalle di quanti cercano la pace e la giustizia”.

E solo partecipando della Croce di Cristo il cristiano farà sintesi salvifica della sua vita:GS 37: “Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le

potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza sosta per poter restare unito al bene, ne può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio. Se dunque si chiede come può essere vinta tale miserevole situazione, i cristiani per risposta affermano che tutte le attività che sono messe in pericolo quotidianamente dalla superbia e dall’amore disordinato di se stessi, devono venire purificate e rese perfette per mezzo della Croce e della Risurrezione di Cristo. Redento infatti da Cristo e diventato nuova creatura dello Spirito Santo, l’uomo può e deve amare anche le cose che Dio ha creato. Da Dio le riceve, le guarda come se al presente uscissero dalle mani di Dio. Di esse

378 Si manifesta qui il valore di uma morale filiale, in quanto espressione dell’identità filiale, conformità a Cristo; assume, mentre la qualifica, la legge naturale razionale: cfr TREMBLAY R., in TREMBLAY R. ZAMBONI S., ed., Figli nel Figlio, una teologia morale fondamentale, EDB 2008, 165-184. Id., Le role du Christ dans la morale fondamentale du Catechisme de l’Eglise catholique, liens à Vatican II et évaluation, in ST. Mor. 32 (1994) 45-59.

379 Cfr REY B., Crées dans le Christ Jésus, Cerf, Paris 1966, 157-230; BONNARD P.E., La Sagesse en persone annoncée et venue: Jésus Christ, ivi, 1966, 123-157; FEUILLET A., Le Christ sagesse de Dieu, Gabalda, Paris 1966, 163-273.

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ringrazia il Benefattore e, usando e godendo delle creature in povertà e libertà di spirito, viene introdotto al vero possesso del mondo, quasi al tempo stesso niente abbia e tutto possegga: «tutto infatti è vostro: ma voi siete di Cristo, Cristo di Dio» (l Cor 5, 22)”.

Nel realizzare, portando la Croce, la nostra interna ed esterna unità nell’uso delle Creature, la GS ci ricorda ancora che la vera, definitiva sintesi, ricapitolazione in Cristo Crocifisso-Glorioso, non è di questo mondo, passa attraverso una morte:

GS 39 “Passa certamente l’aspetto di questo mondo, deformato dal peccato […..] restando la carità con i suoi frutti, sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella realtà, che Dio ha creato appunto per l’uomo”.

Sempre restando nella prospettiva della sintesi cristiana, soprannaturale, non ci stupiremo che il termine “autonomia” ritorni nel decreto sull’Apostolato dei Laici:

AA 7: “Ė compito di tutta la Chiesa aiutare gli uomini affinché siano resi capaci di ben costruire tutto l’ordine temporale e di ordinarlo a Dio per mezzo di Gesù Cristo. É compito dei Pastori enunciare con chiarezza i principi circa il fine della creazione e l’uso del mondo, dare gli aiuti morali e spirituali affinché l’ordine temporale venga instaurato in Cristo. Ai laici tocca assumere la instaurazione dell’ordine temporale come compito proprio e, in esso, guidati dalla luce del Vangelo e dal pensiero della Chiesa e mossi dalla carità cristiana, operare direttamente ed in modo concreto; come cittadini cooperare con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità; cercare in ogni cosa e dappertutto la giustizia del regno di Dio”.

In questo contesto di animazione cristiana dell’ordine temporale AA n 7 tratta del rapporto tra i fini immediati delle realtà temporali, ed il fine ultimo, soprannaturale, dell’uomo:

“Tutte le realtà che costituiscono l’ordine temporale, cioè i beni della vita, della famiglia, la cultura, l’economia, le arti e le professioni, le istituzioni della comunità politica, le relazioni internazionali e cosi via, come pure il loro evolversi e progredire, non soltanto sono mezzi con cui l’uomo può raggiungere il suo fine ultimo, ma hanno un valore proprio riposto in esse da Dio, sia considerate in se stesse, sia considerate come parti di tutto l’ordine temporale: «E Dio vide tutte le cose che aveva fatto, ed erano assai buone ( Gn 1,31)».

Questa loro bontà naturale riceve una speciale dignità dal rapporto che esse hanno con la persona umana a servizio della quale sono state create. Infine piacque a Dio unificare in Cristo Gesù tutte le cose, naturali e soprannaturali, «affinché egli abbia il primato su tutte le cose (Col 1,18)».

Questa destinazione, tuttavia, non solo non priva l’ordine temporale della sua autonomia, dei suoi propri fini, delle sue proprie leggi, dei suoi propri mezzi, della sua importanza per il bene dell’uomo, ma anzi lo perfeziona nella sua consistenza e nella propria eccellenza, e nello stesso tempo lo adegua alla vocazione totale dell’uomo sulla terra”.

In questo compito i laici devono continuamente farsi guidare dalla loro unica coscienza cristiana; dice infatti AA 5:

“I laici dunque, svolgendo la missione della Chiesa, esercitano il loro apostolato nella Chiesa e nel mondo, nell’ordine spirituale e in quello temporale: questi ordini sebbene siano distinti, tuttavia nell’unico disegno divino sono così legati che Dio stesso intende ricapitolare in Cristo tutto il mondo, per formare una creazione novella, in modo iniziale sulla terra, in modo perfetto alla fine del tempo. Nell’uno e altro ordine il laico, che è simultaneamente fedele e cittadino, deve continuamente lasciarsi guidare dalla sua unica coscienza cristiana”.

Unica coscienza cristiana perché il Vangelo, il vissuto cristiano secondo le Beatitudini (Mt 5,1-12), le virtù infuse di Fede, Speranza Carità, il molteplice frutto dello Spirito Santo (Gal 5,22) portano a pienezza la norma fondamentale dei Dieci comandamenti (Mt 5,21-48), accessibile alla coscienza corretta di ogni uomo. Nelle valutazioni della nostra coscienza si annida sempre la possibilità dell’errore. Ciò può avvenire in modo invincibile, forse senza responsabilità morale, ma

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l’errore costituisce sempre un vero inquinamento, perché allontana dalla verità, dalla legge naturale, iscritta da Dio nell’uomo e nelle sue relazioni interpersonali, nella gestione corretta del cosmo.

Compito proprio della Chiesa è <di contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali, senza le quali non vengono costruite strutture [sociali] giuste, né queste possono essere operative a lungo>380; è questa un’applicazione di quel principio generale che il Dio dell’Alleanza è Lui l’unico creatore, che ci permette attraverso la Rivelazione-fede di <conoscere facilmente, con assoluta certezza e senza alcun errore ciò che nelle cose divine non è di per sé inaccessibile alla ragione umana>(DH 3005). Questo non significa che la Chiesa , nei sui Pastori, abbia subito la risposta pronta <ad ogni problema che sorge, anche a quelli più gravi>(GS 43). A problemi contingenti urgenti, può anche avere dato risposte contingenti.381

A questo punto della nostra ormai ampia riflessione sul Soprannaturale cristico, questo lasciarsi guidare da una unica coscienza cristiana, ci risulta ampiamente comprensibile: sia infatti ricercando, attraverso la debita esperienza e con il metodo proprio delle singole discipline, la verità iscritta nella Creazione, sia ricevendo dalla Chiesa la verità rivelata di Cristo, vero Dio e vero uomo, il credente si muove sempre nell’ambito dell’unica Parola, Verità filiale creatrice e redentrice, lascia illuminare la sua coscienza dalla luce di Cristo: una unica coscienza cristiana.

2 La creazione <del tutto libera>, <dal nulla > <della totalità della creatura>, <dalla pienezza di Cristo>.

Dopo avere sviluppato alquanto le articolazioni tra Alleanza e creazione, il Soprannaturale cristico e la natura, ci concentriamo ora, seguendo il Vaticano I e II, su Dio che ha creato l’uomo ed il suo mondo, <liberrimo consilio>, <per manifestare la sua perfezione [ per Cristo ] attraverso i beni che concede alle sue creature>, <ex nihilo>.(DH 3000, 3025).

Intendiamo delineare meglio l’atto creatore di Dio: che sia totalmente libero, gratuito atto di amore, ci risulta già dalla Teologia biblica della creazione; Dio agisce con volontà personale, libera da ogni condizionamento, per un fine preciso, renderci partecipi della vita filiale manifestata nel Verbo incarnato.

Ne segue la particolare struttura di libertà propria della storia salvifica.; la libertà umana risulta la qualità più preziosa e caratteristica dell’uomo, libero perché voluto a immagine di in Dio libero. Ne tratteremo quindi nel luogo opportuno, al termine cioè del nostro percorso teologico.

Il Vaticano I, in questo contesto di creazione del tutto libera, dal nulla, parla della causa esemplare e finale dell’atto creatore di Dio, <manifestare la sua perfezione attraverso i beni che concede alle sue creature>; sappiamo dalla teologia Biblica, e dalla Professione di fede Nicena, come questa causa esemplare sia il Verbo, a noi conosciuto in quanto incarnato: <per Quem omnia facta sunt>. Abbiamo percorso gli sviluppi teologici di Bonaventura e di Tommaso, l’insegnamento esplicito del Vaticano II, notando la preziosità di questo insegnamento per l’intelligenza di Creazione e Redenzione, e la sfasatura della visione dell’uomo in tutti i suoi aspetti che consegue al suo oscuramento in Ockham, Lutero e Hegel. La Commissione teologica internazionale può a ragione parlare di creazione <dalla pienezza di Cristo>.382

380 BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n 29381 Cfr BENEDETTO XV, Le ermeneutiche del Vaticano II, Discorso alla Curia romana, in Regno Documenti, n

1, 2006, 9 .”In questo processo di novità nella continuità dovevamo imparare a capire più concretamente di prima che le decisioni della Chiesa riguardanti cose contingenti – per esempio certe forme concrete di liberalismo o di interpretazione liberale della Bibbia – dovevano essere esse stesse contingenti, appunto perché riferite ad una determinate realtà in se stessa mutevole.

Bisognava imparare a riconoscere che, in tali decisioni, solo i principi esprimono l’aspetto duraturo, rimanendo nel sottofondo e motivando la decisione dal di dentro. Non sono invece ugualmente permanenti le forme concrete, che dipendono dalla situazione storica e possono quindi essere soggette a mutamenti. Così le decisioni di fondo possono restare valide, mentre le forme della loro applicazione a contesti nuovi possono cambiare”.

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Cerchiamo ora di penetrare questo aspetto delicato dell’atto creatore di Dio, che crea <dal nulla-ex nihilo>, cioè pone e conserva nell’esistenza la totalità dell’effetto creato, senza alcun condizionamento, né interno, cioè massima libertà, ma neppure esterno, cioè senza alcun presupposto che non sia Lui stesso.

Trattiamo più ampiamente di questo aspetto perché precisare il significato e l’uso della categoria <nulla-nihil> risulta necessario per orientarci nel tramonto della cultura Moderna, con Nietzsche e Heidegger, e nel diffondersi del post-moderno pensiero debole. 383

2.1 La Creazione dal nullaTroviamo questa formulazione, a livello di massimo impiego magisteriale, per la prima volta

nel Lateranense IV (a. 1215, DH 800). Come già conosciamo, l’intento docente di questo Concilio è stato di opporsi al Dualismo; la creazione di Dio è <dal nulla>, cioè non si dà alcunché, fuori di Dio, che possa condizionare l’azione creatrice: Dio pone da solo, la totalità dell’effetto creato; non si da in particolare nessun principio cattivo o buono, che non sia pur esso del tutto creatura del Dio buono. Dio pone quindi nell’esistenza la totalità delle creature: ognuna e tutte insieme; come sono create totalmente da Lui, restano sempre totalmente a Lui sottomesse, a Lui orientate. La <creatio ex nihilo> esclude del tutto sia dualismo sia monismo.

L’espressione magisteriale “creare dal nulla”, rinforza il creare “liberrimo consilio”: Dio non è sottoposto ad alcun condizionamento né interiore, né esteriore a Lui, è il Signore universale. Il Conc. Fiorentino (a. 1442), Decretum pro Iacobitis, sviluppa un’altra verità, inclusa nella stessa espressione, <creare dal nulla>: la creatura, in quanto fatta dal nulla, è natura in se buona, ma soggetta al cambiamento, in divenire, mutevole (DH 1333).

Già troviamo, in strati più antichi del Magistero, simili usi teologici dell’espressione “dal nulla”: così Leone I (a. 447), Lettera al Vescovo Turribio si serve del termine <nihil) per dichiarare la natura non divina dell’anima umana; infatti a Dio, incommutabile pienezza, nulla si aggiunge, nulla si toglie. Dio non ha bisogno della partecipazione di alcuno (Solus autem Deus nullius partecipatione indigus est): è Lui che liberamente partecipa la sua perfezione-pienezza. Dio ha nulla a che fare col nulla; invece la creatura è fatta dal nulla.(DH 285).

Che Dio, Uno Tripersonale, abbia nulla a che fare col Nihil, è affermato anche dal Simbolo del Conc. Toletano XI, (a.675), da altri attribuito a S. Eusebio: si professa che il Figlio unigenito non è “de nihilo”, ma è stato generato dalla sostanza del Padre, a Lui consustanziale. Questo simbolo confessa la fede ecclesiale, che Dio è pienezza ineffabile d’essere, conoscenza ed amore nelle Relazioni trinitarie (prevale l’uso della categoria Sostanza). Dio, Uno Tripersonale non è in alcun modo condizionato dal nulla (DH 526).

S. Tommaso dirà inoltre: “Creatio non est mutatio” 384. La creazione non è una mutazione; non lo è in Dio, pienezza viva: la creatura nulla gli aggiunge, solo partecipa, in modo limitato, della

382 COMISS. TEOLOGICA INTERNAZIONALE,, Comunione e servizio, la persona umana creata ad immagine di Dio, in Civ. Catt. 2004 IV, 271, n 53: ”Se è vero che l’uomo è stato creato ex nihilo, è anche possibile affermare che è stato creato dalla Pienezza (ex plenitudine) di Cristo stesso, che è al tempo stesso creatore, mediatore e fine dell’uomo”

383 Cfr FR n. 46: ”Come conseguenza della crisi del razionalismo, ha preso corpo infine il nichilismo […] Nell’interpretazione nichilista, l’esistenza è solo un’opportunità per esperienze e sensazioni in cui l’effimero ha il primato. Il nihlismo è all’origine di quella diffusa mentalità secondo cui non si deve assumere nessun impegno definitivo, perché tutto è fugace e provvisorio.” FR n. 91: “Le correnti di pensiero che si richiamano alla post-modernità meritano un’adeguata attenzione. Secondo alcune di esse, infatti il tempo delle certezze sarebbe irrimediabilmente passato, l’uomo dovrebbe ormai imparare a vivere in un orizzonte di totale assenza di senso, all’insegna del provvisorio e del fuggevole […] Questo nichilismo trova in qualche modo una conferma nella terribile esperienza del male che ha segnato la nostra epoca.” SANNA I., L’Antropologia cristiana tra modernità e postmodernità, (=BTC 116), Queriniana, Brescia 2001, descrive bene le fonti del nihilismo in Nietzsche e Heidegger, con le loro sequele di pensiero debole: 231-252.

384 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologica, I, q. 45, art. 2, ad 2.

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sua ineffabile unità, verità, bontà. L’atto creatore non causa una mutazione della creatura, che, essendo creata dal nulla, è posta nella totalità della sua consistenza; ma in quanto cosi creata dal nulla, è creatura limitata (composta di Atto e Potenza), sempre, in ogni aspetto, radicalmente dipendente da Dio, in divenire, con la propria attività ricevuta, orientata a Lui.

L’Atto creatore esclude quindi la mutazione, sia in Dio, sia nella creatura, totalmente posta nell’esistenza, “de nihilo”. Ricordiamo ancora che nell’uso ecclesiale, teologico e magisteriale, si cerca l’intelligenza del Dio Uno Tripersonale, senza mai usare il termine “nihil”: la pienezza viva divina esclude del tutto il nulla. Le Persone divine sono sì distinte le une dalle altre, secondo le reciproche sussistenti relazioni, ma sono un unico indistinto Dio385.

Percorrendo la storia dell’uso teologico-spirituale della categoria “nulla”, dobbiamo ancora ricordare il suo significato nuovo inteso da Lutero: non indica solamente che Dio pone tutto l’effetto creato, che nulla è presupposto quindi alla sua azione creatrice; viene inoltre a significare una non attività della creatura in ordine alla salvezza, Dio fa sempre tutto, la creatura è sempre nulla: tendenza al mono-energismo, attualismo divino.

Conosciamo inoltre alcune conseguenze della Theologia Crucis luterana: attraverso l’esasperazione del paradosso della Croce, dell’Umanità del Signore ivi schiacciata, per una certa confusione di natura umana (creata, quindi segnata dal nulla) e natura divina, il nulla creaturale ora può infine trovare la via per introdursi nella stessa vita intratrinitaria Sappiamo come le prospettive razionaliste di Hegel realizzeranno il passaggio dal Venerdì Santo storico al Venerdì santo speculativo; la riflessione teologica dei fratelli protestanti può subirne ancora oggi l’influsso, quando riflette sull’Atto creatore di Dio, Trinità immanente ed economica.

Correnti filosofiche contemporanee interpretano la creazione ex nihilo, contro il comune pensiero ecclesiale, come espressione di una onnipotenza divina che comprimerebbe la spontaneità dell’uomo, l’uso della sua libertà; viene cioè considerata una di quelle strutture del pensiero e della realtà troppo rigide, da <indebolire> nella tendenza nihilistica del post moderno.386

Sono sufficienti questi accenni per avvisarci dell’importanza in Teologia della creazione dal nulla, dello studio che intraprendiamo.

2.1.a Uso biblico.

Prima di concentrarci sul nulla in relazione all’atto creatore di Dio, è bene ricordarne l’uso biblico, in quanto ha d’esistenziale, di letterario. Nell’Antico Testamento la prospettiva della vita umana è normalmente ottimista; ma di fronte a Dio onnipotente, la creatura sperimenta la sua consistenza fragile, precaria; viene liricamente espressa la vanità e nullità dell’uomo, degli esseri tutti del mondo: Qoelet 12,1-8, e Giobbe 3 segnano i vertici più alti di questo orientamento.

I popoli, a paragone di Dio sono vacuità, nullità: Is 40,15-17: “Ecco, le nazioni sono come goccia che cade da un secchio, contano come polvere sulla

bilancia; ecco le isole pesano quanto un granello di polvere […]. Tutte le nazioni sono come un niente davanti a Lui, come nulla e vuoto sono da Lui ritenute.”

Al contrario, quando nel Nuovo Testamento si realizza la Promessa nel Crocifisso glorioso, che rinnova e rinvigorisce in profondità l’esistenza umana, non si tratteggia più questa nullità e vacuità tragica.

385 DH 2697: PIO VI, Cost. “Auctorem Fidei”: Sinodo di Pistoia. “Primo: dopo che giustamente ha premesso che Dio permane nel suo Essere uno e semplicissimo, quando di seguito soggiunge che Dio stesso si distingue in tre persone, si allontana in modo scorretto dalla formula comune e approvata negli ordinamenti della dottrina cristiana, con la quale il Dio uno viene detto veramente in tre persone distinte, ma non distinto in tre persone: con questo cambiamento della formula, in forza delle parole, si introduce furtivamente il pericolo di errore, e cioè che si pensi distinta in persone l’essenza di vina, che la fede cattolica confessa invece una in persone distinte, e insieme la dichiara in se stessa totalmente indivisa.[sottolineo io]

386 Cfr GILBERT P., Nihilisme et christianisme chez quelques philosophes italiens contemporains: Severino E, Natoli S., Vattimo G., in NRT 121 (1999) 271.

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Il Crocifisso glorioso, Signore universale, consolida i valori della realtà esistenziale e cosmica, anche se il rinnovamento definitivo, terra nuova e cieli nuovi, sono riservati al suo manifestarsi pienamente nella Parusia finale.

La formula teologica-magisteriale “creare dal nulla”, ha fondamenti biblici: troviamo in 2 Mac 7,28 l’espressione < Creare dai non esistenti >:

“Ti scongiuro, Figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti; tale è anche l’origine del genere umano. Non temere questo carnefice ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere in-sieme ai tuoi fratelli nel giorno della misericordia”. Non da cose preesistenti è nel testo greco: oÚc ex Ôntwn. 387

Nel Nuovo Testamento ricordiamo Rm 4,17-25: “Abramo il quale è padre di tutti noi[….] davanti a Dio nel quale credete, che dà vita ai

morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono. Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli[...]. E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato [come giustizia], ma anche per noi [...] a noi che crediamo in Colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore”. Le cose che ancora non esistono sono nel testo greco: t¦ m» Ônta.

Questi testi, in cui lo specifico esclusivo dell’atto creatore e redentore di Dio è di chiamare alla vita le cose non esistenti, il nulla, sono situati nel periodo ellenistico, con la sua riflessione sull’essere, l’esistenza. Sappiamo che il pensiero semita non riflette speculativamente sull’essere e le sue cause: vede tutto davanti a Dio, JHWH, la pienezza di Essere che fa essere (Es 3,14); abbiamo già visto nella teologia biblica come si è giunti alla professione che JHWH, il Dio dell’Alleanza, è anche il Creatore universale.

L’Antico Testamento sottolinea l’aspetto positivo del creare, che Dio tutto ha posto nell’esistenza: (Gn 1,1) “In principio Dio creò il cielo e la terra”, cioè la totalità di ciò che esiste; il suo stato iniziale è indicato nel secondo versetto: “La terra era informe e deserta (tōhū wa-bōhū) e le tenebre ricoprivano l’abisso”. Con la sola sua Parola, dicendo, Dio porrà ordine, disponendo gli ambiti, per popolarli delle sue creature: luce e firmamento, luminari (Sole, Stelle), uomo, sono creati con la sola Parola, senza l’utilizzo di preesistente materia creata. La descrizione dello stato confuso, tenebroso della terra sommersa nell’abisso, può essere un residuo del mito cosmogonico-teogonico (vedi Enuma Elish), ma in Genesi Dio non è minimamente una parte del cosmo caotico, è Trascendente, buono, personale, crea (bara - kt…zein) cioè pone nell’esistenza tutto, cielo e terra.

Anche la materia informe, da cui Dio ha fatto il mondo, (cfr Sap. 11,18), esprime il contenuto di Gn l, 2: il tutto creato, ancora confuso, che Dio ha ulteriormente ordinato. La Signoria universale di per creazione, è insegnamento esplicito, specie nei testi di redazione postesilica.

Sappiamo come sarà particolarmente energico l’insegnamento circa la Signoria universale, per creazione e redenzione, di Cristo Signore (cfr Gv 1,1s; Col. 1,15-20).

2 Mac 7,28 e Rom 4,17, che parlano di creazione dai <non esistenti>, dal nulla, esprimono e rinforzano l’insegnamento positivo che Dio è Signore universale, perché ha creato, posto nella esistenza da solo, Lui il Personale Trascendente, la totalità delle creature, tutte e ciascuna. L’uso della categoria negativa non-esistenti, (che ritengo resa possibile dalla prolungata speculazione greca sull’essere, ed il suo negativo: il nulla) ribadisce l’insegnamento tradizionale che Dio per creazione, è Signore universale: per creare il Tutto non ha avuto bisogno di nulla, non ha subito alcun condizionamento. Per questo può assicurare ciò che, naturalmente, non è possibile: la risurrezione dei morti.

387 GILBERT P., 2 Maccabées 7,28 dans le “mythos” biblique de la création, in La création dans l’orient ancien, cit. 464-476.

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L’uomo, creato dal nulla, può sperimentare il suo limite: l’angoscia esistenziale della vanità e vacuità della sua vita fragile, esposta a sofferenza e morte; abbiamo già ricordato Qoelet e Giobbe. L’annuncio neotestamentario di Cristo crocifisso e risorto, che ha preso su di sé ogni nostro limite e peccato, che è sceso in profondità, sino agli inferi, nel male umano, alleggerisce le angosce veterotestamentarie di chi si affida al Dio della promessa, senza ancora vederla realizzata nella storia. La vita del Cristiano è ancora in crescita, segnata da una lotta drammatica contro il male (Apocalisse), ma è nel segno della Speranza: il Crocifisso ha portato con misericordia ogni male, ci partecipa la sua Risurrezione.

2.2 Il Nulla nella teologia e filosofia cattolica e protestante2.2.a Teologia e filosofia in ambito cattolico

Il <nulla>, ciò che non esiste, si può assimilare a quelle molteplici espressioni di cui si è servita la Chiesa per <definire>, esprimere con fedeltà aspetti fondamentali del Kerigma, il buon annunzio; la categoria più usata a sempre a che fare con <sostanza>. Per es. Nicea per esprimere la natura divina di Cristo, non stà dalla parte della creatura, ma del Creatore, deifinisce che è <della stessa sostanza divina del Padre>, suo <consustanziale>. Così pure per l’Eucaristia: la sostanza del corpo dato e del sangue versato è quella del Crocifisso glorioso, differisce solo il modo di apparire, manifestarsi, nelle <specie> del pane e vino transustanziati. 388

Anche creare dal <nulla> esprime, nel concetto di negazione, che Dio pone e conserva nell’essere tutta la <sostanza> della creatura, ne è l’unico creatore; non si dà alcuna confusione tra la sostanza del Creatore e la sostanza creata. Come tutte le definizioni, mentre escludono definitivamente vie non conformi alla Rivelazione, nel nostro caso ogni dualismo e monismo, aprono con sicurezza ulteriore intelligenza del Mistero rivelato.389 Quale suo aspetto? La creazione, redenzione per Cristo, <per quem omnia facta sunt>, fondamento, mediatore, causa finale di tutto e di tutti, in loro ogni aspetto: con le espressioni già citate della Comiss. Teologica internazionale “ Se è vero che l’uomo è stato creato ex nihilo, è anche possibile affermare che è stato creato dalla Pienezza (ex plenitudine) di Cristo stesso, che è al tempo stesso creatore, mediatore e fine dell’uomo.”

Tutta la sostanza, realtà della creatura è posta, conservata, orientata al suo fine, per il Verbo incarnato, Crocifisso glorioso, conformandosi e attingendo al suo “Pleroma”, “voi partecipate della pienezza di Lui (Col 2,10). Sia per la sua consustanzialità divina al Padre, essendo suo Verbo, <causa esemplare> di ogni creatura, sia per la trascendenza su noi, a Lui consustanziali nell’umanità, in forza della sua <pienezza>, possiamo in verità dire che siamo creati e redenti della sua <Pienezza>: la definizione creati dal nulla, evitando ogni confusione, monismo tra l’Uno-Trino creatore e la sua creatura, e parimenti assicurandone la Trascendenza, orienta l’intelligenza dell’atto creatore e redentore in quanto realizzato <dalla pienezza di Cristo>.

“In Lui troviamo la totale recettività del Padre, che dovrebbe caratterizzare la mostra stessa esistenza, l’apertura all’altro in un atteggiamento di servizio, che dovrebbe caratterizzare le relazioni con i nostri fratelli e sorelle in Cristo, e la misericordia e l’amore per l’altro che Cristo, in quanto immagine del Padre, mostra nei nostri riguardi. Proprio come le origini dell’uomo vanno cercate in Cristo, così anche la sua finalità. […] La volontà di Dio che Cristo sia la pienezza dell’uomo, deve trovare una realizzazione escatologica”390

388 Cfr CARLĖ P.L., Le sacrifice de la nouvelle alliance, consubstantiel et transubstantiation, de l’Incarnation à l’Eucharistie, Bordeaux 1981.

389 Cfr CANTALAMESSA R., Dal Kerigma al Dogma, Studi sulla cristologia dei Padri, cit. 11-51; pag 37 parla di Definizioni dogmatiche come “strutture aperte”, usando una categoria di LONERGAN B.J.F., The Dehellenizatyion of Dogma, T S, 28 (1967) 345

390 COMM. TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Comunione e servizio, cit 271

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Nulla è concetto relativo e dipendente da quello di essere; e possiamo dire che si danno nella storia del pensiero tante concezioni sul nulla, quante ce ne sono sull’essere, secondo i vari autori e correnti di pensiero: Tommaso, Ockham, Kant, Hegel, Heidegger, Sartre, Nietzsche. Il non percepire tali differenze dovute al modo di situarsi davanti all’esistenza, al sistema, può creare insormontabili difficoltà.

Aggiungiamo ancora che si può trattare del nulla a livello esperienziale-psicologico, se ne può parlare a livello rigorosamente ontologico, nella prospettiva dell’Essere-pienezza, cogliendo tutta l’apertura della mente umana ad esso: la filosofia cioè dell’uomo fiducioso e maturo.

La tradizione viva della Chiesa, dei discepoli del Crocifisso glorioso, si svolge nella prospettiva del Dio Uno Tripersonale, pienezza viva, assoluta di Essere (Unità, Verità, Amore) che rifiuta completamente il nulla.

Tutto è relativo, radicalmente dipendente per creazione da Lui: Dio non è relativo, dipendente, bisognoso di nulla. Il nulla è categoria filosofica fondata nell’essere creaturale, che partecipa sì dell’essere, ma in modo limitato: ha quindi a che fare con ciò che non è, il suo nulla, come campo della sua crescita, lasciandosi attirare dall’Essere pienezza, cercando per questo la comunione con le altre creature.

Come abbiamo più volte ricordato, il Crocifisso glorioso ha assunto su di sé ogni fragilità, peccato, ed ha in sé, nella sua umanità glorificata, la pienezza di ogni grazia e verità per l’intera creazione: qui il limite della creatura, il suo nulla tragicamente confermato dal peccato, perde il suo aspetto minaccioso, angosciante. Le realtà create dal nulla (che non è qualcosa, semplicemente dice che il Creatore ha posto nell’esistenza la totalità dell’effetto), hanno certo limiti, ciò che non sono, ma in quanto sono, ricevendo la loro consistenza creata dall’Essere pienezza, semplicemente sono, rifiutano il nulla.

Abbiamo già ricordato come la speculazione del sec. XIII, fonda la creazione e redenzione nelle stesse processioni intratrinitarie, del Verbo e dello Spirito Santo: la Trinità immanente, il Dio Uno Tripersonale, è anche trinità economica, creatrice e redentrice, per il Verbo incarnato, nello Spirito Santo.

In questa visione rivelata, sgorgante dall’amorevole libertà di Dio che tutto chiama all’esistenza, e scende con misericordia, per il suo Verbo Crocifisso glorioso, nell’abisso del peccato liberamente commesso dalla sua Immagine umana, si svilupperà una filosofia dell’Essere fiduciosa.

Ciò che sarà primo, nell’esercizio della conoscenza, nell’accostare la realtà, è l’accoglienza fiduciosa dell’essere pienezza.

L’Intellectus umano si muove in questa prospettiva, la luce dell’essere (che reca in sé indici della sua provenienza dall’Essere personale assoluto); questo orizzonte rende possibile comunicare sinceramente nella verità oggettiva, rispettare l’uomo nella sua dignità, vivere nell’onestà, realizzare progetti comuni, compiere scelte definitive di vita.

In questa luce dell’essere (percepita dall’intellectus) la ratio umana potrà esercitarsi, riflettere sugli esseri sostanziali limitati, loro essenze, attività, qualità, quantità; sviluppare scienza a vari livelli. E particolare rilievo avrà la scienza metafisica, che riflette sistematicamente sulla partecipazione creaturale dell’Essere pienezza: attributi trascendentali (unum, verum, bonum, pulcrum), principi (non contraddizione, identità, ragione sufficiente, finalità (cfr FR n. 4).

Il metodo è rigorosamente filosofico; l’ambito è la viva tradizione cristiana, la sequela del Crocifisso glorioso, fondanti le condizioni per un fiducioso e corretto esercizio delle capacità intellettive e volitive umane, della sua libertà (Vedi nella Fides et ratio il n 23 sulla sapienza della Croce).

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Ma non dobbiamo pensare che la dottrina di Tommaso così fiduciosa nell’essere creato sia stata da tutti accolta nella storia del pensiero cristiano; anzi appare alquanto isolata ed incompresa nei secoli bui del tardo Medioevo .391

Qui la giusta esigenza, di tutte le spiritualità cattoliche, di purificazione da una visione errata ed uso distorto delle creature (questa operazione assume vari nomi: l’amore di Cristo al di sopra di tutto benedettino, povertà francescana, indifferenza ignaziana, abbandono delle spirtualità del XVII ), può essere espressa con rigurgiti di categorie Neoplatoniche (della trascendenza, inconoscibilità, totale apofatismo dell’Uno al di la dell’essere creato); queste categorie portano a espressioni mistiche della ricerca di Dio, in cui il vaso della creatura sembra rompersi.

Riportiano alcune espressioni di Eckhart, citate da von Balthasar :

“<Tutte le creture non sono che niente. Io non dico che sono di scarso valore, che sono in genere qualcosa, esse sono un puro nulla>. E lo prova affermando: <Chi aggiungesse a Dio tutto il mondo, non si avrebbe niente di più di quello che già Dio ha>. <Tutto il nostro essere consiste in un nient’altro che in un diventare niente>. <Dove la creatura finisce, là comincia Dio ad essere> […] < L’uomo giusto o la cosa giusta è in se stessa oscura e non brilla, ma nella giustizia stessa, sua sorgente, brilla, e la giustizia brilla nel giusto, ma il giusto non la comprende perché è inferiore>” 392 L’ultimo asserto sa di neoplatonismo.

L’intero edificio spirituale di Eckhart, che intende rimanere cattolico, rischia di entrare in crisi, sopraffato da rigurgiti plotiniani 393; il nulla della creatura per reggersi ha bisogno di rivestirsi della stessa forma dell’essere, della giustizia di Dio. “La creatura è e rimane anche in Eckhart peccato e tenebra e si regge ogni momento solo estaticamente trasferendosi fuori di se nella giustizia di Dio che Cristo ci comunica”. 394 Ci avviciniamo di molto per questa via alla fede fiduciale di Lutero, all’essere <giusto e peccatore dell’uomo>.

Le prospettive mistiche di Eckhart, il suo nulla della creatura, mi sembrano distinguersi dall’uso consimile di S. Giovanni della Croce, il cui contesto di pensiero risulta ecclesiale-eucaristico; il nulla <nada> indica l’esigenza di una intensa purifacazione per realizzare la comunione sponsale con Cristo nella pienezza accolta ed esercitata, delle Virtù infuse teologali.395

391 Così lo descrive von BALTHASAR,Gloria, vol. V, Jaca Book, Milano 1978, 21: ”Il tardo medioevo è come pochi altri un’epoca oscura; gli ordinamenti sociali sono sconvolti, guerre e pesti dilagano, crollano le impalcature civili ed ecclesiali, il volto della Chiesa visibile viene reso deforme dal grande scisma occidentale; lo splendore della Gerusalemme celeste non penetra più attraverso queste nubi in un regno di Dio sulla terra”

392 von BALTHASAR H. U., Gloria V, 47s; Cfr DELLA VOLPE G., Il misticismo speculativo di M. Eckhart nei suoi rapporti storici, Bologna 1930; Id., Eckhart o della filosofia mistica, Roma 1952; LOSSKY V., Théologie négative e connaisance de Dieu chez M. Eckhart, Librairie Philosophique J. Vrin, Paris 1998 2 (1 ed. 1960); RUH K., Meister Eckhart , Teologo-Predicatore- Mistico, Morcelliana, Brescia 1989; MOLINARO A. – SALMANN E., ed., Filosofia e Mistica. Itinerari di un progetto di ricerca, (=Studia anselmiana 125), Roma 1997; del Misticismo di M. Eckhart parla GANOCZY A., Dieu, l’Homme et la Nature, Thélogie, mystique, sciences de la Nature , (=CF 186), Cerf, Paris 1995, 146-164.

393 osserva ancora von BALTHASAR, Gloria V, 52: “Il rapporto tra soggetto assoluto e relativo, una volta che si situa al centro della filosofia, va scivolando per forza dall’atmosfera della preghiera in quella del concetto e della contemplazione intellettuale, e proprio per questo avviene pure quello che per noi è il fatto decisivo: la categoria della gloria svanisce”. Nella nota 117, Balthasar indica, in studi documentati, le vie che portano da Eckhart a Cusano, Bohme, Kant, specialmente Fichte, Schelling, Hegel, Dilthey….linee fatali, con frutti amari, provenienti da un mistico, Eckhart, che pensa ancora “con un cuore adorante” (ivi 47).

394 von BALTHASAR, Gloria V, cit 51.395 GIOVANNI DELLA CROCE, Opere, versione del P. Ferdinando di S. Maria O.C.D., Postulazione Generale

dei Carmelitani Scalzi, Roma 1962, XVI-XX: ”Il dittico Salita-Notte, nella sua evidente unità di ispirazione e nello stesso ricorso al simbolo poetico della notte, mette in rilievo la simultaneità progressiva di queste fasi spirituali, ne coordina lo sviluppo plenario; anzi giustifica la totalità delle esigenze ascetiche precisamente con la totalità delle esigenze mistiche: il nulla totale non è altro che la totale disponibilità dell’anima all’invasione divina […..] si tratta piuttosto e soprattutto di sottrarre progressivamente l’anima alle influenze multiformi delle creature, per renderla sempre più aperta alla divina influenza della grazia e dei doni.[….] Le grandi realtà del peccato originale, della grazia, dell’unione a Cristo e della Vita trinitaria costituiscono la struttura essenziale di questa sintesi mistica, che invece di

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Ma risulta utile osservare come il quasi coevo S. Ignazio di Loiola, il cui impegno contemplativo è orientato alla ricerca del servizio attivo ecclesiale, non fa uso del nulla nel cammino della purificazione e poi nella sequela di Cristo. La creazione, nella sua positività, è talmente importante per Ignazio da costituire il Principio e fondamento dei suoi Esercizi Spirituali, sempre attivo e funzionante anche nella contemplazione dei Misteri di Cristo.

Certo di fronte alle cose create si deve prendere, con energia, l’atteggiamento corretto, affinchè servano per il fine della salvezza dell’uomo: Ignazio lo riasume nell’atteggiamanto dell’indifferenza.396 Ciò che distingue S. Giovanni della Croce da S. Ignazio, ambedue attenti ad una purificazione intensa di tutto l’uomo, sta forse, nel loro diverso orientamento, poichè il primo mira alla perfezione di una Vita Contemplativa, 397 mentre S. Ignazio introduce alla contemplazione adorante della Vita di Cristo, per individuare la personale chiamata divina ad un servizio attivo nella Chiesa e nel mondo: via già percorsa da Francesco, Domenico, Caterina da Siena , Brigida di Svezia e Giovanna d’Arco. 398

presentarle nella luce astratta della verità, le presenta incarnate nel dinamismo vivo delle anime”.Possiamo anche dare un esempio dell’uso del nulla in Giovanni della Croce:” Per giungere a gustare il tutto / non

cercare il gusto in niente./ Per giungere a possedere il tutto / non volere possedere niente./ per giungere ad essere tutto / non volere essere niente./ Per giungere alla conoscenza del tutto / non cercare di sapere qualcosa in niente/…” Salita al monte Carmelo, L. I, cap. 13, 11.

Nel II L., cap 7, 11, notiamo la descrizione della Theologia Crucis, come vissuta nell’annientamento della Croce. A differenza di Lutero, descrivendo l’annichilimento di Cristo, Giovanni della Croce non teme di parlare di “opera” .”Il Signore ha compiuto ciò perché la persona spirituale, per unirsi con Dio, intenda il mistero della porta, della via di Cristo, e sappia che quanto più ella si annienterà per Dio, secondo la parte sensitiva e spirituale, tanto maggiore unione con Lui raggiungerà e tanto maggiore sarà la sua opera”

Per una valutazione psicologica della sanità delle eserienze mistiche della grande scuola carmelitana cfr CUCCI G., Esperienza religiosa e psicologia, La Civiltà Cattolica-elledici, Roma-Leumann (To), 2009, 271-321.

396 Cfr MARTINI C.M., Mettere ordine nella propria vita. Meditazioni sul Testo degli Esercizi di S. Ignazio, Centro Ambrosiano-Piemme Casale M. 1992, 26s; La differenza tra Lutero e Ignazio nel contemplare con gli occhi della fede la creazione dell’uomo secondo Cristo, è grande; commenta von BALTHASAR, Gloria, vol V, Nello spazio della metafisica, l’epoca moderna, Jaca Book, Milano 1978, 103: “La dialettica luterana di legge e grazia, la quale non lascia mai affiorare una obbedienza, ma la elimina ogni volta nella riflessione, appare ormai come una fede manchevole”; Id. Homo creatus est, Morcelliana Brescia 1991, 9-32.

397 Id, Gloria III, Stili laicali, Jaca Book, Milano 1971, 122, riporta la lamentela di S. Teresa d’Avila: “Dio ci guardi da gente così spiritualizzata che vogliono fare di tutto una perfetta contemplazione, senza nessuna distinzione”. Ella paragona il metodo di Giovanni a quello di S. Ignazio di Lojola (ovviamente a proposito della “indifferenza del Fondamento”). Ci mancherebbe altro che noi non potessimo cercare Dio che dopo essere morti al mondo. Non erano ancora morte la Maddalena, la Samaritana, la Cananea quando lo hanno trovato!” (Obras de S. Teresa, ed Silverio, Bibli. Mist. Carm. (1915-1924) VI, 67)”. A pag 153 è detto: “Nella mistica cristiana di Giovanni [la via della purificazione, dell’illuminazione, dell’unione] diviene la via che lo stesso Dio percorre con l’anima da quel sempre primo e più forte che Egli è, la via lungo la quale tutte le “tecniche” vengono superate dall’agire di grazia di Dio…”; osserva ancora von Balthasar a pag. 155:”In quanto la dottrina di Giovanni realizza in maniera esemplare le virtù teologiche cristiane infuse nella loro trascendenza, essa è normativa per ogni cristiano, anche per l’attivo; la via esclusivamente contemplativa ha la missione speciale di rendere intuitiva la forma dell’esistenza cristiana in una purezza di livello “contemplativo”.

398 La prospettiva ascetico-contemplativa di S.Ignazio di Loyola, pur restando aperta a individuare e sostenere un servizio attivo, e quindi più attenta alla positività della creazione e anche, direi, dell’Umanità SS del Signore Gesù, risulta ugualmente impegnativa in una esigente purificazione: si può notare nella Prima settimana degli Esercizi Spirituali (cfr GIOIA M., a cura di, Gli scritti di S. Ignazio di Loyola, UTET, 1988, 100-117); inoltre nella Seconda settimana l’offerta del Regno, ivi [98] 120, La meditazione delle due Bandiere, [136-147] 127-129. Infine l’offerta vertice della Contemplazione per raggiungere l’amore [234], 149-150. Nelle Costituzioni, per es. nell’esame generale dei Novizi, la domanda sul desiderio, o almeno il desiderio del desiderio, di essere disposto a seguire Cristo nelle “ingiurie, false testimonianze, affronti, essere ritenuti e stimati pazzi (senza però darne occasione alcuna)” purché ciò avvenga senza “offesa alcuna nei riguardi di sua divina maestà, se ciò non fosse imputato al prossimo come peccato”[101] 422; posiamo ancora ricordare il corretto uso dei sensi [250] 471; l’intenzione retta in tutte le cose, e “siano esortati spesso a cercare Dio nostro Signore in tutte le cose, allontanando da sé, per quanto possibile, l’amore di tutte le creature, per riporlo nel Creatore di esse, amando lui in tutte e tutte in Lui, conforme alla sua santissima e divina volontà”[288] 483.

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2.2.b Teologia e filosofia in ambito riformato-protestante:

Abbiamo già notato le relazioni tra il Misticismo tedesco che ha in Eckhart un rappresentante con influsso duraturo, e le espressioni chiave di Lutero sulla giustificazione, l’uomo giusto e peccatore.

Il Riformatore si esprime in una Theologia Crucis, che diffida dell’uso di una Theologia gloriae, utilizzo della metafisica nel cercare intelligenza della Fede. Dobbbiamo apertamente riconoscere che mai come sulla Croce si è rivelato il Figlio totalmente uno nell’Amore Spirito Santo col Padre; la Croce è veramente il Roveto ardente in cui il Dio Uno Tripersonale rivela il suo Nome, offre misericordiosamente comunione e salvezza all’uomo segnato dal nulla del limite creaturale, reso tragico dal peccato. Tutta la grande tradizione speculativa circa la Trinità immanente ed economica, creatrice e redentrice si alimenta qui, ai piedi del Crocifisso glorioso, che l’Eucaristia rende presente.

Lutero, che intende restare fedele ai Concili della Chiesa antica, per uscire dall’aridità e ansietà suscitate in lui dal Nominalismo, cerca vie tradizionali e nuove per avvicinare il Crocifisso che ci porta al Padre. Dio nel Crocifisso fa tutto per salvarci, la corripondenza dell’uomo è dichiarata essere un <nulla>, l’uomo benchè giustificato è ancora, con attenuazioni, considerato peccatore. 399

Già conosciamo le tendenze della Theologia crucis riformata, come induca un intero ripensamento di tutte le Verità rivelate: Trinità, Creazione. Salvezza. Lutero infatti parla di: – Deus absconditus: non si cura dell’intelligenza di fede circa la Trinità in sé. immanente; questo Deus absconditus sembra avere i tratti del Dio secondo il Nominalismo: totalmente trascendente, inconoscibile, arbitrario; – Deus revelatus nella Croce, sub contraria specie. Si esaspera il paradosso della Croce (che Paolo introduce per ricordare che solo nell’evento della Croce, e non in considerazioni umane astratte, indipendenti, si conosce, il vero Dio, la sua Sapienza, Giustizia, Potenza, cfr.1Cor 17,13) sino al limite dell’irrazionale; -- con la fede fiduciale l’uomo interiore riceve la Giustizia di Cristo, il dono dello Spirito Santo.

Lutero, nel contesto del Nominalismo che provoca disagio, ansietà di salvezza, cerca queste vie nuove, che possono avere risvolti positivi se mantenute nella tradizione viva della Chiesa: la Chiesa a Nicea, Costantinopolitano I, ha dato orientamento definitivo circa la Vita trinitaria, la Trinità immanente (consustanzialità, generazione del Verbo, processione della Spirito Santo), che crea e redime per la pienezza del Verbo incarnato: Trinità economica. Il dogma della Chiesa antica è sempre l’unica norma sicura per crescere nella conoscenza della Salvezza evangelica: l’abbiamo già constatato, nella rinascita carolingia per valutarel’impresa sistematica di Giovanni ScotoEriugena, per il superamento delle debolezze della Teologia patristica dell’Immagine di Dio al Concilio di Calcedonia, ed in senso del tutto positivo, per l’edificazione della Teologia sistematica di Tommaso e Bonaventura quasi all’inizio dei tempi moderni.

Le difficoltà di Lutero, accresciute nei suoi successori, divengono drammatiche quando si scosta dalla Lex orandi-celebrandi dell’Eucaristia, misconoscenza del Sacrificio della Messa, del Sacedozio ordinato in successione e comunione apostolica.

L’inizio di questo dramma sta nel tendenziale <nulla> della corrispondenza umana; per Congar anche dell’Umanità di Cristo schiacciata sotto la Croce. Hegel ha razionalizzato (contro Lutero) questo processo salvifico, trasformandolo nel suo Venerdì santo speculativo. La sua prospettiva dialettica nella triade: infinito - finito – Spirito, unisce (distorcendo, rendendo altro), Trinità immanente, economica - creazione - storia della salvezza. La tendenza è di non più parlare

399 Cfr PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITA’ DEI CRISTIANI, Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione tra la Chiesa cattolica e la Federazione Luterana Mondiale del 31 Ottobre 1999, in Ench. Vat. 17, n. 1079.

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del< mito> religioso, perché la filosofia matura si muove nell’ambito del puro concetto, superando i modi espressivi ancora immaginativi della rivelazione.

Qui la Croce gloriosa di Cristo è sottoposta al vaglio della dialettica Essere-nulla-divenire; per questa via il <nulla> è entrato nella storia stessa dell’Assoluto e vi permane. 400

L’influsso di Hegel si fa sentire, attenuato, anche nella teologia e filosofia protestante contemporanea. Pensiamo ai due <padri> del Nihilismo attuale, Nietzsche, sul versante conoscitivo ed etico, Heidegger sul versante ontologico. 401

Teologi luterani e riformati contemporanei sono impegnati a ricostruire le relazioni tra Trinità in sé, immanente, e la sua <economia> nella creazione e storia salvifica. Si tratta di completare, nella Tradizione viva della Chiesa, le vie nuove luterane, fare fruttificare nella vita

400 Restando nel contesto nostro della Creazione dal nulla, cerchiamo una valutazione corretta del nulla, dialogando con Hegel: seguo in questo J. B. LOTZ. Ontologia, Herder, Barcellona 1962, pp. 95-s., nn. 155-s:

Principio di contraddizione secondo Hegel. In questa filosofia lo stesso essere è tutto quanto dialettico, cioè contiene la contraddizione tra essere e non-essere. L’essere si manifesta all’inizio così indeterminato per cui Hegel può affermare: “Essere puro e nulla puro sono quindi lo stesso”, (Logik, Ed. Lasson, I, 67). L’uno e l’altro scompaiono nel suo opposto, e la loro verità consiste dunque in questo movimento di sparire immediatamente l’uno nell’altro: divenire. Quindi solo il divenire É; essere e nulla sono momenti del divenire, non si danno qua tali […] Per cui Hegel dice: “nè in cielo nè in terra si da qualcosa che non contenga in se esse e nihil”(Logik, 69).

Il moto è la stessa contraddizione esistente tutte le cose sono necessariamente contraddittorie, perché includono il moto, l’identità senza contraddizione è astratta, morta, senza vita, solo la contraddizione rende feconda l’identità, introducendo il moto, l’evoluzione, l’impulso; l’identità consiste nell’identità della identità con la non identità.

Una prima valutazione di queste prospettive di Hegel:– Si deve riconoscere che nello stesso essere creato limitato con l’identità è inseparabilmente congiunta la non

identità, ma per nulla sotto lo stesso aspetto: in quanto cioè lo stesso essere partecipa dell’essere pienezza, lo stesso essere è assolutamente non identico col non-essere, assolutamente esclude l’identità con il non-essere.

– Anche si deve concedere che l’opposizione tra ciò che l’ente finito É (partecipa dell’essere pienezza) e ciò che non É, (non partecipa dell’essere pienezza), costituisce la forma motrice che guida il nostro intelletto dall’ente limitato alla pienezza dello stesso essere personale (le prove della teodicea).

– Non in tutte le cose esistenti, lo stesso essere è con se identico e non identico, ha a che fare col nulla : ciò vale solo degli esseri finiti (composti di atto e potenza), e suppongono l’Esse subsistens (Pienezza personale), che esclude ogni non identità, totalmente.

– Nell’intima natura dello stesso essere ai di là della identità minimamente appartiene la non identità (è il solo caso dell’ente finito, e mai sotto lo stesso aspetto): se l’essere in sé, in quanto essere, comprende anche la non identi tà, si distrugge anche il valore oggettivo della verità, fondata nel valore assoluto del giudizio umano (si pone in crisi il valore dell’uomo, la sua dignità intangibile, l’etica, la sincerità, la fedeltà). Lo stesso vale anche se si parla di un asintotico crescere progressivo, che si avvicina all’Assoluto, senza mai godere pienamente della sua luce.

– Il processo dinamico, che si mostra negli esseri finiti e secondo il quale procede la nostra stessa conoscenza, non può trasferirsi nell’intima indole della stesso essere, e costituire il suo più intimo processo dinamico. Non si può dire con Hegel: ciò che è razionale (secondo la misura umana, Hegel e inoltre non percepisce tutta la capacità dell’intellectus) è reale.

– Sebbene infatti la nostra conoscenza può essere chiamata dialettica in senso stretto,in nessun modo lo stesso essere nella sua intima natura è chiamato ed è dialettico.Lo stesso essere dall’inizio (colto nel giudizio umano, i suoi indici, aspetti assoluti) si manifesta come veramente

e pienamente assoluto, e annuncia l’Esse subsistens (il Dio personale).– Hegel trasferisce la pluralità propria della sintesi (il giudizio: soggetto, copula, predicati) della conoscen za

umana nello stesso essere, e per questo muta l’intuizione intellettuale, (propria dell’uomo), in un movimento sintetico dello stesso essere.

Cosi il modo della mente umana, cioè il suo metodo sintetico, totalmente coincide con il modo dell’essere, cioè con il sistema interno dello stesso essere: (non si da più l’essere superante la pluralità). già si afferma il panteismo (o pan- en- teismo)

— per Hegel l’essere necessariamente include la pluralità, per questo si evolve storicamente.401 Cfr le pagine documentate e limpide di SANNA I, L’antropologia cristiana tra modernità e postmodernità,

(=BTC 116), Querininana, Brescia 2001, 231-255; Cfr KASPER W., Il Dio di Gesù Cristo, (=BTC 45), Queriniana, Brescia 1984, 27-70; GANOCZY A., Homme créateur Dieu crèateur, (=CF 98) Cerf, Paris 1979, 67-80; un testo emblematico del post-moderno: LYOTARD J., La condizione post-moderna, rapporto sul sapere, Feltrinelli 1985; altri studi: MUCCI G.D., Considerazioni sul moderno e post-moderno, Koslowski, Lyotard e il cristianesimo, in la Civ. Catt. (1991) II 223-232; GILBERT P., La crisi della ragione contemporanea, in La Civ. Catt. (1990) IV 559-572.

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cristiana la Croce di Cristo, il suo Spirito Santo. Un’operazione teologica in corso,con la difficoltà di chi vive in una forma <mentis> consolidata nei lunghi secoli di frattura ecclesiale.402 Si dà consapevolezza delle difficoltà dell’operazione teologica di comporre Trinità immanente ed economica; lo notiamo quando Pannenberg confessa:

“Riflettere sulla contingenza del mondo nel suo insieme significa tenere conto della libertà di una onnipotenza divina che non deve avere creato il mondo per necessità intrinseca del proprio essere.”403

Conferma Jüngel: “Il pericolo di una tale contraddizione in Dio minaccia la dogmatica luterana, in quanto essa non misura esplicitamente la differenza tra Dio rivelato e celato sulla base dell’autodistinzione del Dio Trino. Dio non si contraddice, Dio si corrisponde. Per questo abbiamo bisogno della dottrina della Trinità, e su tutta la linea” 404. Secondo Jüngel queste difficoltà nella storia del pensiero occidentale, dalla <rivoluzione della Riforma> alla <rivoluzione francese> sono dovute probabilmente allo <sfondo nominalistico della teologia di Lutero […] E’ possibile che sia stata, fra l’altro, una grave incomprensione della distinzione luterana fra il Dio rivelato e il Dio nascosto, a impedire di sviluppare il punto di partenza cristologico di Lutero in un corrispondente concetto di Dio.>405. Nella dialettica di Hegel <alla fine uno dei due [Dio e l’uomo] ha consumato, distrutto l’altro>.406

La creazione dal <nulla>, dalla <pienezza di Cristo>, per distinguere la Trascendenza del Dio Uno-Trino della creazione-Alleanza dalla sua opera, anche nel suo libero donarsi per Cristo nello Spirito alla creatura uomo nella Storia di comunione salvifica, risulta ancora preziosa.407.

3 Solidarietà angelica e inserimenti cosmici (teoria evolutiva) per la comprensione dell’origine dell’uomo, la sua storia.

Per una più completa comprensione della visione rivelata dell’uomo, dobbiamo ancora esaminarla nella sua dimensione solidale; l’uomo non è mai solo: Cristo è primogenito tra molti fratelli, tutto è creato redento in Lui, per Lui, verso di Lui; è l’Unico che fonda, media, ricapitola creazione e redenzione; è il capo del Corpo ecclesiale, realizza e qualifica la solidarietà umana e sovrumana.

402 Secondo il Vescovo emerito della Danimarca, il gesuita MARTENSEN H.L., La foi de Luther en la Trinità, in N R T (1983), 655-689, è per noi, in certo modo, meno difficoltoso capire Lutero, porlo, superando le sue difficoltà, nella Tradizione viva della Chiesa, e valorizzarlo in essa, che per i teologi riformati, che vivono in un distacco plurisecolare dalla viva tradizione ecclesiale.

403 PANNENBERG W., Teologia sistematica I, (=BTC 89), 1990, 470.404 JÜNGEL, E., Dio mistero del mondo, (=BTC 42),1982, 450.405 Ivi, 63406 Ivi, 130407 Nelle stesse prospettive si può esaminare l’abbondante produzione teologica di MOLTMANN J.; ricordiamo

il suo, Il Dio crocifisso, (=BTC 17), Queriniana Brescia 1970, in cui il nulla interviene nella Croce di Cristo per realizzare (manifestare) la generazione del Figlio. Cfr le valutazioni di LADARIA L.F., Il Dio vivo e vero, Il Mistero della Trinità, Piemme, Casale Monferrato, 1999, 325-328; PANNENBERG W., Teologia sistematica I, (=BTC 89), 1990, in cui le verità della fede sembrano proiettate al termine escatologico, ancora provvisorie ?: un pensiero teologico più complesso, che cerca un recupero di filosofia, come residuo delle capacità pre-lapsarie. BRENA G.L., La teologia di Pannenberg, Cristianesimo e modernità, Piemme, Casale Monferrato 1993. Per le relazioni tra Trinità immanente ed economica, cfr LADARIA L.F., Il Dio vivo e vero cit., 345-349; di E. JÜNGEL, . Dio mistero del mondo, (=BTC 42),1982, abbiamo già accennato: un uomo che in alcune pagine sembra necessario a Dio per venire a se stesso. Anche per Jüngel valutazioni di LADARIA L.F., op. cit .467-471. E’ utile esaminare questi scritti in relazione a quelli di H.U. von BALTHASAR, La teologia dei tre giorni, (=BTC 61), 1990 e W.KASPER, Il Dio di Gesù Cristo, (=BTC 45), 1984.

La teologia cattolica vive di Eucaristia, ringraziamento per la redenzione già realizzata nel Mistero Pasquale; quindi una escatologia come adventus del Signore, che ha già in sè ogni pienezza, ‹‹pleroma›.

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Dobbiamo ora trattare di questa solidarietà salvifica, una solidarietà sulla misura e profondità del Verbo incarnato, che restando l’unico mediatore, suscita molteplici mediazioni subordinate della sua grazia.

Qui dobbiamo inserire il discorso delicato, ma necessario del Peccato originale: una dimensione di peccato, che tocca in profondità ogni uomo, così come nasce in questa umanità solidale, peccatrice sin dall’inizio. Trattandosi di un peccato che importa solidarietà, dobbiamo, prima di esaminare la solidarietà umana, che più ci tocca, parlare di altre solidarietà interessate, di cui tratta la rivelazione: gli Angeli, che servono fedelmente il nostro progetto di salvezza, e gli Angeli che per il loro rifiuto si sono trasformati in Demoni.

La Rivelazione ci parla dello Spirito angelico in quanto serve il Mistero di Cristo, la nostra storia di salvezza, non tanto per soddisfare curiosità indebita sulla loro natura; ma la loro esistenza è stata ugualmente preziosa alla Teologia per una più profonda comprensione della spiritualità dell’uomo: l’uomo per capire se stesso, spirito incarnato, ha bisogno di riflettere cosa é lo spinto in se, lo spirito puro. Le abbondanti angeologie di S. Tommaso (S. Th I, q.50-62) intendono questa finalità. Così pure il peccato angelico aiuta a capire di più il peccato umano, a situarlo nel contesto di questa solidarietà negativa.

Infine la conoscenza dell’uomo e della sua storia solidale sarà completata dall’esame del suo inserimento biologico-fisico nel nostro cosmo: l’uomo infatti in quanto spirito, discende dall’alto, solo dall’alto, ma in quanto incarnato, ascende dal basso, dalla polvere del suolo plasmata dalle mani di Dio.

Nell’esaminare queste solidarietà, restiamo sempre nell’ambito della unica creazione, resa soprannaturale perché voluta in, per, verso Cristo, Verbo incarnato; in ogni campo, Cristo Crocifisso glorioso, resta sempre il centro tutto fondante e ricapitolatore.

3.1 Angeli e demoni nel Vecchio testamento:E bene distinguere due periodi: prima e dopo l’esilioNon si tratta solo di individuare una data importante, comoda per organizzare il materiale

biblico. Si tratta invece, come abbiamo visto nei temi biblici, di una situazione, l’esilio, che è stata decisiva nella rivelazione, esplicitazione che il Dio dell’Alleanza è anche l’unico creatore: il consolidamento del Monoteismo.

Infatti la fede consolidata nell’unico Dio della Creazione e dell’Alleanza permette di trattare con più scioltezza, senza ambiguità, della creatura Angelica, ormai chiaramente solo creatura, radicalmente dipendente. 408.

Qui mi limito agli elementi essenziali:3.1.a Angeli e Demoni nel pre-esilio

Tra gli esseri celesti, spicca la figura del Malak(im) ; parola probabilmente derivata dalla radice araba la ’ka, che significa inviare qualcuno con un incarico, perciò tradotto nei LXX con. ¥gghloj, messaggero, da cui “angelo”.

Nei libri dei Pentateuco, l’Angelo di appare ad Agar fuggitiva da Sara nel deserto (cfr Gn 16,7-14); distoglie Abramo dal sacrificio di Isacco, e lo ricolma di benedizioni (Cfr Gn 22,11-18); appare in sogno a Giacobbe, gli ordina di tornare in patria (cfr Gn 31,11-13), combatte contro di lui

408 Per una trattazione esaustiva: M. SEEMAN, D. ZAHRINGER, II mondo degli angeli e dei demoni in quanto partecipe e ambiente della storia della salvezza dell’uomo, in J. FEINER e M. LÖHRER Mysterium salutis, Vol. 4°, Queriniana, Brescia 1970, 721-815; G. GOZZELINO, Vocazione e destino dell’uomo in Cristo, LDC, Leumann Torino, 1985, 295-420; KITTEL, I, voce ¥gghloj col. 205 –227; LAVATORI R., Gli Angeli, Marietti, Genova 1991; BUSSAGLI M., Storia degli Angeli, Racconto di immagini e di idee, Rusconi, Milano 1991; ZUCAL S., Ali dell’invisibile. L’Angelo in Guardini e nel ‘900, Morcelliana, Brescia 1998

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a Panuel (cfr Gn 32,24ss); si manifesta a Mosè nel roveto ardente (cfr Es 3,2), conduce Israele attraverso il mare Rosso ed il deserto (cfr Es 23,20.23).

Nella storia deuteronomistica, ricordiamo: minaccia gli Israeliti per la loro disobbedienza (cfr Gdc 2,1-4), li protegge dai nemici(cfr 2 Re 19,35); da ordini a Gedeone(cfr Gdc 6,11-22), e ai genitori di Sansone(cfr Gdc 13,3-22); ritira la sua mano punitrice per ordine del Signore presso l’aia di Arauna (cfr 2 Sam 24,16).

Nelle conversazioni viene citato come fulgido esempio di fedeltà (cfr 1 Sam 29,9) e di saggezza (cfr 2 Sam 14,20).

Ma la sua identità non si lascia determinare in maniera univoca: in alcuni passi sembra una semplice manifestazione di JHWH in persona; per es., per Gn 32,25-31 Giacobbe lotta una notte intera contro Dio in persona, ma Osea aggiunge che si tratta di un Angelo (cfr Os 12,4-5).

In Es 3,2-61 l’Angelo del Signore si manifesta a Mosè nella fiamma del Roveto, però chi chiama il veggente è Dio. Altri testi al contrario tracciano una netta distinzione tra JHWH e il suo messo. Dopo l’adorazione del vitello d’oro, Dio non vuole più guidare di persona il suo popolo, e lo affida al proprio angelo (cfr Es 32,33-35).

Altrove si dichiara espressamente che Dio manda il suo Angelo, affinché il messo di Abramo trovi la moglie adatta per Isacco (cfr Gn 24,7); che gli da ordini, perché l’Angelo sterminatore desista dalla distruzione di Gerusalemme (2 Sam 24, 16), che lo fa vedere a Balaam, (Nm 22,31).409

Esiste in queste figure un’innegabile ambiguità, della quale non è facile spiegare l’origine. Si può pensare che la figura del Malak di origine extra biblica 410, viene in molti testi come assorbita in quella di Dio, per affermare che il Dio di Abramo, Mosè era immensamente attivo, onnipresente; quando il monoteismo prenderà la sua forma più completa ed universale, e si comprenderà che JHWH è Dio del mondo intero, il messaggero sarà posto in risalto, anzi diventerà ancora più importante, e gli Angeli si moltiplicheranno di numero

E indubbio che gli Angeli si presentano come creature superiori all’uomo. L’idea che JHWH sia circondato da una corte di esseri celesti con il compito di aiutarlo nel governo del mondo, di lodarlo, è comune anche prima dell’esilio. La fede nell’unico Dio onnipotente ha abbassato questi esseri delle tradizioni religiose extra bibliche, a livello di ministri e di cortigiani, salvaguardando l’assoluta sovranità di JHWH.

La credenza nei Demoni (da da…omai dividere spartire; da…mwn in Omero indica la divinità): prima dell’esilio si nota una estrema riservatezza nel parlare di Angeli malvagi o Demoni in senso proprio; la credenza nei Demoni non vi trova eco se non in qualche sporadico riferimento, come per il capro emissario inviato nel deserto ad Azazel, ove si nota una certa connessione tra il peccato e il Demonio (Lv 8,10). Is 13,21 parla di satiri pelosi in luoghi abbandonati; le divinità pagane vengono indicate come demoni, vanità, nulla (cfr Bar 4,7; Sal 95(96), 5).

Sicuramente una emarginazione così accentuata del demoniaco (a confronto delle altre culture) è stata favorita dalla severa proibizione della legge rivelata di praticare la magia (Lv 19,31; 20,6. 27; Dt 18,11).

Anche questo nella prospettiva dell’esigente Monoteismo che viene inculcato ad Israele.

409 Cfr GOZZELINO G., Vocazione cit., 298: di questo autore, che ha il merito di avere introdotto Angeli e Demoni nell’Antropologia teologica, accolgo e seguo l’impostazione generale.

410 Cfr BUSSAGLI M., Storia del Angeli, cit., 15-31; LAVATORI R., Gli Angeli, cit 18-21

189

3.1.b Angeli e Demoni, Satana, Diavolo nel post-esilio

La fede negli Angeli assume nel post-esilio particolare importanza: è un fenomeno singolare. Sta il fatto che Israele fu distolto dall’attenzione agli Angeli e Demoni, sino a quando questi esseri potevano rappresentare una minaccia politeistica alla sua fede nell’unico JHWH .

Cosi a partire dall’esilio, in modo crescente, la figura dell’Angelo del Signore, distinto da JHWH, si precisa meglio, il numero degli Angeli si moltiplica, alcuni di essi assumono nomi propri, e comincia a delinearsi il personaggio misterioso di un “satana”, avversario dell’uomo, potenza di male. Qualche esempio:

Nel Protozaccaria l’Angelo di JHWH gode di grande autorità, ha altri Angeli ai suoi ordini (cfr 2,7-8) intercede per il popolo(cfr 1,12), esercita la giustizia in nome di JHWH, funge da Angelo interprete.(cfr Zc 1, 8-11).

Tipica del libro di Giobbe è la forte sottolineatura della creaturalità degli Angeli; Tobia 12,15-20 menziona per la prima volta il nome di un Angelo: Raffaele (=Dio salva), indica la sua natura spirituale: “Quando voi mi vedevate mangiare, io non mangiavo affatto: ciò che vedevate era solo apparenza.”(Tb 12,19).

Daniele afferma che il numero degli Angeli adoranti intorno al trono di Dio è incalcolabile (7,10), li presenta come custodi degli uomini (3,23-26), e introduce altri due nomi: Michele (=chi è come Dio), uno dei principi della corte celeste e protettore speciale di Israele (cfr 10,15-21) e Gabriele (=l’uomo di Dio), che esercita la funzione di Angelo interprete (cfr 9,20-22).

Secondo Dn, ogni popolo, per es. quelli di Persia e di Grecia, vive sotto la custodia di un singolo Angelo custode, detto come Michele principe protettore.(cfr 10,15-21).

Nel giudaismo farisaico, si da una duplice tendenza: rabbinico farisaica, che coltiva una esuberante angeologia; una sadducea, più legata alla legge scritta di Mosé, di tendenza conciliante con l’ellenismo, che annulla l’interesse per gli Angeli.

Demoni, Satana, Diavolo: nel post-esilio compare il Satana (che in ebraico indica: accusatore, avversario), quell’ufficiale che trascina davanti al tribunale e cerca di dimostrare di fronte al giudice il crimine dell’imputato(cfr Sal 108(109), 6).

Come essere celeste Satana compare in tre testi:Zc 5,1-5: è l’accusatore del gran sacerdote Giosuè, senza misericordiaGb 1,6-12; 2,1-7: scettico della bontà degli uomini, chiede prove sempre più traumatiche per

Giobbe.

1Cr 21,1: tenta Davide al censimento (mentre nel testo parallelo di 2 Sam 24,1 è Dio stesso ad incitare Davide)

Compare anche il Diavolo da diab£llw: mettersi di traverso, disunire, calunniare, rigettare: per un essere angelico è usato solo in Sap 2,23-24:

”Si, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura. Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono”

Questo personaggio cattivo, invidioso è identificato con il tentatore di Genesi 3.Ma non si ammette che il credente dia loro importanza, come se non fossero del tutto

sottomessi a JHWH, in un rifiuto completo del dualismo. Neppure si accetta che incutano paura al credente, si presti attenzione diretta a loro, si trattino con arti magiche. Nel Giudaismo rabbinico e farisaico anche i Demoni, con più nomi, acquistano grande rilievo.

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3.2 Angeli e Demoni nel Nuovo TestamentoSi presenta più evidente la demonologia, il potere delle tenebre che si oppone a Cristo, ai

suoi discepoli, che non l’angeologia, che risulta tutta concentrata al servizio di Cristo, della Chiesa nascente.

3.2.a Angeli:

Ponendo gli Angeli in stretto rapporto con Cristo, la piena realizzazione del suo Regno, si travalicano le dimensioni tipiche dell’esistenza umana terrena; questo viene indicato in Lc 20,34-36:

“I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie nè marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli, e poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio”.

Cioè la situazione beata, definitiva ha somiglianza con quella angelica: evidentemente l’uomo la vive restando essere corporeo.

Sono esseri di potenza e di gloria; il segreto della loro identità, risulta dalla breve auto-presentazione di Gabriele a Zaccaria:

“Io sono Gabriele, che sto al cospetto di Dio, e sono stato mandato a parlarti, ed a portarti questo lieto annunzio”. (Lc 1,19).

Nel racconto dei Sinottici, l’azione degli Angeli sembra raccogliersi su tre momenti chiave, che sono definiti interamente dal rapporto con Gesù: ingresso di Gesù nel mondo, la sua risurrezione, il giudizio finale, che egli compirà sul mondo e sulla storia.

Durante il ministero pubblico di Gesù, gli Angeli compaiono solo due volte: dopo le tentazioni nel deserto per servirlo (Mt 4,11; Mc 1,15) e nell’agonia del Getsemani per confortarlo (Lc 22,43).

Secondo gli Atti degli apostoli, gli Angeli assistono la Chiesa, nel compimento della sua missione ricevuta dai Signore: proteggono l’infanzia della Chiesa, come avevano protetto l’infanzia del Signore: un Angelo fa uscire gli apostoli dalla prigione (At 5,19-20), mette Filippo sulla strada del ministro della regina degli Etiopi (At 8,26s), dispone l’incontro di Pietro con il centurione Cornelio( At 10,3-32); lo libera dal carcere (At 12,7-11); reca un messaggio di rassicurazione a Paolo sulla nave che lo porta prigioniero a Roma (At 27,23-25).

Così G. Gozzelino, conclude: “Dal complesso di questi testi emergono tre dati dominanti:

Primo: gli angeli sono riferiti e subordinati direttamente a Gesù, prima della Pasqua direttamente a Lui, dopo la risurrezione alla comunità primitiva, suo prolungamento.

Secondo: la loro azione è reale ma interna a quella di Gesù e del Padre, dello Spirito, quale loro riflesso, tanto da mettersi in evidenza soprattutto in prossimità dei loro tempi forti (prima e dopo gli “eventi chiave” della nascita di Gesù, dopo la risurrezione) o come un aspetto della loro importanza (Parusia).

Terzo: gli agiografi non si preoccupano delle modalità dell’azione angelica, ma solo del suo significato.[….]

Altre indicazioni di valore offerte dai Sinottici e dal testo degli Atti sono la ricomparsa della figura dell’<angelo interprete>, e la conferma del ruolo di custodia degli angeli nei confronti dei singoli uomini. Il primo aspetto fa spicco nei racconti dell’infanzia e della risurrezione: oltre alle parole rivolte a Zaccaria, a Maria ed alle altre donne, va ricordata la spiegazione del mistero della ascensione data dagli Angeli agli apostoli.

191

Il secondo trapela in At 12,15 dove si legge che, quando Rode riconosce dalla voce Pietro che bussa alla porta, i discepoli pensano che si tratti del suo Angelo; o in Mt 18,10 dove Gesù parla degli Angeli dei discepoli, i quali sono chiamati <piccoli>, perché non contano nulla agli occhi del mondo.

Altrove poi si insinua che gli Angeli prendono parte attiva alle vicende personali di ogni uomo (Lc 15,10: la gioia degli Angeli per la pecorella ritrovata), e si precisa, sulla scia dell’intertestamento, che essi portano le anime in paradiso (Lc 16,22)”.411

Ricordiamo infine come gli Angeli prendono parte attiva alla liturgia celeste (in unione alla liturgia domenicale terrestre) di glorificazione di Dio e dell’Agnello (Ap 5,11-12); nell’Apocalisse sono soprattutto attivi nel giudizio del mondo, nel portare il cosmo al suo assetto definitivo (16,5-7).

Mentre l’azione degli angeli si concentra attorno agli albori e alla doppia conclusione della venuta di Gesù sulla terra (risurrezione e parusia), Diavoli e Demoni riempiono tutto il tempo del ministero pubblico di Gesù. La divinità di Cristo, la sua assoluta vittoria, è testimoniata anche dal servizio angelico; il contrastante potere delle tenebre ricorda l’importanza del compito di Cristo, che solo può vincere e snidare tanto male: appello esigente alla fede in Lui.

3.2.b Demoni

La terminologia è abbondante: satana, diavolo, demoni, spiriti immondi, impuri, nemico, tentatore, maligno, forte, Beelzebul; nelle lettere cattoliche inoltre e in Apocalisse: serpente, drago, leone, signori dell’aria[…]una realtà maligna complessa, distribuibile su molti nomi.412

Satana si oppone al regno di Dio, a Cristo, con più forme di danneggiamento:

nella tentazione messianica (Mt 4,1) cerca di distogliere dal progetto di Dio, dare una visione errata dei valori: pane, autorità, provvidenza di Dio, significato della Parola. Così si sforzerà di togliere la Parola seminata nel cuore dell’uomo (Mt 13,18-s), seminare zizzania (Mt 13,39).

sconvolgere lo spirito ed il corpo degli uomini.Nel Vangelo la malattia che Gesù guarisce non è sempre posta in relazione al demonio; in

altri casi sì (per es: Lc 13,10-17); talora la sconvolgimento del corpo e dello spirito è più grave: al di là di una diagnosi di medicina corrente, Gesù indica la radice religioso-etica del male. Talora è indicato che la malattia, curata da Gesù, è occasione per manifestare le opere di Dio (Gv 9,1-5, cieco nato), non ha nulla che fare col peccato.

Più grave é quello scompiglio dello spirito che si manifesta come possessione diabolica: è trattata nella prospettiva del peccato; il peccato è in questo ordine, disposizione: per es: Gv 8,44 “Voi avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro”. In relazione al tradimento di Giuda:

“Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo. […] E allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui” (Gv 13,2.27); questo viene detto nel contesto eucaristico dell’ultima cena. Ma viene già preannunciato nel discorso sul pane della vita, alla sua conclusione: “Gesù riprese: «Non sono forse io che ho scelto voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo»” (Gv 6,70).

Ricordiamo che solo Dio può entrare, come creatore e redentore nel cuore e nella libertà (rispettandola) dell’uomo; l’influsso del potere del male, se accolto, può gravemente perturbare l’esercizio delle facoltà umane, ma sempre in modo marginale, laterale.

411 GOZZELINO G., Vocazione, cit., 303.412 Cfr SCHLIER H., Principati e potestà nel Nuovo Testamento, Quaestiones duisputatae, Morcelliana, Brescia

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192

I Sinottici riportano cinque episodi, in cui Gesù libera, con la sua parola autorevole, dal Demonio:

Mc 1,21-28, quando nella Sinagoga di Cafarnao, Gesù libera un uomo tormentato da uno spirito maligno; come di consueto, zittisce lo spirito maligno che lo riconosce <il Santo di Dio>.

Mc 5,1-20, quando Gesù libera un possesso particolarmente vessato da una Legione di spiriti impuri; e permette loro di entrare nella mandria di porci, che tutta si precipita e affoga nel lago.

Mc 7,24-50, che descrive la guarigione della figlia della donna <di lingua greca, di origine siro fenicia> nel territorio di Tiro. Lo spirito maligno che tormenta la giovane viene scacciato per la grande fede della madre, che riconosce Gesù venuto non solo per gli Ebrei, ma anche per i pagani.

Ancora Marco, 9,14-29, la guarigione del ragazzo affetto da una forma particolarmente grave di epilessia. Riporta la splendida preghiera del padre del ragazzo: <Credo; aiuta la mia incredulità> (24). Gesù avvisa i discepoli, che non sono riusciti a scacciare il demonio (con i consueti esorcismi ?), “ Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera”(29).

Mt 9,32-34: <Gli presentarono un muto indemoniato. E dopo che il demonio fu scacciato, quel muto cominciò a parlare. Le folle, prese da stupore, dicevano: “Non si è mai visto una cosa simile in Israele!”. Ma i farisei dicevano: “Egli scaccia i demoni per opera del principe dei demoni.”>

Mt e paralleli riportano la disputa su Beelzebul; in questo contesto Mt 12,28: “Ma se io scacciò i demoni per mezzo dello Spirito di Dio, allora è giunto a voi il Regno di Dio” è considerato contenere “ipsissima verba Jesu”413

Ricordiamo infine i resoconti dell’attività taumaturgica del Signore che comprendono anche la liberazione degli indemoniati: Mc 1,32-34 e paralleli sinottici: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavono tutti i malati e gli indemoniati”.

La cacciata dei demoni non costituisce un gesto sensazionale, fine a se stesso, ma qualifica l’intera opera messianica di Gesù. Appartiene all’annuncio e realizzazione del Regno di Dio, quale segno concreto della sua venuta e assoluta potenza: “Se invece io scaccio i demoni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio”(Lc 11,20). Gesù è il più forte, che libera l’uomo dall’oppressione del potere del male.

L’interesse di queste abbondanti affermazioni evangeliche, non nasce da curiosità morbosa sulla natura del diavolo, ma dalla gioia messianica che Cristo libera l’uomo dai suoi mali. Cura in nome proprio, con la sua identità di Figlio obbediente al Padre: vincendo le tentazioni messianiche, morendo sulla Croce. Per questo vieta una interpretazione troppo immediata dei suoi esorcismi, imponendo il segreto messianico (Mc 1,25.34): bisogna infatti ancora pienamente capire che la potenza dell’inviato di Dio sta nella sua totale dedizione alla volontà del Padre.

Il potere del maligno, la tirannia e l’azione devastatrice dello spirito cattivo, viene vinto e cede di fronte alla parola misericordiosa di Gesù, che obbedisce al Padre e per amore dell’uomo si addossa il peso di questa sinistra realtà: Matteo 8,16:

“Venuta la sera gli portarono molti indemoniati ed egli scaccio gli spiriti con la parola e guarì tutti gli ammalati, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: «Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie»” (Is 53,4).

Sulla Croce il peccato dell’uomo e lo spirito del male che lo opprime sono sconfitti totalmente dall’amore obbediente solidale di Cristo. In realtà la vittoria sul diavolo non rappresenta il dato più importante della missione di Gesù e poi dei discepoli: al centro dei valori del Regno sta la comunione filiale (e fraterna) col Padre: Luca 10,20:

413 GOZZELINO G., Vocazione, cit., 311

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“Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli”.

L’esistenza del Demonio, diavolo, satana è affermata dal Vangelo? Non ci possono essere dubbi in quanto Gesù, nella sua coscienza messianica, mentre instaura il Regno di Dio, è pienamente convinto di liberare l’uomo da questo contrastante e tenebroso potere: è impossibile che Gesù si inganni proprio nell’esercizio della sua autorità messianica

Inoltre la liberazione dal maligno è ricordata in formule riassuntive della sua attività, che sembrano vere professioni di fede della comunità apostolica: “[…] passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con Lui”( At 10,38).

Ricordiamo sempre che tutta l’attenzione, di gioia, ringraziamento, è condensata sulla liberazione realizzata da Gesù, non sulla natura in sé del maligno; ma di fronte alla virulenza, totalmente sconfitta, del diavolo, il Nuovo testamento colma una lacuna del Vecchio, accennando in più contesti, trattarsi di creatura angelica decaduta: Ap 12,7-9, la lotta di Michele contro gli angeli ribelli; Gv 8,44, il diavolo sin dall’inizio padre di menzogna; 2 Pt 2,4, il giudizio di Dio contro gli angeli peccatori (cfr Gd 1,6).

La consistenza della creatura angelica, oltre alle funzioni ricordate (in relazione a Cristo e la sua Chiesa, di annunciatori, interpreti che introducono l’uomo al Mistero che si sta realizzando), risulta chiaramente dalla funzione di adorazione, lode, nella liturgia celeste, cui viene collegata la liturgia ecclesiale (Ap 1,10; 5,10-12, 14,6-11; 16,5-7).

3.2.c La vita del Cristiano e le potenze del male

Il potere del maligno è stato spezzato dalla morte e risurrezione di Cristo: nel Battesimo i cristiani sono resi partecipi della morte e risurrezione di Cristo, della sua vittoria sulle tenebre e maligno:

Col 1,12-13:“Ringraziamo con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce. Ė Lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre”

Per questo le potenze cercano che gli uomini non giungano al battesimo, e che i battezzati non perseverino in Cristo Gesù (Cfr Lc 11,24-26).

Gesù ha affidato ai discepoli il compito ed il potere di annunciare il Vangelo, offrire la trasformazione che Cristo realizza della creatura, che comprende la cura delle malattie e la liberazione dai demoni: vedi l’invio in Missione: Mc 3,15 e il finale di Mc 16,17.

Cristo per la sua obbedienza al Padre, i discepoli nella forza della Pasqua di Cristo, liberano l’uomo dall’oppressione, influsso delle potenze del male: esso è pericoloso, perché snatura, fa vedere in modo falso la creatura e l’opera di Cristo. Abbiamo già visto come nei Vangeli spiriti cattivi e demoni causano scompiglio nel corpo e nello spirito dell’uomo.

In Galati e Colossesi gli elementi del mondo stoiche‹a sono stravolti, nel loro significato, dai principati e potestà; essi si servono di tali elementi astronomici per imprimere in essi il loro influsso funesto, costringendo i pagani a varie osservanze nocive (Col 2,16-18, cfr Gal 4,3.9).

In Ap 13 la vita politica e lo stato, istituzioni e persone, sono usati da satana, che di essi abusa a proprio vantaggio: “Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra abitata” (!2,9), dà corpo ad una ideologia dello stato (la bestia dal mare e dalla terra) per penetrare in ogni luogo, ed acquistare autorità dappertutto.

Solo i santi vi si appongono. Si denuncia anche una invasione della sfera religiosa ed etica: nei pagani la nullità degli dei, nei giudei l’autosufficienza della legge, ma anche tra i cristiani si possono presentare operai fraudolenti che si mascherano da apostoli di Cristo:

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“Ciò non fa meraviglia, perché anche Satana si maschera da angelo di luce. Non è però gran cosa se anche i suoi ministri si mascherano da ministri di giustizia”(2 Cor 11,14-15).

Per questo anche 1 Gv 4,1-4 invita a non prestare fede ad ogni ispirazione, a vincere i falsi profeti: “Ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio”.

Interpretare è l’attività propria dello spirito, per svelare, indicare il significato, la verità propria delle creature. Ora lo spirito malvagio distorce il significato, la verità della creatura e dell’opera salvifica di Dio: costellazioni, stato, istituzioni, la stessa dottrina sono falsate, assumono false ed inquietanti autonomie, fanno camminare verso la morte. Alterazione dei valori, delle culture: ciò che sembra indicare Ef 2,1-2:

“Anche voi eravate morti per la vostre colpe, e i vostri peccati, nei quali un tempo viveste, alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle Potenze dell’aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli”

Potenze dell’aria: la nostra atmosfera culturale, quasi la respiriamo, lasciandocene determinare nel pensiero, nella volontà e nell’azione; le potenze fanno apparire nella propria luce falsa le creature interpretano l’esistenza umana secondo la loro falsità: in quanto ribelli, vogliono con tutti i mezzi distogliere da Dio; in quanto il diavolo è menzognero, fa apparire la cose diverse da quello che sono, e cosi portare l’uomo a perdizione.

3.2.d Valutazione della perturbazione demoniaca, come superarla:

Dobbiamo anzitutto notare che nella S. Scrittura si parla molto di più del peccato dell’uomo, nelle sue varie dimensioni, personale, situazione generale, che del diavolo; in Rm solo accenni in 8,38 “né potenze [….] né alcuna altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù” e l’affermazione della finale 16,20, “ Il Dio della pace schiaccerà ben presto satana sotto i vostri piedi”.

Ricordare soprattutto che il Vangelo è un buon annuncio di salvezza offerto ad un uomo responsabile: nulla può violare questa responsabilità.

Certo l’uomo viene avvisato che, oltre alla sua fragilità, nativa inclinazione al male per il peccato originale, peccato del mondo, si da questo mistero sovrumano di iniquità, tentatore, perturbatore del senso della creazione, cui si può, nella fede resistere.

Notare che il diavolo trova in me, cioè nel cattivo uso della mia libertà il suo aggancio; non si tratta minimamente di prestargli attenzione, ma di resistere alle inclinazioni al male, al peccato con una seria ed impegnata lotta spirituale, confidando nel sacrificio di Cristo.

Per la conversione battesimale, e per il Sacrificio di Cristo reso presente nell’Eucaristia, siamo resi partecipi della totale vittoria di Cristo sul peccato, la fragilità della carne, il suo istigatore, il diavolo. In chi vive così unito e partecipe del Sacrificio di Cristo, il diavolo non trova più nessun appiglio per fare valere la propria natura tirannica e ingannatrice. E tutta la creatura ritrova la propria consistenza del progetto di Dio, viene come rinnovata, affinché serva al fine soprannaturale della comunione per Cristo col Padre.

Così i Martiri ed i Santi creano non solo per sé, ma anche per gli altri, degli ambiti, tempi, spazi, in cui viene posto termine al dominio del demonio, con l’instaurarsi del Regno di Cristo, Regno di verità, di giustizia e di pace: zone ancora discontinue, ma che sono segno di una realtà generale e definitiva, che attraverso una seria lotta spirituale, si sta consolidando.

Pietro e Paolo ricordano, per onestà apostolica, ai cristiani che: “La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le

Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti”(Ef 6,12); che

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“II vostro nemico, il diavolo come leone ruggente va in giro cercando chi divorare”(1 Pt 5,8).

Ma fatta questa analisi onesta della situazione, la serietà dell’impegno, tutta l’attenzione viene indirizzata a Cristo, il suo sacrificio: si tratta unicamente di restare saldi nella fede; essere temperanti, essere vigilanti, cioè aderire a Cristo, restare nella sua luce e nel suo amore, nel discernere ciò che vi si oppone.

Più diffuse sono le istruzioni di Paolo (Ef 6,10-17), circa l’armatura di Dio che il cristiano è invitato ad indossare ed usare, “perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo avere superato tutte le prove”(13):

“State saldi dunque: attorno ai fianchi, la verità”:

La verità di Dio, la sua verità paterna e filiale che Cristo ci manifesta, che il Vangelo annuncia, deve essere assunta, perché essa rende vera la nostra esistenza, facendola corrispondere al progetto di Dio: una vita vera, filiale, conformata a Cristo, la Verità di Dio e dell’uomo.

“indosso, la corazza della giustizia”:La giustizia di Cristo rende a sua volta giusti chi a Lui aderisce nella fede, ci protegge come

corazza dal male.“i piedi calzati e pronti a propagare il vangelo della pace”:

Il cristiano partecipa della vittoria di Cristo dimostrando la sua disponibilità, anche in mezzo alle prove, ad annunciare il Vangelo della pace, in quanto Cristo è già la sua pace; anche in mezzo alle guerre si dimostra uomo di pace. La possiede e la irradia.

“Afferate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti le frecce infuocate del Maligno”:

I beni della salvezza, che con la fede in Cristo ci vengono elargiti estinguono ogni dardo infuocato del maligno, respingono ogni sua offensiva; gli assalti del nemico sono del tutto impotenti quando Cristo per la fede abita nei nostri cuori.

“prendete anche l’elmo della salvezza”:L’elmo protegge la parte più vitale del soldato, che è anche la più esposta; l’elmo che assicura

tale protezione, è la salvezza come speranza (cfr 1Ts 5,8): quando speriamo, la battaglia è vinta.“e la spada dello Spirito,che è la parola di Dio”:

L’unica arma offensiva qui indicata; nella Parola lo Spirito agisce come una spada, infatti la potenza di Dio si manifesta quando la Parola di Dio, annunciata, accolta, penetra nei cuori e vi espelle ciò che sa di peccato e di tenebra.414

3.3 Insegnamento del MagisteroIl Magistero insegna costantemente nei Simboli della fede, ricordiamo il Simbolo Niceno-

Costantinopolitano, che gli Esseri visibili ed invisibili sono tutti creati da Dio; questo insegnamento

414 Per la riflessione patristica e scolastica cfr LAVATORI R., Gli Angeli, cit. 51-164; GOZZELINO G., Vocazione, 331-348.

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è ripreso da tutti i Concili ecumenici, sino al Vaticano II 415:Lateranense IV, DH 800; Lionese II, DH 851 ; Fiorentino, DH 1333; Tridentino, DH 1862; Vaticano I, DH 3002; Vaticano II, LG n 49.50.69

La dichiarazione più solenne riguardante il diavolo sta nel Lateranense IV, DS 800.

L’insegnamento circa il diavolo in questo Concilio riguarda il rifiuto del dualismo, cioè una indipendenza ontologica e antisalvifica del potere delle tenebre, del tutto contraria alla fede in Cristo Signore e Redentore universale. Riprende l’insegnamento di Leone I (DH 290-291): l’Unigenito di Dio è venuto per vincere morte e diavolo, e del Concilio provinciale di Braga, I° (DH 457): anche il diavolo è stata creatura buona di Dio, prima della sua insubordinazione.

Il valore dottrinale del Lateranense IV è grande, in quanto trattasi di una Solenne professione di fede in Concilio ecumenico. Ricordiamo ancora che il contesto è sempre antidualista, per riportare il diavolo, che è divenuto tale per l’uso peccaminoso della sua libertà, in una totale dipendenza al Dio Uno e Trino, creatore e redentore. I Concili ecumenici sempre insistono che Cristo, nella sua Chiesa, ci libera dall’oppressione del diavolo; l’accoglienza e partecipazione della abbondantissima redenzione per la Croce, richiede penitenza, conversione, perseveranza nella lotta spirituale: così il Tridentino, DH 1511.1521.1668; .1672; così il Vaticano II, LG 5.17; AG 5; GS 13.37.22. Citiamo dal n 37 GS:

“Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta incominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno”

Ricordiamo infine dalla riforma liturgica del Vaticano II 416: Rito dell’Iniziazione cristiana degli adulti, CEI, 1978: esorcismi minori: pp. 73-77, nn.113-

118; n. 572, pp. 227-250. Rito del Battesimo dei bambini, CEI 1970: orazione di esorcismo, p.54, n.56

Rito della Penitenza, CEI, 1974, p. 121, n. 15 417

Come conclusione, ancora riportiamo dal documento citato:418 “In breve, per ciò che concerne la demonologia, la posizione della Chiesa è chiara e ferma. E

vero che nel corso dei secoli l’esistenza di satana e demoni non è mai stata fatta oggetto di una affermazione esplicita del Magistero. La ragione è che la questione non è mai stata posta in questi termini: gli eretici ed i fedeli, ugualmente fondandosi sulla Sacra Scrittura, erano d’accordo nel riconoscere la loro esistenza e i loro principali misfatti. Per questo oggi, quando è messa in dubbio

415 Ci riferiamo, come opera di sintesi storico-dogmatica, al Documento della CONGREGAZIONE per LA DOTTRINA DELLA FEDE: Le molteplici forme della superstizione, sul tema: Fede cristiana e demonologia del 26/6/1975, in Enchiridion.Vaticanum, vol. 5°, pp.850-879. Ricordiamo anzitutto l’insegnamento del Catechismo della Chiesa cattolica, che parla degli Angeli e del Demonio in tre contesti principali.: Parte Prima, Sezione II°, nel Cap. primo, Io credo in Dio Padre, paragrafo 5, Il cielo e la terra, I. Gli Angeli, nn 328-336; Paragrafo 7, La caduta, II La caduta degli angeli,nn 391-395; Cap. II, “Credo in Gesù Cristo, Paragrafo 3, I Misteri della vita di Cristo, III, La tentazione, nn 538ss; Parte terza, Sezione II°, Articolo I°, III L'idolatria nn 2113ss; Parte IV, Sezione II°, Articolo 3,VII Ma liberaci dal male nn 2850-2854; Catechismo della Chiesa cattolica, Compendio, Angeli nn 59-61,74, 97, 209; Demoni nn 74, 108.

Altri documenti a riguardo: Norme per gli esorcismi, CJC can 1172.CONGREGAZIONE per LA DOTTRINA DELLA FEDE, Norme sugli esorcismi, in Enchiridion Vaticanum,

Vol. 9, p. 1614-1617; Id., L’opera degli angeli, in Enchiridion Vaticanum, Vol. 9, p. 40 Rituale romanum ex Decreto S. Aecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Joannis Pauili PP. II

promulgatum, De Exorcismis et Supplicationibus quibusdam, editio typica, Typis vaticanis MIM416 Ne parla il documento citato: Le molteplici forme della superstizione, nota 362 in Enchiridion Vaticanum, vol.

5°, 869-873.417 Per la pastorale, e discrezione, circa il satanismo, negli esorcismi, cfr: HUBER G., Vattene via Satana!, il

Diavolo oggi, LEV 1993; INTROVIGNE M., Indagini sul satanismo, satanisti ed anitisatanisti dal seicento ai giorni nostri, Mondadori, Milano 1994; SALVUCCI R., Indicazioni pastorali di un esorcista, parole chiare su una realtà oscura, Ancora, Milano 1993; LAURENTIN R., Il Demonio mito o realtà, Massimo, Milano-Segno,Udine 1995.

418 Le molteplici forme di superstizione, cit., p.873, n. 1388

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la realtà demoniaca, è necessario riferirsi come abbiamo poco fa ricordato alla fede costante ed universale della Chiesa e alla sua fonte maggiore: l’insegnamento di Cristo.

É nella dottrina del Vangelo, infatti, e nel cuore della fede vissuta, che l’esistenza del mondo demoniaco si rivela come un dato dogmatico. Il disagio contemporaneo che abbiamo denunciato all’inizio, non mette dunque in questione un elemento secondario del pensiero cristiano, ma ne va di mezzo la fede costante della Chiesa, il suo modo di concepire la redenzione e, al punto di partenza, la coscienza stessa di Cristo.

Perciò parlando di questa “terribile realtà, misteriosa e paurosa” del male, Paolo VI poteva affermare con autorità: “Esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerla esistente; ovvero chi ne fa un principio a se stante, non avente essa pure, come ogni creatura, origine da Dio, oppure la spiega come una pseudo realtà, una personificazione concettuale e fantastica delle cause ignote dei nostri malanni (Osserv. Romano 16/11/1972)”

Né gli esegeti nè i teologi dovrebbero trascurare questo avvertimento. Ripetiamo perciò che sottolineando ancora oggi l’esistenza della realtà demoniaca, la chiesa non intende ne riportarci indietro alle speculazioni dualistiche e manichee d’altri tempi, ne proporre un surrogato accettabile dalla ragione; essa vuole soltanto restare fedele al Vangelo e alle sue esigenze.

É chiaro che essa non ha mai permesso all’uomo di scaricarsi delle sue responsabilità, attribuendo le proprie colpe ai demoni[…]”.

Cosi conclude il documento: “Resta per certo che la realtà demoniaca, attestata concretamente da quello che chiamiamo il

mistero del male, rimane ancor oggi un enigma che avvolge la vita cristiana. Noi non sappiamo molto meglio degli apostoli perché il Signore lo permette, ne come lo fa servire ai suoi piani, ma potrebbe accadere che, nella nostra civiltà invaghita di orizzontalismo secolare, l’esplosioni di questo mistero offrano un senso meno refrattario alla comprensione. Esse obbligano l’uomo a guardare più lontano, più in alto, al di là delle immediate evidenze; attraverso la minaccia e la prepotenza del male, che impediscono il nostro cammino, ci permettono di discernere, l’esistenza di un al di là da decifrare, e di volgerci allora verso Cristo per ascoltare da Lui la buona novella della salvezza offerta come grazia.”

4 Lettura discendente e ascendente dell’uomoII discorso su Angeli e Demoni è fondato sulla rivelazione; ma non risulta centrale come lo è

la fede in Cristo, creatore e salvatore, la vera Immagine di Dio, secondo la quale siamo stati chiamati all’esistenza, verso cui tutto viene finalizzato e sarà ricapitolato.

Ma è un discorso necessario, sia per avvertirci della grandiosità dell’opera creatrice, degli esseri creati al di là del visibile, sia per conoscerne la solidarietà, nel bene e nel male; anche se totalmente subordinati a Cristo, dobbiamo averne consapevolezza, per crescere nel bene cristiforme, essere difesi dal male.

La compagnia del Mondo angelico, e la minaccia del suo peccato per cui si trasforma in Satana, ci è inoltre di grande aiuto per capire noi stessi, la nostra consistenza spirituale vera, anche se condizionata dal corpo, la sua propria attività. Almeno così è stato nella storia del pensiero cristiano.419

Introduciamo questo discorso, in sintonia col dato biblico e magisteriale, usufruendo del pensiero che in materia ci sembra il più maturo, quello di S. Tommaso.

Il Lateranense IV nel suo primo capitolo sulla Fede cattolica, dopo avere professato Dio unico creatore del mondo spirituale e materiale, degli Angeli e del mondo terrestre, parla dell’uomo

419 Cfr ZUCAL S., Ali dell’invisibile, cit.; CACCIARI M., L’Angelo necessario, Adelphi, Milano 1986; FIZZOTTI E., Il ritorno degli Angeli, tra teologia, psicologia e cultura, LAS, Roma 1996.

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quasi partecipe dell’uno e dell’altro, composto di anima e di corpo (DH 800 s. ripreso dal Vaticano I, DH 3002).

Questo composto umano, spirituale corporeo, in termini biblici nefesh, basar, viene ulteriormente qualificato dal dono soprannaturale dello Spirito di Cristo, lo Spirito Santo, la Ruah biblica.

Nel pensiero cristiano l’anima non è solo il principio razionale (forma sostanziale del corpo in Aristotele, forma con un legame col corpo più labile in Platone) per cui l’uomo conosce l’ordine universale e necessario delle idee (siano esse separate, come in Platone, o idee forme dei corpi, come in Aristotele).

Al di là di questo, l’anima è la sorgente sostanziale spirituale, forma qualificante il corpo, dell’immagine di Dio nell’uomo, del suo essere personale, chiamato alla comunione soprannaturale con Dio e i fratelli, in una storia di libertà, dialogo salvifico.

Nel suo stare e dialogare con Dio, Spirito (Ruah) assoluto, creatore, e nella compagnia e aiuto degli Angeli, spiriti incorporei creati, l’uomo prende piena consapevolezza di essere autenticamente spirito, il più piccolo e indigente, perché bisognoso del corpo, per esistere e operare spiritualmente.

Introduciamo quindi brevemente una lettura discendente dell’uomo, un cammino che permette di acquistare maggiore consapevolezza della nostra natura spirituale, per la nostra anima, lo spirito più piccolo, tanto che per esistere ed operare spiritualmente ha bisogno del corpo.

Seguirà una lettura ascendente dell’uomo, in quanto per il suo corpo rappresenta il vertice del dinamismo dell’universo; vedere quindi l’uomo sorgere dal basso, come esigenza metafisica delle forme materiali, vegetative e psico-sensitive, di sottomettere sempre più la materia, sino all’apparire di quella forma spirituale, che trascende la materia, l’anima razionale; il suo apparire richiede un intervento creativo specifico di Dio.

La teoria dell’evoluzione, sul terreno proprio delle scienze sperimentali-razionali, cerca di completare il discorso filosofico-teologico, che vede l’uomo ascendere dal basso della materia; questo discorso presenta una validità sua, metafisica, non dipendente dalla ricerca sperimentale razionale, ma trova in esso come il suo completamento, esigito dall’attuale sviluppo delle scienze sperimentali.420

4.1 Lettura discendente dell’uomoLa chiamiamo discendente, in quanto cerchiamo di comprendere la spiritualità propria

dell’uomo, la sua radice, l’anima razionale, partendo dall’alto, in quanto partecipa, nel grado inferiore, della spiritualità propria dello Spirito assoluto, Dio e dello Spirito incorporeo creato, l’Angelo.

La spiritualità si manifesta nel modo suo specifico di conoscere e di amare, cioè nell’orizzonte dell’assoluto del Vero e del Bene: una verità comunicabile, valida per tutti, un bene autentico, comune, impegnativo per tutti.

Questa conoscenza azione si dà in un soggetto dotato di coscienza spirituale, capacità di riflessione, ritornare a sé stesso senza disperdersi nella molteplicità delle cose conosciute e della azioni realizzate, subite: qualità spirituali di Unità e Interiorità.

Nell’unico Dio, Tripersonale si dà la massima, assoluta Unità: qui l’Essere pienezza non è limitato da alcuna essenza, la sua essenza è questo Assoluto di Essere. Anche la sue attività di conoscenza ed amore avvengono nella semplicità e unità assoluta del suo Essere, non comportano

420 Sia per la lettura discendente che ascendente, troviamo ispirazione nello studio di DE FINANCE J., Citojen de deux mondes La place de l’homme dans la création, Grégorienne, Rome-Téqui,Paris 1980

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alcuna molteplicità, che non siano la generazione intellettiva del Figlio, Verbo-Immagine del Padre, e la processione volitiva dello Spirito Santo Amore.

Le Tre persone divine, Padre, Figlio, Spirito Santo, sono relazioni sussistenti dell’Unico Dio (Concilio di Firenze, DH 1300-1302).

Anche l’atto creatore di Dio, voluto gratuitamente, per pura generosità e libertà, avviene nell’assoluta semplicità del suo Essere, identico al suo Esistere, senza alcuna dipendenza dall’essere così creato.

Risulta più difficile parlare di interiorità di Dio, poiché non c’è alcunché che sia “esteriore” a Dio, anche se l’intensità della sua presenza creatrice e beatificante presenta gradi diversi di intensità, nell’universo fisico, nell’uomo, nei Santi.

L’Angelo, Spirito creato, ci è ontologicamente più vicino, ci è di aiuto per capirci meglio; infatti l’Angelo, spirito, incorporeo creato, ci insegna come l’Unità spirituale e la corrispondente interiorità, possa coesistere con una prima reale dispersione; infatti l’Angelo ha l’Atto di essere limitato dalla sua essenza, distinguiamo in Lui: il Soggetto, l’Io spirituale, in una sua natura limitata (l’essenza che limita l’Atto di esistere), quindi con una sua attività di conoscenza e di amore.

Questi atti puramente spirituali si distinguono veramente dal Soggetto che li compie, in una successione “sui generis”, molto differente dalla nostra successione temporale, che comporta cambiamenti fisico biologici, ma vera successione, detta “aevum”.

Senza spezzare l’unità, interiorità spirituale, l’Angelo conosce in sé questa prima vera distinzione, di Soggetto esistente in una natura essenza, con i propri atti conoscitivi e volitivi.

Non conoscendo l’opacità della materia, come il nostro corpo, l’Angelo ha una piena ed immediata coscienza di se stesso, in una luminosa interiorità. Conosce attraverso idee, che non estrae dai corpi, ma che riceve direttamente da Dio creatore. S. Tommaso parla di un linguaggio angelico, capacità che hanno gli Angeli di illuminare le idee dei propri compagni, nell’orizzonte spirituale amplissimo, della totalità dell’essere.421

L’Angelo possiede una sua propria affettività; anche per l’Angelo amare Dio creatore, che gli è distinto, che non è il suo proprio Atto di esistere, richiede una scelta tra sé e Dio: può quindi peccare, in un Atto che lo impegna totalmente, non conoscendo l’opacità della conoscenza umana.422

Anche l’Angelo viene invitato all’ordine soprannaturale, creato in per verso Cristo (vedi Col 1, 15-20), gli viene offerto di partecipare più intensamente alla stessa generosità divina: Dio-Spirito Assoluto, creando liberamente, per pura generosità, pone nell’esistenza la creatura, per arricchirla dei suoi doni, per servirla, sino al gesto estremo della Croce, generosità di servizio espressa nel segno sconvolgente della lavanda dei piedi di Pietro e Apostoli, nell’ultima cena.

L’Angelo viene invitato a partecipare di questa estrema generosità divina, servire il progetto Cristo a favore dell’uomo, lo Spirito più piccolo ed indigente. Anche qui l’Angelo è invitato ad una scelta, tra la propria perfezione, autonomamente vissuta, ed il progetto di Dio Creatore e Salvatore, ineffabile generosità di comunione e servizio.

Nel peccato angelico, il puro Spirito, chiudendosi in se stesso, rifiutando la fonte dell’Unità, semplicità, interiorità, cioè lo stesso Dio, sperimenta il dramma di una assurda dispersione. Essere lacerato, inquieto, snaturato, che diventa lacerante, principio di confusione e di ostilità.

Gli Angeli, secondo la speculazione di Tommaso, sono come variazioni sullo stesso tema e tipo. Ognuno è caratterizzato dalla propria essenza, che delimita l’Atto di esistere, essere puramente spirituale: ogni Angelo è come una propria specie.(S.Th. I, 50, 3).

421 De Veritate, q. 9; S.Th. I, 106-107; BONINO S.Th., Les Anges et les Demons, ed. Parole et Silence, 2007, 135-154.

422 Cfr Ivi, 155-174

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Nell’uomo compare una differenza del tutto differente rispetto all’Angelo. Nella propria essenza si da l’ulteriore molteplicità della materia, la novità del corpo. L’essenza umana, il nostro modo proprio di esercitare l’Atto di essere, non è semplice, come nell’Angelo, ma composta di forma sostanziale spirituale, l’anima, e della materia che informa, in cui si esprime, cioè il corpo; il corpo umano è quella materia in cui la forma anima si esprime, di cui ha bisogno per esistere e per operare spiritualmente. Il soggetto spirituale umano viene così individualizzato e anche moltiplicato per il suo esistere in un corpo.

Abbiamo nell’uomo ancora una autentica coscienza, interiorità, capacità di ritornare a se stesso, in una attività di conoscenza ed amore propriamente spirituale. Ma l’uomo conosce l’opacità, necessaria, del corpo, del cosciente subcosciente, del libero arbitrio in una molteplicità di attività concrete, in relazione alla molteplicità dei corpi e degli oggetti del suo mondo.

Queste considerazioni sul limite necessario della corporeità, necessario perché senza di essa la spirito più piccolo, l’anima umana non può ne esistere ne operare, ci invita a completare questa lettura discendente con la lettura ascendente: considerare la corporeità, la relazione alla materia, come si è formata a partire dal basso, nella stessa “storia” della materia cosmica e biologica.

4.2 Lettura ascendente dell’uomo.Si tratta dell’aspetto più considerato dalla cultura contemporanea, segnata dal grande

sviluppo delle scienze sperimentali razionali; anzi l’evoluzione più ancora che una teoria legittima delle scienze positive, tende a trasformarsi in un paradigma di pensiero, una quasi ideologia ovunque imperante.

Oggi la Filosofia della Natura, in relazione alla cosmologia fisica, studia non un mondo statico, ma dinamico, nella sua evoluzione fisico biologica.423

Questo è il frutto delle grandi sintesi di Einstein e Planck, che hanno permesso, rispettandole, di unificare in visioni e leggi universali i campi settoriali, le branche specializzate della fisico chimica.

Ricordiamo, come viene esposto in Filosofia della natura, che l’evoluzione, esaminata dall’attuale teoria sperimentale-razionale, è stata preceduta da considerazioni metafisiche. Il cosmo in Filosofia della natura, non solo è considerato come un “Tutto”, per l’uomo (un uomo ben inserito in questo “Tutto”, ed insieme aperto alla totalità dell’Essere), ma inoltre la materia cosmica è come animata da una aspirazione “metafisica” ad essere informata da “forme” sempre più unificanti ed assoggettanti la materia stessa; forme inorganiche, organiche, vegetative e psico-sensitive, sino alla forma anima razionale umana, che mentre informa la materia (ne fa il suo corpo, di cui l’anima necessita per esistere ed operare), insieme la supera del tutto, essendo capace di conoscere ed amare l’Essere personale, Assoluto creatore.424

Questo studio avviene per i principi insiti nella mente umana, sempre attivi: principio di non contraddizione, di finalità, di causalità (Fides et ratio n 4).

Queste considerazioni sono di natura metafisica, esprimono le esigenze dell’essere materiale, della sua necessaria attività nel superare i propri limiti metafisici, di tendere quindi alla totalità dell’Essere, sino all’Assoluto.425

423 Cfr MALDANE’ J.M., En travail d’enfantement. Création et évolution, Aubin, 2000, 52-64.; ARMENDARIZ L.M., Ombre y mundo a la luz del Creador, cit., 531-554.

424 de FINANCE J., Citojen de deux mondes, cit., 137: “Finis totius generationis: il fine, termine scopo di tutto l’ordine delle generazioni, e per questo di tutta l’attività cosmica: è così che S. Tommaso vede il posto dell’uomo nell’universo”, citando Contra gentiles, III, 22

425 Cfr de FINANCE., Esistenza e libertà, (=Teologia e Filosofia XVIII) LEV 1990, 226-233 “L’dea di evoluzione ascendente”.

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Senza il comparire dell’anima razionale forma del corpo, che solo Dio può creare con un atto specifico, personalizzante l’uomo, l’universo sarebbe come un aborto metafisico, fallendo il senso del proprio esistere ed attività.

In questo ambito di crescita delle forme sostanziali, per motivazioni strettamente metafisiche, viene ben ad inserirsi la teoria scientifica dell’evoluzione fisico biologica.

Parliamo, con Giovanni Paolo II, di Teoria dell’evoluzione: riportiamo il suo discorso all’Accademia Pontificia delle Scienze:

“Oggi, circa mezzo secolo dopo la pubblicazione dell’Enciclica (Humani Generis, di Pio XII) , nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione come una mera ipotesi. E’ degno di nota il fatto che questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere. La convergenza, non ricercata nè provocata, dei risultati dei lavori condotti indipendentemente gli uni dagli altri, costituisce di per sé un argomento significativo a favore di questa teoria.

Quale è l’importanza di una simile teoria? Affrontare questa questione, significa entrare nel campo dell’epistemologia: una teoria è una elaborazione metascientifica, distinta dai risultati dell’osservazione, ma con essa affine. Grazie ad essa un insieme di dati e di fatti indipendenti fra loro possono essere collegati e interpretati in una spiegazione unitiva.

La Teoria dimostra la sua validità nella misura in cui è suscettibile di verifica; è costantemente valutata a livello dei fatti; laddove non viene più dimostrata dai fatti, manifesta i suoi limiti e la sua inadeguatezza. Deve allora esser ripensata. Inoltre, l’elaborazione di una teoria come quella dell’evoluzione, pur obbedendo all’esigenza di omogeneità rispetto ai dati dell’osservazione, prende in prestito alcune nozioni della filosofia della natura.

A dire il vero, più che della teoria dell’evoluzione, conviene parlare delle teorie dell’evoluzione. Questa pluralità deriva da un lato dalla diversità delle spiegazioni che sono state proposte sul meccanismo dell’evoluzione, e dall’altro dalla diverse filosofie alle quali si fa riferimento. Esistono pertanto letture materialiste e riduttive e letture spiritualistiche. Il giudizio è qui di competenza propria della filosofia e ancora oltre, della teologia.

Il Magistero della Chiesa è direttamente interessato alla questione dell’evoluzione, poiché questa concerne la concezione, dell’uomo, del quale la Rivelazione ci dice che è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio (Gen 1, 28-29). La Costituzione conciliare Gaudium et spes ha magnificamente esposto questa dottrina, che è uno degli assi del pensiero cristiano.

Essa ha ricordato che l’uomo è “la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa” (n 24).

In altri termini, l’individuo umano non deve essere subordinato come un puro mezzo o come un mero strumento né alla specie nè alla società; egli ha valore per se stesso. E’ una persona. Grazie alla sua intelligenza e alla sua volontà, è capace di un rapporto di comunione, di solidarietà e di dono di sè con i suoi simili.

S. Tommaso osserva che la somiglianza dell’uomo con Dio risiede soprattutto nella sua intelligenza speculativa, in quanto il suo rapporto con l’oggetto della sua conoscenza è simile al rapporto che Dio intrattiene con la sua opera426.

L’uomo è inoltre chiamato a entrare in un rapporto di conoscenza ed amore con Dio stesso, rapporto che avrà il suo pieno sviluppo al di là del tempo, nell’eternità. Nel mistero di Cristo risorto ci vengono rivelate tutta la profondità e tutta la grandezza di questa vocazione (vedi GS 22).

E’ in virtù della sua anima spirituale che la persona possiede, anche nel corpo, una tale dignità. Pio XII aveva sottolineato questo punto essenziale: se il corpo umano ha la sua origine

426 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologica, I II, q.3, a. 5,ad 1.

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nella materia viva che esisteva prima di esso, l’anima spirituale è immediatamente creata da Dio («animas enim a Deo immediate creari catholica fides nos retinere iubet» Humani generis DH 3896)”427

Cerchiamo di assimilare questo discorso del S. Padre riflettendo sulla terminologia usata, sia rimandando a quanto conosciuto in Cosmologia sul metodo sperimentale razionale, sia facendo riferimento allo studio del domenicano accademico pontificio J. M. Maldamé 428

La teoria dell’evoluzione riguarda fatti scientifici429; contrariamente a quanto riteneva il positivismo non si danno fatti bruti, solo fatti, nelle scienze. Infatti il fatto scientifico, anche se riguarda sempre dati di osservazione, sperimentazione, misure della nostra concreta realtà, è già il frutto del metodo scientifico, secondo le esigenze della formalizzazione logica e della quantificazione matematica: frutto di concetti specifici (enti scientifici ) e di procedure sperimentali.

La teoria dell’evoluzione considera fatti scientifici elaborati da più scienze: biologia, paleontologia, geologia, ecologia, genetica, embriologia, con l’uso quasi universale della formalizzazione matematica. Questa molteplicità di scienze ha raccolto una massa grandiosa di fatti scientifici, in campi che hanno progredito in modo notevolmente indipendente.

La teoria dell’evoluzione vuole offrire una spiegazione dell’unità e della diversità di tutti i viventi. Questa teoria permette di scrivere una storia continua degli esseri viventi catalogati sul calendario della storia della Terra. Essa mostra delle permanenze e delle variazioni che fanno l’unità e la diversità degli esseri viventi. “Essa non si pone allo stesso piano dei fatti o delle discipline che li esplorano, ma introduce un’altra istanza di giudizio che è fondato su dei principi esterni al lavoro scientifico propriamente detto”430.

Questi principi, base dell’intelligibilità della teoria, fanno parte della filosofia della natura.431

Li ricordiamo brevemente, secondo l’ordine usato da Maldamé:

Il mondo è in sé intelligibile; le leggi della natura, ricavate secondo il metodo sperimentale razionale, devono essere esaminate e valutate nel proprio ambito di razionalità

questa intelligibilità presuppone l’universalità delle leggi che presiedono ai fenomeni della natura.

tale universalità fa si che il fenomeno vitale si può situare nel contesto che va al di là della biosfera, nel contesto della fisica e della cosmologia fisica.

la diversità delle forme viventi non è irriducibile, cioè le si possono mettere in relazione reciproca, in relazione di origine.

anche la corporeità umana viene situata in questa visione più ampia; la teoria dell’evoluzione non si accontenta di classificare i fatti del passato, ma propone delle ipotesi, stimola la ricerca sia genetica che paleontologica.Evidentemente, chi non accetta questi principi “metascientifici”, non può accogliere una

teoria dell’Evoluzione.

Il S. Padre nel suo messaggio parla di Teoria dell’evoluzione, qualcosa di più rispetto all’insegnamento di Pio XII, che qualificava l’evoluzione biologica come una ipotesi (DH 3895). Sempre con Maldamé cerchiamo di precisare cosa significa nelle Scienze sperimentali il concetto di Teoria.

427 Messaggio del Santo Padre alla Pontificia Accademia delle Scienze, in Osservatore Romano del 24 – 10 –1996, p.7; E V !5, 1996, La Chiesa davanti alle ricerche sull’origine della vita e la sua evoluzione, nn 1350-1352. ;

PULMANN B ed, The emergente of complexity in mathematics, phisycs, chemistry and biology, proceedings plenary session of the Pont. Academy of Sciences, 27-31 October 1992, Vatican City ,1996

428 Cfr. MALDAMĖ J.M., Evolution et création, in R. Thom, (96) 1996, 575-616.

429 Cfr MALDAMĖ J.M., En travail d’enfantement. Création et évolution, Aubin, 2000, 47-49.430 Ivi, 578431 Cfr MALDAMĖ J.M., En travail d’enfantement. Création et évolution, Aubin, 2000, 83-93.

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4.2.a Concetto di Teoria ed Ipotesi scientifica.

Sia teoria che ipotesi costituiscono costruzioni dello spirito umano, quando cerca di darsi un spiegazione dei fatti scientifici.

Per l’evoluzione è preferibile parlare di teoria: l’insieme dei fatti scientifici è grande, e si cerca non una spiegazione settoriale, ma una ragione dell’insieme dei fatti biologici. Ora l’evoluzione è l’unica in grado di stimolare la ricerca di una spiegazione scientifica che dia ragione dell’universalità dei fatti.

La categoria ipotesi sembra troppo ristretta, anche debole di fronte all’imponente massa di questioni da affrontare in modo unitario. Non si tratta con questo di maggiorare la sua capacità esplicativa; anzi è meglio parlare non di una teoria, ma al plurale, di teorie dell’evoluzione.

Deve restare vivo il dibattito interno alla teoria: quando si parla di teorie si indicano i meccanismi biologici dell’evoluzione, che sono pur essi in continua “evoluzione”: pensiamo al passaggio dalla selezione sulle mutazioni di Darwin, sino agli attuali studi sui geni, la loro genesi e trasformazioni.432 Il vero salto specifico avviene nella specie umana, qualificata dall’anima spirituale, che solo Dio può direttamente creare.Tutti gli altri viventi sono variazioni di una medesimo tipo.

4.2.b Teoria o paradigma?

Mentre risulta del tutto utile distinguere tra una teoria generale e le teorie più particolari, esplicative, che successivamente si presentano, si migliorano, si deve porre la massima attenzione quando il modello della teoria evolutiva, dal suo ambito proprio delle scienze sperimentali razionali, viene come esportato ad altre scienze dello spirito, come quelle filosofiche, teologiche.

Così si passa da una teoria sperimentale razionale ad un paradigma di pensiero, di uso universale.433

Ma cosa significa propriamente evoluzione in etica?.I ritmi della crescita morale e religiosa dell’uomo possono ancora essere espressi con una

teoria esplicativa di tipo fisico-biologico? E’ stato il tentativo di Teilhard de Chardin, non solo affermare che Fede e Scienza non si oppongono, ma cercarne la corretta convergenza; operazione legittima, necessaria, evitando il rischio di non esprimere più lo specifico dello Spirito umano, delle sue leggi proprie, uniche, di crescita. Ancor più quando si tratta dei misteri della fede: l’Incarnazione, la Croce, possono ancora considerarsi nell’ambito dell’evoluzione biologica? Le deboli analogie male usate possono riuscire del tutto controproducenti. Svilupperemo alquanto queste osservazioni trattando del Peccato originale 434.

432 Per il 150 anniversario di “The Origin of species by means of natural selection or the preservation of favoured races in the struggle for life” di DARWIN C., l’Università Gregoriana (con la collaborazione di University of Notre Dame, Indiana) ha organizzato una Conferenza Internazionale nel programma STOQ (science, theology and the ontological quest) su Evoluzione biologica, fatti e teorie, Roma 3-7 Marzo 2009, sotto l’alto patronato del Pontificio Consiglio della Cultura. MENDEL G., abate agostiniano, scopritore delle leggi dell’ereditareità, 1865, rimaste ignorate sino all’inizio del 1900, vero fondatore della genetica, è stato commemorato in un Simposio, «Il gene: una scoperta per la scienza, l’uomo e la società, Roma 4-5/12/ 1984, nel centenario della sua morte. Atti editi a cura di SERRA A. e NERI G., Nuova genetica uomo e società, Vita e pensiero, Milano 1986.

433 Per l’uso della categoria di “paradigma” nelle scienze sperimentali-razionali, cfr. KUHN TH. S., La struttura delle rivoluzioni scientifiche, come mutano le idee della scienza, Einaudi, Torino 1978; KUHN TH. S – FEYERABEND P.K., L’irrazionalismo in filosofia e nelle scienze, antologia a cura di CRESCENZI A., La Scuola, Brescia 1989; per l’uso distorto in Teologia morale dei paradigmi di Kuhn, già insufficienti nella stessa scienza sperimentale, cfr GOMEZ MEIER V., La rifondazione della morale cattolica, il cambiamento della “matrice disciplinare” dopo il Vaticano II, EDB 2001

434 J. de FINANCE, Citoyen de deux mondes, cit, 99-103, trad. italiana: Cittadino di due mondi, il posto dell’uomo nella creazione, Lib. Ed. Vaticana 1993, 96s.

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Massima attenzione deve porsi alle filosofie dell’evoluzione, specialmente quando si tratta di una evoluzione che cerca la spiegazione della totalità dell’essere umano; si danno prospettive totalmente opposte in una visione materialista oppure di filosofia spiritualista.

Dobbiamo qui introdurre il discorso sull’anima umana, ove congiungiamo la lettura discendente a quella ascendente.

4.3 L’Anima umana, luogo di convergenza delle due lettureL’anima umana, lo spirito più piccolo, bisognoso per il suo esistere ed operare

spiritualmente di quella materia che informa per farne il suo corpo, si trova alla congiunzione dei due movimenti:

quello considerato nella lettura discendente, che procede dalla somma Unità e Interiorità di Dio, e, attraverso la prima dispersione dello Spirito angelico, giunge a quella massima dispersione compatibile ad una Unità ed Interiorità spirituale, come si realizza nell’anima spirituale umana;

quello considerato nella lettura ascendente, che procede dalla massima molteplicità e dispersione della materia inorganica, non però priva di intelligibilità, unità di relazioni, una figura esteriore di unità, come è stata colta e formulata, a livello geometrico matematico, nella relatività di Einstein.

Ora, seguendo le grandi linee del successivo apparire dei viventi sulla terra, possiamo con Teilhard de Chardin formulare il principio generale Dehors-Dedans, che lega la qualità di coscienza (Dedans) alla complessità unificata della struttura biologica, per il suo sistema nervoso (Dehors).435

Nel cosmo fisico si presenta, come notato, solo una figura esteriore di unità, unità di relazioni. Nel mondo vegetale l’unità diviene immanente, capacità di nutrizione, auto formazione della propria sostanza vivente, e di riproduzione, perpetuare la specie.

Nel mondo animale tale immanenza si intensifica, per la comparsa di un sistema nervoso, coordinante i processi vitali; si nota una maggior capacità di presenza all’ambiente, per i sensi, ed inoltre una certa interiorità, vita psico-sensitiva, per immaginazione e memoria. Non si varca il muro dell’organismo biologico, l’animale è chiuso nelle sue necessità di nutrizione e riproduzione. Alla complessità del sistema nervoso e sua centralizzazione, corrisponde una capacità più ampia e regolata di relazioni all’interno della specie, come si manifesta negli Insetti, i Mammiferi.

Oltre questa lettura: complessità unificata-coscienza (non interiore, spirituale), Dehors-Dedans di Teilhard de Chardin, possiamo con de Finance J.436 esprimere alcune leggi delle strutture organico biologiche, leggi riscontrabili in una lettura ascendente dei fenomeni vitali:

l’inferiore viene assunto, posto al servizio del superiore, che ne ha bisogno per le sue realizzazioni: così le strutture della materia organica (chimica del Carbonio) sono assunte e necessarie per l’organismo biologico della vita vegetativa; e le strutture vegetative sono assunte e qualificate nell’organismo psico-sensitivo, e questo a sua volta nella vita intellettiva.

il grado massimo dell’inferiore anticipa qualcosa del superiore, senza varcarne la soglia: così le grandi molecole organiche sono come i mattoni costitutivi l’organismo vegetativo; inoltre il grado inferiore, inserito e qualificato dall’unità più intensa del superiore, vi presenta il suo massimo sviluppo: così troveremo le più grandi macromolecole organiche nella struttura del vivente.La nutrizione e riproduzione presentano livelli superiori nella vita psico-sensitiva. Lo stesso

sistema nervoso centrale raggiungerà il suo massimo sviluppo di inter-relazioni quando sarà lo strumento della vita spirituale razionale nell’uomo.

435 TEILLHARD DE CHARDIN P., Le Phénomène humain, Seuil, Paris 1955, 65-70.436 de FINANCE, Citoyen cit., 99-128

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Così le grandi antropomorfe (Orango, Scimpanzé, da cui non discendiamo in alcun modo, al più lontanissimi cugini di un comune antenato ancora non umanizzato, da porsi in un periodo imprecisabile di 1 milioni di anni fa’), presentano una certa irrequietezza emotiva, educabile dall’uomo, con prestazioni indotte dall’uomo.

Riflettendo ancora sui processi evolutivi biologici, possiamo ancora formulare un’altra legge, che in modo molto analogico, potremmo definire dell’umiltà: cioè viene assunto, utilizzato nell’ordine superiore, non ciò che è quantitativamente più ponderoso, ma ciò che risulta più capace di stabilire relazioni, evolversi così verso forme, figure più complesse perché più unificate, più immanenti, interiori.

per es: l’elemento organico fondamentale della sostanza vivente è il modesto Carbonio, con la sua tetravalenza e capacità di costituire macromolecole; non viene scelto l’Uranio, dal massimo peso molecolare..

il passaggio dal vegetale all’animale non si ricerca nelle gigantesche Sequoie, ma nelle alghe unicellulari.

si suppone che l’evoluzione dai rettili ai mammiferi sia avvenute non sulla linea degli enormi Dinosauri, ma dei piccoli Teriodonti; così la linea evolutiva verso l’Australopithecus attraverso i minuscoli Tupaidi. Parimenti il passaggio all’Uomo non attraverso le gigantesche antropomorfe, ma un comune antenato ancora indifferenziato, un - ? - da identificarsi.Quando arriviamo all’uomo queste leggi di complessità-coscienza (Dehors-Dedans),

assunzione dell’inferiore e sua qualificazione nel livello superiore, di “umiltà”, non sono più sufficienti, compare qualcosa del tutto nuovo, una differenza totalmente differente, la vita spirituale:

una presenza a se stesso liberata, anche se ancora condizionata dalla dispersione e opacità della materia, per orientarsi nell’orizzonte oggettivo, universale del Vero e del Bene, in una prospettiva di Assoluto.

una coscienza capace di ritornare a se stessa, riflettere, senza disperdersi negli oggetti della sua esperienza.

una interiorità, luminosità dell’Io, presenza a se stessi non alienabile, con un orizzonte infinito di conoscenza, con una differenza totalmente differente rispetto allo psichismo animale:

differente per estensione, dal particolare dell’impressione dei sensi, immaginazione sensitiva, alla totalità dell’esistente, reale o possibile, l’universalità dell’essere, sino al suo fondamento di pienezza assoluta, Dio.

differente inoltre per intensità: dalla sensazione, da ciò che piace o dispiace, sino alla verità oggettiva, nell’orizzonte del Vero-Bene assoluto; sino a ciò che è semplicemente in se stesso Bene, bene comune, universale, comunicabile.Situato al punto di incontro del movimento ascendente della materia e del movimento

discendente dello Spirito, l’uomo unisce in sé:

a) il massimo di complessità organica, con la corrispondente unità, che pur nel più progredito psichismo, resterebbe ancora esteriore a se stessa.

b) il massimo di dispersione spirituale, pur conservando la capacità di riflessione su se stesso, di coscienza-conoscenza nell’orizzonte del Vero e del Bene: qui l’unità si misura per una interiorizzazione crescente delle attività, la cui distinzione si attenua; qui il Soggetto spirituale non unifica una molteplicità che gli resta esteriore, ma unifica dal di dentro, intenzionalmente, una molteplicità che gli è sempre più interiore.437

L’uomo risulta così Spirito, Persona incarnata; non uno Spirito, Anima, abitante in un corpo, ma esigente la “corporeità”, la relazione al corpo, per la sua stessa esistenza, per lo sviluppo

437 Cfr MALDAMĖ J.M., Le Christ pour l’univers, cit., 117-160.

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integrale del suo agire; bisognoso di un congiunto materiale, per fare con lui un solo essere, e solo così si inserisce come elemento nel cosmo.438

La corporeità denuncia una debolezza ontologica della Spirito umano, l’Anima spirituale: il soggetto spirituale conosce una certa esteriorità, per il fatto di esprimersi necessariamente attraverso e con il supporto del corpo. Costituisce un limite per l’attività spirituale umana, perché il corpo denuncia una sua certa opacità, pensiamo all’inconscio.

Rappresenta anche un vantaggio: lo Spirito umano ha bisogno del suo congiunto corporeo per esistere, per operare spiritualmente, ricavando informazioni, idee dal cosmo di cui fa parte, e che non possiede in se stesso. Da voce a questo universo perché conosca e lodi il suo Creatore.

Nell’uomo, lo Spirito più piccolo, appare una differenza differente rispetto allo Spirito angelico, la novità del corpo, come anima espressa; una novità che l’Angelo non conosce.

L’Anima ha i suoi atti propri, perché essa pensa, ama, agisce liberamente, nell’orizzonte dell’assoluto del Bene e del Vero, ed in questi atti propri, spirituali, la materia, di cui il corpo è fatto, non entra intrinsecamente.

Questi atti nei quali lo spirituale emerge, avvisano della presenza nell’uomo di un principio spirituale, l’Anima, che li spieghi.Questi atti spirituali reggono gli eventi semplicemente biologici e puramente psichici, che sono loro ordinati per natura.439

Ma non si tratta di dualismo: è in quanto spirituale che l’Anima umana informa la materia corporale, riordinandola alla vita dello Spirito.

Nell’uomo lo Spirito, l’Anima, che fonda la Soggettività responsabile, la capacità spirituale di conoscere ed amare, è lui stesso corporale; e il corpo risulta a sua volta lui stesso spirituale, impregnato e qualificato di spiritualità Non si da nulla nell’essere umano, per materiale che possa esistere, che non sia in se stesso umano, perché esistente in forza dell’anima spirituale, e intrinsecamente ordinato allo Spirito, per cui non ha senso, bellezza, ordine che in questo orientamento.440

Vedere e percepire la bellezza autentica, che è sempre Bene onesto sensibilmente espresso, ascoltare musica, forgiare la materia secondo una idea, comunicare degnamente nella parola e nel gesto, è questo spirituale o corporale? Non è attività propriamente umana, spiritualità espressa per il corpo?.441

4.3.a Origine dell’anima umana

Ci limitiamo all’essenziale, come conclusione delle riflessioni sin’ora fatte.442

Mentre tutto dipende radicalmente da Dio creatore, sia nel suo esistere sia nel suo operare, e tutto risulta orientato a Lui come suo fine ultimo, lo Spirito è tale non solo perché esiste, come tutte

438 Cfr de FINANCE, Citoyen cit., 134-137439 Cfr MALDAMĖ J.M., En travail d’enfantement. Création et évolution, Aubin, 200, 115-150.440 Lo stare davanti a Dio della Creazione-Alleanza pone in risalto la Persona umana, la sua Anima, che dà unità

e dignità a tutto il composto umano. Il pensiero moderno riduce la consistenza dell’Anima spirituale, sino a non parlarne più; si ritorna ad un intellettualismo di stampo greco, sotto forma di scienze sperimentali, con strumenti matematici-geometrici; il rapporto storico vissuto con Dio, anche una vera libertà, si eclissa. Nelle neuroscienze si parla di <mente>, l’uomo si misura sempre più sull’Intelligenza artificiale del Computer. Cfr VANNINI M., La morte dell’anima, dalla mistica alla psicologia, Le Lettere, Firenze 2003; VACCARO A., Perché rinunciare all’anima ?, EDB 2001; NANNINI S., L’anima ed il corpo, un’introduzione storica alla filosofia della mente, La Terza, Roma-Bari 2002

441 Cfr NICOLAS M.J., Le corps humain, in R. Thom., 1979, 357-387; Id., Le corps humain et la Résurrection, ivi 1979, 533-545

442 Per una trattazione più ampia rimandiamo al testo di L. F. LADARIA, Antropologia teologica, 19952, 166-172; oppure FLICK M. – ALSZEGHY Z., Fondamenti di una Antropologia teologica, Lib. Ed. Fiorentina, 1969, 116 -129.

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le cose da Dio e per Dio, ma perché Dio lo costituisce in modo specifico come Spirito, con le sue capacità proprie di conoscenza e di amore.

Solo Dio può chiamare all’esistenza lo Spirito capace di conoscere ed amare, nell’orizzonte assoluto del Vero e del Bene, in definitiva capace di conoscere ed amare Lui stesso; una capacità operativa che avvisa di una somiglianza ontologica con Lui. Pur evitando ogni forma di ontologismo, una forma di quasi confusione tra lo Spirito di Dio e lo Spirito umano, una specie di quasi panteismo, si deve parlare di una presenza trans-interiore di Dio nell’uomo, fondamento e causa delle sue attività spirituali.

Ogni uomo è voluto per sé, è persona, ordinato direttamente a Dio, non è un momento dell’universo; tutto ciò che appartiene alla natura universale è ordinato a Lui, che lo supera. Mentre la generazione animale guarda al bene della specie, non dell’individuo, la generazione umana e Dio impegnato in essa guarda alla Persona.

Quale che sia la contingenza dei casi, tante volte infelici, che hanno suscitato l’elemento corporeo presupposto all’Anima, essa è propriamente l’effetto non solo di una atto divino, ma di una espressa e particolare intenzione divina, di una predestinazione all’esistenza per la vita eterna.

Questa relazione particolare, immediata con Dio, necessaria per il sorgere, costituirsi di una persona umana, in altri termini la creazione immediata delle anime da parte di Dio, si deve affermare sia per il concepimento di ogni uomo, sia, in contesto diverso, per l’ominizzazione dei progenitori, se ci muoviamo nella prospettiva della teoria dell’evoluzione biologica.

Nel caso del concepimento di ogni uomo, l’ovulo fecondato è umano, con un proprio patrimonio genetico, cromosomi appaiati, nell’uomo di numero 46, metà di origine paterna e metà di origine materna. La determinazione sessuale è dovuta alla presenza del cromosoma XX nella donna, e XY nell’uomo; siamo uomini e donne per il patrimonio genetico iscritto in ogni cellula.

I genitori concorrono con Dio nella generazione del figlio: nel patrimonio genetico è come «pre-scritto» l’intero figlio, con tutte le sue caratteristiche, ad ogni livello. Ma la qualità decisiva che ci fa uomo, cioè persona, soggetto spirituale, immagine di Dio perché costitutivamente aperta all’assoluto del Vero e del Bene, un essere capace di conoscere ed amare Dio, di comunione vitale con Dio, ebbene questa qualità spirituale che sola ci fa veramente uomini, dipende totalmente da Dio, viene direttamente da Lui.

L’anima razionale, il co-principio ontologico, forma del corpo, conservando la trascendenza spirituale sul corpo, viene solo da Dio, solo Lui può «unirlo» all’ovulo fecondato dei genitori, perché esista questa persona umana, questo « IO » caratteristico e irrepetibile, nella comunione con Dio e le altre persone umane.

Nella storia della riflessione, l’intelligenza della Fede, la creazione immediata delle anime, si è imposta, superando un certo traducianesimo agostiniano. Agostino infatti avanzò l’ipotesi che la anime dei figli fossero come accese, suscitate dalle anime dei Genitori; Agostino desiderava cosi affermare la propagazione del peccato originale attraverso la generazione.

Ma questa ipotesi non regge, ed è inoltre superflua per le finalità intese da Agostino. Non regge, perché la relazione unica, diretta con Dio che ci costituisce persona umana, può venire soltanto direttamente da Dio.

Risulta superflua per la propagazione per generazione del Peccato originale: nasciamo in situazione peccaminosa originale, per il solo fatto che nasciamo nella solidarietà umana, peccatrice sin dall’inizio; essa non ci media, nelle articolazioni sociali fondamentali (paternità, maternità, fraternità), quella intensità di Grazia originale, <Santità e giustizia> secondo il progetto originario di Dio. Ora questo avviene nelle articolazioni della comunione ecclesiale, che ci mediano una grazia di conversione, la grazia del Crocifisso glorioso, una autentica rigenerazione spirituale.

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Notiamo ancora come le incertezze di Agostino dipendono anche dalla sua concezione, filosoficamente debole, della profonda unione dell’anima e del corpo; S. Tommaso ha esposto, come già vedemmo, in modo del tutto rigoroso, anche a livello filosofico, questo evidente dato biblico, di rivelazione.

Teologia e Magistero affermano ora la creazione dell’anima umana al momento stesso del concepimento, superando qualche incertezza, questa volta di S. Tommaso. É stato il progredire degli studi embriologici, che Tommaso minimamente conosceva, a esigere sin dal concepimento la presenza dell’anima spirituale.

Infatti la scienza moderna ci dice come nell’ovulo fecondato è già iscritta la totalità del progetto umano del Figlio, nulla vi è da aggiungere; quelle qualità che Tommaso riteneva si presentassero soltanto con lo sviluppo dell’embrione, vi sono già, sin dal concepimento, totalmente presenti: devono solo manifestarsi nel così detto «fenotipo», l’individuo umano sviluppato. Nel «genotipo», nel patrimonio genetico, sono già del tutto presenti; questo richiede la presenza dell’anima umana, sin dal concepimento, per uno sviluppo dell’organismo che sia del tutto umano sin dal suo inizio.

Notiamo ancora che l’uomo non è un organismo vivente vegetativo, psico-sensitivo, cui finalmente si ‘aggiunge’ l’anima spirituale. Tutto nell’uomo è intrinsecamente umano, spiritualmente qualificato anche a livello biologico, psico-sensitivo dal suo principio costitutivo spirituale, che solo lo fa uomo, l’anima spirituale; anche il biologico, lo psico-sensitivo, senza perdere la sua consistenza, è spiritualmente qualificato, per l’attività propriamente umana, con quella differenza totalmente differente rispetto allo psichismo dell’animale che abbiamo già più volte posto in risalto. Anche il «biologico» fa parte della natura razionale nell’uomo: è questo un principio fondante la corretta valutazione morale degli atti umani che riguardano l’esercizio corporeo.(VS n. 48)

Il Magistero recente si è impegnato chiaramente in proposito, sia in relazione alla teoria scientifica dell’evoluzione, sia ancor più con riguardo alle moderne tecniche di manipolazione dell’uomo, le numerose questioni di bioetica che il progredire degli studi sull’uomo presentano.

Ricordiamo l’insegnamento di Pio XII, nell’Enciclica Humani generis, nel contesto dell’evoluzione biologica: “la fede cattolica ci comanda di ritenere che le anime umane sono create direttamente, da Dio”( DH 3896); ribadisce Paolo VI: “Noi crediamo in un solo Dio, creatore delle cose visibili [ …], invisibili, quali sono i puri spiriti, chiamati altresì Angeli, e creatore in ciascun uomo dell’anima spirituale ed immortale” (Solenne professione di Fede del 29\ 6 \ 1968, in Ench. Vat., Vol. 3, p.257).443

La creazione immediata delle anime si pone in un contesto diverso quando si tratta del l’ominizzazione, la comparsa dei primi uomini; qui infatti l’organismo biologico che riceve l’anima umana non risulta ancora umano, come avviene per l’ovulo fecondato della generazione umana.

Per impostare correttamente il discorso è bene ricordare quanto Tommaso insegnava, da un punto di vista metafisico, che la comparsa dell’uomo è il “fine di tutta la generazione cosmica e biologica” (S.Tommaso, Contra Gentiles, II, 22), cioè la materia aspira a quella forma, l’anima umana, per cui può realizzare il suo desiderio metafisico, di potersi unire intenzionalmente, nella conoscenza e nell’amore, con l’Assoluto personale che la ha creata.

443 Per il rapporto anima corpo nella natura razionale dell’uomo, cf. il n. 48 della Veritatis splendor, e l’istruzione Donum vitae, Il rispetto della vita nascente e la dignità della procreazione, della CONGR. della DOTTRINA DELLA FEDE, in Ench. Vat., Vol. 10, p. 837; la più recente Istruzione Dignitas personae, che dichiara apertamente, n 5, “l’embrione umano ha fin dall’inizio la dignità propria della Persona” in quanto “esiste un nesso intrinseco tra la dimensione ontologica ed il valore specifico di ogni essere umano [come già riconosciuto dalla precedente Istruzione, Donum vitae]”: in Civ. Cat. (2009) I 50. SERRA A., L’uomo-embrione, il grande misconosciuto, Cantagalli, Siena 2003; SERRA A – SGRECCIA E. – Di PIETRO M.L., Nuova genetica ed embriopoiesi umana, Vita e pensiero, Milano 1990.

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La teoria dell’evoluzione scientifica ci permette di ricercare le tappe delle generazioni biologiche che portano all’uomo. La Provvidenza divina, attraverso il desiderio metafisico della materia sopra ricordato, servendosi delle leggi biologiche, da Lei volute, che la teoria dell’evoluzione cerca di individuare444, guida la crescita biologica sino a quell’organismo psico-sensitivo dotato di tale “complessità unificata” (Dehors-Dedans), che esige l’anima spirituale; ma essa, come abbiamo più volte affermato, viene solo da Dio, per un suo atto specifico, e solo per essa l’organismo che la esige diviene umano, natura razionale spiritualmente qualificata 445.

4.3.b Quando è comparso l’uomo sulla terra ?.

Una lettura semplificata della Scrittura ha indotto gli autori specialmente nell’ottocento, ad individuare in quella che abbiamo chiamato preistoria biblica, vale a dire Gn 1-11, la possibilità di un calcolo: sufficiente sommare l’età dei Patriarchi antidiluviani (Gn 5,6-32), e post diluviani, antenati di Abramo (Gn 11,10-32). Si otteneva così una cifra, che secondo i diversi codici, variava da un massimo di 3412 A.Ch., ad un minimo di 2046 anni A.Ch. 446 Evidente l’errore di considerare storia cronaca una storia che abbiamo già visto doversi valutare come teologica, tenendo anche presente la simbologia dei numeri.447

I progressi negli studi sull’uomo fossile, dalla prima scoperta di un Neanderthal nel 1856, e più ancora la retta interpretazione degli utensili litici preistorici, maturarono la convinzione che l’antichità dell’uomo costituisce un problema geologico, e che spetta a questa scienza darne la soluzione numerica: cifre ancora approssimative ma che si dimostravano difficilmente conciliabili con i dati che comunemente si riteneva di poter ricavare dalla Scrittura.448

Non è compito della Teologia decidere la data della comparsa dell’uomo sulla terra; abbiamo già considerato la specifica finalità storico-teologica della preistoria biblica. L’Alleanza ha fornito una luce particolare per narrare, secondo verità, la creazione del Cosmo e dell’Uomo, le sue decisioni storiche davanti a Dio, al prossimo, nell’evolversi delle sue attività sociali, culturali e religiose.

Professare la creazione dell’uomo e della donna, secondo l’immagine di Dio, per un atto intenso deliberato di Dio (Gn 1,27-28), espresso in Gn 2,7 come insufflazione del Soffio (Neshamat) di Dio sull’argilla plasmata, per una finalità religiosa, il Sabato, la vita etica nei rapporti personali e sociali (L’Albero del bene e del male), stimola la filosofia ad individuare un criterio che avvisi della sicura comparsa dell’Uomo; questo avviene riflettendo sui dati della Paleoantropologia.

Quale criterio dunque?Un primo indizio possiamo individuarlo nella capacità cranica dei reperti fossili; l’anima

spirituale ha, infatti, bisogno di uno <strumento > adatto, complessità adeguata di connessioni neurali, per esplicare la propria attività spirituale di raccogliere, elaborare e unificare i dati offerti dal sensorio umano. Abbiamo già visto la legge generale Dehors-Dedans: ad un sistema nervoso più

444 Ricordiamo che Dio conosce le eventuali leggi biologiche evolutive in modo ben diverso da come cerchiamo di conoscerle noi nella ricerca sperimentale razionale: Dio conosce creando, ponendo e mantenendo la creatura nell’esistenza, anche la sua attività corrispondente alla sua natura; la sua conoscenza non dipende dalla creatura stessa.

445 ? Vedi. de FINANCE J., Citojen, cit 134-137; trad. italiana: Cittadino di due mondi,il posto dell’uomo nella creazione, Lib. Ed. Vaticana 1993, 90-95; Id., Esistenza e libertà, cit., 233: “E’ chiaro che l’avvento dello spirito del mondo non potrebbe essere spiegato con lo stesso schema intellettuale che spiegherebbe il passaggio dalla materia alla vita. Per la sua profondità soggettiva, per la sua trascendenza sul mondo degli oggetti, per quella presenza a sé che esclude la dispersione spaziale, più radicalmente, per il suo rapporto all’essere come tale e con la Fonte dell’essere, lo spirito si inscrive al di fuori dell’ordine della generazione; può essere solo creato e la creazione non ammette cause strumentali.”

446 Cfr TESTA P.E., Genesi, Introduzione – Storia primitiva, vol 1° di La Sacra Bibbia, a cura di GAROFALO S., Marietti Torino-Roma, 1969, 360

447 Cfr ivi 124-155, con la discussione sul genere letterario delle liste dei Re sumero-accadiche, il loro uso e trasformazione nella Bibbia

448 Cfr MOSCHETTI S., Le relazioni tra scienza e fede, con riguardo al problema scientifico dell’ominizzazione, nel contesto teologico del ConcilioVaticano I°, Piacenza 1974, 25s

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complesso, come negli Insetti e nei Mammiferi superiori, corrisponde uno psichismo, corrispondenti prestazioni di comportamenti relazionali, più coordinato, superiore. Tanto più dovrà essere complesso il sistema nervoso centrale, specie encefalico, quando diviene supporto di uno psichismo razionale, che appunto per la sua trascendenza, deve unificare una molteplicità di dati, relazioni esprimenti la totalità dell’esistente, ad ogni livello, senza limitazioni.449

Criterio vero per decidere la comparsa dell’uomo, composto di un’anima spirituale direttamente forma del corpo cui comunica la sua dignità, consiste nel dimostrare, nei reperti fossili delle sue industrie, attività che denunciano una capacità sicuramente astrattiva, spirituale.

Tale è sicuramente la scelta, e la produzione, di strumenti atti a raggiungere un fine: conseguire finalità, necessarie per la conservazione, difesa e benessere della vita, costruire strumenti di caccia, di lavoro; non solo produrli, ma anche modificarli, ideare e realizzare strumenti necessari per la fabbricazione d’altri strumenti. Qui siamo al di là del semplice automatismo naturale, per cui il ragno tesse in modo mirabile la stessa tela, il castoro la stessa diga; la coscienza è liberata da un procedere ripetitivo, certo mirabile nella sua perfezione, ma che non denuncia alcuna deliberazione, progresso nel costruire gli strumenti più idonei per raggiungere fini vitali.450

Attività artigianale per la produzione di utensili, che evidentemente richiede collaborazione, vita sociale, già nell’esistenza del cacciatore nomade, ancor più in quella sedentaria. Anche in Genesi, al comando rivolto all’uomo di <soggiogare la terra, dominare sui pesci del mare, e sugli uccelli del cielo….(Gn 1,28)>, <coltivare e custodire il giardino (Gn 2,15)> è associato il comando <moltiplicatevi>, per una attività che si può fare solo collaborando; segue, dopo il peccato, la descrizione di una vita sociale che realizza sviluppo della pastorizia, agricoltura, metallurgia, strumenti musicali e canto (Gn 4,1-22).

Tutto è considerato con occhio positivo, mentre viene condannata l’aggressività e la violenza cui offrono occasione (Gn 4,8-12. 23s; 6,11 <la terra era corrotta davanti a Dio, e piena di violenza>)

La paleoantropologia trova chiari segni del senso religioso dell’uomo: inumazione dei morti, riti funebri; anche il corpo dell’uomo defunto conserva una dignità, rappresenta un <mistero>. La trascendenza spirituale dell’uomo viene percepita in modo più diretto che nella fabbricazione progressiva di manufatti litici. Forse già lo stesso rinvenimento di uno scheletro integro e composto di uomo fossile indica una inumazione intenzionale, un senso religioso della morte. I cadaveri semplicemente abbandonati, sarebbero stati dilaniati dalle bestie, dilavati dallo scorrere delle acque.451

Il rinvenimento delle rappresentazioni di animali e scene di caccia, dipinti sulle pareti delle grotte, veri santuari rituali, ricchi di simboli, ha introdotto ancor più direttamente allo studio del senso religioso dell’uomo preistorico. Notiamo che in Genesi il Sabato sta alla conclusione dell’attività di Dio e dell’uomo, segno di pace e di comunione, insieme giorno senza mattina e senza

449 Il Gorilla maschio ha una capacità cranica media di 534 cc; Australopiteco africano ( specie non umana, già con stazione eretta, fossile, laterale alla linea filetica che porta all’uomo) 450cc; nel corso di tre milioni di anni il cervello degli Ominidi si è triplicato, passando dai 450 cc dell’Australopiteco africano a 1450 cc dell’Homo sapiens sapiens. Le tappa intermedia dell’Homo habilis ( 695 cc) può già dirsi umana ? Il criterio decisivo è offerto dal progredire dei manufatti litici: cfr FACCHINI F., Il cammino dell’evoluzione umana, le scoperte e i dibattiti della Paleoantropologia, nuova edizione, Jaca book, Milano 1994, tabelle della capacità cranica 265s; SERRA A., L’incanto del cervello e l’enigma della mente, in la Civ. Catt. 2008 IV 228-238.

450 Cfr FACCHINI F., Il cammino dell’evoluzione umana, cit.: culture preistoriche, 195-226, e la loro interpretazione come attività propriamente umana nel cap. 14, Il cammino dell’umanizzazione, 261- 283; per i primi abbozzi di vita sociale, 237-248; per la loro valutazione cap. 13 Socialità, cooperazione e aggressività nell’evoluzione umana, 249-259.

451 Ivi, 159, 183, 204-206, 246

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sera, che dà significato religioso-morale (Albero della conoscenza bene e del male Gn 2,9) a tutta la vita umana personale e sociale.452

Quando dunque è comparso l’uomo sulla terra? Non lo sappiamo con esattezza, lo possiamo solo constatare sul terreno dei reperti della sua attività propriamente umana, astrattiva, trascendente e spirituale.453

Qui si presentano questioni delicate circa il monogenismo, cioè la discendenza di tutti gli uomini viventi da una coppia originale, l’Adamo ed Eva della Genesi; il monofiletismo, categoria delle scienze biologiche, ritiene che l’umanità appartiene ad un solo filo genetico454. Senza entrare nella questione dell’unica coppia primordiale, verità non controllabile dalle scienze paleoantropologiche, sostiene che tutta l’umanità attuale discenda da un unico ceppo, comparso nella stessa area.

Il poligenismo formula l’ipotesi che l’umanità attuale provenga da più ceppi, comparsi indipendentemente in aree diverse.

Sono questioni che interessano l’intelligenza del dato rivelato circa il Peccato originale, e le valuteremo in quella sede. In ogni caso, l’umanità si presenta dotata di una forte unità di strutture, sia sul piano biologico, sia su quello psichico spirituale; è un dato incontrovertibile.

Sul piano biologico genetico ricordiamo il patrimonio genetico, quarantasei cromosomi a coppia, uno di origine materna, l’altro paterno; la coppia dei cromosomi sessuali XY è propria del maschio, XX della donna; l’interfecondità è completa, l’umanità si è conservata profondamente unitaria, non si è divisa in sottospecie. Un dato che, come tutte le espressioni sponsali, familiari, acquista un significato simbolico in relazione a Cristo sposo della Chiesa, l’umanità redenta a Lui sottomessa, cui sono invitati tutti gli uomini.

Sul piano psichico spirituale ricordiamo la capacità universale di comunicare nella verità e nel bene; come si esprime sinteticamente la Fides et ratio n 4, si dà un patrimonio comune spirituale, come il principio di non contraddizione, di causalità e finalità. A questa comunione di principi per la ricerca della verità comunicabile, corrispondono anche comuni fondamentali valori etici per il rispetto e la promozione della Persona nelle comunità e relazioni sociali. Viviamo tutti partecipi, come creature spirituali, di questo orizzonte comune di esistenza, verità e bontà, bellezza; nel suo fondamento ultimo troviamo l’apertura costitutiva al Mistero che ci ha posti nell’esistenza, partecipandoci, nei limiti della creatura, la sua Pienezza di Essere, Unità, Verità e Bontà.

Su questo necessario fondamento <naturale>, il Verbo incarnato, nel quale, per il quale e verso il quale tutto è stato creato e redento, il Primogenito della famiglia umana (cfr Col 1,15-20; Ef 1,1-14), ci dona sulla sua misura divino-umana, partecipi della sua Pienezza, quella solidarietà salvifica, che esamineremo entrando nella trattazione del Peccato originale.Prima di entrare in essa, ci sembra opportuno esplicitare alquanto l’intrinseca e articolata socialità dell’uomo.

452 Cfr FACCHINI F., Alle origini del simbolo e del sacro. Aspetti ermeneutici e metodologici, in Miti e riti della preistoria, un secolo di studi sull’origine del senso del sacro, a cura di FACCHINI F. e MAGNANI P., Jaca Book, Milano 2000, 16-26; .ZUANAZZI G.F., Libertà come destino, (=Studi sulla persona e la famiglia 4), PUL-Mursia Milano, 5-10.

Cfr FACCHINI F., Cercatori di infinito, da quando ?, in FACCHINI F., GIMBUTAS M., KOZLOWSKI J.K., VANDERMEERSCH B., La religiosità nella Preistoria, Jaca Book Milano 1991

453 Homo habilis è ritenuto uomo, (ma non da tutti), per la sua industria litica: saremo a circa 1 milione e mezzo di anni fa; più sicura la qualità umana dell’Homo erectus, databile circa un milione di anni fa; il Sapiens è databile nelle sue forme antiche di circa quattrocentomila anni cfr FACCHINI F., Il cammino dell’evoluzione umana cit., le tabelle della figura 2, della fig. 8.7 di pag. 155

454 Ibidem, parla di diffusione e filogenesi dell’Homo erectus, dal culla della sua origine africana: cfr tabella 7.3 di pag 131; per l’origine del Homo sapiens sapiens, pur esso diffusosi dalla <culla> africana, cfr pag, 162; 22

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5 L’uomo creato secondo l’Immagine di Dio, Cristo, nella sua intrinseca dimensione sociale.L’uomo si presenta a noi sempre come un vivente qualificato da una sua costitutiva ed

intrinseca socialità. Desideriamo alquanto esplicitarla, partendo dalla sua qualità, capacità ontologica di dialogo con Dio, messa in risalto da tutta la storia della salvezza: la esprime, come abbiamo visto, la <quasi> definizione biblica di uomo, l’essere creato <secondo l’immagine di Dio>. Il suo stare dialogante davanti a Dio, con tutto se stesso, uno stare che il pensiero cristiano ha espresso come l’attività propria di un essere spirituale che non può esistere ed agire spiritualmente se non nella condizione corporea.

Scendendo poi sino alla composizione ontologica, un principio, anima spirituale, che non può esistere ed agire se non esprimendosi in quella materia che <forgia> come il suo corpo umano. Un’anima spirituale, che rimanendo spirituale e capace di operazioni spirituali, non esiste ed agisce senza il congiunto corporeo. Cerchiamo di porre in risalto l’intrinseca socialità che ne deriva..

Lo spirito, in quanto spirito, è con tutto se stesso rivolto all’Altro/ gli altri.455 Suo privilegio ed esigenza è guardare al di fuori di sé per essere se stesso, ritornare a se stesso, crescere in conoscenza ed amore.456 Intrinseca, costitutiva apertura all’Altro, la pienezza di Essere, Conoscenza ed Amore, che così lo ha chiamato all’esistenza, lo tocca e qualifica nel suo intimo, aprendolo ad un orizzonte senza confini di essere, verità e bontà.

Abbiamo considerato l’uomo sorgere dal basso, come esigenza della natura creata, tensione metafisica a quella forma spirituale, l’anima, che solo Dio può dare, che le permette di congiungersi intenzionalmente alla Pienezza di essere, nell’orizzonte della totalità degli esistenti. Ne risulta un Soggetto spirituale, che restando capace di attività spirituali, conoscenza secondo verità, comunione nel vero bene, si può esercitare solo in modo umano, conoscendo attraverso un corpo, i suoi sensi esterni ed interni. Non uno spirito in un corpo che rimane psico-biologico, ma uno Spirito umano qualificante un corpo umano.

Un congiunto spirituale-corporeo, una polarità di opposti, un vero paradosso, cittadino di due mondi, posto al loro confine. Intima misteriosa congiunzione, comunione di spirito e materia, segnata da ineliminabili tensioni.457

Il pensiero classico greco ha cercato molteplici soluzioni di questa realtà paradossale. O esaltando il principio spirituale, sino a renderlo accidentale verso il corpo: la soluzione di Platone, ancor più di Plotino. L’uomo dell’anima spirituale unita al corpo in modo non naturale, anima esiliata caduta quaggiù.

Oppure un’anima così unita al corpo, da risultare parte qualificata di un cosmo tutto immanente. La soluzione di tendenza aristotelica, più spiccata in uno stoicismo che non conosce la trascendenza del <Motore immobile>, in cui il Logos-pneuma divino è componente dello stesso cosmo. In ogni caso l’uomo è un microcosmo che riflette in sé il macrocosmo, le sue <punte> di trascendenza, mondo iperuranico delle Idee, Motore immobile, la qualificata immanenza di un cosmo divino (stoicismo). Macrocosmo e microcosmo umano si corrispondono, secondo le prospettive dei vari sistemi filosofici, scuole. La sua socialità, che qualifica quella puramente psico-biologica, è di natura razionale, capacità di comunicare logica-razionale .Cerca di esprimere, rendere sopportabili le sue tensioni nella Tragedia greca, nella contemplazione estetica.

455 Cfr RATZINGER J., Il concetto di persona nella dottrina di Dio, in Dogma e predicazione, (=BTC 19), Queriniana, Brescia, 1974, 185s; afferma de FINANCE J., Citoyen de doux mondes, La place de l’homme dans la création, Gregorienne-Téqui, Rome-Paris, 223s: «Gli spiriti puri non sono coscienze chiuse su se stesse: lo spirito in quanto tale, è apertura e generosità, accoglienza e dono. Se la natura dell’atto è di comunicare se stesso, se l’essere è naturalmente diffusivo, questo è vero anzitutto per lo spirito». Per S. Tomaso <la persona è quanto di più perfetto esiste in tutta la natura> S. TH I, 28, 3; <il modo di esistere che comporta la persona umana è il più degno di tutti> De potentia 9,4.

456 cfr S.Th. I q. 14, art. 1, in corp.457 Cfr von BALTHASAR, Le persone del Dramma: l’uomo in Dio, vol due di TeoDRAMMATICA, Jaca Book,

Milano 1982, 338-344

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Essere enigmatico a se stesso, di fronte al dio inconfessabile, 458 che chiede conto di peccati non responsabili; peccato considerato più sul versante dell’errore che della libera volontà. Essere condannato alla morte, in cui l’unità tra spirito e corpo si infrange, continua in una vita umbratile, sottoposta ai cicli delle conflagrazioni cosmiche.

Uomo pre-cristiano, che la rivelazione Giudeo-cristiana ha stabilizzato nel suo vertice del Crocifisso glorioso, risolvendo nel futuro sperato, ed in parte già anticipato, le tensioni, i paradossi irrisolti. Una personalizzazione più intensa, nella consapevolezza di responsabili decisioni, che si coglie contemplando l’uomo che scende dall’alto, creatura voluta ed amata da Dio, in dialogo con Lui nella storia salvifica.

Una duplice discesa dall’alto, non distinta nella successione temporale, ma nella distinguibile gratuità dell’atto creatore dell’Essere pienezza, che pone liberamente nell’esistenza l’uomo, per qualificarlo della comunione di vita con sé459. L’uomo creato secondo l’Immagine di Dio, Cristo, in vista della partecipazione alla stessa vita Trinitaria.

Già la specificazione di essere creatura, cioè totalmente dipendente da Dio nell’essere e nell’operare, con tutta la consistenza spirituale-corporea propria, ricevuta, personalizza l’uomo, assicura e fonda una costitutiva socialità. L’uomo è l’essere della relazione: Dio creandolo gli dona partecipazione non solo al suo essere, ma inoltre partecipazione al suo essere Spirito, capacità di relazione all’Altro/gli altri, nella conoscenza e nell’amore. Capacità di conoscere se stesso solo aprendosi, conoscendo l’Altro/gli altri, ritornando così a se stesso: un procedimento conoscitivo, volitivo, che se realizzato secondo Verità e Bontà ( che l’uomo ricerca, riceve, non costruisce da se stesso) rappresenta la sua vera crescita.

Ma è unicamente il dono della partecipazione, per Cristo, nello Spirito Santo, alla vita Trinitaria, a costituire l’uomo Persona in senso forte, capace di qualificata socialità.

Evidente il rifluire sulla comprensione dell’uomo dei benefici effetti nella chiarificazione trinitaria della categoria di Persona, le tre Persone divine nell’unica, ineffabile natura (Nicea, Efeso, Calcedonia, Costantinopolitano I e III). Persona come relazione sussistente, il puro sguardo, donarsi all’Altro delle processioni divine, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: l’Essere se stesso, nell’ineffabile unità della Natura divina, solo ed unicamente nel donarsi all’Altro, generandolo, Padre, tutto ricevendo, Figlio, nel comune amore riconoscente, Spirito Santo. Trinità che conosciamo unicamente per la via del Verbo incarnato, nello Spirito Santo.

Chiarificazione Trinitaria della categoria di persona, attraverso la chiarificazione cristologica della Persona filiale, da cui dipende la qualificazione personale dell’uomo.460

Possiamo parlare per l’uomo di persona come relazione sussistente, secondo il modello Trinitario? Si può certamente, ricordando che l’uomo è Spirito creato, espresso nel corpo. Mentre nella SS Trinità, la sua ineffabile Unità, tutto è relativo ed insieme identico (Essere-Essenza, Attività, Unità, Verità ed Amore), nell’uomo creatura spirituale-corporea, sono necessarie le debite, ontologiche distinzioni. L’uomo è relazione sussistente totalmente dipendente da Dio creatore, ma lo è con tutta la sua consistenza creaturale (sostanza, avere l’essere in sé) ricevuta. Questa consistenza sostanziale è tanto più ricca di contenuti spirituali umani, anche debitamente corporei, in quanto si apre all’Altro, agli altri, in questa apertura fondamentale che la costituisce persona.

L’unica via offertaci per partecipare la vita Trinitaria è la via del Verbo incarnato, Cristo. Ora in Cristo abbiamo quello che può sembrare estremo paradosso, una Umanità totalmente integra, con anima, facoltà spirituali, corpo, ma che è senza <fondo umano personale>, in quanto il suo vero fondo senza fondo, è semplicemente l’Essere divino, la Persona filiale461. Cristo ci indica anche la

458 Cfr SOFOCLE, Edipo re, Edipo a Colono459 Osserva de FINANCE J., Citoyen de doux mondes, cit. 284 : «L’organismo animale, ad un certo grado di

sviluppo, di <complessificazione>, appella allo spirito. Al contrario, per quanto perfetta sia una natura umana nel suo essere spirituale, assolutamente in nessun modo potrebbe appellare l’unione personale con la Divinità»

460 Per il concetto di persona nella Dottrina di Dio e nella Cristologia, cfr RATZINGER J., Il significato di persona in teologia, cit. 174-185. SCOLA A., MARENGO G., PRADES LÓPEZ J, La persona umana, antropologia teologica, (=Amateca, sez 6°, vol 15), Jaca Book, Milano 2000, 186-191.

461 Cfr de FINANCE J., Citoyen de doux mondes, cit 285

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vera meta, direzione di ogni autentica crescita umana, meta che nella sua perfezione divina risulta evidentemente irraggiungibile. La Grazia dello Spirito Santo, che qualifica la nostra personalità umana, già totalmente filialmente, fraternamente relativa al Padre, ci orienta in una tensione di crescita sempre più conforme a Cristo.

Attirandoci a sé attraverso la sua SS Umanità crocifissa e gloriosa, la cui Persona è semplicemente l’Essere divino filiale tutto relazione vivente al Padre, per questa sua mediazione Cristo stabilizza tutte le tensioni nostre tra spirito e corpo, io-tu-noi, dimensione cosmica ed iper-cosmica, che in una prospettiva di filosofia naturale risultano irrisolvibili.

Soprattutto presenta soluzione alla questione della morte, la lacerazione inevitabile tra l’anima spirituale e la sua corporeità, tra questa vita ed il suo futuro definitivo, incomprensibile in tutti i sistemi, prospettive filosofiche pre-cristiane.462

L’anima spirituale comunica al corpo la sua dignità, rendendolo umano, nel rispetto delle sue strutture psico-biologiche; ma non può assicurargli una trasformazione così intensa e duratura da evitare la morte biologica, così come ora la sperimentiamo. Il Crocifisso glorioso, datore dello Spirito Santo, risorto in umanità trasfigurata, realtà escatologica definitiva, è principio di risurrezione, trasfigurazione dei nostri corpi mortali (cfr Col 1, 18). La morte è definitivamente sconfitta. Il nostro corpo deve ancora conoscere la morte fisica, ma con il Battesimo siamo già con-sepolti, con-risorti, con-ascesi al Cielo e con-sedenti con Cristo presso il Padre (cfr Rm 6,5-9; 8,17. 29; 1 Cor 3,18; Ef 2,3s). Siamo già entrati nell’eone definitivo della Risurrezione, che deve semplicemente, già realizzato nell’Umanità SS del Signore Gesù per tutti noi, pienamente manifestarsi nei nostri corpi mortali.

Il rapporto tra spirito, ancora nella fragilità di un’anima spirituale con debole signoria sulla materia, e il corpo, viene potenziato dal dono dello Spirito Santo, frutto della Pasqua, «Signore e vivificante», con l’effetto di una stabilizzazione definitiva.

Anche l’ipercosmico, nella condizione del Crocifisso glorioso asceso nella Gloria del Padre e presente nella Chiesa nel suo vertice Eucaristico, può comunicare con la nostra situazione storica-cosmica, senza squalifiche reciproche. Infine è la nostra intrinseca socialità che trova stabilità, perfezionamento nelle relazioni personali con Dio ed interpersonali umane.

Il rapporto Io-Tu, che considerato nella relazione al Tu divino risulta fondante la dimensione personale, apertura vivente all’Assoluto, si dimostra per l’Incarnazione del Verbo, spinta sino alla Croce gloriosa, capace di accogliere l’Io- Tu- Noi umano in un Noi consolidato, accogliente e qualificante le singole persone, rendendole intercomunicanti. Questo sia da parte dell’ineffabile Unità divina nella Tri-personalità del Padre, Figlio e Spirito Santo, il Noi in cui Cristo ci introduce partecipandoci la Paternità divina nella comunione dello Spirito Santo; sia sul versante della sterminata molteplicità umana, che il Verbo incarnato, nello spazio amplissimo recettivo della sua Umanità crocifissa gloriosa, già ora offerta a tutti nella diffusione eucaristica463, unisce in un reale Noi, in cui siamo abilitati ad una itercomunicazione universale, sincronica e diacronica, reciprocamente influente ed arricchente. Un Noi che già storicamente si manifesta nel Corpo ecclesiale, plasmato dalla Pienezza insita e diffusa del Corpo eucaristico.464

In questa stabilizzazione dei rapporti corpo-anima, cosmo e ipercosmo, io-tu-noi nel Noi cristico-eucaristico, siamo in grado di esplicitare due aspetti evidenti della intrinseca socialità umana, quella più immediata e personalizzante della Famiglia, quella più universale e complessa della Persona nella specie umana, nelle differenti forme di socialità.

462 Cfr von BALTHASAR H.U., TeoDRAMMATICA vol 2, cit., 327-344.463 Ibidem, cfr 384, ove von Balthasar parla anche di <fluidificazione o universalizzazione della sua carne e

sangue>464 Cfr Ibidem 47- 55. A pag 55: «All’interno del dramma di Cristo ogni destino umano viene deprivatizzato e

diviene personalmente di portata universale nella misura in cui esso consente attivamente e volenterosamente ad essere inserito nella drammatica normativa della vita, morte e risurrezione di Cristo»; 3. La novità cristiana. <Stabilizzazione delle nuove tensioni nell’Uomo-Dio> 370-391.

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5.1 Uomo-Donna nella Famiglia piccola Chiesa, nella Famiglia Chiesa universale.

La relazione uomo-donna è ricchissima di contenuti, e può essere debitamente letta sia partendo dal basso, nei suoi contenuti genetici, psico-biologici, già tutti umanamente qualificati dall’anima spirituale, sia considerando la sua discesa dall’alto, nella luce di Cristo sposo della sua Chiesa, ed ancora più in là, nella distinzione feconda delle Persone divine nell’ineffabile Unità del Mistero trinitario.

Salendo dal basso comunichiamo con le distinzioni sessuali del mondo vivente, discendendo dall’alto consideriamo la partecipazione caratteristica alla socialità propria del mondo spirituale, e secondo l’Immagine di Dio incarnata, Cristo Signore. Questa qualificazione cristica-trinitaria comunica il suo valore, dignità anche agli aspetti psico-biologici, che senza esserne alterati, ne vengono come trasfigurati.

A livello filosofico, l’indagine razionale della ricchezza insita in questa relazione primaria della socialità umana, costituisce un’impresa del pensiero umano con questioni ultimamente irrisolvibili.465 Irrisolvibili, perché la situazione sovrannaturale cristica, in cui si trova la vera ed unica stabilizzazione comprensiva di questa relazione fondamentale, risulta già presente ed attiva, sia che gli attori umani lo sappiano o non lo sappiano, sia che l’accolgano o la rifiutino. Anche nel caso non lo sappiano, oppure se la rifiutano, resta una tensione, che se non considerata nella luce di Cristo, Crocifisso glorioso sposo della Chiesa, rimane irrisolta.

Se la vediamo sorgere dal basso, dal mondo dei viventi, si tratta della comune sessualità, propria degli organismi più evoluti, necessaria per una qualificata riproduzione, la continuità della specie. Ogni soggetto umano nasce uomo o donna, una qualificazione che raggiunge addirittura ogni cellula, per la presenza dei cromosomi sessuali XX nella donna, e XY nell’uomo466. Non si dà biologicamente un genere intermedio; evidentemente, come in tutte le realtà biologiche, si possono presentare alterazioni a livello genotipico, con effetti, tenuto conto della complessità della trasmissione dei caratteri genetici, anche nel fenotipo467.

Teniamo sempre presente che l’essere pienamente uomo o donna, è realtà umana, di qualità spirituale, quindi bisognosa di cultura, educazione. Le relazioni sociali, nella famiglia e fuori della famiglia, sono esposte a traumi, disadattamenti, con evidenti ricadute sulla psicologia umana.468

In ultimo, ma primo in valore e significato, ricordiamo la qualificazione religiosa, in Cristo fondamento della Creazione, operante la Redenzione, del maschile e femminile; con tale intensità di significati, da esser capace di specificare e interpretare anche i livelli inferiori, filosofici e biologici.

Non ci stupiremo quindi, in questa ricchezza insita di livelli, dati e qualificazioni reciproche, l’interpretazione variegata e contrastante che è stata data nel passato e ancora nel presente alla polarità umana maschile e femminile.469

465 Sul tema uomo-donna, la visione e le tensioni pre-cristiane, cfr von BALTHASAR H.U., TeoDRAMMATICA vol. 2. cit. 344-348; l’autore contemporaneo che più ha riflettuto sulle reazioni uomo-donna è appunto von BALTHASAR H.U.: viene citato anche da GIOVANNI PAOLO II nella Mulieris dignitatem, nota 55; cfr l’opera imponente di CARELLI R., L’uomo e la donna nella teologia di H.U. von Balthasar, Eupress ftl, Lugano 2007

466 Si possono dare eccezioni, con maschi con cromosomi dalla forma XX, ma con geni che portano ad un fenotipo maschile. Evidentemente più che la forma del cromosoma, importano i geni in essi contenuti.

467 Cfr SERRA A., Sessualità, scienza, sapienza, società, in la Civ Catt 2004 I 220-234468 Ibidem , 232:l’autore, dopo la disamina delle cause dell’omosessualità, così riassume: «Presi nel loro insieme,

i dati esposti costituiscono un coerente complesso di osservazioni le quali: 1) indicano con sufficiente forza che, nella spiegazione causale del fenomeno, non può essere esclusa una componente biologica; 2) suggeriscono, anzi, che essa è presente con un peso apprezzabile; e 3) lasciano prevedere una variabilità notevole del suo peso, che può passare da un minimo, con una massima prevalenza della componente psicologica, a un massimo con riflessi spesso significativi anche sulla psiche.» Le devianze, tensioni omosessuali, riconosciute, nel rispetto della Persona, nella sua capacità di conversione, cura a vari livelli, per realizzare la vocazione maschile e femminile, iscritta nel patrimonio genetico,qualificata in relazione a Cristo sposo della Chiesa, possono essere oggetto di terapia, con speranza di guarigione: cfr van den AARDWEG G.J.M., Omosessualità, verso la liberazione, in Studi cattolici XXXVII (1993) 809-812.

469 La categoria di opposizione polare, dialogante, reciprocamente arricchente, è usata da GUARDINI R., cfr FABRIS G., Dallo sguardo di Romano Guardini, una rilettura delle coppie della Genesi, Messaggero, Padova 2009.

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Nel mondo precristiano non è individuabile una lettura riflessa delle relazioni uomo-donna in quanto coppia stabile, unitaria, qualificata per compiti familiari di accoglienza, di aiuto reciproco, di generazione ed educazione dei figli. Anche un peccato originale come responsabilità di coppia, si conosce solo in Genesi 3470. Si avverte certamente, come ci avvisa Benedetto XVI nell’Enciclica Deus caritas est che l’ «amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente, e all’essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile, emerge come archetipo di amore per eccellenza, al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore sbiadiscono.» (n 2). Aggiunge ancora, parlando dell’eros, in confronto con l’agape: «I greci –senz’altro in analogia con altre culture – hanno visto nell’eros innanzitutto l’ebbrezza, la sopraffazione della ragione da parte di una <pazzia divina> che strappa l’uomo alla limitatezza della sua esistenza e, in questo essere sconvolto da una potenza divina, gli fa sperimentare la più alta beatitudine […] Nelle religioni questo atteggiamento si è tradotto nei culti della fertilità, ai quali appartiene la prostituzione <sacra> che fioriva in molti templi. L’eros viene quindi celebrato come forza divina, come comunione col divino»(n 4)

Nella religione del mito pagano, la sessualità, per queste supposte dimensioni divine, viene proiettata nel mondo degli dei, da cui proverebbe all’uomo. Un’operazione insostenibile, in quanto in Dio, puro Spirito non si danno queste consistenze biologiche; si tratta di un degrado della divinità, con insostenibile proiezioni di caratteristiche umane, indebite commistioni del celeste e del terreno. In categorie più depurate, un cielo maschile fecondante una materia (mater) terrena accogliente.

Commenta Benedetto XVI: «A questa forma di religione, che contrasta come potentissima tentazione con la fede dell’unico Dio, l’Antico Testamento si è opposto con la massima fermezza, combattendola come perversione della religiosità. […] ha dichiarato guerra al suo stravolgimento distruttore, perchè la falsa divinizzazione dell’eros che qui avviene, lo prive della sua dignità, lo disumanizza. Infatti nel tempio, le prostitute, che devono donare l’ebbrezza del divino, non vengono trattate come esseri umani e persone, ma servono soltanto come strumenti per suscitare la <pazzia divina>: in realtà esse non sono dee, ma persone umane di cui si abusa».

Rimane in ogni modo la consapevolezza che la relazione uomo-donna ha una consistenza così intensa da divenire, come dice la Filosofia scolastica, il <princeps analogatum>, il luogo di partenza privilegiato per ogni riflessione sulla carità-amore, la nuzialità, ad ogni livello della sua realizzazione.

Ma la sua vera dignità e qualità umana proviene dall’alto, dalla partecipazione alla Nuzialità di Cristo per la sua Chiesa (cfr Ef 5,25-33), ulteriormente fondata sulle Relazioni sussistenti tra le Persone divine trinitarie.471

Nella rivelazione giudeo-cristiana assistiamo all’evento religioso culturale unico della coppia stabile, una reciprocità qualificata, una comunione di vita per l’aiuto degli sposi tra di loro, nell’accoglienza responsabile ed educazione dei figli. Come si è giunti a tanto? Per una lettura discendente della nuzialità: nei Profeti le relazioni JHWH-popolo vengono esposte in categorie nuziali. Il Dio dell’Alleanza e della creazione si presenta come lo sposo fedele, disposto al perdono e recupero della sposa, il suo popolo, tentata di infedeltà, di abbandoni effettivi.(Os1-2; Ger 2,2; Ez 16,8; Is 50,1; 54,5-8)

Le relazioni tra JHWH e il suo popolo vengono esposte in categorie di qualificata nuzialità. Si tratta della prospettiva dell’Alleanza storica: sappiamo bene come nella religiosità ebraica si rifiuta decisamente la proiezione del sessuale in Dio, come invece avviene comunemente nelle religioni di natura, pagane. Nell’ebraismo non si dà neppure il nome della divinità femminile. La distinzione sessuale riguarda unicamente le realtà create, viene totalmente rifiutata dall’Essere

470 BRIEND J., Gn 2-3 et la création du couple humain, in ASSOCIATION CATHOLIQUE FRANCAISE pour l’étude de la Bible, DEROUSSEAUX L. ed., La création dans l’orient ancien, (=LD 127) Cerf Paris 1987, 137: “C’e là l’originalità fondamentale de Gn 2 par rapport à la réflection des nations qui n’attachent pas une importance particuliére au couple comme tel. […] La couple comme tel ne donne pas lieu à un réflection antropologique et religieuse approfondie.”

471 Cfr SCOLA A., MARENGO G., PRADES LÓPEZ J., La persona umana cit. 177-182

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divino. Evidentemente in quanto è qualità della creatura, per l’analogia dell’essere, deve trovare in Dio la sua causa e modello, ma a livello della sua perfezione trascendente, del tutto al di là del limite umano-biologico. In una lettura dall’alto, dobbiamo quindi procedere in modo rigoroso.

L’uomo e la donna partecipano della stessa dignità umana, spirituale, essere creati secondo l’Immagine di Dio, ugualmente capaci di relazioni con Dio, aperti al Trascendente, in una qualificazione che offre una dignità particolare, umana, alla stessa nuzialità, a tutto il processo generativo, educazionale. Questo dovrebbe essere percepibile già ad uno sguardo attento, di natura filosofica. Quindi essere oggetto di dialogo culturale, sociale, inter-religioso, da cui l’uomo di cultura cristiana, impegnato nel sociale, nel politico, non deve mai esimersi. Si tratta infatti semplicemente di dimensioni costitutive l’uomo e la donna nella loro reciprocità, fondanti la dignità della famiglia, cellula primaria della vita sociale.

Il cristiano sarà tanto più capace di questo dialogo costruttivo a livello filosofico, sociale, quanto più sarà consapevole che solamente nell’ambito del religioso rivelato può trovare l’ambiente favorevole al pieno recupero e maturazione di un pensiero valido, convincente anche al livello sociale, culturale.472

Sempre ricordando che ogni uomo è capace di tali riflessioni e conquiste di pensiero, sia per la sua consistenza creaturale di essere anima spirituale espressa e qualificante la corporeità, sia per la situazione soprannaturale di una natura da sempre voluta nella prospettiva di Cristo, lo sappia o non lo sappia, l’accolga o la rifiuti.

Evidentemente il peccato originale, rifiuto di Dio e del suo progetto di vita per l’uomo, tutto a misura della Parola, Immagine filiale creatrice, oscurando la percezione vissuta di Dio, rende parimenti difficile la comprensione e l’esercizio delle corrette relazioni uomo-donna, come insegna chiaramente Gn 3 e tutta la storia biblica. La Parola, l’Immagine filiale nella sua Incarnazione che assume in Sé tutta la peccaminosità umana, si presenta come Sposo dell’umanità redenta, sponsali celebrati sulla Croce (cfr Ef 5, 25-33). Essendo in se stesso, per creazione e poi per Redenzione la misura vera della relazione uomo-donna, può riportarla agli splendori dell’iniziale progetto di Dio (cfr Mt 19, 3-9).

Possiamo scendere ancor più in profondità, cercare di intendere perché sia l’uomo che la donna sono creati secondo l’Immagine di Dio, sperimentando entrambi la <solitudine> dell’apertura a Dio, religiosa, etica (cfr Gn 2, 18-21), ma per un intima, qualificata feconda comunione473. La duplice edizione maschile e femminile dell’Immagine di Dio, la loro differenza non solo biologica, ma ontologica, può trovare il suo fondamento ultimo di comprensione unicamente nella distinzione reciproca delle Persone divine nell’ineffabile e feconda unità del Dio tripersonale. Solo la rivelazione per l’Incarnazione sino alla Croce del Verbo può introdurci alla conoscenza e partecipazione dell’intimità del Dio Uno e Tripersonale, di cui l’uomo e la donna sono Immagine, personalmente e nel fecondo dono reciproco.

Non proiettando in Dio le differenze sessuali, ma ricercando nel Dio unico tripersonale la causa fondante l’identica dignità personale dell’uomo e della donna, e la reciproca differenza, per una comunione responsabile e feconda. Solo in questa prospettiva rivelata si stabilizzano tutte le tensioni naturalmente non risolvibili che porta in sé la relazione uomo-donna.

La differenza ontologica dell’uomo e della donna risulta ultimamente fondata e spiegabile nella differenza e relazione reciproca delle Persone divine; come pure la loro fecondità risulta partecipazione della fecondità della vita Trinitaria, il cui aspetto più evidente può collocarsi nella processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio, o meglio nella tradizione orientale, dal Padre e dal Figlio, ma attraverso il Padre, tutto fondato in Lui474. L’uomo e la donna non solo partecipano ugualmente della dignità di essere creati secondo l’Immagine di Dio, ma nel dono reciproco della

472 GIOVANNI PAOLO II, in FR, n 76, delinea la Filosofia cristiana:«Parlando di Filosofia cristiana si intendono abbracciare tutti quegli importanti sviluppi del pensiero filosofico che non si sarebbero realizzati senza l’apporto diretto o indiretto, della fede cristiana.»

473 GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò, Catechesi sull’amore umano, Città nuova-LEV, 44-47474 Cfr PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀDEI CRISTIANI, La tradizione

greca e latina a riguardo della processione dello Spirito Santo, in E Oe, 7, EDB 2006, 1203-1214.

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loro differenza, non solo biologica, ma anzitutto ontologica, partecipano pure dell’ineffabile fecondità delle Relazioni trinitarie, generando un figlio della loro stessa dignità, pur esso creato secondo l’Immagine di Dio.

La differenza ontologica dell’uomo e della donna, l’essere sposo e sposa, madre e padre del figlio, non trova piena spiegazione in prospettive naturalistiche avanzate dal mito, come nella leggenda dell’Androgino, l’essere tagliato a metà e finalmente ricomposto in unità. Mito che non spiega come anche nell’intima comunione nuziale persistano le differenze ontologiche maschili e femminili che rimangono non superabili, come non è superabile la distinzione feconda tra le Persone divine nell’ineffabile unità divina.

Non proiettare il biologico sessuale in Dio, totale assurdità, ma neppure esaltare questa dimensione umana a realtà ultima, non cogliendo la profonda trasformazione, quasi trasfigurazione di tutto il biologico umano dovuta alla sua dignità di essere espressione dell’Immagine di Dio nell’uomo. Se la comune apertura, per il principio spirituale, l’anima, alla Trascendenza divina pone l’uomo e la donna nella comune dignità dell’Immagine di Dio, la reciproca differenza, insuperabile anche nella più intima comunione, trova fondamento ontologico nella reciproca feconda distinzione della Persone divine.

Questo spiega inoltre come la nuzialità non possa mai essere artificialmente separata dall’apertura alla vita, questo non solo per l’integrità di un atto che esprime l’intima comunione nell’intrinseca capacità di generare la vita nuova, non sminuire la natura di un atto nella sua costitutiva ricchezza non separabile di comunione e di generazione, ma ancor più per la partecipazione al Mistero trinitario, che nella ineffabile Unità divina non separa mai il dono reciproco delle distinte Persone divine dalla fecondità della stessa Vita divina, specialmente espressa nella comune, del Padre e del Figlio, processione dello Spirito Santo.

Ne segue il carattere unitario e indissolubile della vita nuziale, non solo per un motivo già razionalmente percepibile nella qualità di una relazione spirituale-corporea tra persone, inoltre capace di generare un figlio della stesa dignità, bisognoso per la sua crescita umana di un contesto di vita familiare caratterizzato da amore-carità stabile e fedele. Ma anzitutto perché espressivo, partecipante della nuzialità di Cristo per la sua Chiesa, la grande famiglia dei Figli di Dio, nel suo dono fedele e perseverante, sino alla Croce-Risurrezione.475 Ultimamente l’ineffabile Unità trinitaria del dono reciproco, fecondo delle distinte e relative Persone divine.

Possiamo così elaborare una prospettiva articolata e unificata delle fondamentali nuzialità espressive il progetto salvifico di Dio per l’uomo. La nuzialità umana si può considerare come il princeps analogatum di tutte le analoghe nuzialità476, per la sua visibilità e la ricchezza dei suoi contenuti che abbiamo posto in risalto vedendola sorgere dal basso nella sua natura biologica, e considerando la sua ricca qualificazione spirituale, cristologico-trinitaria, nel discendere dall’alto.

Essendo tutto, per creazione e redenzione fondato e ricapitolato in Cristo, nella nuzialità della sua Croce per la nascita della sua sposa, la Chiesa senza macchia nè ruga (cfr Ef 5,25-33), dobbiamo con fondamento affermare che la nuzialità umana, senza nulla perdere dei suoi contenuti e ricchezza espressiva, è voluta nel progetto di Dio creatore e redentore in vista della sponsalità crocifissa e gloriosa di Cristo verso la sua Chiesa, rivelazione e partecipazione dell’Amore fontale trinitario.

Anzi essendo già tutta la vita biologica orientata alla creazione dell’uomo, anche la stessa sessualità biologica infra-umana trova la sua giustificazione ultima nell’essere voluta dal Creatore come prime vestigia delle superiori e qualificatissime nuzialità a misura del Crocifisso glorioso e la sua Chiesa, del fondamento ultimo Trinitario.

Una prospettiva integrata delle qualità sponsali nell’essere relativo uomo-donna, che valorizza, nella abissale differenza dei livelli di realizzazione, sia la componente genotipica e

475 Per questi aspetti della relazione familiare uomo-donna, cfr COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Sedici tesi di cristologia sul sacramento del matrimonio, 1-6 /12/ 1978, in EV 6, nn 463-478. Id. Il Matrimonio cristiano, 1-6 /12/ 1977, in EV 6, nn 479-510.

476 SCOLA A., Il mistero nuziale 1. Uomo-donna, PUL-Mursia, 1998, 98

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fenotipica, sia gli aspetti spirituali culturali, sia la definitiva caratterizzazione e fondazione Cristologica e Trinitaria. Ed è esattamente questa fondazione e qualità ultima a richiedere quell’espressione qualificata di sponsalità, a misura di Cristo sposo verginale della Chiesa (cfr Gv 4,29; Mt 9,15; Ap 21,9 e le parabole dell’invito a nozze Mt 22,1-13 //; testo principale Ef 5,25-33), la sua accoglienza perfetta nella Vergine Maria, che è espressamente la Verginità consacrata ed il Santo celibato.477

La stessa vita matrimoniale per realizzare una carità che esprima profondo reciproco rispetto nell’accoglienza della differenza dell’altro, richiede la presenza della Vita verginale consacrata, del Celibato sacerdotale, attestazione del dono fedele, sino alla morte in Croce, di Cristo capo e sposo della sua Chiesa, della sua accoglienza senza reticenze nella Vergine Maria, piena realizzazione della vita ecclesiale in una maternità universale (LG . 63-65).

La vita nuziale degli sposi, vero sacramento per i battezzati, ha urgenza e necessità, per poter vivere la pienezza della sua fondazione e partecipazione Cristica-Trinitaria, della testimonianza della Consacrazione verginale, del Celibato sacerdotale, come pienezza di Carità nella sequela di Gesù; in questi stati di vita ecclesiale, la fondazione e motivazione Cristico-Trinitaria appare in tutta la sua purezza e intensità.

Per tutti risulta piena di significato e decisiva l’esemplarità e l’intercessione della Vergine Maria Madre del Signore; la sua accoglienza verginale, per opera dello Spirito Santo, del Verbo incarnato, il suo stile di vita sino allo stare sotto la Croce, esprimono la totale accoglienza di tutto il progetto salvifico di Dio per l’umanità, in cui l’iniziativa è sempre di Dio solo, in cui il Padre che eternamente genera il Figlio nello Spirito Santo, è ancora, anche a livello dell’Incarnazione del Verbo, l’unico Padre.478

Qui si apre tutto lo splendore di una teologia della Donna, contemplata nella sua perfezione mariana. In Maria vergine immacolata, il progetto di Dio per l’uomo raggiunge la sua massima, integra accoglienza e realizzazione. Una perfezione superiore al reciproco e necessario Principio petrino della Chiesa, da considerarsi nella sua preziosità ancora in chiave sacramentale, segno autentico di Cristo capo, pastore e sposo della Chiesa. La perfezione del Principio Mariano è già tutta nella vita cristiana vissuta in pienezza, per l’accoglienza con fede integra, carità operosa, speranza vivace della totalità del progetto salvifico, sulla misura del Verbo incarnato e del dono dello Spirito Santo. Il Principio mariano assurge così a divenire il riferimento esplicativo della piena riuscita, già realizzata in Maria SS affinchè per la sua presenza ed intercessione materna lo sia anche in noi, del Regno di Dio.

Le relazioni tra il Principio petrino, della rappresentanza efficace del Signore Gesù, Crocifisso glorioso, e il Principio mariano della sua piena accoglienza nella vita quotidiana della Chiesa, è fecondissimo di risvolti, ricadute positive sulle relazioni uomo-donna ad ogni livello della vita umana sociale, le sue espressioni culturali.

Il modello maschile, nella cultura dominante della tecnica, di una manipolazione del creato con il solo criterio di una efficienza piacevole, se non viene bilanciato dalla sanità del modello femminile, della accoglienza del progetto del Creatore, dei suoi valori, comportamenti etici, in un atteggiamento di stile contemplativo, a lungo termine sfocia nell’indebolimento della vita familiare e sociale. La situazione diviene disastrosa se la donna, nel desiderio di una pur legittima promozione, assume il modello maschile, come criterio di vita, relazioni, atteggiamenti, carriera.479

Se viene ad esaurirsi l’atteggiamento del timore di Dio, dell’accoglienza del suo progetto creaturale, di una sapienza personalizzata al femminile, in una parola la dimensione contemplativa

477 Anche in altre religioni si possono osservare forme di verginità, ma come nota DI NOLA A.M., Verginità, I. Nelle religioni, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, vol IX, ed. Paoline, Roma 1997, col. 1870: «Raramente nella esperienza religiosa non cristiana, la verginità come condizione permanente di rinuncia alla sessualità, distinta dalla astensione occasionale o transitoria (continenza), supera i limiti di una pura tabuizzazione dell’attività sessuale fisicamente intesa e assume caratteri di una vitrù perfettiva al culmine di una ascesi di contenuti etico-religiosi».

478 cfr BOUYER L., Le trône de la sagesse, Cerf, Paris 1957,79-150479 Cfr CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica

sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, AAS 96 (2004) 671-687, nn 2-4.

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della vita, anche la filosofia qualificata, metafisica, con respiro universale, comuni fondamenti di verità e di bene, tende ad esaurirsi; l’uomo corre un vero pericolo. Von Balthasar giunge ad affermare:

«Forse la Chiesa cattolica, in base alla sua struttura, è l’ultimo bastione nell’umanità di una autentica valorizzazione della differenza dei sessi»480.

A questa valorizzazione è legato anche l’esercizio della capacità umana di un saggio e necessario filosofare. Notevole la suggestione di Giovanni Paolo II concludendo la F R, l’Enciclica che cerca il rilancio di una dimensione filosofica alta, sapienziale negli studi ecclesiali:

«Questa verità [di Maria SS Sede della Sapienza] l’avevano ben compresa i santi monaci dell’antichità cristiana, quando chiamavano Maria <la mensa intellettuale della fede>. In Lei vedevano l’immagine coerente della vera filosofia, ed erano convinti di dover philosophari in Maria».(n 107).

Ritornando ora più direttamente ai dinamismi della vita familiare, notiamo una ulteriore necessità della presenza della Vergine Maria: infatti la Madre del Signore, con i Religiosi ed i Sacerdoti nel S.Celibato che si ispirano direttamente al modello di vita verginale del Signore Gesù e suo, offre agli sposi la meta del cammino nuziale, la vita escatologica, risorta, ove: «non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli»( Mc 12, 25 e //). La vita famigliare, che già vive e manifesta il dono sponsale di Cristo alla sua Chiesa, le ineffabili, feconde Relazioni trinitarie, ma ancora in una situazione pellegrinante di lotta spirituale, di vittoria progressiva sulla fragilità umana, riceve grande beneficio dalla testimonianza del sano progressismo della vita religiosa, sano progressismo perché gia vive, pur nella provvisorietà e debolezza dell’esistenza terrena, la situazione definitiva, della risurrezione dai morti.

La triste necessità della morte, come la sperimentiamo ora per il peccato fin dalle origini, attraversa tutte le polarità della intrinseca socialità dell’uomo: la polarità spirito-materia, cioè anima-corpo, fondamento della socialità, la polarità uomo-donna-figlio, persona e comunità.

Solo in Cristo, sposo verginale della Chiesa, crocifisso glorioso, nella sua Risurrezione corporea, della quale è già partecipe l’Assunta in cielo, la frattura dolorosa della morte è pienamente vinta e superata. Stabilizzazione481 cristica definitiva di tutte quelle tensioni frutto del Peccato fin dalle origini dell’uomo, che Gn 3 nel contesto della preistoria biblica, anzi dell’intera storia salvifica, manifesta.

Nel mondo della Risurrezione saremo tutti davanti a Dio, a somiglianza degli Angeli, in modo umano, con il corpo risorto, trasfigurato, senza perdere lo specifico maschile e femminile, come maschile è il Corpo risorto del Signore Gesù, e femminile rimane il corpo della Vergine Assunta in cielo482. La visione beatifica, frutto della contemplazione facciale del volto del Cristo risorto, il suo pieno riverbero nella corporeità della Vergine Assunta in cielo, avrà un suo incremento per il riverbero della Gloria del Crocifisso risorto anche nei nostri corpi risorti.

Particolare irradiazione beatificante dei corpi risorti di coloro che ci hanno offerto le mediazioni sacramentali nella Celebrazione efficace e nell’esempio della vita? Lo possiamo

480 von BALTHASAR H. U., Nuovi punti fermi, (=già e non ancora 201) Jaca Book 1991; CONGREGAZIONE DELLA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, del 31/ 5/ 2004, AAS 96 (2004) 671-687; Regno docum. 2004, 471-476. Una buona descrizione dello specifico femminile nella vita familiare e sociale si trova nella lettera Apostolica di GIOVANNI PAOLO II, Mulieris dignitatem, cit., nn 28-30

481 <Stabilizzazione> <Novità cristiana> <Ritmo nuovo> sono espressioni usate da von BALTHASAR H.U., Teo-drammatica, 2 vol . cit. 370-391, per introdurre il benefico effetto di Cristo nelle irrisolvibili tensioni della Persona umana nella sua intrinseca socialità.

482 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, cit. n 12: «Il maschile ed il femminile sono così rivelati come appartenenti ontologicamente alla creazione, e quindi destinati a perdurare oltre il tempo presente, evidentemente in una forma trasfigurata. In tale modo caratterizzano l’amore che <non avrà mai fine> (1 Cor 13,8), pur rendendosi caduca l’espressione temporale e terrena della sessualità, ordinata a un regime di vita contrassegnato dalla generazione e dalla morte.»

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fiduciosamente sperare, sia per i sacri Ministri, sia anche reciprocamente tra gli sposi, figli e discendenti.

Siamo ormai equipaggiati nel delucidare alquanto l’intrinseca socialità dell’uomo in rapporto alla specie umana, relazioni individuo-Persona e la comunità nei suoi vari livelli di realizzazione.

5.2 L’uomo nella sua socialità di specie, di comunità integrate.Questa dimensione costitutiva umana, amplissima nella sua estensione sincronica, misteriosa

nelle sue radici storiche, suscitando l’interesse delle scienze paleoantropologiche, risulta attivissima nella coscienza del presente, come globalizzazione, promozione di tutto l’uomo e di tutti gli uomini, ecologia, gli insegnamenti della Caritas in veritate.

Notiamo anzitutto questo interesse per l’uomo, senza confini nello spazio e nel tempo, in prospettiva diacronica e sincronica. Risulta un chiaro indizio della nostra appartenenza alla totalità della socialità umana, nonostante la frammentarietà in cui si presenta negli studi del suo passato, le difficoltà del presente, i timori del suo futuro.

Questione centrale, da cui dipende il tutto di una sana impostazione sociale, è la relazione corretta tra la Persona-individuo e la specie umana, nei vari livelli della sua realizzazione, più particolari e sussidiari, e più universali. Domanda fondamentale: è l’individuo, considerato come Persona, ad offrire valore e significato, con la sua intrinseca dimensione sociale, alla specie umana, oppure è il suo inserimento nella comunità sociale universale ad assicurare il suo valore umano? Cosa prevale, è determinante, il valore della Persona singola, o il suo inserimento nella socialità? L’inserimento nella socialità è un valore imprescindibile, necessario per la comprensione e lo sviluppo debito della Persona, oppure è realtà oscura, incontrollabile, da cui difendersi, per salvare almeno l’individuo, il gruppo immediato in cui si identifica ?483

Sono interrogativi che ritroviamo nell’opera recente del sociologo E. Morin. Questo studioso ricerca, per integrare l’individuo nella società-specie, <metapunti>484 di natura trascendente, che desidera, ma che non riesce ancora a formulare. Rimane pertanto nell’immanenza del suo pensiero complesso, accontentandosi di integrare individuo, società, specie in una struttura triangolare, con influsso reciproco rotatorio, pur con la tendenza di sottolineare il valore dell’individuo.485

Il metapunto trascendente desiderato, forse intravisto, è la verità tutto fondante di un Dio trascendente, creatore. Come abbiamo visto nella parte biblica, e poi ripreso esaminando le relazioni nell’uomo anima spirituale-corpo, ogni uomo ha una relazione intima, trans-interiore col Dio personale trascendente creatore che lo costituisce persona, «quanto di più perfetto esiste in tutta la natura» (S. Th. I, 28, 3). La Persona è fine in se stessa, perché direttamente ordinata a Dio, non può essere piegata ad essere puro mezzo per alcun altro. La FR la descrive, n 4, «Soggetto libero e intelligente, capace di conoscere Dio, il vero ed il bene».

L’individuo, qualificato dalla dimensione ontologica di Persona, per la sua relazione intima al Dio vivente, creatore, possiede un primato di valore nei riguardi della sua intrinseca dimensione sociale, intrinseca e necessaria socialità, considerata sia a livello universale della specie, sia ai livelli più ristretti e umanizzanti delle comunità più immediate, in primo luogo la famiglia, secondo i principi di sussidiarietà e solidarietà.

Si può così superare l’immanentismo del sociologo Morin, costretto per integrare individuo-società-specie a ricorrere al paradigma della complessità, le strutture rotatorie triangolari, con

483 Valore dell’individuo o valore della specie? Basti ricordare come nella logica greca ciò che viene conosciuto, astratto dal reale, predicato dell’individuo, è un concetto universale; l’<haecceitas> di Duns Scoto, conoscenza <ontologica> dell’individuo, cercherà di superare l’aporia tra l’universale ed il singolare. Nel Vangelo Gesù dà estrema importanza al cammino della singola persona: l’avete fatto a me (cfr Mt 25,31-46), il Buon pastore alla ricerca della pecorella perduta (cfr LC 15,3-7; MT 18,12-14).

484 MORIN E., Introduzione al pensiero complesso, gli strumenti per affrontare la sfida della complessità. Sperling & Kupfer Milano 1993, 97

485 MORIN E., I sette saperi necessari all’educazione del futuro, ed. R. Cortina, Milano 2001, 110 «Così individuo ↔ società ↔specie sono non soltanto separabili ma si coproducono gli uni gli altri. Ciascuno di questi termini è nello stesso tempo mezzo e fine degli altri. No si può fare di uno solo di essi il fine supremo della triade: questa è in se stessa rotatoriamente il proprio fine»

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l’inevitabile, lucido, timore di dovere accettare il contraddittorio486; con il desiderio formulato di potere finalmente trovare un metapunto trascendente il metapunto della complessità, che non lo soddisfa del tutto.

Delle relazioni uomo-donna nella Famiglia, come la sua dimensione genetica, psicologica sia tutta qualificata dalla relazione personale col Creatore, e quindi interpersonale tra gli sposi, ancor più segnata dalla partecipazione alla sponsalità di Cristo verso la Chiesa, il fondamento ultimo trinitario, abbiamo già parlato. Della persona, come fondamento, misura e fine del bene comune da realizzare nei vari livelli di vita sociale, quelli più umanizzanti, in prospettiva di sussidiarietà-solidarietà, quelli più universali e globali, parleremo ancora a conclusione del Trattato, sviluppando il tema della libertà politica e debite liberazioni.

Anche in questo caso, risulta ancora indispensabile vedere sorgere l’uomo dal basso, tenendo presenti le visioni pre-cristiane e post-cristiane, e scendere dall’alto, per un progetto che parte dal cuore di Dio, di creazione e alleanza, come nella visione giudeo-cristiana

Dal basso lo vediamo sorgere per la tensione metafisica della natura creata verso l’animazione di forme sempre più unitarie, capaci finalmente di sfondare (come avviene nell’uomo per l’anima spirituale che solo Dio può dare) il chiuso immanente di una coscienza psico-sensitiva. Ne abbiamo già parlato nel capitolo precedente circa l’origine dell’uomo, notando come la legittima teoria scientifica dell’evoluzione biologica viene a completare il quadro della classica visione metafisica.

In questa crescita dal basso individuiamo caratteri che avvisano una consistente unità biologica della specie umana. Lo stesso numero di cromosomi in una identità fondamentale di patrimonio genetico; dati non rivelabili nei reperti dell’uomo preistorico per il processo di fossilizzazione, ma tutta la paleoantropologia avviene nella presupposizione di una correlazione tra le strutture anatomiche-fisiologiche attuali e quelle dei più lontani progenitori. Anche nel ricercare i criteri da applicare nell’individuare le soglie di umanizzazione, in cui sono prevalenti i dati culturali, si procede evidentemente dalle proprietà umane dell’uomo contemporaneo.

Questa ricerca paleoantropologica non è già un segno di una amore per l’uomo, ricerca di ricostruire finalmente una unità genetica attraverso dati frammentari, dispersi nel tempo e nello spazio ? Non è gia il frutto di una considerazione dell’uomo che scende dall’alto, e che per la sua anima spirituale è qualificato ad una ricerca di verità umana, senza limiti in un orizzonte universale? Dobbiamo sempre ricordare che l’unita della specie umana è anzitutto di carattere spirituale-culturale: per la comune apertura a Dio creatore, apertura che ci costituisce persona umana, ci muoviamo nello stesso orizzonte dell’<essere>, dei suoi <principi fondamentali> <tesoro comune dell’umanità>, come ci avverte Giovanni Paolo II al n 4 della FR; possiamo così comunicare, senza limiti, nella verità e nella bontà, bellezza.

Non è questo il frutto di una visione dell’uomo unitaria, maturata in contesto di rivelazione giudeo-cristiana? Al di la di ogni deprecabile, ed ora corretto, concordismo tra la prospettiva biblica pre-scientifica e l’attuale ricerca scientifica, non è stato lo stimolo della preistoria biblica ad inculcare il rispetto per ogni uomo, nelle successive scoperte, di gruppi umani con altri livelli di civiltà, cultura, anche dimensioni, colore della pelle, ritenerle tutte degne di rispetto, accoglienza e difesa, perché partecipi della stessa dignità umana ?

La posizione della grecità classica, splendida nella sua scoperta progressiva delle capacità logico-razionali della mente umana, l’organizzazione sociale della polis, risulta molto incerta sulla valutazione dell’umanità a livello universale. Si esalta la propria città, cui si attribuisce origine mitiche, divine, quasi fosse l’asse portante del mondo, considerando le altre come marginali, da

486 MORIN E., Introduzione al pensiero complesso, cit., 97 «Tensione tragica, [….] la tragedia del pensiero condannato ad affrontare delle contraddizioni senza mai poterle liquidare. Inoltre per me questo stesso sentimento tragico va di pari passo con la ricerca di un meta livello in cui si possa superare la contraddizione senza negarla.»

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assimilare, forse anche dominare.487 Compaiono nella storia delle città greche legislatori, con la stesura delle costituzioni cittadine; Aristotele avrà cura di compilare sinossi delle leggi degli stati, 158, ma di lui si conoscono solo quelle ateniesi.

«L’idea che esista un diritto naturale anteriore alle determinazioni giuridiche positive si trova già nella cultura greca classica […] Platone ed Aristotele sono convinti che le leggi della Città sono generalmente buone e costituiscono l’attuazione, più o meno riuscita, di un diritto naturale conforme alla natura delle cose»488

Nella situazione pre-cristiana, tendente alla divinizzazione della natura, un dio-cosmo, una conoscenza logico-razionale, che tratta più degli universali che dell’individuo, le relazioni sue con la comunità conoscono tensioni. Mi limito ad osservazioni molto generali.489

Si arriverà con Alessandro Magno, alla realizzazione di una megapoli, un impero ellenistico in osmosi con le culture orientali, che troverà nello stoicismo, sintesi duttile della classicità greca, una sua ideologia, la visione di un cosmo divinizzato, immanente, ma con la presenza di un Logos-pneuma che tutto lo pervade, una legge, dinamismo omnicomprensivo e dominante, che il saggio amministratore deve conoscere e assecondare. Anche la Sapienza di Israele, immersa in questa situazione culturale, coltiverà una saggezza umana, universale, ma qualificata dalla libera, e intelligente, iniziativa del Dio della creazione ed alleanza.

La visione ellenistica, immanente, ottimista dello stoicismo, non regge ai colpi della storia: la saggezza greca ed il diritto romano non sono sufficienti a reggere il colosso romano di fronte alla vivacità più eticamente sana ed irruente dei popolo così detti barbari. Si passa dal monismo ottimista della prospettiva stoica ad uno spinto dualismo, nella gnosi valentiniana sino al disprezzo della materia; una salvezza contemplata solo per alcuni germi intellettuali, provenienti per molti sotterfugi dal pleroma divino, negli spirituali che li riconoscono. Ne abbiamo accennato parlando di Ireneo di Lione.

In ambito di cultura post-cristiana, notiamo il trascendentalismo kantiano, con la tendenza ad una religione razionale-morale, escludente la possibilità della conoscenza teorica di Dio. Si evolverà in una dialettica idealista di infinito e finito, ove l’uomo scade in dignità personale, diviene individuo nella specie, assimilato in una coscienza dell’Assoluto. Può infine degradarsi in consapevolezza di una razza superiore, in una dialettica di leggi economiche, con un disprezzo dell’uomo, decine di milioni di vittime.

In questi contrasti, siamo stimolati a considerare la visione cristiana, ove l’intrinseca socialità dell’uomo trova il suo fondamento in una comunità a misura della dignità personale di ciascuno.

Dobbiamo ancora considerarla nella duplice discesa dall’alto, della libera creazione nella prospettiva dell’ulteriore gratuità dell’Alleanza, pienamente manifestata e realizzato nella Pasqua del Verbo incarnato. Il cammino della storia biblica e lo sviluppo del pensiero cristiano ci guidano in questa ricerca. L’unico Dio della creazione alleanza fa riscoprire l’unità di origine dell’uomo, unità religioso-culturale, con fondamenti biologici; individua nel peccato dell’uomo sin dagli inizi la causa della frantumazione e incomprensione culturale-politica dell’umanità. Se non si opponesse la fedeltà di Dio creatore, per la violenza ed il degrado morale dell’umanità si ritornerebbe alle acque caotiche degli inizi.( cfr Gn 1-11).

La discesa del Verbo incarnato, in cui tutto è stato creato e viene redento, sino agli inferi di questa frantumazione, ostilità, prendendola tutta su di sè nel dramma della Croce salvifica, riporta l’umanità che lo accoglie al progetto di comunione universale. Essa è tutta fondata e qualificata dall’offerta della Paternità divina, partecipazione dell’Io filiale, fraterno del Signore Gesù.

In questo Io filiale divino, amplissimo, rivolto al Tu Paterno nello Spirito Santo Amore, si aprono gli spazi amplissimi per accogliere il Noi sterminato della socialità umana, sincronica e

487 Cfr von BALTHASAR, Teo-drammatica vol 2, cit., 362 ss, ove l’autore accenna alle relazioni tra il nomos, la legge della polis, e l’ordine divino, cosmico, sulla figura e sorte dei legislatori.

488 COMMISSONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Alla ricerca di una etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale, LEV, 2009, nn 18. 20. cfr n 93

489 Cfr ibidem notizie e riflessioni più complete , 374-381.

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diacronica. Un Noi in cui le relazioni Io-Tu troveranno perfezione personale, a misura della personalità accogliente filiale verso il Padre, fraterna a noi di Cristo Signore.

Questo già si realizza visibilmente nella Chiesa in cui la presenza eucaristica, diffusione del Corpo del Crocifisso glorioso ovunque venga celebrato il Memoriale del Signore, forma l’unità strettissima, intercomunicante della sterminata frantumazione dell’uomo. Ma l’offerta è universale, per tutti gli uomini, nel modo che Dio sa, per chi non la rifiuta. Un’umanità che in Cristo trova la sua ricomposizione sociale, inserita per Lui nel Noi Trinitario; ogni soggetto umano viene personalizzato davanti al Padre nello Spirito Santo, ritrova la sua vocazione e compiti nella Chiesa, nella Famiglia umana. Una società inter-personale, comunicante in Cristo e per Cristo, verso la definitiva ricapitolazione di tutto e di tutti in Lui.

Viene superato un astrattismo essenziale, tendenza della mente greca, che riflette sulle nature, non ancora personalizzato, come nella prospettiva cristiana. In essa il valore personale di ogni uomo, voluto per se stesso, già costitutivamente aperto agli altri, tutti comunicanti nello stesso ambito dell’essere creato, dei principi razionali, bene comune dell’umanità (FR n 4), viene esaltato per l’incarnazione e redenzione de Verbo, immerso nella comunione e fraternità universale, animata dall’amore Spirito Santo. Una capacità di influsso universale, ricevendo e donando, nella Comunione dei Santi, cui tutti sono chiamati. Per il Padre che Gesù nell’amore Spirito Santo ci fa conoscere ogni uomo è voluto, accolto, amato ricercato come pecorella smarrita, figlio prodigo, ha una sua vocazione, carismi nella sinfonia del Corpo mistico eucaristico.

Commenta von Balthasar: «Il singolo riceve in dono dall’assoluta singolarità di Dio e di Cristo una singolarità che non può essere dedotta dalla comunità, ne in essa congetturata, benché la comunità può contare su questa singolarità come su qualcosa che l’arricchisce e che è stato pensato per essa; <perciò il singolo, insignito da Dio di qualche dono speciale, è inserito più a fondo nella comunità e ad essa vincolato da una generosità maggiore.490

Così si conferma il principio già formulato che nell’<ipertensione> della tensione naturale tra l’individuo e società entrambi i poli vengono espressamente accentuati: proprio perché il singolo d’ora in poi è più singolare, la comunità è più compatta. Si noti che questa intensificazione dei due poli è cristologicamente fondata […] tutto qui si fonda sull’incarnazione del Logos e sulla costante comunicazione dei membri mediante l’Eucaristia nell’organismo vivente della Chiesa» 491

Siamo ormai pronti ad entrare nell’esame teologico della vittoria, nella Pasqua di Cristo, di quella frantumazione della socialità umana, amara conseguenza del peccato sin dalle origini. Un mondo segnato da acuta sofferenza, esperienza dolorosa della morte conseguenza del peccato, lacerazioni.

Dramma della morte, che ci segue in tutti gli aspetti della socialità dell’uomo: debolezza dello Spirito che non riesce a dominare lo sfacelo del corpo, generazione di figli esposti alla stessa radicale debolezza mortale dei genitori, quindi una continua successione di generazioni in cui la mortalità e ancor più messa in evidenza. La luce della Pasqua gloriosa illuminerà questa ricerca delle cause delle tenebre, lacerazioni mortali, sofferenze, con l’intelligenza teologica del Peccato originale.

490 Personalizzazione dell’uomo, della sua vocazione e compiti, espressa con la chiamata per nome, <Il Signore ha pronunciato il mio nome> (Is 49,1 cfr Sal 2,7; Ger 1,5, Gal 1,15…..)

491 Ibidem 389s. Cfr de FINANCE J., Citojen de deux mondes, cit. quando parla del nuovo senso dell’umano, e della valorizzazione dell’infra umano per l’incarnazione del Verbo 286-298; notevoli le affermazioni di pag 287: «I rapporti inter-personali e sociali si arricchiscono così per l’Incarnazione di un senso, d’un valore che non si sarebbe potuto ne prevedere ne dedurre, tanto divengono atti ad esprimere l’ineffabile: i segreti dell’Interiorità divina». Ed elenca i rapporti familiari di paternità e filiazione, che nell’attitudine filiale di Cristo, permettono di esprimere qualcosa dell’intimità della vita divina. Così la Parole, l’unione coniugale….La Chiesa, come Gerusalemme celeste che scende dall’alto.

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III L’UOMO IMMAGINE DI DIO NELLA SITUAZIONE DI PECCATO ORIGINALE.

Dopo avere visto sorgere l’uomo, nella solidarietà del mondo angelico e infra-umano, in una creazione tutta Cristofondata, qualificata e finalizzata, esaminiamo ora la sua storia salvifica: vogliamo precisare le «coordinate» comunitarie del suo procedere, personalissimo, verso la salvezza, la conformità a Cristo nella vita Trinitaria. Valutare il significato salvifico, positivo e negativo, delle solidarietà in cui l’uomo è situato, quanto influiscono sul suo «cuore», il luogo delle decisioni morali-spirituali della persona.

Ripercorriamo la rivelazione biblica e la tradizione ecclesiale, con le chiarificazioni e definizioni avvenute, di quella situazione nativa, peccaminosa, che con Agostino ha assunto il nome di Peccato originale (lo abbrevieremo P.O.). Sempre considerando la nostra situazione redenta a opera di Cristo, Crocifisso glorioso, Primogenito tra molti fratelli, esaminiamo quanto la libertà umana, stante questa nostra situazione così solidale in Cristo, venga recuperata, resa capace di gestire, per la grazia di Cristo, storia personale e comunitaria di salvezza.

La dimensione peccaminosa del nostro nativo stare davanti a Cristo, il Crocifisso glorioso nostro redentore, costituisce un senso pieno della Scrittura, senso pieno di cui la Chiesa ha assunto completa consapevolezza nella sua tradizione dottrinale autentica, infine espressa nelle definizioni del Concilio di Trento (DH 1510-1516).

1. Due prospettive insufficientiE’ bene tenere sin dall’inizio presenti due questioni, che sono nei nostri tempi di grande

stimolo per il progresso della dottrina ecclesiale circa il peccato originale:

La solidarietà umana è soltanto di tipo culturale, ambientale? In questa prospettiva la situazione nativa di peccato originale corrisponde alla cultura che respiriamo, avvelenata dal peccato, così come descritto a tinte fosche da Paolo: “ E poiché non ritennero di dovere conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata, ed essi hanno commesso cose indegne “ ( Rm 1,28) ?

o questa solidarietà, in versione evolutiva, è deficitaria perché deve ancora crescere, in modo organico sociale, nello stile biologico della legge Dehors-Dedans?.Il dato rivelato, nella tradizione ecclesiale, ci parla di una ulteriore solidarietà salvifica

qualificata da Cristo, in cui, verso cui, e per cui tutto risulta creato e redento; la natura umana, soprannaturalizzata in Cristo, presenta le sue articolazioni costitutive (sacerdozio, paternità, maternità, filialità, fratellanza), come mediazioni, subordinate a Cristo, della sua grazia.

La risposta a questi interrogativi ci permetterà, sempre davanti al Crocifisso glorioso che abbondantemente ci offre grazia di conversione, di precisare meglio le molteplici dimensioni del male che insidia la vita dell’uomo: sia il peccato del mondo (Gv 1,29; Rm 1,24-32), indicato anche come peccato strutturale, sociale492; sia la sofferenza unita ad ogni «crescita» dello Spirito incarnato, come ci sembra di poter catalogare la prova di Gn 2, 17 <dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare>493; sia il male peccaminoso in senso proprio: il peccato personale, il peccato delle origini e le sue conseguenze.

492 Cf. G. PAOLO II, Reconciliatio et Paenitentia, n.16, Peccato personale e peccato sociale, in Ench. Vat., Vol. 9,pp.1057-1065.

493 Anche Eb. 2,10 parla di una convenienza, necessità della sofferenza del Capo, Cristo, che guida tutti alla salvezza: ”Ed era ben giusto che Colui, per il quale e dal quale sono tutte le cose, volendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che guida alla salvezza”; vi corrisponde l’affermazione di Cristo risorto ai due di Emmaus: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria ?”; de FINANCE J., Tratta del “senso metafisico del sacrificio” in Esistenza e libertà, LEV 1990, 153-155.

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Così potremo meglio individuare, nel complesso dei mali che insidiano la vita dell’uomo, lo stato peccaminoso nativo originale P.O., dal peccato del mondo, sociale, strutturale, e dal peccato propriamente personale; preciseremo meglio la dottrina della giustificazione nel dialogo ecumenico, le mediazioni salvifiche subordinate a Cristo, la comunione ecclesiale.

Procediamo come al solito in modo storico speculativo, considerando la S. Scrittura, la tradizione credente della Chiesa, le sue definizioni, sempre in dialogo con le culture.

Quasi in continuità con l’ultimo tema svolto, la lettura ascendente della teoria dell’evoluzione, introduciamo la prospettiva evolutiva, tanto cara a Teilhard de Chardin.494

Fino a che punto il peccato originale si può spiegare come solidarietà umana ancora da realizzare, deficitaria perché deve ancora crescere in modo organico sociale, nello stile biologico della legge Dehors-Dedans?.

1.1 Prospettiva evoluzionistica:Ad una maggior complessità organica, corrisponde una coscienza-interiorità più intensa.

Teilhard descrive con passione il salto qualitativo realizzato nella storia della vita con l’affiorare dello Spirito, della coscienza riflessa, l’ominizzazione 495; descrive quindi il progredire dell’uomo, della cultura, come l’affermarsi di un organismo sociale sempre più relazionato. La legge che presiede la crescita dell’umanità resta fondamentalmente quella stessa che ha guidato la storia della vita sino all’apparire dell’uomo, sino all’ominizzazione: ad una coscienza sociale, organica, più intensa ed universale, corrisponde un incremento di coscienza ed interiorità; dall’affiorare dello Spirito nell’uomo, sino al completo emergere dello Spirito in una umanità totalmente socializzata.

Si assisterà infine ad un ultimo salto di qualità definitivo: l’universo delle anime, la noosfera, così super interiorizzata ed esaltata, si staccherà dalla materia ormai inerte, per trovare il suo assetto definitivo intorno ad OMEGA, centro attraente ed unificante.

Queste prospettive sono sviluppate nell’opera: Le phénomène humain (edito postumo nel 1955). Nella sua introduzione Teilhard avvisa trattarsi di considerazioni generali, che non intendono essere una completa riflessione filosofica, tanto meno una esposizione completa ed esauriente del dato della Fede. Intende solo offrire una descrizione fenomenologica, per cogliere analogie generalissime, fornire una visione di insieme accettabile anche da un uomo di scienza. Certo affiorò anche la tentazione alettante, di ridurre il dato di fede a queste prospettive biologiche-mistiche 496.

494 Per una valutazione dell’opera di T.d.Ch ricordiamo la lettera del Card. CASAROLI A., per il centenario della nascita, al Rettore dell’Institut catholique de Paris, in Osser. Romano del 10/ 6/ 1981: ”La stupefacente risonanza delle sue ricerche, insieme con l’irragiamento della sua personalità e la ricchezza del suo pensiero, hanno marcato la nostra epoca in maniera duratura. Una possente intuizione poetica del profondo valore della natura, una percezione acuta del dinamismo della creazione, un’ampia visione del divenire del mondo si congiungevano in Lui con un innegabile fervore religioso [….] Ma, nello stesso tempo, la complessità dei problemi affrontati, come pure la varietà degli approcci [metodologie] utilizzati, non hanno mancato di sollevare delle difficoltà, le quali giustificano uno studio critico e sereno – sia a livello scientifico che filosofico e teologico – di quest’opera non comune”; il teologo deve anche tenere presente il giudizio del S. Ufficio, Monitum del 30/6/ 1962, AAS 54 (1962) 526, secondo cui “…in materia filosofica e teologica appare con chiarezza che tali opere sono segnate da tali ambiguità, anzi anche da tali gravi errori, da offendere la verità cattolica….”; alcuni di questi errori sono già indicati nell’opera di TRESMONTANT C., Introduction à la pensée de T.d.Ch., Paris 1956; FLICK M.-ALSZEGHY Z., Il Creatore, ed. Fiorentina, 1963, 121-127; le valutazioni degli scritti di T.d.Ch. sono divergenti: l’interpretazione più documentata e benevola è quella di de LUBAC H., La pensée religieuse du Père T.de Ch.. Aubier, Paris 1962. Trad italiana, Il pensiero religioso di P. T. de Ch., Morcelliana, Brescia 1965; La Prière de P. T. de Ch., Libraire Arthème Fayard, Paris 19642; trad italiana La preghiera di P. Th de Ch. Morcelliana, Brescia 1965. Cfr GIBELLINI R., T. de Ch. L’opera e le interpretazioni, (=GDT 25) Queriniana, Brescia 19922

495 Cf. TEILLHARD DE CHARDIN P., Le phénomène humain, Ed. du Seuil, Paris 1955, 180s496 FLICK M.- ALSZEGHY Z., II peccato originale, (=BTC 12) Queriniana, Brescia 1972, 180-191;

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In queste prospettive il male consiste nella molteplicità ancora da unificarsi: è lo stare ancora in basso497; il peccato umano è come il sottoprodotto (statisticamente necessario) della crescita evolutiva; proprio dell’uomo che resta chiuso in se stesso, non socializza, non partecipa alla formazione di una cultura universale, esaltante le singole personalità, nella tensione evolutiva verso OMEGA.

CRISTO OMEGA rappresenta il centro supremo ed unificante, la piena vittoria delle forze evolutive. Teilhard confessa di averlo conosciuto attraverso la fede; la Chiesa è la comunità guida dell’evoluzione in quanto ne conosce le leggi, la serve.

Cosa è quindi il peccato originale in questa prospettiva?. Non si tratta di un evento peccaminoso da situarsi nel passato, ma è la stessa radice originaria del male, il prezzo del progresso, dell’evoluzione. Non un uomo caduto in basso, ma un uomo ancora in basso. Il peccato di Adamo simbolizza il peccato di ogni uomo che non accetta la crescita evolutiva, non riguarda solo il passato.

Cosa dobbiamo dire di questa lettura evoluzionista del peccato originale?. Valorizza una componente dell’uomo, la solidarietà nella sua componente organica sociale, il progresso scientifico; ora parleremo di Globalizzazione e di Internet. Si muove nelle prospettive della fenomenologia, di una cultura tecnico scientifica. La prospettiva teilhardiana riflette un grande ottimismo: la terra è ancora giovane, le forze evolutive, attirate da OMEGA sono forze vincenti.498

Cosa quindi dire di questa prospettiva? Ad un livello di riflessione filosofica si deve porre in risalto la vera novità dell’uomo, il passo decisivo dell’ominizzazione: la comparsa dello Spirito incarnato, l’uomo, non è il frutto della semplice evoluzione della materia, ma di una azione che solo Dio può fare creando, direttamente creando, l’anima spirituale. Si tratta della comparsa di un Soggetto personale, spirituale, che vive nella luce del Vero Bene, chiamato a sviluppare una precisa responsabilità morale.499

La crescita autentica dell’uomo corrisponde all’esercizio corretto della sua libertà, sviluppando la sua dimensione autotrascendente, realizzando i valori propriamente umani, quelli etico religiosi.

E’ vero che l’uomo avrà vita difficile nel corpo, perché deve sottomettere gli istinti biologici, psico-sensitivi alle leggi dello Spirito, una differenza totalmente differente; questo sia a livello della Persona, sia a livello della sua intrinseca dimensione comunitaria. Ma noi sappiamo dalla Rivelazione che l’uomo non è mai esistito in questa situazione così puramente razionale, è stato sin dall’inizio creato nella prospettiva di Cristo, per essere reso conforme alla sua Immagine, l’Immagine di Dio, corroborato dal dono dello Spirito Santo; perché anche il corpo possa esprimere

497 Può sembrare paradossale la suggestione di SCIACCA M.F., La libertà ed il tempo, Marzorati, Milano 1965, 328-338, che lo stato tanto primitivo dell’uomo preistorico sarebbe una regressione dovuta al PO.

498 Questo ottimismo evolutivo di tipo biologico, non può esprimere in modo adeguato la crescita umana, di natura spirituale, vedi le osservazioni del teologo laico PIEPER J., Speranza e storia, Morcelliana, Brescia 1969, 38; riprenderemo questo discorso parlando di libertà; si può dare una interpretazione più benevola, ricordando che le prospettive biologiche di T.de Ch. vogliono aprire ad una visione fenomenologia del tutto, dei suoi dinamismi, in cui già si intravede quella dimensione biblica del tutto “molto buono”, della positività metafisica dell’”essere” della teologia tomista. Cfr in GIBELLINI R., cit., la posizione più benevola di de Lubac, e quella più allarmata e negativa di von Balthasar. Anche la GS n. 39 accoglie gli stimoli buoni di T.de Ch.: ”Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del Regno di Dio, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, tale progresso è di grande importanza per il regno di Dio”. Era già l’insegnamento della Quadragesimo anno di Pio XI.

499 Cfr MOONEY C. F., T. De Ch. et le Mystère du Christ, la Révélation Chrétienne dans un système évolitionniste de pensée, (=Théologie 73) Aubier, Paris 1968, ch. IV, 122-168, ove tratta della concezione poco personale del male in T. de Ch., le prospettive cosmiche che desidera avanzare come ipotesi, da sottomettere al giudizio dei teologi di professione, nei suoi tentativi teologici circa il peccato originale; 225: diceva espressamente “Bisogna che sotto il controllo dell’Ecclesia docens, s’organizzi, si sviluppi l’Ecclesia quaerens”.

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e favorire la vita dello Spirito, e tutto l’uomo viva in sintonia con Dio, che lo chiama a Sé in intima comunione.500

Una prospettiva evoluzionista che contempla l’uomo sorgere biologicamente dal basso, che prescinde dalla Creazione in Cristo, Cristo solo OMEGA, non anche ALFA, sarà costretta a parlare di una vita difficile dello Spirito incarnato, e pertanto ancora molto in balia delle leggi organico biologiche.

La Rivelazione, e anche il Vaticano II lo insegna (GS nn 10, 22), ci parla di CRISTO ALFA: sin dall’inizio l’uomo è creato secondo la sua Immagine, qualificato da una situazione soprannaturale. L’uomo viene corroborato dalla Grazia, anche la sua responsabilità morale risulta più marcata; sin dall’inizio ha ricevuto il dono dell’integrità, assenza della virulenta cattiva concupiscenza, per sviluppare con più facilità la sua dignità propriamente umana, etica, religiosa.

Il giardino dell’Eden, di Gn 2,3, è situato sopratutto nei cuori dei progenitori, mentre tutto poteva essere ancor molto primitivo.

La nostra umanità è, secondo questi parametri decisamente umani, etico religiosi della Rivelazione, non ancora in basso, ma è caduta in basso, senza essere abbandonata da Dio (le tuniche di pelli di Gn 3, 21, lo schiacciamento della testa del Serpente); la sua salvezza sarà nella Croce di Cristo, una grazia sovrabbondante di conversione, vittoria sul male, vita nuova.

Se ora l’uomo incontra difficoltà sia ad aprirsi a Dio, sia agli altri uomini nella verità e nella carità, sia ad imprimere il segno dello Spirito nella materia, anche quella che costituisce il suo corpo, ciò è a causa del peccato commesso sin dalle origini. Peccato dice sempre una presa cosciente responsabile, in vario grado, davanti a Dio; il dono della grazia, concesso sin dagli inizi, ha reso più grave il primo uso ribelle della volontà.

Ad un uomo che stenta ad integrare il proprio complesso psicofisico nelle esigenze etico religiose, che è incline al peccato; ad un uomo che specialmente in occasione della sua morte fa la tragica esperienza di essere sommerso dalle leggi del decadimento biologico, la fede offre una limpida risposta: chi accetta e vive la comunione con Cristo, l’Alleanza, il dono della Carità Spirito Santo, non pecca gravemente. Progressivamente integrerà e sottometterà le tendenze psicofisiche, vincerà il terrore della morte con l’abbandono al Crocifisso Risorto.

Per l’uomo che vive nella Chiesa il progetto pieno di Dio, il peccato è l’eccezione gravissima, tragica, stridente: è appunto ciò che deve spiegarsi, l’eccezione, di cui non si capisce la presenza così diffusa, la proclività tanto marcata.

Parimenti la vicinanza del Dio della vita assicura il fragile uomo circa il suo futuro: non si capisce come possa esistere quell’apparente sprofondare nel nulla, la tragica esperienza della morte; essa è conseguenza del peccato delle origini (cfr Sap 2,23s), redenta dalla Croce gloriosa di Cristo.

Il peccato nella prospettiva dell’Alleanza non può venire interpretato come un sottoprodotto, praticamente necessario, del mondo in evoluzione. E’ consapevole, libero (libertà umana, non angelica) rifiuto del Dio dell’Alleanza. La grazia sempre precede le libere decisioni dell’uomo: essa anche nell’Eden di Genesi, abitava essenzialmente nel cuore dell’uomo, nella sua interiorità come dono soprannaturale; essa si manifestava anche a livelli psicofisici, come armonia, docilità (dono preternaturale dell’integrità), rendendo facile anche il passaggio allo stato escatologico definitivo (dono preternaturale dell’immortalità).501

500 Per l’insieme della relazioni tra scienze paleoantropoligiche e la teologia del PO, buone osservazioni in HEDDEBAUT C., Biologie et péché originel, cap. IX di GUELLUY P., La culpabilité fondamentale, cit. 153-164.

501 Non entriamo qui nella discussione, legittima, tra le scuole teologiche, se i Progenitori ricevettero subito la «giustizia e santità» o, già in situazione soprannaturale, si preparavano a riceverla; per questo confronto di posizioni cfr SEIBEL W., L’uomo come immagine soprannaturale di Dio e lo stato originale dell’uomo, in Mysterium salutis, a cura di Feiner J. e Löhrer M.,II/2, La storia della salvezza prima di Cristo, Queriniana, Brescia1970, 564-567.

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Il dogma del Peccato originale ci è proposto dalla Chiesa per capire ciò che, alla luce della sovrabbondante redenzione del Crocifisso glorioso, è in sé inspiegabile: tanta proclività al peccato, tanta diffusione del peccato, tragica sofferenza, terrore della morte.

Ci ricorda che la grazia, la solidarietà nella comunione con Dio, precede sempre il peccato con le sue lacerazioni sociali. Mentre si guarda con simpatia ogni progredire sociale (allevamento pastorizia; Caino Abele; tecniche metallurgiche e musica nei Cainiti in Gn 4,21-24, tecniche edilizie della torre di Babele in Gn 11), ci avvisa che in sé il progresso scientifico tecnico può essere occasione di peccato, di vendetta, di confusione delle lingue.

Il vero progresso dell’umanità, la sua socializzazione, sarà operata dalle personalità religioso etiche che rispondono fedelmente al Dio della Creazione ed Alleanza: Abramo, Mosè, i Profeti, i Saggi, Maria SS.

Nessun disprezzo per il progresso, ad ogni livello delle culture umane, ma per servire il bene, la socializzazione dell’uomo deve essere integrato nella prospettiva, nel dono del Dio della Creazione ed Alleanza: il grande insegnamento dei Libri sapienziali, del Nuovo testamento.

Pur ribadendo che tutto è creato e redento in, per, verso Cristo, Cristo ALFA ed OMEGA di tutto, che tutto attira alla sua Croce gloriosa, “ Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32), il Nuovo testamento afferma che l’azione direttamente trasformante le strutture cosmico biologiche del nostro mondo avverrà alla manifestazione gloriosa di Cristo, la sua Parusia e Risurrezione dai morti, con terra nuove e cieli nuovi. Nel nostro tempo intermedio tra la Risurrezione di Cristo ed il suo avvento glorioso, non ha senso parlare di un influsso trasformante, del Glorioso, direttamente sulle strutture cosmiche .502

Dalle Catechesi di Pietro e degli Apostoli, risulta che l’annuncio pasquale del Crocifisso Risorto è offerta di perdono dei peccati, di vita nuova nella comunione ecclesiale (cfr At 2,37-41). L’uomo così rinnovato, che vive, conformato a Cristo, nello Spirito Santo, l’amore per il Padre, i suoi figli nostri fratelli, dovrà assolvere il comandamento di sottomettere e custodire la terra (Gn 2,15), promuovere una corretta socialità, secondo i comandamenti e le beatitudini. Ricordiamo ancora la legge propria dello Spirito: servire i più deboli, offrire accoglienza, dignità, comunione di vita (cfr Mt 25,1-41; Mt 18,3-5; Gv 13,1-11)

E questa dimensione corporea da curare, promuovere, non verrà dispersa, ma trasfigurata nel mondo della Risurrezione, terra nuova e cieli nuovi. (cfr 1 Cor 15, 35-48; 1 Ts 4,15-17). “La teologia non considera il divenire [evolutivo] del cosmo; si riferisce all’atto di Dio che ha risuscitato Gesù, e per la trasfigurazione della sua carne ha inaugurato un nuovo modo di azione il cui termine sarà un universo nuovo”503

502 Te. de Ch. si è posto l’interrogativo di una natura cosmica di Cristo, ma ha poi rinunciato a questa espressione, per restare fedele alla lettera delle Scritture. Per esprimere il suo influsso cosmico, si deve considerare il Cristo risorto: cfr MALDAMĖ J.M., Le Christ pour l’univers, (=Jésus et Jésus-Christ 73), Desclée, Paris 1998, 199-204: Sixième partie, 1. Une nature cosmique du Christ ? Osserviamo che l’insegnamento di Col 1,15-20, essere tutto creato in, per, verso Cristo immagine di Dio incarnata, crocifissa gloriosa, porta a ritenere che la forma attuale e futura dell’universo dipende sempre da Lui, un qualcosa di analogo (molto, molto analogo) alla teoria fisica del Principio antropico: si tratta di teoria fisica con una sua validità nelle scienze sperimentali-razionali, evitando indebite commistioni di natura filosofica e teologica. Cfr BARROW J. D. - TIPLER F. J., The Anthropic Cosmological Principle, Clarendon Press, Oxford 313-332. TIPLER F.J., The Omega Point Theory: A Model of an Evolving God, in R.J. RUSSELL, W.R. STOEGER S.J.,G.V. COYNE SJ, ed., Phisics, Philosophy and Theology a common quest for understanding, Vatican observatory 1988, 313-332 J. DEMARET, D.LAMBERT, Le principe antropique, l'homme est-il le centre de l'Univers ?, Armand Colin ed., Paris 1994, 247-259; 280-282

503 Ivi, 271. Anche Paolo, Rm 8,19-21 parla di una creazione sottoposta alla caducità di ordine morale, e sarà liberata “per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio”; il mondo materiale, creato per l’uomo, parteciperà alla situazione gloriosa del suo corpo. Ritroviamo lo stesso dinamismo conoscitivo: per conoscere la situazione futura dell’universo dobbiamo sempre partire dall’Alleanza e Redenzione. Una conoscenza puramente fisica, sperimentale-razionale, risulta insufficiente.

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Se le prospettive evoluzionistiche non sono sufficienti a spiegare la situazione peccaminosa nativa dell’uomo, ci domandiamo se tale situazione si può spiegare con il peccato sociale, strutturale, il peccato del mondo.

1.2 La solidarietà umana è soltanto di tipo culturale, ambientale?La situazione nativa, peccaminosa del peccato originale si può adeguatamente spiegare colla

cultura che respiriamo, avvelenata dal peccato, così come è descritta a tinte fosche da Paolo in Rm 1,24-32? Si tratta di una ipotesi teologica, che vedremo più diffusamente esaminando la teologia contemporanea, di non poca utilità per la comprensione del nostro nativo stato peccaminoso. Esso non è un peccato personale, anche se conseguenza del peccato personale e facilitante il peccato personale; ma non coincide con l’inquinamento culturale, una cultura di dis-valori, in cui nasciamo ed operiamo, cui non è facile resistere e che talora neppure si percepisce con lucidità.

Il peccato originale incide più in profondità sulla natura razionale interpersonale dell’uomo. Sarebbe sufficiente ricordare che Cristo è l’ALFA della Creazione: tutte le relazioni costitutive la nostra natura umana sono da Lui qualificate: Sacerdozio, Paternità Maternità, filialità, fraternità….. Il rifiuto peccaminoso di Dio e del suo progetto di vita tutto sulla misura di Cristo e impregnato dal suo Spirito, incide in profondità su queste articolazioni costitutive la natura umana. Non si tratta soltanto di un inquinamento culturale, di cui anche ci parla la Rivelazione, che presenta varie intensità, può anche essere del tutto o quasi assente. Riguarda la natura razionale interpersonale dell’uomo, nella relazione a Cristo fondamento qualificante la creazione, considerata nel suo <cuore>, ove l’uomo decide davanti a Dio e ai fratelli, nella corposità della sua dimensione sociale.

Ma con questo abbiamo solo inteso assicurarci un primo orientamento, sensibile alle prospettive della cultura moderna; aprire il nostro orizzonte teologico a prospettive più ampie, per potere esaminare, senza limitazioni di chiavi interpretative ristrette, il dato rivelato e la tradizione dottrinale autentica della Chiesa.

2 I fondamenti biblici del dogma del peccato originale2.1 Antico Testamento.

Quando si considera la rivelazione vetero testamentaria circa il Peccato originale, è normale che l’attenzione si concentri sul peccato di Gn 3, dei progenitori. E’ infatti il primo peccato, compiuto dai capostipiti in cui si riassume tutta la famiglia umana, attraverso le generazioni, liste di antenati (toledot) di Gn 5 e l0-s.

Un peccato compiuto nella pace dell’Eden, pace con Dio, reciproca, col creato, quella pace familiarità che il peccato compromette ad ogni livello, religioso-etico, sponsale, di maternità educazione, di lavoro. Un peccato che riguarda il comandamento circa l’Albero della conoscenza del bene e del male, nella prospettiva dell’Albero della vita: tutte le dimensioni etico religiose di Creazione e Alleanza.

Un testo di tale levatura e vastità di orizzonti umani religiosi può a prima vista, sembrare alquanto isolato nell’Antico testamento: poche le citazioni esplicite: “Dalla donna ha inizio il peccato e per causa sua tutti moriamo”(Sir 25,24), e “Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo”(Sap 2,24). Tale isolamento sembra accresciuto dagli studi biblici degli ultimi due secoli, che hanno sezionato il testo del Pentateuco in più tradizioni (E J P D), sino a dare l’impressione che il testo attuale sia la messa insieme di molteplici previe composizioni scritte.

Prima di entrare nell’esame dell’Antico Testamento, per rintracciarvi l’insegnamento ispirato che viene affidato alla Chiesa, è bene ricordare alcune norme di lettura, che facilitano il nostro studio sulla rivelazione del male originario.

231

a) tutta la storia salvifica, ed in particolare la situazione solidale dell’uomo ivi considerata, viene sempre esaminata, rivelata nella luce e nella prospettiva dell’Alleanza, offerta al suo popolo. Le S. Scritture (Legge, Profeti, altri Scritti), riguardano sempre una storia di salvezza suscitata e guidata dal Dio dell’Alleanza Creazione, che offre comunione, pace, vita

b) in questa prospettiva di una grazia e pace sempre offerta sin dagli inizi, e sempre rinnovata, si pone la questione del male molteplice e drammatico di cui soffre l’uomo, dell’origine di questo male. Esattamente perché così immerso nella storia salvifica, davanti al Dio dell’Alleanza che offre comunione e vita, si affaccia l’interrogativo della presenza di una sofferenza così acuta, della morte, del peccato, delle sue radici così profonde nel cuore dell’uomo; quali le sue cause storiche da parte dell’uomo, persona in situazione solidale, sin dall’inizio della sua storia religiosa?504. Gn 3 appare la risposta sintetica dell’Autore sacro a questo problema, ed è significativamente situato dopo le narrazioni di Gn l-2, in cui il mondo e l’uomo, così come escono dalle mani di Dio, appaiono buoni, molto buoni (Gn 1,4.10.12.18.21.25.31).

Gli inizi della storia umana sono come avvolti e qualificati dalla presenza, comunione, familiarità e pace con Dio.

Dobbiamo porre in discussione questi insegnamenti fondamentali di fronte ad ogni progresso, oscillazione degli studi biblici?. Mentre sino a 30 anni fa il retroterra letterario storico del Pentateuco era condensato in tradizioni scritte dai contorni alquanto rigidi (J E P D) 505, ora specialmente per quanto riguarda la tradizione J, si è accesa una ampia discussione, sia sulla sua consistenza, sia sulla sua datazione, ritenuta più recente 506.

Al di là di questi studi, di cui è necessario anche per il Dogma ricercare sobria informazione, tenendo presenti gli orientamenti che la Chiesa ci offre nell’evolversi della ricerca scientifica 507, si pone una evidente constatazione: l’unità caratteristica della S. Scrittura, unità di intenti, di insegnamento, è fondata sul suo carattere ispirato, di testo normativo della Fede, opera dello Spirito Santo. Ascoltiamo in proposito il P. L. Ligier, esperto nel campo dell’indagine biblica sul Peccato delle origini:

“«La preistoria del testo non influenza essenzialmente sul problema. Il testo definitivo, il testo ispirato, ha il suo senso, ed è questo senso che noi dobbiamo spiegare» (citazione di de Vaux R, RB 1949, 300-308). In effetti il problema sta là: rimane l’evidenza che noi siamo in presenza di una narrazione letterariamente una e soprannaturalmente ispirata, poiché l’unità letteraria del racconto [qui tratta di Gn 2-3] è riconosciuta, è da essa che conviene partire. L’ispirazione riguarda il testo definitivo. Non sarà indifferente di paragonare eventualmente il racconto attuale al suo stato previo. Questo raffronto permette di porre in risalto i frutti dell’ispirazione. Ma sarà fruttuoso se lo studio attento della sintesi finale viene posto come punto di partenza. Il confronto non può che venire dopo, ponendo in risalto l’insegnamento per il gioco dei contrasti.

Così l’ispirazione non ha solo l’effetto di sfrondare e di armonizzare. Essa ha l’effetto di integrare queste pagine nell’insieme della parola di Dio. In modo diverso da una semplice revisione letteraria ben riuscita, l’ispirazione, imprimendo il sigillo dell’unità alle componenti infine ordinate

504 Questo interrogativo, anche se nel campo più limitato della distruzione di Gerusalemme, compare nel IV Libro di Esdra, cfr. LIGIER L., Péché d’Adam et péché du monde, Bible-Kippur Eucharistie cit., 311s, note 230-236. In Gn 2-3 si cerca una interpretazione, davanti al Dio dell’Alleanza-Creazione della vita umana: DEROUSSEAUX L., L’Ancien Testament, in GUILLUY P., ed. La culpabilité fondamantale, cit. 21-23.

505 SCHARBERT J., Le péché originel dans L’Ancien Testament, Desclèe de Brouwer, Paris 1972: è un classico esempio di studio accurato con riferimento a tali tradizioni. I risultati complessivi sono validi, anche se la base degli studi biblici risente la sicurezza sulla consistenza delle tradizioni, specie J, propria degli anni settanta.

506 Cfr. SKA J.L., Introduzione alla lettura del Pentateuco, Chiavi per l’interpretazione dei primi cinque libri della Bibbia, ED Roma 1998, 150-181.

507 Cf. PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Lib. Ed.Vaticana 1993

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nel Libro, introduce ad una unità più alta, ad un significato più totale, che non sarà accessibile che nel giorno in cui sarà stata pronunciata la parola ultima della Rivelazione.[Cristo]

L’attenzione non può dunque arrestarsi agli elementi teoricamente primitivi. Essa va deliberatamente al modo sotto la quale il redattore li ha compresi e fusi in un racconto di cui ha avuto l’idea, all’inizio di un’opera di cui ha tracciato il piano sotto l’azione dello Spirito Santo.

Ancor più, tale attenzione si estende al di là dei due primi capitoli e del libro della Genesi, per seguire il senso secondo il quale, esplicitamente o implicitamente, questo racconto è stato concepito dal primo Autore della Scrittura: in questo modo si raggiungerà il senso totale che l’ispirazione vi ha impresso”508.

L’attuale Pentateuco corrisponde alle esigenze religiose cultuali degli esuli di Babilonia, al loro ritorno tormentato in Gerusalemme e Giudea :

--come conservare l’identità del popolo dell’Alleanza nella sua vita difficile in mezzo alle nazioni? Al di là della monarchia davidica, non più esistente, la si cerca in Mosè, l’esodo e la legge. Anzi ancor più remotamente, nelle promesse fatte ad Abramo, alla sua fede. Ancora al di là di Abramo, i racconti della preistoria biblica di Gn 1-11, affermano che il Dio dell’Alleanza è lo stesso Dio della creazione, è l’Unico del tutto superiore agli altri dei delle genti, che sono cosi tutte inserite nello stesso progetto di creazione-Alleanza 509.

Possiamo così comprendere l’assenza di citazioni dirette di Gn 2-3, nelle tradizioni profetica, deuteronomistica, ove l’attenzione si concentra sull’identità di Israele, il suo peccato. Le sue prime manifestazioni si notano già al suo inizio come popolo. I mali della nazione incominciano con la rottura dell’Alleanza immediatamente dopo la sua celebrazione sul Sinai, il tentativo di rimpiazzare il culto di JHWH con quello del Vitello d’oro (Dt 9). Secondo Amos 2,4 la generazione di Israele a lui contemporanea si è lasciata sedurre dalle medesime divinità di fronte alle quali si prostrarono i loro Padri. Tali i Padri, tali i figli. Si nota anche l’ambivalenza e l’ambiguità religiosa della monarchia, per il popolo dell’Alleanza, sottomesso a Dio (cfr 1Sam 8); in realtà i Re, invece di custodi dell’Alleanza, saranno coloro che fanno peccare il popolo (cfr1 Re 15,29-30 per i peccati di Geroboamo; 2 Re 23,37 per i peccati di Ioiakim e dei suoi antenati; ugualmente 24,9, per il figlio Ioiachin).510

Ma l’analisi delle cause della corruzione generale del popolo, sino alla distruzione di Gerusalemme e all’esilio, non si ferma ai peccati storici dei Re, degli Antenati mediatori di Alleanza, ma procede all’interno del cuore dell’uomo: “vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli, vi darò un cuore nuovo”. (Ez.36,25-26).

Benché si tratti principalmente del peccato proprio del popolo, l’infedeltà all’Alleanza, si scende nel cuore umano, semplicemente umano, per notarvi una durezza ivi esistente, che richiederà un dono più intenso della Ruah, dello Spirito di Dio; inoltre non si trascura la responsabilità personale (cfr Ez 18,2-32).

Anche il Deuteronomista nota che il popolo, già dall’epoca di Mosè, è un popolo dalla dura cervice (Es 32,9), incline al culto degli idoli, portato a rompere l’Alleanza:

“Le generazioni passate e quella che vive attualmente, i re ed i popoli che essi hanno indotto al peccato, e che si sono facilmente lasciati indurre al peccato, formano una sola massa dannata da cui non si può più nulla attendere di buono”511.

508 LIGIER L., Péché et connaissance. Essai de Théologie biblique sur le péchè d’Adam et le péchè du monde , PUG Rome- Paris 1960 163-s.

509 Cf. SKA J.L., Introduzione al Pentateuco, cit., 187-192.510 Cfr LIGIER L., Pèché d’Adam et péché du monde, Bible-Kippur Eucharistie cit, 157-163 descrive ancora

l’infedeltà d’Israele nelle lettere di Paolo.511 SHARBERT J., Le péché originel dans L’Ancien Testament, cit., 82.

233

Il Padre L. Ligier fa notare che i temi di Gn 2-3, anche se raramente citati in modo diretto, sono tutti ben presenti nei Profeti, Deuteronomio e Deuteronomista, altri capitoli del Pentateuco.

Per es: Is 43,27: “Il tuo primo padre peccò, i tuoi intermediari mi furono ribelli”.

Molti commentatori hanno visto in questo primo padre peccatore, oltre l’antenato Giacobbe, lo stesso Adamo. Allo stesso Adamo si riferisce direttamente anche Os 6,7: “Ma essi come Adamo hanno violato l’Alleanza;, ecco, così mi hanno tradito”512.

L’interrogativo sulla situazione religiosa dell’uomo davanti a Dio, le conseguenze personali e sociali del suo peccato, è costante nella S. Scrittura; l’uomo, singolare collettivo, è nominato <Adamo> : “Che cosa è l’uomo perché di lui ti ricordi ?” Sal 8,5; (cfr 143(144),3s; Is 2,22; Gb 7,17, Mi 6,8; Nm 23,19).

Tale è anche l’Adamo di Gn 1-2, pur notando la sua particolare situazione religiosa all’inizio della storia umana, nella shalom del Giardino; un Adamo che personalizzato per la “costruzione” della donna, prende con lei decisioni storiche in Gn 3.513.

Anche la situazione religiosa privilegiata, come il Giardino di Gn 2, compare nella storia biblica, situazione di privilegio da cui l’uomo orgoglioso viene spogliato: “ In Eden, giardino di Dio, tu [re di Tiro] eri coperto d’ogni pietra preziosa” Ez 28,13; il giardino frutto della Sapienza accolta (cfr Sir 24,12 -27). Isaia ha in comune con Gn 2-3 i temi del giardino, del serpente, della conoscenza e del peccato. Il re di Israele, per il suo rifiuto del segno offerto da JHWH (Is 7,13-15), si mostra incapace di sceglier tra il bene ed il male, come invece saprà fare l’Emanuele.

Questo nuovo Re, principe di giustizia, si manifesta in un mondo paradisiaco: la montagna sacra sarà liberata, il paese riempito della conoscenza di Dio. Esattamente al contrario del Re di Assiria che appartiene a un lignaggio ove la serpe è la discendenza del serpente (Is 14,29), il mondo rinnovato non conoscerà più l’ostilità tra gli animali e l’uomo (cfr Is 11,6-8) 514.

Deuteronomio 29,8-28; 30,15-20, Amos e Michea conoscono il tema della conoscenza del bene e del male, cui è unita la promessa della Vita (Am 3-7; Mi 6-7).

Poiché l’albero della conoscenza del bene e del male è così proprio della Bibbia, è in essa che dobbiamo ricercare il significato di tale simbolismo. L. Ligier esclude un riduttivo significato sessuale di tale conoscenza: anche dal testo di Gn 2 risulta che il precetto relativo all’albero della conoscenza del bene e del male è dato ad Adamo prima della formazione della donna. <Bene e male>, da cui dipende la Vita, indica la sovranità universale di Dio in materia di valori morali religiosi, e quindi di felicità. Il discernimento umano deve ricercare questi valori, in quanto scelti da Dio.

Tutto viene da Dio che elegge e invita all’accoglienza fedele delle sue disposizioni: così le benedizioni promesse ad Abramo, la Legge e la terra promessa a Mosè, la sapienza fondata sul timore di Dio per una vita riuscita.

Potremo inoltre parlare di necessaria umiltà per riconoscere, anche nella voce della Coscienza (Rm 2,14s) la legge naturale, espressione della Sapienza, ragione divina creatrice; e dell’obbedienza nell’accogliere il progetto dell’Alleanza, secondo i tempi e le tappe volute da JHWH .

Il tema della donna di Gn 2-3 accompagna tutta la storia di Israele, sotto il simbolo della figlia di Sion, Sposa amata da JHWH (Os 1-3; Ger 2; 31,3; Ez 16,1-43.59-63); la stessa Sapienza si presenta al femminile, “si è costruita la casa”(Pv 9,1). Le eroine di Israele (Giuditta, Ester) personalizzano tale Sapienza, che edifica la casa dell’uomo (Pv 31,10-31).

512 Cfr LIGIER L., Péché et connaisance, , cit.,. 152-s.513 LIGIER L., Péché et connaisance, cit., 165-171.514 LIGIER L. Péché et connaisance, cit. 156.

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Quando poi il Salmista confessa:“Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre” (Sal 50(51),7),

è opportuno ricordare la dimensione comunitaria del Salmo, connessa con il simbolismo della nazione adultera sviluppato dai Profeti.

Questa dimensione comunitaria del Salmo 50(51), permette di individuare in direzione del passato, dell’infedeltà di Gerusalemme sposa al Dio dell’Alleanza, la sorgente del peccato in cui nasce l’individuo: non si tratta direttamente della madre del Salmista penitente. Dietro la madre concreta si manifesta la madre allegorica Gerusalemme, il popolo infedele a Dio nel presente e nell’insieme del suo passato. Ma quando la rivelazione mostrerà che questa condizione peccaminosa è da considerarsi nell’intera umanità fraterna, da ricondursi ai suoi capostipiti, il Salmo 50(51) troverà in questa prospettiva la sua pienezza di significato universale.

Il Salmo 50(51), pur nella considerazione peccaminosa della madre sposa comunitaria, conserva un valore individuale primario; è la confessione, davanti al Dio della Misericordia, del peccato dell’uomo tipo, del Re, della sua colpa personale e delle sue radici peccaminose in quanto nato in un popolo solidale nel peccato. Confessione che vale per ogni uomo515.

Non si tratta solo di mediatori regali, sacerdotali e patriarcali che fanno peccare il popolo; si parla anche di una discendenza di giusti, frutto del sacrificio e della misericordiosa mediazione del Servo di JHWH: la figura misteriosa che ha caratteristiche regali, profetiche e sacerdotali, che espia i peccati del mondo (Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12).

Tutte queste riflessioni ci aiutano a non isolare Gn 2-3 dal contesto del Pentateuco, dei Profeti e degli altri Scritti dell’Antico testamento.

2.1.a La tradizione sacerdotale e il peccato delle origini.

Negli ultimi anni, come abbiamo già notato citando Ska J.L., si è molto più attenti, nel ricostruire la preistoria del testo ispirato, a non sezionarla in tradizioni caratterizzate in modo eccessivo. Abbiamo proceduto tenendo presente questa nuova sensibilità. La tradizione sacerdotale (P), che si può con buone ragioni collocare nel periodo esilico, prima del 520 avanti Cristo, ha conservato, negli studi biblici, una sua maggiore consistenza516.

Volendo assicurare il popolo esiliato, con un ritorno contrastato, della fedeltà di Dio, si interessa delle strutture stabili dell’Alleanza, nel macrocosmo della creazione e nel microcosmo di Israele. In queste strutture individua la volontà salvifica di Dio, che non vuole che l’uomo faccia naufragio nel suo male morale e fisico.517

A ciascuna di queste strutture stabili la tradizione sacerdotale dà per fondamento una disposizione di Dio, Alleanza o qualcosa di simile: Alleanza con Abramo (Gn 17,1-14), con Noè (9,9-17), con i Progenitori (1,27-2,4 a.). Questa sua apertura universalista induce il Sacerdotale alla ricerca e costruzione delle genealogie (toledot): Israele, la discendenza di Giacobbe, risulta inserita nella grande famiglia umana, unificata in Adamo. Queste genealogie attirano l’attenzione specialmente sulla linea ereditaria della promessa e delle benedizioni: Adamo, Set, Enoch, Noè, Sem, Abramo, Isacco, Giacobbe, il clan sacerdotale, levitico ed aronnico.

La vita cittadina aveva alquanto attenuata la sensibilità, cosi forte nel nomade, della decisiva appartenenza al Clan, la tribù. Questo raggruppamento sociale, nella cultura del Nomade, si presenta ben caratterizzato dal punto di vista religioso, sociale, economico; un senso fortissimo di solidarietà si manifesta nell’osservare e fare osservare le norme che assicurano la vita della comunità. Tale solidarietà si attribuisce alla comune discendenza dal capostipite, eponimo; ma

515 Cf. L. LIGIER, Péché et connaisance, cit 1960, 128-141.516 Cf. J. L. SKA, Introduzione al Pentateuco, cit., pp. 165-181.517 Cfr NEGRETTI N., Storia dell’umanità e storia della salvezza, in NEGRETTI N., WESTERMANN C., von

RAD G., Gli inizi della nostra storia, Marietti 1974, 24-31

235

anche senza comunanza di sangue si può entrare, con tutti i diritti e doveri, nella tribù clan, attraverso un rito di iniziazione.Vedi le prescrizioni di Esodo: “Se un forestiero soggiorna presso di te e vuole celebrare la Pasqua del Signore, sia circonciso ogni maschio della sua famiglia “(12,48), per l’accoglienza del forestiero nel Popolo dell’Alleanza.518

La stipulazione dell’Alleanza ha rinforzato e caratterizzato questa solidarietà: si parla di Personalità corporativa519, unità nel bene e nel male, di particolare responsabilità morale religiosa del capostipite (eziologia: ricerca nel comportamento del capostipite delle qualità o non qualità morali del gruppo solidale: per es. la violenza dei discendenti del fratricida Caino in Gn 4).

La tradizione sacerdotale ha posto in rilievo tale comunione religioso morale in Israele, senza separarlo dagli altri popoli per la solidarietà fondata nella comune creazione dell’uomo in Adamo, nell’Alleanza noaica (Gn 9,1-19).

Non si attribuisce a P un peccato all’inizio della storia umana; il suo intento sembra piuttosto la ricerca delle stabili alleanze, nella creazione e nella famiglia abramica, che assicurano la fedeltà di Elohim-JHWH, il futuro di Israele nella sua difficile ricostruzione post-esilica. Sembra gli stia a cuore di mettere in evidenza la responsabilità propria di ciascuna generazione, di inculcare la responsabilità dell’attuale generazione: il peccato è anzitutto, da parte dell’uomo, un tentativo personale di spezzare l’ordine sacro stabilito da Dio e di contribuire così a rinforzare il caos 520.

Se P non parla di un peccato determinato del primo uomo, nota invece la corruzione generale che precede e causa il diluvio:

“Noè era un uomo giusto […..] Ma la terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza. Dio guardò la terra ed ecco, essa era corrotta, perché ogni uomo (Kol basar = ogni carne), aveva pervertito la sua condotta sulla terra”(Gn 6,9-12).

Sembrerebbe incline ad ammettere una debolezza morale legata alla basar, la carne, una propensione della componente fisica dell’uomo a distruggere l’ordine divino: “ogni intento del cuore umano è incline al male sin dal l’adolescenza.”(Gn 9,21).

Anche la tradizione P conosce quindi una dimensione universale del peccato, sia dell’intera umanità, sia anche del popolo eletto: Lv 16 contempla per il giorno dell’espiazione un rituale per la purificazione del peccato del Tempio e del Popolo.

2.1.b Il redattore definitivo del Pentateuco e lo Jahwismo.

Questi nel post esilio raccolse le tradizioni del popolo dell’Alleanza, la maturazione religiosa morale frutto della dolorosa prova dell’esilio, per farne la legge propria di Israele nella sua difficile ricostruzione, così inserito nel colosso dell’impero persiano. E’ testo ispirato: l’autore principale, lo Spirito Santo, rifonde ed unifica l’insegnamento delle varie tradizioni che sono state considerate dal redattore definitivo.

Nello stato attuale degli studi biblici è più difficile stabilire la consistenza di una tradizione jahwista; la tendenza è di situarla in periodi più recenti, ridurne la consistenza 521.

Più ancora di una tradizione scritta Jahwista, ricordiamo ancora che tutto il Pentateuco è composto nella prospettiva e luce di JHWH, Dio manifestatosi a Mosè, per rendere tutto il popolo dell’esodo partecipe della sua conoscenza, della sua legge di Vita, della terra promessa.

518 Cfr SCHARBERT J., Le péché originel dans l’A.T., cit., cap. 3, “Le pensée clanique dans l’Ancien Israel”.519 Cfr DE FRAINE J., Adamo e la sua discendenza. La concezione della personalità corporativa nella dialettica

biblica dell’individuale e del collettivo, Città nuova, Roma, 1968.520 Cfr J. SCHARBERT J., Le péché originel dans l’A.T. cit., 94-s.521 Cfr SKA J.L., Introduzione al Pentateuco, cit., 151-164.

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JHWH è il Dio dei Padri, conosciuto come El Shaddaj dai Patriarchi (cfr Gn 17,1; 35,11; 48,3) , è lo stesso Dio unico della Creazione, Elhoim di Gn 1; lo Jahwista, il redattore definitivo del Pentateuco, hanno la certezza dell’immensa bontà di JHWH, Dio dell’Alleanza e Creazione, sono convinti che non si può attribuire ad una volontà di JHWH lo stato miserabile dell’umanità; sin dall’inizio ha di mira solo la Vita e la Salvezza dell’uomo.

Sono alla ricerca di una spiegazione per i peccati che osservano negli stessi Patriarchi, anche in Davide e Salomone, ben sapendo inoltre che peccato, sofferenza e morte gravano anche su tutti i popoli. Bisogna dunque ricercare come la durezza del cuore umano, da cui provengono tanti peccati (Gn 6,5-s; 8,21), abbia fatto irruzione nella storia comune dell’umanità.

La diffidenza verso Dio, la sua difficile conoscenza, la sofferenza e la morte, il lamentabile disordine delle relazioni interumane, non può provenire direttamente da Dio: l’uomo ne è il diretto responsabile fin dagli inizi, col suo peccato, ed una potenza opposta a Dio l’ha introdotta sin dall’alba della storia umana.

Per indicare il guasto, religioso morale, introdotto dal peccato, si serve di situazioni concrete, attraverso immagini espressive: la natura santa, l’uomo santo-integro, le sante relazioni della prima comunità tra l’uomo e la donna, il tutto avvolto in una santa comunione, familiarità tra Dio e l’uomo 522.

E’ l’umanità descritta in Gn 2, così come esce dalle mani plasmanti di Dio, vivificata dal suo soffio vitale; vi si respira l’aria dell’Alleanza vissuta.Uno stato di shalom, di benedizione, di pace, di comunione con Dio, con l’uomo e la natura. Una vita di armonia, santa ed integra, ma non un paese di cuccagna, in quanto ci sono doveri da compiere, si è sottoposti a prove, e Dio si attende una risposta di fede e di obbedienza.

Il peccato dei progenitori causa la perdita della shalom; la stato che ne deriva viene descritto con una serie di situazioni concrete che esprimono gli aspetti umani universali dell’esistenza: 523

il rapporto con Dio ha perso la confidenza degli inizi, l’uomo si nasconde. i rapporti umani passano dalla comunione fondata sul rispetto e sull’amore, ad un pericoloso

equilibrio di pulsioni disordinate. la generazione, l’educazione, il lavoro diventano particolarmente difficili. l’uomo sperimenta l’inquietudine, la sofferenza e la morte; viene espulso dal giardino della

familiarità con Dio, della conoscenza del bene e del male, dell’albero della vita.Dio non abbandona l’uomo, promette vittoriosa lotta sul male (Gn 3,15), e fin dall’inizio ha

cura della fragilità umana: “Il Signore Dio fece all’uomo e alla sua moglie tuniche di pelle e li vestì “(Gn 3,21)

Il redattore finale del Pentateuco dà un particolare rilievo alla storia “teologica” del Giardino, sottolinea la sua dimensione religiosa, ponendola all’inizio; riesce a coordinare ciò che tutte le tradizioni di cui disponeva già segnalavano: una diffusione universale del peccato, una durezza morale cosi penetrata nel cuore umano, l’eccesso di una sofferenza inspiegabile di fronte al Dio della vita.

L’umanità è come una grande famiglia, vive la solidarietà religiosa morale del Clan, è riconducibile a comuni progenitori, attraverso alberi genealogici, le toledot di Genesi 5 e 11 524. Il peccato è entrato presto nella storia dell’umanità, come forza devastante; ma anche la grazia, la cura provvidente di Dio rimane attiva, come viene dimostrato dalla presenza di giusti: Abele, Enoch, Noè, Abramo.

522 Cf. SCHARBERT J., Le péché originel dans l’A.T, cit., 60.523 Cfr LIGIER L., Péché et connaissance. cit.,Chap. IX, 211-231 Le drame de l’homme et de la femme; TESTA

P.E., Genesi, in GAROFALO S., ed. La Sacra Bibbia, Marietti, Torino-Roma, 1969, 304-316.524 Queste genealogie non si fondano tanto su elementi biologici, ma piuttosto su dati religiosi, culturali e

sociologici: Cfr SCHARBERT J., Le péché originel dans l’A.T, cit., 106.

237

Anche dopo Abramo il peccato rimane un comune fardello terribile per l’umanità ed Israele. Negli stessi Patriarchi si notano peccati; lo scrittore sacro non vela nulla, neppure sovraccarica la sua disapprovazione. Dopo il peccato di Gn 3, la corruzione del cuore umano notata in Gn 6,5 e 8,21, il verdetto è già scontato, poiché l’uomo non può tirarsi fuori da solo dal peccato. Ma con Abramo la grazia di Dio, mai assente, si mostra anche storicamente con più intensità e visibilità. Con Abramo si inizia un filone storico di benedizione e salvezza che porterà a Cristo e alla sua Chiesa.

All’inizio non si conosceva nè il peccato, nè la morte, nè acerba sofferenza, ma la pace nella comunione con Dio.

L’Antico Testamento si conclude con l’esaltazione di Adamo, per i dono ricevuti all’inizio: “Nella creazione, superiore ad ogni vivente è Adamo” (Sir 49,16). Il libro della Sapienza nota la cura provvidente della stessa Sapienza:

“Ella protesse il padre del mondo, plasmato per primo da Dio, che era stato creato solo, lo sollevò dalla sua caduta e gli diede forza per dominare tutte le cose.” (Sap 10,1-2).

Anche la liturgia che accompagnava le feste di capo d’anno e del Kippur davano rilievo alla figura di Adamo, come anche a quella del gran Sacerdote (vedi anche Sir 50), che presiedeva la celebrazione di queste festività con cui iniziava il nuovo anno525. Siamo ormai alla vigilia dell’Incarnazione del Verbo, il nuovo e definitivo Adamo, Sommo sacerdote (cfr Eb 9,11-28), Α e Ω della Creazione.

2.2 Nuovo TestamentoRappresenta il vero luogo della rivelazione di come sta ogni uomo davanti al Padre del N. S.

Gesù Cristo, per il solo fatto di nascere uomo. Accogliendo la rivelazione vetero-testamentaria, la porta a compimento, manifestando l’intensità di una solidarietà umana a misura del Verbo incarnato, e la profondità efficace della sua redenzione da una nativa, comune situazione peccaminosa; essa non faceva parte del progetto originario di Dio.

2.2.a La solidarietà in Cristo e la comune situazione peccaminosa nei Vangeli

L’Antico Testamento considera la storia salvifica dell’umanità nel quadro di una grande famiglia solidale (mentalità di Clan, corporativa, eziologica), riconducibile ai due capostipiti, Adamo ed Eva.

Ma più ancora che sul fatto biologico, questa solidarietà era realizzata dal dono della Alleanza, attraverso i suoi mediatori (Abramo, Patriarchi, Mosè, Profeti), dalla presenza attiva dell’unico Creatore e Signore che tutto unifica nella radicale dipendenza a Sé, perché tutto è sua creaturale partecipazione.

I Libri Sapienziali, senza perdere il senso della storia salvifica e dei suoi mediatori, (Sir.44-51; Sap 9-19), contemplano e svelano l’unico sapiente progetto del Dio creatore, che qualificando in profondità la vita dell’uomo, chiede di essere accolto.526

Questo sapiente progetto svela una iniziale verità-immagine sia di Dio, la sua Gloria, che dell’uomo; primo svelamento del Mysterium-Sacramentum (cfr Sap 6,22), il piano di salvezza che viene progressivamente manifestato nella storia.

525 Cfr LIGIER L., Péché et connaissance. cit., 298-319. Dello stesso autore, Péché d’Adam et péché du monde, Bibie-Kippur Eucharistie, cit 378: ”La novità del Siracide può essere quella di permettere di introdurre all’interno della storia il personaggio del Figlio dell’uomo, che Daniele e le Apocalissi sembravano riservare alla fine ”

526 Responsabilità personale e influsso nefasto di alcune colpe nella sildarietà umana nei sapienziali cfr DEROUSSEAUX L., L’Ancien Testament, in GUILLUY P., La culpabilité fondamentale, cit., 24s.

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Già sappiamo come tutte queste categorie, che qualificano il progetto di Dio (Sap 7,25s), trovano la loro piena e imprevedibile manifestazione e realizzazione in Cristo Gesù, la Parola incarnata, Verità Immagine fedele del Padre, che dona il suo Santo Spirito e qualifica sotto ogni aspetto il sapiente progetto di Dio, il suo Mysterium-sacramentum.

Abbiamo già esaminato gli inni cristologici che esprimono questa stupefacente solidarietà e unità in Cristo, in cui, per cui, verso cui Tutto è stato creato e redento: prologo di Efesini, Giovanni, Ebrei, inno di Colossesi; a questi concentrati cristologici aggiungeremo Romani 5,12-21: Cristo, nella sua obbedienza della Croce redime l’uomo solidale nella sua storia di grazia e di peccato, sino alla sua radice peccaminosa adamica.

Questa intensa unita salvifica nel vero Adamo, Cristo, di cui il primo Adamo è solo pallida figura anticipatrice e peccatrice (cfr Rm 5,14; Cor 15,22.45-49) è già chiaramente indicata dai Vangeli.

Infatti la storia salvifica dell’umanità risulta tutta concentrata in Cristo Gesù, Figlio di Dio; questa comunione, solidarietà salvifica è espressa da tutti gli Evangelisti.

Marco inizia e conclude la narrazione evangelica della vita di Cristo affermando la sua relazione divina col Padre: “Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1); “Il centurione, che si trovava di fronte a Lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio»” (Mc 15,39). Il buon annuncio che Gesù è Figlio di Dio, è pienamente proclamato nella situazione tragica dell’abbandonato da Dio, quando nella totale fedeltà ed obbedienza al Padre, porta tutto il peso della solidarietà peccatrice con l’uomo.

Matteo, lo scrittore ebreo che ama vedere in Cristo la piena realizzazione delle Scritture, inizia la storia di Gesù, il Dio con noi, narrando la sua discendenza Abramica. Ma mostrerà la Gloria di Cristo Re su tutte le genti riunite intorno a Lui per il giudizio decisivo: un giudizio che manifesta l’intimo solidale legame, una quasi-identità, di Cristo con ogni uomo, anche il più disprezzato, anche nelle dimensioni corporali della vita. (Mt 25,31-46).

Luca, nella sua prospettiva missionaria universale, dopo avere narrato il Battesimo di Gesù come manifestazione del Figlio prediletto del Padre (i cieli aperti nell’umiliazione di porsi tra i peccatori), espone la sua ascendenza sino ad Adamo, Figlio di Dio (Lc 3,23-28).

Ricordando subito dopo le tentazioni messianiche vinte da Cristo, Luca Lo indica chiaramente come il vero Adamo, Figlio obbediente al Padre, che così redime la peccaminosa progenie adamica; Cristo tutta la porta in sé, mentre riapre i cieli della comunione col Padre, nello Spirito Santo.

Così Luca prepara l’annuncio evangelico a tutte le genti nel giorno della Pentecoste (At 2,14-41), e nel cammino apostolico della Chiesa missionaria sino a Roma.

Giovanni radicherà nel suo Prologo, la solidarietà salvifica umana per Cristo, Verbo incarnato, nella sua stessa eterna generazione da Dio Padre, e la mostrerà consumata nella comunione dei santi della Gerusalemme celeste che scende da Dio (Ap 21-22); la Chiesa ne è già il germe vitale, per la sua partecipazione alla Liturgia celeste, per la fedeltà dei suoi all’Agnello nella tremenda lotta contro il male.

Questa intensa solidarietà Cristo-umanità è per mediare redenzione ad un uomo religiosamente perduto.

Prima di addentrarci nell’insegnamento paolino, che presenta i testi più condensati, sintetici (Rm 5,12-21; 7,14-25527; Ef 2,1-5528; Gal 5,16-18529) é bene notare come la storia evangelica, del

527 Il peccato è detto, se prescindiamo dalla grazia di Cristo, abitare nell’uomo (Rm 7,18), come altrove si dice, in Rm 8,9 e 1 Cor 3,16, dello Spirito di Dio: cfr LIGIER L., Péché d’Adam, péché du monde, Bible, Kippur, Eucharistie, cit. 194, nota 167.

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Figlio di Dio tra di noi, ci insegni, nel suo modo proprio, la stessa realtà salvifica (redenzione dal peccato originale).

Riprendiamo il discorso già sviluppato come introduzione evangelica all’insegnamento di Cristo Primogenito della reazione (Col 1,15-20): Gesù di Nazareth come sonda esistenziale, che illumina e redime le dimensioni costitutive fondamentali della creazione di Dio, che gli è ben nota: è del Padre e sua.

Più ancora che un qualche particolare passo, è la comune condizione peccaminosa dell’uomo, di ogni uomo e di tutti gli uomini, davanti a Cristo Salvatore, la necessità di una redenzione che raggiunga non solo i nodi sociali della solidarietà umana, ma il centro stesso della personalità religioso-morale dell’uomo, il suo cuore, a costituire il vero e convincente fondamento evangelico di quella situazione nativa, peccaminosa, che Agostino e la Chiesa chiameranno Peccato originale.

Cristo si presenta a noi come colui che viene a salvare chi era perduto (cfr Mt 18,11), non i sani, ma i peccatori (cfr Lc 5,52), per cui si vede escluso dalla salvezza esattamente chi, come i farisei, si ritiene giusto di una giustizia sua, delle sue opere, non si apre alla guarigione operata da Cristo (cfr Gv 9,40-41: guarigione del cieco nato: “Ma siccome [voi farisei] dite «noi vediamo» il vostro peccato rimane”).

Gesù mette in risalto la cecità del Fariseo, uomo per altro di dignità religiosa:

“Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori” (Lc 16,15); e prima di descrivere la preghiera umile e giustificante del Pubblicano: ”O Dio, abbi pietà di me peccatore”(Lc 18,13), in contrasto con il ringraziamento auto-lodantesi e sprezzante l’altro del Fariseo, Luca osserva: “Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri” (Lc 18,9)

Davanti a Cristo, che offre la presenza attiva, misericordiosa di Dio, l’inizio del suo Regno, nessun uomo è giusto, tutti sono invitati alla conversione, tutti senza eccezioni: “II tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15).530

Giovanni parlerà addirittura di una nuova nascita, necessaria: “In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel Regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne, quel che è nato dallo Spirito è spirito.” (Gv 3,5s)

Questa conversione tocca i nuclei fondamentali, decisivi, qualificanti la persona e la solidarietà umana. Gesù infatti introduce alla conoscenza del Padre, in quanto Figlio prediletto, una sola cosa col Padre, svela il suo volto Paterno. Ma questa operazione di profondità e verità religiosa non è di facile accettazione: la maggior parte dei capi religiosi fa resistenza, talora addirittura

528 Ef. 2, 3-4: “Anche tutti noi, come loro [Giudei e pagani] un tempo siamo vissuti nelle nostre passioni carnali seguendo le voglie della carne e dei pensieri cattivi: eravamo per natura meritevoli d’ira come gli altri. Ma Dio ricco di misericordia, [….] ci ha fatto rivivere con Cristo.” “Per natura figli della collera”: questa dichiarazione ha sempre attirato l’attenzione. Alcuni Greci (S. Giovanni Crisostomo, Teofilatte, Didimo d’Alessandria…. ) hanno interpretato “veramente e realmente figli della collera”, espressione che sembra indebolire l’espressione paolina. Agostino vi ha visto l’affermazione del Peccato originale. “Questa interpretazione sembra più vicina dell’espressione semitica e del suo contesto” commenta LIGIER L., Péché d’Adam, péché du monde, Bible, Kippur, Eucharistie, cit., 287, ricordando nella nota 132, che la tradizione Latina è unanime nell’interpretare la voce greca < fusei> nel senso del peccato originale, una natura corrotta per nascita, privata dei doni gratuiti delle origini.

529 In Galati 5 si parla di una vita Cristiana che deve esercitarsi tra le forze opposte della carne e dello Spirito; il Battezzato non può esimersi da questa lotta, ma lo Spirito gli comunica energie per una sicura vittoria; il contrario per l’IO che prescinde da Cristo di Rm 7, 14-25.

530 LIGIER L., Péché d’Adam et péché du monde, Bible-Kippur Eucharistie, cit 74-156 esamina l’inserimento di Gesù nel suo mondo, e la denuncia della “generazione incredula”, dell’unità e solidarietà nel peccato, nel passato e nell’avvenire, una solidarietà che segna tutta la storia, con l’accusa di Gesù: « Ebbene, colmate la misura dei vostri Padri !” (Mt 23,32).

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violenta (Cfr Gv 8,12-59); sarà la causa della condanna di Gesù alla Croce. Ma anche i discepoli stentano molto ad entrare in questa Rivelazione.

Solo la Croce nell’obbedienza al Padre, manifestazione vertice di essere una sola cosa nell’Amore filiale col Padre, riuscirà a convincere i diffidenti discepoli, e solo quando contempleranno i segni della passione, dell’amore ubbidiente, filiale, nel corpo glorioso del Risorto. Gli Apostoli potranno così accedere alla fede nel Mistero pasquale, il cui Memoriale è stato loro affidato, come partecipi del suo Sacerdozio.

Ma anche per il Matrimonio, che rende indissolubilmente l’uomo e la donna partecipi dell’amore fedele e fecondo del Dio della Creazione e dell’Alleanza, è necessaria una conversione dalla sopravvenuta durezza di cuore (cfr Mt 19,8); essa impedisce la partecipazione alla legge divina fondamentale di Creazione ed Alleanza: l’amore fedele e fecondo.

Gesù è venuto ad indicare e sciogliere questa durezza di cuore, per riportare il matrimonio al suo principio, lo splendore della somiglianza all’amore di Dio.(Cfr Mt 19,1-11)

Anche l’esercizio della debita autorità, l’accettazione perseverante della vita fraterna, ha bisogno della fondamentale conversione allo stile di Cristo, venuto per servire, non per essere ser-vito, per offrire sempre misericordia.(Cfr Lc 22,24-27).

Questa necessaria conversione allo splendore del progetto di Dio, sulla misura del Verbo incarnato venuto a portare tutto il peso dell’infermità umana (Mt 8,17, citando Is 55,4: “Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie”), non tocca solo l’esteriorità delle dimensioni sociali, ma interessa in profondità il centro intelligente e responsabile dell’uomo, il suo cuore, nei suoi desideri, inclinazioni fondamentali. Cristo introduce la novità delle Beatitudini, l’offerta di una giustizia superiore a quella di scribi e farisei:

“Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella di scribi e farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5,20).

La nuova giustizia di Cristo non si limita al livello dell’avere e del possedere dell’uomo, mira invece decisamente sino al centro del suo orientamento responsabile, il suo cuore: non si tratta solo di non uccidere, ma anzitutto di non odiare, evitare le parole di disprezzo; l’adulterio è già compiuto nel desiderio cattivo esercitato (cfr Mt 5,21-28). Gesù infatti avverte che é :

“Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adulteri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno, e rendono impuro l’uomo” (Mc 7,21-25).

Questo cuore umano malato, che porta frutti così deleteri, che Cristo è venuto a guarire efficacemente, non è il cuore di un delinquente particolarmente criminale, ma il cuore dei discepoli, di ogni uomo.

L’accoglienza del Vangelo delle beatitudini realizza un cuore puro, limpido, ben orientato nel compiere tutta la volontà del Padre; di chi sarà insieme povero nello spirito, mite, affamato di giustizia, misericordioso e pacifico, beato anche nelle afflizioni e nelle persecuzioni per la causa di Cristo.(cfr Mt 5,1-12).531

Notare come questa durezza di cuore, già notata nell’Antico testamento (Gn 6,5; Ez, 36,26-27) non era contemplata nel progetto originario di Dio; “all’inizio però, non fu cosi” (Mt 19,8); è quindi conseguenza del peccato dell’uomo, dalle sue origini.

531 Per l’unità interiore ritrovata nella vita cristiana, cfr GRELOT P., Péché originel et rédemption, cit., 304-325

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2.2.b Il cuore duro si manifesta nella virulenza del desiderio cattivo: la concupiscenza, in greco epiqum…a .

In sè epiqum…a indica un desiderio vivo, che può essere del tutto santo: “Ho tanto desiderato mangiare questa pasqua con voi, prima della mia passione” (Lc 22,15), proclama Gesù introducendo l’ultima cena, in cui istituisce il suo Memoriale eucaristico; in greco: epiqum…a epiqÚmhsa , in latino: desiderio desideravi.532

La S. Scrittura parla dei desideri propri dello Spirito Santo, contrari ai desideri <della carne> (Cfr Gal 5,16-s), e con questo termine Isaia indica l’aspirazione dell’uomo giusto verso Dio <Al tuo nome, al tuo ricordo si volge tutto il nostro desiderio>( Is 26,8). Il Salmista si consuma nel desiderio dei Precetti del Signore( Sal 118(119),20), anzi <ha sete, anela, cerca> la vicinanza di Dio (Sal 62(63)).

Ma quando si tratta dell’uomo dal cuore duro, perverso, dell’uomo che ha rifiutato lo Spirito, dell’uomo cioè carnale, il suo desiderino è cattivo, porterà sicuramente al peccato pieno se non viene accolto, nella conversione battesimale, lo Spirito Santo, l’unico in grado di contrastarlo vittoriosamente : “Camminate secondo lo Spirito, e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne” (Gal 5,16; cfr Rm 8,1-18)).

Il desiderio cattivo è una forza devastante: per Mt 5,28 è in grado di spezzare il Matrimonio; in Mc 4,19: ” le preoccupazioni del mondo, la seduzione delle ricchezze, e tutte le altre passioni” sono in grado di soffocare la Parola ascoltata.

Paolo segnala come il desiderio cattivo, concupiscente, emani da un cuore perverso, separato dal vero Dio: “Pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorficato, né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata.. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno sambiato la gloria del Dio incorruttibile, con un’immagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, quadrupedi e rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore…..”(Rm 1,21-24).

Così pure Ef 2,3 parla di “voglie della carne”; Ef 2,1-5, è uno dei testi più considerati dai Padri come prova del peccato originale. Paolo intende la concupiscenza desiderio-cattivo come espressiva del peccato che domina l’uomo-carnale, l’uomo chiuso in se stesso, che si sottrae alla forza dello Spirito Santo. Il desiderio cattivo esprime la propensione profondamente radicata nell’uomo peccatore a porre se stesso, egoisticamente, al centro della vita, ad amare se stesso al di sopra di ogni altro, con tutti i mezzi.

Oggetto del desiderio cattivo possono essere tutti gli aspetti della vita, sino al punto che tale concupiscenza può assoggettare totalmente l’uomo al suo potere. Tale stato è comune all’uomo così come nasce :

“Anche tutti noi, come loro, un tempo siamo vissuti nelle nostre passioni carnali seguendo le voglie della carne e dei pensieri cattivi: eravamo per natura fÚsei[così come si nasce] meritevoli d’ira, così come gli altri”(Ef 2,3); questa disastrosa situazione può essere superata solo da una vita animata dallo Spirito Santo, con i suoi desideri totalmente conformi al volere di Dio.

Il battezzato, immerso nel Mistero pasquale di Cristo, ha ricevuto il dono pasquale dello Spirito, ed è quindi abilitato a combattere i residui desideri cattivi; una lotta in cui il cristiano non è semplice spettatore passivo, ma invece responsabile attore, che in forza dello Spirito ricevuto, realizza attivamente i suoi desideri, che sono radicalmente contrari a quelli della carne (cfr Gal 5,16-26).

Notiamo infine come questo stato nativo, comune, di concupiscenza virulenta, che lo Spirito di Cristo viene a correggere e redimere, non si può imputare direttamente a Dio; e quindi causato,

532 Cfr ARMENDARIZ L.M., Ombre y mundo a la luz del Creador, cit. 217-226.

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come il cuore duro e la situazione carnale che ne sono la sorgente, dal peccato dell’uomo.

Viene insinuato da due testi: Gc 1,12-18:“Beato l’uomo che resiste alla tentazione, perché dopo averla superata, riceverà

la corona della vita, che il Signore ha promesso a quelli che lo amano. Nessuno quando è tentato dica «sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno. Ciascuno piuttosto è tentato dalla proprie passioni che lo attraggono e lo seducono; poi le passioni concepiscono e generano il peccato, ed il peccato una volta commesso, produce la morte. Non ingannatevi, fratelli miei carissimi; ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c’è variazione ne ombra di cambiamento. Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature”.Qui Giacomo sta parlando delle prove della vita cristiana: queste prove ben gestite, con fede

e preghiera: “a Dio, che dona a tutti con semplicità e senza condizioni” (1,5) fanno crescere, dispongono a ricevere la corona del premio.(1,12).

Ma, oltre la tentazione prova, sì dà la tentazione-passione (concupiscenza), che porta al peccato: questo non può venire da Dio. Giacomo fornisce le prove della sua affermazione: Dio non può essere tentato al male, e non tenta alcuno al male. La concupiscenza appare “quasi come un essere personale, al quale l’uomo è strettamente legato, ma non consegnato come impotente. La sua attività nell’uomo si manifesta come un trascinare, attrarre, o come un allettare, adescare. La con-cupiscenza è una forza seducente, pericolosa; l’uomo soccombe facilmente ai suoi allettamenti, come pesce all’esca. Quindi anche se essa sgorga dall’intimo dell’uomo, è tuttavia distinta dal suo io, gli sta in un certo senso di fronte”533.

Nei vv.16-18 Giacomo fornisce un’altra prova che la tentazione-concupiscenza che porta facilmente al peccato pieno (ma perché l’uomo non vi resiste con fede e preghiera), non può provenire quindi da Dio.

Ha già affermato che Dio non induce nessuno al peccato con violente tentazioni; ora aggiunge: dal Padre della luce, che è pienezza di Vita, senza alcuna deficienza, vengono solo doni perfetti; ricorda in proposito il dono della rigenerazione cristiana, dono gratuito, che ci rende primizia della creazione rinnovata.

1 Gv 2,15-17 :“Non amate il mondo, nè le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in Lui; perché tutto quello che è nel mondo,- la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, e la superbia della vita - non viene dal Padre, ma viene dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!”.Il contesto è la novità della vita cristiana, che il Verbo incarnato ci offre: essa consente a

tutti, giovani e anziani, di vincere il maligno.

Chi ama il Padre, vive in Lui, non può amare il mondo sottomesso al maligno, che si oppone, si sottrae a Dio. Ora questo mondo nemico di Dio è descritto come il regno delle concupiscenze, dei desideri cattivi, virulenti. Giovanni ricorda un triplice oggetto di concupiscenza, senza con questo darne un elenco completo:

concupiscenza della carne, in senso paolino, dell’uomo che si sottrae allo Spirito Santo, chiuso in se stesso.

concupiscenza degli occhi: potrebbe significare tutto ciò che alletta gli occhi, l’esteriorità vana, i piaceri della carne attizzati dagli occhi.

la superbia della vita, un tronfio orgoglio, come confidenza eccessiva nella ricchezza e la sua ostentazione, la vanagloria che porta al disprezzo del povero.

533 F. MUSSNER, La lettera di Giacomo, Commentario teologico del Nuovo Testamento, XIII/1, Paideia, Brescia 1970, l28-s

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Ma tutti questi desideri cattivi e orientamenti al peccato non provengono dal Padre, non appartengono al suo progetto che è solo bene, vita eterna. Vengono dal mondo, sono frutto di un uomo che col suo peccato si oppone a Dio.

Dopo questi ampliamenti estesi alle lettere di Giacomo e Giovanni, per ricordare che la situazione nativa dell’uomo, peccaminosa, segnata dalla subdola concupiscenza del male (correggibile dal dono abbondante dello Spirito, per una impegnata lotta) non fa parte del progetto voluto da Dio, possiamo concludere con FLICK e ALSEGHY, 534:

“Secondo i Vangeli il mondo é sotto il dominio del diavolo, che Cristo deve vincere. Tutti gli uomini sono non soltanto infermi, ma malvagi, ed hanno bisogno di conversione, e addirittura di una nuova nascita. operata da un intervento di Dio. Cristo dà se stesso per operare questa rinascita dalla morte del peccato. Perciò il ruolo di Cristo nell’umanità è quello di salvatore, come esprime già il nome – Gesù -.

É da notare che i termini salvare, salvezza, Salvatore, nel Nuovo Testamento quasi esclusivamente si riferiscono alla liberazione dal peccato e dalla morte eterna, e queste parole solo in questo significato sono applicate a Gesù.

La salvezza operata da Dio per Cristo è una gioia annunciata a tutto il popolo; essa compresa come unica alternativa alla condanna, è il frutto della fede nel Vangelo, che deve essere perciò annunciato a tutto il mondo.

Ora questo complesso semantico diventa privo di senso se ogni uomo non sta sotto il dominio del peccato.

Così l’annuncio della salvezza universale e indispensabile, rivela anche, come punto di referenza necessario, la perdizione: Soteria e Apoleia sono talmente congiunti, che la prima non può concepirsi senza la seconda”.

La storia evangelica presenta così, si può dire in ogni sua pagina, la situazione religioso morale dell’uomo, davanti a Cristo salvatore, come situazione segnata da un disordine, male peccaminoso profondo, bisognoso di redenzione.

Chi accoglie nella fede il Crocifisso glorioso, viene trasferito dalla nativa solidarietà peccaminosa, nella solidarietà di grazia ecclesiale, in cui non solo sarà abilitato a vivere una vita nuova, redenta, filiale e fraterna, ma sarà anche attivo, nel mediare, subordinatamente a Cristo, la sua grazia.

Il danneggiamento religioso-sociale descritto in Gn 3 come conseguenza del peccato dei progenitori, viene approfondito e chiarificato nella sua dimensione prettamente peccaminosa: privazione di grazia per la solidarietà umana (un uomo peccatore sin dall’inizio) uomo chiuso in se stesso, ostile, diffidente verso Dio.

In sintonia con Gn 3, Sap 2,24: ”Ma per invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo” e Sir 25,24: ”Dalla donna ha inizio il peccato e per causa sua tutti moriamo” avvisano che la responsabilità di questa profondamente radicata in noi situazione peccaminosa, da cui ci strappa la Croce gloriosa di Cristo, sta dalla parte dell’uomo, non di Dio. In S. Paolo sia lo stato di corruzione peccaminosa da cui Cristo ci salva, sia l’indicazione della sua causa, diventano più espliciti.

2.3 L’insegnamento PaolinoPrima di esaminare la pericope luogo classico della dottrina ecclesiale sul Peccato originale,

cioè Rm 5,12-21, è bene accennare ad alcuni temi portanti del suo insegnamento, il cuore della sua dottrina, in cui già troviamo contenuta in germe, la dottrina ecclesiale sul Peccato originale.

534 FLICK M., ALSEGHY Z., Il peccato originale, Queriniana, Brescia 1972, p.63s

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la giustificazione: diveniamo giusti, figli di Dio, per la fede in Cristo, il battesimo e la vita ecclesiale; tale giustificazione non è il frutto delle nostre opere, ma di Cristo, per la solidarietà con Lui che si realizza nella vita sacramentale-ecclesiale; solamente chi è così giustificato dallo Spirito Santo è capace di vita nuova, osservare la legge nella carità..

I rapporti Spirito - carne: ogni uomo, così come nasce, è in se stesso carne, cioè fragilità, deficienza morale, che si è sottratta alla forza vivificante dello Spirito, che da se stessa non può portare che i frutti della carne, peccaminosi; Gal 5,19-s così li descrive : “Fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordie, gelosia,

dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio.” Appunto per questo, così come nasciamo, siamo “per natura meritevoli d’ira, come gli altri”(Ef 2,3). Non può infatti piacere a Dio la privazione della Grazia, del dono vivificante dello Spirito Santo, per cui nell’uomo si dà naturalmente tanta miseria morale, inclinazione al male che porta inevitabilmente al peccato. Solamente lo Spirito Santo, forza personale inesauribile di Dio, dono pasquale del Crocifisso glorioso, accolto, corrisposto e divenuto operante nell’uomo, può produrre una vita illibata e virtuosa.

Anche in Giovanni, nel Dialogo con Nicodemo, catechesi battesimale, troviamo questa contrapposizione Spirito-carne: “In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito , non può entrare nel Regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, quello che è nato dallo Spirito è spirito”( Gv 3,5s).

Il cristiano, sempre secondo Galati 5, avendo ricevuto lo Spirito, può contrastare vittoriosamente, in una impegnata lotta spirituale, le opere della <carne>, portando <il frutto dello Spirito[…] amore , gioia, pace…,(v. 22), in una <fede che si rende operosa per mezzo della carità>(v. 6).

2.3.a Romani 5,12-21

Per comprendere l’insegnamento di Paolo è bene dare uno sguardo d’insieme alla lettera ai Romani. Una lettera è sempre inviata da un Autore ad un destinatario, in situazioni particolari, questioni da chiarire, messaggi da inviare. Questo sarà sobriamente, il nostro primo compito, per poi procedere a puntualizzare il tema su cui ruota tutta la lettera: peccato, giustificazione, vita nuova. Solo così potremo situare la lettura del testo greco della pericope che più c’interessa nel suo contesto teologico; e già dalla sua struttura letteraria, poetica, il continuo contrapporsi dell’operare e delle conseguenze universali, di Cristo e di Adamo, possiamo entrare nell’insegnamento di Paolo.535

Occasione destinatari della lettera; tema ciclicamente ricorrente: peccato, giustificazione, vita nuova

La lettera ai Romani si può datare verso la fine del terzo viaggio, a Corinto, nell’inverno 57-58; è indirizzata ad una comunità composta di cristiani provenienti sia dal mondo giudaico sia pagano, una comunità che Paolo non conosce personalmente. La lettera è come una auto-presentazione di Paolo e della sua dottrina, nella prospettiva di un incontro personale. Sì da forse la previsione che i giudeizzanti facciano difficoltà alla giustificazione per il solo Cristo; quasi per prevenirli sviluppa in più contesti questo tema.

Si può notare una ripresa ciclica, ripetuta del tema peccato, giustificazione, vita nuova; U. Vanni nota sei riprese: 1,18-3,8; 3,9-5,11; 5,12-6,23; 7,1-8,39; 9,1-11,33; lo stesso schema può essere messo in risalto anche nella sezione pratico-esortativa di 12-16.536

535 Cfr LENGSFELD P., Adam et le Christ, Aubier, Paris 1970, in particolare il cap. V: “La possibilité d’un usage dagmatique de la typologie Adam-Christ”, 115-130: per l’insufficienza della posizione di questo autore, ridurre il PO a qualcosa che <appartiene inevitabilmente> alla realtà umana, non il frutto amaro di un peccato umano, cfr FLICK M. – ALSZEGHY Z., IL Peccato originale, cit 191-196.

536 VANNI U., L’analisi letteraria del contesto di Rm 5,12-21, RB 11 (1963) 115-144.

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Il passo che più c’interessa si trova nel terzo ciclo: il tema del peccato e sua giustificazione, lo vedremo, sono giustapposti in 5, 12-21; il peccato è considerato nella sua radice profonda, la somiglianza ontologica con l’Adamo che pecca, che determina una situazione generale peccaminosa; la giustificazione avviene per l’associazione ontologica a Cristo, la situazione salvifica universale che realizza con l’obbedienza della Croce (v 19); i versetti 6,1-23 spiegano più concretamente la vita nuova, battesimale, che il cristiano deve condurre.

Seguendo in questo Grelot537, entriamo nell’insegnamento paolino di Rm 5,12-21, considerando anzitutto la riflessione di Paolo dei primi tre capitoli.

I capitoli 1-3 insegnano quanto il peccato è universalmente diffuso. Si è diffuso tra i pagani, che pur avendo la possibilità di conoscere Dio con l’esercizio dell’intelligenza sulle opere della creazione, non hanno voluto rendere a Dio l’onore dovuto (1,18-23), e con l’idolatria hanno perso il senso dei fondamentali valori morali.(1,24-32)

Ma anche il giudeo vive sotto l’oppressione del peccato, perché pur conoscendo la legge, non l’osserva: Paolo può a ragione citare il Sal 13(14),2-3: “Tutti hanno smarrito la via, insieme si sono corrotti; non c’è chi compie il bene, non c’è ne neppure uno”(3,12). Si considera qui uno stato generale di peccato, causato dal moltiplicarsi dei peccati personali; si è così socialmente perso il senso dei valori. In terminologia moderna parleremo del peccato del mondo, peccato delle strutture. Non si danno valutazioni sulla coscienza personale di singoli uomini, che può essere retta. (cfr Rm 2,14-16.)538

La giustificazione per tutti sta nella sola fede in Cristo: “Giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo per tutti quelli che credono”(Rm 3,22).

Quasi per indicare la causa facilitante questo stato generale di peccato, nei cap.7-8 si descrivono le contrastanti forze morali dell’uomo, se prescindiamo dalla Grazia: una discesa nella coscienza, nel cuore dell’uomo.

E’ importante considerare i vv. 7,14-25: l’uomo interiore, vale dire la parte più nobile dell’anima, la sua ragione, può conoscere, attraverso la legge e la coscienza, il bene da compiersi, ma si tratta di velleità che non conducono ad una coerente realizzazione, a causa di un male già presente nell’uomo; esso viene indicato come <schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra> (7,23); <il peccato che abita in me> (7,17.20), <corpo di morte> (7,24).

Questo problema morale è senza soluzione se l’uomo non si apre a Cristo, non accoglie la sua Grazia, lo Spirito Santo (7,25-8,17); solo accogliendo Cristo, si diventa spirituali, capaci di osservare la legge (8,4).

In Rm 5,12-21 si ricerca, nel quadro della giustificazione per il solo Cristo, la causa storica della privazione della Grazia, del male per nascita già presente; si parla della giustificazione dell’umanità operata dal solo Cristo, in opposizione e redenzione dello stato generale di peccato e morte causato dal solo Adamo: quasi una discesa nella storia solidale dell’umanità, per indicare la causa storico-comunitaria del peccato

Lettura del testo greco, indicazioni teologiche offerte dalla struttura letteraria, il confronto Cristo-Adamo.

Tutta la pericope è articolata nello schema del confronto. Nel giro d’undici versetti tale confronto è affermato ben sette volte esplicitamente (Ój oÛtwj ésper), ed è implicito in tutti i versetti.

537 Cfr GRELOT P., Péché originel et Redemption à partir de l’épitre aux Romains, Desclée, Paris 1973, 60-80538 Cfr LIGIER L., Péché d’Adam et péché du monde, Bible-Kippur Eucharistie, cit 169-186 tratta del peccato

dei Pagani, in Rm 1,18-24

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Questo parallelismo ci pone nel campo della poesia, mancano parecchi verbi.

Poiché i vv. 12-14, presentano difficoltà storiche di interpretazione (in quo omnes peccaverunt della Volgata), e sviluppano la sola serie adamica, la sua colpa, e conseguenze, è meglio iniziare l’esegesi dai versi seguenti.

Nei vv. 18-19 l’antitesi tra l’opera di Adamo e quella di Cristo, con le relative conseguenze generali, viene espressa con massima chiarezza:

“Come dunque per la caduta di uno solo è riversata su tutti gli uomini la condanna cosi anche per l’opera giusta di uno solo riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà la vita. Infatti, come per la disubbidienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti”.

Il parallelismo tra l’opera di Adamo con le sue conseguenze universali, e l’opera di Cristo, con le sue conseguenze universali, la loro contrapposizione non paritetica, infatti l’efficacia giustificante di Cristo è del tutto superiore (vv 15-17), rappresenta la via giusta per introdurci all’insegnamento paolino.

Poniamo su tre colonne: l’operato personale di Adamo e di Cristo, la situazione universale che ne consegue, la finalità cui conduce se accolta responsabilmente:

Operato personale Situazione generale Stato definitivoAdamo: trasgressione (15.18)

Costituiti Morte

Peccato (16) peccatori (19) Eternail peccato condanna

disobbedienza (19) abbonda regna (20-s) (15.17-21)Cristo: benevolenza (15.16)

Costituiti giusti(19) vita eterna

fatto di giustizia (18.19)obbedienza (19) Dono di grazia (15.16) giustificazione

(17.18)giustizia (17.21)

Tenendo presente questa concatenazione di situazioni, siamo aiutati a comprendere il v.12:

“Quindi come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato…”.

Anche in questo versetto si propone la struttura della serie Adamica sopra riportata: per mezzo del solo Adamo, del suo peccato personale, il peccato (in greco ή ¡mart…a, il peccato come potenza, malattia, stato generale di corruzione peccaminosa), ha fato il suo ingresso nel mondo, e per mezzo del peccato ha fatto ingresso anche la morte539; qui, oltre la morte fisica, ora sperimentata come rottura, sprofondare nel nulla, viene intesa la morte teologica, la separazione da Dio fonte unica di pienezza di vita, vita eterna, provocata dal peccato. La morte fisica, sperimentata ora come rottura, è in sé un segno che, per il peccato dell’uomo sin dalle origini, lo Spirito vivificante non è più per nascita, quasi naturalmente, unito alla carne divenuta mortale. La morte così intesa non solo entra, ma dilaga su tutti gli uomini. Perché questo dilagare della morte, della separazione da Dio?: “per il fatto che tutti peccarono”.

539 LIGIER L., Péché d’Adam et péché du monde, Bible-Kippur Eucharistie, cit 311, nota come il IV Libro di Esdra, nel cercare la causa della distruzione di Gerusalemme, risale sino alla memoria di Adamo:  « La lettera ai Rm al contrario, vede tutto davanti alla Croce di Cristo. E ‘ davanti a essa, in relazione al perdono dei peccati e alla risurrezione, che si realizza un’inversione totale di posizioni: il problema del peccato prevale su quello della morte »

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Qui Paolo segue a ritroso il suo schema della serie adamica. In esso la morte è conseguenza del peccato; ora un così universale dilagare della morte, della separazione da Dio, è dovuta al fatto che tutti hanno peccato (si può intravedere qualcosa della cupa descrizione di Rm l-3); hanno peccato di peccati personali, accondiscendendo alla malattia del peccato, la situazione peccaminosa già presente in ciascuno per il peccato di Adamo.

Abbiamo riportato la traduzione italiana ufficiale (1974), ripresa dalla traduzione ufficiale del 2008, con una interpretazione esegetica, del P. Vanni.

La traduzione della Volgata pone, in vece del causale <per il fatto che tutti peccarono>, del v. 12: in quo omnes peccaverunt; nella tradizione teologica latina in quo era comunemente riferito ad Adamo, <nel quale tutti hanno peccato>. Questa lettura, che in Adamo tutti hanno peccato, è anteriore ad Agostino, già presente in Ireneo di Lione, che si riferiva ad un altro testo paolino, cioè 1 Cor 15,22: “Come infatti in Adamo tutti muoiono (morte teologica), così in Cristo tutti riceveranno la vita (vita eterna).”

Nella tradizione patristica greca troviamo comune l’interpretazione causale di ™f’û (™pˆ); ora, come abbiamo visto, è accolta anche nella traduzione ufficiale italiana: la morte teologica, introdotta dal peccato personale di Adamo, si è diffusa ulteriormente, (pensiamo alla cupa descrizione di Rm 1,24-32), per il fatto che tutti hanno peccato, di peccati personali.

Notiamo ancora che il quo può grammaticalmente riferirsi ad Adamo, e Cerfaux, ai nostri giorni ancora traduce: “La morte passò dilagando su tutti gli uomini, a causa del quale (Adamo) tutti hanno peccato”.

Sembra da preferire la traduzione-interpretazione che troviamo nella tradizione greca: “La morte passò dilagando su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato”. Come abbiamo già osservato, qui Paolo segue a ritroso lo schema della serie adamica sopra individuato: la morte è conseguenza del peccato; il dilagare della morte teologica è causato dai peccati personali (il verbo ¡mart£nw qui usato indica infatti peccati personali), ma i singoli peccano con più facilità poiché, per il peccato personale di Adamo, la malattia del peccato ( ή ¡mart…a, il peccato personificato), una situazione peccaminosa generale si è introdotta nell’umanità.

Anche i versetti 13-14 abbisognano di qualche spiegazione: qui si tratta della situazione religiosa dell’umanità prima di Mosè, sin ad Adamo. In questo periodo della storia della salvezza, non si dava la legge di Mosè promulgata sul Sinai, quindi non si peccava di peccato “legale”, contro una legge promulgata. Eppure la morte (teologica) regnò ugualmente anche da Adamo a Mosè, a causa della malattia del peccato introdotta dal peccato personale di Adamo.

Possiamo dare una traduzione, teologica, di questi vv 13-14: “Infatti fino alla legge il peccato si trovava nel mondo, mentre invece il peccato (legale), non essendoci legge, non viene imputato(in senso legale). Ma estese la morte il suo dominio da Adamo a Mosè anche su quelli che non peccarono legalmente, e ciò fu a causa di quella affinità ontologica (™pˆ tù Ðmoièmati) con la trasgressione di Adamo, il quale è tipo dell’Adamo futuro.”

Abbiamo qui l’unico accenno a Cristo, al suo rapporto con Adamo; già si afferma la supremazia di Cristo e della sua opera rispetto ad Adamo, come sarà sviluppata nel parallelismo dei versetti seguenti.

La traduzione CEI di ™pˆ tù Ðmoièmati è diversa, in quanto lo interpreta, nel v. l4:

“La morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura du colui che doveva venire”. Non avevano peccato come Adamo, che aveva ricevuto un comando esplicito, di non mangiare dell’albero: infatti in questo tempo non si dava legge promulgata, se non nelle coscienze. Ma la morte regnò ugualmente anche in questo periodo, sempre come conseguenza della malattia del

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peccato, della peccaminosità generale introdotta dal peccato personale di Adamo, come detto nel v.l2.540

2.3.b Il pensiero e l’insegnamento di Paolo:

Riteniamo legittimo distinguere pensiero da insegnamento, poiché non tutto ciò che è pensato viene affermato allo stesso modo; per es: quando dico “mi sono alzato al levare del sole”, mi impegno nell’affermare come corrispondente alla verità che ho iniziato la mia attività quotidiana agli stessi inizi della giornata; ma con questo non intendo fare affermazioni sulla struttura astronomica dell’universo, sul sistema solare, della rotazione della terra.

Si distingue quindi opportunamente tra funzione constatativa e funzione operativa del linguaggio; la funzione constatativa afferma che uno stato di cose corrisponde alla realtà oggettiva, attribuendo una proprietà ad un oggetto; la funzione operativa intende provocare un effetto in chi ascolta, creare una nuova situazione giuridica, cambiare lo stato dell’interlocutore. Probabilmente ogni locuzione ha tutte e due queste funzioni, tuttavia in ogni locuzione si osserva la prevalenza di una delle due, il che dà al discorso la sua proprietà caratteristica.

Nel nostro caso concreto, è opportuno determinare l’intenzione didattica di Paolo: essa si ricava da quanto abbiamo detto circa l’occasione e i destinatari della lettera, il suo tema centrale, peccato, giustificazione per la fede e per il battesimo, opere buone del cristiano.

Notare anche il versetto, 5,11, che precede l’inizio della pericope: “Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale abbiamo ricevuto la riconciliazione”.Qui Paolo vuole invitare specialmente i giudeizzanti a glorificare Dio che ci giusti-fica per il solo Gesù Cristo; infatti i giudeizzanti incontravano molta difficoltà nell’accettare che un altro ci rende giusti, e non la molteplicità delle nostre opere

Paolo si direbbe ragionare così: anche voi, giudei, dite con la teologia rabbinica che il peccato del solo Adamo ha danneggiato tutta l’umanità; potete così essere predisposti ad accogliere che il solo Cristo, con l’obbedienza della Croce, ci fa tutti salvi.

Si direbbe quindi trattarsi di una locuzione di tipo piuttosto operativo, diretta all’affermazione centrale che il solo Cristo ci salva. Dobbiamo però fare più osservazioni integranti. Qui non si tratta soltanto di un <come>, che prescinde dalla realtà oggettiva dell’esempio impiegato. Dire, per es, “il tuo maglione è rosso come capuccetto rosso”, non impegna certo l’affermazione dell’esistenza storica di un personaggio da favola.

Nel caso di Adamo non si tratta solo di un <come> ma anzitutto di un <che>, una realtà peccaminosa disastrata da cui Cristo ci salva. Questa realtà e la sua causa, sono affermate insieme, anche se subordinate all’efficacia universale dell’opera di giustizia del solo Cristo; essa risulta essere di tale portata, unica, appunto perché ci risana dalla malattia, corruzione del peccato così profondamente ed universalmente diffuse, da indurre ad intensa glorificazione di Dio.

Il discorso di Paolo, è vero, risulta tutto orientato all’affermazione fondamentale che il solo Cristo ci salva; ma appunto per affermare tutta l’efficacia e l’estensione-profondità dell’opera del solo Cristo, la giustificazione, grazia, vita che offre all’uomo, viene così co-affermata la situazione disastrosa di peccato, morte, condanna in cui si trovano tutti gli uomini sin dagli inizi adamici.

Per cogliere l’insegnamento di Paolo sulla peccaminosità originale.dobbiamo riflettere sul forte significato del verbo katest£qhsan\[katistemi] (katistemi), che compare nel v. 19,

540 Per un confronto tra l’interpretazione greca, latina, e quella offerta da LYONNET St., Le sens de eph’ò en Rm 5,12 e l’exégese des Pères grecs, in Biblica 36 (1955), 436-457; Id., Le péché originel et l’exégèse de Rm 5,12-14, in R S R 44 (1966), 63-84; Id., art.”Péché”, in DBS, t. 7, col. 524-565. JACOB R., la veritable solidaritè humaine selon Rm 5,12-21, in GUILLUY P., La culpabilité fondamentale, cit, 28-30: di questo Autore piace l’interpretazione data al P.O. originante di Adamo il suo influsso universale, ivi, 33-34: ”L’umanité était faite pour Dieu. Le premier éclatement a produit la désintégration de l’ensemble.. Dès lors les éclatements successifs n’ount aucune mesure avec le premier…”

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predicato sia del solo Cristo, sia del solo Adamo. Cristo costituirà, cioè inizia già veramente a costituirci giusti, con un crescendo che porterà alla pienezza escatologica, ma lo stesso verbo è usato anche per indicare come per il solo Adamo siamo stati costituiti peccatori.

KATISTEMI nel linguaggio del nuovo testamento significa condurre qualcuno in un qualche luogo (At 17,15), mettere in una determinata situazione, come la lingua malvagia, inserita nelle nostre membra, contamina tutto il corpo (Gc 3,6), introdurre in un ufficio, come il servo fedele, posto a capo della casa (Mt 24,45), porre in un grado gerarchico, come i sette diaconi per il servizio delle vedove (At 6,3), stabilire Presbiteri nelle città (Tt l,5; cfr Eb 5,1), costituirsi in uno stato morale in seguito ai propri atti (Gc 4,4).

S. Paolo afferma che tutti sono stati costituiti in situazione peccaminosa per colpa di Adamo; non si tratta quindi di una dichiarazione forense, e neppure di un vago influsso dovuto al cattivo esempio541.

Solo così può essere affermato che l’influsso di Cristo è universale, non è relativo alla legge mosaica, ad una nazione, ma raggiunge tutta l’umanità anche prima di Mosè: è salvezza dell’uomo in quanto uomo solidale, nelle sue dimensioni personali, religioso morali più profonde e decisive.

Intorno a Cristo e a causa di Cristo si stabilisce una nuova solidarietà di grazia, di vita, giustizia necessaria per la salvezza: “Quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo”(v.17). Chi invece non accoglie il dono di grazia offerto da Cristo, rimane nella solidarietà adamica, di peccato, morte e condanna.(v.21).

In tale modo Paolo non solo cita l’insegnamento rabbinico, che cioè Adamo aveva danneggiato l’intera umanità, ma inoltre questo danno viene precisato in senso peccaminoso: malattia del peccato, corruzione, morte teologica.

Paolo intende affermare che l’universalità del peccato, di cui ha trattato nei cap 1-3: “Manifesta una profonda corruzione del cuore umano, dipendente dalla disubbidienza di Adamo, così che ogni uomo, che non è rinato in Cristo, inevitabilmente precipita verso peccato, morte e condanna” 542.

Il testo di Paolo rappresenta un progresso rispetto all’antico Testamento, in ordine all’elaborazione della rivelazione del peccato originale, ma non elabora completamente questo dogma. Il dogma ha infatti come suo fondamento tutto il dato rivelato, che ci parla del regno del peccato, la situazione peccaminosa disastrosa, da cui il solo Cristo mi può strappare, e tiene presente l’analogia della fede, perché nessuna verità della fede è separata dalle altre, e deve considerarsi in rapporto alle altre; e tra le verità della fede sì da un ordine gerarchico, non perché alcune siano più vere delle altre, ma perché alcune sono più centrali, “essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana”(UR n 11), fondamento che è lo stesso N. S. Gesù Cristo, nel suo Mistero pasquale.

Il recente documento della Pontificia Commissione Biblica, l’Interpretazione della Bibbia nella Chiesa, ci offre orientamenti utili per renderci conto come la dottrina del Peccato originale, <senso pieno> di Rm 5, 12-21, ha potuto costituirsi ed essere definita dal Magistero di Trento.

“Si definisce il senso pieno come un senso più profondo del testo, voluto da Dio, ma non chiaramente espresso dall’autore umano. Se ne scopre l’esistenza in un testo biblico quando viene studiato alla luce di altri testi biblici che lo utilizzano o nel suo rapporto con lo sviluppo interno della rivelazione.

Si tratta allora o del significato che un autore biblico attribuisce a un testo biblico a lui anteriore, quando lo riprende in un contesto che gli conferisce un senso letterale nuovo, o del

541 Cfr FLICK M.- ALSZEGHY Z, Il peccato originale, op.cit., 52542 FLICK M. - ALSZEGHY Z., Fondamenti di una antropologia teologica, ed. Fiorentina, 1970, 194,n. 417

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significato che una tradizione dottrinale autentica o una definizione conciliare dà ad un testo della Bibbia.[…..] La definizione del Peccato originale da parte del Concilio di Trento fornisce il senso pieno dell’insegnamento di Paolo in Rm 5,12 21 circa le conseguenze del Peccato di Adamo per l’umanità. [….]

In definitiva si potrebbe considerare il <senso pieno> come un altro modo di designare il senso spirituale di un testo biblico, nel caso in cui il senso spirituale si distingua dal senso letterale. Suo fondamento è il fatto che lo Spirito Santo, autore principale della Scrittura può guidare l’autore umano nella scelta delle sue espressioni in modo tale che queste esprimano una verità di cui egli non recepisce tutta la profondità. Questa viene rivelata in modo più completo nel corso del tempo, grazie, da una parte, a ulteriori realizzazioni divine che manifestano meglio la portata dei testi, e grazie anche, d’altra parte, all’inserimento dei testi nel canone delle Scritture.

In questo modo viene creato un nuovo contesto, che fa apparire delle potenzialità di significato che il contesto primitivo lasciava nell’ombra.” 543

Siamo così incoraggiati da questo recente ed autorevole documento ad esaminare l’intelligenza del senso pieno di Rm 5,12 21, acquisita dalla Chiesa nella predicazione, riflessione dei Padri della Chiesa, nei suoi Dottori, sino alle definizioni del Concilio di Trento; giova ricordare che, sempre nel documento riportato, il senso pieno è un altro modo di designare il senso spirituale. Così si esprime lo stesso documento:

“Come regola generale possiamo definire il senso spirituale, compreso secondo la fede cristiana, il senso espresso dai testi biblici quando vengono letti sotto l’influsso dello Spirito Santo, nel contesto del Mistero pasquale di Cristo e della vita nuova che ne risulta. Questo contesto esiste effettivamente.”

Il dogma del peccato originale ci dice esattamente come si trovano gli uomini, tutti, davanti a Cristo, la sua Croce gloriosa, come siamo tutti bisognosi di una grazia di conversione, redenzione. La mediazione della grazia del solo Cristo, la grazia redentrice della sua Croce gloriosa, viene offerta agli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, storicamente ed efficacemente attraverso il “sacramento della Chiesa”.

La mediazione negativa di Adamo si estende, come privazione di grazia, di “shalom”, di comunione con Dio, stato di corruzione peccaminosa, su tutti gli uomini che nascono nell’unica famiglia umana, fin dagli inizi privata della comunione con Dio ed i suoi doni.

La mediazione di Cristo è del tutto più efficace, ma deve essere responsabilmente accolta, nel segno della vittoria di Cristo sulla disastrosa situazione originaria umana, nella partecipazione alla sua Croce gloriosa.

3 La riflessione patristica sulla nativa peccaminosa situazione dell’uomo davanti a Cristo redentore

Ricerchiamo quindi le grandi linee dello svelamento del senso pieno di Rm 5,12-21, nell’unità del Corpo scritturistico, nella tradizione viva della Chiesa, percorrendo il cammino dei Testimoni della Lex credendi, nel contesto della Lex orandi et celebrandi, della Lex vivendi, il vissuto cristiano.

Scegliamo quei Padri che danno rilievo particolare alle relazioni Cristo-uomo, Cristo-Adamo, ricordando che questo è il contenuto proprio della Lex orandi-celebrandi eucaristica e battesimale; anzi vedremo come la riflessione teologica sul Battesimo dei Bambini ci immette direttamente, nello stato più <puro>, alla situazione nativa peccaminosa davanti a Cristo redentore: il bimbo è innocente da peccati personali.

543 PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, op.cit., II Questioni di ermeneutica, 3. Senso pieno, 76s.

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Si tratta di completare il percorso storico che abbiamo già effettuato nel Tema più comprensivo della visione rivelata dell’uomo in quanto creato, secondo l’Immagine e Somiglianza di Dio, per Cristo nello Spirito Santo; in modo particolare ci sarà indispensabile tenere presenti le vicende teologiche della categoria biblica dell’uomo creato secondo l’Immagine di Dio, nella reazione anti-gnostica dei Giudeo-cristiani, delle scuole di Antiochia, di Alessandria, con accenni ai Cappadoci, Asiani di Edessa e Nisibi. Notare come le debolezze teologiche riscontrate, risultano superabili se non incidono sulla comprensione e prassi rituale di Battesimo ed Eucaristia.

3.1 L’Omelia pasquale di Melitone di Sardi: circa meta del II sec.Un luminare della Chiesa dell’Asia minore, di tradizione liturgica <quartodecimana>, che

celebra la Pasqua del Signore il quattordici di Nisan, in quasi coincidenza con al ritualità giudaica. Prende spunto dal brano classico dell’Esodo, Es. 12, l’immolazione dell’Agnello, che ha procurato la salvezza del popolo ebraico; pone questo evento <antico> in immediata dipendenza dall’evento <nuovo>, la Pasqua del Signore, che assume un posto di assoluta centralità nella storia salvifica dell’uomo di ogni tempo e luogo.

Esaltando la Pasqua di Cristo, descrive lo stato dell’uomo non redento, nel quadro generale della storia salvifica: è la più antica, conosciuta, descrizione patristica di quella situazione che più tardi, nel V sec, Agostino chiamerà Peccato originale.544

Cristo si unisce nella sua Pasqua all’uomo sofferente, per liberarlo dai suoi mali, innalzarlo sino alle altezze del cielo, mostrargli il Padre (n 103). Ma qual’è la causa storica delle sofferenze, dei mali dell’uomo, che il Signore nella sua Pasqua prende su di sé, per liberarne l’uomo ? Ascoltiamolo dalla voce stessa del Vescovo, che nella notte della Pasqua, celebrando il Memoriale del Signore, esorta i suoi ad accoglierne in pienezza i frutti:

n. 47: “Apprendete dunque colui che soffre e chi è colui che compatisce il sofferente e perché il Signore si fa presente sulla terra, affinché, avendo accolto in sé colui che soffre, lo alzi alle altezze del cielo. Dio che aveva creato all’inizio il cielo e la terra e tutto ciò che è in loro attraverso il Verbo, plasmò l’uomo dalla terra e diede a quella forma il soffio vitale, collocò poi questo nel Paradiso, verso oriente, nell’Eden, perché la vivesse felice. Gli diede queste prescrizioni con un ordine: “Mangiate per vostro nutrimento frutti da ogni albero che si trova nel Paradiso, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non mangiate, perché il giorno in cui ne mangerete, morirete”

n. 48: “Ma poiché l’uomo per natura è disposto a comprendere il bene ed il male, come in una zolla di terra in cui sono penetrati due tipi di semi, accolse il consigliere nemico ed avido, e, toccato l’albero, trasgredì all’ordine e disubbidì Dio. Egli dunque fu scagliato in questo mondo come in una prigione di condannati”.

n. 49 “Quando poi divenne assai vecchio e con molta prole sulla terra, dove si trovava per avere gustato il frutto dell’albero, lasciò una eredità ai suoi figli. In effetti, lasciò ai suoi figli come eredità: non la castità ma l’impudicizia, non l’incorruttibilità ma la corruttibilità, non l’onore ma il disonore, non la libertà ma la schiavitù, non il regno ma la tirannide, non la vita ma la morte, non la salvezza. ma la perdizione.”

544 MELITON de Sardes, Sur la Paque et fragments, Introduction, Texte critique, traduction et notes par Perler O., (=SC 123), Cerf, Paris 1966; La Pasqua, a cura di Vignolo R. e Giardini Morra M.L., (= In Spirito e Verità, 23) ed. Esperienze, Fossano 1972; DANIĖLOU J., Meliton de Sardes, Homelie sur la Paque, in la Vie spirituel marzo 1948, 262-271; NAUTIN P., L’Homelie de Meliton sur la Passion, in RHE, XLIV (1949), 429-438; VIGNOLO R., Storia della salvezza nel Peri pascha di Melitone di Sardi in La Scuola Cattolica XCIX (1971), 3-26. GRILLMEIER A., Das Erbe der Sohne Adams in der “Homelia de passione” Melitos: Ein neues Beispiel griechischer Erbsundlehre aus fruhchristlicher Zeit, Scholastik 20-24 (1949) 481-502; CANTALAMESSA R., Meliton de Sardes. Une cristologie antignostique du II° siècle, in R S R, XXXVII (1963), 1-26: espone la completa cristologia di Melitone, già nell’orientamento di Nicea e Calcedonia; ci conferma nell’idea che la dottrina del PO richiede il contesto di una vera Cristologia.

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n.50: “ Inaudita e terribile divenne la perdizione degli uomini sulla terra ”. Melitone continua descrivendo l’universalità del peccato e della morte. 545

n.56 “L’uomo era trascinato prigioniero dall’ombra della morte, e l’immagine del Padre giaceva abbandonata. Per questo motivo dunque il mistero della Pasqua è stato compiuto nel corpo del Signore”.

Il Mistero della Pasqua era già operante nelle figure del dell’Antico Testamento.

n.59 “Se dunque vuoi vedere il mistero del Signore, guarda: ad Abele similmente ucciso, ad Isacco similmente incatenato, a Giuseppe similmente venduto, a Mosè similmente esposto, a Davide similmente perseguitato, ai Profeti similmente sofferenti a causa di Cristo.”

In Cristo abbiamo la piena realizzazione delle prefigurazioni:n.68: “Questi è colui che ricoprì la morte di vergogna, e che gettò il diavolo nel lutto, come

fece Mosè col Faraone.Questi è colui che abbatté l’iniquità e che impedì all’ingiustizia di proliferare, come fece Mosè con l’Egitto. Questi è colui che ci riscattò dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannide al regno eterno, che ci fece nuovi sacerdoti, popolo eletto ed eterno”

Nn.82-100 manifestano la gravità del rifiuto di Israele, descrivono la Signoria universale di Cristo, nel cosmo e nella storia.

L’omelia termina con l’Apoteosi finale di Cristo, preceduta da una invocazione alle genti di rivolgersi nella fede a Cristo per ottenere Salvezza:

n. 103: “Venite dunque, voi, o famiglie degli uomini, che siete legate al peccato, e ricevete la remissione dei peccati. Io sono la vostra remissione, Io sono la Pasqua della salvezza, Io sono l’Agnello sacrificato per voi, Io sono il vostro riscatto, Io sono la vostra vita, Io la vostra risurrezione, Io la vostra luce, Io la vostra salvezza, Io il vostro Re, Io vi conduco verso le altezza dei cieli, Io vi mostrerò il Padre per l’eternità, Io vi risusciterò per mezzo della mia destra.”

L’insegnamento di Melitone si può così riassumere: Cristo nella sua Pasqua ci eleva sino al Padre, liberandoci da una situazione catastrofica, una corruzione eredità adamica, antecedente e sorgente dei peccati personali. Tale corruzione ereditata da Adamo è considerata come una forza dinamica, che spinge al peccato e che solo la Pasqua di Cristo ha vinto. All’inizio la situazione dell’uomo creato in Cristo, secondo la sua Immagine, era totalmente diversa.546

Pur senza mai citarlo, il pensiero di Melitone è uno sviluppo di quello di Paolo in Rm 5,12-21; nel Vescovo quartodecimano è la Veglia pasquale, cuore celebrativo della storia salvifica, a indurlo a descrivere la situazione peccaminosa, la forza dinamica scatenata dal peccato di Adamo, che colpisce tutti gli uomini, li trascina verso peccati personali, se non si accetta la vittoria del Crocifisso risorto.

3.2 Ireneo di LioneIreneo di Lione, che proviene dalla stessa area geografica, emigrato nella valle del Rodano,

Vescovo di Lione, ci offre, in un diverso genere letterario, non liturgico ma teologia sistematica, biblica, una simile visione di come sta l’uomo, segnato dal peccato degli inizi, davanti a Cristo, creatore, ricapitolatore e redentore.

Già conosciamo la struttura fortemente cristocentrica dell’Adversus haereses: tutte le tappe della storia salvifica, le sue economie sono realizzate in Cristo, per essere poi in Lui , Verbo

545 Anche Ireneo,Esposizione della predicazione apostolica, 18 narra come dopo il peccato di Adamo “E la malvagità, diffusasi e propagatasi enormemente, pervase ed occupò tutta quanta l’umanità, finchè vi fu in essa soltanto scarsissima semenza di giustizia”; cfr Adv. Haer. V,24,2

546 Cfr FLICK M.-ALSZEGHY Z., Il Peccato originale, cit., 79-82.

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incarnato, la sua Pasqua, ricapitolate; un contesto fedele al tessuto biblico, una visione corretta dell’uomo creato secondo l’Immagine di Dio, il Verbo <incarnando> e Incarnato, un substrato del tutto favorevole a cogliere l’insegnamento di Rm 5,12-21, a fare crescere la tradizione viva della Chiesa verso la comprensione del suo senso pieno.

In Paolo è fortemente inculcata l’unità dell’umanità tutta in Cristo (cfr Col 1,15-20; Rm 8,29; Ef prologo; 1 Cor 15,21-22. 45-49), e in dipendenza a Lui, il secondo e vero Adamo, anche nel primo (Rm 5,12-21). Ireneo, mostrando le due Mani del Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che plasmano Adamo secondo l’Immagine e la Somiglianza del Verbo incarnando, esprime le stesse realtà.

Col peccato di Genesi 3, Adamo ha perso la <Somiglianza>, non l’Immagine, più stabile in relazione all’argilla plasmata sul modello dell’umanità di Cristo547; Cristo che agisce in tutte l’economie per il progressivo recupero dell’uomo, nella sua Incarnazione–Pasqua riconferma l’immagine e ridona la somiglianza. Un’operazione che scende sino al primo padre Adamo, la pecorella perduta da ritrovare 548; un’operazione espressa chiaramente anche nell’operare, sottomesso a Cristo, della Vergine Maria nello sciogliere progressivamente i nodi causati dalla disobbedienza di Eva. Cristo agisce in tutte le economie ricapitolandole in se, Maria scioglie i nodi, con una <recirculatio>, che dai più vicini raggiunge gli ultimi.549

Ireneo esprime con forza il dinamismo della vita cristiana, perseverare nella carità e nell’obbedienza, lasciarsi fare da Dio, che progressivamente ricopre d’oro il limo che ancora è in noi550; tutta la storia salvifica è come una sinfonia in crescita, la buona musica della conoscenza di Dio, secondo le varie tappe dell’Economia, creazione, esodo, profeti.551 Anzi per Ireneo Adamo nel Paradiso, senza le conseguenze gravi del Peccato, era come un adolescente in crescita alla scuola del Verbo; anche per questo il peccato dell’Eden è più scusabile.

Questa visione di crescita, per l’obbedienza, l’ascolto, accettare l’opera progressiva di Dio, è posta in risalto da Ireneo per meglio correggere l’errore gnostico, un dualismo intellettualistico che esclude l’impegno morale, il dinamismo di sviluppo spirituale. La prospettiva dinamica di Ireneo è condivisa da altri Padri552: rispetto di una libertà umana, che sempre prevenuta e qualificata dalla grazia a misura di Dio, è considerata responsabile, capace di accogliere e corrispondere ai doni di comunione, ora diremo <soprannaturale>.

Non sarebbe per questo corrispondente al pensiero di Ireneo trasformare queste scusanti del peccato delle origini in una svalutazione della gravità di un peccato che ha condizionato tutte le <economie>, sempre nella considerazione della riconciliazione donata dal solo Cristo. La maggior responsabilità del peccato delle origini è addossata al Serpente-diavolo; anche per questo i progenitori hanno delle scusanti.553

Cristo ricapitola in sé non solo tutte le <economie> della storia salvifica, ma anche tutte le età dell’uomo: si è fatto bambino per santificare i bambini, fanciullo per santificare e dare <esempio di pietà, giustizia e di sottomissione ai fanciulli>, giovane <per divenire esempio per i giovani e consacrarli al Signore>; si è fatto adulto tra gli adulti, per ammaestrarli nella verità, dare loro esempio e santificarli.554

547 cfr Adv. Haer. V, 16, 1-2548 cfr Adv. Haer. III, 23,1-2549 cfr Adv. Haer. V,22,3-4550 cfr Adv. Haer IV, 39,2-3551 cfr Adv. Haer. IV, 20,7552 Anche presso altri Padri troviamo prospettive simili: Adamo secondo il Giudei cristiani fu creato

bambino:Teofilo, ad Autolicum 2,25; lo stesso dicono gli Alessandrini: Clemente, Protreptico 11, così pure la Scuola di Nisibi. Cfr TESTA E., Il peccato di Adamo nella Patristica, Gerusalemme 1970, 127

553 Adv. Haer. V,23,1554 Adv. Haer. II,22,4

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Da notarsi che anche gli infanti sono bisognosi di santificazione; in altro testo Ireneo parla di una <riplasmazione> dell’uomo per la Mano di colui che ci ha plasmato nel seno materno, sembra invitarci a porre il problema della necessità del Battesimo anche per gli infanti.555

Bastano queste considerazioni per cogliere in Ireneo un vero maestro di una corretta teologia della posizione dell’uomo, tutti e sempre, davanti a Cristo riconciliatore e ricapitolatore universale; il merito di essersi tenuto alle categorie di un cristocentrismo biblico. Lo stato originario del Paradiso è indicato diverso dal nostro: assenza della cattiva concupiscenza, familiarità con Dio, prospettiva di immortalità, uomo qualificato non solo dall’Immagine del Verbo di Dio, tanto costitutiva che non viene persa, ma anche dalla sua Somiglianza nello Spirito Santo.

Le categorie con cui viene descritto la stato paradisiaco sono bibliche, come già, secondo il P. Ligier, anche quelle di Gn 2-3 sono tutte rintracciabili negli altri Libri della Scrittura.

Non solo per Ireneo e i Giudeo-cristiani, ma anche per tutti i Padri (con l’eccezione di alcuni Antiocheni e di Nisibi, la tendenza nestoriana cui si assoceranno i Pelagiani), il mistero del male originario supera quello della storia umana, frutto delle decisioni peccaminose dei singoli uomini, e si situa ad un livello più profondo dell’esperienza del peccato personale attuale, lo precede e lo facilita. E’ conseguenza di una alienazione della creatura spirituale, avvenuta agli inizi della Storia salvifica, nei riguardi di Dio, del suo progetto di Vita per l’uomo, tutto a misura di Cristo.

Vedremo ora come in alcuni Padri della scuola alessandrina, che scelgono la via della Teologia del Logos per l’intelligenza e l’esposizione della Dottrina della fede, si danno inquinamenti filosofici, di provenienza platonica che oscurano il dato rivelato; Alessandria è pure la patria di Filone.

3.3 Il peccato originale nella Scuola AlessandrinaPer meglio valutare l’insegnamento dei Padri, ricordiamo che prima di Agostino non si dà

riflessione sistematica, esplicita sullo stato di Peccato, originato, causato dal peccato adamico originante. Ma il Peccato di Adamo con le sue conseguenze, è talmente vivo nella coscienza dell’Oriente cristiano, che lo troviamo menzionato ove si celebra il Memoriale che rende presente la Croce-Risurrezione, col dono dello Spirito Santo, cioè nelle Anafore dette apostoliche e quelle dei grandi Padri, e questo sia a Gerusalemme, che Alessandria, Antiochia, Cappadocia, anche nelle Chiese nestoriane556

I Padri orientali, nella loro dottrina, lavorano al margine di tale questione, che ha invece segnato la teologia ed il pensiero cristiano occidentale; anche S. Leone Magno, il cui pontificato (440-461) è posteriore alla vita di Agostino (+ 430), non sembra percepire i frutti dell’impegno del Vescovo di Ippona in questo campo.

Anche i Commenti a Genesi 2-3 iniziano dal III sec., Origene è il primo (+253/4). Già Filone e ed il Giudaismo ellenizzante si erano esercitati in questo campo. I Padri sentono l’esigenza di produrre questi commenti, sia con finalità apologetica, rendere comprensibile la Creazione alla cultura greca, molto attenta alla Natura e i suoi principi, sia anche con finalità polemica, difendere la bontà dell’opera creatrice di Dio contro manichei e gnostici, indicare la causa del male acutamente sofferto nella libertà della creatura spirituale.

Il parallelismo antitetico di Rm 5,12-21 tra l’opera di Cristo e quella di Adamo costituisce anche per la Chiesa di Alessandria il quadro teologico per il peccato originale. Così si esprime il Testa E.:

“Clemente vede , nell’Incarnazione e nella Croce, gli unici mezzi con cui il peccato di Adamo possa essere redento (Protreptico 11). Lo stesso Atanasio , nella Incarnazione del Verbo, Immagine increata del Padre, vede l’unico modo con cui l’immagine creata di Dio in noi, ma

555 Adv. Haer. 5,15,3556 Cfr LIGIER L., Péché d’Adam, péché du monde, cit., 298-301; 363-368.

255

rovinata dal Peccato di Adamo, possa di nuovo rinnovarsi.(De Incarnatione 14). Sarà poi Cirillo che[….] appellandosi alla dottrina paolina, prima afferma il principio che < Noi siamo instaurati in Cristo nel pristino stato, dopo avere abolito quello che ci era accaduto, a causa della fraude demoniaca>. Quindi riporta lo schema antitetico dei due Adamo: <Dopo che l’inventore del peccato e della malizia ingannò Adamo, in inizio, la pena pervase tutti gli uomini, come un vizio che si propagava dalla radice ai rami. Ma dopo, il Creatore provvide alle sue creature, e preparò quasi una seconda radice del nostro genere, la quale ci riportasse alla pristina incorruzione…. Il primo uomo Adamo fu infatti fatto come anima vivente, l’ultimo Adamo come spirito vivificante…. Infatti quello fu principio, per il genere umano di morte, di maledizione, di condanna; questo invece tutto l’opposto , di vita, di benedizione e di giustificazione. Quello prese, come una sola carne, la moglie e a causa sua perì; Cristo invece, riunendo a sé, nello spirito, la Chiesa, salva e libera e ci fa superiori alle frodi diaboliche (in Gn. 1)” 557

Anche negli Alessandrini troviamo il dinamismo di crescita, alla scuola del Verbo di Dio, per Adamo creato ancora fanciullo, fisicamente e spiritualmente, ma dotato di capacita di sviluppo per avere ricevuto la partecipazione dell’Immagine di Dio, la mente, la nous:

“Con tale immagine può conoscere, giudicare, meritare, compiere opere giuste, opere buone, e può meritare la longanimità, la santità, e la misericordia di Dio” 558

Ma l’uomo, pur capace di contemplazione del Verbo, attratto dalle cose sensibili, si ribellò, abbandonando la contemplazione delle cose divine; perdette la grazia dell’Immagine divina, ritornò alla condizione umana, con frutti di morte, corruzione, idolatria. Adamo ed Eva trasmisero questo stato ormai privo di grazia e di doni, di peccato e di miseria, a tutta la discendenza.

Nel descrivere lo stato dell’uomo nel Paradiso, prima della caduto, alcuni Padri di formazione ellenistica, si rivolgono a modelli di ispirazione platonica; il più <contaminato> risulta Origene, con tutte le attenuanti di essere un pioniere dell’utilizzo del Logos greco per l’intelligenza della Fede. La speculazione origeniana sullo stato del tutto ideale dell’umanità pre-lapsaria segue modelli non biblici, e neppure cristiani.

Presenta antecedenti nel Talmud ebraico, specialmente nell’opera di Filone d’Alessandria, nella sua esegesi del doppio racconto della creazione. Quello ideale, di Gn 1, un uomo spirituale; quello già conseguente il peccato dell’uomo, anime appesantite dal corpo, di Gn 2. Il peccato di origine si trasforma in un peccato di spiriti, al di la della storia umana.

Gregorio di Nissa respinge le esagerazioni origeniane di una preesistenza degli <spiriti umani> a questo nostro mondo; ma non corregge quella che abbiamo visto come tendenza comune della teologia greca, di considerare l’uomo come Immagine del Logos per la sua sola <nous>, mente, con inclinazione al disprezzo del corpo, della sessualità come espressioni del peccato.

Questa concezione del tutto ideale dell’Adamo pre-lapsario, anche se molto più moderata di quanto dice Gregorio di Nissa, diviene generale nei teologi del IV e V sec.; prevale sulla primitiva prospettiva più biblica, di storia salvifica, nell’indicare la situazione paradisiaca, certo diversa dalla nostra per la grazia,la santità, i doni ricevuti, ma più in continuità con la nostra situazione attuale di persone redente dalla Pasqua di Cristo. Troviamo queste descrizioni bibliche dello stato paradisiaco non solo in Ireneo, ma, più attenuate, anche in Clemente d’Alessandria, Atanasio, Teodoro di Mopsuestia.

“E’ tuttavia questa seconda prospettiva [Adamo idealizzato], che tende a generalizzarsi presso i teologi del IV e V sec.. Presso Cirillo di Alessandria, come presso Giovanni Crisostomo e presso S. Agostino, si trova la descrizione classica di Adamo come uomo eccezionale, dotato non

557 TESTA E., Il Peccato di Adamo nella Patristica, cit., 45s558 Ivi 50

256

solamente della grazia e della santità 559, ma anche di una scienza superiore, di una armonia interiore perfetta, dell’immortalità effettiva, etc.”

Nella scuola alessandrina troviamo anche l’antitesi Eva-Maria, che inquadra e completa il quadro determinante di <Cristo-Adamo>; anche in questo caso, con la tendenza a proiettare agli inizi una certa perfezione del Mondo della piena Risurrezione, escatologico.560

3.4 Tendenze naturalistiche della Scuola di AntiochiaIl Padre Testa E. nella sua accurata disanima della Teologia del Peccato originale nei Padri,

nota come nella scuola di Antiochia risulti conforme alla Rivelazione, l’esegesi della caduta di Adamo 561, quello che chiamiamo peccato originale originante; si presenta anche il quadro delle relazioni Cristo-Adamo, anche Maria-Eva. Ciò che notevolmente si indebolisce nella Cristologia antiochena sono le relazioni tra la natura umana e la Persona divina in Cristo. Lo abbiamo già considerato esaminando la storia teologica della categoria <Immagine di Dio>; questa unione debole impedisce a Cristo di essere l’A della Creazione, di un uomo da Lui qualificato in tutto, il Primogenito dell’umanità in Lui solidale, sin dagli inizi adamici.

Anche le diverse concezioni di natura umana, l’aspetto biologico di razza, l’essenza filosofica, la dimensione storica interpersonale, non vengono più qualificate, unificate in Cristo, Figlio di Dio espresso in vera umanità, Primogenito della creazione, perché in Lui, per Lui e verso Lui tutto è stato creato e redento.

In conseguenza la tendenza antiochena, umanistica, vuole valorizzare la Persona umana, la sua responsabilità, impegno storico, al di fuori di un riferimento Cristico, di Grazia divina e di mediazioni solidali umane, che risultano indebolite. Teodoro di Mopsuestia avverte come pericolose le novità teologiche (di Girolamo o Agostino) riguardo ad un peccato di natura; questo perché, nel suo ambito teologico-culturale, le relazioni natura divina e umana in Cristo tendono a sfasarsi: è la tendenza nestoriana. Il danneggiamento del peccato adamico non può andare in profondità, perché questa solidarietà umana a misura del Verbo divino incarnato non è più intesa: si potrà parlare di pene, cattivo esempio, non di situazione peccaminosa solidale, che incide in modo negativo sulla relazione religiosa con Dio, bisognosa di una grazia di conversione offerta a tutti dal Crocifisso glorioso.

Sappiamo come la tendenza naturalistica nestoriana sarà predisposta ad accogliere la visione dell’uomo propria del pelagianesimo, un uomo bisognoso di impegno, disciplina, dell’esempio di Cristo, non della sua grazia di conversione, per l’inserimento battesimale- eucaristico nella Chiesa.

Il Battesimo, la grazia di redenzione offerta all’uomo nell’evento sacramentale, l’unione vitale realizzata con Cristo, Crocifisso-glorioso, nel suo Corpo ecclesiale, diventano sempre più il luogo teologico decisivo per la rivelazione dello stato peccaminoso contratto per la semplice nascita nella famiglia adamica.

3.5 Peccato originale e teologia del pedo-battesimoEntriamo quindi in una seconda linea di riflessioni patristiche sullo stato nativo dell’uomo di

fronte a Cristo: quella relativa alla prassi liturgica del Battesimo dei bambini.

559 Iv i 4s560 “ La verità dell’ordine prelapsario appaiono nella relazione tra Cristo e noi,; se noi vogliamo conoscere la

situazione vera e originale dell’uomo, dobbiamo considerare, non l’immagine di Adamo, ma quella di Cristo; quella di Adamo non può che prefigurare quest’ultima” dice BARTH K., Christ et Adam d’après Rm, trad. franc. Genève 1959, 13; per la Teologia del PO negli Alessandrini, vedi anche RONDET H., Le péchè originel dans la tradition patristique et théologique, Fayard, Paris 1967, trad. italiana ( citiamo sempre da essa) di A.Zarri, Il peccato originale e la coscienza moderna, Borla, Torino 1971, 84-118.

561 Ivi 92-105; RONDET H., Le péchè originel dans la tradition patristique et théologique, cit. trad. italiana, 132-149: cap. VII, I Padri Greci del IV sec. La scuola di Antiochia,

257

La storia del pedobattesimo si può brevemente riassumere così: di origine apostolica (battesimo di intere famiglie), verso il 200 poteva considerarsi assai diffuso; all’inizio del sec. VI tale uso era prevalente, specialmente nella Chiesa occidentale. Ricordiamo come la non ripetibilità della Riconciliazione sacramentale influì sulla prassi del pedobattesimo: il Battesimo è considerata una offerta di remissione dei peccati da usare al momento opportuno, nella vita adulta, non essendo disponibile la ripetibilità della Penitenza-riconciliazione sacramentale.

Nessuno contestava che il battesimo dei bambini fosse invalido o inutile; anzi la morte senza battesimo è sempre considerata un male da evitare; nei casi urgenti (pericolo di vita per la malattia, guerra, naufragio) il bambino viene immediatamente battezzato.

Il Battesimo è desiderabile non solo per i suoi effetti positivi, ma anche per essere liberati da un male già presente, ottenere un perdono, purificazione. Ciò risulta dalla stessa estensione del Battesimo degli adulti ai bambini: si adatta il rito degli adulti, si modificano quelle parti che il bambino non può sostenere (professione di fede realizzata da genitori, padrini), ma si lasciano intatti i riti che indicano purificazione, liberazione dal male (come gli esorcismi). Solo i Nestoriani, che accettano la teologia di Pelagio, gradualmente aboliscono gli esorcismi.562

Questi fatti liturgici “lex orandi” attestano la fede della Chiesa sulla presenza nativa di un male peccaminoso, bisognoso di purificazione. Anche prima di Agostino, che ne darà una teologia elaborata, possiamo trovare inizi di riflessione sul male dal quale i bimbi devono essere liberati. Un primo accenno lo abbiamo già individuato in Ireneo. Cristo è venuto per salvare tutti per mezzo di se stesso: infanti, fanciulli, giovani. Per questo è passato attraverso ogni età: si è fatto infante con gli infanti per salvare gli infanti.563. Ireneo insinua anche la necessità per tutti del Battesimo: per la creazione secondo Adamo (la plasmazione nel seno della Madre) l’uomo, caduto nella trasgressione per il peccato dei progenitori, ha bisogno del bagno della rigenerazione 564.

Per Tertulliano è evidente che, anche per i bambini, il battesimo è considerato e ricercato come sacramento del perdono: “Ogni anima è valutata (censetur) in Adamo peccatrice, immonda fino a che essa non è inserita (recenseatur) in Cristo[…]”565. La formula “recenseri in Cristo” si ritiene corrisponda al Battesimo. Tertulliano parla inoltre di un “Collegium trasgressionis”(De resurectione mortuorum 49,6): forse si tratta della situazione peccaminosa, causata dalla caduta paradisiaca.

La solidarietà con il peccato Adamico appare invece esplicitamente in Cipriano. Interrogato se i neonati possono essere battezzati, pur essendo creature cosi fragili, il vescovo di Cartagine sottolinea la necessità del Battesimo, per cui si passa dalla perdizione alla salvezza. Il battesimo si può accordare al bambino perché, innocente di peccati personali, deve essere liberato dal contagio della “antica morte”, contratta per nascita, essendo nato “carnalmente” secondo Adamo; nel bambino vengono perdonati non peccati propri, ma altrui (aliena). (Epistola 64,2).566

3.6 Tre tendenze della Teologia dei Padri, e la sintesi matura di Agostino.

L’insegnamento dei Padri circa il peccato di Adamo, si può condensare in tre tendenze 567:

562 Cfr FLICK M.-ALSZEGHY Z., Il Peccato originale, cit. 93, con le citazioni nelle note 318s.563 IRENEO di Lione, Adversus Haereses, 2,22,4.564 ivi 5,15,3.565 TERTULLIANO, De Anima, 40,1.566 Cfr RONDET H., Le péchè originel dans la tradition patristique et théologique, cit. (traduz. Italiana) 227-

237: Cap. XIV, La sorte dei bambini morti senza battesimo; REFOULĖ F., Misère des enfants et le péché originel d’après S. Augustin, RT 63 (1963) 341-362; COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, La speranza della salvezza per i bambini che muoiono senza battesimo, in Civ. Catt. 2007 II 250-298.

567 TESTA E., Il peccato di Adamo nella Patristica, Studi bibl. francescani, Analecta 5, Gerusalemme 1970, 183-192.

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1. Il peccato di Adamo ha scatenato nei suoi discendenti una forza malvagia, che li trascina inevitabilmente a moltiplicare i peccati personali e così alla morte eterna, se non è vinta dalla Grazia di Cristo donata nel Battesimo. Vi appartiene il maggior numero di Padri dei primi tre secoli (Giudeo cristiani, Antiocheni, Alessandrini, Cappadoci, Asiani, Siriani di Edessa); essi convengono nel considerare la condizione degli uomini non ancora inseriti in Cristo come uno stato corrotto a causa di Adamo.

Considerano soprattutto l’elemento dinamico, cioè la spinta verso i peccati personali; la terminologia è varia, significativa: maledizione, sentenza di condanna, debito paterno, macchia originale, stato di decadenza, morte del corpo e dell’anima, corruzione, malattia della natura, miseria originale, legge delle membra e anche peccato.

2. Tendenza a ridurre il ruolo di Adamo al cattivo esempio; proprio di alcuni Antiocheni, nei Nestoriani di Nisibi, manifesta in Pelagio.

3. Riconosce in tutti i discendenti di Adamo un peccato di natura, cioè uno stato di peccato. Prima di Agostino solo cenni. In Agostino viene superata la soglia di un legittimo sviluppo dogmatico.

Possiamo distinguere due fasi: nella prima, che abbraccia i primi tre secoli, si raccolgono gli aspetti caratteristici della condizione pre-battesimale dell’uomo; ma non è ancora posta chiaramente la domanda come questi elementi possono essere sussunti sotto la categoria di peccato.

Nella seconda, sotto lo stimolo del Pelagianesimo che afferma la bontà naturale dell’uomo, sarà proprio questa domanda a condensare la sintesi teologica di Agostino e l’affermarsi del nome “Peccato originale”.

Agostino portò avanti la riflessione patristica: le sue coordinate di riferimento sono sempre la fede della Chiesa, come gli è comunica nella Scrittura, nella Liturgia 568, Preghiera, viva Tradizione. Non volle sostituirsi alla “Catholica Ecclesia”; il Magistero accolse la sua dottrina, ma non interamente. Per es Agostino, con esitazioni, sembra dannare i bambini morti senza battesimo, a pene, certo mitissime; così a riguardo della predestinazione, i rapporti fra i due Adamo, il Primo e la “massa dannata”, il Secondo, Cristo e la “massa redenta”, possono sembrare, a prima vista, non del tutto equilibrati.

Agostino ha dimostrato grande genialità nel riunire elementi diversi, come: la redenzione per il Cristo crocifisso e glorioso, l’efficacia dei Sacramenti, la necessità del Battesimo, della preghiera, la conversione e vigilanza, in una sintesi unitaria, una legge più comprensiva, sotto un nome in parte nuovo, Peccato originale. Tutti gli elementi sopra ricordati si comprendono se l’uomo per il suo inserimento nella solidarietà umana, per nascita, è in una situazione di peccato, in uno stato non conforme al progetto di Dio, che voleva una natura umana conforme al Verbo incarnato, come “impregnata” della grazia; la grazia che ora ci è offerta è la grazia del Crocifisso, per tutti una grazia di conversione per una sana e vittoriosa lotta spirituale.

La maturazione della Dottrina agostiniana sul Peccato originale.

La sintesi di Agostino569 è maturata lentamente: possiamo distinguere tre periodi:

Dalla conversione all’Episcopato (387-395); ne parla poco, è più filosofo che teologo Dall’Episcopato all’inizio della disputa con Pelagio (395-410): in questi anni il commento

approfondito della Lettera ai Romani, l’esperienza pastorale ed una riflessione sulla propria 568 Ivi, 162: “Agostino non dimentica l’argomento liturgico degli esorcismi fatti nel Battesimo dei bambini” con

citazione di De Nuptiis 1,20, 22, PL 44,426s; Contra Iulianum, 6, 5, 11, PL 44,829.569 Non trattiamo direttamente di S. Ambrogio: “Egli è un ponte che unisce S.Agostino e i Padri di Cappadocia,

ed ancor più l’anello di una catena che, attraverso Basilio e i due Gregorio, va da Filone ad Origene fino al Vescovo di Ippona” RONDET H., Le péchè originel dans la tradition patristique et théologique, cit 141; nelle pag. 141-146 si possono trovare queste notizie essenziali su S. Ambrogio ponte tra i Padri Greci e S. Agostino.

259

conversione (Confessioni 397-401), la lotta contro i Donatisti sull’efficacia dei Sacramenti, lo stimolano alla elaborazione della dottrina sul Peccato originale, la situazione nativa dell’uomo davanti a Cristo redentore.

Dalla disputa con Pelagio, iniziata nel 411, sino alla morte (430), esporrà, in un dialogo serrato con Pelagio, Celestino e Giuliano, la sua dottrina: ricordiamo alcune opere:

De peccatorum meritis, et remissione et de baptismo parvulorum (412): effettivamente per nascita tutti siamo peccatori; tale peccato non si contrae per imitazione.- De natura et gratia (415): è la risposta al De natura di Pelagio: la natura umana è viziata,

decaduta, per la giustificazione è necessaria la grazia risanante del Salvatore570

- De gratia Christi et de peccato originali (418): dimostra quanto c’è di indefinito e insufficiente nel concetto pelagiano di Grazia.571

Il Concilio provinciale di Cartagine (418) condanna i pelagiani (DH 222-223 572) riceve una approvazione di Papa Zosimo (Ep. Tractoria, 418, DH 231 573).

Per i Pelagiani il peccato di Adamo ha conseguenze come cattivo esempio, ma non ha cambiato la natura umana; anche la morte che sperimentiamo non è conseguenza del peccato. Per Agostino la situazione nativa dell’uomo è veramente peccaminosa; la morte è conseguenza del peccato, come la concupiscenza: le difficoltà sperimentate, specialmente l’orgoglio, nell’adempiere la volontà di Dio.

Il discorso centrale verteva sui mezzi per una vita in grazia, onesta: i pelagiani richiedevano impegno, disciplina, il buon esempio di Cristo. Agostino inoltre il ricorso umile e perseverante al Redentore, in vista di una grazia sanante. i Pelagiani ponevano al centro della loro dottrina l’imitazione: imitando Adamo si cade nel

peccato, imitando Cristo ci si salva Agostino insiste inoltre sul solidarismo: per generazione peccatori in Adamo, per la

rigenerazione battesimale giusti in Cristo.Una citazione dal De natura et gratia: “La si lasci pregare la natura umana, perché il male

la lasci. Perché si presume cosi tanto della possibilità della natura? Ė stata ferità, piegata, danneggiata, rovinata: ha bisogno di una sincera confessione e non di una falsa protezione. La grazia di Dio che si deve cercare non è dunque quella con cui Dio istituisce la natura, ma quella con la quale restituisce la natura”.

570 AGOSTINO, Natura e grazia I: Il castigo e il perdono dei peccati ed il Battesimo dei bambini; Lo spirito e la lettera; La natura e la grazia; La perfezione della giustizia dell’uomo, Testo latino e italiano, Introduzione di A. Trape, Città nuova ed., Roma 1981.

571 AGOSTINO, Natura e grazia II: Gli atti di Pelagio; La grazia di Cristo ed il Peccato Originale; L’anima e la sua origine, ivi.

572 [222] Can- 1. ”Tutti i vescovi riuniti nel santo sinodo della chiesa Cartaginese... hanno deciso: Chiunque avrà detto che Adamo, il primo uomo, (fu)creato mortale nel senso che sia che peccasse sia che non peccasse, sarebbe corporalmente morto, avrebbe lasciato cioè il corpo non per causa del peccato, ma per una necessità della natura,' sia anatema.”

[223] Can 2. “Così pure è stato deciso, che chiunque nega che si debbano battezzare i bambini in tempo attiguo al parto, o dicono che essi vengono sì battezzati per la remissione dei peccati, ma non si traggono affatto dietro da Adamo il peccato originale che viene espiato dal lavacro della rigenerazione, da cui consegue che nel loro caso la forma del Battesimo <in remissione dei peccati> viene compresa non come vera, ma come falsa, sia anatema.”

573 [231] “Fedele è il Signore nelle sue parole [Sal 145,13} e il suo battesimo contiene nell'oggetto e nelle parole, cioè nell'azione, nella professione di fede e nella vera remissione dei peccati, la stessa pienezza per ogni sesso, età, condizione del genere umano. Intatti nessuno, se non colui che è schiavo del peccato, può essere reso libero, ne può essere detto redento se non colui che veramente attraverso il peccato prima era prigioniero, come sta scritto: «Se il Figlio vi avrà liberati, veramente sarete liberi» [Gv 8,36]. Attraverso di lui, infatti, veniamo spiritualmente rinati, attraverso di lui veniamo crocifissi al mondo. Attraverso la sua morte viene spezzato quel chirografo (cfr. Col 2,14} della morte contratto con la procreazione, (morte) introdotta da Adamo per noi tutti e trasmessa ad ogni anima; in esso ogni nato senza eccezione viene tenuto in schiavitù, prima di essere liberato mediante il Battesimo.”

260

La dottrina agostiniana sul Peccato originale viene estratta specialmente dalle sue opere antipelagiane; ma sarebbe preziosissima una maggiore attenzione a quell’ampia teologia della storia e della socialità umana che viene presentata nei 22 Libri della Città di Dio(413-426).

Agostino intende rispondere alle accuse rivolte alla Chiesa in relazione al sacco di Roma (410): la decadenza della società romana, la sua vulnerabilità, sarebbe causata all’abbandono del tradizionale culto pagano per l’accoglienza del Dio cristiano.

Agostino si impegna a dimostrare il contrario: il male fondamentale dell’uomo e della società consiste nel portare all’Assoluto i valori umani, specialmente con l’idolatria del potere politico; invece la sottomissione sincera al Dio vivente, la carità disinteressata, l’umiltà “teologica” generano le vere solide, virtù sociali.

Dio ha voluto un’umanità solidale nella carità e reciproco servizio. Cristo con la sua Grazia ci inserisce in una unità superiore, costituisce la Città di Dio, città di amore e di pace, che sarà perfetta nell’al di là; essa è già preannunciata e si manifesta nell’al di qua nei discepoli di Cristo che non mescolano prospettive idolatriche e orgogliose nella ricerca dei beni terreni.

Alla Città di Dio si oppone la città terrena, dominata dalla natura viziata dal peccato adamico: i binomi Adamo-Cristo, natura viziata-Grazia, umiltà-superbia, amore di sé sino al disprezzo di Dio e amore di Dio sino al disprezzo di sé, contraddistinguono e generano le due città che vivono quaggiù frammischiate tra di loro.

I Libri XIII e XIV contengono ottime riflessioni sul peccato originale, nel contesto di una teologia sulla natura sociale, interpersonale dell’uomo:

il binomio Cristo-Adamo, natura e grazia: ”La natura viziata dal peccato genera i cittadini della città terrena, la grazia che libera la natura dal peccato genera i cittadini della città celeste”(XIV, 2) 574

i due amori: “Due amori hanno dunque fondato due città: l’amore di sé sino al disprezzo di Dio, ha generato la città terrena, l’amore di Dio sino al disprezzo di sé ha generato la città celeste [….] Una, la città terrena, si gloria di se stessa, l’altra, la città celeste, si gloria di Dio; una è dominata dalla libidine di dominare, l’altra dal compito di servire” (XIV , 28)

umiltà-superbia: “Ora nella città di Dio, e massimamente nella città di Dio peregrinante nella presente vita, viene assai raccomandata l’umiltà, che in modo particolare è celebrata nel suo Re, Gesù Cristo. Invece il vizio della superbia[…] signoreggia sfacciatamente nel nemico della città di Dio, che è il Diavolo”(XIV, 13).575

La dottrina sociale della Città di Dio ispirò la cristianità medioevale: progetto sociale e culturale di sintesi, alla luce dei valori evangelici, tra la vitalità giovanile dei popoli germanici e maturo senso giuridico romano.

4 La teologia sul Peccato originale nel MedioevoTutti i Padri sono concordi sul riconoscere agli inizi dell’umanità, della sua storia salvifica,

delle relazioni col Dio della creazione-Alleanza, una situazione di qualità <cristica>, Cristo Α della creazione: questa situazione, ora diremo di ordine soprannaturale, è condivisa da tutti, anche se si danno differenze sul momento in cui viene offerta la grazia santificante; differenze legittime.

574 Cfr GUILLUY P., La tradition occidentale de S. Augustin à S. Thomas, in GUILLUY P., ed. La culpabilité fondamentale. Péchè originel et anthropologie moderne, Duculot Gembloux-Centre interdisciplinare de Lille, 1975, 60-63.

575 AGOSTINO, La città di Dio, libri XI-XVIII, traduzione di Gentili D., Introduzione e note di Gentili D. e Trapè A., Città nuova ed., Roma, 1978.

261

Una situazione <cristica soprannaturale> che qualifica la persona umana in tutto, anima e corpo, in tutte le relazioni interpersonali in cui è inserita, nel ricevere e donare, descritta comunemente come <santità e giustizia>, santità per la Grazia, giustizia per l’armonia che ne deriva nella costitutiva complessità spirituale-psicofisica, e quindi rettitudine, facilità di comportamenti corretti; santità e giustizia che viene persa con il Peccato delle origini.

Umanità in situazione peccaminosa, sia nelle Persone, sia nelle relazioni interpersonali costitutive, volute sin dall’inizio nella <santità e giustizia> a misura di Cristo Α, Primogenito della creazione; <santità e giustizia> perse con il peccato delle origini. Situazione peccaminosa che il Verbo incarnato Crocifisso glorioso redime con il dono di una grazia di conversione, partecipazione alla sua Croce, per l’inserimento sacramentale (Battesimo ed Eucaristia) in una nuova situazione interpersonale di Grazia, il suo Corpo ecclesiale. Tutto rinnovando, e ricapitolando in se come Ω della creazione e storia salvifica.

Quanto i Padri pre-agostiniani descrivono come corruzione, dinamismo peccaminoso che, se non contrastato dalla grazia di conversione pasquale, produrrà abbondanza di peccati personali, viene da Agostino con più incisività indicato come Peccato originale.

Solo alcuni Padri antiocheni e di Nisibi, accogliendo le tendenze nestoriane, di un rapporto labile tra la natura umana e la Persona divina filiale, e quindi qualità <naturale> delle persone e loro relazioni, valorizzano solo l’impegno personale etico, l’imitazione di Cristo, e non possono accettare una peccaminosità solidale per il peccato personale di Adamo; si uniranno ad essi i Pelagiani.

Queste tendenze teologiche della Chiesa un tempo detta Nestoriana, ha qualche influsso sul rito battesimale dei bambini, attenuando il suo carattere penitenziale, alleggerendo gli <esorcismi >del rito576, ma non intacca la lex orandi-celebrandi eucaristica, il fondamento delle relazioni tra il Crocifisso glorioso e il suo corpo ecclesiale. Questa corretta celebrazione Eucaristica, la visione di fede che ne deriva, ha reso possibili gli accordi ecumenici con queste Chiese non calcedonesi, la cui cristologia risulta corretta nelle relazioni ipostatiche Persona divina-natura umana, capace quindi di esprimere la dimensione peccaminosa originale che Cristo redime.577

La Chiesa occidentale può osservare, nella corruzione progressiva della società romana pagana, i frutti velenosi della peccaminosità originale, sotto forma di superbia, il culto del potere e del denaro contro ogni bene comune; annunciare, impegnarsi e sperare la realizzazione della Città di Dio, con le qualità dell’amore di Dio e del servizio disinteressato del bene comune, un più sano tessuto sociale secondo gli insegnamenti di Agostino.

Riceve così stimoli per sviluppare la teologia del Peccato originale, per il superamento delle sue nefaste conseguenze, che Teologia dell’Oriente, per la persistenza prolungata dell’Impero bizantino, non ha conosciuto. L’evangelizzazione dei popoli barbari, più vivaci e meno corrotti del paganesimo romano, è come un banco di prova della capacità della Chiesa di estendersi ai nuovi popoli, di impostare un’unità culturale cristiana, la nuova società medioevale del Sacro romano impero, il progetto di Carlo Magno.

Concentrando la nostra attenzione sulla teologia medioevale del Peccato originale, possiamo notare:578

576 Cfr FLICK M.-ALSZEGHY Z., Il Peccato originale, cit. 93, con le citazioni nelle note 318s.577 CHIESA CATTOLICA-CHIESA ASSIRA DELL’ORIENTE, Dichiarazione cristologica comune,

11/11/1994, in E. Oe., vol. 3, EDB 1995, 345-348; COMMISSIONE MISTA DI DIALOGO CATTOLICI-ORTODOSSI SIRO-MALANKARESI, Accordo dottrinale cristologico del 3/6/1990, in E. Oe. vol 7, EDB 2006, 875-877.

578 Per una trattazione più completa dei Medioevali (Scoto Eriugena, Anselmo, Bonaventura, Tommaso…cfr FLICK M.-ALSZEGHY Z., Il Peccato originale, cit. 110-128; RONDET H., Le péchè originel dans la tradition patristique et théologique, cit., Cap XI.,189-206: S. Anselmo e i suoi discepoli. Cap. XII.297-217: S. Tommaso d’Aquino; GUILLUY P., La tradition occidentale de S. Augustin à S. Thomas, in GUILLUY P., ed. La culpabilité

262

a) gli autori più mistici, spirituali mettono in risalto il dato rivelato e sperimentato della “concupiscenza”, della mortalità umana; forse inclina a questo il carattere melanconico, portato all’ansia, alla tristezza dei popoli nordici, come risulta dalle loro saghe.

b) i teologi più completi, come S.Tommaso, fanno consistere il peccato originale formalmente, come dato essenziale caratteristico e decisivo, nella perdita della <santità e giustizia>, la grazia cioè delle origini; “concupiscenza” e morte sono valutate conseguenze sofferte (aspetto materiale concreto) della perdita dello stato di <santità e giustizia> per il peccato delle origini.

La Teologia del peccato originale, da Agostino in poi, risulta per noi moderni molto appesantita da considerazione di Filosofia della natura proprie dell’Antichità: la “biologia” della generazione, che per spiegare la trasmissione del Peccato originale cerca appoggi nelle “ragioni seminali”, già tutti eravamo nei <lombi> di Adamo. Inquinamenti dovuti all’uso del platonismo, la caduta delle anime nei corpi, natura umana considerata troppo a livello di <essenze> astratte.

Specialmente la prassi Battesimale ed Eucaristica, l’inserimento nel Corpo ecclesiale, la sua natura cristica interpersonale, rappresentano <luoghi teologici> come lex orandi-celebrandi e vivendi, contesto di una corretta lex credendi per l’elaborazione di una teologia valida del Peccato originale. Ancor più sullo sfondo, e decisiva, la professione di fede di una Cristologia conforme a rivelazione, nella norma dei Canoni di Calcedonia.

Ricordiamo che il discorso sulla “natura decaduta”, è sempre all’interno e al servizio della solidarietà nella grazia offerta sin dalle origini, ridonata come grazia sovrabbondante di conversione dal Crocifisso glorioso; questo per vivere ed agire secondo la socialità nuova, nella fedeltà alle proprie vocazioni, tutte mediatrici subordinate della riconciliazione nella verità e carità che il Redentore ci dona.

Tale natura decaduta per la perdita della <santità e giustizia originale> non è mai considerata totalmente corrotta, incapace di corrispondere alla necessaria grazia della Redenzione di Cristo.

Il tramonto della Cristianità medioevale ad iniziare dal sec XIV porta ad una situazione di socialità e di pensiero, che pongono notevolmente in crisi la Teologia e anche la Fede di come sta l’uomo, per nascita nella solidarietà umana, davanti al Crocifisso Glorioso redentore.579

La cristianità di una Europa unita anche in un governo imperiale consacrato si va sfaldando, di fronte alla vitalità e desiderio di autonomia delle singole nazioni; ma anche l’unità della Chiesa, che si è sempre cercato di tenere distinta dalla cristianità del governo imperiale, conosce scismi ripetuti che si trascineranno sino al Concilio di Firenze (1431-1447); l’unione dottrinale qui realizzata con i Bizantini, non avrà effetto nella concretezza della vita di quella Chiesa, ormai sommersa dall’impero Turco.

Anche il pensiero perde in profondità <metafisica>, circa l’apertura a Dio della mente umana e quindi la presenza di Dio nella sua creatura; questo specialmente nell’uomo, capace di conoscere e amare Dio per un’anima spirituale che qualifica in ogni suo aspetto la natura personale ed interpersonale dell’uomo.

Abbiamo visto come in Ockham la mediazione del Verbo per creazione, il darsi di ponti analogici, sul piano dell’ontologia e della conoscenza, rispettosi della trascendenza di Dio, non sono più considerati; non è più sostenibile una Filosofia e quindi Teologia di comunione, subordinata a Dio, dell’uomo, tutto tende a ridursi all’arbitrio divino. Le scienze sperimentali, a prima vista, sembrano favorite; ma prive dell’orizzonte amplissimo dell’<essere>, della relativa trascendenza umana, cioè dell’ambito culturale che ne ha permesso la nascita, rischiano uno sviluppo senza dimensioni etiche, un umanesimo senza valori, che scivola in antiumanesimo, pericoloso per l’uomo.

fondamentale. Péchè originel et anthropologie moderne, Duculot Gembloux-Centre interdisciplinare de Lille, 1975, 64-68;

579 Cfr HUIZINGA J., Autunno del Medioevo, trad. dall’olandese di Jasink B., Sansoni, Firenze 1944

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In questa situazione sociale e di pensiero cristiano in rottura con la sua tradizione vivente, si muoverà un uomo dall’acuta sensibilità religiosa come Lutero.

La visione nuova dell’uomo che matura in questi tempi di crisi, corrisponde a quella rivelata nei Vangeli, espressa con incisività nella contrapposizione Cristo-Adamo dell’insegnamento paolino, celebrata nei sacramenti del Battesimo ed Eucaristia, vissuta e riflessa nella vita cristiana ?

Ce ne interessiamo sia perché entriamo nei tempi moderni che stimolano crescita dottrinale del <deposito rivelato>, sia perché in questa occasione, a protezione di una visione autentica dell’uomo, come sta davanti al Crocifisso glorioso, la Chiesa nel Magistero del Tridentino ci offre il senso pieno della Rivelazione sul Peccato originale.

5 La crisi luterana e le Definizioni del Concilio di Trento.(a.1546, DH 1510-1515)

La dottrina sul Peccato originale è il primo capitolo della Fede trattato dal Tridentino, evidentemente dopo la Professione di fede nicena-costantinopolitana, l’enumerazione dei Libri ispirati del Corpo scritturistico, la loro interpretazione nella Chiesa.

Perché il Concilio di Trento inizia così? la risposta più evidente la possiamo cercare nella Confessione augustana, sintesi della predicazione luterana compilata da Melantone e presentata a nome dei Principi tedeschi inclini alla Riforma protestante a Carlo V alla Dieta dell’Impero da Lui convocata ad Augusta nel 1530. Tale Confessione augustana dopo la Professione di fede Nicena, passa subito, al n II, a trattare del Peccato originale. Così, con la mederazione politica di Melantone, viene descritto:

“Allo stesso modo [ della Professione Nicena] insegnano che dopo il peccato di Adamo, tutti gli uomini, moltiplicatesi per generazione naturale, nascono con il Peccato, cioè senza timore di Dio, senza confidente fiducia nei suoi confronti, e colla concupiscenza, e insegnano che questa infermità, ovverosia difetto di origine, è in senso vero e proprio un peccato, che danna e comporta anche ora eterna morte per coloro che non rinascono attraverso il Battesimo e lo Spirito Santo”.

Notiamo subito quanto questa formula situi l’inimicizia originaria dell’uomo con Dio al livello della coscienza empirica, ciò che l’uomo sperimenta; può risultare anche legittimo, sotto l’angolatura limitata di una teologia descrittiva, spirituale. Più preoccupante risulta l’affermazione che il peccato originale così descritto: <è in senso vero e proprio un peccato che danna e comporta anche ora eterna morte per coloro che non rinascono attraverso il Battesimo e lo Spirito Santo>.

Qui si può notare la tendenza luterana a non distinguere tra sentimenti sperimentati, peccaminosi, e il peccato personale, che richiede un atto di volontà, in materia grave o veniale. Inoltre questa descrizione <sperimentale> come si applica ai Bambini? In cosa consiste l’effetto del Battesimo dei Bambini che Lutero dovette difendere contro il movimento degli Anabattisti? In un testo del suo Grande catechismo lo giustifica dicendo:

“Dio in effetti ha santificato molti di coloro che sono stati battezzati nella loro infanzia e ha loro donato lo Spirito Santo [….] Se Dio non ammettesse il Battesimo dei bambini, non donerebbe lo Spirito Santo a coloro che sono stati battezzati nell’infanzia, e in conseguenza non si avrebbe avuto un solo cristiano sulla terra dai tempi lontani sino ad oggi”.

È notevole questa osservazione storica sull’influsso benefico del Battesimo; un poco più avanti, sempre nel Grande catechismo dice “[…] in conseguenza, se la Parola è aggiunta all’acqua, il Battesimo è un vero Battesimo, anche senza la fede; poiché la fede non fa il Battesimo, ma esso la riceve”.

La tradizione viva della Chiesa ha sviluppato questo aspetto dell’efficacia del Battesimo, che per sostenersi necessità una concezione del peccato originale e della Chiesa che lo amministra al neonato, che superi, dia fondamento, alla riduttiva concezione sperimentale della troppo indistinta

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peccaminosità originale. Una concezione dell’inimicizia con Dio al livello della coscienza empirica, non può giustificare e dare intelligenza del Battesimo e dei suoi effetti. L’amministrazione del Battesimo si comprende in quanto Dio comunica la vita teologale ad un livello sovracosciente dell’essere del neonato, riparando a questo livello la rottura con Dio, per la perdita della santità e giustizia originale.

Lutero, già segnato dall’empirismo moderno ed il nominalismo, identifica la natura con ciò che è raggiungibile con l’esperienza, a ciò che riduttivamente si situa al piano troppo univico dello sperimentale.

S.Tommaso e la tradizione ecclesiale hanno una concezione più gerarchica, più articolata di natura: la grazia divina, che la natura umana riceve per puro dono, senza suo iniziativa né potere, penetra l’uomo a livelli di profondità che l’esperienza non può del tutto raggiungere..

La natura umana è qui compresa in una prospettiva reale e spirituale nei rapporti con Dio, la situa di fronte allo stesso Dio, che la trasforma nei segreti di una azione divina, tanto superiore all’uomo, pur agendo nel suo intimo più recondito, da non essere percettibile alla sua osservazione sperimentale: è conosciuta e accolta per rivelazione-fede.

La prospettiva sperimentale di Lutero tende anche a situare la grazia a livelli piuttosto estrinseci della natura stessa, mentre la tradizione cattolica la presenta in termini di relazioni trasformanti la profondità di questa natura. Ricordiamo inoltre come la crisi del pensiero nominalistico, in cui si muove Lutero, indulgeva ad una concezione individualistica dell’uomo, indeboliva la fede nella Chiesa come corpo di Cristo, in cui situare le persone e le loro costitutive relazioni interpersonali. Congar nota come in Lutero non si parla più dell’effetto dell’Eucaristia, di consolidare il Corpo ecclesiale del Signore.

Ciò che sembra mancare in Lutero, troppo chiuso nella sua coscienza e ansie individuali, è la presa di coscienza delle relazioni interpersonali costitutive la natura umana, tutte qualificate dalla Grazia del Primogenito della creazione e redenzione, Cristo; la grazia di Cristo, del suo Santo Spirito, qualificano la natura interpersonale umana molto al di là di quanto ne abbia chiara percezione; così pure le conseguenze peccaminose della perdita, in questa natura interpersonale, della <santità e giustizia> originarie.

L’amore ha una capacità preveniente di trasformare le Persone, nelle costitutive relazioni interpersonali, che va molto al di là di quanto immediatamente si può percepire, specialmente se quell’altro che ama e si dona in modo del tutto preveniente si chiama Dio.

Abbiamo già notato come in Lutero manca l’articolazione di una soprannatura Cristica che qualifica la natura creata umana, interpersonale; se il soprannaturale è così dovuto, esigito dall’uomo, tanto che non si parla più di una natura cristicamente qualificata, il peccato delle origini rischia di essere inteso come distruzione totale dell’uomo, incapacità di corrispondere alla grazia risanante, corruzione totale del libero arbitrio. La tradizione viva della Chiesa ha sviluppato una intelligenza ben differente delle relazioni Soprannatura cristica-natura interpersonale umana, in tutti i modi e categorie legittime per esprimere questa fondamentale e costitutiva dimensione della storia salvifica.

Le conseguenze di questa riduzione antropologica sono note: crisi del libero arbitrio per quanto riguarda le relazioni superiori, con Dio, difficoltà ad impostare una corretta vita morale, spirituale per l’indistinzione tra concupiscenza di fondo, mancanze volontarie veniali e gravi; quindi la perseveranza nella fedeltà coniugale, nel celibato consacrato, sequela di Cristo povero, casto che con la sua obbedienza ha redento il mondo nella vita Religiosa. 580

580 FROST F., Le Concile de Trente et la doctrine protestante, in GUILLUY P. ed., La culpabilité fondamentale, cit., 82-94 fa una sintesi dell’antropologia luterana, della sua esposizione nella Confessino Augustana del 1530

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Così possiamo ora riassumere gli orientamenti della Riforma, cui il Concilio di Trento ha posto rimedio:

La situazione ecclesiale, sociale e culturale si presenta notevolmente mutata nel sec. XVI: l’unità culturale e la solidarietà cristiana europea è posta in crisi dal consolidarsi degli stati nazionali; più che di solidarietà naturali si parla di contratto sociale

L’uomo non è più considerato come persona nelle più ampie e solidali comunità, ma piuttosto come “individuo”: il nominalismo conosce gli individui, non le “essenze” universali, comuni,–– Si sviluppano le scienze sperimentali, retrocedono le scienze metafisiche. La Teologia

della riforma si concentra su ciò che l’uomo avverte nella coscienza, di <concupiscenza e fede fiduciale>, trascura l’efficacia della grazia ai livelli più profondi della complessità della persona umana, delle sue relazioni interpersonali.581

Ma in questo quadro notevolmente mutato restano i problemi antichi e di sempre: la morte e la salvezza eterna.

Lutero sperimenta fortemente ed angosciosamente l’umana situazione peccaminosa: indica nella “concupiscenza” il peccato originale, non facendo molte distinzioni tra nativa situazione peccaminosa, i peccati personali mortali e veniali.

Questa impostazione, il fatto che una “concupiscenza” segna anche la vita del battezzato, pone in crisi l’efficacia del battesimo: poiché l’inclinazione al peccato resta anche dopo il Battesimo, si dovrebbe concludere che il Battesimo è inefficace ad eliminare il peccato originale, cioè la concupiscenza.

Sappiamo come per Lutero la giustificazione è per la fede in Cristo, una grazia che tende a restare piuttosto “esterna”, alquanto giuridica, parla infatti di “non imputazione” del peccato, che rimane; anche se poi indica una santificazione interiore opera dello Spirito Santo, che fruttifica vita nuova. Ricordiamo la Dichiarazione congiunta sulla Dottrina della giustificazione tra la Chiesa cattolica e la Federazione Luterana Mondiale del 31/10/1999, i nn 22-24; 28-30.

Notiamo come la prospettiva di Lutero porta ad una visione dell’uomo, della salvezza, della Chiesa, di tendenza opposta a quella tradizionale cattolica:582

Per Lutero è decisivo, chiave di volta del suo sistema, ciò che l’individuo sperimenta (la concupiscenza-peccato), e ciò che sempre l’individuo fermamente crede: la fede in Cristo mi giustifica (per una non imputazione alquanto estrinseca, del peccato-concupiscenza). La comunione ecclesiale, la solidarietà nei mezzi della grazia, l’impegno definitivo in una vocazione di testimonianza e servizio cristiano per una grazia ricevuta e corrisposta (vita presbiterale, religiosa, matrimoniale, sacramentale) vengono poco considerati.

La teologia cattolica è attenta alle esperienze spirituali (consolazioni, resistenza serena ed impegnata di fronte alle tentazioni, superamento delle prove), ma pone in risalto la Grazia, Trascendente (superior summo meo) e immanente (intimior intimo meo) di Dio; Grazia sempre “preveniente” la risposta dell’uomo. Tale grazia non è sempre immediatamente sperimentabile, la crediamo per Rivelazione, la riceviamo fiduciosamente da Cristo redentore attraverso quella comunione di mezzi e di solidarietà di Grazia che è la Chiesa.

Per la fede della Chiesa il peccato originale è la perdita di quello stato di <santità e giustizia> che era proprio delle origini: l’inclinazione al peccato ne rappresenta una conseguenza,

581 Ivi, 84, nota 4 “Si può domandare se, nella realtà, Lutero abbia contribuito a creare un clima favorevole al futuro sviluppo della psicanalisi.”

582 Cfr LORTZ J., Storia della Riforma in Germania, vol. I, Jaca Book Milano 1971, 203-210; CONGAR Y. M., Chrétiens in dialogue, Cerf, Paris 1964, 453-486

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ma non è in sé peccato, anche se può portare al peccato personale chi non vi resiste, come può fare, con la Grazia di Cristo.

Questa visione cristiana dell’uomo viene ribadita dal Concilio tridentino, nel “Decretum de peccato originali”, del I7/ 06 /1546: “[…] Seguendo la testimonianza delle S. Scritture, dei S. Padri, dei concili approvati e lo stesso giudizio e consenso della Chiesa” (DH 1510.).583 La dottrina è esposta in cinque canoni; il canone che si oppone direttamente alla visione, e tendenza, luterana del peccato originale-concupiscenza è il 5°, un canone notevolmente articolato:

Una prima parte che termina con “anathema sit”, e il fondamento delle successive affermazioni:

viene affermato (chi lo nega si pone al di fuori della fede salvifica) che il reato del peccato originale è rimesso per la grazia di Cristo conferita nel Battesimo; ciò significa che è tolto (non solamente raso, cioè privato delle sue manifestazioni, nè soltanto non imputato) tutto ciò che in senso vero e proprio è peccato.

la seconda parte è motivazione esegetica della prima: con una serie di citazioni paoline, il battezzato è descritto come puro ed innocente davanti a Dio, cui niente impedisce l’ingresso immediato nel cielo.

la terza parte spiega la permanenza della “concupiscenza” anche nei battezzati. Il Concilio ammette il fatto (per Rivelazione ed esperienza personale), ma afferma che la concupiscenza (finché con il necessario aiuto della grazia di Cristo si resiste e non si consente ad essa), non è peccato, anzi è occasione di merito.

La quarta parte, nuovamente sotto conclusione “anathema sit”, è una nota esegetica; !’appellativo di peccato applicato da S. Paolo per la concupiscenza dei battezzati, deve essere inteso in senso improprio, in quanto cioè la concupiscenza viene dal peccato e spinge al peccato.Il can. 4° afferma la necessità di battezzare i bambini, anche se nati da genitori cristiani;

anche per essi la formula liturgica, del rito “in remissione peccatorum” è vera, non falsa. La motivazione esegetica di questo procedere della Chiesa, sta in Rm 5,12 e anche in Gv 3,5 secondo la comprensione che sempre ha tenuto la Chiesa cattolica.

Ritroviamo qui i contenuti del 2° canone del Concilio di Cartagine (DH 223).

Il can. 3° è una produzione propria del tridentino, di stile antipelagiano: lo stato peccaminoso Adamico viene tolto unicamente per il merito dell’unico mediatore Gesù Cristo, nel sangue della Croce, non per le forze naturali dell’uomo o per altri mezzi.

Viene inoltre specificato che lo stato peccaminoso di Adamo è unico nella sua origine, viene “trasfuso” non per imitazione del peccato personale di Adamo, ma per “propagazione”, cioè in quanto nasciamo nella solidale famiglia umana; infine tale stato peccaminoso è proprio di ciascuno (non solo giuridicamente imputato, come sembrava dire il Pighi.)

Per quale motivo il Tridentino ha costruito questo canone antipelagiano?.

Forse per la completezza della dottrina, o per difendere la Chiesa cattolica, il suo umanesimo, dal sospetto di un certo naturalismo ottimista; forse pensando ad Erasmo, che peraltro volle sempre rimanere nella Chiesa cattolica.

Notiamo come i canoni tridentini si impegnino soprattutto a livello cristologico e sacramentale ecclesiale: la Grazia di Cristo crocifisso comunicata nel sacramento della Chiesa, toglie tutto ciò che è veramente e propriamente peccato nello stato nativo dell’uomo, inserisce nella

583 Per l’esame del Decreto Tridentino: cfr FLICK M.- ALSZEGHY Z., II peccato originale, cit. 129-168 e FROST F., Le Concile de Trente et le péché originel: le canone et leur élaboration, in GUELLUY P., ed., La culpabilité fondamentale, cit., cit .59-79; RONDET H., Le péchè originel dans la tradition patristique et théologique, cit Cap XIII, Il concilio di Trento 218-226

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interpersonalità di grazia ecclesiale, ed abilita ad una sana e vittoriosa lotta spirituale contro le rimanenti conseguenze, la “concupiscenza”.

Il livello cristologico-ecclesiale è quello caratteristico in cui più si impegna il Concilio, per fare fronte alle sovvertitrici tendenze luterane. Insieme viene pure sviluppato alquanto il livello antropologico, come l’uomo per nascita sta davanti a Cristo, perché è bisognoso del suo Sacramento ecclesiale; inoltre si indica la causa di questo stato nativo peccaminoso nel peccato delle origini.

Di questo livello antropologico-eziologico trattano i due primi canoni: riportano, con qualche ritocco, il contenuto dei canoni del Concilio provinciale “Arausicanum II” (Orange) del 529 (DH 571).

Il can. 2° tratta delle conseguenze in noi del peccato di Adamo: ha perso anche per noi la “santità e giustizia” nella quale era stato costituito; “l’inquinamento adamico” “trasfonde” in noi non soltanto la morte e pene corporali, ma anche il peccato “quod mors est animae”.

Il can. 1° tratta del peccato delle origini: causa la perdita della “santità e giustizia” nella quale Adamo “constitutus fuerat”: il verbo “constitutus” fu sostituito al verbo “creatus”, perché i Padri non volevano entrare nella disputa vigente tra le scuole cattoliche: se la grazia santificante era già data, con in doni preternaturali, sin dall’inizio, oppure se i primi uomini, già posti in situazione soprannaturale, si preparavano ad accoglierla personalmente.

Viene insegnato che la prevaricazione adamica ha indotto un duplice deterioramento:

nelle relazioni religiose: ira, indignazione morte e sottomissione al diavolo; -nel suo stato umano: “totum Adam”, anima e corpo, è mutato in peggio.Ricordiamo ancora che questa perdita della “santità e giustizia” delle origini, il

deterioramento religioso ed umano, costituiscono lo stato nativo di peccato originale, per cui abbiamo assoluto bisogno della grazia del Cristo crocifisso comunicata nel Sacramento della Chiesa.

L’insegnamento è comunicato in una prospettiva monogenistica, che non viene definita; ricordiamo in proposito quanto detto sulle “genealogie bibliche”, la prudenza inculcata da Pio XII (Humani generis, 1950, DH 3897) ed i tentativi discreti di Il Supplemento a Il nuovo catechismo olandese.584

6 Il peccato originale nel pensiero cristiano e post-cristiano dopo Trento

Il Concilio di Trento esplicita e definisce il senso pieno di Rm 5,12-21 nell’insieme del Corpo scritturistico, nella tradizione vivente della Chiesa petrino-apostolica. La crisi lacerante della Riforma, la sua difficoltà ad esprimere l’efficacia di una grazia cristica risanante le peccaminosa situazione originaria, è stata occasione favorevole per porre in risalto come l’umanità, nell’unità delle sue relazioni interpersonali segnate dal peccato, sta per nascita davanti al Crocifisso risorto. Il Concilio di Trento ha inteso anzitutto dichiarare come il Redentore elimina, nel suo Corpo

584 Il nuovo Catechismo olandese, in Appendice:” Supplemento al nuovo Catechismo”, ed. ELLE DI CI* Torino-Leumann, 1969, nel testo. 311-324, La potenza del peccato; nel Supplemento II. Riguardo al Peccato originale [20-42]. Sul Monogénismo e Poligenismo, quanto sviluppato nel Supplemento al Il Nuovo Catechismo olandese, [39-42]; SCHARBERT J., Péché originel dans l’Ancien Testament, cit., 110-224. BAUMGARTNER P., Péché originel, Desclée, Paris 1969, 115-130, riporta la bibliografia più importante in materia di Monogenismo e Poligenismo sino al 1968, discutendo le proposte di Teilhard de Chardin, Lyonnet, Rhaner K., Labourdette, Grelot, cercando orientamento negli interventi del Magistero, Humani generis (DH 3897), dell’Allocuzione di Paolo VI ai partecipanti al Simposio sul Peccato originale dell’11 Luglio 1966 (AAS, 1966, 649-655). Paolo VI lascia agli studiosi tutta la libertà di ricerca per il fine pastorale della salute delle anime. Ricorda che il PO è rivelato, commesso all’inizio della storia da Adamo, primo uomo, figura di Cristo; contratto “per propagazione”, consiste nella “privazione”, in ciascuno, della grazia dovuta. Il ragionamento di Baumgartner è condivisibile, eccetto la suggestione di pag. 100, che il PO originante sia “inevitabile di fatto”.

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ecclesiale, la privazione della Grazia originaria, restituendo al Battezzato un <cuore> risanato, capace di corretto esercizio di molteplici vocazioni ecclesiali, di vittoriosa lotta spirituale, di essere mediatore subordinato di grazia, rilanciando così la vitalità e la missione della Chiesa.

Ora seguiamo sobriamente le vicende della Dottrina del PO nella chiesa e cultura europea.

In campo cattolico noteremo come nella disputa con Bajo e Giansenio, il Magistero ribadisce e chiarisce che il PO è uno stato peccaminoso, che viene dal peccato personale, che può indurre a peccati personali, ma non è in sé peccato personale.

Questa peccaminosità originaria, ove si indebolisce e poi si annulla un rapporto personale con Dio, come avvenuto nell’Illuminismo deista e nell’Idealismo, perde la sua connotazione religiosa, per trasformarsi nello sviluppo della coscienza umana, da una situazione di immaturità morale, ad uno stato di adulta razionalità.

Si tratta di visioni frammentarie, residui di una completezza di dottrina, la sua connotazione personale e interpersonale storica; riduzione sempre più accentuata dell’uomo a individuo, soggetto interiore razionale. Negli ebrei agnostici Marx e Freud, si recupera una visione in cui eventi preistorici della socialità umana si ritengono determinanti per spiegare le attuali sofferenze, si recupera la prospettiva interpersonale della storicità umana, ma al di fuori di un dialogo col Dio della Storia salvifica; non parlano più di <peccato>, ma avanzano altre supposizioni, di eventi economici e psicologici, della preistoria umana.

In un secondo tempo, esamineremo teologie del PO in personalità del mondo riformato a noi più vicine, teologi credenti e praticanti in comunità separate dalla comunione cattolica: pur cogliendo considerazioni settoriali valide, ci domanderemo sino a che punto in questo contesto di lacerazione ecclesiale risulti ancora possibile una dottrina completa sul PO.

Il Vaticano II, col suo evidente cristocentrismo, ci indicherà il terreno propizio, il luogo teologico tradizionale e sempre attuale per un rilancio di intelligenza della condizione nativa di PO, del tutto indispensabile oggi per realizzare incremento di vita cristiana, personale, fraterna e solidale, per impostare correttamente le relazioni Chiesa-mondo, per la difesa e promozione dell’uomo.

6.1 Il Peccato originale nella teologia cattolica post-tidentina: Bajo e Giansenio.

E’ per noi importante accennare alle vicende teologiche e chiarificazioni ecclesiali suscitate da Michele Bajo e dai Giansenisti, perché in questa occasione viene ulteriormente chiarificato che il peccato originale, perdita della <santità e giustizia> delle origini, che inerisce in ciascuno per il semplice fatto di nascere nella famiglia umana, non può essere valutato alla stregua di un peccato attuale personale.585

Abbiamo già incontrato Bajo ed il Giansenismo trattando delle relazioni tra il Soprannaturale cristico e la natura: sappiamo come sostenevano il darsi un ordine soprannaturale di tale consistenza e necessità, da doversi escludere anche la possibilità di un uomo non così qualificato dalla grazia soprannaturale: un ordine soprannaturale assolutamente solo.

Tali autori ritenevano questo essere l’insegnamento di Agostino, e che si dovesse ricorrere a Lui come teologo della Grazia e del Peccato originale, unico capace di risolvere le questioni teologiche in corso nella teologia post-tridentina.

M. Bajo (Belgio, n.1515, †1589), nel ricorrere all’autorità di S.Agostino, commette un triplice errore: — di carattere storico-metodologico: attualizzare un autore vissuto più di un millennio prima, senza considerare quanto è mutato nel frattempo nella teologia e nella sua terminologia; per es. circa il significato di Libertà: la terminologia di Agostino è descrittiva, talora

585 Cfr FLICK M.- ALSZEGHY Z., II peccato originale, cit., 168-173

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paradossale. Quando Agostino dice che Adamo con il peccato ha perso la libertà, intende quella capacità di scelta propria di un uomo non insidiato dalla nostra concupiscenza, cioè un possesso totalmente integro di libera scelta. Ora lo stesso Agostino non afferma che con il Peccato originale Adamo abbia perso la capacità fondamentale di scegliere tra il bene ed il male, capacità cioè di libero arbitrio, che rimane, in caso contrario non potrebbe neppure più peccare.

La teologia scolastica aveva sviluppato la dottrina della libertà in quanto libero arbitrio, capacità naturale che rimane, anche se indebolita, dopo il peccato originale.

Bajo intende per libertà non il libero arbitrio, già tenuto presente da Agostino e poi approfondito dalla teologia e filosofia scolastica, ma la libertà integra di Adamo, prima del suo peccato, non indebolita dalla concupiscenza. Evidentemente non si tratta della stessa libertà, e le conseguenze dogmatiche e morali sono notevoli.

dall’errore storico a quello dogmatico: se l’unica libertà è quella di Adamo con la Santità e giustizia dell’Eden, ne segue che tali doni sono esigiti dall’uomo; non si dà vero uomo pos-sibile senza di essi. Ne segue una visione molto pessimistica dell’uomo attuale, in situazione di peccato: non è dotato più di vera libertà, ma o è trasportato dalla concupiscenza per cui pecca, o è portato dalla grazia, secondo la delectatio, l’amore prevalente vincente.La teologia cattolica tradizionale è più serena: certo il PO ha indebolito il libero arbitrio, ma

esso rimane, in modo che con la Grazia, può esercitarsi in una impegnata lotta spirituale, osservare i comandamenti nella carità, pur non potendo senza un privilegio particolare, quello accordato alla Madonna SS, evitare ogni venialità (DH 1537).

Questo nostro attuale stato, anche se storicamente è il frutto del peccato originale redento dalla Croce di Cristo, non è in sé cosi assurdo da non potere essere positivamente voluto da Dio: Dio avrebbe potuto crearci con le attuali concupiscenze (in realtà non lo ha fatto, sono la sequela del PO redento), senza mancare alla sua giustizia (DH 1921, 1926, 1955).

Ma ancora più gravi sono gli errori di valutazione morale che ne seguono:

la libertà con il PO è persa totalmente: ciò significa che la volontà di chi è in stato di PO è dominata dalla concupiscenza, è sempre rivolta al male; il PO originato è valutato come un peccato personale, un attivamente peccare. Il PO risulta univoco (non analogico) con il peccato mortale personale: senza la grazia prevalente, l’uomo pecca in ogni sua azione.Non si contempla la salvezza di chi, senza sua colpa, vive fuori della Chiesa (DH 1947,

1948, 1927).

Questi errori discussi e censurati dalla Sorbonne di Parigi, da Alcalà de Henares e da Salamanca, inviati dall’Università di Lovanio a Roma, furono condannati da Pio V. nel 1566, con la Bolla “Ex omnibus afflitionibus”, in DH 1901-1980: i numeri su riportati si riferiscono a tale Bolla.

Notiamo anzitutto come la Dottrina cattolica evita concezioni massimaliste del PO originato: come se fosse totale distruzione della libertà, come se fosse identico ad un peccato mortale personale, con la condanna eterna di chi non vive vita cristiana nella Chiesa.

Anche l’agostinismo eterodosso dei Giansenisti coltiva una interpretazione massimalista del PO originato, che la Chiesa ha ugualmente respinte.

Secondo Giansenio C. (1585-1658) nello stato paradisiaco l’uomo poteva peccare o non peccare: di fatto ha peccato. La grazia ora concessa all’uomo risulta più grande ed efficace di quella concessa nello stato di grazia originale, perché deve superare le concupiscenze dell’uomo caduto: questa grazia ora agisce infallibilmente, domina l’uomo. Secondo Giansenio tale grazia vittoriosa (delectatio victrix) non viene data a tutti, non viene concessa fuori della Chiesa.

270

Non entriamo in ulteriori particolari storici e dottrinale (controversie suscitate dagli Arnauld: Angelica (1591-1661) e Antonio(1612-l694) controversie che riguardano il Trattato della Grazia: gli errori di Giansenio furono condannati da Urbano VII, 1655, DH 2001-2007.

Voglio solo far notare come in queste prospettive eterodosse, che sono affini a quelle dei Riformati dei sec XVI, sembra doversi decidere tra la libertà di Dio e quella dell’uomo: ciò che si concede all’uomo sembra essere sottratto a Dio, alla sua grazia vittoriosa.

La posizione cattolica pur nel riaffermare la trascendenza di Dio e anche di Cristo (il Pleroma, pienezza di ogni grazia del Crocifisso glorioso, la sua Signoria universale) non coltiva antagonismi tra Dio e l’uomo: la grazia della Croce gloriosa di Cristo lo riabilita per l’esercizio sereno, impegnato di una vittoriosa lotta sul male, nel contesto della vita ecclesiale-sacramentale; ma anche a chi, senza sua colpa, vive al di fuori della sacramentalità della Chiesa viene concessa, nel modo che Dio conosce, la partecipazione alla Pasqua redentrice di Cristo (G S n 22; L G 14).

La grazia misericordiosa del Crocifisso glorioso non stende al tappeto la libertà dell’uomo, non si sostituisce ad essa, ma la risana, la corrobora, la trasfigura nel suo impegnato e fiducioso esercizio di corrispondenza e collaborazione.

6.2 Razionalizzazioni del P.O. nei secoli XVIII e XIX.Il PO ci parla della situazione storica dell’uomo davanti a Cristo, fondamento della

creazione, operante la Redenzione: considera l’uomo nelle sue dimensioni solidali di grazia e peccato, con influsso sul cuore umano, l’esercizio della sua libertà. Conosciamo lo stato nativo del PO, in modo esplicito, solo dalla Rivelazione, nel Mistero di Cristo annunciato e celebrato nella sua Chiesa apostolica.

Il PO, nelle sue dimensioni di natura universale, di libertà personale, può essere variamente “razionalizzato”, secondo i parametri di sistemi, ideologie filosofiche, storico-sociali.

Accenniamo in primo luogo ai sistemi razionalisti dei sec.XVIII e XIX, con la propria visione essenzialista della natura umana; seguirà un rapido cenno alle riduzioni del PO in sistemi psicologici e socio-economici, che conservano prospettive storico-solidali della natura umana: come in essi vengono ideologizzati gli “archetipi” (paternità- maternità, sponsalità, fratellanza, comunità di lavoro) fondamentali della socialità umana .

Nella filosofia dei“lumi”, le correnti più disparate e discordi, sono sempre unite nel contrastare l’insegnamento ecclesiale sul PO. Tutti sono sostanzialmente d’accordo che la nascita della coscienza morale non è preceduta da alcuna corruzione originaria; tutti ammettono che il progresso morale consiste nello sviluppo della ragione, per cui, progressivamente, la libertà giunge ad armonizzare le nostre inclinazioni sensitivo-egoistiche, e costruire una società sempre più conforme alle norme morali universali.586

Superamento del Peccato originale, considerato non sequela di un evento peccaminoso del passato, ma lo stato naturale di incoscienza etica, cui deve seguire il risveglio stesso dell’uomo, il costituirsi della personalità morale.

Più articolato, con reminiscenze di “rivelazione”, si presenta il pensiero di Kant: il male consiste sempre nell’uso distorto della libertà. Il solo fatto della presenza nell’uomo di inclinazioni egoistiche non è in se stesso ancora male. Il risveglio della ragione fa passare dallo stato dell’istintività naturale allo stato di libertà, cioè l’osservanza della norma universale. Il <peccato originale> secondo <ragione> si manifesta nel semplice risveglio della coscienza che lotta con l’istintività egoistica.

586 Cfr VANCOURT R., Le péché originel selon Rousseau, Kant, Hegel, in GUILLUY P., ed. La culpabilité fondamentale. Péchè originel et anthropologie moderne, Duculot Gembloux-Centre interdisciplinare de Lille, 1975, 106-129.

271

Tale risposta è ancora insufficiente per il filosofo di Konisberg: afferma l’esistenza in ogni uomo di un “male radicale”; l’uomo, buono per natura, ha fatto una prima decisione contro la norma universale. La scelta iniziale è stata fatta contro la norma, per il male; essa pesa sulla nostra vita morale ulteriore, pur non impedendola.

Non si può saperne di più: l’esperienza è lì per conformare che il “male radicale” è universale. Kant ammetterebbe che Cristo ha fatto una scelta diversa dalla nostra; il dogma dell’Immacolata concezione significherebbe, se ammesso da Lui, lo stesso anche per Maria SS.587

Hegel: è ancor più razionalista; possiamo così riassumere il suo pensiero:

Lo stato di natura è buono: comunione inconscia con Dio Nel risveglio della ragione umana, l’uomo riflettendo su se stesso si separa dalla natura,

prende coscienza di se: sperimenta un movimento della volontà che porta alle tendenze egoistiche; parimenti un movimento contrario che porta a seguire il razionale, puro contenuto del volere, l’universale, che invita a sacrificare le soddisfazioni del bene individuale e contingente.Così con la conoscenza riflessa sorge la coscienza del bene e del male, dell’opzione che si

impone all’uomo, di cui non c’era problema nello stato anteriore di innocenza stupida.

Non decadenza da uno stato precedente, ma l’inizio del processo: separato dalla natura, mondo e Dio, l’uomo si percepisce diviso in se stesso, dolorosamente; un male necessario: ( felix culpa) per un bene più grande, un’altra unione con l‘Assoluto, più conforme alla natura dello Spirito, una unione cosciente, voluta, riflessa, detta riconciliazione.588

Il Peccato originale è questa tappa necessaria del farsi uomo, non ha una dimensione storico-sociale Si considera l’umanità come un’essenza, si recusano, non si considerano le realtà storico-comunitarie, le persone concretamente solidali nel bene e nel male.

6.3 Riduzioni storico psicologiche e storico sociali negli ebrei Marx e Freud:

Se il razionalismo dell’interiorità ha eclissato alquanto le nozioni di unità umana, come solidarietà storica, la dimensione biblica dell’umanità, come totalità storica e concreta, ricompare nelle riletture secolarizzate di due ebrei Marx e Freud.

Inoltre Marx e Freud parlano anche di un evento della storia umana, un peccato originale originante, causa della situazione generale del disordine umano attuale.

Per quanto riguarda l’insegnamento di Marx- Engels , riporto una tabella di LAFONT G., 589

Gens (preistoria) Civilizzazione Società senza classiMatrimonio Matrimonio Matrimonio monogamico

587 Cfr RONDET H., Le péchè originel dans la tradition patristique et théologique, cit. Cap. XVI, 249-260: Kant e il male radicale.

588 Cfr POTTIER B., Le péché originel selon Hegel, Commentare et synthèse critique, Cultur et vérité, Namur 1990; RONDET H., Le péchè originel dans la tradition patristique et théologique, cit. Cap. XVII,: L’eredità di Kant e di Spinosa, 262-266: riporta una lunga citazione di Hegel interprete della Genesi, in base alla sua concezione, metafisica e critica, della conoscenza umana; i Dogmi vengono laicizzati, la salvezza è un’auto redenzione, l’accento si sposta sulla filosofia della conoscenza. Rondet H, cit. 267s, parla della reazione a Hegel di Kierkegard; 269-277,della sistematica di andatura razionalista di Schleiermacher, al cui centro si trova Cristo.

589 LAFONT G.,Dieu et le temps et l’être, cit., 40; IMODA F., Sviluppo umano, psicologia e mistero, Piemme, Casale Monferrato 1993, 49 spiega, in rapido accenno, perchè Marx e Freud riducono “la domanda religiosa, l’inquietudine del cuore, frutto della dinamica trascendente dello spirito” a dinamiche economiche o istintivo-psicologiche: « Se la risposta deve essere ad ogni costo socio-economica o psicologica, anche la domanda deve essere socio-economica e psicologica. E viceversa: dato che la domanda è esclusivamente socioeconomica o istintivo-psicologica, anche la risposta dovrà essere socio-economica o istintivo-psicologica ».

272

monogamico instabile aperto

monogamico indissolubile

d’amore; possibilità di unioni successive

Divisione spontanea del lavoro tra uomo e donna; eguaglianza

Antagonismo di classe tra uomo e donna, asservimento della donna

Uguaglianza giuridica dell’uomo e della donna, partecipazione della donna al lavoro pubblico

Menage comunista collettivo, dominanza patriarcale

Proprietà privata individuale maschile

Proprietà comune

Bambini comuni della gens

Bambini all’interno della famiglia

L’educazione dei figli é affare pubblico

Nella prima colonna si descrive ciò che Marx-Engels ritengono sia avvenuto a livello di Famiglia, organizzazione del lavoro, del gruppo sociale, dell’educazione dei figli, nella preistoria.

Nella colonna centrale le alterazioni avvenute in seguito alla civilizzazione, che rappresenta quindi un evento storico originario con dimensioni peccaminose.

La terza colonna il futuro della società comunista per quanto riguarda Famiglia, relazioni uomo-donna, proprietà dei mezzi di produzione, educazione dei figli.

Freud interroga invece la coscienza: l’intensità del sentimento di colpevolezza presso l’uomo proviene dal ricordo permanente, in ciascuno, del parricidio compiuto agli inizi per la gelosia del possesso esclusivo della donna da parte del Padre; di qui la sublimazione del Padre, il monoteismo giudaico, consolidato dall’uccisione di Mosè; il sacrificio compensatore del Figlio nel Nuovo Testamento.590

Queste riletture della storia dell’umanità devono confrontarsi: con le scienze preistoriche, che non concordano; così pure con le scienze psicologiche e sociali, nelle loro dimensioni sperimentali.

Soprattutto: il male sembra necessario, legato al semplice sviluppo della civiltà (Marx- Engels), né si comprende come si possa avere la speranza di superarlo; prospettive ondeggianti tra un ferreo monismo, ed un disperato dualismo. Manca totalmente la dimensione teologica e cristologica. 591

590 GRELOT P., espone le ipotesi di Freud sul Peccato originale e la Redenzione, fa osservazioni critiche, esaminando l’informazione etnologica e storica del fondatore della Psicanalisi, la sua conoscenza dei Testi biblici: GRELOT P., Péché originel et Redemption à partir de l’épitre aux romains, Desclée, Paris 1973, 20-59.

591 “Sciences humaines et péché de l’humanité” è l’utile cap. IX di GUILLUY, P. nell’opera da Lui diretta, La culpabilité fondamentale, cit 165-174, ove esamina le aperture delle scienze umane al senso della responsabilità comune, in cui si può situare meglio l’insegnamento della rivelazione. Anche la FR n. 76 dice: “Tra glie elementi oggettivi della filosofia cristiana rientra anche la necessità di esplorare la razionalità di alcune verità espresse dalla S. Scrittura, come la possibilità di una vocazione soprannaturale dell’uomo ed anche lo stesso peccato originale”. Dice ancora Guilluiy, pag. 180: “Se la nostra esistenza fondamentale è quella cui Dio ci ha chiamato, e che noi realizziamo nella relazione al suo amore, essa non può avere come ambiente fondamentale che le altre persone. Solo la relazione intersoggetiva fondamentale a Dio e correlativamente alle altre persone, è costitutiva del nostro essere, come sottolineano molti esistenzialismi e personalismi cristiani….”.

Queste riduzioni del PO in una razionalità deista, o in dimensioni storico-sociali chiuse nell’immanenza, appellano ad una loro integrazione nella prospettiva Teologico-Cristologica rivelata propria del PO: come sta per nascita ogni uomo, nella sua natura interpersonale qualificata dal Verbo incarnato, davanti al Crocifisso glorioso. Trento ha corretto l’errore di considerare solo, emotivamente, l’aspetto “materiale” del PO, la “concupiscenza”. La natura interpersonale dell’uomo ha radici più profonde, qualificate da Cristo alfa della creazione, redente nell’interpersonale ecclesiale, dalla sua Croce gloriosa. Ora la dimensione Rivelata del PO, l’aiuto per la sua intelligenza di una Antropologia filosofica, accoglie e anche richiede, nel suo contesto, dell’aiuto delle scienze storico-sociali e psicologiche. Il Magistero di Giovanni Paolo II dà sobrie indicazioni. Una proposta, scientifica, la possiamo trovare nel lavoro di L.M. RULLA, Antropologia della Vocazione cristiana, I, Basi interdisciplinari, Piemme, Casale Mon., 1985,

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6.4 Il Peccato originale in due Teologi riformati : K. BARTH e P. RICOEUR. K.BARTH:La sua dottrina sul Peccato originale si muove tra la dialettica accecante dei primi due

commenti della Lettera ai Romani, ed il ricupero di alcune dimensioni rivelate nella Dogmatica ecclesiale.592

Nel duplice commento alla lettera ai Romani l’essere creatura equivale ad essere peccato; la redenzione in Cristo coincide col ritorno all’unità tra il Creatore e la sua creatura. In questo essenzialmente consiste la dialettica Adamo-Cristo.593

Nota von Balthasar: “Caduta e redenzione sono eventi totali, universali, il singolo non può avere un’importanza

decisiva là dove l’unità della predestinazione lo manifesta solidale con tutti.

La dialettica è qui quel movimento che tutto coinvolge. Il suo radicalismo cristiano è ipercristiano e quindi non cristiano; assolutizza un metodo (dialettica conoscitiva), e tutti i misteri divini vengono da esso costretti alla tortura di questo metodo, e investiti dall’abbagliante luce dei proiettori della dialettica, in una immediatezza paradossale che li distrugge in quanto misteri. Qui giace ancora una volta l’elemento hegeliano. Ma in ciò decisivo è il fatto che il cuore del cristianesimo, l’incarnazione, diventi impossibile. Là dove il divino tocca il mondo solo “come la tangente tocca il cerchio” 594, e l’infinita differenza qualitativa è in realtà l’unica relazione di Dio con il mondo, non è possibile una vita di Cristo, bensì soltanto una morte di Cristo quale senso e somma dell’incarnazione.” 595

Barth si rese poi conto che la semplice dialettica dissolve i soggetti tra i quali si opera l’evento teologico: Dio e la creatura. Il cammino successivo è il passaggio da una filosofia dialettica, rivestita di Teologia, ad una Teologia dei contenuti rivelati, con l’aiuto di una filosofia secondo necessità.

Dalla dialettica dei Römer briefen all’analogia entis, nel contesto dell’analogia fidei. sviluppata nella Die Kirchliche Dogmatik,: un ordine articolato tra creazione (natura creata buona) e l’Incarnazione (il Soprannaturale): solo una creatura (l’altro da Dio) può essere invitalo alla Comunione dell’Alleanza, ma restando creatura libera davanti a Dio; siamo creati e restiamo creature, per essere partner dell’Alleanza, che é sempre ulteriore dono gratuito di Dio.

Rimane ancora l’impedimento della mentalità riformata di fronte alla condiscendenza della Grazia divina, che si serve anche della natura e delle condizioni umane, per raggiungere meglio l’uomo: Grazia della Croce presente nell’Eucaristia, kenosis massima, gratuità pura; di fronte a tanta prodigalità, il protestante indietreggia spaventato.596

specialmente 206, nel contesto del cap. IX. La FR nei nn 29-35 ci parla de “I differenti volti della verità dell’uomo”, enumerando, al n 30, le verità sperimentali, filosofiche e Religiose: la Filosofia dà una prima visione generale, sul senso della nostra esistenza; NS Gesù Cristo, la Verità dell’uomo, ci offre una risposta piena. La Psicologia della Vocazione Cristiana può completare, al suo livello, psicologico, i dati Teologici-filosofici. La bontà e l’utilità dell’operazione, dipende dalla fedeltà al quadro teologico-filosofico, da un corretto utilizzo dei dati sperimentali. Cfr il breve commento al n 30 di FR, di HENRICI P, La Verità e le verità, in AAVV, Per una lettura dell’enciclica Fides et Ratio, (=Quaderni dell’Osser. Romano 45), Città del Vaticano, 1999, 75-83.

592 Studio di riferimento: von BALTHASAR H.U., La teologia di Karl Barth, Jaka Book, 1985: il primo Römer brief (1919) 78-82. Il secondo Römer brief (1922), 82-86. Testi del secondo Römer brief: K. BARTH, L’epistola ai Romani, a cura di G. MIEGGE, Feltrinelli, 1962; RONDET H., Le péchè originel dans la tradition patristique et théologique, cit. 322-324.

593 Cfr BARTH K., L’epistola ai Romani cit.,145-154 594 BARTH K., Epistola ai Romani cit 6595 von BALTHASAR H.U., La Teologia di K. Barth., cit. 86596 cfr Ivi, 410-413

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Inoltre l’accecante sicurezza della Predestinazione barthiana sembra riportarlo a prospettive “attualistiche” (solo Dio opera la salvezza), nuovamente dialettiche, in cui non si vede come sussi-sta la libertà della creatura umana597 .

La Dottrina barthiana sul Peccato originale è esposta in: Die Kirchiliche Dogmatik, vol. IV, T. I, XIV, par.60 ; nella traduzione francese ha il titolo :“L’orgueil e la chute de l’homme”. Il suo discorso teologico è fondato sulla dimensione Cristologica del peccato: il peccato lo conosciamo solo quando conosciamo Gesù Cristo (35; 62-66). Peccato come orgoglio dell’uomo: essere come Dio, il paradosso, la pura assurdità che fa scoppiare l’uomo (68). La ribellione di Gn 3 e le sue conseguenze (85-88). Il “genere letterario” di Gn 3 descritto come “leggenda”: “ Il mezzo per il quale si tratta di attestare profeticamente[…..] ciò che è avvenuto secondo la Parola di Dio, in un quadro (storico-geschitliche) che sfugge al controllo, della scienza storica […] la leggenda biblica afferma che la storia universale è iniziata con l’orgoglio e la caduta dell’uomo[…]. Ciò che ha fatto Adamo il primo giorno, nel momento in cui ha incominciato ad esistere con il suo prossimo, nell’istante in cui ha dovuto prendere decisioni responsabili davanti a lui ed a Dio, è ciò che tutti gli uomini hanno fatto, fanno e faranno. La prima azione si riproduce lungo tutta la storia” (163-s).598

La <forma mentis> protestante non può dire di più: le manca una fede completa sul Mistero eucaristico, l’incorporazione piena dei Battezzati, per la partecipazione al Corpo eucaristico del Signore, alla Comunione solidale del Corpo ecclesiastico (cfr 1 Cor 10,16s), che ci strappa dalla solidarietà peccaminosa adamica, iniziata alle origini di una Storia salvifica, tutta sotto la Signoria della Croce gloriosa di Cristo; la sua grazia riconciliatrice corrobora, qualifica ma rispetta la libertà dell’uomo.

P. RICOEUR: In occasione del conferimento del premio Paolo VI, il filosofo-teologo francese riconosceva

che

“ La prima parte del mio lavoro filosofico è stata una riflessione al livello della sua espressione [del male] nei simboli, nelle figure, nei miti, nella grandi espressioni filosofiche–teologiche; si dà là solo un aspetto della questione. Nella mia opera, posso dire di avere su questo punto una evoluzione progressiva. Sono partito da una sensibilità estrema alla colpevolezza, che non ho difficoltà a ricondurre alla mia educazione luterana e calvinista”599

Con questo riconoscimento, ci riferiamo ad una sua opera giovanile: Finitudine e colpa 600. Qui viene esaminata la simbolica del male, privilegiando i simboli “primari” delle confessioni dell’impurità, peccato, colpevolezza; è questa confessione che va ascoltata in primo luogo: il mito cerca già di individuare la causa dell’infelicità e della caduta umana, non può collocarsi sul piano di una intenzionalità originaria. 601

P. Ricoeur classifica i miti di origine in quattro gruppi, che già conosciamo dallo studio del testo ispirato di Gn 1,1-2,4:

Teogonico, teomachico, dal caos iniziale, attraverso la lotta malvagia, ad una certa parvenza di bene, come in Enuma Elish

Tragedia greca: la teologia inconfessabile del dio che acceca e fa peccare.

597 cfr Ivi, 187-266598 Le pagine indicate sono del testo francese, Dogmatique, IV, La Doctrine de là reconciliation, T. 1°, Ėdition

Labor et fides, Genève, 1966. La parte della Dogmatica ecclesiale riguardante la predestinazione (II,2) è stata tradotta in italiano: K. BARTH, La Dottrina dell’elezione divina, a cura di A. MEDDA, UTET.

599 Risposte del Prof. P. Ricoeur, in Notiziario dell’Istituto Paolo VI, n 45, luglio 2003, Conferita a Paul Ricoeur la quinta edizione del premio internazionale Paolo VI, 38.

600 RICOEUR P., Finitudine e colpa, introduzione di V. Melchiorre, ed. Il Mulino, 1970601 Per la valutazione del simbolo e del mito nell’uso religioso, in riferimento all’interpretazione di Ricoeur, cfr le

riflessioni di GRELOT P., Péché originel et Redemption à partir de l’épitre aux Romains, Desclée, Paris 1973, Psycologie et herméneutique des symboles, 50-53.

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L’Anima esiliata e caduta quaggiù: Orfismo, Platone (Origine) Creazione buona e caduta in Adamo.

Preferisce il tipo Adamico, ma non rifiuta del tutto i primi due: la tragi-logica dell’essere, che può già manifestarsi in qualche modo in una cristologia-teologia del Dio crocifisso (602-s).

Quale rapporto si dà tra il mito e la storia umana?: Ricoeur non affronta il problema del rapporto tra il testo ispirato di Genesi e il mistero dell’inizio temporale del cosmo e dell’umanità; si limita a dire: “ogni sforzo per salvare la lettera del racconto come vera storia è vano e disperato, ciò che sappiamo come uomini di scienza sugli inizi dell’umanità non lascia luogo ad un avvenimento primordiale siffatto”(500). L’interpretazione antropologica è sufficiente a se stessa: il mito Adamico considerato “Peccato originale” viene valutato: “ Una razionalizzazione di secondo grado, non è che una falsa colonna (dell’edificio giudeo-cristiano). Non si dirà mai abbastanza quanto male ha fatto alle anime”.(504).

Quale la funzione del mito Adamico?. E’ triplice: come universalizzazione dell’esperienza, come instaurazione di una tensione tra un principio ed una fine, come indagine dei rapporti tra l’originario e la storia (ivi).

Quale insegnamento ?: “Interpretare lo stato di innocenza e quello di peccato non più in successione, ma in sovrimpressione; il peccato non succede all’innocenza, ma nell’istante la perde. Nell’istante sono creato: infatti la mia bontà primitiva è la mia condizione di essere creato; io non cesso di essere creato, di essere buono. Il peccato ha un bel essere più antico dei peccati, l’innocenza è più antica di lui. Questa anteriorità dell’innocenza al peccato più antico è la cifra temporale della profondità ontologica.

Attraverso il mito l’antropologia è invitata anzitutto a raccogliere tutti i peccati del mondo in una specie di unità transtorica, simboleggiata dal primo uomo, poi a riempire di contingenza il male radicale, infine a mantenere in sovrimpressione la bontà dell’uomo creato e la malvagità dell’uomo storico, pur “separando” l’una dall’altra con l’avvenimento “che il mito racconta come primo peccato del primo uomo” (517-s). 602

Il peccato originale è una razionalizzazione di secondo ordine, un cosi detto “dogma”, concetto o pseudo concetto, antignostico nel suo sfondo “gnostico nel suo enunciato”. “Io penso che bisogna distruggere il concetto come concetto per comprendere l’intenzione del senso: il concetto del peccato originale è un falso sapere e deve essere rifiutato come sapere; sapere quasi giuridico della colpevolezza del neonato, sapere quasi biologico della trasmissione di una tara ereditaria, falso sapere che racchiude in una nozione inconsistente una categoria giuridica di debito ed una categoria biologica di eredità”.(266)

Come riconosce lo stesso Ricoeur ricevendo il premo Paolo VI, ritroviamo una <forma mentis> protestante, che non conoscendo la Celebrazione di una Eucaristia che ci inserisce nel Corpo ecclesiale del Crocifisso glorioso, strappandoci dalla solidarietà peccaminosa adamica, si muove alquanto al margine di questa chiave ermeneutica storica unificante, indulgendo ad indagini particolari, ma di grande interesse.603

Tenendo presente che il pensiero del filosofo francese è in continuo sviluppo, ricordando che nelle sue opere non si ripete mai, introduce nuove intuizioni nei temi di base del suo pensiero, possiamo cercare un primo abbozzo di valutazioni:

602 Nella stessa opera Ricoeur P. interpreta il significato delle domande del Serpente (Gn 3) della donna .(519-526). Cfr BEAUCHAMP P., L’uno e l’altro testamento, 2, Compiere le Scritture (=Biblica 1), Glossa, Milano 2001, cap. III, L’uomo, la donna , il serpente, 105-152.

Per il Significato del Peccato originale vedi inoltre: Le conflit des interpretations, essais d’hermeneutique, Seuil, Paris 1969, 265-292

603 Troviamo un primo orientamento in B. POTTIER, Interpreter le péché originel sur le traces de G. Fessard, N R T (1989) 809-814; RONDET H., Le péchè originel dans la tradition patristique et théologique, cit. 324-326.

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a) distinguere tra Filosofia della religione (religione nelle prospettive di un riformato) e Teologia, come intelligenza del Mistero di Cristo, ricapitolatore della storia salvifica dell’uomo, Mistero confessato (dottrina della fede) e celebrato nella Chiesa apostolica 604

b) la dottrina del Peccato originale presenta nella storia del pensiero cristiano, come suo luogo privilegiato di legittima esplicazione, la confessione-celebrazione del Mistero pasquale di Cristo nel Battesimo ed Eucaristia, specialmente nel contesto della Liturgia della Veglia pasquale (vedi Omelia pasquale di Melitone di Sardi): è una esigenza necessaria di questa confessione-celebrazione del Mistero pasquale di Cristo; le confessioni “primarie” esaminate da Ricoeur rappresentano una base, luogo ancora inadeguato.

c) Ricoeur cerca di superare un trascendentalismo kantiano, che può appena sfiorare il noumeno, abbonda in interessanti analisi fenomenologiche, antropologiche: ma questa filosofia è del tutto adeguata per l’intelligenza e l’espressione del mistero di Cristo fondamento della Creazione, operante le Redenzione? Il Crocifisso glorioso ci dona, partecipa, la sua Pienezza divina-umana, attraverso le autentiche mediazioni subordinate di Grazia nella Chiesa apostolica, la sua maternità, il cui tipo personale, perfetto, è Maria SS .

d) Il pensiero di Ricoeur, che ho cercato di esporre, riguarda le sue opere giovanili, e sarebbe interessante constatare l’evoluzione di un pensiero che si è protratto sino al di là dei novant’anni, restando, ritengo, nella sua <forma mentis> calvinista, ma con molta attenzione ecumenica alle tradizioni dottrinali delle altre Comunità e Chiese: per questo ha ricevuto il Premio Paolo VI.605

7 Peccato originale nei tempi del Vaticano II 7.1 La teologia neo-scolastica.

Si tratta del modo di esprimere i contenuti della Rivelazione, di cercarne intelligenza, più diffuso nei decenni che hanno preparato il Vaticano II, specialmente a livello di comunicazione nei manuali ad uso scolastico. 606

Il modo di procedere, nell’organizzare la teologia del PO, seguiva il dato scritturistico, secondo i cinque canoni di Trento: peccato dei Progenitori, perdita per tutto il genere umano della <santità e giustizia> originali, dei doni preternaturali dell’integrità e dell’immortalità con l’insorgere della <concupiscenza>; specialmente la perdita del dono soprannaturale della santità, privazione di grazia dovuta, che rende impossibile la scelta di Dio amato sopra ogni cosa, una coerente e perseverante vita morale. Solo l’accoglienza della grazia sanante del Crocifisso glorioso nell’evento battesimale, che inserisce nel corpo ecclesiale, ed abilita ad una vittoriosa lotta spirituale, può superare lo stato peccaminoso originale.

La debolezza insita nella presentazione di queste sempre valide definizioni, che ne rendeva difficoltosa l’intelligenza e la catechesi, risiede specialmente in ciò che già conosciamo come debolezza del fare teologia di questa corrente di pensiero: un tendenziale scollamento tra il soprannaturale cristico e la natura umana.

604 Fessard, come riporta Pottier op. cit., distingue tre stroricità: fisica-cosmica, naturale umana, soprannaturale: il PO richiede, per essere inteso come verità rivelata, quest’ultima storicità, articolata con quella umana naturale, nel quadro cosmico. Il PO appartiene al nostro tempo, le cui caratteristiche (Cristo α della creazione) sono come concentrate in questo punto di origine. Non si può ridurre l’insegnamento del PO, come dice Ricoeur , <ad un simbolo della rottura di due regimi ontologici>, lasciando ogni aspetto di avvenimento storico.

605 Per gli eventi di questo conferimento, la conferenza stampa che ha preceduto la cerimonia vaticana alla presenza di Giovanni Paolo II, oltre al n 45 del Notiziario dell’Istituto Paolo VI, cfr Studium, 5, Settembre-Ottobre 2003, numero in Omaggio a P. Ricoeur, studi sul tema «Il dono delle lingue, la traduzione e l’esperienza dell’alterità».

606 Cfr KOSTER H., Urstand, Fall und Erbsunde. Von der Reformation bis zur Gegenwart, vol. II, fasc. 3 c, di Handbuch der Dogmengeschichte, Herder, Freiburg, Basel, Wien 1982; Id. Urstand, Fall, Erbsunde in der katolischen Teologie unseres Jahrhundert, Pustet, Regensburg 1983

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Le conseguenze che possiamo notare in questa non del tutto corretta impostazione sono molteplici nel campo della teologia del PO. Anzitutto i rapporti tra i due Adamo: la solidarietà salvifica è tutta qualificata dall’essere creati e redenti in, per, verso Cristo, qui sta la vera unità della Famiglia umana. Una esposizione teologica in cui il livello soprannaturale può sembrare quasi aggiunto a quello naturale, tende a dare una importanza eccessiva, troppo indipendente al primo Adamo: certamente la responsabilità del peccato originante è sua, con lui viene persa la <santità e giustizia> delle origini, ma Cristo rimane l’alfa qualificante l’umanità, anche se il cammino verso il ricupero della pienezza di questa qualità cristica. beatificante e trasfigurante l’intera umanità, passa attraverso la via della Croce, la conversione battesimale.

Tutto il discorso teologico sul PO parte correttamente dalla Croce gloriosa di Cristo: è davanti a Lui che offre alla libertà dell’uomo la grazia abbondante della Redenzione, che ci restituisce nel corpo ecclesiale la capacità di essere mediatori subordinati della sua grazia, che possiamo intendere il nostro stato nativo peccaminoso, personale e interpersonale. Abbiamo già notato come, per un procedimento analogo, partendo da Dio dell’Alleanza, sotto la guida dello Spirito Santo, lo scrittore sacro ha redatto la Preistoria biblica, narrata la creazione del mondo e dell’uomo, affermata l’unità salvifica della famiglia umana ricondotta ai Progenitori; in questo contesto si afferma il significato della famiglia monogamica, del lavoro, dell’educazione e della cultura, il tutto insidiato dalle conseguenze universali del peccato delle origini.

Ma tutto questo complesso di dati viene confermato e approfondito nella relazione al secondo Adamo, Crocifisso glorioso, di cui il primo è un semplice abbozzo prefiguratore, peccatore (cfr Rm 5,14).

Partendo dal Crocifisso glorioso, per discendere sino agli inferi peccaminosi della solidale famiglia umana, ci muoviamo con più coerenza, secondo i migliorati rapporti tra il Soprannaturale cristico e la natura umana interpersonale: molti i vantaggi per l’intelligenza teologica del PO.

Si esprime con più correttezza il danno religioso e umano provocato dal peccato delle origini: non riporta semplicemente l’uomo allo stato di natura pura, che in modo autonomo, o quasi, non esiste né prima del peccato, né dopo il peccato; insufficiente, tendenzialmente errato “un assioma spesso ripetuto, che ha la sua origine in Gaetano: l’uomo in stato di peccato originale differisce dall’uomo in strato di natura pura, soltanto <tamquam spoliatus a nudo>, cioè come un uomo spogliato dei suoi vestimenti differisce da un uomo che è stato sempre nudo.” 607

In realtà l’uomo in stato di peccato originale non sfugge all’ordine soprannaturale cristico, l’unico esistente per tutti, anche se il ricupero della <santità e giustizia> delle origini, secondo la misura di Cristo Alfa della creazione, in tensione verso Cristo Omega, passo ora attraverso il Crocifisso risorto, nella Chiesa con-crocifissa, nella partecipazione alla Croce di Cristo, una sana e vittoriosa lotta spirituale; anche nel Battezzato si danno residui della peccaminosità originale: pensiamo alla <concupiscenza>, alla difficoltà del sano esercizio dell’intelligenza nelle realtà religiose, soprannaturali e naturali.

In questo campo dell’esercizio corretto delle capacità conoscitive umane, mai distrutte, e al battezzato nella Chiesa reso nuovamente possibile, poniamo anche la discussione teologica sull’unità della famiglia umana. Già l’Humani generis (DH 3897) ne parlava unicamente in relazione alla Dottrina definita del PO; anche in questo caso si parte dal Soprannaturale cristico, la luce della rivelazione permette di discernere le sue esigenze, nel terreno concreto dell’unità salvifica solidale della famiglia umana. E’ questo il terreno concreto in cui situare le esigenze dell’interpersonale spirituale-biologico coaffermato nella definizione tridentina del PO; anche il Vaticano I afferma che la luce della Rivelazione è di aiuto al sano esercizio dell’intelligenza umana nel campo dei valori religiosi naturali.

607 FLICK M. – ALSZEGHY Z., Il Creatore, l’inizio della salvezza, Lib. Ed. Fiorentina, 1964, 495

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La teologia dei decenni precedenti il Vaticano II sperimentava queste tensioni, ma si trattava di stimoli di crescita, per una migliore intelligenza ed esposizione delle Definizioni di Trento, professate senza incertezze, con solidi frutti di orientamento nella vita spirituale e morale, l’educazione religiosa.608

7.2 La Dottrina sul PO nei testi e nella riforma liturgica del Vaticano II

Vorremmo indicare a grandi linee la stagione favorevole che la teologia può trovare ora, nell’insegnamento e impostazione del Vaticano II, così come poi è stata sistematicamente coltivata e prolungata nel Magistero di Giovanni Paolo II, ed ora di Benedetto XVI.

Che viviamo una stagione di pensiero del tutto favorevole all’intelligenza della fede risulta facilmente da quanto ormai sappiamo della teologia e definizioni di quella situazione nativa solidale davanti al Crocifisso glorioso che ha preso il nome di Peccato originale: si tratta di un senso pieno, spirituale della Scrittura. Viene sviluppato, esplicitato, come in Paolo, quando Cristo Signore universale, di cui vive la sua Chiesa, evangelizza e illumina, redime la totalità delle situazioni umane.

Ciò è avvenuto anche in quel periodo favorevole alla intelligenza della Fede, ai tempi di Agostino, quando una Cristologia e Pneumatologia ormai consolidata (Concilio di Nicea e Costantinopoli, già nell’atmosfera di Efeso e Calcedonia) viene ad illuminare quell’epoca di passaggio e travaglio culturale, quale è stata la decadenza della società romana e la sua apertura alle forze fresche e irruenti dei nuovi popoli.

E’ avvenuto ancora, almeno come orientamento fondamentale, nella grande crisi della società europea del XVI sec., che ha portato alle essenziali definizioni di Trento.

Mai come nel Magistero del Vaticano II il Mistero di Cristo è stato con tanta intensità e sistematicità posto nel cuore della celebrazione, annuncio, vita della Chiesa, dei suoi rapporti col mondo. La sua Chiesa, che di Lui vive e si alimenta in tutta la sua consistenza e articolazioni, bene inserita nella totalità delle comuni questioni umane, può, nella luce di Cristo e del suo Spirito Santo, scendere, per tutto risanare, sino alla infetta radice adamica della situazione umana.

L’operazione di intelligenza del mistero di Cristo già realizzata da Paolo nella discesa storica, sino ad Adamo, in Rm 5,12-21, e dal suo compagno di viaggi missionari, Luca nel suo Vangelo 3,23-32, viene ora rinnovata da una Chiesa, Luce delle genti per lo splendore di Cristo che la abita.

Il Vaticano II non ha sentito l’esigenza di interessarsi direttamente della Dottrina del peccato originale, che non conosceva sostanziali difficoltà; ha sentito ugualmente l’esigenza di rinnovare la sua consapevolezza della nativa peccaminosa situazione davanti a Cristo iniziando sia la riflessione sul Mistero celebrato (SC 5-6), sia sulla natura della Chiesa (LG n 2), sia sulla Sacra rivelazione (DV n 3).

Concentrandosi su queste dimensioni costitutive della vita ecclesiale, ha posto soprattutto in rilievo la fecondità del Mistero di Cristo che viene così al illuminare e fondare la vitalità della Chiesa stessa, quando nella GS avvicina la totalità delle questioni umane.

Il peccato delle origini, non è mai dimenticato dalle tre Costituzioni dogmatiche; la situazione peccaminosa nativa che altera in profondità le dimensioni fondamentali religiose-

608 Cfr MOSCHETTI S., La teologia del PO: passato, presente, prospettive, Civ. Catt. 1989 I 245-258; Id., La teologia contemporanea sul peccato originale: alcuni orientamenti, La Rivista del Clero italiano LIX (1978) 2-11. La Bibliografia più completa sugli scritti recenti, in SCANZIANI F., Solidarietà in Cristo e complicità in Adamo. Il PO nel recente dibattito in area francese, Glossa, Milano 2001; POTTIER B., Interpréter le péchè originel sur le traces de G. Fessard, in NRT 111 (1989) 801-823. Tutti gli autori che cercano il senso completo della vita umana, parlano del PO: MOUROUX J., Senso cristiano dell’uomo, Morcelliana, Brescia 1966, 136-146.

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comunitarie, viene ricordata in quanto superata e vinta dalla nuova situazione tutta illuminata e risanata dalla Croce gloriosa di Cristo, un programma religioso e sociale da portare avanti.

Doni del tutto positivi, che ricostruiscono il progetto di Dio, progetto di comunione e di vita; ma sia il faticoso cammino dei lavori conciliari, sia le difficoltà del post-concilio, avvisano come la luce, la vita hanno sempre a che fare, contrastare, incomprensioni e lacerazioni, tenebre.

La Gaudium et spes, per il suo compito proprio di trattare le dimensioni umane comuni a tutti gli uomini, quindi con una discesa più esplicita nelle comuni radici adamiche (n 13), ha avvertito maggiormente l’urgenza di porre in luce la terribile battaglia tra la luce e le tenebre (n 37), iniziata all’origine del mondo e che continuerà sino all’ultimo giorno. Lotta drammatica tra il bene ed il male ( n 13), stato interiore di lacerazione ( n 10):

“Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, nè può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio” ( n 37).

Quanto più la Chiesa celebra, vive, riflette sul Mistero di Cristo redentore dell’uomo, tanto più si rende conto da quale stato nativo e storico di peccato personale e ambientale viene estratta, salvata; consapevolezza ancora aumentata dalla vastità dei problemi umani, che la Chiesa, dal suo punto di vista etico-religioso, è invitata ad affrontare.

In questo compito di animazione cristiana dell’ordine temporale la Chiesa rimane consapevole come:

“Nel corso della storia, l’uso delle cose temporali è stato macchiato da gravi manchevolezze, perché gli uomini, in conseguenza del peccato originale, spesso sono caduti in moltissimi errori intorno al vero Dio, alla natura dell’uomo e ai principi della legge morale: da qui corrotti i costumi e le istituzioni umane e non di rado conculcata la stessa persona umana” AA n 7).

Usando categorie e dialettica paolina, nell’insegnamento del Vaticano II, la luce del mistero della Pietà (1 Tm 3,16) è totalmente prevalente, come deve essere, senza dimenticare il mistero di iniquità, ancora operante, da cui siamo estratti (2 Ts 2,7). Il dimenticarlo potrebbe compromettere gli stessi frutti di luce e di verità cristiana, così intensi ed appropriati ai nostri tempi, come ci vengono offerti dalla Chiesa del Vaticano II.

Per valutare correttamente l’insegnamento del Vaticano II, dobbiamo ancora tenere presente il rinnovamento post concliare della Liturgia e Catechesi.

Esaminando i Testi della liturgia rinnovata notiamo, forse con una certa sorpresa, come nel rito del Battesimo si parli ora esplicitamente del PO, cosa che prima non si faceva 609; parimenti nei nuovi Canoni e Prefazi, di cui si è arricchito il Messale romano, troviamo abbondanti insegnamenti circa la condizione di peccato originale e solidale da cui Cristo ci ha liberato e ci libera col Sacrificio della sua Croce reso presente.610

Evidentemente il compito più impegnativo spettava al rinnovamento della Catechesi, ed è su questo terreno che si sono manifestate le più acute tensioni, con puntuali precisazioni del Magistero; ne parleremo ora, nel contesto più ampio del fervore degli studi teologici.

609 Rito del battesimo dei bambini, Ed. Past. Ital., Roma 1970, 54 ss., n 56; nella Editio tipica altera dello stesso Ordo baptismi parvulorum, Typis polyglottis Vatic., 1973, si notano alcune varianti tutte sulla linea di una maggiore insistenza sulla presenza del PO: 7, n. 2; 8, n5; 85, n.221.

610 Il Messale romano è ormai giunto alla sua terza edizione; la formulazione più esplicita sul PO si dà nella Anamnesi preconsacratoria del IV canone; nelle anafore alessandrine, antiochene, armene e caldaiche è quasi costante il ricordo del peccato sin dalle origini. Per la liturgia romana: LUKKEN G.M., Original sin in the roman Liturgy, Leiden 1973

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7.3 Il peccato originale nella teologia cattolica odierna.A questo punto della nostra ricerca, siamo convinti, possediamo prove moleteplici, che i

grandi cambiamenti sociali, culturali, stimolano la teologia del PO, la fanno progredire, anche possono inquinarla.

Il Vaticano II segna, sempre nella necessaria continuità della Rivelazione-Fede, una di queste storiche tappe della vita della Chiesa: non ci stupiamo che la teologia del PO abbia conosciuto una straordinaria effervescenza.

Noi ci interessiamo delle dottrine che hanno avuto più largo influsso, raggiungendo anche il livello catechistico, stimolando il discernimento teologico, anche opportune reazioni; mi riferisco alla teologia di P. Schoonenberg sul peccato del mondo, che ha presentato larga diffusione attraverso il corso di Dogmatica Mysterium salutis e il Catechismo Olandese.611

E’una teologia animata da buone intenzioni: tenendo presente le prospettive della Paleoantropologia ed insieme valorizzando le scienze psico-sociali, economiche, con l’ausilio della filosofia esistenziale, ricercare una più adeguata intelligenza della fede ecclesiale sulla situazione di peccato originale in cui ogni uomo nasce, le sue sofferte condizioni religiose ed umane.

Un aspetto valido della teologia del gesuita olandese consiste nel riprendere le geniali intuizioni di Agostino: il Vescovo di Ippona ci ha offerto una teologia sistematica della nativa peccaminosa situazione di ogni uomo, della necessità di Cristo redentore, dei Sacramenti della Chiesa e vita cristiana, servendosi della situazione in cui viene a trovarsi chi ha commesso peccato mortale personale. Chi ha compiuto tale atto e scelta, nota bene lo Schoonenberg, è incapace di amare Dio ed il prossimo in modo debito, di osservare tutta la legge morale, sino a quando non accetta la grazia della conversione.

Chi non accoglie la grazia della conversione e rimane in situazione peccaminosa, potrà ancora compiere atti buoni, ma alquanto marginali, quando non si impegna l’orientamento di fondo, di chiusura nel proprio bene egoistico.

Simile stato peccaminoso deve realizzarsi anche nel caso del PO originato: pur esso consiste in una incapacità di amare Dio ed il prossimo in modo debito.

Con tali considerazioni Schoonenberg resta nella prospettiva di Agostino; il dottore africano della grazia ha intuito tale analogia tra la situazione di peccato personale mortale e la situazione nativa di ogni uomo: per tale analogia essa può essere indicata come peccato originale originato.

Abbiamo già notato che, mentre l’analogia col peccato personale favorisce una certa intelligenza della nostra nativa situazione, l’univocità mette fuori strada: l’agostinismo eterodosso di Bajo e Giansenisti, identificando il peccato originale col peccato personale, ha maggiorato il PO originato con un massimalismo che la Chiesa ha rifiutato.

L’analogia tra peccato personale e PO è sempre di aiuto, pur ricordando che il cristiano adulto si trova in una situazione unica, sua propria di grazia e di peccato, che è risolvibile in più componenti, non confondibili tra di loro: resti della situazione nativa di PO, con le sue concupiscenze residue, peccati personali, situazione ambientale (culturale, strutturale) di peccato.

Nel ricercare la causa storica dell’incapacità nativa di amare Dio ed il prossimo in modo debito (PO originato), Schoonenberg avanza l’ipotesi che possa individuarsi nell’ambiente intriso di peccato (peccato del mondo, strutturale), che non media quei valori che sono necessari per poter amare Dio ed il prossimo in modo corretto, anzi media disvalori, che rendono impossibile tale amore dovuto.

611 Mysterium salutis, II/2, La storia della salvezza prima di Cristo, Queriniana, Brescia1970, cap. X, L’uomo nel peccato, 589-719.

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L’essere situati in un mondo, una cultura inquinata di peccato, potrebbe costituire lo stesso PO originato, l’incapacità nativa di una valida vita religiosa e morale; il PO originante potrebbe essere indicato nell’insieme dei peccati che influiscono sull’ambiente in cui il bimbo nasce.

Una tale concezione del PO originante, si accompagna con una certa esegesi di Gn 2-3: questi capitoli non ci direbbero praticamente gran che delle origini della vita religioso-morale dell’umanità, non hanno consistenza storica, nè un primo peccato, così lontano nel tempo, potrebbe avere conseguenze sull’attuale vita religioso-morale dell’uomo.612

Anche in queste prospettive puramente simboliche del peccato di Adamo, Schoonenbergdesidera elaborare una teologia del PO in fedeltà al dogma definito dalla Chiesa a Trento: il peccato originale come proprio a ciascuno, contratto per propagazione, non per imitazione (DH 1515). Affinché il peccato ambientale in cui si nasce possa essere considerato proprio, ricorre all’<esistenziale > di Heidegger.

L’essere situato per nascita in un mondo, cultura, strutture impregnate di peccato, costituisce un <esistenziale>, cioè una struttura che condizione e qualifica fin dall’inizio la vita religioso-morale di ciascuno, anche nei suoi aspetti di interiorità: rappresenta una situazione peccaminosa propria, per il semplice fatto di nascere in tale situazione, non per imitazione.

L’effetto del Battesimo consiste nel porre in una nuova situazione esistenziale, nel Corpo ecclesiale: per l’annuncio del Vangelo, la testimonianza di una vita conforme a Cristo, la sua grazia, qui sarà possibile amare Dio ed il prossimo in modo debito, superando le chiusure egoistiche.

Si è fatto osservare a Schoonenberg: quale allora l’effetto del Battesimo per un bimbo che nasce in ottima famiglia e ambiente cristiano? La risposta è stata elaborata in più direzioni: il Battesimo imprime inoltre il Carattere permanente e indelebile; si può distinguere un esistenziale di grazia offerto ad ogni uomo e l’esistenziale frutto del Battesimo; inoltre l’efficacia della grazia trascendentale, a tutti offerta, da quella “categoriale” ecclesiale.613

Interventi del Magistero della Chiesa:Indicazioni della Commissione Cardinalizia circa il Nuovo Catechismo olandese: Riguardo

al Peccato Originale. Dichiarazione:

“Le nuove difficoltà che lo studio dei problemi riguardanti l’origine del genere umano ed il suo lento evolversi suscitano oggi circa la dottrina del PO non devono impedire che il Nuovo Catechismo proponga fedelmente la Dottrina della Chiesa, secondo la quale l’uomo, fin dall’inizio della sua storia, si ribellò a Dio (Cfr: Conc. Vat. II Costituz. Gaudium et Spes n.13 e 22), con la conseguenza di perdere per sé e per tutta la sua discendenza quella santità e giustizia nelle quali era costituito, e di trasmettere a tutti i discendenti, attraverso la propagazione della umana natura, un vero stato di peccato. Sono certamente da evitarsi quelle espressioni che possono significare che il PO in tanto è contratto dai singoli nuovi membri della famiglia umana in quanto essi, interiormente sottoposti fin dall’origine all’influsso della comunità degli uomini, dove il peccato regna, si trovano già in qualche modo sulla via del peccato.”614

Paolo VI, Professione di Fede, 30/6/1968:n. 16: “Noi crediamo che in Adamo tutti hanno peccato: il che significa che la colpa

originale da lui commessa ha fatto cadere la natura umana, comune a tutti gli uomini, in uno stato in cui essa porta le conseguenze di quella colpa, e che non è più lo stato in cui si trovava all’inizio nei nostri progenitori costituiti nella santità e nella giustizia, e in cui l’uomo non conosceva nè il male né la morte. E’ la natura umana così decaduta, spogliata della grazia che la rivestiva, ferita nelle sue proprie forze naturali e sottomessa al dominio della morte, che viene trasmessa a tutti gli

612 SCHOONENBERG P., Il mondo di Dio in evoluzione, Brescia 1970, 113, 123.613 Cfr Mysterium salutis, cit., 653-659, 708-715.614 Il nuovo Catechismo olandese, in Appendice:” Supplemento al nuovo Catechismo”, ed. ELLE DI CI* Torino-

Leumann, 1969, [20]; AAS 60 (1968) 687 ss.

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uomini; ed è in tale senso che ciascuno uomo nasce nel peccato. Noi dunque professiamo, col concilio di Trento, che il peccato viene trasmesso con la natura umana, “non per imitazione, ma per propagazione” e che esso è “proprio a ciascuno”.615

n.17: ” Noi crediamo che N.S.Gesù Cristo mediante il sacrificio della Croce ci ha riscattati dal peccato originale e da tutti i peccati personali commessi da ciascuno di noi, in maniera tale che, secondo la parola dell’Apostolo, “la dove aveva abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia”(Rm 5,20).

CEI, Il Rinnovamento della catechesi, 1970, n.93: “II libero aprirsi dell’uomo alla salvezza soprannaturale è radicalmente ostacolato dal

peccato. Nella catechesi deve essere chiaramente affermato questo aspetto tragico della storia della salvezza. In Adamo, per una misteriosa solidarietà, tutti gli uomini hanno peccato ribellandosi a Dio, sicché il peccato ha invaso dolorosamente l’umanità, scatenando in essa altre innumerevoli ribellioni personali e procurandole ogni altra sofferenza e rovina. E’ il P0: un mistero reale ed unico, che la fede della Chiesa non consente di ridurre alla somma dei peccati personali o alla influenza negativa di ogni colpa sulla comunità.[…] Tuttavia, anche alla comprensione del Peccato originale e personale, non si arriva se non movendo dalla vocazione soprannaturale dell’uomo.” 616

Osservazioni teologiche sulle relazioni tra Peccato del mondo e Peccato originale:

La categoria di situazioni peccaminose (peccato del mondo, strutturale) sono state opportunamente elaborate dalla teologia contemporanea per renderci più attenti a quelli componenti distorte, peccaminose, espresse nella cultura, relazioni umane, che influiscono sulle nostre scelte religioso-morali. Abbiamo già fatto rilievi pertinenti a livello di S. Scrittura: i Re, Sacerdoti che fanno peccare il popolo, l’atmosfera avvelenata dai disvalori morali descritta da Paolo in Rm 1, 18-32 (cfr .le “potenze dell’aria” di Ef 2, 2).

La teologia dello Schoonenberg le pone in risalto con rapide analisi fenomenologiche-sociali e l’utilizzo della filosofia esistenziale. Si tratta di una delle componenti della peccaminosità solidale in cui viviamo: chi desidera vivere come discepolo del Signore, nella sua luce e vita nuova, deve accuratamente difendersene.

Inoltre il teologo del PO potrà individuare alcuni elementi utili, inter-personali e strutturali, per una migliore intelligenza della analoga situazione solidale di PO. Abbiamo già indicato come Agostino avesse notato la somiglianza tra PO e stato di peccato personale; lo stesso può avvenire ora per la situazione solidale del peccato del mondo.

Ma ugualmente, l’analogia non è minimamente identità: dobbiamo accuratamente distinguere la situazione nativa, universale, frutto del peccato delle origini, da quella sociale, culturale, frutto dei peccati personali in un certo ambito e situazione, tempo. La situazione di peccato, che si realizza nella storia di una comunità, non raggiunge la profondità e universalità che esprime il peccato originale originato; il PO è una realtà unica, strettamente connessa con le altre peccaminose, non confondibile con alcuna di esse.

Sullo sfondo del peccato del mondo (Rm 1-2), la Rivelazione ci indica “l’essere costituiti peccatori”(Rm 5, 19), il regno del peccato nella morte (Rm 5, 21), la malattia universale del peccato (Rm 5,12) introdotta dalla colpa di Adamo.

Qui è la stessa natura interpersonale umana che viene trasmessa privata di quel dono di <Santità e giustizia> (Trento, DH 1511), di cui era qualificata alle origini, secondo la misura di una creazione voluta tutta in Cristo, alfa ed omega dell’operare di Dio.

615 EV 3, 262s; AAS 60 (1968) 433-445.616 Enchiridion della CEI, I 1954-1972, EDB, 1985, nn 2645-2648.

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In realtà il PO originato scende molto più in profondità nella universale solidarietà umana e nel cuore personale dell’uomo, di quanto avvenga per il peccato del mondo.

La privazione della grazia,<santità e giustizia> delle origini, altera in profondità gli “archetipi” psicosociali fondamentali: sacerdozio, paternità-maternità, sponsalità, fraternità, comunità di lavoro; qui si tratta dello stesso costituirsi dell’uomo, creato secondo l’Immagine di Dio, la <pienezza> di Cristo, nella sua natura interpersonale. Questi “archetipi” psicosociali, vivificati dalla grazia delle origini, una grazia cristica, divenivano, si può ritenere, come un “sacramento” della vita filiale e fraterna secondo la stessa misura del Figlio incarnato: una natura interpersonale tutta animata e qualificata dalla grazia dello Spirito Santo, la grazia di Cristo Figlio del Padre, Primogenito tra molti fratelli.

Anche il passaggio allo stato escatologico (Vita eterna) sarebbe stato armonico, non traumatico come lo viviamo oggi (esenzione dalla nostra morte fisica, immortalità). II peccato delle origini ha fatto perdere questa intima impregnazione della natura interpersonale umana con la <giustizia e santità>, la grazia cristica donata all’uomo dagli inizi, perché fosse accolta, corrisposta, vissuta; la perdita della <santità e giustizia> originali altera in profondità, sino al cuore, ed universalità, la natura interpersonale dell’uomo, i suoi costitutivi, “archetipi” pscico-sociali.617

Ora solo Cristo, che nella sua vita e specialmente nella sua morte vive in pienezza gli “archetipi” fondamentali sopra ricordati (ne è Lui la vera misura, come Figlio del Padre, Fratello, Sposo, gran Sacerdote unico mediatore, lavoratore) ci permette nella sua grazia pasquale sacramentale, di ricostruire le relazioni interpersonali fondamentali, così risanate e portatrici della sua grazia.

Ma questo avviene esattamente nell’economia della Pasqua e dei Sacramenti, nella conver-sione e sequela del Crocifisso glorioso.

Trascurando la distinzione, non separazione, tra peccato strutturale, del mondo (formatesi per l’accumulo dei peccati personali), e il PO originato, oltre a non percepire lo stato peccaminoso della natura umana nei suoi aspetti costitutivi interpersonali più delicati e universali, che sono intaccati dalla privazione della grazia delle origini sempre e ovunque, troveremo anche un certo impedimento nel valutare tutta la intensità, profondità ed universalità della grazia redentrice di Cristo. Il nostro ringraziamento non sarà proporzionato alla preziosità del dono; non risulterà così evidente che unica via universale di salvezza, vita risorta, è sempre la conversione e la Croce.

La distinzione tra peccato originale e peccato del mondo, ci consente di meglio valutare la solidarietà interpersonale umana, tutta qualificata dalla Signoria di Cristo. Signoria espressa dalla dottrina teologica della qualificazione soprannaturale della natura umana.

Come già ricordato, tale impregnazione e partecipazione di grazia cristica scende in profondità nella natura dell’uomo: la Signoria di Cristo è insieme del tutto trascendente e immanen-te nella solidarietà interpersonale umana.

Non é stato evento indifferente accogliere o rifiutare all’inizio della storia religioso-morale umana tale qualificazione soprannaturale della interpersonalità naturale dell’uomo: il peccato vi ha inciso profondamente.

Altre considerazioni ci aiutano a distinguere, non separare il P0, come sfondo ultimo peccaminoso, dal peccato del mondo, dai peccati personali. La nostra situazione soprannaturale redenta in Cristo ci viene manifestata, efficacemente comunicata nell’insegnamento, celebrazione, vita della Chiesa apostolica: una tradizione viva di conoscenza, sequela e partecipazione alla Croce gloriosa di Cristo, che ha come norma

617 Non intendo “archetipi” nel senso elaborato da JUNG C.G., di pure forme senza contenuto, che acquistano un significato particolare solo in seguito all’esperienza. Nel senso comune, letterario, indicano nuclei decisivi della persona e socialità umana.

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ultima di autenticità la Successione apostolica petrina della Chiesa di Roma (vedi già S. Ireneo).Tale tradizione presenta radici, anticipi nella linea storica della famiglia di Abramo: non si

perde la memoria storica della sua fede esemplare, della fede di Mosè nel realizzare esodo pasquale; nonostante le generazioni di Re e Sacerdoti che fanno peccare il popolo.

Invece da Abramo alle origini adamiche non si è realizzata ininterrotta memoria storica dei doni elargiti dal Dio della creazione che già invita alla Comunione con Sè: si danno, si, limpide personalità religiose (Abele, Enos-Enoch, Noè) ma, secondo Gs 24,2; Gdt 5,6-9 negli antenati di Abramo si è infiltrata una certa idolatria. Così Gn 1-11 costituisce una ricostruzione legittima, ispirata, di ciò che è avvenuto sin dalle origini nelle relazioni storiche tra Dio e l’uomo, sul fondamento della fede nel Dio della Alleanza e Creazione.

Questa constatazione esegetica ci avvisa del disastro religioso introdotto dal peccato delle origini nella inter-personale natura umana, non più capace di mediare, attraverso le generazioni, la conoscenza vissuta di Dio creatore che già offre comunione.

Possiamo fare riflessioni simili sulle tradizioni religiose al di fuori del filone giudeo-cristiano: si possono trovare tradizioni religiose con valori notevoli, ma ovunque si osserva almeno una certa decadenza del sacro; e sempre la piena conoscenza della comunione col Padre realizzata da Cristo, si ottiene solamente attraverso la Chiesa apostolica-eucaristica.

Questa serie di suggestioni, ancor bisognose di ulteriore sviluppo teologico, ci aiutano ad accogliere con disponibilità il discreto richiamo del Magistero a distinguere il peccato originale, la peccaminosità ultima, ereditaria della natura interpersonale umana, dalle ulteriori strutture distorte, alterazioni storico-culturali, indicate come Peccato del mondo.

Ma fatta questa doverosa distinzione tra PO e peccato del mondo, risulta poi necessario considerarli insieme nel vissuto umano, decaduto e redento da Cristo; inoltre pur nella distinzione dei contenuti teologici propri, sono evidenti le analogie: si ruota sempre intorno alla categoria di peccato: personale, del mondo, originale.

Abbiamo presentata sobriamente e valutata l’ipotesi lanciata da Schoonenberg, che sottolinea l’aspetto interpersonale, gli inserimenti culturali come causa dell’incapacità nativa di amare Dio ed il prossimo: questa prospettiva si può definire come <l’accentuazione della situazione>.

Insieme a tale accentuazione, porre in rilievo le cause dell’inserimento distorto in un mondo di peccato, si è presentata <l’accentuazione personalistica.>618

Non si danno rilievo agli inserimenti interpersonali, culture inquinate, che inducono a peccare. Si introduce invece l’ipotesi che il peccato di Gn 3 sarebbe il simbolo del peccato di ogni uomo: ci avvisa che ogni uomo subirà una prova e certamente peccherà. Quindi ogni uomo, sin dal suo stato nativo, è virtualmente un peccatore, bisognoso della grazia di Cristo. Peccato originale non sarà quindi l’essere inseriti in un ambiente di peccato, ma l’anticipo virtuale, come una proiezione all’inizio della vita, dei futuri peccati personali.

Accenno solamente a quest’accentuazione personalistica, che è rimasta nel laboratorio teologico di colti e raffinati teologi. Presenta nella comunicazione catechetica molte difficoltà, anche paradossi, al limite del comprensibile. La mancanza di una dimensione interpersonale, un peccato futuro che già condiziona gli inizi della vita religiosa morale, che a loro volta, già peccaminosi, influiranno sui peccati futuri.

L’unica soluzione accettabile sarebbe che Dio privi ogni uomo della giustizia originale, lo ponga in difficoltà con la concupiscenza, unicamente a motivo della previsione, per Lui certa, che

618 Cfr VANNESTE A., Le dogme du péchè originel, Louvain-Paris 1971, 20, 59-68, 77, 149. VANDERVELDE G., Original sin. Two major Trends in Contemporary Roman Catholic reinterpretation, Amsterdam 1975

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tutti gli uomini in seguito peccheranno. Si nota qualche assonanza col male radicale di Kant, la constatazione di una generale difficoltà a compiere il bene razionale; ne intravedeva la causa nell’ipotesi che la prima scelta morale di ogni uomo è negativa, senza riuscire a dirne di più. Una certa ricaduta su posizioni razionaliste, essenzialiste.

Paolo VI ha provveduto a ribadire il carattere storico “sui generis” del racconto di Gn 2-3619, orientando la teologia ad affermare una vera situazione peccaminosa iscritta, sin dagli inizi, nella natura interpersonale dell’uomo, nel suo <cuore>620; insinua la persuasione che il peccato originale porta all’interruzione del dialogo paterno e santo tra Dio e l’uomo. Il Verbo di Dio, nella sua incarnazione, con l’annuncio del Vangelo, ha <meravigliosamente ripreso nel corso della storia> questo dialogo interrotto dal PO. Paolo VI avvisa inoltre che nel Battezzato si presentano delle ferite residue, <certe inguaribili conseguenze> che richiedono <riparazione, rifacimento, rinnovamento>.621

La Dottrina cattolica ha potuto così, nella continuità della tradizione viva della Chiesa, rinnovarsi, per svolgere meglio, con più sensibilità, il suo compito di accrescere il ringraziamento al Padre per la redenzione che Cristo ci offre nella sua Pasqua, col dono dello Spirito santo; opera di redenzione, di cui il PO ci avvisa ove deve in profondità discendere, nel cuore e nelle relazioni interpersonali umane, per una illuminata educazione ed auto educazione dell’uomo, in una santa lotta spirituale.

E’ stato specialmente il Magistero di Giovanni Paolo II, nel suo arco di ben ventisei anni, ad avvisarci quanto una illuminata dottrina del PO rappresenta una guida sicura, <una chiave ermeneutica> necessaria per portare la grazia e la luce dello Spirito Santo, frutto della Pasqua di Cristo, nel cuore ed in tutte le articolazioni sociali umane, in una dimensione universale, al di là dello sperimentabile, perché inquina il nativo interpersonale costitutivo dell’uomo.

7.4 Il Magistero di Giovanni Paolo IIVi ha dedicato un intero ciclo di catechesi, nel 1986 622; ma è soprattutto nel contesto del suo

più che ventennale insegnamento su Cristo redentore dell’uomo, sullo Spirito Santo, che individuiamo il suo contributo più prezioso.

In particolare vorremmo qui ricordare la seconda parte dell’Enciclica sullo Spirito Santo, del 1986, dal titolo: ” Lo Spirito che convince il mondo quanto al peccato”. Un commento spirituale-dogmatico a Gv 16,7-11:

” Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il consolatore.... E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio.Quanto al peccato perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è già stato giudicato”.

Siamo attirati dall’affermazione centrale, (da me sottolineata) che possiede un forte rilievo: impegno dello Spirito Santo nel convincere il mondo quanto alla giustizia, realizzata nel suo salire al Padre, entrare nella sua Signoria universale, alla sua destra, anche con la sua SS Umanità: tale giustizia, rettitudine, pienezza di vita esprime la verità fondamentale di Fede che è il solo Gesù a introdurci nella comunione di amore del Padre, attraverso la sua Croce gloriosa, giustificarci.

619 PAOLO VI, Iis qui interfuerunt Coetui v.d. “Simposio” a theologis doctisque viris abito de originali peccato , AAS, 58 (1966), 650-652

620 PAOLO VI, Professione di Fede, 30/6/1968, Ench. Vat. 3, 262s621 Cfr PAOLO VI, Insegnamenti di Paolo VI, IX, 318622 Cfr GIOVANNI PAOLO II, Insegnamenti IX,2, LEV 1986, 524-527; 587-589; 628-633; 701-704; 759-

763;969-973; 1286-1291; 1340-1345; 1406-1412.

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Lo Spirito del Padre e di Cristo, mentre ci introduce a questa professione di Fede che ci rende partecipi della giustizia salvifica, ci convince della pericolosità del peccato, rifiuto di credere in Cristo, in cui sta la nostra vita.

Convincere il mondo anzitutto del peccato del Golgota, della morte dell’Agnello innocente, come avvenne nel discorso di Pietro il giorno della Pentecoste (At 2, 14-40); ma insieme:

“Lo Spirito Santo convince anche di ogni peccato commesso in ogni luogo ed in qualsiasi momento della storia dell’uomo: egli dimostra infatti il suo rapporto con la Croce di Cristo. Il «convincere» è la dimostrazione del male, del peccato, di ogni peccato, in relazione alla Croce di Cristo.

Il peccato, mostrato in questa relazione, viene riconosciuto nella intera dimensione del male, che gli è propria, per il mistero «dell’iniquità», che in se contiene e nasconde. L’uomo non conosce questa dimensione - non la conosce in alcun modo al di fuori della Croce di Cristo. Perciò non può essere «convinto» di essa se non dallo Spirito Santo, Spirito di verità e anche consolatore.”(Dominum et vivificantem n 32).

Nella croce di Gesù, il Mistero della pietà (1Tm 3,15s) più potente del peccato, più forte della morte stessa, lo Spirito Santo convince il mondo della giustizia di Cristo, e di tutto ciò che vi si oppone, il peccato dell’uomo, sin dalle sue origini. Convincere il mondo quanto al peccato, cioè il non credere a Cristo, significa porre in risalto questa situazione antiverbo, nella sua complessità insidiosa, sin al peccato dei progenitori.

“É il peccato che secondo la parola di Dio rivelata, costituisce il principio e la radice di tutti gli altri. Ci troviamo di fronte alla realtà originaria del peccato nella storia dell’uomo e al tempo stesso, nell’insieme della economia della salvezza.

Si può dire che in questo peccato ha inizio il «Mistero dell’iniquità», ma anche che è questo il peccato, in ordine al quale la potenza redentrice del “mistero della pietà” diventa particolarmente trasparente ed efficace. Ciò esprime S. Paolo, quando alla “disobbedienza” del primo Adamo contrappone l’obbedienza di Cristo, il secondo Adamo: “l’obbedienza sino alla morte”.( n 33).

Anche il primo peccato è non credere in Cristo, non accogliere la Parola della Creazione e dell’Alleanza, non ricevere da Dio la conoscenza del bene e del male:

“Dunque, alla radice del peccato umano sta la menzogna come radicale rifiuto della verità contenuta nel Verbo del Padre, mediante il quale si esprime l’amorevole onnipotenza del Creatore. L’onnipotenza ed insieme l’amore <di Dio Padre, creatore del cielo e della terra>. ( n. 32).

Pertanto, lo Spirito, che <scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio> conosce sin dall’inizio <i segreti dell’uomo> (1Cor 2,10s). Proprio per questo egli solo può pienamente <convincere del peccato> che ci fu all’inizio, di quel peccato che è la radice di tutti gli altri ed il focolaio della peccaminosità dell’uomo sulla terra, che non si spegne mai.

Lo Spirito di verità conosce la realtà originaria del peccato, causato nella volontà dell’uomo a opera del <padre della menzogna>, di colui che è già stato giudicato. Lo Spirito Santo convince dunque, il mondo del peccato in rapporto a questo <giudizio>, ma costantemente guidando verso la <giustizia>, che è stata rivelata all’uomo insieme alla Croce di Cristo, mediante <l’obbedienza fino alla morte>.

Solo lo Spirito Santo può convincere del peccato dell’inizio umano, proprio egli che è l’amore del Padre e del Figlio, egli che è Dono, mentre il peccato dell’inizio umano consiste nella menzogna e nel rifiuto del dono e dell’amore, i quali decidono dell’inizio del mondo e dell’uomo.”( n 35).

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Il peccato è menzogna perché “ L’uomo da se stesso non può decidere ciò che buono e ciò che è cattivo […..] Si, Dio nel mondo creato rimane prima e suprema fonte per decidere del bene e del male mediante l’intima verità dell’essere, la quale è il riflesso del Verbo, l’eterno Figlio, consostanziale al Padre. All’uomo creato secondo l’immagine di Dio, lo Spirito Santo dà in dono la coscienza, affinché in essa l’immagine possa rispecchiare fedelmente il suo modello, che è insieme la sapienza e la legge eterna, fonte dell’ordine morale dell’uomo e del mondo.” ( n 36).

Nel peccato delle origini viene falsata la verità dell’uomo, come risultato del falsare la verità di Dio, la sua stessa verità e bontà creatrice; viene innestata nella psicologia dell’uomo il germe dell’opposizione nei riguardi di Colui che viene considerato non più Padre, ma nemico dell’uomo.

“Bisogna anche ammettere che Dio, come creatore e Padre, viene qui toccato, offeso, e ovviamente offeso nel cuore stesso di quella donazione che appartiene all’eterno disegno di Dio nei riguardi dell’uomo.

Nello stesso tempo, però, anche l’essere umano - uomo e donna - viene toccato dal male del peccato di cui è autore […..] L’immagine e la somiglianza di Dio nell’essere umano[…] è stata offuscata, e in certo senso diminuita.” (Mulieris dignitatem n 9).

L’uomo che sin dall’inizio, accettando la menzogna del tentatore, ha perso il senso del Dio della Verità e dell’Amore, inserisce anche in se stesso questo oscuramento, menzogna, lo inserisce nelle sue relazioni costitutive, fondamentali: sponsale, patema-materna, di lavoro, sociali.

Lo Spirito è frutto della Croce di Cristo, il Figlio che portando il peccato dell’uomo fratello, offre il modello vero dell’Immagine filiale, sponsale, fraterna. Lo Spirito Santo mentre convince il mondo di questa giustizia di Cristo, convince pure del peccato che sin dall’inizio insidia la verità dell’uomo, davanti a Dio e ai figli di Dio.

Convince parimenti che il Principe di questo mondo, autore di questa menzogna radicale, è già stato giudicato. L’azione convincente dello Spirito risulta molteplice. Invita ad essere accolta nella sua ricchezza illuminante, non riducibile ad una sola dimensione.

Certo risulta centrale il convincere circa la giustizia: Gesù crocifisso glorioso è per noi via vivente al Padre, ci offre la sua Vita filiale, fraterna; ma tutto questo risulta essere superamento di una miseria peccaminosa, segno del rifiuto, del non credere in Cristo. Insieme alla convinzione della Giustizia di Cristo, è necessaria percepire in piena avvertenza il male anti-Cristo che ci segna e ancora ci insidia.

La relazione tra convinzione della giustizia e del peccato deve essere vissuta nella certezza che il giudizio della causa ultima del male, il Principe di questo mondo peccaminoso, è già stato pronunciato ed eseguito. La lotta perseverante col male, la contrastante convinzione della Giustizia e del peccato, deve realizzarsi e proseguire nella convinzione di un giudizio, di un pieno superamento del male già realizzato.

In questa prospettiva dell’Enciclica sullo Spirito Santo, possiamo intendere la totalità dell’insegnamento di Giovanni Paolo II sul peccato originale, che si estende all’intero suo Magistero: sul Padre misericordioso (Dives in Misericordia), il Redentore dell’uomo, in tutte le sue dimensioni e dinamiche personali e comunitarie, illuminate dal suo più che ventennale insegnamento.

La diffidenza originaria dei progenitori nei riguardi di Dio, l’appropriarsi della gestione del bene e del male snobbando il riferimento a Dio creatore e Padre, questa situazione peccaminosa anti-Verbo, sfuoca in profondità tutte le relazioni costitutive la socialità e la Persona umana.

Si tratta di un peccato potremo dire strutturale, ma che non dipende da un ambito culturale avvelenato da peccati personali, come in realtà si può verificare e di fatto si verifica (cfr Rm 1,18-3,20).

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Si tratta di un peccato anti-Verbo, che incide sulla dimensione fondamentale di creazione-Alleanza in Cristo. Intacca la relazione religiosa-etica, costitutiva l’esistere stesso dell’uomo, davanti al Dio della creazione-Alleanza, nel suo cuore e nella socialità intrinseca all’uomo stesso. E’ per questo che il Catechismo della Chiesa Cattolica recita al n. 407:

” La dottrina del peccato originale - connessa strettamente con quella della Redenzione operata da Cristo - offre uno sguardo di lucido discernimento sulla situazione dell’uomo e del suo agire nel mondo. In conseguenza del peccato dei progenitori, il diavolo ha acquistato un certo dominio sull’uomo, benché questi rimanga libero.

Il peccato originale comporta la schiavitù sotto il dominio di colui che della vita ha il potere, cioè il diavolo. Ignorare che l’uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi”.

Questo avviso diventa concreto e specifico in un Magistero che ha potuto trattare con sufficiente ampiezza tutte le relazioni costitutive la vita dell’uomo. I documenti dottrinali del Papa, che si muovono sempre nell’orizzonte di speranza della Redenzione, non solo parlano esplicitamente del Peccato originale, ma ci offrono ampie trattazioni per illuminare le situazioni sociali decisive, compromesse dalla diffidenza di Dio, il peccato fin dagli inizi.

Un felice sistematico avvio si nota sin dalle prime catechesi del Mercoledì, sulla Famiglia e l’amore umano623. Molto istruttiva la lettera apostolica Mulieris dignitatem: la sua parte centrale (Eva-Maria) costituisce una ricca rilettura teologica del peccato delle origini nel contesto delle relazioni ecclesiali-familiari. Nell’enciclica Centesimus annus, il Papa parla addirittura di un valore ermeneutico del Peccato originale:

“[....] l’uomo creato per la libertà porta in sé la ferita del P.O. che continuamente lo attira verso il male e lo rende bisognoso di redenzione. Questa dottrina non solo è parte integrante delle rivelazione cristiana, ma ha anche un grande valore ermeneutico, in quanto aiuta a comprendere la realtà umana.

L’uomo può tendere verso il bene, ma è pure capace di male; può trascendere il suo interesse immediato, e tuttavia rimane ad esso legato. L’ordine sociale sarà tanto più solido, quanto più terrà conto di questo fatto e non opporrà l’interesse personale a quello della società nel suo insieme, ma cercherà piuttosto i modi di fruttuosa coordinazione.”( n 25).

Il rifiuto di Dio ferisce l’unità non solo interna, ma anche sociale dell’Immagine di Dio. Lo ricorda il Papa all’inizio della Veritatis splendor:

“ In seguito a quel misterioso peccato di origine commesso per istigazione di Satana, che è <menzognero e padre di menzogna>(Gv 8, 44), l’uomo è permanentemente tentato di distogliere il suo sguardo dal Dio vivo e vero per volgerlo agli idoli (Cfr. 1 Ts 1,9), cambiando <la verità di Dio con la menzogna>(Rm 1,25); viene allora offuscata anche la sua capacità di conoscere la verità e indebolita la sua volontà di sottomettersi ad essa. E così abbandonandosi al relativismo e allo scetticismo (Cfr. Gv 18,38), egli va alla ricerca di una illusoria libertà al di fuori della stessa verità” ( n 1).

In questo ambito di attenzione alla dottrina circa il Peccato originale, dice ancora la Veritatis splendor al n 112:

“ L’affermazione dei principi morali non è di competenza dei metodi empirico-formali. Senza negare la validità di tali metodi, ma anche senza restringer ad essi la sua prospettiva, la teologia morale, fedele al senso soprannaturale della fede, prende in considerazione soprattutto la dimensione spirituale del cuore umano e la sua vocazione all’amore divino. Infatti, mentre le scienze umane, come tutte le scienze sperimentali, sviluppano un concetto empirico e statistico di

623 I temi sviluppati nelle Catechesi tenute dal 5/9 1979 al 2 /4 1980 sono riportate in GIOVANNI PAOLO II , Uomo e donna lo creò: catechesi sull’amore umano, Città nuova, Roma – LEV 1985

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<normalità>, la fede insegna che una simile normalità porta in sé le tracce di una caduta dell’uomo dalla sua situazione originaria, ossia è intaccata dal peccato. Solo la fede cristiana indica all’uomo la via del ritorno al <principio>(cfr Mt 19.8), una via che spesso è ben diversa da quella della normalità empirica. In tal modo le scienze umane, nonostante il grande valore delle conoscenze che offrono, non possono essere assunte come indicatori decisivi delle norme morali. É il Vangelo che svela la verità integrale sull’uomo e sul suo cammino morale, e così illumina ed ammonisce i peccatori annunciando loro la misericordia di Dio, il quale incessantemente opera per preservarli tanto dalla disperazione di non poter conoscere ed osservare la legge di Dio, quanto dalla presunzione di potersi salvare senza merito.”

Il peccato originale porta con sé delle ferite, che segnano l’uomo in tutte le sue dimensioni costitutive personali e sociali; già Paolo VI faceva notare che la vita cristiana, nonostante situazioni definitive, come la rigenerazione battesimale, per la sua naturale caducità “ e date certe inguaribili conseguenze del peccato originale, esige riparazione, rifacimento, rinnovamento” 624.

Sempre nella “convinzione”della giustizia, della Misericordia del Padre che il Crocifisso glorioso continuamente ci offre, Giovanni Paolo II ha descritto ampiamente tali ferite, costitutive fragilità necessitanti riparazione e rifacimento. Ho già accennato prima alla IV° parte della Mulieris dignitatem, Eva-Maria, ove si tratta della ricostruzione delle relazioni sponsali, materne, familiari ed ecclesiali.

Nella Fides et ratio si parla sovente delle conseguenze del peccato delle origini per quanto riguarda l’uso della ragione, nella ricerca di verità religioso-etiche. Il n 22, il più completo, perché risale sino alla disobbedienza originaria, tratta di “ragione ferita”, del “cammino verso la piena verità ostacolato“; è infatti venuta meno “la facilità di risalita a Dio creatore”, per una ragione prigioniera dei “ceppi” che essa stessa si era procurata. Al n. 43 si parla di “fragilità e limiti” derivanti dalla disobbedienza del peccato; al n 51 di “ragione umana ferita ed indebolita dal peccato”. Al n 71 di “disordine introdotto dal peccato” nelle culture, al n 82 si parla di una intelligenza “in parte oscurata e debilitata”.

Il n 80 estende il discorso dalla ragione alla libertà, riconoscendo che il male morale “è una ferita che proviene dall’esprimersi disordinato della libertà umana”. Non si tratta mai di un quadro disperante, perché nella Pasqua di Cristo anche la ragione e la libertà vengono risanate, crescendo verso il pieno esercizio delle proprie capacità. La dottrina del PO ci ricorda che l’uomo ha perso il dono dell’integrità originaria; tale integrità donata faceva sì che tutta la complessa struttura personale, psico-sociale, venisse posta al servizio del rapporto vissuto con Dio, lo esprimesse. Ora l’uomo decaduto e redento, anche il battezzato, sperimenta in sé come più personalità: la personalità fondamentale del Figlio, conformata a Cristo, ed insieme in varia misura, la personalità del peccatore. Per questo è invitato ad accogliere la grazia di una continua conversione, sana lotta spirituale, affinché la personalità battesimale, filiale, fraterna si esprima, permei tutta la sua struttura personale, sociale, ponga al suo sevizio i vari condizionamenti psico-sensitivi:

“[...] è necessario lasciarsi guidare da una immagine integrale dell’uomo, che rispetti tutte le dimensioni del suo essere, e subordini quelle materiali ed istintive a quelle interiori e spirituali” (CA, n 36).

La dottrina teologica del P O ci fa intuire come tutte le strutture fondamentali psico-sociali dell’uomo vengano ferite, non esprimono più, non sono più portatrici di quella ricchezza di grazia cristica, quasi impregnate da essa, come era il progetto del Dio della Creazione in, per, verso Cristo, nella <santità e giustizia> delle origini.

La struttura fondamentale uomo-donna nella comunità religiosa e nella famiglia, la struttura fraterna, la comunità di lavoro non esprimono più, così come nasciamo, a prescindere dalla

624 Cfr PAOLO VI, Insegnamenti di Paolo VI, IX, 318

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redenzione di Cristo, lo splendore dell’Immagine di Dio, nelle sue intrinseche dimensioni personali e sociali. Il rifiuto di Dio ferisce l’unità non solo interna, ma anche sociale dell’Immagine di Dio.

La peccaminosità originale, non superata nell’accoglienza della grazia della conversione del cuore con l’inserimento nel corpo ecclesiale di Cristo, si manifesterà in peccati personali a livello delle relazioni sociali, archetipi fondamentali: filiali, fraterni, paterni, materni, sponsali.... Qui appariranno quelle strutture di peccato già denunciate dalla S. Scritture, e riassunte da Paolo nei rapporti uomo-donna, padre-figli, fratelli, padrone-schiavo, giudeo-greco (cfr Gal 3,25-29; Ef 5,1-6; Col 3,1 - 4,1).

E possiamo aggiungere la perversione dei gangli vitali della socialità umana, descritta a tinte fosche da Paolo, come conseguenza della non ri-conoscenza di Dio, descritta in Rm 1,24-33.

Anche la CA, n 38, introducendo il discorso del discernimento e superamento delle strutture del peccato, specifica trattarsi della salvaguardia delle condizioni morali di una autentica ecologia umana:

“[...] l’uomo è stato donato a se stesso da Dio, e deve perciò rispettare la struttura naturale e morale di cui è stato dotato”

Tenendo presente questa complessa struttura naturale e morale di un uomo affidato a se stesso da Dio, in più luoghi (nn 36; 41) la CA insinua che lo sviluppo completo dell’uomo deve lasciarsi guidare dalla sua immagine integrale, che rispetti tutte le esigenze del suo essere. Se l’uomo si lascia dominare dai suoi istinti peccaminosi, disattendendo il suo specifico personale e libero, determina il formarsi di abitudini di consumo e stili di vita illeciti e asociali.

Anche nell’enumerare le strutture fondamentali si procede in modo gerarchico:

“La prima e fondamentale struttura a favore dell’ecologia umana è la famiglia”(n 39); nella vita economica “[...] oggi il fattore decisivo è sempre più l’uomo stesso e cioè la sua capacità di conoscenza che viene in luce mediante il sapere scientifico, la sua capacità do organizzazione sociale, la sua capacità di intuire e soddisfare il bisogno dell’altro” (n 32).

Questa sana ecologia della vita personale e sociale dell’uomo, sanità delle sue strutture fondamentali, familiari e più ampiamente sociali, viene risanata e redenta dalla Croce gloriosa di Cristo; l’uomo, diffidando sin dal principio di Dio e del suo progetto, già tutto secondo la misura della Parola filiale creatrice, ha compromesso la comprensione e l’esercizio di tali strutture fondamentali.

Non possiamo ridurle ad un mero fatto relazionale, economico-sociale, secondo la cultura del tempo, senza valori di fondo religioso-etici: comportarci così è segno di ideologie variamente razionaliste e materialiste, di un uomo che sin dal principio ha voluto fare da solo, disponendo del bene e del male a titolo proprio, non ricevendoli da Dio.

Noi nasciamo in questa situazione così teologicamente, e quindi antropologicamente disastrata; da queste stesse viziate radici dipende anche l’insuccesso di piani di sviluppo talora intrapresi con grande fiducia per l’impegno di massicci mezzi economici, e poi clamorosamente falliti: questo perché guidati da antropologie astratte, riduttive, non rispettose dell’identità dei popoli, non attente al comune fondo umano peccaminoso, che si manifesta come attaccamento al potere, al vantaggio personale egoistico, con tutti i mezzi, ad ogni costo, al di là e contro il bene comune, solidale (Sollecitudo rei socialis n 37; cfr. Paolo VI, Octogesima adveniens n 45).

Solo Cristo nella sua vita, specialmente nella sua Pasqua, ha vissuto in pienezza gli archetipi umani fondamentali: filiale, sacerdotale, fraterno, sponsale, lavorativo...; ne è Lui la vera misura, e ne ha assunto su di sé, sulla sua Croce, tutte le alterazioni e lacerazioni, con misericordia e senza risentimenti; solo Cristo ci permette di ricostruire relazioni psicosociali risanate, autentiche, di una sana ecologia umana, portatrici della sua Grazia.

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Ritorniamo a quel limpido Cristocentrismo, di creazione e redenzione, davanti al quale situare tutta la nostra realtà solidale umana: sappiamo bene che il peccato originale è la lettura corretta di tale nostro personale e comunitario situarci davanti al Signore Gesù, nel quale, per il quale e verso il quale tutto è stato creato e redento.

Tutti siamo resi partecipi di questa pienezza di Verità, Grazia, Sapienza che è in Cristo( cfr Gv 1,14-16; Col 2,2-3.9; Ef 1,22-23; 3,19; 4,9-13). Pienezza che Cristo comunica alla sua Chiesa, perché efficacemente la partecipi ai suoi membri, nella prospettiva di tutti gli uomini.

Chi senza sua colpa, e solo Dio può fare questo giudizio, non viene a conoscenza di Cristo e della sua Chiesa, atterrà possibilità vera di salvezza, sempre nella Pasqua di Cristo. (GS n 22 )

Questa pienezza sovrabbondante di Cristo, si comunica anche attraverso mediatori subordinati a Lui; il Concilio Vaticano II introduce questo discorso, nei riguardi della Madonna SS, figura perfetta della Chiesa (LG nn 55, 56, 60-65). Questa intelligenza di fede nella mediazione subordinata a Cristo propria della Vergine Immacolata, perfetta, personale realizzazione della Chiesa (LG n 63), può aiutarci a capire come il Peccato originale venga superato, e anche come si trasmette di generazione in generazione.

Il peccato originale viene storicamente superato quando, come in Maria SS Immacolata, la corrispondenza e la mediazione subordinata alla grazia di Cristo risulta perfetta; già i Padri della Chiesa in modo concorde parlavano di Maria SS, la sua “recirculatio” con cui scioglie anche a ritroso i nodi del peccato delle origini, di Eva 625

La Chiesa del Vaticano II, per la prima volta in modo così organico, ha trattato del Mistero della Chiesa, delle sue articolazioni Sacerdotali, Gerarchiche e battesimali, religiosi-consacrati e laici, della sua dimensione di santità, escatologica e mariana. Tutte queste articolazioni si alimentano, comunicano la Grazia della Pienezza che sta in Cristo; edificano così il corpo della Chiesa, sempre in Missione per annunciare la buona novella di Gesù Cristo, capace in Lui di leggere la vera consistenza di tutte le comuni questioni umane.

Alla luce della Vergine Immacolata Madre della Chiesa, della sua “recirculatio”, delle articolazioni ecclesiali subordinate della Pienezza che sta in Cristo Gesù (Ef 4,9-16), possiamo meglio teologicamente comprendere come si trasmette, sin dalle origini, quella situazione peccaminosa anti-Verbo incarnato, in cui consiste il peccato originale. Quella situazione peccaminosa di cui lo Spirito Santo, mentre ci introduce a tutta la pienezza di Grazia che sta in Cristo, la sua giustizia, ci offre più intensa convinzione.

Nasciamo in situazione peccaminosa, peccato originale, perché la articolazioni costitutive intrinseche della nostra socialità solidale, non sono più secondo la misura di Cristo creatore, portatrici del suo Santo Spirito, della <santità e giustizia> originali.

Nella Chiesa che si costruisce sul principio Pietrino, sacerdozio gerarchico, segno efficace della grazia di Cristo buon Pastore e Sposo della Chiesa, e sul principio Mariano, della piena e perfetta accoglienza della verità-grazia di Cristo creatore-redentore, tutte queste mediazioni subordinate vengono come riaperte, superando la <privazione> che per nascita portiamo con noi.

L’insegnamento di Giovanni Paolo II ha sviluppato e applicato la dottrina del PO in una prospettiva pienamente in linea con la crescita di intelligenza della fede realizzata dal Concilio Vaticano II. Pensiamo che la teologia del peccato originale può trovarvi le situazioni ideali per una sua corretta intelligenza ed esposizione, e questo per consolidare e assicurare il rinnovamento e solidità di Vita cristiana, l’animazione corretta delle realtà temporali, l’annuncio del Vangelo ed il dialogo che lo anticipa e prepara, cioè le finalità proprie del Concilio dei nostri tempi.626 Tutto

625 Cfr TESTA E., Il peccato di Adamo nella patristica (Gn 3), Gerusalemme 1970, 6-10; 79-80; 109-113; 124-127; 148-150

626 Queste note indicano una pista di studio, che sarebbe bene sia ulteriormente percorsa e approfondita. Anche i saggi recenti sul Peccato originale lo richiedono, con tutta evidenza: Cfr SAYES J.A., Antroplogia del hombre caìdo. El

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questo si può riassumere come esercizio sempre più corretto ed efficace di una libertà ritrovata; questo sarà il tema conclusivo del nostro percorso teologico.627

pecado original, Madrid, Editorial catolica, 1991, con le valutazioni in Civ catt, 1994, I, 260-269; MARTELET G., Libera risposta ad uno scandalo, La colpa originale, la sofferenza e la morte , Queriniana, (=GDT n 177), Brescia 1987, con la recensione in Civ Catt 1989, I, 196-199.

627 “La libertà ritrovata”: questo è anche il titolo dell’ultimo capitolo del lavoro di GRELOT P., Péché originel et Rédemption, cit., 392-430.

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IV LIBERTÀ E LIBERAZIONE

1. IntroduzioneAd un Dio libero in sé, nella sua Vita Trinitaria, libertà gratuita nel creare l’uomo ed il suo

mondo e nel redimerlo in Cristo, corrisponde un uomo creato secondo l’Immagine di Dio, Cristo, a sua somiglianza libero e responsabile.

Abbiamo ora le conoscenze necessarie per parlarne. Tutta la storia salvifica è la storia dell’Amore gratuito e preveniente di Dio, che ci pone nell’esistenza, ci offre comunione, ci redime nella Croce gloriosa di Cristo, per suscitare in noi una libera risposta. L’uomo è libero perché Spirito, capace di conoscere il Vero bene, di realizzarLo con Carità nel corretto esercizio della sua volontà. Una libertà vera, ma propria di uno Spirito bisognoso del corpo, della natura interpersonale, per esistere ed operare spiritualmente; una libertà bisognoso di educazione, di opportune liberazioni, soprattutto di accogliere la vittoria della Croce gloriosa di Cristo sul peccato, che è abuso e negazione della libertà.

Lo studio della libertà umana ci è necessario. Si tratta della qualità spirituale con i suoi condizionamenti corporei, sociali, storici, che più qualifica e caratterizza la vita umana: ne va della sua stessa dignità fondamentale.

1.1 Breve storia della libertà: eclissi di libertà e aurore di liberazione

Notiamo anzitutto come una riflessione teologico-filosofica approfondita della libertà come dignità dell’uomo e di tutti gli uomini, è sorta in ambito cristiano: tutta la storia dell’Alleanza ha come attori Dio nella sua infinita divina libertà e l’uomo nella sua libertà creata, ma capace di responsabile risposta a Dio.

La filosofia greca, specialmente con Aristotele, rifletteva sulla šleuqerˆa, caratteristica distintiva del cittadino libero non doàloj, cioè non schiavo, che nella pÒlij ha il diritto di partecipare alle assemblee cittadine, per la formulazione della nÒmoj, legge, che avrà il dovere di osservare.

L’orizzonte di questa libertà è la convivenza dignitosa, ordinata della città; anche il culto ufficiale delle divinità è a sostegno dell’ordine politico, al suo servizio.

É stata la religione dell’Alleanza a donare e sviluppare la consapevolezza dello stare insieme. responsabilmente davanti al Dio trascendente che offre comunione: il popolo, le Persone, sono invitate ad una scelta decisiva, a vivere in modo conforme a tale dignità, espressa nella preghiera, culto, osservanza delle legge rivelata. I dieci comandamenti esprimono la dignità dell’uomo, il comportamento di chi è aperto, accogliente il Mistero divino, che lo segna, qualifica in profondità. Nella comune accoglienza della dignità della Persona umana, spiritualità e teologia dell’Occidente e Oriente cristiano si distinguono per visioni complementari dell’uomo e della sua libertà: più analitica, con tentazione di razionalismo e individualismo in Occidente, più intuitiva, comunionale e mistica in Oriente.628

Cosi la riflessione su queste qualità caratteristiche dell’uomo (fondazione della libertà umana nell’operare di Dio, suo concreto esercizio per la sua facoltà conoscitiva e volitiva nella stretta unità di anima spirituale e corpo, consistenza del libero arbitrio, il rapporto tra libertà divina ed umana, ora specialmente le relazioni tra libertà e verità nel valutare la moralità degli atti umani…) costituisce un impegno costante e caratteristico del pensiero cristiano.

628 Cfr FRACELIERE R., La conception chrétienne de la liberté, est-elle un héritage de la Grèce antique?, in AAVV, Christianisme et liberté, Fayard, Paris 1952, 72-96; GARDET L., L’Islam et la liberté, ivi, 43-66; CONGAR Y., Monde orthodoxe et liberté, ivi 99-111.

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Le accentuazioni che segnano le scuole di teologia cattolica francescana, domenicana, nominalista, gesuitica sino alle attuali disquisizioni sulle teologie della prassi di liberazione, ruotano sempre su questa fondamentale questione antropologica; essa sta anche sullo sfondo delle lacerazioni ecclesiali del sec. XVI, riforma e controriforma.629

Anche il razionalismo dei lumi continuerà a riflettere sulla libertà: in Kant rappresenta la chiave di volta di tutto il suo sistema. I rivoluzionari francesi ne fecero l’articolo fondamentale, e primo, della Dichiarazione dei diritti del cittadino: “Tutti gli uomini nascono e vivono liberi ed eguali nei diritti” 630; le armate francesi intendevano portare alle nazioni sorelle costituzioni e codici ispirati a questa libertà cosi riconosciuta e promulgata. Sino alla fine del sec. XIX assistiamo ad un predominio di “libertà”: non si parla invece di liberazione.

La situazione si capovolge con Marx e Freud. II marxismo attacca violentemente la libertà solo promulgata da Costituzioni e Codici: essa non è un dato, ma solo il risultato di una laboriosa liberazione; ll dato fondamentale non è libertà, ma alienazione: compito politico-filosofico non è rivendicare una libertà che non esiste, ma liberare l’uomo da una totale alienazione.

Freud sul versante psicologico, introduce il sospetto sull’effettiva consistenza della Volontà razionale, sull’esistenza del libero arbitrio: le radici effettive delle nostre scelte scendono nella zona oscura dell’Inconscio. All’invocazione di una libertà astratta deve sostituirsi la liberazione dai conflitti, che paralizzano la pretesa libertà: la soluzione pratica sarà un equilibrio di compromesso.

Anche molte correnti dell’esistenzialismo sottolineano la liberazione come impegno, azione che precede e condiziona l’evento della libertà. Assistiamo così ad una eclisse di libertà e al sorgere di aurore di varie prassi liberatorie.

Questo spostamento di attenzione e di vocabolario si può meglio intendere con alcune considerazioni:

una riflessione che considera l’uomo nella luce trascendente del Mistero rivelato, dell’apertura all’Essere (prospettiva teologica-metafisica) è l’unica in grado di fondare una dottrina sulla Libertà.

le scienze positive, psicologiche e sociologiche, preferiscono parlare di processi storici di liberazione piuttosto che di una libertà previa, ormai senza radici; una atmosfera culturale intrisa di positivismo è disposta ad accogliere prassi di liberazione collettive, non impegnanti la persona, l’esercizio della sua dignità costitutiva di essere libero e responsabile.— la libertà dell’uomo è qualità propria, del soggetto spirituale, esprime la sua dignità

costitutiva; ma l’anima spirituale è espressa in un corpo, un organismo psyco-biologico inserito nell’organismo sociale: è quindi una libertà soggetta a condizionamenti (determinismi delle leggi biologiche, condizionamenti psicologici e sociali); la libertà propria del soggetto spirituale-corporeo deve esercitarsi nel porre al suo servizio i determinismi naturali, alleggerirne i condizionamenti. La libertà deve gestire la sua ulteriore liberazione. Risulta quindi non corretto un discorso, teorico, sulla libertà, quasi non si dessero condizionamenti; è inconcludente una prassi di liberazione non gestita da persone libere e suscitatrici di libertà.631

un discorso di pura liberazione non permetterà mai di delineare un’autentica libertà: superato un condizionamento, ne sorgerà un altro; risulta anche difficile comporre le alienazioni di Marx, con le tensioni psicologiche di Freud.— inoltre una ideologia di liberazione, che trova la sua norma in una prassi particolare di

liberazione, non è disponibile ad un dialogo universale, in un orizzonte di Verità e Valori 629 Cfr CHANTRAINE G., Erasme et Luther. Libre et serf arbitre. Etude historique et theologique, ed.

Lethielleux-Paris, Presses universitaires de Namur, 1981; ELLUL J., Ethique de la liberté, T. I e II, ed Labor et fides-Geneve, Lib. Protestante-Paris 1973

630 Cfr MARLĖ M., Liberté et liberation, in METZ R. et SCHLICK J., ed. Ideologies de liberation et message du salut, Cerdic, Strasbourg 1973, 12

631 Cfr de FINANCE J., Esistenza e libertà, cit., cap. 2°: Struttura dell’esistente libero, 59-88.

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comunicabili: tenderà inevitabilmente a liberarsi di tutti coloro che non partecipano a tale particolare prassi di liberazione.632

Cerchiamo ora un primo avvicinamento al concetto di libertà, nelle sue articolazioni e condizionamenti.

1.2 Concetto articolato di libertàL’Etimo: sembra provenire dal termine sanscrito: lubjati, che ritroviamo nel latino Libet

(piace), e Liber (opposto di schiavo), nel tedesco Lieben (amare); si possono individuare radici comuni tra il greco šleÚqeroj (opposto di doàloj schiavo) ed il tedesco, Leute, popolo libero, e il corrispondente Liut russo.

Secondo l’etimologia, libertà é la dignità personale di chi non è sottomesso se non alla legge comune; agisce con soddisfazione, spontaneità. Per comprendere meglio la libertà propria dell’uomo, si può partire dalla libertà, totalmente differente del vegetale e dell’animale

il vegetale ha una sua capacità intrinseca di azione: sintetizzare la propria materia organica, riprodursi, anche disporsi nello spazio, per es. orientare verso la luce le proprie foglie

l’animale esalta questa capacità intrinseca di moto, in quanto si sposta con più libertà nello spazio; inoltre non è murato, ma attraverso i sensi riceve informazioni dall’ambiente. Ove il sistema nervoso è più elaborato, una certa memoria sensitiva allarga ulteriormente gli spazi intenzionali di movimento (per es.: il cane che ricerca il padrone non presente).— nell’uomo abbiamo un ulteriore incremento di capacità di movimento con una novità

totalmente differente rispetto allo psichismo animale:633

1° differenza di estensione: il campo dell’attività umana è esteso semplicemente a tutto l’Essere, senza alcuna limitazione

2° differenza in profondità, qualità; mentre lo psichismo animale è legato, non va al di là dell’impressione sensibile del particolare, l’uomo ricerca la verità, quella comunicabile e valida per tutti; la sua intelligenza comprende ed afferma il particolare nell’orizzonte dell’essere, dei suoi trascendentali (uno, vero, bene, bello) e principi.634

Il soggetto umano, superando l’impressione sensitiva, è aperto al reale, a ciò che è vero per tutti gli intelletti, a ciò che é bene per tutti, desiderabile da tutte le Volontà; può scegliere i beni nella prospettiva del Vero Bene, per una sua attività propria, interiore: é libero, in un orizzonte del tutto universale.

Per Aristotele la libertà viene esercitata nel contesto della città, per gli Stoici, dispersi nel mastodontico impero greco-romano, la libertà si esercita nella propria coscienza, domando ed estinguendo le passioni. Solo nel contesto rivelato, di fronte ad un Dio della creazione ed Alleanza totalmente libero nel donarsi all’uomo in Cristo, l’uomo acquista la consapevolezza della propria libertà creaturale, ad immagine di quella divina

Incominciamo a trattare della libertà teologica (e della sua negazione, il peccato), per poi delineare alquanto la sua strutturazione filosofica ed i suoi condizionamenti, nel conscio ed inconscio, e nel contesto socio-politico: libertà politica.

632 La situazione politica è del tutto mutata, così pure l’orientamento del mondo giovanile, ma risulta ancor oggi utile la limpidità teologica dello studio di RATZINGER J., Equivoci della Teologia della liberazione, in Regno documenti (1984) n. 7, 220; MOSSO S., I temi centrali della Teologia della liberazione, Civ. Catt. 1984, IV, 534-548; Id., Contenuti e significati dell’Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione, Civ. Catt. 1985, I, 120-133; GONZALEZ C.I., La teologia de la liberacion a la luz del magisterio de Jean Pablo II en America latina, Gregorianum 1986, 5-46.

633 cfr LOMBARDI VALLAURI L., Libertà libertaria, libertà liberale, libertà liberante, in RICOSSA S. e di ROBILANT E., Libertà. Giustizia e persona nella società tecnocratica, Giuffrè, Milano 1985, 162-164

634 cfr de FINANCE J., Citoyen de deux mondes, la place de l’homme dans la création, Grégorienne-Téqui, Roma-Paris, 1980, 99-117

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2 Libertà teologicaPer entrare un poco nella libertà creata dell’uomo, partiamo dalla perfetta libertà divina;

siamo infatti creati secondo questa immagine e similitudine:

Dio è del tutto libero nella sua vita personale, intratrinitaria: gioiosa conoscenza di se stesso per il Verbo, gioiosa comunione reciproca del Padre e del Figlio nello Spirito Santo; nel pulsare della vita trinitaria, totale spontaneità, trasparenza ed interiorità, nessuna coercizione, totale libertà. Dio non dipende da nessuno, neppure da una legge previa dell’Essere (trascendentali, principi) che è invece totalmente fondata nella sua assoluta perfezione, la esprime a livello creaturale.

Notiamo subito come il potere di peccare non fa parte di una libertà perfetta: il peccato incrina il dinamismo proprio del soggetto spirituale, caratterizzato dalla adesione spontanea al Vero Bene; il peccatore rinnega la propria dignità, libera capacità di Vero Bene.

Dio crea il cosmo e l’uomo per una decisone del tutto libera (vedi il prologo della lettera agli Efesini). Essendo pienezza di Essere già costituita, non può essere accresciuta, non si realizza nel creare; nessuna necessità di creare per essere se stesso, nessun bisogno dell’uomo e del cosmo. Creare per Dio é totale gratuita, sovrabbondanza, partecipare alla creatura la sua infinita perfezione. Ciò risulta evidente anche dal I° cap. di Genesi, specialmente se paragonato alle cosmogonie contemporanee, che sono contemporaneamente teogonie e teomachie.

La creatura è totalmente relativa, dipendente da Dio. Dio invece è totalmente libero da ogni dipendenza; pone nell’esistenza la creatura come partecipazione limitata della sua infinita perfezione, non è minimamente relativo ad essa. La creatura è posta come limitata partecipazione, non limita in nessun modo Dio. Dio non dipende intenzionalmente dalla creatura, che conosce perfettamente nell’atto creatore del tutto identico al suo Essere.

Con un solo atto perfettissimo conosce, ama se stesso, e vuole la creatura, altra da sè, partecipe di sè; ma in modo diverso, conosce e ama, nella libera spontaneità della vita trinitaria, se stesso come assoluta perfezione di Essere, Verità e Bontà, e nello stesso atto, conosce ama e vuole liberamente l’esistenza della creatura come altro da sé, partecipe della sua perfezione.635

La libertà creata sarà, a somiglianza di Dio, capacità di conoscere ed amare spontaneamente, per una attività propria, espressiva la consistenza ricevuta (essere soggetto spirituale-corporeo), il Vero Bene. La libertà umana, essendo creata, non costituisce i valori fine del suo consapevole dinamismo, ma li riceve da Dio, sono ultimamente Dio stesso: ma Dio non la schiaccia, anzi la costituisce libera, con una interiorità spirituale simile alla sua, capace di attività propria.

Può peccare, cioè rifiutare la scelta di Dio, sommo Vero bene, il suo progetto che attraverso le creature la porta a Lui; ma rifiutando Dio, l’uomo distorce il dinamismo della sua libertà, qualificato dall’adesione al Vero-Bene; rinnega la sua dignità. Sia nel suo esistere, quanto nel suo operare, la libertà umana dipende, radicalmente, dalla libertà infinita del Creatore, che la pone in esistenza come libera.

Cerchiamo di delineare i rapporti tra le due libertà, divina e umana, un capitolo della teologia che tratta della predestinazione dell’uomo in Cristo; il termine <predestinazione> l’abbiamo già trovato nel Prologo di Efesini.

2.1 Predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per mezzo di Gesù Cristo (cfr Ef 1,5).

Il rapporto tra l’infinita libertà divina e la creata libertà umana, che compare nella storia del pensiero cristiano sotto il titolo di predestinazione, richiede impostazione rigorosa:

635 cfr de FINANCE J., Esistenza e libertà, LEV,(= Teologia e Filosofia XVIII), cap.3°, L’Archetipo della libertà, 89-140.

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Il progetto di Dio per l’uomo, il mistero rivelato, è Cristo, il Crocifisso glorioso: solo in Lui conosciamo la Salvezza offerta all’uomo. Qui si tocca il Mistero, che si apre a noi come Salvezza per tutti nella Croce gloriosa di Cristo, ma che non possiamo adeguatamente comprendere; sarebbe pretendere di essere Dio panteisticamente e dobbiamo evitare indebiti antropomorfismi. La Salvezza per tutti sovrabbondantemente offerta nella Croce gloriosa di Cristo, potenzia la libertà dell’uomo senza eliminarla: l’uomo resta responsabile.

Predestinazione, cioè come stanno tra di loro la libertà divina e quella creaturale umana? Agostino esalta l’assoluta libertà di Dio nel salvare, forse questa assoluta libertà non è sufficientemente correlata all’unica economia di salvezza manifestata in Cristo; si specula sul numero dei salvati.

Baňez O.P. († 1604) sostiene l’assoluto primato di Dio, parla di <premozione fisica> della libertà, di una predestinazione “ante praevisa merita” nell’eleggere alla salvezza; anche se con sfumature, risulta chiaro che la salvezza è il frutto delle grazie efficaci che Dio dà agli eletti e non dipende dai loro meriti.

Molina S.J. († 1600) afferma una predestinazione “post praevisa merita”: si cerca di salvaguardare la libertà umana poiché Dio dona grazia efficace e perseveranza a coloro che nella sua scienza media conosce capaci di una risposta positiva.

La prima osservazione che dobbiamo fare riguarda un certo antropomorfismo di espressioni: parlare di “premozione fisica della libertà umana” non imposta il rapporto tra due soggetti spirituali con terminologia purificata. Il modo di agire di Dio, specialmente nei riguardi dell‘interiorità spirituale dell’uomo libero, tocca il Mistero stesso di Dio.

Inoltre al centro della progetto divino della predestinazione non sta una generica volontà divina sul mondo, nè la questione filosofica del rapporto tra l’Assoluto e la libertà umana, ma una salvezza che nella Fede consideriamo in Cristo; Lui è il volere di Dio nei nostri confronti: “In Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi immacolati di fronte a lui nella carità”( cfr Ef 1,4).

Cristo è la volontà eterna e misericordiosa di Dio, che vuole l’uomo libero come l’altro da sé per la comunione con sé. Cristo Crocifisso è l’efficace misericordia di Dio allorché entra nel campo immenso dell’umana contraddizione, del peccato, non voluto da Dio: la possibilità del male è nella volizione dell’uomo, ma non vi è nulla in Dio che patteggi col male.

La diversità tra eletti e riprovati, né si motiva su di una doppia classe di persone che Dio vuole, tanto meno sulla base di una doppia volontà di Dio, una di salvezza e una di riprovazione; la differenza sta tutta nella serietà con cui Dio, volendo Cristo e la nostra vocazione a vivere in Lui, accetta fino in fondo la libertà umana con la sua amara possibilità di peccato e anche dannazione.636

2.2 Cristo, persona totalmente libera e liberante.L’assoluta libertà di Dio creatore e salvatore si manifesta nella libertà di Cristo in mezzo alle

nostre vicende umane. Gesù tutto ha ricevuto, come ogni uomo, dal proprio ambiente: cultura, educazione, (etc.), non rifiuta i debiti inserimenti nella storia del suo popolo. Ma attraverso tutto ciò che riceve dal rapporto con gli altri, resta sempre se stesso, libero da tutte le pressioni, da tutte le suggestioni, è sempre libero nel fare la volontà del Padre, portare avanti la sua opera: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”( Lc 2,49). “Tutti ti cercano! Egli disse loro andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto” (Mc 1,37s)

La sua libertà non è il segno di una indifferenza distaccata, di uno spirito troppo preso da alti pensieri, incapace di interessarsi di ciò che avviene sotto di lui; é vicinissimo alla vita dell’uomo, ne

636 cfr COLZANI G., Antropologia teologica, cit. 219-238

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partecipa pienamente, sente compassione, sensibile ai drammi dei corpi e degli spiriti. Senza fare violenza alla realtà, rimane sempre il Maestro, il Signore: la docilità di Gesù agli avvenimenti è segno della sua Signoria, di chi accogliendo la creatura nella sua realtà totale, la ricrea in ciascun istante secondo il progetto di Dio.

Il nostro moltiplicare i progetti è segno di una signoria debole sulla realtà, che rincorre la realtà più che imprimerle il proprio segno. Gesù di fronte a tutto ha, già, la sua libertà: di fare la volontà del Padre, di riportare tutte le realtà, anche quelle bloccate e distorte dal peccato dell’uomo, nel progetto di Dio creatore e redentore, che conosce una sola legge: la Carità. Cristo è così libero e sicuro di sé perché è una cosa sola col Padre, totalmente affidato al suo Amore: può cosi affrontare il passo difficile della Croce.

La sua Persona, tutta la sua azione è liberante: la libertà dell’uomo nella sua costituzione, grazie soprannaturali, dinamismi deve considerarsi nella luce di Cristo. L’uomo è creato, redento secondo questa Immagine; non esiste una libertà umana non conformata a Cristo, non costituita, redenta da Lui nella capacità di accogliere Dio, di amare il Padre con cuore filiale, nello Spirito Santo, di amare nella stessa carità divina anche i fratelli.

“Se rimanete nella mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”(Gv 8,31s). Ai Giudei che si ritengono liberi perché figli di Abramo, perché depositari della legge, ricorda che solo Lui, l’Immagine filiale in tutto fedele al Padre, la sua Verità, ci farà liberi; impedimento a questa libertà è il non accogliere, il non credere in Lui: questo è il peccato fondamentale.637

Cristo è venuto per liberarci da ciò che distrugge la libertà: il peccato che nell’abuso della legge, conduce alla morte. “Se infatti non credete che Io sono, morirete nei vostri peccati”(Gv 8,24). Il Peccato, infatti, spegne il dinamismo vero della libertà, lo violenta, allontana da Dio che solo é vita. “Poiché la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte”(Rm 8,2).638

Il peccato è sempre accompagnato dall’abuso della legge: o perché non si osserva la legge, il decalogo, che esprime la dignità dell’Immagine Dio; o perché ci si inorgoglisce nell’osservanza della legge, mentre solo lo Spirito Santo, frutto del Mistero pasquale, ci abilità ad osservare la legge in tutte le sue esigenze. L’orgoglio dell’osservanza della legge, la indurisce, esteriorizza, la trasforma in un idolo, mentre essa è la forma espressiva dell’apertura, della fedeltà vissuta al Padre, della conformità donata, interiore ed esteriore, a Cristo.

“Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo”(Gal 6,2): Cristo è la nostra legge, perché ha compiuto fedelmente tutta la volontà del Padre, portando, senza risentimento, il peso di tutte le nostre fragilità. Cristo è venuto a liberaci, per farci vivere la sua Carità verso il Padre e verso il prossimo, in cui si riassume tutta la legge (cfr Mt 22,34-40; Mc 12,28-34).

Nell’Antico Testamento la iniziale vicinanza di Dio al Popolo permette di riconoscere la legge fondamentale di libertà, il Decalogo, come espressiva la dignità personale e comunitaria dell’Immagine il Dio; permette anche di impegnarsi ad osservarla. Nel Nuovo Testamento il dono più abbondante dello Spirito Santo per la redenzione di Cristo, permette non solo di osservare il Decalogo, ma di interiorizzarlo in una carità misericordiosa simile a quella del Padre: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”(Lc 6,36). Le Beatitudini sono la “magna carta” della indicibile libertà di Cristo e del suo discepolo, la qualità nuova della giustizia del

637 Cfr de la POTTERIE I, La verité dans s. Jean, T II (=AB 74), Rome 1877, 786-866.638 Cfr SCHLIER H., La legge perfetta della libertà, in Il tempo della Chiesa, ed. il Mulino., Bologna 1965, 310-

329; GRELOT P., Esperance, liberté, engagement du Chrétien, Paris 1982. GUILLET J., Liberté liberation, II, L’Ecriture, in D S, vol. IX, Beauchesne, Paris 1960, 793-809; SOLIGNAC A., III, Pères de l’Eglise, ivi, 809-824.; AUGRAIN Ch., Esclave I. Dans l’Ecriture, ivi, IV, 1067-1071; WEEGER J. et DERVILLE A., II, Chez les Pères de l’Eglise, ivi, 1071-1080

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Regno, sovrabbondante rispetto a quella di Scribi e Farisei (cfr Mt 5,20), capace di amare anche i nemici, senza mai lasciarsi imprigionare nelle spirali della violenza, della malvagità.

Questa indicibile libertà frutto dello Spirito Santo, lo Spirito di Cristo, deve esprimersi ad ogni livello dei rapporti sociali, secondo la loro consistenza creata. L’Antico Israele era una realtà religiosa, popolo di Dio, ma direttamente espresso, unito ad una realtà sociale, politico-economica, possedeva quindi un proprio codice, con norme coercitive.639

Il Nuovo Israele realizzato da Cristo è comunità religiosa, dotata di organismo sacramentale e Pietro per il riferimento visibile, efficace a Cristo; si distingue nettamente dalla comunità politica, che accetta come esistente di fatto, se le sue leggi e comportamenti non sono contrarie alla pietà e dignità fondamentale umana (cfr 1Tim 2,1-6; Rm 15,1-7; 1 Pt 2,15-17). L’Apocalisse parla della paziente fedeltà al Vangelo di una comunità osteggiata da uno Stato idolatrato: la vittoria è riservata alla pazienza dei martiri. II Vangelo non contempla quindi, come possedeva il popolo dell’Antica Alleanza, codici con carattere coercitivo perché legge di stato. La spada è propria dell’autorità politica:

“Ma se fai il male, allora devi temere, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi fa il male”(Rm 13,4).

In luogo dei codici coercitivi, la nuova legge dei discepoli del Signore, il discorso della montagna, presenta una serie di casi (se uno ti percuote, se uno ti costringerà a fare un miglio...), la cui soluzione concretissima non è imposta (vedi la risposta di Gesù allo schiaffo del servo, Gv 18,22-25), ma tale da esprimere l’amore fedele, misericordioso, più grande di ogni aggressione, e capace di offrire, promuovere il bene ordinato delle persone, comunità, a tutti i livelli, senza il ricorso al malvagio e alla malvagità (Mt 5,39); non opporsi al malvagio con la malvagità, ma con l’amore fedele, la forza vera dell’uomo libero e liberante.

Il Cristo ci ha liberato dal peccato (abuso della legge, morte), per vivere nella Carità di Dio ad ogni livello della creazione (famiglia, lavoro cultura, società politica), che possiede la propria ricevuta consistenza, da riconoscere e promuovere.640

La libertà teologica animando ed orientando anche la consistente libertà umana, crea il terreno propizio per la realizzazione di una sana educazione e auto-educazione, le debite liberazioni umane, come avvenne per la schiavitù greco-romana.

Per meglio intendere le articolazioni tra libertà teologica, impegno educativo, libertà politica, riprendiamo il tema della libertà filosofica: una necessaria mediazione.

3 Libertà dell’uomo: la dimensione filosofica.Il concetto di libertà esprime una qualità essenziale al soggetto umano, quella di auto-

determinarsi, essere luogo autentico di gestione delle proprie azioni, centro di consapevole responsabilità. Proprio a partire da se stesso, per la sua facoltà di conoscere ed agire, la volontà l’uomo si orienta verso il suo fine, il Bene-Vero, che dà senso a tutto il suo esistere.

Il soggetto umano è costitutivamente interiorità spirituale, capacità di conoscere il vero particolare nell’orizzonte del Vero assoluto, di aderire al bene parziale nell’attrattiva del Bene assoluto; per questa sua interiorità spirituale, è libero.

In un mondo naturale, guidato da leggi della materia, deterministiche, compare, come novità assoluta, una consapevole responsabilità, di iniziativa, capace di cogliere, non creare i valori, di realizzarli attraverso una attività propria. La libertà umana è fondamentalmente questa spontaneità

639 cfr Codici dell’Alleanza: Es 20-25; Dt 12-26; Lv 17-26; Decalogo: Es 20,1-17; Dt 5,6-22640 Cfr SCHLIER H., la legge perfetta della libertà, in Il tempo della Chiesa, EDB 1965, 310-329; GRELOT

P.,Esperance, liberté, engagement du chrétien, Paris 1982; GUILLET J., Liberté, liberation, II L’Ecriture, in D.S, vol. IX, Beauchesne, Paris 1976,

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spirituale, grazie alla quale ed in virtù della quale l’uomo si apre a ciò che dà senso alla sua esistenza: il Bene Vero.

Nella forma concreta umana di spirito incarnato, la nostra libertà si realizza come libero arbitrio: la libertà che si lascia attrarre dal bene assoluto, muovendosi e scegliendo tra i beni particolari.641

La Volontà, facoltà appetitiva razionale, è capace di Bene e si dirige al Bene; solo sotto l’aspetto del Bene può volere qualcosa. Il Bene in sé è positività pura: Dio; al Dio svelato la facoltà appetitiva razionale aderisce necessariamente ed insieme spontaneamente, gioiosamente; il suo dinamismo proprio viene pienamente realizzato. Vi è nello Spirito creato, nel suo dinamismo fondato nella. sua stessa costituzione, un desiderio naturale di Dio.

Ma lo Spirito incarnato tende al Bene assoluto impegnandosi nei beni non assoluti; attraverso beni “contingenti” si orienta verso il Bene positività pura; il suo problema è di assicurare un’articolazione adeguata tra le finalità immediate, che è in grado di proporsi, e la sua finalità ultima. Mentre posto in presenza del Bene assoluto si orienta a Lui irresistibilmente e liberamente, davanti ai beni particolari, contingenti, finiti, esso può volerli solo a condizione di riconoscerli come una tappa autentica, possibile, nel suo cammino verso il Bene supremo.

Per questo è necessario un giudizio di valutazione, di scelta, non su di una situazione astratta, ma su quella concreta, singola in cui l’azione si svolge. Vi è evidentemente un intervento della ragione, valutazione comparativa di beni, mezzi, fini; ma oltre il ragionamento pratico sugli oggetti, deve intervenire un giudizio effettivo, una presa di posizione determinante del soggetto, che proviene solo da lui, una decisione dello spirito. La facoltà che formula il giudizio pratico e decide è il libero arbitrio, o meglio la volontà razionale dello spirito incarnato, in quanto è libero arbitrio. 642

Si potrebbe anche dire che il libero arbitrio è la forma che assume la libertà quando, in presenza di situazioni contingenti, deve aprirsi come una strada verso il proprio fine, impegnandosi in atti che ultimamente dipendono solo da lei: per es. agire o non agire, considerazione e scelta dei mezzi convenienti, decisione fondamentale di orientarsi o no al sommo Bene.

Nel descrivere la nostra libertà possiamo incontrare una qualche difficoltà. Si tratta di una qualità spirituale, nostra, costitutiva, qualcosa che tocca l’uomo in quanto è uomo, è un problema originario, come quello dell’Essere e dei suoi principi; richiede una riflessione sul nostro Io cosciente negli atti in cui più si impegna come libero, per es. la conversione, la scelta vocazionale, la perseveranza nel bene.

Ogni studio importa sempre una certa oggettivizzazione; ma lo spirito umano, appunto perché è spirito, non si disperde totalmente nei suoi atti, rimane se stesso e può ritornare su se stes-so. Se l’oggettivizzazione nello studio dell’Io, libero e cosciente, viene erroneamente spinta sino a perdere il senso dell’interiorità spirituale, cade in un determinismo materializzante e cosificante; non si può più parlare di libertà e libero arbitrio. Come abbiamo già accennato, percepiamo più vivamente il nostro essere liberi, come qualità, dignità fondamentale del Soggetto spirituale, nei momenti in cui “giochiamo” la nostra vita davanti a Dio: la conversione, la scelta vocazionale, la perseveranza nel bene.

La Volontà è autonoma, ma non arbitraria: riceve la norma interna dalla propria struttura costitutiva creata, il suo essere aperto, la sua capacità, il suo appetere il Bene-Vero. La sua finalità

641 BOTTURI F., L’ontologia dialettica della libertà, in Id., ed., Soggetto e libertà nella condizione post-moderna, Vita e Pensiero, Milano 2003, 127: «L’analisi aristotelica del volontario, che pone nell’agente il principio, si applica all’uomo rendendolo padre delle proprie azioni, in forza dell’intelletto, che distanziando l’agente dall’immediatezza della percezione, ridescrive ed interpreta il dato esperienziale, e così instaura il dato dell’indipendenza e della direzione del desiderio. (Aristotele, De anima III, 9-10)»

642 Cfr per il Libero arbitrio in Tommaso, LOTTIN O., Psychologie et morale aux XII et XIII siècles, T. I, Problèmes des psychologie, Abbaye de Mont César-Louvain, Duculot J.-Gembloux, 1942, 207-216.

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risulta così iscritta per creazione nel proprio essere; è a partire dalla sua destinazione fondamentale (il Bene-Vero) che essa è chiamata a giudicare sull’orientamento delle proprie azioni particolari e sul loro ordinamento rispetto a ciò che costituisce il loro fine ultimo. L’uomo ha in sè una coscienza etica che precede e guida la riflessione etica; tale coscienza etica altro non è che la specificazione della coscienza di sé dell’essere umano in quanto abitato da un dinamismo spirituale che lo porta ad incontrare Dio.

La realizzazione dei propri dinamismi spirituali non si impone in modo necessitante al Soggetto spirituale, così come una legge fisica si impone alla realtà della natura; l’alta dignità del soggetto spirituale risiede in questo: che esso deve riconoscere da sè la propria legge interna, ratificarla e farla attivamente propria.

Anche la Grazia di Cristo è fondata in questo ordine di natura spirituale, per instaurarvi il suo ordine specifico; il Soprannaturale Cristico eleva, purifica, trasfigura il soggetto spirituale corporeo, non lo aliena. La Verità, donata, liberante, è ora Cristo, la fedele Immagine del Padre; il Bene-Amore dinamicizzante è la stessa carità divina, lo Spirito Santo, per amare filialmente, conformati a Gesù, il Padre ed i suoi figli. Ma è il soggetto spirituale, con la sua libertà caratteristica, che viene così soprannaturalmente qualificato.

L’esercizio della libertà così elevata dalla Grazia di Cristo, deve tenere conto di condizioni concrete di azione, che riguardano la natura esterna sociale dell’uomo, e quella sua intrinseca, psichica.

Ci interessiamo ora di questi condizionamenti della libertà umana, una libertà autentica, ma non pura, per la sua espressione corporea; la libertà deve prenderne consapevolezza, per porli al proprio servizio, correggere le deviazioni che le impediscono di esprimersi anche in queste condizioni naturali di esistenza: la libertà in quanto deve ulteriormente liberarsi attraverso debiti processi di liberazione.

3.1 La libertà in crescita: valori auto-trascendenti e inframorali.Accenniamo solo ai condizionamenti della Libertà umana per il suo inserimento nel cosmo,

da coltivare e custodire (Gn 2,15); il soggetto umano deve conoscere i determinismi della natura esterna (compito delle scienze) per utilizzarli (con le tecniche) per i suoi fini umani; realizzare il primato: dello Spirito sulla materia

della Persona sulle cose dell’ Etica sulla tecnica.

Ci soffermiamo invece più a lungo sulla natura intrinseca alla nostra libertà, il suo psichismo sensitivo-razionale; esso fornisce all’azione le risorse energetiche sulle quali deve potersi basare il dinamismo proprio dello spirito. Se è vero che in alcune condizioni le forze psichiche possono bloccare la libertà, è anche vero che di per sé, esse hanno al contrario la funzione di darle la base della sua efficacia. La libertà umana non è quella di uno spirito puro, ma quella di uno spirito incarnato.643

Tali risorse energetiche possono considerarsi a livello degli appetiti fisiologici e psicosociali: si parlerà allora, specialmente con gli psicologi, di bisogni, le tendenze innate riguardanti gli oggetti in quanto emotivamente importanti per me. Se invece consideriamo il livello di vita razionale-spirituale, parleremo invece specialmente con i filosofi, di valori: tendenze innate verso oggetti in quanto importanti in se stessi.

Si tratta del livello propriamente umano, in cui ricercare i fondamenti della nostra libertà; riguarda la capacità di afferrare la natura delle cose, estraendola dai dati dei sensi, dalle impressioni e leggi della materia: valore dell’uomo, il senso della vita umana…. Questi contenuti implicano che

643 cfr LADRIERE J., Sui concetti di Libertà e liberazione, in AAVV, Libertà cristiana e liberazione, LEV 1986, 229s

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la nostra vita psichica trascende il nostro essere influenzati, qui ed adesso da qualche stimolo: sul fondamento di questa “liberazione” dalla prigionia del concretissimo dell’impressione sensibile per raggiungere ed affermare la verità e bontà oggettiva degli oggetti, universale e comunicabile, si creano gli “spazi” per l’esercizio della libertà del soggetto spirituale.

Con de Finance J. distinguiamo:

A) valori a base non specificamente umana: sono i valori della vita biologica, sensibilità, tutto ciò che reca piacere o dolore, salute, malattia.

B) valori umani inframorali: restano ancora esteriori a ciò che l’uomo possiede di propriamente suo, poiché non impegnano l’esercizio della libertà e della responsabilità del proprio Io:

valori economici-eudemonici; come prosperità, miseria, successo o insuccesso personale; tutto ciò che il mondo giudica situazione di felicità o infelicità.

valori noetici, come acquisire conoscenze, sviluppare scienza.

valori estetici.

valori sociali, come la prosperità e coesione del gruppo, l’affiliazione, la dominazione... ed i loro opposti.

valori che riguardano la stessa volontà, in quanto è natura: uno stile fermo, rilassato, la forza di carattere.

Notiamo come questi valori spirituali sono ancora inframorali perché riguardano la natura spirituale, in quanto ancora natura, e non ancora il soggetto stesso spirituale come tale; così conoscere il bello non rende più belli; solamente conoscere il bene senza renderlo proprio con l’esercizio della libertà responsabile, non rende più buoni.

C) valori autotrascendenti: interessano la persona umana come tale, il suo agire libero, impegnano l’esercizio della sua libertà responsabile, ne misurano l’autentico valore umano:

Valori morali: toccano il soggetto in ciò che ha di più suo, cioè il suo agire libero, manifestazione della sua interiorità spirituale; concerne l’azione umana stessa in quanto procede dalla volontà libera nell’aderire al Bene o al Male. Qui l’atto sarà giudicato buono o cattivo come atto umano, e il soggetto sarà buono o cattivo come uomo. Così un tipo brillante, fornito di tutti i valori inframorali, se li vive rifiutando il Bene, sarà semplicemente cattivo; un tipo meschinamente dotato, se fornito di retta volontà, sarà semplicemente e assolutamente buono.

Il Valore morale è inteso degno di stima in se stesso; potrà anche essere ricercato in vista della salvezza, ma non potrà mai divenire un semplice mezzo per un altro fine: esprime infatti il rapporto con l’Assoluto, implicitamente aspirato come orizzonte di libertà; non può mai essere un bene preferire qualcosa al Bene: il bene morale non ammette vacanze o ritirate strategiche, poiché la sua esigenza ha carattere di Assoluto.

Valori religiosi: riguardano la relazione del soggetto umano con il Soggetto assoluto, principio supremo del Valore; si esprime in atteggiamenti di rispetto, sottomissione, fiducia verso Dio, come pietà e santità personali; chi è santo irradia il divino. Riguarda direttamente non più il soggetto come tale, ma la sua relazione vissuta col Principio personale divino del suo essere e di tutto l’ordine dei valori. Nel valore morale l’Assoluto è aspirato implicitamente nell’orizzonte di libertà; qui è inteso direttamente: ciò che sta in primo piano non è più l’attività dell’uomo, ma la Realtà sovrana da cui dipende tutto il destino dell’uomo. Il Valore religioso è irriducibile al Valore morale, ma sta in intima relazione con esso:

-- non c’è autentica religione senza moralità

-- non si da perfetta moralità senza religione.

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I Valori religiosi-morali impegnano tutta la persona, tutte le sue energie psichiche nell’esercizio della libertà in vista della autotrascendenza teocentrica.644

“La libertà, certo, è data all’uomo insieme alla sua natura. Ma in un certo senso deve conquistare se stessa. Se è vero che la libertà appartiene in modo essenziale all’essere dell’uomo, allora vivere secondo la propria libertà e le sue esigenze, diviene un compito per l’azione. L’uomo sarà tanto più adeguatamente nella linea della propria vocazione, quanto più si renderà capace di fare propria, nella libertà, quella finalità che è iscritta nel suo essere, quel dinamismo spirituale che lo costituisce. Ciò che è in causa, qui, è proprio l’esercizio della libertà. Si tratta, per la volontà libera, di suscitare attraverso l’azione che essa intraprende, condizioni nelle quali sarà maggiormente in grado di agire proprio come volontà libera.

Si tratta in definitiva di liberare la libertà al fine di restituirla al suo essere. Ecco senza dubbio che cosa, nel senso più profondo, significa il concetto di liberazione: la volontà che si libera allo scopo di essere se stessa, vale a dire allo scopo della propria vocazione più autentica.

- In negativo ciò comporta uno sforzo per diminuire gli ostacoli che limitano, dall’esterno, l’esercizio della libertà

- in positivo, comporta l’apertura di un campo di azione nel quale la responsabilità dell’uomo potrà esercitarsi in modo sempre più efficace.

Nel campo della natura psichica troviamo da una parte il ruolo delle diverse terapie, il cui senso è in definitiva quello di ristabilire una condizione di libertà ostacolata da una o altra forma di patologia psichica; dall’altra parte, il ruolo dell’educazione e dei diversi metodi di formazione, ivi compresi quelli sul piano propriamente spirituale, il cui senso è aiutare la personalità a dare a se stessa il livello di integrazione il più alto possibile preparandosi così ad appropriarsi sempre meglio di se stessa. In un certo senso tutta la vita morale-religiosa può essere considerata un processo di auto-liberazione” 645

Per un maturo esercizio di libertà che valorizzi tutte le energie psichiche umane, è bene accennare alla questione dei rapporti tra conscio ed inconscio.

3.2 Rapporti conscio-inconscio nel costruire la libera personalità.La visione classica dell’uomo esaltava il suo essere cosciente, libero, responsabile: il

primato del conscio; la psicanalisi freudiana introduce il sospetto circa la conclamata libertà umana: comportamenti, idee, emozioni, sistemi di relazioni sono governati dall’inconscio. L’essere conscio rappresenta, si direbbe, un epifenomeno dell’inconscio; qui le posizioni si invertono: si passa ad un primato dell’inconscio.

Non è nostro compito riportare le critiche che, anche a livello sperimentale, vengono rivolte alle strutture antropologiche freudiane.646Sicuramente l’inconscio si da, è attivo, può essere favorevole all’esercizio della conscia libertà, può anche creare difficoltà. Senza infirmare il primato della dimensione conscia e responsabile dell’uomo, sia clinici, sia filosofi, sia teologi si sono impegnati a precisare le relazioni dinamiche conscio-iconscio. In proposito L. M. Rulla, sintetizza il pensiero del clinico H. Ey, del filosofo P. Ricoeur, del filosofo-teologo K. Wojtyla.

Specialmente Wojtyla allarga notevolmente il campo dell’inconscio: vi ascrive tutta la vita vegetativa, e gli eventi della vita psichico-emotiva, più o meno accessibili alla coscienza; tutte queste dinamiche hanno l’uomo per soggetto, accadono in lui senza che ne sia l’Attore, l’Agente conscio e responsabile.

644 cfr RULLA L. M., Antropologia della vocazione cristiana 1, Basi interdisciplinari, Ed Piemme, Casale Monferrato 1985, 115-118

645 LADRIERE J., Sui concetti di libertà e liberazione, in AAVV, Libertà cristiana e liberazione, LEV 1986,229s

646 cfr RULLA L.M., Antropologia della vocazione cristiana 1, cit. 57

304

Wojtyla distingue così nel dinamismo umano una sfera accessibile alla coscienza, da un’altra che vi rimane più o meno inaccessibile:

il subconscio di origine biologica l’inconscio, che deriva dalla repressione, come in Freud.

Wojtyla parla addirittura di una priorità di potenzialità del livello subconscio-inconscio; una priorità che è strutturale nel dinamismo umano, minimamente priorità nel senso di superiorità o predominanza: essa. è chiaramente del conscio.

L’attenzione alla dimensione subconscia ed inconscia è utile per precisare meglio le potenzialità del soggetto nel loro aspetto interiore: “Esse aiutano in parte a vedere «l’interiore continuità e coesione del soggetto» perché il subconscio mette a fuoco le transizioni tra quello che solo accade nell’uomo come conseguenza delle sua sfere vegetativa ed emotiva, cioè delle sue attivazioni, da una parte, e dall’altra quello che egli sperimenta consciamente e considera sue azioni.

Si tratta di una continuità e coesione non solo dentro al subconscio ma anche tra conscio e subconscio; […] conscio e subconscio indicano indirettamente dove si possono trovare le sorgenti della storia di ciascun individuo, cioè in fattori presenti nella sua struttura dinamica […] C’è una costante spinta, propulsione del subconscio verso la luce del conscio Perciò il subconscio mostra il conscio come la sfera in cui l’uomo si autorealizza”.647

Anche il clinico Ey H. parla, di un essere conscio che ha un inconscio, sua creazione, sua proprietà; dell’essere psichico come un essere che si apre la via verso un mondo di libertà. La psicanalisi tende ad analizzare un passato registrato nell’inconscio represso, per allentare le tensioni. Gli autori considerati dal clinico Ey H., trattano di un conscio soggetto responsabile che può crescere in libertà consapevole, tenendo presente anche la propria strutturale componente subconscia-inconscia; valorizzano la capacità di sintesi di una coscienza spirituale, che si lascia attrarre dal Vero-Bene.

Ricoeur. si serve in particolare della Fenomenologia dello Spirito per descrivere la formazione dell’Io conscio: a somiglianza di Hegel, parla di una dialettica inconscio-conscio come progressivo movimento di sintesi, autocoscienza più matura, desiderio di Verità, di infinito.

La psicanalisi tende invece all’analisi del passato, è archeologia. Anche se l’utilizzazione della Fenomenologia dello Spirito risulta discutibile (Hegel non pensava minimamente ad una fenomenologia dell’essere conscio nel senso odierno, di Husserl), Ricoeur abbozza prospettive da valorizzare; per es. quando parla dei “simboli progressivi”, nell’uomo maturo divenuto capace di nuovi indicatori di significati, di nuovi simboli.648

Noi possiamo esemplificare: dalla mensa umana alla Mensa dell’Eucaristia, dalle nozze al dono sponsale di Cristo alla sua Chiesa, il S. Celibato….

4 Libertà politicaRiprendiamo ora il filone centrale delle nostre considerazioni. Siamo partiti dalla Libertà

teologica: siamo liberati dalla Croce di Cristo, la Verità filiale e fraterna, per vivere, conformati a Lui, nella Carità verso il Padre ed i suoi figli; liberazione dal peccato, dall’abuso della legge, dalla morte.

Questa libertà teologica non aliena, anzi consolida, purifica la libertà fondamentale, filosofica, mentre la esalta nel proprio ordine soprannaturale, l’indicibile libertà delle Beatitudini, opera in noi dello Spirito Santo, capacità di amare anche i nemici. Ora la libertà del soggetto spirituale-corporeo si presenta intrinseca ad una natura psico-razionale: ne abbiamo esaminate

647 Ivi 77-80648 Ivi 64-83

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energie e condizionamenti; la necessità di liberazioni, specialmente attraverso l’educazione, l’esercizio cioè di una libertà aperta ai Valori trascendenti morali e religiosi.

Ma la libertà umana è inoltre vissuta in una natura sociale, a lei intrinseca; dobbiamo quindi brevemente impostare il tema della libertà propria di un soggetto sociale, cioè la libertà politica. Punto di riferimento obbligato resta la libertà fondamentale, filosofica649: l’uomo, anche nella situazione sociale, è sempre persona, fine, mai semplice mezzo; si tratta pure di evidenziare i campi delle necessarie liberazioni da devianti condizionamenti sociali.

“La persona umana è un essere sociale per sua natura, ossia per la sua innata indigenza e per la sua connaturale tendenza a comunicare con gli altri; questa socialità umana è il fondamento di ogni forma di società e delle esigenze etiche che vi sono iscritte” 650.

Anche nella vita sociale, così intrinseca alla Persona umana, le relazioni inter-personali devono essere oriente ad un fine di libertà: che la Persona, la sua capacità di Vero-bene sia promossa, e questo si realizzi con un impegno, istituzionale e spontaneo, in cui tutti liberamente siano corresponsabili.

Ascoltiamo un Maestro, il laico Ladriere J. recentemente scomparso: ”“Nel campo della natura sociale si tratta di attuare le condizioni della vita collettiva in modo

tale che le persone possano effettivamente disporre dell’esistenza in quanto esseri liberi, promessi ad un destino personale, e che, d’altra parte, i membri della collettività possano effettivamente esercitare la propria responsabilità, non solo rispetto alle loro vite private, ma anche rispetto alla vita della collettività stessa. […] In una parola, sul piano della esistenza sociale, il compito essenziale è quello di garantire la coesistenza delle libertà, e con ciò garantire ad ogni libertà la possibilità di viversi in quanto tale. É in questo modo che si articolano il concetto antropologico (filosofico) ed il concetto politico di libertà.”

In altre parole: la finalità propria della vita politica mira a realizzare un quadro istituzionale in cui non solo le singole persone siano rispettate nell’esercizio della loro libertà, ma inoltre a questo fine convergano tutte le<libertà> in una forma di vita collettiva in cui si delinei un ordine di corresponsabilità.

“La vocazione propria dell’ordine politico è infatti proprio quella di assicurare alla coesistenza delle libertà un quadro istituzionale capace non solo di assicurare ad ognuno i diritti che gli spettano in quanto essere libero, ma anche di fare convergere le azioni delle varie persone verso la realizzazione di un’opera comune, di una forma di vita collettiva nella quale si possa riconoscere un ordine di libertà (che si esprimerà in opere, in istituzioni, in parole, ma in definitiva soprat tutto nella qualità dei rapporti tra gli uomini). Ora è precisamente un tale progetto ad essere espresso dal concetto di libertà in quanto categoria della filosofia politica. Ciò a cui questo concetto mira non è in modo diretto un dato regime politico (per es. una data forma concreta di democrazia), quanto piuttosto quella esigenza fondamentale secondo la quale deve essere concepito ogni regime concreto adeguato all’essere libero dell’uomo.

Questa esigenza è una idea ispiratrice, che delinea un compito e chiama ad un sforzo di costruzione sempre da rinnovare. E l’idea di una comunità capace di organizzarsi da sola, e di darsi le proprie leggi, costituendo, nell’istituzioni che dà a sé stessa, un ordine di interazione nel quale le varie persone possano incontrarsi e reciprocamente riconoscersi in quanto agenti liberi, e nel quale possano trovare uno spazio di realizzazione che chiami la loro libertà -in quanto responsabilità - a essere sempre più conforme alla propria essenza.

649 Ci muoviamo sempre nell’ambito del soprannaturale cristico che non elimina, abolisce, anzi qualifica, rilancia la sua consistente natura creaturale; comprendiamo come la VS, nel delineare la corretta vita spirituale morale, dopo avere trattato dell’ambito necessario delle beatitudini-virtù (nn 6-27), insistendo sull’unità spirituale-corporea dell’uomo (n 48), esamini attentamente l’atto morale umano, le fonti della moralità di esso (nn 71-83), la sua dimensione sociale, l’intrinseca legge naturale (nn 95-101).

650 CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti per lo studio e l’insegnamento della dottrina sociale, n 34, in EV 11, 1278; PONT. CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, LEV 2004, Cap. III, La persona umana ed i suoi diritti, 58-86

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É proprio l’idea fondamentale di libertà a dare il suo senso al concetto politico di libertà. E come la volontà libera, nella sua essenza, è esigenza di realizzazione della propria finalità, allo stesso modo la libertà politica è appello ad una realizzazione effettiva. In tale modo essa da senso ai processi storici che cercano di realizzarla” 651.

Possiamo, per orientare la realizzazione di una società politica a misura della persona umana, delineare tre ordinamenti di Libertà politica:

1) Libertà libertaria: è buono tutto ciò che è spontaneo, non coatto; non si da libero arbitrio, verità etica di bene e di male. Quello che conta è che ognuno si muova liberamente, come ne ha voglia; tutto è permesso, nulla è vietato, quindi è permesso anche impedire ciò che è permesso. Prevarrà la violenza senza scrupoli di chi saprà imporsi.

Questo modello, può ritrovarsi nei sistemi filosofici de Sade D.A.F. e Stirner M.. L’idea guida è il <super-uomo> che afferma praticamente : <Io sono l’unico, il mondo è mia proprietà>; corrisponde al Gulag dove una cosa sola può essere detta; “l’uomo é numero, la società é massa”.

2) Libertà liberale: cerca di assicurare la libertà di tutti, non solo dell’Io <super-uomo>; realizzare diritti che siano veri diritti, doveri che siano veri doveri; un sistema giuridico che riduce la libertà puntando su di un massimo, realisticamente possibile, di libertà. Molti promotori storici di tale sistema politico sono agnostici, non si pongono veri problemi di bene e male etici, ma puntano ad uno stato di diritto che assicuri la coesistenza delle persone. Per valutare tali sistemi filosofici-politici, il loro potenziale degrado, è sufficiente percorrere la storia del pensiero politico occidentale da Ugo Grozio (1583-1645) a David Hume (1771-1776), Jeremi Bentham: il porre Dio tra parentesi (etsi Deus non daretur di Grozio), ha portato ad una perdita di capacità ontologica ed etica della ragione, coll’accogliere il limitato modello delle scienze sperimentali.

“La filosofia moderna tende ad avallare una nozione dei diritti come pretese individualistiche, assolute, senza misura. Questa visione propizia il conflitto tra i diritti, manca di un fondamento e, quindi, di un criterio ultimo (la dignità umana), per cui è impossibile giudicare la loro autenticità e falsità.”652

Necessità di una verità umana per la sua fondazione, per il corretto esercizio della libertà, in altre parole urgenza di una legge naturale, almeno intraveduta nello stendere, con maggioranze qualificate, le Carte costituzionali etc.

Corrisponde a Babele, non si cerca di superare l’incomunicabilità tra le persone, ma solo assicurare una certa convivenza giuridica: “l’uomo è persona giuridica in una comunità giuridica”.

3) Libertà liberante: quella che veramente desideriamo, che tende a realizzare un sistema politico veramente adeguato alla dignità riconosciuta di ogni uomo; la libertà liberale, un certo stato di diritto, ci interessa ultimamente nella prospettiva della libertà liberante. Essa non si accontenta della convivenza della Babele, ma cerca di realizzare la comunicazione tra le persone, un qualificato ordine di rapporti tra le persone.

Corrisponde a <Pleroma>, inteso come il luogo della ricerca della verità, della creatività, e della comunicazione “l’uomo è persona nella società comunione”.653

Come impostare i programmi di libertà liberante? Notevole il progetto esposto nel Cap. V di Libertà cristiana e liberazione 654: il suo principio ispiratore è la Dottrina sociale della Chiesa. Essa esige educazione delle libertà, a partire dal <cuore> dell’uomo, nel 651 LADRIERE J., Sui concetti di Libertà e liberazione, cit. 231s652 Cfr TOSO M., Democrazia e libertà, laicità oltre il neoilluminismo moderno, (=Bibl. di Scienze religiose

196), Las-Roma, 207. Libro veramente utile, nella molteplicità delle dimensioni sociali che esamina, dei percorsi storici sobriamente analizzati, nelle conclusioni e nelle soluzioni positive di Dottrina sociale cristiana.

653 Cfr LOMBARDI-VALLAURI L., Libertà libertaria, libertà liberale, libertà liberante, in Libertà, giustizia e persone della società tecnologica, a cura di RICOSSA S. e di de ROBILANT E., Giuffrè 1985, n 53-60.

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contesto sociale di uno stato di diritto degno di questo nome 655, promuovendo una “vera civiltà del lavoro”. Il lavoro è, in qualche modo, “la chiave di tutta la questione sociale” 656

Tale progetto non è che una applicazione del Magistero sociale della Chiesa, ulteriormente ripreso, nel contesto della situazione a noi contemporanea, dalla “Sollecitudo rei socialis” (Cap VI : Alcuni orientamenti particolari).657

In questo contesto di libertà liberante è bene ancora precisare alquanto il concetto di liberazione, sempre rifacendosi allo studio di Ladriere J.:

“Ciò che è in causa qui è proprio l’esercizio della libertà. Si tratta, per la volontà libera, di suscitare, attraverso l’azione che essa intraprende, condizioni nelle quali sarà maggiormente in grado di agire proprio in quanto volontà libera; si tratta, in definitiva, di liberare la libertà al fine di restituirla al suo essere. Ecco senza dubbio che cosa, nel senso più profondo, significa il concetto di liberazione: la volontà che si libera allo scopo di essere se stessa, allo scopo della propria vocazione più autentica.

In negativo ciò comporta uno sforzo per diminuire gli ostacoli che limitano, dall’esterno, l’esercizio della libertà.

In positivo comporta l’apertura di un campo di azione nel quale la responsabilità dell’uomo potrà esercitarsi in modo sempre più efficace. Questo progetto generale comporta così quattro obiettivi:

eliminare le diverse forme di oppressione e di sfruttamento di natura economica, sociale e politica

eliminare le pseudo-fatalità che risultano da un cattivo accomodamento, o dalla mancanza di accomodamento, tra le parti sociali, e, in positivo procurare le situazioni che assicureranno un’ordinata regolazione dei meccanismi economici

garantire i diritti attraverso i quali si esprime, sul piano giuridico, quel libero disporre di sé del quale deve beneficiare la persona–- realizzare istituzioni politiche suscettibili di conferire una base effettiva alla

partecipazione dei cittadini” 658.

Queste pseudo-fatalità sono spesso indicate col nome di “peccato strutturale sociale”: vedi l’ampio insegnamento nell’esortazione apostolica Reconciliatio et Paenitentia al numero 16.

L’Istruzione Libertà cristiana e liberazione così si esprime al n. 74: “Le strutture sono l’in-sieme delle istituzioni e delle prassi che gli uomini trovano già esistenti o creano sul piano nazionale o internazionale, e che orientano o organizzano la vita economica, sociale e politica. Di per sé necessarie, esse tendono spesso ad irrigidirsi e a cristallizzarsi in meccanismi relativamente indipendenti dalla volontà dell’uomo paralizzando in tale modo o stravolgendo lo sviluppo sociale

654 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione Libertatis conscientia, Libertà cristiana e liberazione, del 22 Marzo 1986, AAS 79 (1987), 554-599; in EV, vol. 10, 118-239; GONZALEZ C.I., Il Documento su “Libertà cristiana e liberazione”, Civ. Catt. 1986, II, 220-232. THILS G., L’Instruction sur la liberté chrétienne et la liberation, in RTL, (1986), 444-452 .

655 Centesimus annus, cap. V “Stato e cultura”, n 51; 44656 Laborens exercens, n 3657 TOSO M., Democrazia e libertà, cit., Cap. IX, Laicità dello stato democratico e legge morale naturale, 3., La

nozione di laicità sviluppata dalla Dottrina sociale della Chiesa, 189-195, osserva come a partire dal Magistero di Pio XII: ”Il protagonismo o, meglio, la soggettività della società civile è costantemente difesa e incoraggiata dalla Dottrina sociale della Chiesa [….] In breve il profilo di laicità tratteggiato dalla Dottrina sociale della Chiesa, non concerne solo il rapporto tra Chiesa e Stato, ma include il commisurarsi incessante dello Stato, delle sue istituzioni, del suo ordinamento giuridico alla società civile” (pag.195). Ne viene il dovere della comunità religiosa di inserirsi con intelligenza ed efficacia nella stessa società civile, in modo che la legge naturale, di cui la comunità politica non può fare a meno, sia il più possibile riconosciuta anche nelle leggi dello Stato. Notevoli le indicazioni di Evangelium vitae, nn 73-74 per le votazioni nei Parlamenti di leggi in materia non trattabile

658 LADRIERE J., Sui concetti di Libertà e liberazione, cit. 231

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e generando l’ingiustizia. Esse tuttavia dipendono sempre dalla responsabilità dell’uomo che le può modificare e non da presunto determinismo storico”.659

Il n. 75 tratta del primato delle persone sulle strutture: “La dirittura morale è condizione per una società sana. Bisogna dunque operare ad un tempo per la conversione dei cuori e per il miglioramento delle strutture perché il peccato, che è all’origine delle situazioni ingiuste, è, in senso primario e proprio, un atto volontario che ha la sua sorgente nella libertà della persona. E solo in senso secondario e derivato che esso si applica alle strutture e che si può parlare di peccato sociale”.

Anche la “Sollecitudo rei socialis” compiendo, nel Cap. V, una lettura teologica dei problemi odierni, sviluppa ulteriormente le precedenti considerazioni sulle strutture del peccato, notando che esse trovano la loro origine ultima nella brama esclusiva del profitto e nella sete del potere a qualsiasi costo; questi atteggiamenti devianti di persone e di gruppi richiedono la conversione dei cuori (nn. 35-40).

Non è certo nel quadro della comunità politica che l’uomo raggiunge il suo fine ultimo; tale fine ultimo si realizza nel Regno di Dio, di cui la Chiesa, Corpo di Cristo, rappresenta il germe vitale, già storicamente percepibile ed efficace. L’unica missione della Chiesa (partecipazione nel tempo della missione storica di Cristo) di Evangelizzare e Santificare, contempla pure l’animazione cristiana dell’ordine temporale 660, che comprende anche i compiti di libertà-liberante.

Per esercitare questa sua missione specifica, creare ambiti sociali convergenti sul riconoscimento dell’uomo Persona, con i possibili riconoscimenti legali, è necessaria una presenza riconosciuta della comunità religiosa nella società laica. Riconoscimento non in forza di una benevola e ricusabile concessione, ma esprimente la percezione di una costitutiva dimensione religiosa, personale e sociale dell’uomo, e pertanto la sua capacità di ricercare il vero bene nella sua tensione alla Trascendenza.661

Il progetto, idea che anima una società liberante, risulta qualificato da questa ricerca della Verità del bene autentico della Persona. La comunità religiosa rappresenta un fermento di vero bene, di ricerca della legge naturale già iscritta nel soggetto spirituale corporeo, nelle sue tendenze: questa sua attiva e riconosciuta presenza trattiene la società laica dal regredire in un relativismo etico, in cui Persone e relazioni sociali non hanno più garanzie. Non abbiamo forse notato sin dall’inizio del nostro percorso teologico che il Dio dell’Alleanza, accolto, celebrato, porta con sé il riconoscimento di essere pienamente anche il Dio della Creazione ? Ne segue il riconoscimento di una laica, etica, corretta autonomia della stesse realtà create.

L’ordine temporale possiede una propria consistenza creaturale che deve essere percepita e rispettata. Ne segue che:

“L’identità ecclesiale dei laici, radicata nel Battesimo e nella Cresima, attualizzata nella comunione e nella missione, comporta una duplice esperienza: quella che si fonda sulla conoscenza delle realtà naturali, storico culturali in questo mondo, quella che proviene dalla loro interpretazione alla luce del Vangelo. Esse non sono interscambiabili, l’una non può sostituire l’altra, ma entrambe trovano l’unità nel loro primo fondamento, che è la Parola di Dio, il Verbo mediante il quale tutto è stato fatto, e nel loro fine ultimo che è il Regno di Dio” 662

659 Per l’impostazione della Teologia morale nel suo insegnamento accademico, nel contesto di libertà-liberazione, le sagge riflessioni di GARRONE G.M., Position de la Théologie morale, in Libertà-liberazione nella vita morale, Atti del II Congresso nazionale dell’Assoc. Teol. Moralisti italiani, Morcelliana, Brescia 1968, 169-176

660 Vedi l’insegnamento della Lumen gentium, nn. 30-42, ripreso da Apostolicam actuositatem, nn. 6-7; e la terza parte della Christifideles laici, dal titolo “ Vi ho costituito perché andiate e portiate frutto; la corresponsabilità dei fedeli laici nella Chiesa-missione.”

661 Il Vaticano II ha trattato del Diritto della persona e delle comunità alla libertà sociale e civile in materia religiosa nella Dichiarazione Dignitatis humanae

662 Orientamenti della Dottrina sociale n. 59, in EV, 11, 1294

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In questo contesto, la costruzione di un ordine sociale a misura di uomo, è altamente stimato: “La fede cristiana, infatti, valorizza e stima grandemente la dimensione politica dell’esistenza umana e della attività in cui essa si esprime. Ne consegue che la presenza della Chiesa nel campo politico è una esigenza della stessa fede, alla luce della regalità di Cristo, che porta ad escludere il divorzio tra la fede e la vita quotidiana, uno dei più gravi errori della nostra epoca. E tuttavia evangelizzare la totalità dell’esistenza umana, inclusa la sua dimensione politica, non significa negare l’autonomia della realtà politica”.663

Cristo Verbo incarnato, la Parola creatrice, il Redentore, è sempre il vero fondamento e il ricapitolatore in sé di tutta l’umanità e il suo mondo: tutto in Lui è fondato, redento, internamente collegato e ricapitolato.

Così si esprime Libertà cristiana e liberazione, al n. 80: “La distinzione tra l’ordine soprannaturale della salvezza e l’ordine temporale della vita umana deve essere vista all’interno dell’unico disegno di Dio, che è di ricapitolare tutte le cose in Cristo. E’ questa la ragione per la quale nell’uno e nell’altro settore, il laico, ad un tempo fedele e cittadino, deve lasciarsi guidare dalla sua coscienza cristiana”.

Non è nostro compito entrare nei problemi concreti dell’evangelizzazione della vita politica; è certo che il rapporto Fede-giustizia richiede nel Cristiano le virtù teologali della Speranza e Carità, piena espansione della Fede, ed inoltre l’inserimento della virtù morale della Giustizia nella quadriglia di Prudenza, Fortezza e Sobrietà.664 Papa Benedetto XVI nell’Enciclica Deus Caritas est (n 29) ha ricordato l’impegno della Chiesa nell’illuminare e purificare la ragione e sostenere il risveglio delle energie morali per la realizzazione di strutture giuste, compito proprio della società civile e dei laici cristiani in essa.

La nostra riflessione è stata sempre guidata da. una visione che viene dall’Alto, dall’Atto creatore di Dio in Cristo, atto fondante la nostra vita, atto espresso in assoluta libertà.

La libertà dell’uomo creato secondo l’Immagine di Dio-Cristo, è qualificata da una simile interiorità; è dotato di <cuore> centro responsabile di attività propria per realizzare, in forza della Carità donata, nella fedeltà al Padre, nella solidarietà con i suoi figli, la concretezza dell’ordine creaturale, la sua legge ivi iscritta.665

Abbiamo cercato di esaminare come la libertà teologica, potenziamento di quella filosofica, si esprima ed animi anche quella sua dimensione intrinseca, che è l’ordine politico.

Non ci stupiamo che il recente Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, nelle stesse finalità, dia spazio al discorso sulla Libertà della Persona umana (nn 135-143), nei suoi vincoli con la verità e la legge naturale, come valore fondamentale della vita sociale (nn 199-200).

Ma anche nel delineare la Speranza cristiana Benedetto XVI ha sentito l’esigenza di fare intervenire ancora la libertà umana; tutta la cultura moderna programma mete di benessere, frutto di determinismi economici, scientifici-tecnici, strutture sociali che dovrebbero funzionare in modo automatico. Insegna Papa Benedetto nell’enciclica Spe salvi:

“Il retto stato delle cose umane, il benessere morale del mondo non può mai essere garantito semplicemente mediante strutture, per quanto valide esse siano. Tali strutture sono non solo importanti, ma necessarie; esse tuttavia non possono e non devono mettere fuori gioco la libertà dell’uomo

663 Ivi, n 63, 1298.664 La libertà prende forma nelle Virtù, cap. III della Parte 2°, Libertà come autorealizzazione di COZZOLI M.,

Etica teologica della Libertà, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2004, 229-264.665 Sulla presenza di Cristiani autentici per lo sviluppo e consolidamento di una autentica libertà, in ogni aspetto,

cfr THILON G., Declins des libertes, in AAVV, Christianisme et liberté, cit., 13-25.

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Anche le strutture migliori funzionano soltanto se in una comunità sono vive delle convinzioni che siano in grado di motivare gli uomini ad una libera adesione all’ordinamento comunitario. La libertà necessita di una convinzione; una convinzione non esiste da sé, ma deve sempre essere di nuovo riconquistata comunitariamente”(n 24).

“ La situazione delle cose umane dipende in ogni generazione nuovamente dalla libera decisione degli uomini che ad essa appartengono. Se questa libertà, a causa delle condizioni e delle strutture fosse loro tolta, il mondo, in fin dei conti non sarebbe buono, perché un mondo senza libertà, non è per nulla un mondo buono” (n 30).

Per essere liberi, per gestire bene la vita personale e sociale, perché nella società politica l’uomo-persona sia rispettato, promosso, per impostare le necessarie piccole speranze della vita quotidiana, riprenderle in mano quando non riescono, abbiamo necessità della Grande speranza, la comunione che Dio ci offre già ora e poi nella beatitudine eterna: accogliere per Cristo l’amore del Padre, che ci fa in Lui figli liberi (cfr Gv 8,31s), liberi per programmi di Vero bene, di Speranza. 666

666 cfr BENEDETTO XVI, Spe salvi, sulla Speranza cristiana, n 31. In questa prospettiva tutta l’ultima enciclica : Caritas in veritate

311

VI INDICE DEGLI AUTORI

Agostino .......71; 95; 99; 102; 103; 104; 105; 106; 109; 111; 112; 122; 139; 140; 152; 154; 208; 209; 226; 240; 248; 252; 255; 256; 257; 258; 259; 260; 261; 262; 263; 269; 270; 279; 281; 283; 298

Alberto Magno...................................114; 162Aletti, J.N.. .34; 38; 40; 42; 43; 45; 46; 47; 50;

51; 56; 58Alfaro, J..........................................................9Alszeghy, Z......9; 18; 79; 128; 130; 135; 149;

207; 227; 245; 250; 253; 258; 262; 267; 269; 278; 323

Altamer, B....................................................97Alzseghy, Z................................................150Amsler, S......................................................34ANSELMO di Aosta..................................124Ario..............................99; 100; 101; 102; 161Aristotele ........31; 34; 72; 96; 103; 108; 114;

115; 116; 117; 118; 122; 124; 125; 127; 129; 132; 162; 167; 199; 294; 296

Armendariz, L.M..15; 78; 104; 118; 167; 172; 201; 242

Assmann, J...................................................83Atanasio di Alessandria...............99; 255; 256Atenagora.....................................................98Augrain, C..................................................299Avicenna ..................................................134Bach, E.......................................................141Bailleux, E..................................................120Bajo, M..............................163; 269; 270; 281Baňez, O.P..................................................298Barauna, G.................................................150Barrow, J.D......................................................230Barsotti, D..................................................160Barth, K....15; 21; 52; 55; 133; 160; 162; 164;

165; 168; 170; 257; 274; 275; 321Baumgartner, P...........................................268Beauchamp, P..........................21; 34; 41; 276Benedetto XII ...........................................129Benedetto XVI63; 69; 85; 105; 157; 177; 217;

279; 310; 311Benoit, P.................................................49; 50Bentham, J..................................................307Bernini, G.....................................................50Beyreuther, E.............................65; 67; 72; 75Bietenhard, H.............................65; 67; 72; 75Biffi, G...................................................82; 83

Bihlmeyer, K..............................................111Blanchard, Y. M...........................................13Blondel, M.................................................174Bonaventura . 8; 98; 108; 112; 113; 114; 115;

116; 119; 127; 131; 178; 185; 262; 320Bonino, S....................................................200Bonnard, P.E..............................................175Borgonovo, G.......................................84; 174Botturi, F....................................................301Bouyer, L...................................................220Braga, C.......................................................13Brague, R.....................................................81Brambilla, F.G...................................9; 21; 22Brena G.L...................................................187Briend, J...............................................55; 217Brouard, M...................................................13Bruno, G.....................................................134Buis, P..........................................................17Bussagli, M................................................188Cacciari, M.................................................198Calvino, G..................................................138Canizares-Lovera, A..................................173Cantalamessa, R...........99; 100; 123; 181; 252Carelli, R....................................................216Carlè, P.L...........................................104; 181Cartesio, R.......................9; 88; 139; 140; 173Casaroli, A.................................................227Cerfaux, L..................................................248Chantraine, G.............................................295Chenu, M.D................................................124Cipriani, S....................................................70Cipriano......................................................258Cirillo di Alessandria.................................256Cirillo di Gerusalemme......................162; 255Clemente Alessandrino ...90; 92; 97; 98; 101;

128; 254; 255; 256Coenen, L...................................65; 67; 72; 75Colombo, G........................................163; 164Colzani, G........................................9; 10; 298Congar, Y.. .13; 63; 85; 87; 99; 134; 137; 141;

154; 186; 265; 266; 294Copleston, F.........................83; 139; 140; 142Cosmas, I......................................................58Cozzoli, M..................................................310Crescenzi, A...............................................204Cusano, N.............................................83; 183Danielou, J.....................................58; 93; 252

312

Darwin, C...................................................204De Bene, A.................................................112De Chardin, T............204; 205; 227; 268; 324De Dinant, D..............................................112de Finance, I...............................................225De Finance, I.. . .125; 128; 168; 174; 199; 201;

204; 205; 207; 210; 214; 226; 295; 296; 297; 303; 322; 325

De Fraine, J................................................236De Henares, A............................................270De La Potterie, I.............................50; 70; 299De Lubac, H.....9; 13; 20; 27; 42; 82; 85; 158;

164; 166; 167; 168; 171; 227; 228; 320De Margerie, B...........................................120De Merode, M..............................................58De Vio, T. (Caietano) ...............................130Deissler, A....................................................60Della Croce, G...................................183; 184Della Volpe, G...........................................183Demaret, J...................................................230Derosseaux, L..........25; 32; 55; 217; 232; 238Derville, A..................................................299Di Lojola, I.................................138; 184; 185Di Nola, A....................................................61Didimo d’Alessandria................................240Dihle, A........................................................72Dilthey, W..................................................183Dion, P.E................................................53; 54Dionigi l’Areopagita..................................106Domenico di Guzman........................114; 184Dubarle, A. M................................20; 22; 324Duns Scoto, G.......6; 106; 107; 108; 109; 111;

116; 130; 131; 132; 185; 262Dupont, J......................................................46Eckhart, M.................................135; 183; 185Eichrodt, W............................................17; 19Einstein, A.................................118; 201; 205Eliade, M......................................................20Ellul, J........................................................295Emery, G....................................................119Engels, F............................................272; 273Erasmo di Rotterdam...........................95; 267Eriugena, G.S.......6; 106; 107; 108; 109; 110;

111; 130; 185; 262Eusebio.......................................................178Eutiche.......................................105; 161; 162Ey, H..........................................................305Fabbro, C..............................................84; 125Facchini, F..........................................211; 212Fedou, M......................................................40Feiner, J..............................................188; 322

Festorazzi, F...........................................18; 32Feuerbach, L...................................................9Feuillet, A............................................50; 175Feyerabend, P.K.........................................204Fichte, J.G..................................140; 142; 183Filone Alessandrino...........101; 255; 256; 259Finance, J...................................................213Fizzotti, E...................................................198Flick, M....9; 18; 79; 128; 130; 135; 149; 150;

207; 227; 244; 245; 250; 253; 258; 262; 267; 269; 278; 321; 323

Foreville, R.................................................112Forte, B.......................................................121Fraceliere, R...............................................294Francesco d’Assisi ..112; 113; 114; 115; 127;

184Freud, S......................269; 272; 273; 295; 305Frost, F...............................................265; 267Ganoczy, A........................................183; 187Gardet, L....................................................294Garofalo, S...................................23; 210; 237Garrone, G.M.............................................309Gasser, V....................................144; 145; 146Gherardini, B..............................................135Giansenio, C...............................163; 269; 270Giardini Morra, M.L..................................252Gibellini, R.........................................227; 228Gilbert, M............................33; 34; 35; 38; 40Gilbert, P....................................179; 180; 187Gilson, E...107; 109; 111; 114; 116; 124; 126;

127; 129; 131; 132; 133; 134; 139Gimbutas, M...............................................212Gioacchino da Fiore .........................112; 113Gioia, M.....................................................185Giovanni Crisostomo.........................240; 256Giovanni della Croce.................................116Giovanni Paolo II...............................216; 218Giovanni Paolo II...............................221; 226Giovanni Paolo II .......38; 63; 128; 135; 139;

157; 175; 202; 273; 277; 279; 286; 288; 289; 290; 292

Giovanni XXIII ........................................152Girolamo....................................................257Giustino ....................................86; 96; 97; 98Gnoli, R........................................................30Gomez Meier, V.........................................204Gonzalez, C.I.....................................296; 308Gozzelino, G..9; 188; 189; 191; 192; 193; 196Gregorio di Nazianzo .......................106; 109Gregorio di Nissa .............................106; 256

313

Grelot, P.......40; 42; 241; 246; 268; 273; 275; 293; 299; 300

Grillmeier, A......................................127; 252Grillmeier, H. ............................127; 141; 252Grozio, U....................................................307Guillet, J.......................................20; 299; 300Guilluy, P. 229; 232; 238; 248; 261; 262; 265;

267; 271; 273Hamman, A.G............................................123Hänggi, A...................................................148Harder, G......................................................72Haulotte, E...................................................62Heddebaut, C..............................................229Hegel, G.F.W.... .9; 82; 83; 84; 140; 141; 142;

163; 166; 178; 179; 182; 183; 186; 187; 271; 272; 305; 323

Heidegger, M.................9; 178; 182; 186; 282Henrici, P...................................................274Hermes, G..................................................143Huber, G.....................................................197Huizinga, J.................................................263Hume, D.....................................................307Hünggi, A.....................................................13Ignazio di Antiochia ...................................95Ilario...........................................................106Imoda, F.....................................................272Innocenzo III..............................................112Introvigne, M.............................................197Ippolito.....................................13; 86; 98; 149Ireneo di Lione...5; 80; 81; 88; 90; 91; 92; 93;

94; 95; 96; 97; 98; 100; 103; 152; 224; 248; 252; 253; 254; 255; 256; 258; 284

Jacob, R......................................................248Jedin, H......................................................138Jllanes, J.L....................................................84Jung, C.G....................................................284Jüngel, E............................141; 142; 143; 187Kant, I.....7; 88; 139; 142; 172; 182; 183; 271;

272; 285; 295; 323Kasper, W....................................82; 143; 187Kelly, J.N.D.............86; 91; 99; 102; 104; 105Kern, W........................................17; 120; 124Kierkegaard, S..............................................84Kittel, I.......................................................188Koster, H....................................................277Kozlowski, J.K...........................................212Kuhn, T.S...................................................204Ladaria, L.F..9; 22; 82; 85; 94; 104; 121; 163;

166; 187; 207Ladriere, J..149; 302; 304; 306; 307; 308; 309Lafitte, J.......................................................84

Lafont, G......................13; 106; 122; 124; 272Lambert, D..................................................230Larcher, C..........31; 32; 35; 36; 38; 39; 40; 73Laurentin, R...............................................197Lavatori, R.................................188; 189; 196Leclerc, J..............................................17; 128Leclercq, H.................................................105Lecrivain, P........................................116; 133Lengsfeld, P...............................................245Lenoble, R..................................................139Leon Dufur, X........................................69; 75Leone Magno.....................................106; 255Leone X ....................................................129Lethel, F.M...................................................83Levie, J.........................................................75Ligier, L........20; 50; 136; 232; 233; 234; 235;

237; 238; 239; 240; 246; 247; 255Lohfink, N....................................................17Löhrer, M...................................................188Lohse, E.......................................................46Lombardi Vallauri, L.........................296; 308Lortz, J...............................135; 136; 138; 266Lossky, V...................................................183Lottin, O.............................................127; 301Lotz, J.B.....................................................186Lukken, G.M..............................................280Lutero, M......6; 7; 9; 135; 136; 137; 138; 139;

141; 163; 178; 179; 183; 184; 185; 186; 187; 264; 265; 266; 321

Lyonnet, S..................................................248Lyotard, J...................................................187Maceri, F......................................................71Majorano, S............................................65; 71Maldamé, J.M......61; 201; 203; 206; 207; 230Marengo, G................116; 119; 120; 214; 217Marlè, M.....................................................295Martelet, G...................................45; 293; 323Martensen, H.L..........................137; 141; 187Martini, C.M..............................................184Marx, K................83; 269; 272; 273; 295; 324Massimo il Confessore .....................106; 109Mathieu, L..................................................119Mc Partlan, P..............................................148Medda, A....................................................275Melina, L............................................173; 174Melitone di Sardi.....92; 93; 95; 252; 253; 277Mendel G....................................................204Metz, R.......................................................295Miegge, G...................................................274Migliori, M...................................................72Milano, A...................................................116

314

Minges, P.J.................................................132Minnerath, R..............................87; 88; 97; 98Molina, S.J.................................................298Moltmann, J.................................42; 143; 187Mondin, G.B..............................................116Montagnini, F...............................................50Mooney, C.F..............................................228Morin, E.............................................222; 223Mork, W.......................................................60Moschetti, S.M.....................30; 173; 210; 279Mouroux, J.................154; 156; 279; 324; 325Mucci, G.D.................................................187Mussner, F..................................................243Nannini, S...................................................207Nautin, P.....................................................252Negretti, N.........................20; 21; 24; 57; 235Nestorio ...................100; 101; 105; 161; 162Neunheuser, B............................................138Nicolas, M.J...............................................207Nietzsche, F...............140; 142; 178; 182; 186Nisibi..........................................252; 254; 255Nitti, S........................................................138Noriega, J...........................................173; 174Ockham 6; 130; 132; 133; 134; 139; 174; 178;

182; 263Orban, L.....................................................143Orbe, A...................................................90; 94Origene...............................................255; 256Origene .....................................101; 102; 259Oromi, M....................................................114Otero Lazaro, T............................................43Pahl, I...................................................13; 148Palmieri, D.....................................................9Panimolle, A.................................................50Pannenberg, W...................137; 141; 143; 187Paolo VI ..128; 157; 198; 209; 268; 275; 276;

277; 282; 286; 290; 291Pascal, B.....................................................126Pegis, A.C..................................................119Pelagio...............100; 105; 258; 259; 260; 324Penna, A.......................................................22Penna, R.......................................................50Perrot, C.......................................................13Pettau, D.....................................................138Pettinato, G...................................................25Peuchmaurd, M..........................................154Philippe, M.D.............................................116Pieper, J......................................................228Pietro Lombardo................................112; 113Pietro, G.O.................................................128Pio V ................................................163; 270

Pio VI .......................................................179Pio XII.........69; 152; 202; 203; 209; 268; 308Pistoia, A......................................................13Planck, M...................................................201Platone........................................................213Platone ....15; 27; 28; 31; 54; 72; 93; 96; 103;

114; 125; 199; 275Plotino........................................................213Plotino ................96; 101; 103; 108; 124; 134Policarpo ..............................................90; 95Pomponazzi, P............................................129Pottier, B............................272; 276; 279; 323Pottmeyer, H..............................................143Prades Lopez, J..........................................119Prades-Lopez, J..................................214; 217Prestige, G.L....................................93; 97; 98Przywara, E........................139; 140; 170; 321Pulmann, B.................................................203Rahner, K.......................................9; 103; 165Ratzinger, J...29; 85; 112; 114; 115; 128; 174;

213; 214; 296Ravasi, G.F..............................61; 72; 73; 105Refoulé, F...................................................258Rey, B..................................................42; 175Rhonheimer, M..........................................174Ricoeur, P.27; 28; 29; 30; 274; 275; 276; 277;

305Ricossa, R..........................................296; 308Rinaldi, P.G..................................................22Robilant, E.........................................296; 308Rondet, H. 257; 258; 259; 262; 267; 272; 274;

276Rulla, L.M..........................................304; 305Rulla, M.L..................................................273Russel, R.J.......................................................230Sade, D.A.F................................................307Sala, G.B....................................................172Salvucci, R................................................197Sanna, I..........4; 9; 15; 52; 123; 166; 178; 187Sartre, J.P...................................................182Sayes, J.A...................................................293Scanziani, F................................................279Scharbert, J........................232; 236; 237; 268Scheeben, R..................................................52Scheffczyk, L.....108; 109; 111; 112; 113; 137Schelkle, K.H...............................................41Schelling, F.W.J.................................140; 183Schlick, J....................................................295Schlier, H.......................50; 93; 192; 299; 300Schőnborn, C................................................52Schoonenberg, P................281; 282; 283; 285

315

Sciacca, M.F.......................................125; 228SCIUTO I...................................................124Scola, A.................58; 82; 119; 214; 217; 219Seeman, M.........................................188; 322Seibel, W....................................................229Serra...........................................................209Serra A.......................................................209Serra, A..............................................211; 216Sesböué, B.........90; 92; 93; 95; 104; 116; 133Seux, M.J......................................................25Sharbert, J...................................................233Shoonenberg, P..........................................282Ska, J.L......15; 18; 24; 75; 232; 233; 235; 236Sofocle.......................................................214Solignac, A.................................................299Steenberghen, F..........................................114Stirner, M...................................................307Stoeger, W.R...............................................230Suarez, F.....................................................139Szabo, T.....................................................114Tanzarella, S...............................................104Tempier, S..................................................127Teodoro di Mopsuestia..............101; 256; 257Teofilatte....................................................240Teofilo di Antiochia.....................................99Teresa del Bambino Gesù..........................116Termes, P.....................................................58Tertulliano...............93; 96; 98; 100; 103; 258Testa, E..............254; 255; 256; 257; 258; 292Testa, P......................23; 24; 25; 57; 210; 237Thilon, G....................................................310Thils, G.......................................................308Thommasin, L............................................138Tipler, F.J....................................................230Tommaso ........5; 6; 8; 11; 39; 52; 71; 97; 98;

106; 107; 108; 113; 114; 115; 116; 117; 118; 119; 120; 121; 122; 123; 124; 125; 126; 127; 128; 129; 130; 131; 132; 133; 142; 162; 163; 171; 178; 179; 182; 183; 185; 188; 198; 200; 201; 202; 209; 262; 263; 265; 301; 322

Torrel, J.P...........................................121; 124Tosato, A......................................................58Toso, M..............................................307; 308Tremblay, R.........................................71; 175

Tresmontant, C.....................................88; 227Troublet, J....................................................40Tuechle, H..................................................111Vaccaro, A.................................................207Valentini D....................................................6Valentino......................................................90van den Aardwegg-G.J.M..........................216Vancourt, R................................................271Vandermeersch, B......................................212Vandervelde, G..........................................285Vanhoje, A...................................................41Vanneste, A................................................285Vanni, U.........................................46; 57; 245Vannini, M.................................................207Vermeylen, J................................................17Vignaux, P..................................................134Vignolo, R......................................93; 95; 252Vignoux, P.................................................114Vinai, V......................................................138Voegelin, E...................................................83von Balthasar, H. U............................213; 224von Balthasar, H.U.. .9; 55; 75; 76; 78; 79; 80;

82; 83; 90; 91; 93; 95; 97; 106; 114; 115; 119; 133; 139; 142; 143; 144; 158; 160; 162; 164; 165; 168; 170; 183; 184; 187; 215; 216; 221; 225; 228; 274; 321

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36; 40; 42; 57; 235Weeger, J....................................................299Westermann, C.15; 16; 20; 21; 22; 23; 24; 25;

40; 42; 53; 57; 235Wisser, L......................................................22Witte, J.L......................................................50Wojtyla, K..................................................305Wolff, C.....................................................139Wolff, H.W............................................60; 65Wolinscki, J..................................................40Zahringer, D.......................................188; 322Zamboni, S...........................................71; 175Zarri, A.......................................................257Zosimo.......................................................260Zuanazzi, G.F.............................................212Zucal, S..............................................188; 198Zwingli, U..................................................138

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VI INDICE

1 INTRODUZIONE 4

1.1 Cenni di storia dell’Antropologia teologica fondamentale. 81.2 Fondamenti di Antropologia teologica: Protologia , Grazia, Esca-

tologia 101.3 Le fonti dell’Antropologia teologica: lex orandi-celebrandi, lex

credendi, lex vivendi 12

I L’UOMO ED IL MONDO, CREATURE DI DIO SECONDO LA SCRITTURA. 14

1 ANTICO TESTAMENTO 151.1 Dio personale, trascendente, unico dell’Alleanza è il Creatore 201.2 La conoscenza dell’unico Creatore al di fuori del contesto dell’Al-

leanza 231.3 Il Poema della creazione di Gn 1 nel contesto della Preistoria bib-

lica: Gn 1-11 251.3.a Rifusione operata dalla fede Jahwista, circa i miti cosmogonici

in Genesi 1. 271.3.b Quattro tipi di miti di origine. 29

1.4 La creazione nei libri sapienziali. 331.4.a Sapienza e Creazione nei capitoli VIII e IX dei Proverbi. 381.4.b Dio creatore, salvatore-redentore, per la sua Sapienza in Sir

24. 391.4.c La Sapienza creatrice, nei capitoli VII-IX del Libro della

Sapienza. 402 NUOVO TESTAMENTO: 44

2.1 Continuità nell’insegnamento su Dio creatore 452.1.a Novità: la Creazione in, per, verso Cristo, nello Spirito Santo.462.1.b L’Uomo creato secondo l’Immagine di Dio, Gesù Cristo. 57

3 L’UNITÀ DELL’UOMO E I VARI ASPETTI DELLA SUA ESISTENZA. 653.1 Basar, Nefesh, Ruah, Corpo, Anima, Spirito. 66

3.1.a Attività dello Spirito di Dio nella Creazione e Alleanza. 693.1.b Ruah come concetto Teo-antropologico. 703.1.c Leb, cardia, cuore nell’uso biblico vetero testamentario 713.1.d Cuore nell’uso neotestamentario 733.1.e Alcune funzioni del cuore biblico espresse con categorie el-

lenistiche: coscienza, mente… 773.1.fSoma e psykè nella traduzione dei LXX e nel Nuovo Testamento.79

4 DIO CREA L’UOMO LIBERAMENTE PER LA SUA GLORIA. 814.1 Libertà di Dio nel creare. 824.2 Gloria di Dio, fine della creazione-Alleanza. 824.3 La Gloria (Doxa) nel Nuovo Testamento. 85

327

4.4 La Gloria di Dio, massima perfezione e vita dell’uomo. 87

II STORIA DEL PENSIERO CRISTIANO, INSEGNAMENTO DEL MAGISTERO. 89

1 INTRODUZIONE. 891.1 Cristo, personalità concreta, con dimensioni universali di

creazione e redenzione, fonda la nostra comunione e solidarietà storica, salvifica, con ogni uomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi.89

1.2 La creazione in Cristo dell’uomo secondo l’immagine di Dio in prospettiva sincronica. 92

1.3 La creazione in Cristo, per Cristo, verso Cristo in prospettiva di-acronica. 93

1.4 Dio creatore per Cristo nell’insegnamento della Chiesa dei Padri.941.5 La fede in Dio creatore nel contesto culturale monista e dualista.96

2 LA SALVEZZA DELLA CREAZIONE DALLA GNOSI DUALISTA. 982.1 Ireneo di Lione (n.130 - † inizi III sec.). 99

3 LA CREAZIONE DELL’UOMO E DEL SUO MONDO PER CRISTO NELLA LOGOS-TEOLOGIA 105

4 VICENDE TEOLOGICHE DELLA CATEGORIA BIBLICA DELL’ IMMAGINE DI DIO.1094.1 La linea antignostica di Ireneo e Tertulliano. 1104.2 La logos-teologia: l’immagine di Dio sta nella mente umana. 111

5 LA CREAZIONE PER CRISTO NELLO SPIRITO SANTO NEL NICENO –COSTANTINOPOLITANO 114

5.1 Recupero dell’unità dell’uomo, corpo-anima-facoltà nella Cristolo-gia di Calcedonia 115

6 TRA I PADRI E LA SCOLASTICA: GIOVANNI SCOTO ERIUGENA 1177 INSEGNAMENTO SU CREAZIONE E ANTROPOLOGIA DEL LATERANENSE IV.1248 CREAZIONE, CRISTOLOGIA E ANTROPOLOGIA IN S. BONAVENTURA E S.

TOMMASO. 1258.1 Cristo causa esemplare in S. Bonaventura 1268.2 La creazione del Dio Uno-Trino in S. Tommaso 1288.3 La Trinità creatrice. 1308.4 Creazione ed Incarnazione. 1348.5 L’immagine di Dio nella teologia di S. Tommaso: 135

9 L’UOMO, CREATO SECONDO L’IMMAGINE DI DIO, IN QUANTO ANIMA RAZIONALE, FORMA DEL CORPO. 138

9.1 Anima forma del corpo, dottrina contrastata 1399.2 Le definizioni del Concilio di Vienne (1312, DH 900-902) 1419.3 Vantaggi per l’Escatologia: la visione beatifica (1336, DS 1000).1429.4 Altri contrasti circa l’Anima: la definizione del Lateranense V

(1513, DH 1440-1441). Immortalità dell’anima, e le relazioni tra Fede e filosofia. 143

10 TEOLOGIA DELLA CREAZIONE NEI SEC. XIV-XV: IL NOMINALISMO 14410.1<Theologia Crucis e theologia Gloriae > in LUTERO 149

11 TEOLOGIA DELLA CREAZIONE NEI SECOLI XVI-XIX: 153

328

11.1Dalla luterana fede fiduciale e <Theologia crucis>, alla dialettica hegeliana dell’Assoluto 155

12 L’INSEGNAMENTO DOGMATICO DEL VATICANO I: “DEI FILIUS”: IL CAP. I: “DE DEO RERUM OMNIUM CREATORE” 158

13 CREAZIONE IN CRISTO, ANTROPOLOGIA TEOLOGICA NEL VATICANO II 16313.1La Creazione nella Sacrosanctum concilium, La Liturgia. 16413.2La Lumen Gentium, Costituzione dogmatica sulla Chiesa. 16613.3Creazione per Cristo, e Rivelazione-fede: la Dei Verbun 16713.4Creazione in Cristo e l’Immagine di Dio nella Gaudium et Spes168

III TEOLOGIA SPECULATIVA 174

1. IL SOPRANNATURALE CRISTICO E LA NATURA UMANA 1741.1 Etimologia dei termini: 176

1.1.a Unicus ordo concretus supernaturalis della S. Scrittura e dei Padri 177

1.1.b Unicus ordo concretus supernaruralis realis della grande sco-lastica, sec XIII 179

1.1.c Unicus ordo supernaturalis absolute solus della Riforma del XVI sec. 180

1.1.d Duplex ordo supernaturalis et naturalis della neoscolastica, sec. XIX- XX. 181

1.2 von Balthasar Hans Urs (n.1905 - †1988): 1821.3 de Lubac H. (n.1886 - †1991) 184

1.3.a Due termini necessari, correlativi: 1841.3.b Infinita sproporzione: 1851.3.c Intrinseco rapporto: 1851.3.d Umiltà: 1861.3.e Mistero: 1871.3.fTrasformazione. 187

1.4 Sintesi 1891.5 Sintesi, ricapitolazione in Cristo, autonomia legittima, [Teonomia,

Cristonomia] 1891.5.a Autonomia, Teonomia, Cristonomia nel Vaticano II e nella Veri-

tatis Splendor. 1902 LA CREAZIONE <DEL TUTTO LIBERA>, <DAL NULLA > <DELLA TOTALITÀ

DELLA CREATURA>, <DALLA PIENEZZA DI CRISTO>. 1962.1 La Creazione dal nulla 197

2.1.a Uso biblico. 1992.2 Il Nulla nella teologia e filosofia cattolica e protestante 200

2.2.a Teologia e filosofia in ambito cattolico 2002.2.b Teologia e filosofia in ambito riformato-protestante: 205

3 SOLIDARIETÀ ANGELICA E INSERIMENTI COSMICI (TEORIA EVOLUTIVA) PER LA COMPRENSIONE DELL’ORIGINE DELL’UOMO, LA SUA STORIA. 208

3.1 Angeli e demoni nel Vecchio testamento: 2083.1.a Angeli e Demoni nel pre-esilio 2093.1.b Angeli e Demoni, Satana, Diavolo nel post-esilio 210

3.2 Angeli e Demoni nel Nuovo Testamento 211

329

3.2.a Angeli: 2113.2.b Demoni 2133.2.c La vita del Cristiano e le potenze del male 2153.2.d Valutazione della perturbazione demoniaca, come superarla:216

3.3 Insegnamento del Magistero 2174 LETTURA DISCENDENTE E ASCENDENTE DELL’UOMO 219

4.1 Lettura discendente dell’uomo 2204.2 Lettura ascendente dell’uomo. 222

4.2.a Concetto di Teoria ed Ipotesi scientifica. 2254.2.b Teoria o paradigma? 226

4.3 L’Anima umana, luogo di convergenza delle due letture 2274.3.a Origine dell’anima umana 2304.3.b Quando è comparso l’uomo sulla terra ?. 232

5 L’UOMO CREATO SECONDO L’IMMAGINE DI DIO, CRISTO, NELLA SUA INTRINSECA DIMENSIONE SOCIALE. 235

5.1 Uomo-Donna nella Famiglia piccola Chiesa, nella Famiglia Chiesa universale. 239

5.2 L’uomo nella sua socialità di specie, di comunità integrate. 245

IV L’UOMO IMMAGINE DI DIO NELLA SITUAZIONE DI PECCATO ORIGINALE. 251

1. DUE PROSPETTIVE INSUFFICIENTI 2511.1 Prospettiva evoluzionistica: 2521.2 La solidarietà umana è soltanto di tipo culturale, ambientale? 256

2 I FONDAMENTI BIBLICI DEL DOGMA DEL PECCATO ORIGINALE 2572.1 Antico Testamento. 257

2.1.a La tradizione sacerdotale e il peccato delle origini. 2612.1.b Il redattore definitivo del Pentateuco e lo Jahwismo. 263

2.2 Nuovo Testamento 2652.2.a La solidarietà in Cristo e la comune situazione peccaminosa nei

Vangeli 2652.2.b Il cuore duro si manifesta nella virulenza del desiderio cattivo:

la concupiscenza, in greco epiqum…a. 2682.3 L’insegnamento Paolino 272

2.3.a Romani 5,12-21 2722.3.b Il pensiero e l’insegnamento di Paolo: 276

3 LA RIFLESSIONE PATRISTICA SULLA NATIVA PECCAMINOSA SITUAZIONE DELL’UOMO DAVANTI A CRISTO REDENTORE 279

3.1 L’Omelia pasquale di Melitone di Sardi: circa meta del II sec. 2803.2 Ireneo di Lione 2813.3 Il peccato originale nella Scuola Alessandrina 2833.4 Tendenze naturalistiche della Scuola di Antiochia 2853.5 Peccato originale e teologia del pedo-battesimo 2863.6 Tre tendenze della Teologia dei Padri, e la sintesi matura di

Agostino. 2874 LA TEOLOGIA SUL PECCATO ORIGINALE NEL MEDIOEVO 290

330

5 LA CRISI LUTERANA E LE DEFINIZIONI DEL CONCILIO DI TRENTO.(A.1546, DH 1510-1515) 293

6 IL PECCATO ORIGINALE NEL PENSIERO CRISTIANO E POST-CRISTIANO DOPO TRENTO 298

6.1 Il Peccato originale nella teologia cattolica post-tidentina: Bajo e Giansenio. 299

6.2 Razionalizzazioni del P.O. nei secoli XVIII e XIX. 3016.3 Riduzioni storico psicologiche e storico sociali negli ebrei Marx e

Freud: 3036.4 Il Peccato originale in due Teologi riformati : K. BARTH e P. RI-

COEUR. 3047 PECCATO ORIGINALE NEI TEMPI DEL VATICANO II 308

7.1 La teologia neo-scolastica. 3087.2 La Dottrina sul PO nei testi e nella riforma liturgica del Vaticano

II 3107.3 Il peccato originale nella teologia cattolica odierna. 3127.4 Il Magistero di Giovanni Paolo II 318

V LIBERTÀ E LIBERAZIONE 326

1. INTRODUZIONE 3261.1 Breve storia della libertà: eclissi di libertà e aurore di liberazione3261.2 Concetto articolato di libertà 328

2 LIBERTÀ TEOLOGICA 3292.1 Predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per mezzo di Gesù

Cristo (cfr Ef 1,5). 3302.2 Cristo, persona totalmente libera e liberante. 331

3 LIBERTÀ DELL’UOMO: LA DIMENSIONE FILOSOFICA. 3333.1 La libertà in crescita: valori auto-trascendenti e inframorali. 3353.2 Rapporti conscio-inconscio nel costruire la libera personalità. 337

4 LIBERTÀ POLITICA 339

VI INDICE DEGLI AUTORI 346

VII BIBLIOGRAFIA 352

VIII INDICE 362

331


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