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Possibili correlati neurobiologici di quattro specifici fattori comuni della relazione terapeutica

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Quaderni Italiani di Psichiatria 2011;30(1):43—55 Disponibile su www.sciencedirect.com journal homepage: www.elsevier.com/locate/quip REVIEW ARTICLE Possibili correlati neurobiologici di quattro specifici fattori comuni della relazione terapeutica Possible neurobiological correlates of four common specific therapeutic factors Eugenio Gallo , Giuseppe Berti Ceroni RELA TE, Associazione di Studio e Formazione sulla Relazione Terapeuta-Paziente Ricevuto il 28 aprile 2010 ; accettato il 3 novembre 2010 PAROLE CHIAVE Alleanza terapeutica; Attenzione alla storia personale del paziente; Neurobiologia del processo terapeutico; Regolazione delle aspettative; Stile comunicativo. KEYWORDS Therapeutic alliance; Attention to patient history; Neurobiology of therapeutic process; Calibration of expectancies; Communication style. Riassunto Introduzione: Il lavoro si prefigge individuare le reti cerebrali che potrebbero essere cor- relate all’attività psicologica di quattro specifici fattori relazionali che sembrano avere un’associazione con l’esito del trattamento. Abbiamo condotto una revisione ragionata della letteratura e, su argomenti selezionati, una revisione sistematica tramite Medline degli studi neurobiologici e di neuroimaging pubblicati negli ultimi 10 anni. Risultati e conclusioni: Lo ‘‘stile comunicativo del terapeuta’’ potrebbe modulare l’attività del sistema dei neuroni a specchio e della ‘‘teoria della mente’’ in entrambi gli attori della relazione terapeutica, con il fine di ottenere una comprensione reciproca. L’‘‘attenzione alla storia del paziente’’ attiverebbe la memoria episodica del paziente. Nel passaggio alla memoria di lavoro i ricordi diventerebbero coscienti e le tracce mnestiche ritornerebbero a uno stato labile, permettendo modificazioni degli apprendimenti; inoltre, i conflitti cognitivi attivereb- bero la corteccia cingolata anteo-dorsale, inibendo quella ventrale e regolando le emozioni. La ‘‘regolazione delle aspettative consapevoli’’ potrebbe essere in grado di attivare in anticipo le reti da cui dipende la risposta attesa e il ‘‘circuito della ricompensa’’, e di evitare l’effetto nocebo. L’‘‘alleanza terapeutica’’ ha due componenti interagenti tra di loro: la collaborazione, che dipenderebbe dalla capacità della corteccia prefrontale di inibire comportamenti volti al raggiungimento di una ricompensa immediata; il legame tra paziente e terapeuta, che potrebbe dipendere da una modulazione della rete dell’ansia e di quella della ‘‘teoria della mente’’. Le ipotesi neurobiologiche presentate sembrano sistenere l’idea di un ruolo in parte specifico di ogni fattore nel processo terapeutico. © 2010 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati. Corrispondenza. via Tribbioli 2, 40026 Imola (BO). E-mail: ea [email protected] (E. Gallo). 0393-0645/$ – see front matter © 2010 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati. doi:10.1016/j.quip.2010.12.002
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Page 1: Possibili correlati neurobiologici di quattro specifici fattori comuni della relazione terapeutica

Quaderni Italiani di Psichiatria 2011;30(1):43—55

Disponib i le su www.sc iencedi rec t .com

journa l homepage: www.e lsev ier .com/ locate /qu ip

REVIEW ARTICLE

Possibili correlati neurobiologici di quattro specificifattori comuni della relazione terapeuticaPossible neurobiological correlates of four common specifictherapeutic factors

Eugenio Gallo ∗, Giuseppe Berti Ceroni

RELA TE, Associazione di Studio e Formazione sulla Relazione Terapeuta-Paziente

Ricevuto il 28 aprile 2010 ; accettato il 3 novembre 2010

PAROLE CHIAVEAlleanza terapeutica;Attenzione alla storiapersonale delpaziente;Neurobiologia delprocesso terapeutico;Regolazione delleaspettative;Stile comunicativo.

KEYWORDSTherapeutic alliance;Attention to patienthistory;Neurobiology oftherapeutic process;

RiassuntoIntroduzione: Il lavoro si prefigge individuare le reti cerebrali che potrebbero essere cor-relate all’attività psicologica di quattro specifici fattori relazionali che sembrano avereun’associazione con l’esito del trattamento. Abbiamo condotto una revisione ragionata dellaletteratura e, su argomenti selezionati, una revisione sistematica tramite Medline degli studineurobiologici e di neuroimaging pubblicati negli ultimi 10 anni.Risultati e conclusioni: Lo ‘‘stile comunicativo del terapeuta’’ potrebbe modulare l’attivitàdel sistema dei neuroni a specchio e della ‘‘teoria della mente’’ in entrambi gli attori dellarelazione terapeutica, con il fine di ottenere una comprensione reciproca. L’‘‘attenzione allastoria del paziente’’ attiverebbe la memoria episodica del paziente. Nel passaggio alla memoriadi lavoro i ricordi diventerebbero coscienti e le tracce mnestiche ritornerebbero a uno statolabile, permettendo modificazioni degli apprendimenti; inoltre, i conflitti cognitivi attivereb-bero la corteccia cingolata anteo-dorsale, inibendo quella ventrale e regolando le emozioni. La‘‘regolazione delle aspettative consapevoli’’ potrebbe essere in grado di attivare in anticipole reti da cui dipende la risposta attesa e il ‘‘circuito della ricompensa’’, e di evitare l’effettonocebo. L’‘‘alleanza terapeutica’’ ha due componenti interagenti tra di loro: la collaborazione,che dipenderebbe dalla capacità della corteccia prefrontale di inibire comportamenti volti al

Calibration ofexpectancies;Communication style.

raggiungimento di una ricompensa immediata; il legame tra paziente e terapeuta, che potrebbedipendere da una modulazione della rete dell’ansia e di quella della ‘‘teoria della mente’’. Leipotesi neurobiologiche presentate sembrano sistenere l’idea di un ruolo in parte specifico diogni fattore nel processo terapeutico.© 2010 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati.

∗ Corrispondenza. via Tribbioli 2, 40026 Imola (BO).E-mail: ea [email protected] (E. Gallo).

0393-0645/$ – see front matter © 2010 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati.doi:10.1016/j.quip.2010.12.002

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44 E. Gallo, G. Berti Ceroni

AbstractIntroduction: Four specific therapeutic factors (previously considered non-specific) that arecommon to all care activities seem to be correlated with treatment outcomes. Our hypothesis isthat each factor has specific neurobiological underpinnings. Using an operationalized definitionof each of the four factors, we conducted a search of the Medline database for neuroimagingand neurobiological studies conducted during the past decade.Results and conclusions: On the basis of our review, we argue that the clinician’s communi-cation style could affect activity in the mirror neuron system and in theory of mind brainareas of both the patient and therapist, based on mutual comprehension. Attention to patienthistory could activate the patient’s episodic memory. Transformation of memories to workingmemory could 1) allow the patient to become aware of them; 2) render mnestic traces usuallystored in a long-term memory labile and therefore available for modification; and 3) faci-litate calibration of emotions by cognitive conflict-induced activation of the anterior-dorsalcingulate cortex with inhibition of the ventral one. Calibration of expectations could acti-vate in advance the neural networks on which the expected response depends and ‘‘rewardcircuits,’’ thereby avoiding the so-called nocebo effect. The therapeutic alliance includestwo interacting components: 1) cooperation, which depends on prefrontal cortex inhibitionof behavior aimed at immediate reward, and 2) attachment, which might involve modula-tion of the anxiety and ‘‘theory of mind’’ networks. The neurobiological hypotheses presentedabove seem to support the view that each factor plays a partly specific role in the therapeuticprocess.© 2010 Elsevier Srl. All rights reserved.

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l lavoro clinico delle psicoterapie, del counseling, manche quello sotteso agli aspetti specialistici dei tratta-enti farmacologici, presenta un sottofondo comune. È

tato proposto che esso sia costituito da specifici fattorisicologico-relazionali propri della relazione terapeutica1]. Questi fattori sono stati in parte già concettualiz-ati come responsabili dei fenomeni placebo, nocebo eell’aderenza alla cura, e studiati separatamente [2].

partire dalle riflessioni di Critelli et al. [3], poi diancheri et al. [4] sulla potenza dei fenomeni placebo inolti trattamenti medici e psichiatrici, Berti Ceroni et al.

5] hanno proposto di definire i fattori terapeutici dellaelazione come Fattori Terapeutici Specifici Comuni (FTSC),

denotare la loro presenza in quasi tutte le attività diura, invitando a considerarli fattori specifici dell’operatoedico, per la loro rilevanza riguardo all’esito, in contra-

to con la definizione di fattori terapeutici ‘‘aspecifici’’ome era d’uso in passato [6]. Alcune volte essi sembranoostituire l’essenza del processo di cura, altre volte sonovidenti nelle fasi iniziali e rimangono successivamenteottesi ai fattori specialistici della terapia. Questi fattoriormano la cornice e lo sfondo in cui si sviluppa la rela-ione terapeutica e possono favorirne il buon esito, ma, seale adoperati, possono danneggiare il processo terapeu-

ico [7].Un gruppo di psichiatri e psicoterapeuti dell’area di

ologna, attraverso un attento lavoro di revisione della let-eratura e sulla base della loro esperienza clinica, hanno

elezionato e definito operativamente come ipotesi di lavoroFTSC [8], che sono parsi quelli necessari per lo sviluppo

ella relazione terapeutica (anche se, alla conclusione delavoro di studio e ricerca, potrebbero essere in numeroinore o se ne potrebbero aggiungere altri):

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lo stile comunicativo del terapeuta;l’attenzione alla storia personale del paziente;la percezione del setting da parte di paziente e terapeuta;la regolazione delle aspettative;la presenza del paziente nella memoria del terapeuta;l’alleanza terapeutica.In una tappa successiva è stato preparato un questiona-

io per la misura di 5 FTSC (esclusa l’alleanza terapeutica,er la quale esistevano già numerosi questionari di misura)n due versioni, una per il paziente e una per il terapeuta9]. Il questionario è stato validato in una ricerca che si

svolta nell’area bolognese con 96 pazienti con disturbi’ansia, depressivi e della condotta alimentare, afferentid ambulatori pubblici e privati [10], mentre, per misurare’alleanza terapeutica, è stato adoperato il Working Alliancenventory (WAI). Lo studio, di tipo osservazionale e dellaurata di 8 settimane, ha potuto evidenziare la correlazioneon le misure d’esito di due fattori: lo stile comunicativol’attenzione alla storia personale del paziente. Il ruolo

elle aspettative e dell’alleanza terapeutica è, d’altronde,a tempo oggetto di ricerche sperimentali che hanno tro-ato spesso una relazione con l’esito [11—13]. Non vi sonottualmente evidenze dirette della correlazione con l’esitoi ‘‘percezione del setting’’ e di ‘‘presenza del pazienteella memoria del terapeuta’’, nonostante appaiano esseremportanti elementi costitutivi del processo terapeutico.

Stabilire l’importanza di questi 6 fattori per l’esito deirattamenti richiede comunque ulteriori ricerche.

Una più precisa definizione dei singoli fattori, che tengaonto dello straordinario sviluppo che in questo decennioanno avuto Psicologia clinica, Psicologia sperimentale e

eurobiologia, può concorrere a comprendere meglio la

oro azione terapeutica e a facilitare la ricerca. Per talecopo abbiamo cercato di abbinare le conoscenze sul ver-ante clinico-psicologico a quelle che provengono dalle

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Possibili correlati neurobiologici di quattro specifici fattori comu

Tabella 1 Stile comunicativo: sintesi delle corrispondentiaree cerebrali correlabili in ipotesi al fattore terapeutico.

Sistema dei neuroni aspecchio

• Aree sensoriali e motorieparietali posteriori• Aree frontali premotorieventrali• Area 44 di Brodman nellapars opercularis e nella parteposteriore del giro frontaleinferiore• Corteccia cingolata anteriore• Insula anteriore

Sistema della ‘‘teoriadella mente’’

• Corteccia frontale mediale,poli temporali e partesuperiore del solco temporale,oppure• Corteccia prefrontale in rete

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con altre aree cerebrali(memoria di lavoro)

neuroscienze: la trasposizione da un piano all’altro ci sem-bra possa contribuire a chiarire e definire meglio i concettie a formulare ipotesi di ricerca sul processo terapeutico, daun punto di vista diverso da quello psicologico, ma necessa-riamente a esso correlato.

Ci occuperemo in questo lavoro di quattro dei suddettifattori (quelli per i quali sono più evidenti gli indizi di unaloro correlazione con l’esito):1) lo stile comunicativo del terapeuta;2) l’attenzione alla storia personale del paziente;3) la regolazione delle aspettative;4) l’alleanza terapeutica.

Materiali e metodi

È stata eseguita una revisione ragionata della letteraturarelativamente ad argomenti selezionati, associata a unarevisione tramite Medline©, degli studi di neuroimagingo neurobiologici degli ultimi 10 anni che hanno posto inrelazione le funzioni psicologiche con il funzionamento cere-brale.

Procederemo presentando per ogni fattore la definizione,le evidenze di correlazione con l’esito dei trattamenti e ipossibili correlati neurobiologici.

Stile comunicativo del terapeuta

Le review di studi sulla correlazione tra lo stile comunica-tivo del curante e l’esito non permette conclusioni univoche.Cruz et al. [14] concludono, nella loro ampia review, che esi-ste un’associazione con le misure di esito utilizzate, mentreRodin et al. [15] sottolineano la scarsa qualità dei trial, chenon permettono conclusioni sicure.

Recentemente, sulla base dei lavori di Lesser [16], Gasket al. [17,18], Goldberg et al. [19], Scardovi et al. [20],lo ‘‘stile comunicativo’’ del terapeuta è stato definito ope-rativamente, al fine di renderlo misurabile da paziente eterapeuta tramite appositi questionari validati negli ultimi

nrdna

ni della relazione terapeutica 45

nni [10], come la presenza di alcuni comportamenti di‘care’’ riguardo alla persona del paziente; questi com-ortamenti si possono riassumere nel fornire informazionitili sulla malattia e sulla cura, nel mostrarsi interessati alaziente come persona in difficoltà e sofferente, nell’avereapacità di ascolto e di comprensione dei suoi problemi8—10]. I modi adeguati della comunicazione avrebbero’effetto di far sentire il paziente ben accolto sin dall’inizio,i metterlo a suo agio durante il colloquio, di farlo sentirescoltato e compreso. Nella ricerca svolta nel bolognese,ià citata [10], l’aumento del punteggio del fattore ‘‘stileomunicativo’’ valutato dal paziente durante le prime 8-0 settimane di trattamento, misurato con un questionarioasato sulla definizione sopra riportata, è risultato correlatolla remissione sintomatologica e a quella funzionale.

La scoperta del sistema dei neuroni ‘‘a specchio’’ (Mirror-euron System, MNS) [21], cioè di neuroni che si attivano siauando un’azione altrui finalizzata a uno scopo è percepitattraverso modalità sensoriali visive o acustiche [22,23], siauando l’azione stessa è eseguita dal soggetto, ha indottoipotizzare un loro coinvolgimento nella comunicazione e

ell’apprendimento per imitazione [24]. L’entusiasmo pera scoperta del MNS è frenato però da alcuni studiosi, per iuali mancano ancora le prove dirette della loro esistenzaell’uomo [25].

Il MNS nell’uomo comprenderebbe (tabella 1) [26]:le aree sensoriali e motorie parietali posteriori e learee frontali premotorie ventrali, collegate bidirezional-mente, per la capacità di imitare le azioni;l’area 44 di Brodman nella pars opercularis del giro fron-tale inferiore, per la capacità di imitare le espressionifacciali, e nella parte posteriore del giro frontale infe-riore per l’attribuzione di intenzioni semplici derivate dalcontesto dell’azione osservata;la corteccia cingolata anteriore (ACC) e l’insula anterioreper l’identificazione di uno stato affettivo, attraversola ‘‘risonanza non mediata’’. L’ACC potrebbe avere unafunzione efferente visceromotoria e l’insula anteriore lafunzione di identificare lo stato affettivo corrispondenteall’attivazione psicofisiologica [27]. Queste aree sonocoinvolte quando si richiede di immaginare un’emozione,per esempio il dolore; guardare chi prova dolore in unaparte del corpo attiverebbe invece le aree somatosen-soriali corrispondenti. È stato ipotizzato che l’ACC possaservire a collegare un’azione alle sue eventuali conse-guenze dolorose per poterle evitare in tempo.Il grado e il lato di attivazione delle aree del sistema MNS

delle aree motorie primarie potrebbero costituire il modoon cui il cervello distingue se si sta assistendo all’azione din altro o se si sta agendo [28].

Il MNS sembra svolgere un ruolo importante nella comu-icazione. La disposizione alla relazione e a sintonizzarsion l’altro sembra innata nell’uomo e negli animali sociali;ssa si evidenzia nel neonato, già dopo i primi giorni, con laapacità di imitare le espressioni della madre e si sviluppaapidamente nei primi mesi di vita [29]. A 4 mesi si nota unoordinamento fra le azioni di accudimento della madre e il

eonato [30]. L’ipotesi è che il MNS dia la possibilità di espe-ire dentro di sé l’azione osservata, che Gallese [31] proponei chiamare ‘‘simulazione incarnata’’. Sin dall’epoca neo-atale, pertanto, si potrebbero creare modelli interni dellezioni altrui e delle loro conseguenze che ci metterebbero
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n grado, in base al contesto, non solo di comprenderee intenzioni del prossimo, ma di esperire direttamente laensazione dell’azione percepita. Lo sviluppo completo delontrollo sensomotorio permetterebbe poi di utilizzare inodo raffinato i canali sensoriali e motori per comprendere

e azioni manuali, vocali e orofacciali degli altri [26,31].nche il linguaggio si sarebbe sviluppato su questa basevolutiva, perché ‘‘ciò che conta per chi parla deve averepprossimativamente lo stesso valore per chi ascolta’’ [32].ell’uomo fa parte del sistema l’area 44 di Brodmann, partesua volta dell’area di Broca, coinvolta, nell’emisfero sini-

tro, nella produzione del linguaggio e posta davanti aientri motori della bocca e della lingua. Inoltre, alcuni neu-oni a specchio (definiti neuroni a specchio ‘‘comunicativi’’)i attivano anche osservando le espressioni facciali [33,34].l MNS umano potrebbe in effetti attivarsi con maggiorentensità se l’azione è socialmente rilevante: per esempio,uando si osserva su uno schermo qualcuno che gioca cona palla scambiandola con altri, piuttosto che qualcuno cheioca da solo [35].

Alcuni studi inducono a pensare che il principio di funzio-amento del MNS si possa estendere dalle azioni ai pensieri,lle sensazioni e alle emozioni [36]. Il significato delle azioniembra infatti essere codificato nel MNS in modo ‘‘astratto’’

generalizzabile, indipendentemente cioè dagli specificirgani coinvolti nell’azione e dallo specifico oggetto, inaniera non consapevole [37]. Esso sembra attivarsi di

ronte all’‘‘idea’’ di un’azione significativa, incluse le azionionoarticolari implicate nella produzione del linguaggio,vocata da uno stimolo sensoriale visivo o acustico [38]. Leegioni parietali e il solco temporale superiore, parte delNS, potrebbero processare la somiglianza percepita tra iovimenti e riconoscere gli obiettivi di azioni astratte oersino le differenze di stile nei movimenti [39]. I medesimieuroni, inoltre, sembrano attivarsi sia quando si immaginai compiere un’azione, come raggiungere con il braccio unuogo dello spazio, sia quando la si osserva e quando la siompie effettivamente [40].

Questo sistema neuronale continuerebbe a costituireell’adulto un ponte tra sé e gli altri, creando aree diondivisione di intenzioni e sensazioni, basate sull’esperireirettamente, a cui potrebbe corrispondere il sentimentoell’empatia. Gallese [26] sottolinea la differenza esi-tente tra l’esperienza comunicativa empatica, basata sulla‘simulazione incarnata’’ (embodied simulation), ontogeni-amente molto precoce, preverbale, fondata nel sistemaensomotorio, e la conoscenza metacognitiva dell’altro (la‘teoria della mente’’) che poggia sullo sviluppo del linguag-io e sulla capacità di simbolizzare e che si svilupperebbeel bambino intorno ai 4 anni [41,42], permettendo di attri-uire agli altri intenzioni e stati mentali complessi. In questaunzione sarebbero coinvolte aree cerebrali diverse (tabella).

La ‘‘teoria della mente’’ è la capacità di attribuire unaente all’altro. Essa coinvolgerebbe funzioni complesse erobabilmente gran parte del cervello, ma tre aree risultanottivate in modo coerente: la corteccia frontale mediale

o corteccia paracingolata anteriore), i poli temporali ea parte superiore del solco temporale [43,44]. Secondon’altra ipotesi, la teoria della mente non sarebbe una fun-ione specifica di certi moduli cerebrali, bensì una proprietàmergente dalle funzioni esecutive, cioè dalla memoria di

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E. Gallo, G. Berti Ceroni

avoro [45]. Quest’ultima è un magazzino temporaneo dinformazioni da manipolare per compiti cognitivi complessihe coinvolgono la corteccia prefrontale (PFC) in rete conltre aree cerebrali [46]: essa associa e integra le percezionittuali, le combina con i dati e le esperienze del passato,ermette di valutare se inibire le risposte condizionate edventualmente sostituirle con altre giudicate più adattive ineguito a valutazioni di opportunità, di giudizio morale, dicelta delle regole di comportamento [47,48].

Queste suggestive osservazioni sembrano fornire ele-enti applicabili alla comunicazione tra paziente e

erapeuta: uno stile comunicativo capace di favorire la com-rensione dell’altro e di far sentire il paziente ascoltato eompreso potrebbe comportare l’attivazione delle suddetteunzioni cerebrali sia nel paziente sia nel terapeuta. Pos-iamo speculare, per esempio, su alcune attività cerebraliegate alla comunicazione durante una seduta di psicote-apia psicodinamica: l’ascolto in condizione di attenzioneuttuante della narrazione del paziente potrebbe evocareella mente del terapeuta rappresentazioni che gli permet-ono di comprendere le finalità delle azioni e, a volte, dimpatizzare con le sensazioni e le emozioni che il pazienteacconta. Il terapeuta può tentare di immaginare il percorsoi apprendimento delle risposte disadattive del paziente,‘mettendosi nei suoi panni’’, e ciò forse si accompagna inui all’attivazione del MNS. Il compito cognitivo complessoi connettere elementi della storia del paziente, di deci-ere l’opportunità e i modi di comunicarli, potrebbe attivarenvece la sua memoria di lavoro per costruire una ‘‘teoriaella mente’’ del paziente e comprendere le sue intenzioni,e soluzioni che egli ha adottato per difendersi dal dolore eall’angoscia.

Possiamo continuare a speculare che l’intervento delerapeuta sia in grado, a volte, di dare al paziente la sensa-ione empatica di essere ‘‘perfettamente’’ capito, quandoioè riesce ad attivare il MNS del paziente e, quindi, areattivare le reti del paziente preposte alle risposte diolito adottate durante lo sviluppo nelle situazioni da luiappresentate durante la narrazione di sé. Una compren-ione parziale potrebbe invece attivare la memoria di lavoroel paziente (da cui una ‘‘teoria della mente’’ del tera-euta) per permettergli di comprendere a livello simbolico’intervento del terapeuta, senza necessariamente accom-agnarsi alla sensazione empatica di essere perfettamenteompreso.

L’empatia sarebbe allora più importante se provata dalaziente anziché dal terapeuta. Per il terapeuta l’empatiaprobabilmente un evento raro, come afferma Bolognini

49]. Il terapeuta, per comprendere il paziente (almenouello adulto e non grave), potrebbe utilizzare, più spessoell’empatia, la sua memoria di lavoro e la ‘‘teoria dellaente’’, che poggia sulla capacità di simbolizzare offertaal linguaggio. È stato proposto che il MNS svolga un ruoloei processi imitativi [24]. La sensazione di empatia delaziente, nella ‘‘embodied simulation’’, come la chiamaallese [31], potremmo dire nel ‘‘prendere dentro’’ ilroprio corpo il terapeuta, potrebbe aiutare il pazienterappresentarsi il cambiamento attraverso l’imitazione e

’identificazione con il terapeuta.Un’ipotesi: se queste aree sono importanti nel complesso

cambio comunicativo tra paziente e terapeuta e per il pro-esso di identificazione, si potrebbe avere una correlazione

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Possibili correlati neurobiologici di quattro specifici fattori comu

Tabella 2 Attenzione alla storia personale del paziente:sintesi delle funzioni e delle corrispondenti aree cerebralicorrelabili in ipotesi al fattore terapeutico.

Passaggio dei ricordi allacoscienza

• Lobo temporale mediale(corteccia peririnale,entorinale, paraippocampale)• Ippocampo (regioni CA, girodentato, complesso subicolare)• Corteccia prefrontale

Riconduzione delletracce mnestiche dallostato stabile a quellolabile

• Processo molecolare diriconsolidamento

Regolazione degli affetti • Corteccia cingolata anterioredorsale (spesso insieme aigangli della base e allacorteccia frontaledorsolaterale) inibente la

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cseconsolidate vanno probabilmente incontro a una continua

corteccia cingolata anterioreventrale

tra i punteggi dello ‘‘stile comunicativo del terapeuta’’(misurato con un apposito questionario) e l’attivazione dellearee della teoria della mente e del MNS del paziente, inparticolare di quelle correlate ai processi imitativi.

Attenzione alla storia personale del paziente

La raccolta dell’anamnesi da parte di un operatore sanitario,se non si limita semplicemente alle notizie sulle patolo-gie precedenti, diventa un invito al paziente a raccontarsi(tabella 2). Lo psicoterapeuta in particolare è solitamenteattento alla storia della persona, non solo della sua pato-logia. La ricerca di una dimensione narrativa autobiograficaha infatti una riconosciuta valenza psicoterapeutica, per-ché va nella direzione di delimitare il Sé del paziente e diintegrarne i diversi aspetti [50].

Nella ricerca condotta nel bolognese [10], l’incrementodel punteggio del fattore ‘‘attenzione alla storia perso-nale del paziente’’, misurato dal terapeuta durante iltrattamento di 8-10 settimane di 96 soggetti con dia-gnosi di disturbi d’ansia, depressivi e del comportamentoalimentare, correlava significativamente con l’esito sinto-matologico e funzionale.

Questo fattore potrebbe svolgere la sua azione terapeu-tica in tre modi: potrebbe favorire il passaggio alla coscienzadei ricordi, preparare il cambiamento riattivando le traccedi memoria, regolare gli affetti.

La memoria a lungo termine è suddivisa in due grandisistemi [51]: esplicita, che è possibile verbalizzare, rac-contare, e implicita, non direttamente verbalizzabile, cheinclude la memoria procedurale e la memoria emotiva eaffettiva. I ricordi autobiografici sono depositati in una partedella memoria esplicita che è stata chiamata memoria epi-

sodica, i ricordi relativi alla conoscenza del mondo nellamemoria semantica [52,53]. In ambedue i casi, le traccemnestiche non sono immagazzinate in specifiche aree cere-brali, ma in tutto il cervello. Il recupero di ricordi della

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ni della relazione terapeutica 47

ropria storia (contenuti nella memoria episodica espli-ita o dichiarativa) dipende dall’attività del lobo temporaleediale (corteccia peririnale, entorinale e paraippocam-ale), dell’ippocampo (regioni CA, giro dentato e complessoubicolare) e della PFC [54]. Studi recenti tentano direcisare le aree e differenziare le funzioni della PFC distin-uendo tra memoria autobiografica (attivazione della PFCentromediale, soprattutto sinistra), in cui è più intuitivo iliconoscimento di un episodio della propria vita, e memoriapisodica (PFC media e dorsolaterale destra), in cui vieneerificato l’evento ricordato (per esempio, una lista di nomippresa su richiesta dei ricercatori) con un’elaborazione piùttenta e consapevole [55].

Il terapeuta invita spesso il paziente a rievocare gli epi-odi della sua vita e a riflettere su di essi, lo aiuta aonnettere ricordi ed emozioni e cerca con lui di attri-uirvi un senso [56]. Quando il paziente ricorda episodi dellaua vita, il racconto e le notazioni del terapeuta lo aiu-ano anche a divenire consapevole della comparsa o dellaiacutizzazione dei sintomi, spesso in risposta a specificiventi o situazioni. La funzione delle suddette aree durantea rievocazione è connettere i dati sensoriali, immagaz-inati nella memoria, con le emozioni e con la memoriaei contesti in cui i fatti sono avvenuti. L’ippocampo sem-ra svolgere la funzione di associare eventi non contiguiello spazio e nel tempo [57] e questo implicherebbe unicordo cosciente [58,59]. L’attivazione dell’ippocampo eella PFC sembra che renda coscienti i processi associativirocedurali nel loro passaggio alla memoria di lavoro. Laoscienza potrebbe essere una proprietà emergente dallaemoria di lavoro, che si attiva per l’esecuzione di com-iti cognitivi complessi: intesa come consapevolezza, essaotrebbe semplicemente derivare dalla capacità di dirigere’attenzione verso una determinata sensazione o pensiero

di sperimentare il controllo di un proprio atto volon-ario [60]. L’attività di rievocazione e ricostruzione dellaropria storia è un compito cognitivo complesso, che per-iò può aiutare a diventare (o ridiventare) consapevoli dinformazioni che vengono recuperate probabilmente dallaemoria esplicita preconscia [61]. Secondo Blumenfeld eanganath [54], nella memoria di lavoro le informazionielative a una situazione, per esempio quelle utili per rag-iungere un obiettivo, vengono selezionate dai loro depositilungo termine a opera della PFC ventrolaterale e poi com-inate e organizzate dalla PFC dorsolaterale (DLPFC). Ilisultato della rievocazione potrebbe far sì che anche proce-ure automatiche e inconsapevoli contenute nella memoriamplicita diventino consapevoli e, contemporaneamente,otrebbe determinare un rinforzo o, viceversa, un allenta-ento dell’associazione tra ricordi che sono rilevanti per

aggiungere un obiettivo. Si ha cioè un nuovo apprendi-ento, che viene poi immagazzinato nella memoria a lungo

ermine fino al successivo recupero delle tracce mnestiche.A livello molecolare, l’attivazione dei vecchi ricordi

omporta il passaggio delle tracce di memoria da unotato stabile a uno labile, con la possibilità di modificarle

associarle diversamente [62,63]. Le tracce mnestiche

iorganizzazione [64,65]. Tale processo a livello moleco-are è definito di riconsolidamento, in quanto succesivo alrimo consolidamento delle tracce nella memoria a lungoermine. Il risultato della ripetizione di tale processo può

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4 E. Gallo, G. Berti Ceroni

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Tabella 3 Regolazione delle aspettative: sintesi delle fun-zioni e delle corrispondenti aree cerebrali correlabili inipotesi al fattore terapeutico.

Memoria di lavoro,rappresentazionecognitiva consapevoledell’esito

• Corteccia prefrontaledorsolaterale

Valutazione dellaricompensa

• Corteccia orbito-frontale,nucleo accumbens

Regolazione emotiva • Corteccia cingolata anteriorerostrale, amigdale, sostanzagrigia periacqueduttale

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Le ricerche talora non hanno confermato una correla-zione tra aspettative ed esito: secondo alcuni autori ciò può

8

ssere l’estinzione di un apprendimento quando si indebo-isce l’associazione fra tracce mnestiche collegate a unaisposta emotiva o comportamentale. Ricordare, perciò,embra essenziale per il processo di estinzione. La riesposi-ione a una situazione specifica in cui è avvenuto il primopprendimento riattiverebbe le tracce mnestiche consoli-ate, che passerebbero dallo stato stabile a quello labile.n queste occasioni, gli apprendimenti dovuti al condiziona-ento classico possono andare incontro a un indebolimentoell’associazione tra stimolo condizionato e stimolo incon-izionato, se quest’ultimo è assente nella nuova situazione,, in caso contrario, a un rinforzo; oppure, è possibile’apprendimento di risposte del tutto nuove legate a quelontesto. L’estinzione di una risposta è comunque un nuovopprendimento, ed è specifica per il contesto in cui è avve-uta [47,65,66].

I meccanismi studiati negli animali si possono esten-ere con facilità ai trattamenti comportamentali nell’uomo,ome l’esposizione in vivo. Tuttavia è interessante, per lesicoterapie verbali, che gli studi sulle immagini mentali60] abbiano scoperto come le rappresentazioni mentalionsapevoli attivino le stesse aree (per esempio, la cor-eccia visiva) che sono attivate quando sono presenti glitimoli sensoriali, con la principale differenza che il numeroi elementi rappresentabili mentalmente diminuisce nelaso di pura immaginazione, di assenza cioè dello stimoloensoriale. L’attività consapevole di rievocazione di unaituazione attiverebbe quindi le medesime aree cerebralii quando la scena è realmente presente, eventualmenteon piccole differenze: per esempio, l’attesa di uno sti-olo ripugnante attiva, con piccole differenze, le medesime

trutture rispetto alla percezione effettiva dello stimolo (laLPFC, la corteccia orbito-frontale — OFC, l’amigdala, l’ACCl’insula) [67].È suggestivo ipotizzare che durante il trattamento la

arrazione di sé possa creare, tramite la rappresentazioneognitiva ed emotiva degli episodi di vita, anche incon-apevolmente, una sorta di riesposizione alle situazioni,quivalente per il cervello a un’esposizione in vivo, con laossibilità di modificare le risposte apprese. Le nuove rispo-te potrebbero essere il punto di partenza di nuove abitudiniapprendimenti procedurali.Oltre a poter produrre consapevolezza e nuovi appren-

imenti, l’‘‘attenzione alla storia della persona’’ potrebbeavorire la regolazione degli affetti. Nella narrazione auto-iografica si riattivano le emozioni collegate agli episodiarrati. L’invito e l’aiuto a riflettere e a parlarne sono espli-iti o impliciti nell’ascolto attento della storia del pazientepotrebbero costituire un modo per regolare le emozioni, inuanto il paziente si impegna in un conflitto cognitivo. Unaosa analoga succede quando i genitori tentano di distrarrel loro bambino in preda al pianto o alla paura cercando diirigerne l’attenzione su un compito cognitivo (‘‘facciamon gioco’’, ‘‘guarda quella cosa interessante’’) e ottengonona riduzione dell’ansia libera del bambino [59]: ‘‘distrarsi’’impegnarsi in un compito cognitivo) attenua temporanea-ente le emozioni spiacevoli. Il correlato cerebrale sembra

ssere l’attivazione dell’ACC dorsale (spesso insieme ai gan-li della base e alla DLPFC) che ha un’azione inibente

ull’ACC ventrale attivata dai conflitti emozionali [68]. Vice-ersa, le situazioni intensamente emotive inibiscono l’ACCorsale rendendo difficile il compito cognitivo [53,54].

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sottocorticale specificaper ogni sintomo

egolazione delle aspettative

a regolazione delle aspettative da parte del terapeutatabella 3) consiste nell’aiuto che egli offre al pazienteer costruirsi una rappresentazione mentale realistica dellautura evoluzione della malattia e del trattamento, attra-erso un esame delle proprie capacità e risorse, da unaarte, della terapia e dei suoi effetti, dall’altra [8]. Serima dell’inizio e durante il trattamento è bene sosteneree aspettative di miglioramento del paziente e mobilizzarea speranza, bisogna anche però moderare quelle eccessive

correggere quelle inappropriate [69]. Le aspettative delaziente in effetti possono essere manipolate, come dimo-trano gli studi sperimentali sull’effetto placebo [70].

Sia le aspettative del paziente sia quelle del terapeutai ritiene possano influire sull’esito dei trattamenti. Neglitudi degli anni Novanta, le aspettative del paziente e delerapeuta, all’inizio e durante il trattamento, sembravanonfluenzare lo sviluppo dell’alleanza terapeutica [71—73]; intudi più recenti si è poi dimostrato che, attraverso questalleanza, correlavano con l’esito della psicoterapia breve13] o con quello della terapia farmacologica del disturboipolare [74]: un paziente con adeguate aspettative è pro-abilmente in grado di collaborare maggiormente con ilerapeuta, in modo da migliorare la qualità della terapia eenderla, in definitiva, più efficace. Le aspettative del tera-euta possono però essere correlate all’esito anche in modondipendente dall’alleanza terapeutica [13].

Lavori recenti hanno individuato una correlazione con’esito sia in ambito chirurgico ortopedico [75] sia nelrattamento del dolore cronico muscolo-scheletrico [76].e aspettative negative sembrano responsabili dell’effettoocebo, cioè di quegli effetti negativi, idiosincrasici, chei manifestano durante i trattamenti, persino quelli pla-ebo [77], e minano l’adesione al trattamento o prediconoomunque un esito peggiore rispetto ai controlli [78].

ssere dipeso dalla metodologia di analisi dei dati utilizzata79] o dalla modalità di misura dell’outcome, prospettica oetrospettiva [80], oppure da una scarsa conoscenza delle

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Possibili correlati neurobiologici di quattro specifici fattori c

variabili del processo terapeutico [81]. Recentemente sisono studiate aspettative specifiche. Per esempio, si è osser-vato che le aspettative circa i rischi del trattamento e lecredenze sulla salute influenzano l’adesione al trattamentostesso [82]; in psicoterapia, le attese su chi è il responsa-bile del cambiamento e su chi ne ha il controllo possonoinfluenzarne l’esito [83].

Ricerche sull’effetto placebo hanno evidenziato la possi-bilità che le aspettative generino effetti somatici e psichiciimportanti nel trattamento di diverse patologie. Dopo lasomministrazione di un placebo, è stato attribuito alleaspettative parte del miglioramento di sintomi quali ildolore, l’ansia, la depressione o la rigidità muscolare delmorbo di Parkinson [70]. Esse probabilmente sono parteefficace di tutti i trattamenti che si accompagnino alla som-ministrazione di un farmaco, attivo o placebo. Sembra peròche le aspettative possano svolgere un ruolo nel modificarela condizione fisica e psichica, a prescindere dalla sommi-nistrazione di un farmaco. Alcune osservazioni suggerisconoche l’intensità dell’effetto analgesico che segue alla som-ministrazione di un placebo farmacologico dipende anchedalla procedura seguita nella cura, per esempio dalle aspet-tative suscitate dalle istruzioni verbali fornite al paziente[84] o anche solo dalla comunicazione dell’intenzione dicura [85]. Geers et al. [86] hanno mostrato come, anchein un setting non terapeutico, le attese di un miglioramentodell’umore, indotte dagli sperimentatori, possano modifi-care nei soggetti il livello dell’umore dopo l’ascolto di unbrano musicale.

La risonanza magnetica funzionale (fRMN) ha permesso diindividuare le aree cerebrali che si attivano nell’anticiparel’effetto analgesico di una crema placebo, applicata esplici-tamente per ridurre l’effetto dello stimolo doloroso, primadell’applicazione dello stimolo stesso [87]: le aree interes-sate dalle aspettative sono state la DLPFC e l’OFC (o PFCmediale). L’attività della DLPFC è considerata in generaleassociata alla memoria di lavoro, alla rappresentazione con-sapevole e alla conservazione dell’informazione necessariaper il controllo delle operazioni cognitive [46], mentre l’OFCè considerata parte del sistema che permette di rappresen-tarsi il valore di ricompensa di uno stimolo o di una scelta[88].

Questo sistema della ricompensa include il nucleo accum-bens, l’area ventro-tegmentale e le loro proiezioni versol’OFC (area 11). Il circuito utilizza come mediatore prin-cipale la dopamina. L’OFC associa il comportamento allaricompensa, permette la rappresentazione delle emozioninel pensiero e regola le decisioni a carattere emotivo.Essa avvia la scelta tra risposte alternative [47], in terminidi motivazione, preparando a comportamenti appetitivi oavversivi; il suo danneggiamento disgrega anche il compor-tamento e il giudizio morale.

La percezione del dolore ha una componente senso-riale, una componente cognitiva (che valuta, per esempio,le conseguenze dannose della noxa dolorosa) e una com-ponente emotiva [70]. Nella ricerca di Wager et al. [87]sembra che la rappresentazione cognitiva del sollievo dal

dolore attivi la DLPFC e che a questa attivazione seguaimmediatamente quella mesencefalica del sistema oppioideendogeno, che attenuerà la componente sensoriale dellostimolo doloroso che sta per essere applicato. L’OFC,insieme all’ACC rostrale, alle amigdale e alla sostanza grigia

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ni della relazione terapeutica 49

eriacqueduttale, svolge probabilmente la funzione di rego-azione delle emozioni e può intervenire nell’analgesia dalacebo riducendo la componente emotiva ansiosa [85].nfatti, tale rete si attiva anche nella riduzione con il pla-ebo dell’ansia suscitata da immagini spiacevoli [89].

L’attivazione della DLPFC è probabilmente in relazioneon un effetto diretto di aspettative consapevoli, men-re l’attivazione dell’OFC potrebbe essere in relazioneon i meccanismi psicologici di apprendimento basati sullaicompensa (come nel condizionamento operante di tipokinneriano). In studi di neuroimaging nel morbo di Parkinson90] si è messo in evidenza, dopo la somministrazionei un placebo, che l’aspettativa di miglioramento gene-ava in tutti i pazienti, come effetto diretto, un aumentoell’attività dopaminergica del nucleo accumbens (striatoentrale), indipendente dal miglioramento motorio, che siveva solo nei soggetti che presentavano anche un aumentoell’attività dopaminergica dello striato dorsale. L’aumentoi attività del nucleo accumbens, parte del circuito dellaicompensa, è stato posto in relazione con l’attesa di unvento piacevole. A sostegno che le attese positive sianon grado di attivare i circuiti cerebrali della ricompensa,n uno studio condotto con pazienti depressi l’OFC e lotriato ventrale sono stati le aree attivate, probabilmentealle aspettative positive, solo nei futuri responder alrattamento una settimana dopo la somministrazione, indif-erentemente, di placebo o di fluoxetina, ancora prima dellaomparsa di un significativo beneficio clinico [91,92].

L’effetto placebo si produce anche secondo il condi-ionamento classico, come risposta appresa a uno stimoloondizionato, spesso in modo inconsapevole [70,93]. Que-to meccanismo di apprendimento, più diffuso e primitivoal punto di vista filogenetico, sembra si sia evoluto peronsentire di anticipare la risposta quando compare lo sti-olo condizionato, in attesa dello stimolo incondizionato.lcuni studi [93—95] sulla capacità dell’effetto placebo distinguere il dolore dimostrerebbero comunque la maggiorefficacia delle aspettative consapevoli rispetto al condizio-amento classico. Per esempio, nello studio di Montgomeryt al. [95] ai soggetti veniva somministrato uno stimolo dolo-oso standard ed essi dovevano definirne l’intensità. Aglitessi soggetti, senza informarli preventivamente, venivaoi somministrato uno stimolo di intensità ridotta insiemeuna crema inerte, ma definita antidolorifica, per indurre

n condizionamento al placebo. In effetti, dopo il condizio-amento, i soggetti percepivano un dolore minore quandoeniva somministrata la crema insieme allo stimolo dolo-oso standard, ma l’effetto placebo non si verificava in queioggetti che erano stati informati del disegno sperimentaledel fatto che la crema era inerte. L’analisi dei dati indi-

ava che le aspettative consapevoli erano necessarie per’analgesia placebo.

Nonostante l’apparente primato delle aspettative con-apevoli indotte dalle suggestioni verbali, le altre forme dipprendimento, come il condizionamento operante o il con-izionamento classico, possono generarne, spesso, di nononsapevoli. Possiamo supporre che prevalgano ora le une

ra le altre o che possano combinarsi insieme nel produrren effetto positivo o negativo (come nel caso dell’effettoocebo). Pertanto, regolare le aspettative appare insiememportante e non facile, specie nel caso siano presentittese di cui il paziente non è consapevole. Il risultato
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5 E. Gallo, G. Berti Ceroni

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Tabella 4 Alleanza terapeutica: sintesi delle funzioni edelle corrispondenti aree cerebrali correlabili in ipotesi alfattore terapeutico.

Cooperazione• Modulazione dei centriche attribuiscono a sé leproprie azioni e ladistinzione dall’altro(‘‘teoria della mente’’)• Modulazione emotivadovuta all’interazionesociale• Attivazione del ‘‘circuitodella ricompensa’’

• Insula anteriore• Corteccia frontalemediale, poli temporali eparte superiore del solcotemporale oppure• Corteccia prefrontale inrete con altre aree cerebrali(memoria di lavoro)• Insula anteriore• Corteccia orbito-frontalesinistra• Areea ventrotegmentale• Nucleo accumbens

Processo di attaccamento • Circuito della ‘‘teoriadella mente’’• Corteccia prefrontaledorsolaterale• Amigdale• ‘‘Circuito della

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ipenderà dalle esperienze precedenti del paziente (e ancheal tempo trascorso da quelle esperienze) [96]. Il terapeutaovrebbe riuscire ad ascoltare le credenze del paziente [97]considerare con lui il peso delle esperienze precedenti peroter correggere le aspettative non realistiche. Avanziamo’ipotesi che l’incostante correlazione tra le aspettative

l’esito dei trattamenti, riscontrata nella ricerca clinica,ossa essere dovuta anche al peso incostante di quelle nononsapevoli di paziente e terapeuta.

Sembra necessario che il paziente sappia di essere curatoffinché le aspettative agiscano direttamente e suppo-iamo che egli debba avere la capacità e la possibilitài rappresentarsi consapevolmente l’effetto della cura.i è osservato che immaginare una situazione attiva leedesime strutture che si attiverebbero se la situazione

osse realmente presente. Per esempio, come già detto,’attesa di uno stimolo ripugnante attiva, con piccole dif-erenze, le medesime strutture rispetto alla percezioneello stimolo (la DLPFC, l’OFC, le amigdale, l’ACC e’insula) [67]. Possiamo perciò pensare che il rituale osser-ato o la comunicazione della cura da parte del medicoeneri nella mente del paziente una rappresentazione deliglioramento, mentre contemporaneamente può esserci

’attivazione di quelle vie in grado di produrlo, diverseuindi nel caso si tratti di un miglioramento del dolore,ella velocità del movimento nel morbo di Parkinson,ell’ansia o della depressione, per citare alcune patolo-ie studiate [70]. Da una parte, la prescrizione al pazientei una cura può attivare la rappresentazione consapevoleel miglioramento desiderato (non necessariamente basataul ricordo di un’esperienza precedente) e indurlo diret-amente; dall’altra, essa potrebbe ricordare al pazienterecedenti episodi di cura e riattivare in modo inconsape-ole le risposte emotive di sollievo o ansia o dolore provaten precedenza. La rappresentazione consapevole, comeello studio di Montgomery et al. citato [95], sembra peròhe possa rinforzare o contrastare le risposte condizionateositive o negative, attivate spesso in modo inconsapevoleincontrollabile da parte del soggetto (‘‘Dottore, io sono

atto così!’’).La regolazione delle aspettative potrebbe perciò aiutare

l paziente a costruirsi una rappresentazione mentale ade-uata del decorso della malattia, della terapia e dei suoiffetti, ed eventualmente correggere quelle derivate dalleredenze e dalle esperienze precedenti, con lo scopo di evi-are l’effetto nocebo e di massimizzare l’effetto placebottivando le aree e le vie deputate al miglioramento.

Le aspettative possono moltiplicare il loro effetto inte-agendo con il desiderio (motivazione) di raggiungere unbiettivo positivo o di evitarne uno negativo [85], persinouello indicato dagli sperimentatori, come accade nei trial86]. Quindi, la loro regolazione potrebbe avere un effettoiù incisivo se inducesse un miglioramento della motivazionel trattamento e al cambiamento.

Durante il trattamento, non solo nelle fasi iniziali, man-enere la consapevolezza (la rappresentazione mentaleonsapevole) del percorso di cura e dei suoi effetti bene-ci potrebbe mantenere attive le reti neurali in grado di

rodurre il risultato atteso e desiderato. Viceversa, uno stu-io ha dimostrato come la notizia della sospensione di unrattamento antidolorifico provocasse dolore nonostante ilarmaco, prima efficace, non avesse ancora cessato il suo

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ricompensa’’• Ossitocina, vasopressina

ffetto [94]: un effetto nocebo indotto dalle aspettativeegative alla notizia della sospensione del trattamento effi-ace [93].

Un contenitore relazionale sembra essere necessario perl mantenimento di aspettative realistiche circa il tratta-ento, per tollerare la sofferenza in attesa di un beneficio,

eneralmente non immediato, e per sostenere l’impegnohe richiede un percorso terapeutico.

L’effetto della regolazione delle aspettative sull’attivitàerebrale potrebbe essere verificato variando il sostegnoornito al paziente all’inizio del trattamento:

informazioni realistiche sul trattamento e il sostegnodella speranza di miglioramento dovrebbero indurreun’attivazione della DLPFC, dell’OFC e dello striato ven-trale e, insieme a quella, delle vie specifiche che induconoil miglioramento dei sintomi;informazioni pessimistiche sul trattamento e mancanza disostegno della speranza non dovrebbero attivare lo striatoventrale;informazioni esageratamente ottimistiche, per esempioriguardo ai tempi della risposta al trattamento, potreb-bero indurre un’attivazione temporanea dell’OFC, dellostriato ventrale e delle vie specifiche che inducono ilmiglioramento sintomatologico, seguita da una riduzionedell’attività dello striato ventrale quando subentra ladelusione delle attese.

lleanza terapeutica

l concetto di alleanza terapeutica (AT) nasce in ambitosicoanalitico. Greenson [98] ha proposto inizialmente iloncetto di ‘‘alleanza di lavoro’’, proseguendo le osserva-ioni di Freud sulla relazione reale tra paziente e analista,

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Possibili correlati neurobiologici di quattro specifici fattori c

distinta da quella transferale, nell’ambito di una definizionetripartita della relazione terapeutica comprendente:• la ‘‘relazione reale’’, come reazioni attuali del paziente

all’analista;• l’‘‘alleanza di lavoro’’, intesa come lo sforzo collabo-

rativo allo scopo di ottenere il cambiamento all’internodella cornice terapeutica;

• il ‘‘transfert’’, che agisce come elemento di distorsionedella relazione reale.Secondo alcuni psicoanalisti [99,100] il concetto di AT

era in contrasto con la teoria del transfert, che voleva ogniaspetto della relazione soggetto alla distorsione transferaleda parte del paziente e quindi interpretabile, anche per evi-tare il crearsi di ‘‘zone franche’’ di cui potessero giovarsi leresistenze al trattamento. Tralasciamo le vicissitudini delconcetto nei decenni successivi; esso ha purtuttavia stimo-lato la ricerca in varie direzioni e alla fine si è imposto [101].Molte ricerche hanno valutato la relazione tra una buona ATe l’esito dei trattamenti, con risultati variabili a seconda deltipo di diagnosi, del tipo e del momento del trattamento.Martin et al. [11] hanno condotto una metanalisi di 79 studiche hanno misurato l’AT con strumenti diversi, dimostrandocomplessivamente che essa esercita un effetto moderato,ma consistente, sull’esito del trattamento non solo psicote-rapeutico, ma anche farmacologico, indipendente da altrifattori. Un’altra metanalisi ne ha confermato l’importanzaper l’esito, anche in setting non specialistici come la Medi-cina Generale [102].

Allo scopo di creare strumenti di misura dell’AT si sonodelineati vari modelli operativi (a cui corrispondono altret-tanti strumenti di misura) che ne colgono le molteplicisfumature. Due aspetti, in particolare, sembrano rilevabiliin tutte le concettualizzazioni: la collaborazione, come desi-derio/accordo di investire nel processo terapeutico, e illegame (o attaccamento personale) [101].

Gli studi neurobiologici sull’interazione sociale, sullacooperazione e sui processi di attaccamento sembrano poterfornire una base per ipotizzare le funzioni cerebrali corre-late all’AT (tabella 4).

L’interazione sociale, rispetto allo svolgimento di uncompito in maniera indipendente, sembra richiedere unamaggiore attivazione del giro frontale superiore e della cor-teccia parietale superiore, dovuta a un maggiore sforzoattentivo [103], in quanto richiede il controllo delle azioniproprie e dell’altro. L’insula anteriore sembra coinvoltanell’attribuzione a sé delle proprie azioni e nella distinzionedall’altro [104], oltre che nell’attivazione autonomica chesi accompagna allo stato emotivo dell’interazione sociale.Nel caso della competizione, confrontata con la coope-razione, vi è una maggiore attivazione della cortecciaparietale inferiore e della corteccia frontale mediale (dettaanche paracingolata anteriore), che sembrano coinvoltenella distinzione fra sé e gli altri e nella capacità di avereuna ‘‘teoria della mente’’. In questo caso sembra necessariauna maggiore distinzione fra sé e gli altri, in quanto i parte-cipanti hanno differenti obiettivi rispetto alle situazioni dicooperazione, nelle quali l’attribuzione delle azioni è meno

distinta. Per esempio, bambini in età prescolare in situazionidi cooperazione hanno mostrato maggiori difficoltà ad attri-buire a un compagno specifico le azioni per la costruzionedi un giocattolo, piuttosto che nella costruzione indipen-dente [105], indicando una minore distinzione tra l’azione

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ni della relazione terapeutica 51

ropria e quella altrui nella situazione di cooperazione. Laorteccia frontale mediale è coinvolta nelle funzioni ese-utive e nella memoria di lavoro quando bisogna valutarea realtà da prospettive diverse [43], ed è attivata dalleituazioni di cooperazione in cui occorre inibire un com-ortamento che fornirebbe una ricompensa immediata, pervviare un comportamento collaborativo che può garantirena ricompensa maggiore ma differita [44]. Schienle et al.106] hanno riscontrato che un aumento dell’attività dellaorteccia frontale mediale potrebbe essere il segno di unaerapia inizialmente efficace nel ridurre l’ansia: forse unarker di una buona collaborazione tra paziente e tera-euta?

Sia Rilling et al. [107] sia Decety et al. [103] hannosservato che la cooperazione forniva al soggetto una ricom-ensa, associata all’attivazione dell’OFC sinistra. Questaa parte dei circuiti cerebrali del sistema di ricompensanterno dopaminergico, insieme all’area ventrotegmentale el nucleo accumbens. Nell’uomo sembra essersi evoluta unapiccata tendenza alla cooperazione sociale e all’altruismoei termini di un comportamento immediatamente grati-cante di per sé, che però non è presente nella stessaisura in tutti gli individui. Per esempio, lo studio di con-

ronto fra persone con differenti punteggi a un questionarioi misura della psicopatia ha dimostrato, nei soggetti conn basso punteggio di psicopatia, una maggiore tendenzacooperare. Questa è associata all’attivazione dei circuiti

i autogratificazione con un aumento dell’attività dell’OFC,mplicata nelle decisioni su base emotiva con gratifica-ione immediata, correlate alla consapevolezza di provaremozioni positive (ricompensa di per sé motivante) nellaecisione di cooperare. Negli stessi soggetti la decisionei non cooperare necessita di uno sforzo cognitivo inibito-io per reprimere la tendenza alla cooperazione, espressoall’attività inibitoria della DLPFC che regola le decisioniasate su un calcolo strategico [107].

Il legame che si stabilisce tra paziente e terapeuta èomunemente considerato come l’altra componente dell’AT.meccanismi di ricompensa interna sembrano, come si èetto, importanti nel favorire la cooperazione sociale, maono probabilmente coinvolti anche nei processi di attac-amento. L’attaccamento umano è stato definito comen sistema di comportamenti con una base biologica chenfluenza motivazioni, processi cognitivi, emotivi e ricordiiferiti alle relazioni intime [108]. Due ormoni dalla strutturaolto simile, ossitocina e vasopressina, sembrano impli-

ati nell’attaccamento madre-figlio e nell’attaccamento alartner [109], ma anche nella tendenza più generale adarsi degli estranei [110]. L’ossitocina interagisce con ilircuito di ricompensa interna dopaminergico, attivandolo eendendo i comportamenti prosociali gratificanti. Secondoartels et al. [111] l’attaccamento si esprime attraversona riduzione dell’attivazione dei circuiti della ‘‘teoria dellaente’’ e delle aree attivate dalle emozioni negative (come

’amigdala), mentre vi è un aumento di attività del sistemai ricompensa interna. Persone con modalità di attacca-ento diverse prevedibilmente presentano differenze: per

sempio, pazienti con un attaccamento insicuro evitanteimostrano una capacità di soppressione incompleta o menofficiente della DLPFC [112], che sembra quindi svolgere,ome nel citato studio di Rilling et al. [107], una funzioneilevante nella capacità di cooperare.

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Sembra possibile, pertanto, che l’intensità e la qualitàel legame influiscano sulla capacità di collaborare, secondoa fase del trattamento e in relazione ai diversi stati pato-ogici o come conseguenza di specifici tratti di personalità:e così fosse, i risultati basati sulle misure che riuniscono leue componenti dell’AT sarebbero influenzati anche dallaoro interazione.

onclusioni

bbiamo discusso di 4 dei 6 fattori relazionali che sonotati selezionati, consapevoli che alla fine la ricerca potràggiungerne o escluderne alcuni, come ipotesi di lavorontorno agli elementi comuni, essenziali e necessari dellaelazione di cura. Per il momento, a favore dell’importanza,er l’esito dei trattamenti, di 3 fattori (lo stile comunica-ivo del terapeuta, l’attenzione alla storia personale delaziente, l’alleanza terapeutica) esistono alcuni dati spe-imentali. Riguardo alla regolazione delle aspettative, laua importanza può essere inferita dai numerosi studi con-ernenti il ruolo delle aspettative per l’esito. Per altri 2attori (il setting e la presenza del paziente nella memoriael terapeuta), invece, non vi sono al momento evidenze dina correlazione con l’esito, sebbene la loro importanza siauggerita dall’esperienza clinica.

Il tentativo di questo lavoro è stato quello di indivi-uare, in base alle conoscenze attuali, le reti cerebralihe potrebbero essere correlate all’attività psicologica difattori relazionali (lo stile comunicativo del terapeuta, la

egolazione delle aspettative, l’attenzione alla storia per-onale del paziente, l’alleanza terapeutica). Ci sembra cheiò permetta di definire meglio ogni fattore, proprio nellarasposizione dal piano clinico-psicologico a quello neuro-iologico, e di comprendere meglio la funzione che ognunoi essi può svolgere nel processo terapeutico, proponendonoltre una strada di ricerca complementare a quella clinica

psicologica.I correlati neurobiologici che abbiamo presentato sem-

rano fornire supporto all’idea di una specifica azione diiascun fattore nel processo terapeutico: abbiamo speculatoulla possibilità che alla loro azione terapeutica sul pianosicologico corrisponda l’attività di reti cerebrali distinteon funzioni specifiche, seppur parzialmente sovrapposte,apaci nel loro insieme di svolgere un ruolo importante nelrocesso terapeutico.

Riassumiamo le ipotesi presentate.Lo stile comunicativo del terapeuta modulerebbe in

ntrambi gli attori della relazione terapeutica l’attività delNS e della ‘‘teoria della mente’’ per ottenere una comuni-azione significativa, basata sulla comprensione reciproca.

L’attenzione alla storia del paziente, attivando i circuitieurali della memoria episodica e della memoria di lavoro,otrebbe riportare alla coscienza i ricordi e ricondurre ano stato labile le tracce mnestiche, immagazzinate sta-ilmente nella memoria a lungo termine, permettendo diodificare gli apprendimenti precedenti; potrebbe inoltre

acilitare la regolazione degli affetti attraverso l’attivazionei aree inibitorie dell’ACC dorsale su quella ventrale.

Le aspettative consapevoli sembrano essere in grado dittivare in anticipo le reti da cui dipende la risposta attesail ‘‘circuito della ricompensa’’, per cui la loro regolazione

E. Gallo, G. Berti Ceroni

uò comportare un rapido miglioramento dei sintomi iniverse patologie e consentire di evitare l’effetto nocebo.

L’alleanza terapeutica sarebbe il risultato della predispo-izione del ‘‘circuito della ricompensa’’ a essere attivato daiomportamenti prosociali, e della capacità inibitoria dellaFC nel differire il raggiungimento di obiettivi immediati peravorire la collaborazione. Insieme a una modulazione dellaete dell’ansia e di quella della ‘‘teoria della mente’’, ciòotrebbe promuovere lo stabilirsi di un legame tra pazienteterapeuta, a sua volta in grado di influenzare la capacità

i cooperare.In questa schematizzazione, singole aree potrebbero

ssere di volta in volta partecipi di reti più ampie che svol-ono compiti specifici. In una visione dinamica, la singolarea potrebbe svolgere funzioni diverse secondo le inter-onnessioni da cui è reclutata, o potrebbe essere soggettad attivazioni contemporanee, conflittuali o sinergiche, cheisulterebbero in una modulazione della sua attività. Peral-ro bisogna considerare la possibilità che strumenti con unaaggiore risoluzione evidenzieranno l’esistenza di sottopo-olazioni neuronali con compiti specifici all’interno dellaedesima area.Le correlazioni neurobiologiche ipotizzate richiedono

erifiche sperimentali e abbiamo indicato alcune prospettivei ricerca. Oltre a ulteriori studi che indaghino la correla-ione con l’esito dei trattamenti, si possono creare situa-ioni sperimentali che permettano la manipolazione dei sin-oli fattori per poter meglio distinguere il possibile effettoi ognuno, durante il processo terapeutico, nel modulare’attività cerebrale. Conoscenze più precise potrebberossere utili per comprendere meglio ciò che favorisce ilambiamento e potrebbero aiutare a perfezionare le tec-iche psicoterapeutiche e a scegliere le più adatte per ogniatologia e per specifiche finalità terapeutiche.

onflitto di interesse

li autori dichiarano di non aver nessun conflitto di interessi.

inanziamenti allo studio

li autori dichiarano di non aver ricevuto finanziamenti isti-uzionali per il presente studio.

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