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Prendiamoci la Coppa Foto Mosca –...

Date post: 24-Sep-2020
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Prendiamoci la Coppa Foto Mosca – Pastore La Città – La Squadra – Gli Eventi Copia gratuita distribuita in edicola con il “Roma” Numero 23 del 12 febbraio 2020
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La Città – La Squadra – Gli Eventi

Copia gratuita distribuita in edicola con il “Roma”

Numero 23 del 12 febbraio 2020

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FRAMMENTI

di Giovanni Gaudiano

Il Napoli scenderà in campo stasera al Meazza per unagara di quelle che contano. Servirà la squadra vistacontro la Juventus, servirà la voglia feroce di pren-

dersi una rivincita proprio con l’Inter a partire da questoprimo round. Lo scenario sportivo che si presenta, in sin-tesi, è questo.Lasciando il compito a tutti i colleghi, che hanno colla-borato a questo numero, di presentare l’evento sportivo,è il momento di fare qualche riflessione pensando a quantosuccesso nella stagione sino a questo momento.Il presidente De Laurentiis forse potrebbe spiegare per-ché in certi casi il suo braccio sembra corto, quasi comequello del tennista che finisce per mandare in rete una vo-lée a portata di racchetta.Nella scorsa stagione l’ingaggio di Ancelotti aveva apertoil cuore dei tifosi ed anche degli addetti ai lavori. Il tec-nico emiliano arrivava a Napoli con delle credenziali in-discutibili. Non furono fatti investimenti importanti masi disse che si sarebbe trattato del primo di tanti anni conAncelotti alla guida del Napoli e quindi la stagione, no-nostante si puntasse comunque in alto, andava vista comeuna transizione, un assestamento, una verifica dei gioca-tori facenti parte della rosa.Secondo posto e qualificazione Champions e quindi lascorsa estate i discorsi sembrava dovessero cambiare, nelsenso che gli obiettivi e le necessità per raggiungerli

oramai erano note.Si è assistito, invece, ad un mercato scarno, senza acqui-sizioni che completassero adeguatamente la rosa. Qual-cuno si affretterà a ricordare che proprio Ancelotti avevadato al mercato della società una valutazione importante.Non è una giustificazione per l’ex tecnico azzurro, ma po-teva dire altro? Forse avrebbe dovuto lasciare, andare via,avrebbe trovato subito una nuova collocazione, come poiè successo. Ed è questa forse la cosa che Ancelotti si rim-provera ma che ha detto che non rivelerà mai.Ora per completare il ragionamento, si potevano fare a lu-glio scorso gli investimenti portati a termine in questo,inusuale per il Napoli, mercato di gennaio?Si poteva consegnare al tecnico già in ritiro una squadrapiù completa, soprattutto a centrocampo?Si poteva lanciare un messaggio preciso ed autorevole alcalcio italiano, dicendo che al tavolo che conta il Napolisi sarebbe seduto da protagonista assoluto?Alla luce di quanto accaduto si può dire che forse si po-teva fare tutto questo ed anche di più, consapevoli comesi è che nel prossimo mercato estivo partiranno due/tregiocatori di valore per riequilibrare le poste di bilancio.Ma questa è una storia alla quale quasi certamente assi-steremo.Adesso si punti con ogni mezzo, con ogni sforzo a recu-perare il tempo perduto.

Assalto alla Coppa Italia

3mercoledì 12 febbraio 2020

La formazionescelta da Gattuso

che ha battuto per2 a 1 la Juventus di

Sarri. In piedi dasinistra: Manolas,

Meret, Milik,Demme, FabiànRuiz e Callejon;

piegati: Hysaj, Zie-linski, Insigne,

Mario Rui e Di Lo-renzo

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TESTIMONE DEL TEMPO

Napoli e Inter si incontrerannoper la decima volta in CoppaItalia. Si affronteranno in se-

mifinale (andata a Milano, ritorno alSan Paolo) come è già successo unavolta, passarono gli azzurri. Fra le duesquadre anche una finale, vinta dal-l’Inter.Sono 64 le squadre che il Napoli ha in-contrato in Coppa Italia dal 1935 adoggi. L’avversario del Napoli più fre-quente in Coppa è stata la Lazio (13volte), seguita da Roma (12), Bologna(12), Fiorentina (11), Milan (10), Pa-lermo (10), Inter (9), Juventus (8), Ce-sena (8), Sampdoria (8), poi gli altri.

La Finale Napoli e Inter hanno giocato la finaledi Coppa Italia 1978 nell’anno deiMondiali in Argentina (la prima Ita-lia di Bearzot che si piazzò terza). Lacompetizione si giocò a gironi in duefasi. Nella prima fase, il Napoli fu

primo nel girone davanti a Catan-zaro, Palermo, Vicenza e Avellino.L’Inter vinse il suo girone davanti aComo, Ascoli, Atalanta e Cremonese.Nella seconda fase, il Napoli si clas-

sificò ancora al primo posto nel gi-rone con Milan, Juventus e Taranto.Così l’Inter nel girone con Fioren-tina, Torino e Monza.Finale a Roma il 29 giugno, quattro

5mercoledì 12 febbraio 2020

di Mimmo Carratelli

Quella semifinale vinta col rigoreparato da Taglialatela

Napoli e Internazionale: nove confronti in Coppa Italia,anche una finale col successo dei nerazzurri nel 1978

Una formazione del Napoli 1977-78. In piedi da sinistra: Catellani, Stanzione, Restelli, l’allenatore Gianni Di Marzio, La Palma,

Bruscolotti e Mattolini. Seduti: Massa, Juliano, Savoldi, Pin e Chiarugi

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TESTIMONE DEL TEMPO

giorni dopo la conclusione del Mon-diale. All’Inter mancò il portiere Bor-don che era tra i nazionali di Bearzot.Di Marzio schierò il Napoli con Mat-tolini; Bruscolotti, La Palma; Restelli,Ferrario, Stanzione; Vinazzani, Ju-liano, Savoldi, Valente (62’ Mocellin),Chiarugi. L’Inter, allenata da Bersel-lini, giocò con Cipollini; Canuti, Fe-dele (58’ Chirico); Baresi, Gasparini,Bini; Scanziani, Oriali, Altobelli, Ma-rini, Muraro (89’ Anastasi).Pochi spettatori all’Olimpico(25mila), in maggioranza napoletani,arbitro il fiorentino Menicucci. Incampionato l’Inter s’era piazzataquinta, a otto punti dalla Juventuscampione d’Italia; il Napoli sesto a

meno 14 dalla Juve.Il Napoli giocò in maglia bianca conMattolini in maglia verde. Partitalenta con marcature rigide, Brusco-lotti su Muraro e Ferrario su Alto-belli. Il Napoli sorprese l’Inter al 6’.Dalla lunetta, su punizione (fallo diGasparini su Savoldi), Juliano toccò lapalla a Chiarugi che calciò con vio-lenza verso il palo sinistro di Cipol-lini. Il portiere respinse corto, Sa-voldi con un colpo di tacco servìRestelli per il gol.

L’Inter pareggiò dopo dodici minuti.Sul cross di Baresi dalla sinistra, Mat-tolini uscì a vuoto su Altobelli che di

testa toccò per Muraro, altro colpo ditesta e palla di ritorno ad Altobelliche, sempre di testa, segnò con Mat-tolini fuori dai pali.Nella ripresa, l’Inter prese in pugnoil match. Dopo che Stanzione salvòsulla linea un colpo di testa di Alto-belli, la squadra milanese passò invantaggio su corner di Baresi, altrauscita a vuoto di Mattolini e colpo ditesta vincente di Bini che era il batti-

tore libero della formazione di Ber-sellini. L’Inter vinse la Coppa Italiaper la seconda volta.

6 mercoledì 12 febbraio 2020

Luciano Chiarugi con il Petisso nel 1976

Pino, Batman, Taglialatelanella stagione 1996-97

La rosa del Napoli nel 96-97 nell’album della Panini

Il bomber Giuseppe Savoldi

Il portiere Massimo Mattolini

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La Semifinale e gli altri confrontiNapoli e Inter si sono già incontratiuna volta in semifinale di Coppa Italia,stagione 1996-97. Era il Napoli diGigi Simoni contro l’Inter di RoyHodgson.Nel match di andata, 1-1 a San Siro(gol di Cruz). Nel ritorno al San Paolo,ancora 1-1 (Zanetti all’11’ e Beto al73’) con soluzione ai calci di rigorevinta dal Napoli 5-3: Taglialatela paròil rigore di Paganin.Il Napoli giocò con Taglialatela; Co-lonnese, Milanese; Turrini, Bordin,Baldini; Beto, Boghossian, Aglietti (65’Caio), Caccia, Policano (58’ Esposito).L’Inter con Pagliuca; Bergomi (91’ Pi-stone), Zanetti; Galante, Fresi (110’Berti), Paganin; Angloma, Winter (93’Sforza), Zamorano, Djorkaeff, Ganz.

Il Napoli perse poi la doppia finale colVicenza, 1-0 al San Paolo, 0-3 fuoricon Montefusco in panchina (Simoniaveva già firmato per l’Inter).Il primo confronto di Coppa fra Napolie Inter risale al 1938. L’Inter si chia-mava Ambrosiana ed eliminò il Napolinei quarti vincendo all’Ascarelli 2-0.

Le due squadre si ritrovarono di frontel’anno dopo e passò ancora l’Ambro-

siana: 1-1 a Napoli, 1-0 a Milano.Nella stagione 1958-59 il terzo con-fronto di Coppa. L’Inter vinse 3-2 sulsuo campo.Negli anni sotto la presidenza De Lau-rentiis sono stati quattro i confrontifra le due squadre sempre nei quarti difinale, partita secca, giocata al SanPaolo.Nella stagione 2010-11, il Napoli fece0-0 perdendo ai rigori (4-5). Nel 2011-12, batté l’Inter 2-0 con doppietta diCavani (un rigore e un gol) e vinse poila Coppa nella finale contro la Juven-tus (2-0 con rigore di Cavani e gol diHamsik).Nel 2014-15, altro successo azzurro,1-0, gol di Higuain al 93’. Infine nellastagione 2015-16, l’Inter eliminò ilNapoli vincendo al San Paolo 2-0 congol di Jovetic e Ljajic.

7mercoledì 12 febbraio 2020

André Cruz, il mancino dal piede vellu-tato. A destra Matador Cavani e la Coppa

Paolo Cannavaro, il capitano, alza al cielo la quarta Coppa Italia nella stagione 2011-12

La Coppa Italia vinta nella stessa sta-gione del primo scudetto

Tocca a capitan Hamsik alzare la Coppa nel 2013-14

Foto di gruppo per la quinta Coppa Italia del Napoli

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L’INTERVISTA

Rosario Rivellino“Il calcio moderno

è più veloce”Le due coppe Ita-lia conquistate incampo e dallapanchina con ilNapoli. Gli o�imirisultati o�enuticon il se�ore gio-vanile azzurrocon il fiore all’oc-chiello del torneodi Viareggio. Unavisione chiara eprecisa di un si-gnore dello sportche non na-sconde la stimasincera per Cor-rado Ferlaino

9mercoledì 12 febbraio 2020

di Giovanni Gaudiano

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L’INTERVISTA

Èun signore alto, sempre elegante, pacato nelparlare. Il suo fisico sembra essersi fatto beffedegli anni. Non ama la polemica e non ama

l’ipocrisia. È anche una memoria storica del calcio par-tenopeo ed in particolare di quello che è successo negliultimi sessanta anni a Napoli e nel Napoli. La societàper la quale ha giocato, ha lavorato e che resta nel suocuore nonostante ci si ricordi di lui solo quando c’è unaprecisa ragione.Rosario Rivellino non avrebbe avuto bisogno di pre-sentazioni, descrizioni o altro ma prendere al bar conlui un caffè evoca un turbinio di ricordi, di storie diffi-cili da condensare in una chiacchierata di una mezzamattinata.

Rivellino ma perché ogni tanto da qualche partespunta che lei giocava da mediano?

«È un errore che di tanto in tanto fa capolino in qualche li-bro o su internet. Sono sempre stato un centromediano. La

scelta del mio ruolo d’altronde sin da giovane fu dettata dallamia altezza, che all’epoca era una qualità ricercata. Oggisono diventato un “nano”. Comunque qualche partita, o me-glio qualche spezzone da mediano l’ho giocato ma solo peresigenza. Non ero adeguato. Il mediano è un diesel mentreil difensore centrale deve avere nel suo bagaglio lo scatto breve,la velocità per contrastare gli avanti avversari».

È necessario partire, anche se brevemente, dal-l’inizio. Come è nata per lei la passione del cal-cio?

«Sono cresciuto al Capo di Posillipo, dove noi ragazzi ave-vamo gli spazi per giocare un po’ dappertutto. Poi con il

campo Denza abbiamo avuto la prima vera palestra e con unasquadra formata in oratorio, quello della chiesa di Bellavi-sta, abbiamo iniziato una vera attività agonistica affilian-doci alla Federazione. Guglielmo Glovi, ex Napoli che la-vorava per l’Ilva Bagnolese, vedendoci decise di prendere 5ragazzi della nostra squadra tra cui c’ero anche io. La miacarriera da semi-professionista è iniziata così. Credo a que-sto proposito di essere uno dei pochi, se non l’unico, che in quelperiodo ha giocato per tutte le tre società napoletane più im-portanti: l’Ilva Bagnolese, la Cirio e il Napoli, dove sono ar-rivato nel 1961».

Lei però è stato uno sportivo oltre il rettangolodi gioco, dedicava molto del suo tempo alla sua

10 mercoledì 12 febbraio 2020

Il Napoli che si impose nella Coppa Italia del 1976. In piedi da sini-stra: Orlandini, La Palma, Burgnich, Carmignani, Bruscolotti e Po-

gliana; accosciati: Massa, Juliano, Savoldi, Esposito e Braglia

La squadra che vinse la Coppa Italia nel 1962,Rivellino è il primo in piedi a destra

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passione, cosa ne pensavano in famiglia?«È vero, direi che lo sport mi interessava in generale, ho gio-cato anche a pallanuoto. Nella zona di Posillipo erano con-centrate tante attività sportive per i giovani e così la passioneper lo sport ed il calcio in particolare si sono sviluppate perme come per molti altri miei coetanei. Mio padre, poi, era uncommerciante e di calcio ne capiva davvero poco. Però mi se-guiva quando giocavo senza mai intromettersi, senza averemai la presunzione di formulare un giudizio tecnico, e amano a mano anche in lui, visto che gli piaceva vedere le no-stre partite, è cresciuta una certa passione per questo sport».

Di tempo ne è passato, molte cose sono cam-biate. Qual è il calcio più bello per Rivellino?

«La tentazione, che naturalmente mi prende, sarebbe quelladi dire che il calcio dei miei tempi fosse meglio, ma non è così.Oggi è cambiata la velocità con la quale si gioca, direi chepossiamo valutarla come raddoppiata, ed inoltre la prepara-zione fisica che allora non veniva curata ha assunto un’im-portanza rilevante. Molto spesso si verifica che l’avversarioti arrivi addosso prima del pallone. È evidente che queste ca-ratteristiche del calcio moderno hanno finito per limitare latecnica. Questa considerazione, portata alle estreme conse-guenze, vale per tutti quei giocatori che arrivano in Italiacome se fossero dei fenomeni, ma provenendo da campionatidove la marcatura è molto larga nel nostro paese finiscono perperdersi».

Quindi meno tecnica, più preparazione, menofuoriclasse: che calcio è?

«La tecnica individuale di base applicata nei settori giova-nili è nella media migliore perché i ragazzi si allenano sucampi in erba sintetica con attrezzature adeguate, mentre aimiei tempi ci dovevamo arrangiare partendo dal pallone chespesso era fatto di stracci. L’evoluzione dettata dalla velocità

di gioco e dall’atletismo la fanno da padrone ma se ci sonole qualità tecniche vengono fuori. Per comprendere questopensiero basta guardare al periodo di Vinicio a Napoli.Luis cambiò totalmente la metodologia, privilegiando lapreparazione fisica che diede a quel Napoli, formato dabuoni giocatori, una marcia in più. Vinicio al mercoledìaveva programmato due sedute di allenamento, quella delmattino era davvero impegnativa e lui aveva chiesto alla so-cietà, che lo accontentò, di allestire una sala di ossigenazioneche consentisse un migliore e più rapido recupero, atto a con-sentire di sostenere anche la seduta del pomeriggio. Si trat-tava già negli anni settanta di un’evoluzione per il calcio,però quando giocava Clerici la sua classe, anche se arrivò aNapoli avanti con gli anni, era cristallina nonostante la fa-tica sostenuta durante gli allenamenti».

Arriviamo alla Coppa Italia, quella del 1962,vinta giocando…

«Vincemmo come squadra proveniente dalla serie B ma in re-altà il 3 giugno, con la vittoria in casa con la Sambenedet-tese, avevamo ottenuto la matematica promozione e quindi infinale di coppa potevamo considerarci una squadra di serieA. Debbo dire che in semifinale, quando battemmo il Man-tova, venivamo dalla trasferta con vittoria di Verona e con-fermo quello che dico sempre di quanto possa contare la se-renità nelle squadre di calcio. Basta pensare che in quelperiodo ci allenammo davvero poco. Inoltre per la finale conla Spal del 21 giugno vale la pena ricordare come a Romasiamo andati in treno ed abbiamo mangiato nel vagone ri-

11mercoledì 12 febbraio 2020

Con Bruno Giordano

Con il presidente Corrado Ferlaino

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L’INTERVISTA

storante. Avevamo il morale alto e quello ci bastò per vincere,poi Pesaola in panchina era un tecnico eccellente ed inoltre ildirigente accompagnatore Roberto Fiore, che non era ancorapresidente, ci portò prima della gara a via Veneto ed il no-stro sembrava più un gruppo in vacanza che una squadra dicalcio in procinto di battersi per la conquista della Coppa Ita-lia».

Il bis è arrivato dalla panchina nel 1976, comeandò?

«In quel periodo il regolamento era differente. Il Napoli con-quistò la sua seconda Coppa Italia disputando un girone diqualificazione e poi quello che ci qualificò per la finale.Prima di battere il Verona nel secondo girone affrontammoMilan, Fiorentina e Sampdoria giocando partite di andatae ritorno. Compresa la finale, in quella edizione disputammoundici partite vincendone 7 e pareggiandone 4. Mi trovai inpanchina perché la società, a fine campionato, quando Vini-cio lasciò la guida tecnica mi affidò la prima squadra, ero giàresponsabile del Settore Giovanile, con la collaborazione diAlberto Delfrati. Devo dire che quello era il Napoli di Vini-cio, una squadra quasi perfetta che io decisi di non cambiarese non per qualche avvicendamento dettato dall’avversario diturno. Pochi ricordano che in quel girone battemmo duevolte il Milan di Rivera che in campionato si era classificatoterzo. Poi in finale superammo il Verona, allenato da Valca-reggi, con un netto 4 a 0 maturato tutto negli ultimi 15’ con

un’autorete del portiere Ginulfi, una doppietta di Savoldi eduna rete di Braglia».

Come era cambiata la società in quei quattordicianni?

«Nel 62 c’era un uomo solo al comando, che era AchilleLauro, ma non è paragonabile a De Laurentiis. Il coman-dante delegava, aveva uomini di fiducia ai quali affidava di-versi compiti. Nel 76, invece, il mondo del calcio era ingrande trasformazione. Ritengo che il presidente Ferlaino siastato uno dei più grandi dirigenti che abbia avuto il calcioitaliano. Per me lui è stato l’unico che ha avuto il coraggiodi prendere i migliori collaboratori del momento, Allodi,Moggi, dandogli il potere di operare perché aveva capito cheda solo non avrebbe vinto nulla».

In conclusione un piccolo salto indietro per par-lare di un grande risultato conseguito da lei inpanchina, la vittoria al torneo di Viareggio del1975…

«La squadra che vinse fu costruita in due anni proprio da meche ero il responsabile del settore giovanile. Aveva un’ossaturanapoletana, c’erano solo un paio di ragazzi che venivano dafuori. Va ricordato come quel gruppo avesse sfiorato lo scu-detto nella stessa stagione perdendo lo spareggio con il Bre-scia di Beccalossi, che poi si aggiudicò il campionato. Ab-biamo vinto, però, diversi tornei durante la mia gestione delsettore giovanile e ben 52 ragazzi sono arrivati a giocare inserie A, un esempio per tutti l’attaccante Marco Ferrante cheha vestito le maglie di Parma, Piacenza, Inter, Bologna edAscoli e soprattutto del Torino dove ha messo a segno ben 123reti. Fabio Cannavaro e Ciro Caruso, poi, li ho presi dal-l’Italsider di Bagnoli che erano due ragazzini. I cartellini cicostarono praticamente il solo premio di preparazione».

12 mercoledì 12 febbraio 2020

La squadra Primavera che si impose nel torneodi Viareggio del 1975. In piedi da sinistra: Fiore, Grotta,

Masiello, Iovino, Zambon e Coco; accosciati: Bacchiocchi, Scarpitti, Parasmo, Armidoro e Punziano

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IL PARERE

di Salvatore Caiazza

Una sola maglia nella suavita calcistica. Poi anchequella dell’Italia. Sandro

Mazzola per 20 anni, dalle giovanilialla prima squadra, si è dedicato allacausa dell’Inter. E a quei colori èrimasto legato. Ne ha vissute disfide contro il Napoli. Sia da calcia-tore che da tifoso. E sono semprestate molto belle. Come si sperasiano le due partite delle semifinalidi Coppa Italia. Conte e Gattuso si

ritroveranno dopo il confronto delloscorso gennaio al San Paolo. Dovead avere la meglio fu il “Bell’Anto-nio” grazie ai regali degli azzurri.Nel tempo, però, Ringhio ha fattoun buon lavoro e di sicuro stavoltanon sarà così facile per i meneghinipoter esultare. Magari lo farannoma non è così scontato. Il Napoli,infatti, contro le big si esalta e nonè un caso che dal trofeo tricoloreha eliminato la Lazio e poi dopo

“Vincerà chi sbaglierà meno”L’ex capitano

nerazzurro eraconvinto che

l’Inter di Contefacesse bene manon si aspe�ava

un Napoli ametà classifica.

Un mese fa ilNapoli sicura-

mente nonavrebbe avuto

scampo, oggi in-vece Insigne

può fare la dif-ferenza

15mercoledì 12 febbraio 2020

La maglia della sua vita calcistica

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quattro giorni ha battuto la Juven-tus. Dunque, si vedrà un bell’incon-tro prima a San Siro e poi al SanPaolo.

Allora Mazzola, si aspettavaun campionato con l’Inter inlotta per lo scudetto e il Na-poli a centro classifica?

«Sì e no. Sì perché mi aspettavo che lamia Inter potesse essere all’altezza dellasituazione. No, invece, che il Napolirimanesse così lontano dalla vetta dopola prima parte del campionato. Conteha saputo tenere alta la concentrazioneriuscendo a sfruttare al massimo le sueidee di calcio. Purtroppo Ancelotti si èritrovato in un can-can di problemi chelo hanno portato all’esonero».

Poi è arrivato Gattuso….«Anche Rino ha avuto le sue difficoltàperché ha trovato un ambiente spaccato.Si è messo a lavorare e ha cercato nel

migliore dei modi di ricompattare ilgruppo. Ma si è perso troppo tempo equindi la lotta per lo scudetto è finita

prima di cominciare. Magari si po-trebbe ambire ad un posto in Europa».

Magari vincendo la Coppa Ita-lia?

«Beh quella è una strada. Ma il doppioconfronto con l’Inter non sarà facile.Certo, la seconda gara si giocherà alSan Paolo ma Conte è bravo nel cari-care certe sfide. Poi a gennaio ha avutoanche dei rinforzi e quindi saranno dueconfronti equilibrati».

Chi può fare la differenza?«Lukaku si sta dimostrando un grande

bomber nonostante le critiche iniziali.Ma dall’altra parte c’è Insigne che viveun momento particolare e quindi po-

trebbe risultare fondamentale per il pas-saggio del turno. Vincerà chi sbaglieràmeno. Gli organici si equivalgono, certosi fosse giocata qualche mese fa l’Intersarebbe stata l’unica favorita».

Crede che Gattuso possa es-sere il tecnico del futuro delNapoli?

«Sì. Poi è stato fatto un mercato ancheper il suo gioco. È stato valutato maleall’inizio in una situazione difficilis-sima. Sa il fatto suo a livello tattico epoi sa anche caricare l’ambiente comeConte».

16 mercoledì 12 febbraio 2020

Sandro Mazzola con il suo papà Valentino. A destra Mazzola e Pelé avversari con lenazionali. Sotto con il mago Herrera nella stagione 1973–74

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LA SFIDA DI COPPA ITALIA

di Bruno Marchionibus

Una rivincita da non fallireLa rosa del Napoli stasera come “novelli fratelli Caponi”darà l’assalto a Milano per portare a casa un risultatoimportante. Mai come in quest’annata, per gli azzurri,la Coppa nazionale ha assunto importanza centrale tragli obiettivi stagionali. In campionato, infatti, nella se-conda metà del girone di andata i partenopei sono in-cappati in una serie di risultati negativi, consecutivi,senza recenti precedenti, che ha fatto sprofondare In-signe e compagni a centro-classifica ed ha portato allasostituzione di Ancelotti con Gattuso, mentre in Cham-pions l’urna degli ottavi ha impietosamente ancora unavolta accoppiato al Napoli un avversario quasi imbatti-bile: il Barca di Messi. La Coppa Italia è diventata, diconseguenza, la via più concreta per dare un senso allastagione e per assicurarsi la partecipazione quanto-meno alla prossima Europa League.

A frapporsi tra il Napoli e la possibilità di disputare laterza finale in otto anni, tuttavia, sarà un avversario tut-t’altro che semplice da affrontare: l’Inter di Antonio

Conte. La squadra meneghina grazie al carattere delproprio mister e a un organico di livello assoluto stabattagliando con Juve e Lazio al vertice del campionatoed è recente la sconfitta subita dal Napoli al San Paoloper 3 a 1.Per i ragazzi di Gattuso, così, il match con i nerazzurrisarà anche l’occasione per “vendicare” una bruciantesconfitta interna e dimostrare una volta per tutte diaver imboccato la giusta strada per la definitiva guari-gione dai tanti problemi che hanno caratterizzato un’an-nata dall’andamento decisamente imprevedibile. A Fuo-rigrotta, il 6 gennaio scorso, l’Inter consegnò aipartenopei una calza piena di carbone dimostrandosisquadra solida, in grado di contenere un Napoli volitivo,e cinica, capace di sfruttare al meglio tre errori indivi-duali della retroguardia azzurra. Conte dispone di untandem d’attacco, Lukaku-Lautaro, forte fisicamente ein questa stagione prolifico, sotto porta, come mai. Sec’è qualcosa che i campani hanno avuto modo di impa-rare sugli avversari dal confronto di campionato, dun-

A Milano per vedere il “famoso Colosseo”Gli azzurri chiamati a superare l’ostacolo Inter in 180 minuti chevalgono l’accesso alla finale di Coppa Italia, ultimo a�o del tor-neo nazionale che manca nella bacheca del Napoli dal 2014

19mercoledì 12 febbraio 2020

Il capitano suonerà la carica

L'ariete che dovrà sfatare il suo tabù a San Siro

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que, è che per battere quest’Inter occorre disputareuna gara senza sbavature e senza passaggi a vuoto,non concedendo nulla e, anzi, dimostrandosi bravi a col-pire quando se ne ha l’opportunità. Il Napoli dovràcercare di ripetere sia a San Siro che al San Paolo la garavista contro la Juventus evitando sbilanciamenti e so-prattutto di offrire ai nerazzurri l’arma del contro-piede.

Tra Conte e Gattuso una partita a scacchiLukaku e Lautaro, come detto, sono senza dubbio le duefrecce principali all’arco di Conte. Il belga e l’argentinohanno dimostrato di sapersi integrare perfettamente e

di costituire una seria minaccia per qual-siasi retroguardia avversaria. Dopo i

tre gol subiti al San Paolo, quindi,per i difensori partenopei sarà un

bel test trovarsi nuovamenteal cospetto delle punte neraz-

zurre, soprattutto perDi Lorenzo e Ma-nolas, protagonisti

di sfortunati errorinella gara di Fuori-

grotta ma autori poi diprestazioni maiuscole contro

Lazio e Juventus. Tutto da gustareanche, dal lato opposto del campo, ilconfronto tra il tridente azzurro, dicui per aumentare le rotazioni proprio

da Milano è arrivato a far parte Poli-tano, e la difesa a tre dell’Inter. I coraz-zieri nerazzurri hanno grandi doti fisi-che ma, a eccezion fatta di Skriniar,

potrebbero essere messi in diffi-coltà dalla rapidità e dall’imprevedibilità

degli esterni napoletani, in particolar mododall’estro di Lorenzo Insigne, parso rigene-

rato dalla cura Gattuso, e dal possibile re-cupero a pieno regime di Mertens.Interessante poi anche la partitanella partita che nella zona me-

diana vedrà contrapporsi i centrocampisti delle duecompagini, entrambe rinforzate in questo settore dal

mercato di gennaio. L’Inter, che in mezzo al campo inestate si era già assicurata le prestazioni dei giovani ta-lentuosi Barella e Sensi, ha visto approdare nel capo-luogo lombardo Eriksen, tra i migliori in Europa nelsuo ruolo; il Napoli, che invece aveva accusato evi-denti lacune a centrocampo in avvio di stagione, ècorso ai ripari acquistando Lobotka e, soprattutto,Diego Demme, giocatore dalle caratteristiche assenti

nella rosa del Napoli. È proprio gra-zie al dinamismo dei “nuovi”, i qualihanno restituito allo scacchiere diGattuso un equilibrio che nell’un-

dici napoletano sembrava or-mai dimenticato, che il mi-

ster calabrese potràriuscire nell’impresa diannullare la grandequalità degli avver-sari, la cui pericolo-sità offensiva è ga-rantita anche dailaterali (già buonol’impatto di AshleyYoung).

20 mercoledì 12 febbraio 2020

Fabian Ruiz ci riproverà

Zielinski la carta vincente

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PUNTI VENDITA IN CAMPANIA:C.C. CAMPANIA – MARCIANISEC.C. AUCHAN GIUGLIANO – GIUGLIANO C.C. LA CARTIERA – POMPEIC.C. VULCANO BUONO – NOLAC.C. AUCHAN MUGNANO – MUGNANOC.C. LA BIRRERIA - NAPOLIC.C. NEAPOLIS – NAPOLIC.C. QUARTO NUOVO – QUARTOC.C. MAXIMALL – PONTECAGNANO FAIANO C.C. LE PORTE DI NAPOLI – AFRAGOLAC.C. JAMBO – TRENTOLA DUCENTA

C.C. I SANNITI - BENEVENTOC.C. LE COTONIERE - FRATTEC.C. LE GINESTRE – VOLLAC.C. PEGASO – PAGANIC.C. IL CARRO – PASSO DI MIRABELLA CORSO ITALIA N.149 - PIANO DI SORRENTO VIA TESTA 13/15 - AVELLINOVIALE LEONARO DA VINCI N.25/27 – PORTICI VIA EPOMEO N.205 – NAPOLIVIA ROMA 66/68 - AVERSAVIA DOMITIANA - MONDRAGONE

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L’AVVERSARIO

di Lorenzo Gaudiano

L’Argentina e il calcio. Tante storie daraccontare, tutte diverse, tutte me-ritevoli perché ancora intrise di

quell’antico romanticismo in via di estin-zione che finora ha sempre reso questo sportil più coinvolgente, il più passionale, ma so-prattutto il più bello di tutti. A 640 Km dalla capitale Buenos Aires si arrivain una città di poco più di 300.000 abitantinella parte meridionale della Pampa, Ba-hìa Blanca, dove Lautaro Martinez hamosso i primi passi, innamorandosi delcalcio e coltivando il sogno di vestire ungiorno le maglie dei club europei più importanti almondo.

La miglior difesa è l’attaccoGià a due anni, quando il piccolo Lautarovede il pallone gli scappa immediatamenteun sorriso. Due fratelli, la mamma in casa abadare alla famiglia e il papà tutto il giorno alavoro come infermiere in una casa di riposo si

ritrovano periodicamente alla sera nella stanza da lettoper dormire tutti insieme. In qualche occasione con ilcibo ci si deve arrangiare, ma in quella casa c’è semprequalcosa che non manca mai: un pallone. Nel tempo li-

bero il papà gioca a calcio, era difensore, e tutta lafamiglia lo accompagna nelle sue avventure. Al

termine della partita negli spogliatoi Lautarovuole subito andargli in braccio, sorridergli

e fargli capire che è stato il migliore incampo, anche se non ha segnato e allafine si è anche perso. Ed è per questo cheil giovane argentino, quando comincia agiocare anche lui, si presenta come undifensore, per emulare il suo modello erenderlo fiero. In campo contrasta condecisione ogni attaccante, si avventa su

ogni pallone giocabile e soprattutto simuove con grandissima velocità. Hasoltanto undici anni ma il suo alle-

natore proprio per quest’ultimacaratteristica pensa che il

suo ruolo migliore sia un

Dalla Bahìa Blanca alla Milano nerazzurra

Un sogno realizzato grazie alsostegno dei genitori, un’op-portunità per migliorare le con-dizioni di vita di tu�a la fami-glia. Oggi all’Inter l’a�accanteargentino sta diventando un“Toro” difficile da matare

22 mercoledì 12 febbraio 2020 Lautaro e la nazionale argentina

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“Se ce l’ho fatta è merito dei miei ge-nitori. Mio padre ha giocato a calcioda giovane e ha trasmesso la suapassione a me e ai miei fratelli. I soldierano molto pochi, ma un piatto in ta-vola e un pallone non ci sono maimancati. Per un periodo dormivamotutti in una stanza: noi tre figli conmamma e papà. Il fútbol era sacro,agli allenamenti andavamo in bici-cletta, in bus, spesso a piedi”

“Non sono tanto felice quando mivedo allo specchio quanto lo sono perstrada in Argentina e a Milano, cittàche amo. Essere fermati dai tifosi èuna sensazione che non si può spie-gare a parole. Ti vogliono bene senzaconoscerti, solo perché hai buttatouna palla in porta. Ti fa capire quantoil calcio sia importante per la gente,soprattutto per i bambini, cosa che piùmi emoziona. Con i tifosi preferisco lefoto agli autografi, ho 22 anni e sonoabituato così”

“Quello che mi ha sempre impressio-nato di lui è la sua grande efficacia ela capacità di essere così tanto pre-sente nel gioco e soprattutto decisivo.Ho sempre notato una cosa: in areararamente mancava la porta o sba-gliava. La palla finisce quasi sempredove vuole lui ed in porta. Quandovuole qualcosa, la ottiene”

Alberto Desideri

suo allenatore

al Club Deportivo Liniers

“Dal primo momento in cui l’ho vistomi sono convinto delle sue potenzia-lità. Ha ampi margini di migliora-mento, uno su tutti il temperamento.Un attaccante deve prendere menocartellini gialli, questa cosa gliel’hodetta di persona. Ma ha tempo per ca-pirlo, fa parte del processo di maturitànon ancora completato”

Diego Milito

suo compagno al Racing Avellaneda

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L’AVVERSARIO

altro. Decide così di avanzarlo in attacco e i risultati sivedono subito. Lautaro infatti comincia a far parlaremolto di sé e il Club Deportivo Liniers, squadra di Vil-legas nel Partido de La Matanza, a 16 km da Buenos Ai-res, proprio per questo non vuole lasciarselo sfuggire.È il 2013, a soli sedici anni è arrivato per lui il momentodi allontanarsi da casa per realizzare il proprio sognoe garantire un giorno una vita migliore a tutta la sua fa-miglia.

Un minuto gli bastaPassa qualche mese. L’argentino già nel settore giova-nile si mette in luce, guadagnandosi la convocazione inprima squadra. In una partita di sesta divisione la suasquadra, sotto di due reti, è vicina alla sconfitta. Il gio-vane Lautaro entra in campo, dopo due minuti va subitoin gol e alla fine la gara si conclude con un pari. Pochepresenze e subito il passaggio al Racing Avellaneda,dove milita a quei tempi Diego Milito. Martinez speraun giorno di giocare al suo fianco in prima squadra, an-che se in realtà il suo vero idolo è il colombiano Rada-

mel Falcao. Nel 2015 fa il suo esordio, subentrando al-l’ex attaccante di Genoa ed Inter, conquistando il pub-blico per la sua grinta ed esplosività. Tali caratteristi-che gli valgono il soprannome “El Toro” e l’attenzionedei club europei più importanti. Tra questi c’è l’Inter,dove per tutta la sua carriera ha militato Javier Zanetti,guarda caso il suo secondo nome è proprio Javier. An-che Milito vi ha giocato, vi ha vinto una Champions egli consiglia di andare. Milano lo aspetta.

Alla carica!Ecco il campionato italiano. Nell’Inter di Spalletti Lau-taro è la riserva di Mauro Icardi, argentino come lui ecapitano dei nerazzurri. Un posto da titolare non è as-sicurato ma il nuovo arrivato si mette subito in mostra,

facendo vedere le sue qualità. Nella stagione successivacon l’arrivo di Conte in panchina e l’acquisto di Lukaku“El Toro” va alla carica. Tanti gol, ottime prestazionie grande voglia di continuare a migliorarsi grazie aiconsigli di un tecnico che fa della grinta la sua armavincente e alla compagnia in attacco di un giocatore de-terminato e con un passato simile al suo, con cui ognigiorno una partita rappresenta la conquista di ungrande palcoscenico, del benessere mancato durantel’infanzia e l’adolescenza, ma soprattutto la soddisfa-zione di aver realizzato il proprio sogno. Ogni giornola vita è una grande corrida e questo Lautaro lo sa dav-vero bene.

24 mercoledì 12 febbraio 2020

Con Lukaku e De Vrij nella fortunata trasfertaproprio con il Napoli

Martinez e Politano da compagni ad avversari diretti

Discute con l'arbitro Manganiello che lo manda fuori

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IL CONFRONTO

26 mercoledì 12 febbraio 2020

Èil giorno di Inter-Napoli, semifinale d’andatadi Coppa Italia: Gattuso e Conte con ogni pro-babilità si affideranno fin dall’inizio al miglior

11 per cercare di conquistare la finale, che si disputeràallo Stadio Olimpico di Roma contro la vincente del-l’altra sfida fra Juventus e Milan. Già stasera ci saràbisogno di quel pizzico di fantasia che i gioca-tori più estrosi possono garantire ad en-trambe le squadre. Fra questi, chi avràquasi certamente una chance è ChristianEriksen, neoacquisto dell’Inter arrivato aMilano per innalzare il tasso tecnico dellasquadra. Il Napoli potrà invece contaresulle invenzioni e le giocate del propriocapitano, Lorenzo Insigne, che vive ilsuo miglior momento di forma stagio-nale e che vorrà continuare a stupirenella competizione nazionale in cui,finora, è l’unico marcatore az-zurro.

Il capitano in cercadi continuitàUna maglietta che ha sognato di indossare per tuttala vita ma che, dopo le giovanili, ha dovuto lasciareper farsi le ossa con Cavese, Foggia e Pescara primadi riuscire a riconquistarla e ad esordire in Serie Anel 2012. Insigne ha vissuto negli anni un rapportodi odio ed amore con la piazza partenopea: così legatoai colori azzurri da non riuscire ad essere sempre lu-cido, ha sofferto in silenzio ed ingoiato bocconi amariper l’esclusione in match fondamentali, ha subito fi-schi dai propri tifosi quando non è riuscito a dare il

Insigne sui suoi allenatori“Sarò grato sempre a Zeman, mi ha lanciato e se sono arrivatosin qui è merito suo. Mazzarri è stato il primo allenatore in A, glisarò sempre riconoscente. Benitez mi ha fa�o conoscere ancheruoli diversi. Con il 4-3-3 di Sarri sono tornato alle origini, gli au-guro ogni bene. Essere stato allenato da Ancelo�i per me è unonore, è un uomo straordinario. Ga�uso mi sta dando tantissima

fiducia e per questo lo ringrazio; sono felice dei gol che ho ri-trovato e per come ci stiamo esprimendo”

Insigne sul rapporto con la tifoseria“Alcuni tifosi napole-tani non mi hannocapito. Credo ab-biano un'immaginediversa da quella che

sono, a qualcuno potrei sembrare presuntuosoma io per il Napoli mi farei ammazzare. Chiedo aitifosi di starmi vicino, spero possano ricredersi.A Napoli è l'ora di vincere, si aspe�a da troppotempo”

Gattuso su Insigne“Lorenzo deve puntare l'uomo, avere una gambabrillante per saltarlo. Può sbagliare, ma deve pro-varci. Negli ultimi 15-20 anni fa parte di quei 10

con più talento nel calcio italiano. Se prendepalla e torna indietro, non incide, lui ha forza

pure se non è 1.90 cm, ha un motore im-portante, fa 12-13 km a partita conqualità, deve continuare così”

Due calciatori fantasiosi dotati di estro e genialitàche possono cambiare la partita in qualsiasi momento

di Marco Boscia

InsigneEriksenvs

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27mercoledì 12 febbraio 2020

100%, ma ha sempre tenuto alle sorti della squadraper cui tifa fin da bambino e della quale, dopo l’addiodi Marek Hamsik, è diventato il capitano. Dopo un

anno e mezzo passato a sacrificarsi ed a percorrerel’intera fascia sinistra nel 4-4-2 disegnato da CarloAncelotti, con l’arrivo di Gennaro Gattuso sulla pan-china azzurra ed il conseguente ritorno al 4-3-3, In-signe è tornato a giocare in un ruolo a lui più con-geniale ritrovando la via del gol e tornando ad esseredecisivo. Ora è necessario, perché la squadra risalgaposizioni in classifica, che il ragazzo di Frattamag-giore che ha quasi 29 anni ritrovi un’accettabilecontinuità.

Il grande colpodei nerazzurriNato a Middelfart, in Danimarca, nel giornodi San Valentino del 1992, Christian Eriksenspera di far innamorare il pubblico di fede ne-razzurra: è stato infatti il grande colpo del

mercato invernale dell’Inter che è riuscitoad assicurarselo per poco meno di 20 mi-lioni di euro. Il suo contratto con il Tot-tenham era in scadenza e il giocatore ha

voluto fortemente provare una nuova esperienzasin da subito. Il suo acquisto, nonostante non ci

fosse un ruolo cucito per lui nel sistema di gioco uti-lizzato da Conte, è stata un’operazione intelligente

di una società che sta cercando di riacquisire quel-l’appeal internazionale che negli ultimi anni avevaperso. Eriksen nasce trequartista, si è formato inOlanda con l’Ajax prima di trasferirsi in Inghil-terra al Tottenham nel 2013. Grazie alla sua dutti-lità tattica può essere schierato anche da mezzala odefilato sull’esterno. Ha un’ottima visione di gioco,

è in grado di calciare con entrambi i piedi ed è unospecialista dei calci piazzati. È considerato uno dei piùgrandi calciatori della sua generazione ed è stato vo-tato per quattro volte come calciatore danese del-l’anno, record condiviso con Brian Laudrup.

Eriksen al suo arrivo all’Inter“Essere qui è bellissimo. Sono molto emozionato e nonvedo l’ora di farmi conoscere dai tifosi, ho già avuto mododi sentire il loro calore, è stata un’accoglienza fantastica.In Inghilterra ho fa�o bene, ma ora è arrivato il momentodi intraprendere una nuova sfida con una grandesocietà come l’Inter, è un club fantastico”

Conte dopo i quarti contro la Fiorentina“Ho forzato Eriksen che è arrivato ieri,non lo avevo mai fa�o. Ha mostrato su-bito le sue qualità ed ha personalità,calcia di destro e di sinistro e ci alza il li-vello di esperienza e di qualità. È du�ile epuò fare più ruoli, ha propensione all’ultimopassaggio, al gol ed è molto intelligente, si piazzasempre nella zona giusta di campo. Più lavoreràcon noi e più entrerà nell’idea di calcio che ab-biamo”

Giuseppe Bergomi su Eriksen“Su Eriksen devo essere onesto, gli riconosco diessere un giocatore di qualità, con un o�imopiede, in grado di dare i tempi alla squadrae di modificare un sistema di gioco, manon è un giocatore che salta l’uomo.Devo capire bene ancora cosa è ve-nuto a fare all’Inter, è un acquisto di-verso dagli altri”

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L’INTERVISTA IMPOSSIBILE

di Giovanni Gaudiano

Il cappotto di cam-mello indosso anchecon 25 gradi, la siga-

retta tra le labbra, i capelliin ordine, magari la cra-vatta leggermente sbottonata e poigli occhi profondi e il viso incline alsorriso.È Bruno Pesaola mentre raggiunge lapanchina.L’anagrafe dice che la sua nazionalitàè argentina ma chi lo ha conosciutodavvero sa che di fatto non è così.Pesaola è un napoletano tra i napo-letani. Ha vinto uno scudetto a Fi-renze, dopo aver lasciato il Napoliscambiandosi la panchina conChiappella, ma si fa fatica a ricor-darlo. Se si parla di lui, si pensa soloed esclusivamente al Napoli ed alla città nella qualeha deciso di vivere ritagliandosi nel dopo car-riera la figura di opinionista attento, ironico

senza mai superare il limite dell’educazione e del buon-senso, come quella volta che ancora in panchina, a Ber-gamo dove il suo Bologna aveva giocato, rispose a chi

gli chiedesse perché aveva annunziato una partitad’attacco e poi la sua squadra si era difesa di-

cendo: “È che gli avversari me hanno ru-bato la idea...”.

Un qualsiasi salotto televi-sivo con il petisso era

vivo, interessante per-ché prima o poi Pe-saola avrebbe tiratofuori una sua bat-tuta che avrebbestemperato qualchediscussione, magari

troppo accesa, inne-scando una risata gene-

rale.«Sono un napoletano nato per

sbaglio a Buenos Aires. Vede, se ne

Bruno PesaolaLa nostalgia e i ricordi di un napoletanosolo nato a Buenos Aires

29mercoledì 12 febbraio 2020

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L’INTERVISTA IMPOSSIBILE

sono accorti un poco tardi ma nel 2009 il Comune di Napolimi ha conferito la cittadinanza onoraria per rimediare aduno sbaglio».

Cosa ha trovato a Napoli e cosa ha rappresentatoquesta città per lei?

«Tutto. Napoli somiglia al quartiere de La Boca di BuenosAires, un posto dove l’impronta italiana è forte anche se gliitaliani sono arrivati in massima parte dalla Liguria. Le si-militudini sono tante. Ci sono tanti colori, la gente per le

strade vive come a Napoli con allegria magari un po’ di-sordinata ma vivace. Napoli però ha il mare e credo che ilgolfo e il suo lungomare siano i più belli del mondo. Quandoci sono venuto la prima volta è stata mia moglie Ornella aconvincermi ad accettare di giocare per il Napoli. Ci spo-

sammo e poi indossai la maglia azzurra. Devo dire che an-che Monzeglio, che era stato mio allenatore a Novara, chiesea Lauro di ingaggiarmi. Poi diciamolo, a Napoli non ti sentimai solo, non sai cosa possa significare la solitudine».

Nonostante il suo amore per Napoli lei ha man-tenuto questo accento che l’ha sempre contrad-distinta e poi ha sempre parlato, soprattutto aigiornalisti, del calcio argentino, della sua scuola,dei suoi fenomeni…

«L’identità per tutti gli argentini resta forte in ogni caso. Poimi sono accorto che il mio modo di parlare piaceva ed alloraperché cambiarlo. Sono rimasto quello che ero e Napoli mi haapprezzato soprattutto per questo. Per quanto riguarda lascuola calcistica argentina, penso sia normale parlarne. Hogiocato con Di Stefano, sono stato allenato da Renato Cesa-

rini che penso si debba ritenere un grande personaggio, co-noscitore del calcio come pochi. E poi anche se al River Plateero nelle giovanili, prima di arrivare in Italia alla Roma, inquegli anni in prima squadra c’era “la máquina” (Munõz,Moreno, Pedernera, Labruna e Loustau, ndr.) e noi ragazziavevamo il vantaggio di poterla vedere da vicino. Se dob-biamo parlare di calcio, del modo di attaccare, della fanta-sia, dell’imprevedibilità non possiamo non partire da queicinque grandissimi giocatori».

30 mercoledì 12 febbraio 2020

Il Petisso ed una foto che lo ritrae con Jeppson e Amadei conla maglia del Napoli

Con Altafini e Sivori

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Questo vuol dire che lei considera meno impor-tante, meno talentuoso il calcio italiano?

«No, al contrario. Io penso che le scuole calcistiche abbianodelle loro peculiarità. Quella argentina e quella italianapresentano dei punti di contatto. Basta pensare all’attacco delgrande Torino (Menti-Ossola, Loik, Gabetto, Mazzola, Os-sola-Ferraris II, ndr.) per comprendere come si possano co-struire squadre importanti. Per esempio mi viene in mente cheuno dei punti di congiunzione tra la máquina del River Platee l’attacco del grande Torino risiedeva nella capacità di an-dare in gol negli ultimi minuti delle partite, non era un caso».

A proposito di talento perché ha sempre defi-

nito Maradona più forte di Pelé?«Per me Maradona è stato più forte di Pelé che non si è maimosso dal Brasile e giocava in una squadra fantastica, capacedi rivincere senza di lui i mondiali in Cile. Maradona havinto un mondiale quasi da solo, s’è messo in discussione inEuropa. Diego è stato l'ultimo a prendere il calcio come ungioco, anche se era la sua vita, la sua fidanzata, la sua drogaprima che arrivasse quell'altra. Un genio del pallone. Fuoridal campo non era un intellettuale né un ignorante, era moltogeneroso, a casa sua infatti era una vera processione. Sul re-sto non posso giudicarlo, non ne ho il diritto, in un certo sensosono un tossico anch’io, lasciamo perdere».

Ma ci pensa che con il Napoli lo scudettol’avrebbe potuto vincere lei con Sivori ed Altafiniprima di Maradona?

«Certo, forse quel Napoli avrebbe potuto vincerlo lo scudettoma già farli convivere fu il mio capolavoro. Li invitavo spesso

a cena, li coccolavo. La prima sera a casa mia siamo uscitisul terrazzo che dominava il golfo. Ho detto: ragazzi, que-sta è come una torta e ce n’è una fetta per tutti, basta che nonci rompano le scatole. Erano due campioni con due caratterimolto diversi e poi la società non era pronta a fare il grandesalto. Il mio rimpianto è che avrei voluto essere io il primo aportare lo scudetto alla città e se ci fossi stato io in panchinacon Maradona sono sicuro che ci sarei riuscito».Pesaola ha scritto comunque il suo nome indelebil-mente anche nel palmarés del Napoli. Nel 1962 allaguida del Napoli, arrivato per sostituire FioravanteBaldi, realizzò un vero miracolo conquistando la pro-mozione in serie A e la Coppa Italia, unica squadra adesserci riuscita militando tra i cadetti. Il 29 maggio sa-ranno cinque anni che ci ha lasciati. Sembra ieri che po-tevamo ancora ascoltare almeno la sua voce, quella suainflessione quasi radiofonica. La storia del petisso re-sterà per sempre legata alla città di Napoli e alla squa-dra che la rappresenta.Il prossimo maggio Pesaola avrebbe compiuto 95 anni,prima di quella data il Napoli potrebbe regalargli unagioia. Sarebbe un bel modo per ricordarlo e per donare

un po’ di felicità a tutti quelli che amano la maglia az-zurra che, come ricordano le parole della canzone diNino D’Angelo, “assomiglia al cielo e al mare di questacittà”.

31mercoledì 12 febbraio 2020

Pesaola a casa sua con Improta, Vinicio e signora, Bruscolotti e Cané

Il Petisso nel 2009 con la cittadinanza onoraria ricevuta dal Comune

Pesaola con il suo compagno di squadra Hasse Jeppson

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L’APPROFONDIMENTO

di Francesco Marchionibus

In una stagione imprevedibilecaratterizzata da problemi diogni genere, con la partecipa-

zione alla prossima Champions cheappare oramai un miraggio e lastessa qualificazione all’Europa Lea-gue che si presenta molto difficile, lasemifinale di Coppa Italia rappre-senta per il Napoli un’occasione danon perdere. Certo tra due settimane al S. Paoloandrà in scena il primo atto degli ot-tavi di Champions, ma obiettiva-mente nella doppia sfida con il Bar-cellona la squadra azzurra partedecisamente sfavorita: due presta-zioni “modello Liverpool” potreb-bero dare ulteriore visibilità e credi-bilità internazionale al Napoli, ma ipronostici per la qualificazione aiquarti sono ovviamente tutti dallaparte dei blaugrana. Se poi gli uo-mini di Gattuso riuscissero nell’im-presa, è chiaro che tutte le valuta-zioni sulla stagione azzurra e sullesue prospettive cambierebbero ra-

dicalmente.Intanto però c’è da affrontare l’Inter,avversario molto forte ma sicura-mente alla portata del miglior Na-poli, e cogliere l’opportunità di di-sputare nuovamente una finale diCoppa Italia a distanza di sei anni daquella vinta contro la Fiorentina nel2014.Si tratterebbe di un risultato impor-tante, certamente tale da rendere

più “dolce” la stagione azzurra, e cheinoltre potrebbe consentire allasquadra partenopea di disputare an-che la prossima finale di SupercoppaItaliana, regalando ai suoi tifosi ul-teriori emozioni. La vittoria della Coppa Italia dà an-che diritto all’accesso diretto allaprossima Europa League, che nelcaso del Napoli significherebbe l’un-dicesima partecipazione consecutiva

La coppa che può salvare la stagione Una semifinale da vertice contro l’Inter per approdare alla finaledopo avere eliminato la Lazio e giocare per dare un senso a tu�al’annata. Una possibilità di rilanciare l’intera rosa e garantirsi unpiazzamento per l’undicesimo anno consecutivo in Europa

33mercoledì 12 febbraio 2020

Si festeggia sotto la curva dopo Napoli-Lazio

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alle coppe europee, altro risultato digrande prestigio.L’ottenimento della finale, e magarila conquista del trofeo, avrebberopoi un enorme valore psicologicoper i calciatori azzurri, un gruppoche si sta rinnovando e ritrovando eche, in cerca di nuovi stimoli e nuovecertezze, acquisirebbe maggiore au-tostima e consapevolezza dei proprimezzi e potrebbe avviare nel mi-gliore dei modi il nuovo ciclo dellasquadra partenopea.Dunque la conquista della CoppaItalia dal punto di vista sportivo sa-rebbe di fondamentale importanza,in quanto oltre a salvare una sta-gione altrimenti deficitaria (salvopiacevoli sorprese europee), avrebbeeffetti positivi che potrebbero esten-dersi alla prossima stagione.Ma anche dal punto di vista econo-mico andare in finale e magari por-tare a casa il trofeo avrebbe un im-patto importante.La formula della Coppa e gli ottimiascolti degli ultimi anni hanno por-tato infatti a un incremento dei di-ritti TV della competizione (asse-gnati alla RAI per il triennio2018-2021 per la somma di 35,5 mlndi euro a stagione), e di conseguenzaanche del montepremi complessivoassicurato dalla Lega alle squadrepartecipanti, che si è attestato in-

torno ai 18 mln annui.Considerando i dati relativi alle ul-time due edizioni di Coppa Italia, sipuò stimare che per il Napoli arri-vare in finale può valere, compresi iricavi per la vendita dei biglietti, finoa 5 mln di euro, mentre alzare lacoppa può significare un incasso dicirca 7 mln.Guadagni notevoli anche per la par-

tita valida per la Supercoppa Ita-liana, se consideriamo che nell’ul-tima edizione le due contendentihanno portato a casa 3,375 mln atesta.

Infine, la possibilità di disputarel’Europa League. Nella stagione incorso, il montepremi complessivo èdi 560 mln, un importo ben lontanodai quasi due miliardi della C.L. macomunque di tutto rispetto, che puòassicurare soprattutto a chi arriva infondo alla competizione cifre inte-ressanti.In particolare, la fase a gironi assi-cura 2,75 mln per la partecipazione,570mila euro per ogni vittoria e190mila per ogni pareggio, oltre aun ulteriore bonus di 1 mln per ilprimo posto e 500mila euro per il se-condo. La qualificazione ai turni suc-cessivi prevede una serie di bonuscrescenti fino ad arrivare ai 4,5 mlnper le finaliste cui si aggiungono ul-teriori 4mln per la vittoria finale.Complessivamente, la squadra vin-citrice può incassare quindi dai 20 ai25 mln, oltre ovviamente alle quotedei diritti TV e del ranking storicoe agli incassi dei biglietti.Sono tanti dunque i risvolti sportivie anche economici che rendono fon-damentale la doppia sfida all’Inter, etanti i benefici che possono derivaredall’approdo in finale di Coppa, ma ilprincipale risultato che i tifosi si at-tendono e che gli azzurri possonoottenere è quello di restituire al Na-poli il ruolo di squadra di verticedel calcio italiano.

34 mercoledì 12 febbraio 2020

Milik a secco con la Lazio, si attendono i suoi gol in semifinale Demme contro Parolo

La Coppa Italia del 2013-14. Un'immagineche vorremmo rivedere

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PROFILI

di Domenico Sepe

Un mercato invernale scoppiettante come maiper il Napoli di Aurelio De Laurentiis. E così,dopo essere intervenuta sul centrocampo, la

società partenopea ha pensato di acquisire un esternodi fascia destra per avvicendare, quando necessario, unCallejon apparso logoro e poco motivato e per conti-nuare sulla strada del rinnovamento che sembra oramaiavviato con decisione.

Un corteggiamento durato due anniIl nome di Politano era sul taccuino di Giuntoli sin dalgennaio 2018. Gli azzurri, allora allenati da MaurizioSarri, si giocavano lo scudetto punto a punto con la Ju-ventus ed erano alla ricerca di un esterno offensivo difascia destra. Sfumato Verdi (che sarebbe arrivato seimesi dopo dal Bologna), il Napoli provò fino all'ultimosecondo del mercato per Matteo Politano non riu-scendo però a chiudere la trattativa con il Sassuolo. Nell’estate successiva il romano si trasferì all'Inter. Inquesto mese di gennaio sembrava destinato al ritornoalla Roma nell'ambito di uno scambio con Spinazzola,poi saltato. Il Napoli ha colto l’occasione, coronando uncorteggiamento durato ben due anni e assicurando-selo per una cifra complessiva che sfiora i 23 milioni dieuro con il grosso del pagamento previsto per luglio2021.

L’uomo e la sua fede giallorossaMatteo Politano nasce a Roma il 3 agosto 1993 ed è vis-suto ad Ottavia. I primi passi da calciatore li ha com-piuti nel 2000 al Selva Candida. Lo vede Bruno Contiche lo porta a Trigoria dove resterà per 8 anni finendoper essere parte di quella rosa del ‘93 che ancora oggiviene ricordata come una delle più forti della storia delsettore giovanile giallorosso. Politano colleziona 50

presenze e 11 gol nella squadra Primavera che vincescudetti e coppe. La vera prova però lo attende nell’ap-proccio al calcio professionistico. L'impatto a Perugia,in prestito, è subito positivo: gol e titolarità, stesso di-scorso per quel che concerne il Pescara prima della con-sacrazione in Serie A nel Sassuolo, dove si è conquistato110 presenze accompagnate da 24 gol in tre stagioni.Dall’Emilia all'Inter prima con Spalletti e poi conConte. Con quest’ultimo allenatore poco spazio a diffe-renza di quanto succedeva con il predecessore, ma co-

Matteo Politano Un esterno duttile

ed eclettico per Gattuso

37mercoledì 12 febbraio 2020

Politano con il presidente De Laurentiis

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munque Politano racimola 63 presenze e 6 gol in duestagioni. Nel frattempo il Ct Roberto Mancini lo faesordire in nazionale maggiore il 28 maggio 2018 con-tro l’Arabia Saudita, ad oggi l’esterno romano vanta 3presenze con una rete.Matteo non ha mai nascosto di essere un accanito tifosodella Roma e, mentre era a Sassuolo, andava a vedere lepartite della sua squadra in incognito. Inoltre è un ap-passionato di fantacalcio ed ha affermato di compraresempre se stesso nelle sessioni fatte con gli amici. Haanche raccontato che, se non avesse fatto il calciatore,avrebbe fatto il meccanico, che è il mestiere del padre,in quanto gli sono sempre piaciuti i motori. Politano è,poi, una persona riservata che non ama i riflettori e,come detto da lui, pubblica molto poco sui social mediae quando lo fa è solo per soddisfare le curiosità dei ti-fosi. Preferisce un approccio sereno con i media, cer-cando di avere una vita il più possibile “normale”.

Un esterno multiruolo Matteo Politano è alto 171 cm per un peso forma di 67kg ed è mancino. Si distingue per grande rapidità e ve-locità, l’arma dello scatto è accompagnata anche dauna buona progressione. È un giocatore resistente, ca-parbio anche se per la sua conformazione fisica non co-stituisce una aggiunta di fisicità alla squadra di Gattuso. Ha buone doti tecniche, come un primo controllo pulito,

evidente soprattutto in situazioni dinamiche, che com-pensano le carenze dovute alla sua struttura fisica. È ungiocatore peculiare perché, a differenza di quanto ri-chiesto dal calcio contemporaneo, non spicca in nientein particolare ma produce un grande volume offensivo,rappresentando un esterno eclettico. Riesce ad averesempre la giusta concentrazione durante la gara. È ca-pace di ricoprire vari ruoli rendendosi utile su tutto ilfronte offensivo e per queste sue caratteristiche po-trebbe rivelarsi molto utile nel 4-3-3 voluto da GennaroGattuso.

38 mercoledì 12 febbraio 2020

Hanno detto di luiAurelio de Laurentiis nel 2018

“Secondo me erano soldi buttati dalla finestra”

Giuseppe Iachini(attuale allenatore della Fiorentina)

“Politano è un gran professionista ed è un ragazzoserio. Può adattarsi in diversi ruoli in attacco, è rapidoed ha la capacità di giocare a ridosso delle punte”

Eusebio Di Francesco(suo allenatore al Sassuolo)

1 – Nel novembre 2016 “Per me parlare di lui è motivo di grande soddisfazione.Questo ragazzo è venuto a Sassuolo dopo l'esperienzacon il Pescara in B ed è cresciuto tantissimo. In lui ave-vamo visto subito delle qualità importanti e grazie al la-voro e alla sua voglia di migliorarsi, è riuscito oggi aricavarsi un posto in Nazionale”

2 – Nel dicembre 2018“In realtà ho contribuito a mandarlo via io dalla Romaperché, quando era a Sassuolo, ho ritenuto opportunoriscattarlo subito. Ha potenzialità enormi che da ra-gazzo erano inespresse, ora si sta togliendo le soddi-sfazioni che merita: gli faccio i complimenti, sonoaffezionato a lui”

L'esordio in nazionale

In campo con la Primavera giallorossa nel 2010-11

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FLASH – IL CAMPIONATO PER IMMAGINI

di Gianluca Mosca

La gara di Coppa Italia tra Napoli e Lazio si svolgeall'insegna dell'amicizia tra due campioni, Insigne edImmobile, avversari per una sera. I due napoletanisono stati compagni di squadra sin dai tempi di Pe-scara ed anche in nazionale è proseguita la loro car-riera parallela. Anche fuori dal campo Insigne ed Im-mobile hanno condiviso numerose vacanze che i duehanno trascorso insieme con le rispettive famiglie. Inquesta stagione, almeno sino a questo punto, i due vi-vono, però, un periodo di carriera opposto: infatti seImmobile sta disputando un'ottima stagione con laLazio, che lo vede indiscusso capocannoniere della Se-rie A, Insigne ha attraversato sin qui un periodo pocofelice con la squadra partenopea, tra prestazioni incolori e vicende al di fuori del campo che hanno fatto

del capitano azzurro il primo obiettivo delle criti-che. Nel match con la Lazio di Coppa Italia un golproprio del capitano, in avvio di gara, segneràl’esito del confronto. Poi la Lazio avrà la grandeoccasione per recuperare la partita perché su unagamba alta di Hysaj, Caicedo si procurerà un cal-cio di rigore. Sul dischetto Immobile scivola almomento del tiro, sparando alto. Il Napoli soffrirànel prosieguo della partita in 10 contro 10, mariuscirà a conquistare la vittoria ed Insigne bat-terà, almeno in questa serata, l’amico/avversarioImmobile.

41mercoledì 12 febbraio 2020

NAPOLI – LAZIO 1-0 21 gennaio

Insigne vs Immobileamici-nemici

NAPOLI – JUVENTUS 2-126 gennaio

Il Napoli batte la Juvee tiene in corsa l’InterGattuso batte Sarri. È un Napoli concreto ed equi-librato quello che fa lo sgambetto alla capolista. Laprestazione è attenta. La squadra azzurra non con-cede nulla alla squadra campione in carica che nonriesce quasi mai ad impensierire la retroguardia,nonostante le assenze che ancora si registranonella difesa azzurra, guidata con autorevolezza dalgreco Manolas. I due tecnici si conoscono bene macome si vede nella foto Sarri dispensa all’avversa-rio uno dei suoi soliti sorrisi di circostanza, po-

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trebbe evitarlo il toscano, somiglia a “Joker”. Dopoun primo tempo chiuso a reti inviolate ci pensanoZielinski ed Insigne, ancora lui, a mandare la Juveal tappeto.Nel finale la solita disattenzione, dovuta anche adun momento di rilassamento, consente a Ronaldo diaccorciare le distanze, ma ci pensa proprio il capi-tano azzurro con un buffetto a segno, nonostante lediverse altezze, a rincuorare il portoghese o forse adirgli che questa volta gli è andata male. È una vit-toria importante ottenuta contro qualunque prono-stico e con una prestazione convincente. È la scin-tilla che serviva? Si vedrà, nel frattempo da Milano,sponda Inter, arrivano ringraziamenti e… Politano.

42 mercoledì 12 febbraio 2020

SAMPDORIA – NAPOLI 2-43 febbraio

Gli azzurri più fortidella “legge dell’ex”

Il Napoli parte a Marassi con il botto: ar-riva subito il gol di testa di Milik, seguitopoco dopo dal primo gol di Elmas che, so-praffatto dalla gioia, scoppia in lacrime.Sono passati solo 16' ed il Napoli conduceper 2-0. La gara sembra in discesa ma al26' Quagliarella, ancora lui, accorcia le di-stanze con uno dei suoi eurogol. Il pareg-gio di Ramirez viene annullato per untocco di mano di Gabbiadini precedentealla segnatura. A complicare la partita delNapoli però ci pensa ancora Quagliarella,

che dopo la rete si guadagna un calcio di rigore che l’altro ex partenopeo Gabbiadini, esultando forse pole-micamente, realizza. Gli azzurri stringono i denti, combattono in campo e riescono a trovare il gol con ilsubentrato Diego Demme, reduce da una fastidiosa influenza ma con un nome ed un sinistro che danno ga-ranzia. Allora Gattuso decide dimandare in campo anche MatteoPolitano, dopo aver schierato al po-sto di un ancora incerto CallejonDries Mertens, al rientro dopo unpaio d’infortuni. Ed è proprio ilbelga che al 98' firma il poker az-zurro su una uscita avventurosafuori area di Audero con un tirodalla lunga distanza preciso, im-prendibile e beffardo.

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IL CAMPIONATO

di Lorenzo Gaudiano

Iminuti passano, la partita volge al termine ormai,la serata è maledetta. Il pallone non vuole sa-perne di entrare, il Napoli ci prova in tutti i modi

ma nulla. Il Cagliari riesce a resistere, del resto nelcampionato italiano la filosofia speculativa paga, so-prattutto quando la fortuna assiste. Verso il 90° uncross in area di rigore, Llorente si avventa sul pallonema non può arrivarci, perché il difensore rossoblùKlavan lo strattona. La trattenuta sfugge all’arbitro DiBello, alle telecamere delle pay-tv e forse anche ai ti-fosi sugli spalti impegnati a seguire la traiettoria dellasfera. In contropiede i sardi si portano in vantaggiocon Castro, gli azzurri sono sconfitti. È il 25 settem-

bre, i colori dello stadio San Paolo rimesso a nuovoperdono per un attimo la loro vivacità, in campo in-vece il Napoli perde la bussola. Proteste vivaci controil direttore di gara, Koulibaly espulso, gli animi sonopiuttosto accesi. Chi avrebbe potuto immaginare chequella serata sarebbe stata il prodromo di una crisi piùprofonda, di una serie di risultati non all’altezza e diuna classifica impensabile prima dell’inizio del cam-pionato? Il Cagliari invece comincia a volare, la qualificazionead una competizione europea comincia a non esserepiù soltanto un sogno, tredici risultati utili consecu-tivi prima di cedere in casa contro la Lazio a metà di-cembre. Come un passaggio di testimone sulla pistad’atletica, sembra che le due squadre si siano scam-biate di posto. Domenica il giro si conclude, quel te-stimone deve essere assolutamente riconquistato percontinuare la rincorsa e regalare al pubblico ancorauna volta la partecipazione alle coppe europee. Coppadalle grandi o piccole orecchie non importa, bastache tutto torni al suo posto.

Alla conquista dell’EuropaAlla Sardegna Arena per cancellare l’inaspe�ata sconfi�a di set-tembre allo stadio San Paolo e risalire ancora di più la classifica

44 mercoledì 12 febbraio 2020

Le foto sono della partita del girone d’andata persa dal Napolial San Paolo per 1 a 0

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Duello all’ultimo sangueSi va alla Sardegna Arena, uno stadio non permanentecostruito per ospitare le gare casalinghe del Cagliari nelparcheggio adiacente al settore Distinti dello storicostadio Sant’Elia, demolito nel 2017 per lasciare posto alnuovo impianto che quest’anno dovrebbe essere inau-gurato. I rossoblù cominciarono a giocarci nel settem-bre 1970, qualche mese prima arrivò lo Scudetto fe-steggiato all’Amsicora con Manlio Scopigno inpanchina, Gigi Riva, Sergio Gori, Angelo Domenghini,Enrico Albertosi e il capitano Pierluigi Cera in campo.Era un’altra epoca, la dittatura delle squadre del Nordogni tanto veniva interrotta, si ammiravano sul terreno

di gioco fuoriclasse d’altri tempi, ci si divertiva suglispalti, anche se gli insulti tra le tifoserie comunque nonmancavano. Domenica alle 18 ci sarà un’atmosfera com-pletamente diversa. Non sarà un duello all’ultimo san-gue ma quasi. Entrambe desiderano l’Europa: chi nonla vede ormai da anni; chi l’ha respirata per dieci con-secutivi e come un vizio non può assolutamente farnea meno. Del resto, c’è enorme curiosità di scoprire se ilNapoli riuscirà a risalire la classifica e a mantenere leaspettative di inizio stagione oppure se il Cagliari non

si desterà dal suo bellissimo sogno continuando la rin-corsa.

Due filosofie e… vongole a confrontoChe Cagliari si ritroverà di fronte il Napoli? Speculativoed attendista come al San Paolo, oppure propositivo einfiammato dal pubblico di casa? Grande dilemma. Lasquadra di Maran grazie ad una campagna di acquistidi livello oggi è sicuramente tra le migliori del cam-pionato. La freschezza di Pellegrini sulla fascia sinistra,la grinta di Nainggolan a centrocampo e la fantasia diJoao Pedro in attacco sono soltanto alcuni punti diforza di una rosa che finora ha dimostrato di poter

vendere cara la pelle a chiunque. Occorrerà ai ragazzidi Gattuso disputare una grande gara dal punto di vi-sta atletico, velocizzando il fraseggio e la costruzionedel gioco per impedire agli avversari di serrare le filecome nella partita d’andata. Al fischio finale, perché no,si potrà approfittare per assaggiare la “fregula cun cò-ciula”, un piatto tipico a base di pasta di semola e von-

gole sarde per chiudere la giornata. Anche se, occorreribadirlo, gli spaghetti con vongole veraci del Mar Tir-reno sono più buoni e questo non si può negare.

45mercoledì 12 febbraio 2020

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LA STORIA DELLA CHAMPIONS

di Giovanni Gaudiano

La volontà di Santiago Ber-nabéu di vedere il suo Realsempre vincente non ha co-

nosciuto limiti se non quelli dettatidall’impossibilità di convincerequalche giocatore legato alla suaterra, alla sua squadra d’origine.Con Ferenc Puskás il problema ilpresidente dei blancos lo ebbe al-l’interno del suo club. Il colonnelloungherese viveva da due anni in esi-lio in Italia, aiutato da qualcheamico. Era stato raggiunto dalla fa-miglia ma anche da una squalifica,richiesta dalla federcalcio unghe-rese che lo accusava di diserzione esancita dalla Fifa. La stella dellaHonvéd venne appiedata per 2 annied in molti ritenevano che la suacarriera si fosse oramai chiusa.Nonostante qualche impegno ingare amichevoli, sulle quali la fede-razione chiuse un occhio, appena lasqualifica gli fu ridotta Bernabéubruciò tutti sul tempo e ingaggiòl’ungherese.A Madrid i commenti erano discor-danti ma era praticamente impossi-bile contrastare la volontà di donSantiago. Puskás aveva 31 anni, erafermo da 18 mesi ed era ingrassatoquasi un chilo al mese vista la man-canza di un vero allenamento ed invirtù di un fisico che tendeva allapinguedine. Bernabéu aveva peròpredisposto tutto, allestendo

Da Puskás ad EusébioLa Coppa resta nella penisola iberica. Il Benfica di Béla Gu�-mann vince due volte. Dal talento dell’ungherese a quello delportoghese nato in Mozambico che diventerà la “pantera nera”

47mercoledì 12 febbraio 2020

Il primo attacco galactico del Real Madrid. Da sinistra: Kopa, Rial, Di Stefano,Puskàs e Gento

Ferenc Puskás Puskás da allenatore

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LA STORIA DELLA CHAMPIONS

un’equipe medica e di preparatoriatletici che avrebbe riportato il gio-catore in forma.Il risultato fu eccezionale, Puskásvisse una seconda giovinezza calci-stica vincendo con la maglia delReal: tre coppe dei Campioni, unacoppa Intercontinentale, 5 campio-nati nazionali spagnoli ed una coppadi Spagna. Giocò sino a 40 anni e fucapocannoniere svariate volte nellevarie competizioni.

Puskás e la Coppadel Mondo del 1954Parlare del talentuoso giocatoremagiaro è facile. Nella sua carrieragli è sfuggita solo la Coppa delMondo nel 1954, in Svizzera,quando la grande Ungheria fu bat-tuta in finale dalla Germania. Pu-skás fu azzoppato proprio dal tede-sco Liebrich, che lo inseguì pertutto l’incontro nella gara del gi-rone di qualificazione centrandoloduramente almeno tre volte sino aprocurargli una frattura alla cavi-glia. Si racconta che l’allenatore te-desco Sepp Herberger avesse chie-sto specificamente una marcaturaferrea sul numero 10 magiaro, pre-vedendo di poter rincontrare l’Un-gheria in finale come poi accadde.

Puskás giocò egualmente, anche sevisibilmente menomato. Nonostantequesto portò la sua squadra in van-taggio e avrebbe anche allungato lapartita ai supplementari grazie adun'altra rete messa a segno primadel 90° che, seppur palesemente re-golare, fu annullata dall’arbitrodella partita, l’inglese Ling.La scelta del direttore di gara avevacontrariato la delegazione unghe-rese.Negli anni precedenti la nazionalemagiara e la squadra della Honvéd,che ne rappresentava quasi tutto loscheletro, avevano più volte battutosonoramente la nazionale inglese ele squadre di club d’oltremanica equesto avrebbe dovuto consigliareuna scelta verso un direttore di garameno coinvolto. La designazione fudi fatto infelice.Nelle sue memorie l’allenatore diquella splendida squadra, GusztávSebes, racconta in particolare dueaneddoti che spiegano perché avessefatto giocare Puskás nonostantefosse infortunato.Prima della partita l’attaccante Sán-dor Kocsis, che aveva messo a segnodue doppiette contro il Brasile agliottavi e contro l’Uruguay in semifi-nale, gli chiese: “Mister, ma Puskás

48 mercoledì 12 febbraio 2020

La grande Ungheria del 1953

Fritz Walter e Ferenc Puskás con l'arbitro William Lingprima della finale del mondiale del 1954

Sepp Herberger, il ct della Germaniacampione del mondo nel 1954

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giocherà la finale, vero? Mi creda, èmolto difficile per me da quando luinon gioca. Tutti mi stanno addosso,tutti mi attaccano. Qualsiasi cosa iofaccia, non riesco a liberarmi ditutti. Potremmo marcare il doppiodi reti se ci fosse Ferenc”. La solle-citazione del suo giocatore avevagenerato nella mente di Sebes unpensiero che lui stesso spiega: “Mivenne in mente la valutazione dellarivista tedesca “Kicker” dopo leOlimpiadi: «I giocatori ungheresisono i maghi del calcio. I fili delgioco convergono tutti verso Pu-skás. È lui che dirige, che guida lasquadra sulla via che conduce allavittoria»”.

Dal Real Madrid al BenficaTornando alla Coppa dei Campioni,il ciclo del Real si concluse tra le po-lemiche con la squadra eliminatadagli “odiati” connazionali del Bar-cellona. In quella sconfitta ci fu unpo’ della sfortuna capitataproprio al grande Puskásai mondiali del 1954.Prima di tutto la finale diquell’anno si sarebbe gio-cata a Berna, proprio nellostesso stadio dove la sua Un-gheria aveva dovuto cedere allaGermania sulla quale peraltro inquegli anni pesavano anche sospettidi doping. E poi di mezzo ci fu an-cora una volta un arbitro inglese,quel Reginald Leafe, che aveva di-retto anche la famosa partita traWolverhampton e Honvéd del 1954.Agli ottavi di Coppa dei CampioniLeafe annullò 4 reti al Real Madrid,decretandone l’eliminazione. Di Ste-fano dichiarò che probabilmente lasupremazia del Real non piacevaa qualcuno dell’Uefa e che ladesignazione dell’arbitroinglese, vista la sua dire-zione, aveva qualcosa di

prestabilito.Il Barcellona arrivò in finale dove sipensava dovesse prevalere ed invecefu sconfitto dal Benfica di BélaGuttmann, un ungherese, che in se-guito diverrà austriaco, di origineebraiche. Il tecnico è noto nella sto-ria del calcio soprattutto per la fa-mosa invettiva scagliata contro lasocietà del Benfica, rea di non aver-gli voluto aumentare lo stipendio,che ancora oggi resiste e che preve-deva come la società portoghesenon avrebbe più vinto dopo il suo li-cenziamento in campo internazio-nale.

Guttmann aveva costruito quellasquadra attorno all’uomo di mag-gior classe del momento, il centro-campista Mário Coluna, sopranno-minato dai tifosi lisbonesi “il mostrosacro”. Coluna era originario di In-haca, un’isola del Mozambico, colo-nia portoghese, aveva iniziato a gio-care da attaccante ma per le sueinnate doti di eleganza e fantasia eper la grande visione di gioco ac-coppiata ad un sinistro pungentedalla lunga distanza fu arretratoproprio da Guttmann nel ruolo dicentrocampista. Resterà 16 anni alBenfica durante i quali vincerà: 10scudetti, 6 coppe nazionali e duecoppe dei Campioni. Nel 1966 conlui in campo la nazionale porto-ghese conquisterà il terzo posto aimondiali d’Inghilterra, che resta adoggi il miglior risultato raggiuntodalla nazionale lusitana nella mas-sima competizione calcistica mon-diale. In quella edizione della Coppadei Campioni giocherà, poco, la Ju-ventus di Sivori, Charles e Boni-perti evidenziando già in quell’edi-zione quel complesso e la difficoltàdi imporsi in campo internazionaleproseguita nel tempo. La squadraallenata da Carlo Parola, con Re-nato Cesarini nella fase iniziale delcampionato di serie A come Diret-tore Tecnico, vincerà il campionatoma verrà eliminata dalla squadrache diventerà il CSKA di Sofia alprimo turno della competizione eu-ropea.

Il Benfica concede il bisNell’edizione seguente, quella del

1961-62, la squadra portoghesesi prenderà il lusso di rad-

doppiare. Guttmann inse-rirà in squadra un giovaneproveniente anche lui dal

M o z a m b i c ocome Coluna:

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Mario Coluna

Eusébio da Silva Ferreira

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LA STORIA DELLA CHAMPIONS

Eusébio.Eusébio da Silva Ferreira, che verràsoprannominato la “pantera nera”,in quel primo anno con la maglia delBenfica giocherà complessivamente31 partite mettendo a segno 29 reti.Nel corso della sua carriera Eusebiogiocherà 440 partite con il Benfica,mettendo a segno 473 reti (totale733 reti in 745 partite), una mediarealizzativa eccezionale che gli con-sentirà di vincere due volte laScarpa d’oro come miglior realizza-tore in Europa nel 1968 e nel 1973e soprattutto di venire eletto Pal-lone d’oro nel 1965, giungendo inaltre due occasioni secondo.È stato un attaccante veloce, po-tente, dotato di ottima tecnica indi-viduale, di un tiro potente e precisoanche dalla lunga distanza e di no-tevoli capacità acrobatiche. Abile neldribbling utilizzato quasi con mo-

venze feline, il giovane mozambi-cano viene schierato come mezzalama di fatto è una punta che operaquasi come un secondo centravanti.Sarà il simbolo del Benfica e dellanazionale portoghese per molti annivincendo: 11 campionati, 5 coppenazionali ed una Coppa dei Cam-pioni.

In finale, il 2 maggio del 1962 adAmsterdam metterà a segno laquarta e la quinta rete, sul punteg-gio di tre a tre contro il Real Ma-drid di: Araquistain, Santamaria,

Del Sol, Di Stefano, Puskás e Gento.Il Benfica s’imporrà per 5 a 3 e com-plessivamente nelle 7 partite dispu-tate la squadra delle aquile metteràa segno 17 reti con Eusébio che in 6presenze andrà in gol ben 5 volte. Inquell’edizione la Juventus uscirà aiquarti per mano del Real. La sfidasarà però di quelle da ricordare. ATorino si imporranno le “meren-gues” con un gol di Di Stefano, nellagara di ritorno al Chamartin di Ma-drid sarà Omar Sivori a mettere asegno la rete che obbligherà le duesquadre a disputare lo spareggio. Sigiocherà al Parco dei Principi di Pa-rigi, la Juventus resterà in partitagrazie ancora a Sivori sino a quandonon si infortunerà Stacchini e il Realandrà in vantaggio anche per un er-rore del portiere Anzolin.

50 mercoledì 12 febbraio 2020

“Napoli” sarà nuovamente in edicola con il quotidiano “Roma” martedì 25 febbraio 2020

n. 23 del 12 febbraio 2020

Aut. Tribunale di Napolin. 50 del 8/11/2018

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L'allenatore ungherese Béla Guttmann

Eusébio, la pantera nera del Mozambico

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