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Primo Piano TADAO ANDO E I BIG MONDIALI PER UNA … · citarne solo alcuni. Pontus lasciava Venezia...

Date post: 02-Oct-2020
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Newsletter trimestrale a distribuzione telematica gratui- ta della Fondazione Venezia 2000 Cultura e Impresa, Dorsoduro 3488/U , 30123 Venezia. Redazione a cura di Sistema snc, Dorsoduro 1249, 30123 Venezia, [email protected]. il sito myvenice.org è realizzato con SPIP da HCE web design; logo, grafica web e newsletter a cura di hstudio - Venezia. www.myvenice.org Per vizio professionale, mi trovo spesso a leggere in controluce i fenomeni che via via attirano la mia attenzione. Ed è per questo vizio, non per snobisti- ca tentazione di controtendenza, che mi è venuto spesso di domandarmi quale sia l’altra faccia della diaspora del patrimonio artistico veneziano. Ripe- tiamo spesso “diaspora”, “dispersione”, “svendita , “saccheggio”, “spoliazione”, “smembramento”: tutti termini che indicano la fine infelice d’una straordi- naria accumulazione; ma che ci fanno dimenticare una cosa tanto banale, quanto non tenuta in conto: se un patrimonio è stato disperso, quel patrimonio come e perché era stato messo insieme? È certo interessante esaminarlo come oggetto di diaspora; ma sarebbe altrettanto interessante vederlo nei processi e nelle motivazioni della Pontus Hulten scende a Venezia dalla sua nativa Stoccolma dopo tanti anni, e lo fa in una veste inedita: da collezionista. Centocinquanta opere di una collezione che ne contiene oltre quattrocento verranno esposte a Palazzo Franchetti dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti dal 5 Marzo al 9 Luglio a cura di Stefano Cecchetto. Sono opere che dicono di tanti incontri, di intensi e duraturi legami d’amicizia con chi, in arte, ha movimentato il Novecento: Sam Francis, Warhol, Ernst, Brancu- si, Malevic, Duchamp, Oldenburg, Tinguely, per citarne solo alcuni. Pontus lasciava Venezia nel 1993 dopo aver avviato con straordinario successo la stagione delle gran- di mostre a Palazzo Grassi. Una Calle delle Beccarie 792 a San Giobbe: un palazzetto del 1800 è stato restaurato, a regola d'arte, con i crite- ri di solito applicati ai monumenti storici, per ricavarne quattro alloggi, da assegnare in base alle graduatorie comunali, di cui uno riservato a una persona con dif- ficoltà motorie. Una goccia nel mare delle necessità, ma comunque un intervento a favore dei residenti. Se ne è parlato, ieri, alla Facoltà di Economia di Ca' Fo- scari, in occasione della presentazione del volume “Un restauro per Venezia” (a cura di John Millerchirp e Leo Schubert, edizione Mazzotta) che ricostruisce la gene- si del restauro e relaziona sui lavori ormai completati. A proporre l'intervento, una decina di anni fa, il Comitato Privato “The Venice in Peril, Found”, TADAO ANDO E I BIG MONDIALI PER UNA DOMANDA IRRISOLTA: DOVE VA L’ARTE CONTEMPORANEA? Riapre Palazzo Grassi gestione Pinault con la mostra dal titolo “Where are we going?” Enzo Di Martino Editoriale (continua a p.3) anno 3, numero 1, maggio 2006 (continua a p.4) (continua a p.2) Il segnale della mostra, po- sto all’esterno del palazzo sul Canal Grande, è un enor- me pupazzo rosso a forma di cane. È dell’americano Jeff Koons, uno dei più clamorosi “fenomeni” del mercato inter- nazionale dell’arte, assieme all’inglese Damien Hirst ed all’italiano Maurizio Cattelan. Entrambi peraltro rappresentati nell’esposizione: Cattelan dal suo realistico “Him”, un picco- lo Hitler in ginocchio, posto in un angolo come se pregasse, mentre ad Hirst viene riservato l’intero salone nobile con due delle sue mucche sezionate, la sua “farmacia” di scaffali di vetro pieni di migliaia di pastiglie colorate e le bacheche coi modellini di scheletri di animali preistorici, che danno il titolo alla mostra curata dall’americana. Alison Gingeras: “Where are we going?”, cioé, dove stiamo andando?, ponendo Primo Piano VENEZIA, NASCITA DI UNA CITTÀ Esce con Neri Pozza la nuova edizione del capolavo- ro di Sergio Bettini Giovanna Dal Bon “Proprio perché la forma di Venezia non è data, per così dire una volta per sempre, ma continuamente si discioglie e si ricompone ad ogni istante, si crea di nuovo entro il nostro tempo: proprio per questo essa non mente”. Questa è Venezia nel pensiero di uno dei più interessanti storici e critici dell’arte del Novecento, Sergio Bettini. La riflessione sulla sfuggente tra le città comincia agli inizi della sua , o t i b u s a d , a t r o p p a r i s e e r o t a c r e c i r i d a r u t n e v v a ad una più vasta concezione della forma in divenire, della forma-evento così com’era pensata da Focil- lon. È il 1945 quando Bettini introduce il pensiero del filosofo francese in Italia con l’edizione padova- na di “Vie de formes”. Un primo nucleo su Venezia, vista tra tutte come paradigma puro dell’arte in movimento, Bettini lo abbozza nella pubblicazio- ne del 1950 già in bozze nel 1942. Esce in questi giorni, edito Neri Pozza, nella collana recentemente affidata a Giorgio Agamben “La quarta prosa” un volume che sfugge ai generi e contiene una com- plessa operazione di montaggio, (continua a p.2) (continua a p.3) Progetti QUEGLI APPARTAMENTI SONO UN MONUMENTO Restauri a San Giobbe presentati i lavori in un palaz- zetto ripristinato con tecniche conservative avanzate Lidia Panzeri Percorsi PONTUS HULTEN ARTISTI DA UNA COLLEZIONE All’Istituto Veneto a Palazzo Franchetti fino a luglio Giovanna Dal Bon Venezia Altrove LE MOLTE LUCI E OMBRE IN CINQUE SECOLI DI UN COLLEZIONISMO ASSAI COLTO E FASTOSO Da VeneziAltrove almanacco della presenza venezia- na nel mondo n.4-2005 Giuseppe De Rita
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Page 1: Primo Piano TADAO ANDO E I BIG MONDIALI PER UNA … · citarne solo alcuni. Pontus lasciava Venezia nel 1993 dopo aver avviato con straordinario successo la stagione delle gran-di

Newsletter trimestrale a distribuzione telematica gratui-ta della Fondazione Venezia 2000 Cultura e Impresa, Dorsoduro 3488/U , 30123 Venezia. Redazione a cura di Sistema snc, Dorsoduro 1249, 30123 Venezia, [email protected]. il sito myvenice.org è realizzato con SPIP da HCE web design; logo, grafica web e newsletter a cura di hstudio - Venezia.www.myvenice.org

Per vizio professionale, mi trovo spesso a leggere

in controluce i fenomeni che via via attirano la mia

attenzione. Ed è per questo vizio, non per snobisti-

ca tentazione di controtendenza, che mi è venuto

spesso di domandarmi quale sia l’altra faccia della

diaspora del patrimonio artistico veneziano. Ripe-

tiamo spesso “diaspora”, “dispersione”, “svendita ,

“saccheggio”, “spoliazione”, “smembramento”: tutti

termini che indicano la fine infelice d’una straordi-

naria accumulazione; ma che ci fanno dimenticare

una cosa tanto banale, quanto non tenuta in conto:

se un patrimonio è stato disperso, quel patrimonio

come e perché era stato messo insieme? È certo

interessante esaminarlo come oggetto di diaspora;

ma sarebbe altrettanto interessante vederlo nei

processi e nelle motivazioni della

Pontus Hulten scende a Venezia dalla sua nativa

Stoccolma dopo tanti anni, e lo fa in una veste

inedita: da collezionista. Centocinquanta opere di

una collezione che ne contiene oltre quattrocento

verranno esposte a Palazzo Franchetti dell’Istituto

Veneto di Scienze Lettere ed Arti dal 5 Marzo al

9 Luglio a cura di Stefano Cecchetto. Sono opere

che dicono di tanti incontri, di intensi e duraturi

legami d’amicizia con chi, in arte, ha movimentato

il Novecento: Sam Francis, Warhol, Ernst, Brancu-

si, Malevic, Duchamp, Oldenburg, Tinguely, per

citarne solo alcuni.

Pontus lasciava Venezia nel 1993 dopo aver avviato

con straordinario successo la stagione delle gran-

di mostre a Palazzo Grassi. Una

Calle delle Beccarie 792 a San Giobbe: un palazzetto

del 1800 è stato restaurato, a regola d'arte, con i crite-

ri di solito applicati ai monumenti storici, per ricavarne

quattro alloggi, da assegnare in base alle graduatorie

comunali, di cui uno riservato a una persona con dif-

ficoltà motorie. Una goccia nel mare delle necessità,

ma comunque un intervento a favore dei residenti. Se

ne è parlato, ieri, alla Facoltà di Economia di Ca' Fo-

scari, in occasione della presentazione del volume “Un

restauro per Venezia” (a cura di John Millerchirp e Leo

Schubert, edizione Mazzotta) che ricostruisce la gene-

si del restauro e relaziona sui lavori ormai completati. A

proporre l'intervento, una decina di anni fa, il Comitato

Privato “The Venice in Peril, Found”,

TADAO ANDO E I BIG MONDIALI PER UNA DOMANDA IRRISOLTA: DOVE VA L’ARTE CONTEMPORANEA? Riapre Palazzo Grassi gestione Pinault con la mostra dal titolo “Where are we going?”

Enzo Di Martino

Editoriale

(continua a p.3)

anno 3, numero 1, maggio 2006

(continua a p.4) (continua a p.2)

Il segnale della mostra, po-

sto all’esterno del palazzo

sul Canal Grande, è un enor-

me pupazzo rosso a forma di

cane. È dell’americano Jeff

Koons, uno dei più clamorosi

“fenomeni” del mercato inter-

nazionale dell’arte, assieme

all’inglese Damien Hirst ed

all’italiano Maurizio Cattelan.

Entrambi peraltro rappresentati

nell’esposizione: Cattelan dal

suo realistico “Him”, un picco-

lo Hitler in ginocchio, posto in

un angolo come se pregasse,

mentre ad Hirst viene riservato

l’intero salone nobile con due

delle sue mucche sezionate, la

sua “farmacia” di scaffali di vetro pieni di migliaia

di pastiglie colorate e le bacheche coi modellini di

scheletri di animali preistorici, che danno il titolo

alla mostra curata dall’americana.

Alison Gingeras: “Where are we going?”, cioé,

dove stiamo andando?, ponendo

Primo Piano

VENEZIA, NASCITA DI UNA CITTÀEsce con Neri Pozza la nuova edizione del capolavo-

ro di Sergio Bettini

Giovanna Dal Bon

“Proprio perché la forma di Venezia non è data, per

così dire una volta per sempre, ma continuamente

si discioglie e si ricompone ad ogni istante, si crea

di nuovo entro il nostro tempo: proprio per questo

essa non mente”. Questa è Venezia nel pensiero

di uno dei più interessanti storici e critici dell’arte

del Novecento, Sergio Bettini. La riflessione sulla

sfuggente tra le città comincia agli inizi della sua

,otibus ad ,atroppar is e erotacrecir id arutnevva

ad una più vasta concezione della forma in divenire,

della forma-evento così com’era pensata da Focil-

lon. È il 1945 quando Bettini introduce il pensiero

del filosofo francese in Italia con l’edizione padova-

na di “Vie de formes”. Un primo nucleo su Venezia,

vista tra tutte come paradigma puro dell’arte in

movimento, Bettini lo abbozza nella pubblicazio-

ne del 1950 già in bozze nel 1942. Esce in questi

giorni, edito Neri Pozza, nella collana recentemente

affidata a Giorgio Agamben “La quarta prosa” un

volume che sfugge ai generi e contiene una com-

plessa operazione di montaggio, (continua a p.2) (continua a p.3)

Progetti

QUEGLI APPARTAMENTISONO UN MONUMENTORestauri a San Giobbe presentati i lavori in un palaz-

zetto ripristinato con tecniche conservative avanzate

Lidia Panzeri

Percorsi

PONTUS HULTENARTISTI DA UNA COLLEZIONEAll’Istituto Veneto a Palazzo Franchetti fino a luglio

Giovanna Dal Bon

Venezia Altrove

LE MOLTE LUCI E OMBRE IN CINQUESECOLI DI UN COLLEZIONISMO ASSAI COLTO E FASTOSODa VeneziAltrove almanacco della presenza venezia-

na nel mondo n.4-2005

Giuseppe De Rita

Page 2: Primo Piano TADAO ANDO E I BIG MONDIALI PER UNA … · citarne solo alcuni. Pontus lasciava Venezia nel 1993 dopo aver avviato con straordinario successo la stagione delle gran-di

anno 3, numero 1, maggio 2006 - p 2

una domanda sullo stato dell’arte contemporanea

che molti studiosi (Jean Clair, Baudrillard, Meinric

etc.) propongono da tempo e che appare davvero

inquietante e forse senza risposta.Ma la collezio-

ne d’arte contemporanea del magnate francese

François Pinault, con una selezione della quale

riapre ora un Palazzo Grassi rinnovato da Tadao

Ando, rivela in effetti un orizzonte molto più vasto

e complesso che appare qui diviso nettamente in

due sezioni. E mentre al piano terra - il pavimento

di 1296 piastrelle di Carl Andre - ed al primo piano

vengono esposte le testimonianze più esasperate

della nuova ricerca espressiva dell’arte, al secondo

piano sono invece confermate, anche attraverso la

“grande pittura”, le predilezioni “minimaliste” del

munifico collezionista francese.

Ecco allora, naturalmente al primo piano, un vero

e proprio “trattore” in alluminio di Charles Ray, il

realistico e conturbante “Mechanical Pig” (Maia-

le meccanico) di Paul McCarthy, l’impressionante

sala dedicata alle fotografie di bambole sezionate

di Cindy Sherman, il perentorio “I shop, therefore

I am” (Compro, perciò esisto) di Barbara Kruger,

la saletta anch’essa riservata agli oggetti “banali”

di Jeff Koons, per citare solo alcuni lavori esposti.

Naturalmente non poteva mancare in questa ras-

segna il giapponese Tahashi Murakami del quale

viene presentato il suo “Inochi” una sorta di pu-

pazzo alieno davvero conturbante. Ma, sempre al

primo piano, si incontra anche un ormai “classi-

co” ritratto di Mao di Andy Warhol ed un grande

collage del poco noto polacco Pjotr Uklanskj, un

albero a forma di bomba davvero molto bello.

Assai diversa la situazione al secondo piano del

palazzo dove vengono esposti molti dipinti, a vol-

te di grande qualità formale. Come i due lavori

di Richter, lo straordinario taglio bianco (Attesa

del 1966) di Lucio Fontana accostato a quattro

“Achrome” di Pietro Manzoni. Ed ancora, la rigo-

Tadao ando e i big mondiali per una domanda irrisolTa: dove va l’arTe conTemporanea?

Editoriale

(continua dalla prima pagina)

rosa sala dedicata ad Agnes Martin con quattro

dipinti caratterizzati da rarefatti piccoli segni, e

quella altrettanto importante di Cy Twombly con

dieci dipinti di rara bellezza.

Il salone principale viene invece dedicato ad uno

dei padri del minimalismo, l’americano Donald

Judd, che occupa potentemente lo spazio con

le sue forme geometriche. Altre sale ospitano i

neon colorati di Dan Flavin, i “bianchi” di Robert

Ryman, e tre straordinari dipinti dei primi anni

’50 di Mark Rothko. Bisogna infine rimarcare il

grande rilievo dato agli artisti dell’Arte Povera

italiana con opere di Pistoletto, Penone, Zorio,

Anselmo, Fabro, Parmiggiani, Paolini, Kounellis

e naturalmente Mario Merz, del quale vengono

esposti un bellissimo “Igloo” e la sequenza dei

numeri al neon di Fibonacci che si concludono

con una motocicletta Suzuki. Ne risulta una mo-

stra bella e scontata ad un tempo, che pone per

davvero l’inquietante interrogativo su dove stia

andando l’arte contemporanea

Enzo Di Martino

Percorsi

ponTus HulTen arTisTi da una collezione(continua dalla prima pagina)

per tutte “Futurismo e futurismi” ha letteralmente

cambiato l’atteggiamento politico che si aveva fino

ad allora verso i militanti di quel movimento: ”bi-

sogna pensare che i futuristi avevano l’etichetta

di fascisti prima di considerare il movimento nella

sua complessità” racconta facendosi pensoso. Se

gli si chiedono notizie di quella densa avventura

veneziana rievoca le perlustrazioni in laguna nel-

la sua barca dal nome insolito “Tempi d’ozio”, la

frequentazione assidua degli amici artisti Emilio

Vedova e Santomaso e gli affiora dalla folta barba

bianca un sorriso di irresistibile dolcezza. Pontus

Hulten ha sempre vissuto in città d’acqua: Stoc-

colma, dove ha diretto il Modern Museet prima di

approdare in laguna, Los Angeles, al Museum of

Contemporary Art: ”una fatalità, e ovunque andas-

si c’era una barca ad aspettarmi per portarmi in

giro. A Venezia ho avuto la fortuna di vivere mo-

menti magici muovendomi per la laguna e mi sono

spinto poi lontano fino alle coste istriane e ritorno”

ancora quel magico sorriso diffonde sui forti zigo-

mi scandinavi e accende gli occhi azzurrissimi. Gli

piace soffermarsi sulle origini nordiche di Venezia,

sulle prime tracce rinvenute all’isola di Torcello. Si

sente che non è un caso se proprio a Venezia ha

deciso di dare visibilità a una parte della sua col-

lezione privata che coincide con la sua vita intima,

con i tanti doni di amici. È stato grazie all’amica

Clarenza Catullo, sua assistente negli anni di Pa-

lazzo Grassi, che gli è stato possibile far ritorno in

città con le sue opere. La mostra vuole raccontare

soprattutto una trama di amicizie e incontri felici,

tutti molto personali e veritieri. È divisa in tre se-

zioni che coinvolgono diverse tematiche. La prima,

“gli amici di Hulten” è un percorso espositivo che

avvolge cinquant’anni di frequentazioni e vorrebbe

svelare attraverso il manufatto d’arte la dimensio-

ne intima e segreta di un reale, fertile interscambio

tra critico e artista; quadri, installazioni, fotografie

di amici come Robert Rauschenberg, Niki de Saint-

Phalle, Jasper Johns, Jean Tinguely (il più fraterno

tra gli amici), Rebecca Horn. La seconda sezione

riguarda Hulten allo specchio (par lui meme) ed

è una galleria di omaggi in forma di ritratto dov’è

sempre lui il soggetto da ritrarre in molti, caleido-

scopici, angoli visuale. La più intima e segreta è

la terza sezione: una piccola galleria di disegni e

opere su carta che lo storico dell’arte svedese ha

collezionato per sé. Vi figurano: Malevic, Marcel

Duchamp, Francis Picabia, Max Ernst, Constantin

Brancusi, EmilioVedova, Daniel Buren. “La strada

di Pontus” è inveve un racconto per immagini foto-

grafiche del lungo e “contagiante” percorso artisti-

co-affettivo di questo straordinario personaggio.

Giovanna Dal Bon

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anno 3, numero 1, maggio 2006 - p 3

in approfondimenti e ritorni (il curatore Andrea

Cavalletti ci avverte in postfazione che può essere

letto come un libro di fenomenologia). Un acuto

esercizio critico sulla città considerato inter omnes

il suo capolavoro “Venezia. Nascita di una città” (€

50,00) con un fitto apparato iconografico. La Ve-

nezia di Bettini obbedisce attraverso i secoli ad un

originale Kunstvollen, una sua prorpia intenzione

artistica. La nascita, il divenire, la struttura urbana,

le architetture risolte in facciata, l’assenza di pro-

spettive, i tagli asimmetrici, i fuori scala, rispondo-

no ad una forma che contrasta l’ordine geometrico

e sovverte le gerarchie della statica. Uno sguardo

assolutamente nuovo e maturo su una città voluta

fortemente e altrettanto tenacemente costruita su

strati instabili. Bettini offre in apertura una defi-

nizione della città come unica grande superficie:

“Venezia nasce tra l’aria e l’acqua: la sua immagine

si innesta nel punto, quasi matematico, di contatto

tra aria ed acqua, si concreta tra coteste due di-

mensioni illimitate: quindi la sua forma potrà dirsi

coerente se saprà interpretare il valore dell’una e

dell’altra”. Prima di affrontare il problema “storico”

del nascere e del formarsi della città Bettini sof-

ferma sulla quantità di miti sorti nel tempo sulla

sua immagine. Ripropone l’idea di Georg Simmel

filosofo sottile e sensitivo e ormai “sull’estrema

frontiera del romanticismo” di accostare Firenze a

Venezia asserendo una superiorità della prima su

quel qualcosa di “incompleto e superficiale” che

caratterizza la seconda. Convoca le ansie morbose

di Walter Pater, Ruskin, Byron, De Musset e la

genia svenevole delle morti a Venezia. È interes-

sante come Bettini faccia risalire al barocco nordi-

co la prefigurazione romantica del mito di Venezia.”

(…) affinità di Stimmung. Ambedue sono aperture,

o almeno tensioni di una forma plastica chiusa”.

Ed è veloce ad indicare la visione di Marcel Proust

lontana da torbidi equivoci romantici; una Vene-

zia “attuale” perché diversa da una qualsiasi città

classica e perpetuamente sciolta in “una forma

aperta, versata nel tempo, quindi risolta in colore

e ritmo”. Documentato il setaccio critico sugli ini-

zi, garantiti da un esodo tardoromano a popolare

isolotti deserti. Conseguenti gli influssi bizantini a

dare fondamento. Fatale il passaggio da villa tardo-

romana in fondaco per il deposito delle merci e la

progressiva “marmorizzazione” tra il Trecento e il

primo Quattrocento “quando le zone ancora vuote

si colmano”. Bettini propone una lettura della cit-

tà in chiave anticlassica “fondata cioè non su una

struttura prospettica dello spazio urbanizzato, ma

sulla continuità temporale di codesto spazio”. At-

traversa e cesella svolte cruciali nel gusto e negli

stili soffermando spesso e volentieri sull’importan-

za dei manufatti e la loro funzione (memorabili le

pagine che dedica alla forcola). In chiusura cor-

regge il tiro di una sua definizione “piuttosto facile

e un poco turistica” sul simbolo di Palazzo Ducale

per rivederlo nel contesto in cui si forma quando

nei finestroni “s’accendono luci di uno strano rosa

violaceo, che contrasta fuggevolmente coi marmi

della facciata, che paiono farsi d’oro bianco: e tutta

la superficie ha uno sguardo intenso e un po’ obli-

quo, di altero e gelido orgoglio”.

Giovanna Dal Bon

Primo Piano

venezia, nasciTa di una ciTTà(continua dalla prima pagina)

Venezia Altrove

le molTe luci e ombre in cinQue secoli di un collezionismo assai colTo e fasToso(continua dalla prima pagina)

raffinata, o “industriale”, sua formazione. L’incame-

razione di esso è importante come la sua disper-

sione, nel respiro centenario dell’arte veneziana. La

scelta editoriale di «VeneziAltrove» è naturalmente

portata a ragionare del flusso “in uscita”, sottoli-

neando magari che esso non è stato solo frutto di

spoliazioni, ma anche di una eccezionale capacità

industriale, di produzione e di marketing, che si è

andata più o meno coscientemente formando nella

città nei secoli del suo splendore e della sua do-

minante presenza economica e culturale. Ma non

abbiamo mai posto attenzione, se non per via inci-

dentale, al flusso “in entrata”: garantito dalle voglie

e dalle scelte di collezionismo ricco e raffinato delle

grandi famiglie veneziane (e non soltanto loro, se

solo si pensi all’accumulazione operata da chiese e

conventi). I contributi pubblicati quest’anno ci fanno

intravedere una realtà molto meno conosciuta della

diaspora. Il lettore si stupirà (questa è stata almeno

la mia reazione) leggendo che «fin dal Quattrocento,

se non prima, non v’era palazzo o dimora veneziana

di una certa ricchezza che non vantasse la presenza

di almeno alcune sculture greche o romane, fossero

iscrizioni, rilievi, statue o teste». E poi, da metà Cin-

quecento, si sono moltiplicate le collezioni di tutte

le espressioni d’arte: dipinti, medaglie, pietre dure,

tempietti, reliquie e “corpi santi”, libri,

monete, cippi, stampe, stampe di un solo

soggetto (magari l’immagine della Beata

Vergine), paramenti e arredi, vetri antichi,

affreschi, bulini veneti e italiani, conchi-

glie, cose napoleoniche, volatili «esotici ed

indigeni». Si ha l’impressione di una città

bulimica, che attirava e incorporava tut-

to, spesso anche i falsi «unendo l’oro alla

fanghiglia». Ci soffermiamo spesso sull’in-

gordigia o su l cinismo di c hi ha spogliato

Venezia (si veda il testo su Pietro Edwar-

ds), ma ci dimentichiamo spesso che non

erano stati meno ingordi – comunque

pagando di tasca propria – i veneziani, quando

avevano accumulato «quel gran ben di Dio» oggetto

poi dello smembramento e della diaspora. Se Al-

vise Zorzi, riferendosi unicamente ai dipinti andati

via soltanto nell’ultima dispersione, fra Settecento

e Ottocento, valuta che si trattò di 25 mila pezzi, è

pensabile stimare tutto ciò che si era accumulato

n elle collezioni veneziane in oltre 100 mila dipin-

ti, e in molte centinaia di migliaia di pezzi vari. E a

parte la “fanghiglia”, del resto inevitabile a tali livelli

quantitativi, c’era il meglio della produzione artistica

di allora; il meglio del mercato (anche dei giorni no-

stri); il meglio per chi volesse “approvvigionarsi” di

opere d’arte e cimeli.

Da dove veniva quell’enorme propensione ad accu-

mulare, quell’ingordigia collezionistica che caratteriz-

zò Venezia per almeno cinque secoli? Non è proprio il

caso di gettarsi in interpretazioni sociologiche e psi-

cologiche (il collezionismo come coazione a ripetere,

e come ambizione alla sicurezza della completezza);

assai meglio attenersi alla constatazione che la socie-

tà veneziana era una società ricca, amante del lusso,

di gusti raffinati e di orgogliosa tendenza a possedere

e a mostrare il meglio. Sfruttava a tal fine le risorse

produttive interne (dallo stipendiato Vivaldi, alle cen-

tinaia di botteghe artigiane), o le attirava dall’esterno

(anche per pochi anni, come per Antonello da Messi-

na o per Scarlatti), o comprava direttamente prodotti

già esistenti sul mercato (un atteggiamento costante

se, in piena e atroce dispersione, la Marciana,con

audace controtendenza, acquistò nel 1835 i tredici

volumi scarlattiani oggi di sua proprietà).

Quando mercanti d’arte spregiudicati, speculatori

astuti, viaggiatori e ambasciatori in cerca di buoni

Page 4: Primo Piano TADAO ANDO E I BIG MONDIALI PER UNA … · citarne solo alcuni. Pontus lasciava Venezia nel 1993 dopo aver avviato con straordinario successo la stagione delle gran-di

ProgettiQuegli apparTamenTi sono un monumenTo(continua dalla prima pagina)

anno 3, numero 1, maggio 2006 - p �

affari si mi-

sero assieme a «far man bassa in laguna», riusci-

rono a farlo non solo perché s’era sfasciato il potere

politico della Serenissima, ma anche e specialmen-

te perché non c’erano più quella ricchezza, quel-

l’amore per l’arte, quella coazione al collezionismo

che avevano sostenuto la precedente accumulazio-

ne. Un’accumulazione di cui solo alcune famiglie e

alcune chiese hanno capito il valore e l’esigenza di

conservazione (i Grimani e i Correr che lasciano alla

città, i Quercini che creano una loro struttura per-

manente), mentre tutto il rimanente patrimonio vie-

ne esitato sui mercati di diversa qualità, dalle aste

alla ricettazione. Il collezionismo non sopravvive al

tempo se non ha dentro ì valori culturali profondi, se

si sono solo messi confusamente assieme insiemi

e sottoinsiemi, i più diversi (dai capolavori pittorici,

agli uccelli esotici impagliati). Il collezionismo, infat-

ti, è fenomeno psicologico; non è cultura. Quando

crolla, nel suo crollo trascina tutto il bello e il m e d i

o c re che si è messo insieme, senza criteri selettivi,

e forse senza neppure una capacità di stabilire il va-

lore di quel che si cede, come è evidente dai “prezzi”

con cu i sono esitati alcuni grandi capolavori. Non

sarebbe inutile quindi un ulteriore approfondimento

delle grandezze e delle mise rie de l collezionismo

d’arte. È cosa che interessa la Venezia d’altri tempi;

ma, temo, sarebbe argomento interessante anche

per i nostri giorni.

Giuseppe De Rita

(continua dalla pagina precedente)

rappresentato, ieri, dall'attuale presidente Anna Somers

Cocks. Scettico, all'inizio, il sindaco Massimo Cacciari;

entusiasta, invece, l'assessore Roberto D'Agostino. La

gara d'appalto risale, invece, al novembre del 2003. In

precedenza era stato eseguito il rilievo stratigrafico in

modo da ricostruire, sin nei dettagli, la storia dell'edifi-

cio (Frank Becker). Poi il restauro vero e proprio , affi-

dato agli architetti Mario Piana della Soprintendenza e

a Leo Schubert. Due i principi ispiratori: conservare il

più possibile i materiali preesistenti (nei terrazzi e negli

infissi) e applicare, invece, tecnologie aggiornate per

la risoluzione dei problemi dell'acqua alta. Questa fase

tecnica (48.068 euro) è stata finanziata dal Comitato.

La spesa complessiva è risultata, invece, di 517.362

euro, con un costo medio per metro quadrato di 1500

euro, in linea con i prezzi di mercato. Finanziamento

della Legge Speciale. «Di cui si sono prosciugati i fondi,

così che neppure il ceto medio può provvedere, ora, ai

restauri», stigmatizza il sindaco Massimo Cacciari, ag-

giungendo «non basta un Pinault a salvare Venezia». Il

direttore del Veneto per i Beni Culturali, Bruno Malara,

ha sottolineato la necessità di ristabilire in centro stori-

co un equilibrio residenziale. Comunque un restauro a

favore dei residenti e non a beneficio dei turisti, sinte-

tizza l'assessore Mara Rumiz.

Lidia Panzeri

Progettiun Tram per veneziaIl nuovo sistema tramviario di Mestre e Venezia

Manuela Bertoldo

Anche Venezia, come molte altre città europee, ha

scelto di realizzare un trasporto pubblico elettrico in

primo luogo per contribuire all'abbattimento delle

emissioni inquinanti a livello atmosferico ed acustico

ma anche come alternativa al trasporto privato e ai

problemi di mobilità tra centro storico e Terraferma.

Tra le varie opzioni di trasporto elettrico, il tram corri-

sponde molto bene anche alle esigenze del trasporto

locale, il motore elettrico non produce l'inquinamento

acustico tipico dei motori termici e la trazione su gom-

ma lo rende meno rumoroso di un tram tradizionale

che "sferraglia" nell'attrito ruota rotaia.

L’amministrazione comunale di Venezia e le associa-

zioni di categoria hanno sottoscritto lo scorso marzo

un protocollo d’intesa per la realizzazione del nuovo

sistema tramviario di Mestre e Venezia. Il protocollo

è il risultato di una serie di incontri tra il comune di

Venezia la PVM (Società di Patrimonio per la Mobilità

Veneziana) PMV SpA, Società del Patrimonio per la

Mobilità Veneziana, [1]e le associazioni di categoria.

Nel 2004 Unindustria di Venezia chiese al presidente

di PVM di istituire un tavolo tecnico sul quale recepi-

re tutte le istanze degli associati in particolare quelle

provenienti dal settore turistico. Il progetto all’inizio

aveva destato le preoccupazioni di alcuni albergatori

a causa della prevista costruzione di un sottopasso in

via Piave, di fronte alla stazione ferroviaria di Mestre,

nonostante venisse riconosciuta e condivisa l’im-

portanza della nuova opera da tutte le associazioni

di categoria. Si esaminò su proposta di Unindustria

di modificare il tracciato e prevedere il sottopasso

in via Capuccina, fu formalizzato un documento che

prevedeva la richiesta di informazione preventiva su

ogni fase del progetto e sul tipo di intervento dei nuovi

lavori: pericolosità, rumore, tempi e definizione con-

giunta della viabilità generale con percorsi alternativi

a quelli oggetto del cantiere.

La proposta di modificare il tracciato è stata presa

in esame dalla nuova Amministrazione comunale

prevedendo due varianti al tracciato originario, che

saranno oggetto di discussione in Giunta Comunale

nei prossimi mesi. Il comune di Venezia preso atto

che l’esecuzione dei lavori avrebbe causato ricadu-

te sulle attività produttive, commerciali, e ricettive

localizzate nelle prossimità dei cantieri ha valutato

forme di agevolazioni (eventuale riduzioni della To-

sap, Cimp e altro) nel caso i lavori si dovessero pro-

trarre oltre i tempi previsti dal progetto.

Il successo del protocollo d’intesa è infatti quello

di rendere sistematico un dialogo tra le parti: su lo

stato di avanzamento dei lavori, sulle modalità ope-

rative e sui tempi di realizzazione.

DATI TECNICIIl sistema tranviario di Mestre-Venezia prevede la rea-

lizzazione di due linee con uno sviluppo complessivo di

circa 20 Km. e 20 veicoli.

Linea 1 : Il tracciato prevede una percorrenza di oltre

14 Km con la localiz-

zazione di 23 fermate,

capolinea localizzati

in Favaro Veneto - Ve-

nezia, punto d'inter-

scambio con la linea

due in centro Mestre e

frequenza del servizio

ogni 5 minuti

Linea 2 Il tracciato pre-

vede una percorrenza di

circa 6 Km con localiz-

zazione di 17 fermate,

capolinea localizzati in

Marghera (Panorama)

– Centro Mestre zona

interscambio, frequen-

za del servizio ogni 7

minuti.

Note :

[1] nasce nel dicembre 2003 a seguito di un atto di

scissione di ACTV SpA che aveva lo scopo di separare

l’attività di esercizio del trasporto pubblico dalla proprietà

delle infrastrutture


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