Master in “Tessile e Salute”
PROGETTO DI RICERCA APPLICATA DI UN FILO ARTIFICIALE CONTINUO CON
PROPRIETÀ FLAME RETARDANT.
Dott. Ing. CLAUDIA MINCHIOTTI
Referente aziendale: Dott. ANDREA SEGHIZZI
BembergCell S. p.A.
Anno Formativo 2005 – 2006
"Ai sensi della legge 196/2003 autorizzo il trattamento e la comunicazione e/o diffusione dei dati personali"
INDICE Pagina
Obiettivo del progetto 1
Introduzione. L’azienda: BembergCell S.p.A. 2
Capitolo 1 – Le fibre cellulosiche.
1.1 - Generalità. 4 1.2 - Processi di preparazione di fibre cellulosiche. 7 1.2.1 – Fibre cellulosiche rigenerate. 7 A- Il processo viscosa. 7 B- Il processo cuproammoniacale. 12 1.2.2 – Derivati della cellulosa: l’acetato. 17
Capitolo 2 – Additivi ritardanti di fiamma e loro applicazioni. 24
2.1 - Problematiche e rischi legati agli incendi. 24 2.1.1 – Generalità. 24 2.1.2 – Rischi per l’organismo umano. 26 2.2 - Comportamento al fuoco dei materiali tessili. 27 2.3 - Il ruolo degli additivi Flame retardant nella riduzione del
pericolo e del rischio di incendi. 30
2.4 - Riferimenti normativi. 33 2.4.1 – Normativa nazionale. 33 2.4.2 – Normative sovranazionali e vigenti in altri paesi. 36 2.5 - Mercato dei prodotti Flame Retardant. 39 2.6 - Problematiche ecotossicologiche. 40
Capitolo 3 – Sviluppo del progetto. 42
3.1 - Generalità e stato dell’arte. 42 3.2 - Procedura di ricerca e sviluppo. 43
Bibliografia. 46
Ringraziamenti. 47
Obiettivo del progetto.
L’obiettivo del presente lavoro di ricerca si inquadra nell’ambito di un
progetto sviluppato dal gruppo BembergCell S.p.A., avente come tema
generale “Il rilancio della filiera italiana dei filati cellulosici (acetato,
cupro, viscosa) per l’industria tessile”.
Attraverso questo programma di ricerca e sviluppo BembergCell si
propone come primario attore nel mercato mondiale delle fibre, attraverso lo
sviluppo di prodotti:
• dotati di proprietà funzionali avanzate;
• compatibili dal punto di vista ambientale;
• pienamente rispondenti alle necessità della filiera a valle;
• economicamente competitivi.
Sono state individuate quattro aree di intervento che riguardano
rispettivamente: Innovazioni di processo, Nuovi prodotti di base,
Applicazioni non tessili o ibride, Applicazioni tessili innovative.
L’obiettivo dei progetti inseriti in quest’ultima area è quello di conferire
nuove caratteristiche ai filati prodotti da BembergCell, consentendo la
creazione di tessuti dotati di funzioni innovative (impermeabilità,
termoregolazione, elevata resistenza alla combustione).
In particolare l’obiettivo del progetto qui presentato è lo sviluppo di
fibre cellulosiche continue con proprietà antifiamma permanenti,
ottenute addizionando particolari additivi a monte della fase di
filatura delle fibre.
Introduzione - L’azienda: BembergCell S.p.A.
Il gruppo BembergCell nasce nel 2004 dall’integrazione di tre differenti realtà
produttive: Bemberg con stabilimento a Gozzano (NO), Novaceta situata a Magenta (MI)
e Nuova Rayon localizzata a Rieti.
La proprietà distintiva di questo progetto industriale interamente italiano e
unico nel riunire le fibre cellulosiche Cupro, Acetato e Viscosa esprime la concretezza
e le potenzialità della sua posizione competitiva nello scenario globale.
Il polo BembergCell vanta la proposta produttiva più completa e l’esperienza
globale industriale che ne deriva, la conoscenza profonda di tutte le fibre cellulosiche e
dell’origine naturale che le accomuna.
La naturalità è l’elemento portante dell’intera catena del valore aziendale, nelle
potenzialità attuali e nelle prospettive future.
L’origine naturale delle fibre cellulosiche BembergCell le contrappone nettamente alle
fibre sintetiche non solo per le performance, ma anche per il loro rispetto dell’uomo e
dell’ambiente, conferendo una serie di qualità specifiche.
L’innovazione, oltre che dall’esclusiva combinazione delle tre fibre, è garantita dal
forte orientamento alla ricerca di cui da sempre le realtà costituenti BembergCell si
sono rese protagoniste. La capacità di innovazione non è soltanto finalizzata al
prodotto, ma anche orientata al servizio e all’approccio al mercato.
La notorietà del marchio Bemberg viene capitalizzata con l’obiettivo di attribuire
riconoscibilità e prestigio all’intera gamma prodotto, intesa come estensione a tutte le
fibre cellulosiche. Queste caratteristiche sono destinate a rappresentare per i clienti una
partnership in grado di ridefinire posizionamenti e schemi competitivi all’interno di
mercati e scenari che attraversano una fase di turbolenta trasformazione.
La qualità dei processi e dei prodotti BembergCell è certificata dai sistemi ISO e
OEKO-TEX.
BembergCell ha ottenuto la certificazione ISO 9001:2000 tramite il marchio BVQI per
tutti i tre siti produttivi.
Le tre strutture occupano un’area totale di 470.493 m2 e sono dotate di impianti
produttivi all’avanguardia, con 155 filatoi che sono in grado di generare ogni giorno:
� 40 tonnellate di Acetato;
� 7 tonnellate di Cupro;
� 14 tonnellate di Viscosa.
I processi di lavorazione prevedono l’impiego di materie prime cellulosiche
differenti per i tre filati con il conseguente utilizzo di tecnologie di lavorazione diverse.
Capitolo 1 – Le fibre cellulosiche.
1.1-Generalità.
Le fibre tessili si possono convenzionalmente classificare in due grandi gruppi:
• Fibre naturali
• Fibre cosiddette “man made”.
Figura 1.1
Come si può osservare nello schema riportato in Figura 1.1, all’interno del primo
gruppo si distingue ulteriormente tra fibre animali e fibre vegetali, queste ultime
hanno prevalentemente origine da cellulosa, più o meno lignificata.
Nel secondo gruppo si può effettuare una prima suddivisione tra fibre
inorganiche e fibre organiche, a loro volta divisibili in fibre sintetiche (ottenute da
macromolecole organiche non naturali, ma prodotte da reazioni di sintesi) e fibre
artificiali (ottenute da macromolecole organiche naturali, tipicamente cellulosa, la cui
struttura chimica è rappresentata in Figura 1.2).
Figura 1.2
Le fibre cellulosiche artificiali derivano da materiale cellulosico rigenerato prodotto
per dissoluzione chimica di una fonte naturale di cellulosa, seguita dal passaggio della
soluzione attraverso un sistema di estrusione per ottenere la fibra formata.
I procedimenti applicati portano a due diversi tipi di fibre cellulosiche:
• Fibre di cellulosa rigenerata, costituite da 100% di cellulosa:
1- La cellulosa viene trasformata, per mezzo di reagenti chimici, in un
composto diverso che è solubile nei reagenti stessi. La distruzione del
composto al momento dell’estrusione, ottenuta alterando la solubilità del
composto nella soluzione, rigenera il materiale cellulosico puro. Questo è il
caso dei processi viscosa e cuproammoniacale.
2- Nel caso dei processi da solvente la cellulosa viene disciolta da solventi
organici senza formazione di composti intermedi, quindi viene rigenerata per
eliminazione dei solventi al momento dell’estrusione. Questo è il caso della
fibra Lyocell, prodotta per solubilizzazione diretta in un solvente organico
(N-metil-morfolinossido) interamente recuperabile.
• Fibre di derivati di cellulosa, non costituite da 100% di cellulosa:
Le fibre generate conservano nel polimero il reagente mediante il quale la
cellulosa è stata portata in soluzione sotto forma di un composto diverso.
E’ il caso del processo all’acetato di cellulosa.
In Figura 1.3 sono riassunti i metodi di produzione delle tre principali fibre
cellulosiche.
Figura 1.3
La maggior parte del fabbisogno industriale di polpa di cellulosa per l’industria
della carta e delle fibre è coperto dalla lavorazione per via meccanica e chimica di
biomasse boschive. Una quota molto minore viene coperta ricorrendo ad altri
materiali cellulosici come gli scarti della lavorazione del cotone (linters), che
rappresentano una fonte di cellulosa molto più pura. Ancorché di qualità
elevata , anche questo materiale necessita di una raffinazione. I linters di
cotone trovano applicazione nella produzione di cellulosa rigenerata con il
processo al cuproammonio e, talora, per la produzione di fibre speciali
con il processo viscosa.
1.2. – Processi di preparazione di fibre cellulosiche.
1.2.1 – Fibre cellulosiche rigenerate.
A – Il processo viscosa.
• Chimica del processo e materie prime.
Questo processo si basa sulla trasformazione della cellulosa in un derivato
solubile, lo xantogenato o xantato sodico di cellulosa, previa riduzione del
grado di polimerizzazione per diminuire la viscosità della soluzione da
filare. Lo xantogenato è solubile in soda caustica e in tale soluzione viene
inviato in filatura. Da esso si rigenera la cellulosa quando, dopo
l’estrusione, la soluzione incontra il bagno di coagulo (acido e salino): il
bagno idrolizza lo xantogenato e lo demolisce provocando la perdita del
solfuro di carbonio (CS2), costituente dello xantogenato, e la ricostruzione
della cellulosa in forma fibrosa.
Si tratta quindi di un processo di filatura a umido.
Nella Tabella 1.1 sono riportate le caratteristiche richieste alla cellulosa
da impiegare nel processo: deve avere un alto grado di α-cellulosa e un
basso contenuto in lignina ed emicellulose.
Tabella 1.1
Caratteristiche
Cellulosa al solfito
Cellulosa al solfato
Alfa-cellulosa % 89 - 94 96 -97,5
Solubilità in NaOH 18% - S18 % 4,5 - 9,0 1,0 – 3,0
Solubilità in NaOH 10% - S10 % 8.0 - 15,0 5,0 – 12,0
Pentosani % 1,5 - 4.5 0,6 – 2,0
Estraibile in etanolo % 0,1 - 0,3 0,01 – 0,1
Ceneri % 0,03 - 0,1 < 0,05
Viscosità [cp] 17 - 21,5 22 – 25
Grado di polimerizzazione 1300 - 1500 1500 – 1650
Grado di bianco % 90, 0 - 95,5 86,0 – 92,5
• Fasi del processo.
Il processo si sviluppa su impianti discontinui o semicontinui, e si
distingue in preparazione della viscosa e filatura.
Le varie fasi della preparazione della viscosa sono descritte in Figura
1.4:
Figura 1.4
- Bagnatura.
Macerazione con soda caustica (17-20%) per rigonfiare le fibre,
permettendo l’attacco agli –OH alcolici e la disssoluzione delle emicellulose:
Cell—OH + NaOH + H2O = Cell—OH-NaOH-nH2O
Cell---OH-NaOH-nH2O = Cell---ONa + n’ H2O
Questa reazione facilita lo svolgimento delle reazioni successive.
- Spremitura.
- Disintegrazione.
- Maturazione dell’alcali-cellulosa.
La maturazione consiste in una demolizione controllata di natura ossidativa,
dei polimeri cellulosici, utilizzando l’ossigeno dell’aria per ridurre il grado di
polimerizzazione medio della cellulosa. Per garantire il giusto equilibrio tra la
viscosità ottimale della soluzione di filatura e le caratteristiche tessili della
fibra prodotta è importante tenere sotto strettissimo controllo i parametri
fondamentali (tempo e temperatura).
- Xantazione.
Nella fase di xantazione si addiziona alla massa il solfuro di carbonio gassoso
CS2 che, reagendo con la soda, forma il composto intermedio ditiocarbonato;
questo agisce sull’alcali-cellulosa dando origine allo xantogenato sodico di
cellulosa.
Lo xantogenato è un estere della cellulosa con l’acido ditiocarbonico
(H2OCS2).
Al termine della xantazione la massa viene scaricata nel mescolatore, dove
avviene la dissoluzione sotto agitazione, a bassa temperatura. A questo
punto la massa liquida è finalmente “la viscosa“, liquido di elevata viscosità
di colore arancio – giallo e odore penetrante dovuto ai vari composti dello
zolfo e allo zolfo elementare disciolti nella soluzione.
- Maturazione della viscosa
Il periodo di tempo che precede la filatura è chiamato maturazione della
viscosa. Nella massa liquida si verificano una distribuzione e perdita di
gruppi xantici che ha come effetto una riduzione della viscosità fino ad un
valore minimo, e un aumento dell’instabilità dello xantogenato, cioè una
maggiore tendenza alla coagulabilità.
Durante la fase di maturazione, che dura 1-2 giorni, la viscosa viene
sottoposta ad altri trattamenti necessari per migliorarne la prestazione
durante l’estrusione.
- Filtrazione.
Eliminazione dei contaminanti presenti come particelle estranee, in genere
frammenti di cellulosa non disciolta e sporco comune. Solitamente si esegue
su due stadi filtranti, a severità crescente.
- Disaerazione.
Ha lo scopo di eliminare le bolle d’aria inglobate e soprattutto l’aria disciolta
nella massa, la cui presenza è molto pericolosa durante l’estrusione.
- Filatura.
Durante il processo di filatura, dalla viscosa si rigenera la cellulosa in
forma fibrosa: all’uscita del foro della filiera la viscosa (contenuto di cellulosa
8 – 9 %) incontra il bagno di coagulo che provoca la coagulazione della
viscosa e l’idrolisi dello xantogenato. I filamenti ottenuti sotto azione dello
stiro in fase plastica vengono orientati, e il filo ottenuto passa poi attraverso
varie operazioni di purificazione e di preparazione per gli impieghi successivi.
La viscosa, dosata mediante pompe ad ingranaggi attraversa la filiera
(costruita in metallo resistente alla corrosione), che ha un numero e un
diametro dei fori differente per la produzione di filo continuo piuttosto che di
fiocco; la sezione dei fori è generalmente circolare, ma si possono avere fori
di forme diverse per produrre filamenti a sezione particolare.
La filiera è immersa nel bagno di coagulo, soluzione salina di elevata acidità
che contiene:
• Acido solforico
• Solfato di sodio e solfato di zinco, (rallentante dell’idrolisi dei gruppi
xantici)
• Modificatori vari (ammine alifatiche e cicliche, poliossietilenglicoli, amìdi
di acidi grassi ossietilati, etc., che facilitano l’estrusione, il contatto
con i reagenti e migliorano la stabilità dello xantogenato all’idrolisi,
etc.)
Il contatto con questo bagno all’uscita dal foro della filiera neutralizza
l’alcalinità della viscosa, provocando l’immediata coagulazione dello
xantogenato (non più solubile in ambiente acido) e l’idrolisi, con demolizione
di composto e sottoprodotti, perdita dello zolfo e conseguente rigenerazione
delle fibre di cellulosa.
Ciò avviene progressivamente partendo dalla superficie del filetto liquido che
avanza e penetrando sempre più all’interno fin quando tutto il filamento è
interessato da neutralizzazione e coagulo.
Si può agire sulla composizione del bagno per accelerare o ritardare la
rigenerazione: in particolare i sali di zinco svolgono una funzione ritardante.
Con bagni di coagulo di composizione opportuna e idonee condizioni di stiro
si possono preparare prodotti anche molto diversi dai normali fili viscosa: ad
esempio fili e filati di viscosa caratterizzati da una maggiore resistenza (fili
ad alta tenacità, vale a dire 3,5 – 4,5 g/den, contro gli 1,8 – 2,5 delle
viscose tradizionali); o anche viscose caratterizzate dal mantenimento del
valore di tenacità anche ad umido, per impieghi tessili ed industriali.
Durante la rigenerazione il filo può essere sottoposto a stiro, che
produce l’orientamento delle catene cellulosiche modificando la struttura
morfologica della fibra, responsabile delle caratteristiche tessili del prodotto.
Nel processo classico lo stiro e il completamento della rigenerazione possono
avvenire in uno o più momenti successivi all’estrusione. Nei fili per il
normale impiego tessile lo stiro medio è dell’ordine del 10 – 50%, per fili a
bave speciali può essere anche molto più elevato.
- Recupero del bagno di coagulo.
Il bagno di coagulo scorre in continuo alimentato da un impianto di recupero
che riceve, in continuo, il bagno di ritorno dal filatoio. Il recupero prevede la
degasificazione, per i composti solforati volatili, l’eliminazione del sale in
eccesso come Na2SO4 cristallino, l’eliminazione dell’eccesso di acqua per
concentrazione e il reintegro dell’acido consumato, oltre ad una filtrazione.
B - Il processo cuproammoniacale.
• Chimica del Processo e materie prime.
Il processo si basa sulla trasformazione della cellulosa in un suo
complesso cuproammoniacale, solubile in soluzione ammoniacale
dell’idrossido di rame.
Durante la dissoluzione, la cellulosa viene sottoposta ad una demolizione
ossidativa per ridurne il grado di polimerizzazione medio al fine di
raggiungere un valore prefissato di viscosità.
La cellulosa si rigenera quando la soluzione incontra e viene diluita dal
bagno coagulante di acqua leggermente alcalina, all’uscita dalla filiera. Il
successivo bagno acido completa la rigenerazione con la liberazione dei
componenti del complesso cuproammoniacale.
Anche in questo caso si tratta di un processo di rigenerazione per
reazione chimica ad umido.
Le materie prime di partenza sono:
• linters di cotone
• CuSO4
• CuSO4-3Cu(OH)2-2H2O, (solfato basico di rame)
• NaOH
• NH3, impiegata in forma gassosa e in soluzione ad alta
concentrazione: NH3 + H2O � NH4OH
• Fasi del Processo.
Il processo industriale è oggi realizzato con filatura in continuo; fino
all’estrusione è tuttavia lo stesso procedimento del processo tradizionale
discontinuo, rappresentato in Figura 1.5.
.
Figura 1.5
– Dissoluzione
La dissoluzione dei linters si compie in grandi reattori in cui è stata
preventivamente preparata la soluzione, con l’introduzione di ammoniaca e
solfato basico di rame, che danno luogo al solfato di tetraammino rame
(Cu(NH3)4)SO4, dal quale si origina il corrispondente idrato, con l’aggiunta di
soda caustica.
Il materiale fibroso viene frantumato dopo essere stato bagnato e quindi fatto
reagire sotto agitazione continua.
Durante la dissoluzione si insuffla aria per compiere, con l’aiuto dell’ossigeno, la
demolizione ossidativa delle catene cellulosiche, operando sotto stretto controllo
di temperatura (sotto i 25°C).
Il meccanismo del dissolvimento è molto complesso: l’idrato del complesso
amminico del rame attacca la cellulosa e la porta in soluzione. La soluzione
viene poi diluita con ammoniaca, fino a raggiungere il valore prefissato di
viscosità.
– Filtrazione
La filtrazione avviene con mezzi resistenti a solvente e ad alcali e deve
rimuovere contaminanti costituiti da sporco estraneo e particelle di cellulosa che
non hanno reagito a sufficienza.
– Degassaggio
Prima della filatura si procede al degassaggio per eliminare le bolle d’aria
inglobata e la maggior parte dell’aria disciolta nella massa; ciò si esegue
facendo colare la soluzione all’interno di torri, sotto vuoto.
Terminata l’operazione la soluzione è pronta per la filatura.
– Filatura
La filiera ha fori con diametro variabile da 0,5 a 0,8 mm, secondo
l’impianto.
Il bagno di coagulo entra dalla base della cella cilindrica e la percorre verso
l’alto. I filamenti in uscita dalla filiera sono trascinati dal bagno, con forte stiro
idraulico per la notevole accelerazione. A contatto col bagno la soluzione,
contenente il 9 % circa di cellulosa, coagula in filamenti plastici, perdendo
subito quasi tutta l’ammoniaca e parte del rame.
All’uscita dall’imbuto il filo è tirato con grande forza su un rullo immerso in un
bagno acido e fatto scorrere insieme ai fili provenienti da altre filiere su una
serie di rulli immersi in più vasche. La prima vasca è alimentata con un bagno
acido, le successive con acque di lavaggio correnti calde, alcune in equi- altre in
contro-corrente. L’ultimo trattamento subito ad umido è l’avvivaggio,
costituito da un bagno acquoso con coesionanti, ammorbidenti, lubrificanti,
emulgatori. Segue l’essiccamento eseguito con il passaggio del tappeto dei fili
in un forno costituito da camere riscaldate, con aspirazione dei vapori.
I fili essiccati pervengono quindi nella zona del filatoio deputata alla raccolta,
che avviene su bobina.
Un effetto notevole del metodo di filatura del
cupro, sia del filo continuo sia di quello
discontinuo, è la forma della sezione delle bave,
apprezzabilmente rotonda, con profilo
abbastanza liscio, senza le lobature e le
frastagliature tipiche delle fibre cellulosiche
artificiali.
Ciò è dovuto senz’altro all’azione dello stiro e in certa misura all’attrito con
l’acqua, dal momento in cui l’azione traente dei rulli diventa preponderante
rispetto alla forza di trascinamento dell’acqua stessa: lo stiro notevole
impedisce il consolidamento della parte più esterna della fibra, quindi questa
può ritrarsi, man mano che il filamento riduce la propria massa, senza
collassiare: in questo modo non si formano frastagliature sulla superficie.
� Depurazione dei liquidi di processo
Dal bagno di filatura rame ed ammoniaca vengono ricuperati su diversi impianti
a cascata e l’acqua neutralizzata viene riversata dove era stata prelevata. I
bagni di lavaggio confluiscono in vari stadi di lavorazione del recupero dei bagni
di filatura, lasciandovi rame ed ammoniaca residui.
Tutto il rame separato viene raccolto in un serbatoio di stoccaggio dei liquidi
con rame, donde tale liquido viene prelevato per la precipitazione del solfato
basico di rame, uno dei reagenti da impiegare nella dissoluzione della cellulosa.
Una terza linea a cascata raccoglie i liquidi contenenti l’ammoniaca, dai quali,
previa concentrazione, si ottiene solfato ammonico cristallino, che viene
venduto come fertilizzante. Uno schema del processo di depurazione è illustrato
in Figura 1.6.
Figura 1.6
1.2.2 – Derivati della cellulosa: l’acetato.
� Chimica del Processo e materie prime
Il processo di produzione dell’acetato si fonda sull’esterificazione della cellulosa (reazione
di equilibrio tra un acido e un alcool a dare un estere) compiuta con acido acetico.
Il composto è solubile in acetone e, per evaporazione di questo, forma la fibra, che non è
cellulosa 100 %, ma tuttora acetato cellulosa, poiché i radicali acetici di esterificazione
sono rimasti al proprio posto attaccati alla catena cellulosica.
La filatura avviene mediante un processo fisico, cioè per evaporazione del solvente viene
rimosso per evaporazione in condizioni opportune.
Le materie prime impiegate sono:
• Cellulosa con tenore alfa-cellulosa almeno del 94 %. E’ il prodotto al solfato
o al solfito già visto. Viene fornita in rotoli o in fogli.
• Acido solforico.
• Acido acetico (CH3COOH) utilizzato nella prima fase del processo si ottiene
per ricupero delle soluzioni diluite.
• Acetone (CH3COCH3) è il solvente migliore usato per l’acetato.
� Fasi del Processo.
E’ conveniente suddividere questo processo in due parti distinte:
� preparazione dell’estere acetico
� preparazione della soluzione di filatura.
Queste due fasi del processo globale non hanno necessità di continuità tra loro:
l’estere acetico prodotto della reazione di esterificazione (acetilazione) può essere
separato dalla soluzione e ottenuto allo stato solido, sotto
forma di chips denominati tecnicamente “flake” (fiocco,
scaglia).
L’acetato chimico allo stato solido è una sostanza stabile e
quindi può essere trasportato in un altro impianto per essere
filato anche a distanza di giorni o mesi.
� Processo di acetilazione.
Gli impianti di acetilazione possono operare mediante processi discontinui o
semicontinui. Nella Figura 1.7 è illustrato lo schema del processo.
Figura 1.7
- Sfibramento, rigonfiamento e pressatura.
La cellulosa sotto forma di fogli, viene introdotta in un reattore dove ha luogo
l’imbibizione con acido acetico diluito, sotto agitazione.
Lo scopo di questo trattamento è quello di far rigonfiare le fibre, sfibrare il
materiale e bagnare le fibrille, facendo penetrare l’acido al loro interno, per
attivarle per il successivo attacco chimico.
Prima di passare alla fase successiva, il materiale viene filtrato e pressato per
togliere l’eccesso d’acqua.
- Acetilazione (monoacetato).
Figura 1.8
La reazione nel reattore successivo, con acido acetico concentrato, trasforma
la cellulosa in monoacetato, cioè l’esterificazione non va oltre l’introduzione
di un solo gruppo acetico per ogni unità glucosidica. L’acetilazione può
proseguire impiegando anidride acetica anidra come agente acetilante,
sempre in presenza di acido solforico che ha funzione di catalizzatore:
quest’ultimo inizia la reazione e poi viene sostituito dal radicale acetico.
- Acetilazione (triacetato).
L’anidride acetica prosegue l’acetilazione, con decorso poco governabile oltre
la formazione del monoacetato: non si riesce a fermare la reazione al livello
di esterificazione voluto, ma essa prosegue fino ad acetilazione completa con
formazione del triacetato.
Cell—OH + (CH3CO)2O → Cell—O---COCH3 + CH3COOH
- Idrolisi e precipitazione del diacetato.
Se si vuole ottenere l’acetato, è necessario procedere all’idrolisi del
triacetato, bloccando la reazione al punto in cui l’acetilazione residua ha il
valore atteso. Il grado di esterificazione voluto è intermedio fra 2 e 3 e il
prodotto da ottenere è circa il 2,5 acetato (diacetato o acetato secondario).
Questa reazione d’idrolisi viene compiuta con una diluizione (moderata) della
massa acetica, controllando il decorso della reazione per via viscosimetrica.
La reazione è molto veloce e, a seconda dei processi, può richiedere anche
pochi secondi.
E’ seguita immediatamente dalla separazione del prodotto mediante
precipitazione: la soluzione acetica viene trafilata attraverso una filiera di
precipitazione contenuta in un reattore pieno d’acqua. La diluizione della
soluzione acida dell’acetato che trafila dai fori della filiera, ne provoca la
precipitazione poiché il composto non è più solubile nel bagno diluito. Man
mano che le gocce uscenti dal disco forato solidificano, vengono tagliate in
forma di “chips” da una lama che le investe, disperdendole nella massa
acquosa, dove la solidificazione e la perdita dell’acido proseguono,
estendendosi al loro interno.
- Lavaggio.
Un successivo lavaggio accurato viene eseguito in apposite torri di lavaggio,
in controcorrente di acqua demineralizzata. Il lavaggio deve essere spinto
finché il residuo di acidità del flake non sia superiore a poche ppm, per
evitare che l’acidità in eccesso depolimerizzi la catena cellulosica mediante
attacco chimico al legame etereo durante la fase di stoccaggio. Il flake che si
ottiene con questo sistema tradizionale di precipitazione dalla soluzione acida
ha un peso specifico apparente compreso tra 0,15 e 0,3 kg per litro (150 –
300 kg per metro cubo). Con una precipitazione realizzata con impianto
diverso, si può ottenere un flake di peso specifico apparente molto superiore:
0,4 –0,6 kg per litro. Il maggiore peso specifico dà dei vantaggi non
trascurabili: in primo luogo la forma compatta dei granuli limita la formazione
di polveri, che presentano qualità organolettiche inferiori e compromettono la
sicurezza nella gestione del processo (formazione di miscele esplosive con
l’aria); inoltre il flake a basso peso specifico ha maggiori costi di trasporto,
perchè deve essere trasportato come una sostanza liquida.
- Pressatura ed essiccamento.
Dopo il lavaggio accurato il flake viene filtrato / pressato per estrarre la
maggior parte dell’acqua di lavaggio e infine seccato in tunnel di
essiccamento con aria calda in controcorrente. Al termine di quest’ultima
operazione il flake è stoccato in silos pronto per l’uso, in impianto di filatura
contiguo o altrove.
� Produzione della soluzione di filatura.
Il flake viene trasformato in una soluzione filabile mediante dissoluzione con
solvente organico semplice e bassobollente. Il solvente impiegato per
l’acetato è una miscela di acetone (temperatura di ebollizione 56° C) e
acqua, nella proporzione di 95/5 parti in volume; l’acqua è un cosolvente ed
ha l’effetto di ridurre la viscosità della soluzione, che comunque rimane
dell’ordine di grandezza di 800 – 1300 Poise (misurata a 25°C).
Figura 1.9
- Dissoluzione.
La dissoluzione viene solitamente praticata in discontinuo o in continuo e
richiede alcune ore.
Si ottiene un collodio molto viscoso, detto “dope”, quasi incolore che per
essere filato richiede una filtrazione molto accurata; infatti i fori
capillari delle filiere hanno un diametro di 40 – 70 µm, dello stesso ordine
di grandezza di quelli della viscosa; ma le velocità di filatura, estrusione e
raccolta, sono notevolmente superiori. La presenza di contaminanti
renderebbe quindi problematica l’estrusione. I contaminanti sono costituiti
da sporco comune, particelle indisciolte o con grado di acetilazione
anomalo (inferiore a 2 o superiore a 2,7): queste ultime in acetone sono
insolubili, e si rigonfiano dando dei geli molto difficili da rimuovere.
- Purificazione.
I pacchi filtranti sono i più severi tra quanti si impiegano per le filtrazioni
dei collodi delle diverse fibre cellulosiche. Si filtra generalmente su
due/tre stadi a severità crescente, a caldo (temperature dell’ordine di 48–
55 °C).
- Additivazione.
Durante la preparazione, il dope greggio può essere addizionato di
coloranti o pigmenti per ottenere filo opaco, nero, colorato in colori vari,
oppure addizionato di particolari additivi per conferire un comportamento
antibatterico o ritardante di fiamma.
- Filatura.
La fibra si genera per evaporazione del solvente, sotto un’azione di
stiro che orienta le macromolecole. La trasformazione avviene a secco,
cioè senza intervento di un bagno di coagulo.
Prima dell’estrusione il dope viene riscaldato a 60-85 °C in apposito
scambiatore di calore situato in cima alla cella di filatura, per ridurre la
viscosità del dope e quindi la pressione necessaria per l’estrusione
attraverso i fori capillari della filiera. All’uscita dai capillari il filetto liquido
si trova immerso in una corrente di aria calda (temperatura compresa tra
60°e 90°C) in contro- o in equi-corrente.
Il filo è tirato verso il basso da una coppia di stiro e prima di essere
raccolto passa su un distributore di finitura.
Successivamente un dispositivo ad aria compressa interlaccia il filo, cioè
conferisce un aggrovigliamento casuale alle bave del filo con lo scopo di
dare una certa coesione ai filamenti, tale da consentire le lavorazioni
successive.
La raccolta può avvenire su bobina con pochissime torsioni (5 – 10 per
metro), o senza torsione (es. Leesona o Comoli).
- Recupero dell’aria acetonica.
L’aria contenente i vapori di acetone viene inviata al sistema di recupero
del solvente, dove viene fatta passare su carbone attivo che assorbe
l’acetone; esso viene quindi recuperato dal carbone strippando
quest’ultimo con vapore d’acqua ad alta temperatura ottenendo una
miscela acqua - acetone, che viene recuperato mediante distillazione.
Capitolo 2 – Additivi ritardanti di fiamma e loro applicazioni.
2.1 – Problematiche e rischi legati agli incendi.
2.1.1 – Generalità.
Per incendio si intende la rapida ossidazione di materiali combustibili, con
notevole sviluppo di calore, fiamme, fumo e gas ad alta temperatura.
Un incendio può svilupparsi soltanto se sono verificate
contemporaneamente le seguenti condizioni:
1. presenza di combustibili;
2. presenza di ossigeno;
3. raggiungimento di una temperatura minima pari alla
temperatura di accensione.
Nel caso in cui anche una sola di queste condizioni venga a mancare, l’incendio non
si sviluppa o, se già innescato, si estingue.
In generale la combustione di un materiale solido segue il meccanismo
descritto in Figura 2.1 [4].
Figura 2.1
I solidi polimerici, in presenza di una sorgente di calore non bruciano
immediatamente, ma vanno incontro al fenomeno della pirolisi: inizialmente si ha
la degradazione delle catene polimeriche, in seguito alla rottura dei legami
covalenti, con la formazione di vari prodotti intermedi e lo sviluppo di gas
infiammabili.
Il preciso meccanismo di degradazione dipende anche dalla natura del
materiale, dall’atmosfera e dall’ambiente in cui degrada il substrato polimerico.
Figura 2.2 [4]
Se il contenuto di ossigeno è ridotto, la pirolisi è endotermica ma, in
presenza di ossigeno, si manifesta la pirolisi ossidativa che è generalmente
esotermica.
Nel primo caso il solido iniziale non si decompone dando origine a
gas, ma va incontro a un lento rammollimento (smouldering) e si autoestingue,
soprattutto se sulla sua superficie si forma una barriera carboniosa stabile che
impedisce alla fiamma di lambire gli strati di materiale sottostanti.
Nel secondo caso, il materiale brucia vigorosamente (flaming),
perché una volta innescata la reazione, il calore generato provoca la rottura delle
lunghe catene polimeriche in molecole più piccole che si liberano allo stato gassoso.
Quando i prodotti iniziali di combustione miscelati con l’ossigeno raggiungono il
limite di accensione, essi bruciano sviluppando la fiamma. Ciò è dovuto al fatto che
l’energia termica liberata nel processo si trasforma in parte in energia radiante,
rendendo visibile la combustione violenta dei prodotti gassosi.
La fiamma si autoalimenta grazie all’azione di radicali liberi ad alta energia
(H• e •OH) che contribuiscono alla decomposizione dei gas precedentemente
formatisi, dando origine ad atomi di carbonio liberi che reagiscono esotermicamente
con l’ossigeno dell’aria liberando CO2. I radicali liberi, formati a differenti stadi del
processo di combustione, giocano un ruolo determinante durante il processo
influenzando la velocità e la quantità di calore rilasciato e il conseguente sviluppo
della fiamma.
2.1.2 – Rischi per l’organismo umano.
I casi di incendio di maggiore impatto sull’opinione pubblica sono quelli che
riguardano incidenti avvenuti in spazi ad elevata affluenza di pubblico. In realtà
dalle statistiche emerge che la maggior parte degli incidenti, spesso mortali, causati
dal fuoco, avviene in ambiente domestico.
I danni causati dal fuoco all’organismo umano sono principalmente dovuti a
ustioni, tossicità dei fumi emessi, opacità dei fumi, che spesso impedisce al
soggetto di individuare le vie di fuga.
Per quanto riguarda gli effetti dell’aumento di temperatura sull’epidermide, è
stato evidenziato che già temperature superiori a 44° C possono comportare danni,
mentre temperature intorno ai 70° C, provocano ustioni. In particolare uno studio
di Hoschke (1981) che prende in considerazione temperatura ed entità del flusso di
calore, ha individuato tre aree di rischio (condizione normale, di rischio e di
emergenza): in particolare, un’esposizione per 30 s a 180° C può provocare danni
all’epidermide, mentre un’esposizione per 15 s a un flusso di calore di 0,1
cal/cm2*s, causa un’ustione di secondo grado.
Tuttavia gli incidenti mortali dovuti al fuoco sono principalmente imputabili al
rilascio di fumi tossici.
Le principali reazioni di combustione generano biossido e monossido di
carbonio:
C + O2 →→→→ CO2
2 C + O2 →→→→ 2 CO
Entrambe le reazioni sono esotermiche e ciascuna libera una quantità di
calore pari a 395 kJ. La quantità di ossigeno presente nell’ambiente determina la
formazione dell’uno o dell’altro prodotto. In condizioni di scarsità di ossigeno si ha
la formazione prevalente di monossido di carbonio, che è in grado di entrare nella
circolazione e di legarsi all’emoglobina presente nel sangue, provocando
avvelenamento. L’effetto di questo gas è letale già ad una concentrazione del 2-
3%.
2.2 – Comportamento al fuoco di materiali tessili.
Tutti i prodotti tessili sono infiammabili, ma bruciano in modo diverso a
seconda delle condizioni e di alcuni parametri facilmente controllabili dall’uomo:
dimensioni fisiche, natura chimica delle fibre e loro orientamento all’interno
del manufatto.
Si avranno quindi superfici tessili più facilmente infiammabili, con
differenti tassi di estensione della fiamma e diversi valori di calore rilasciato durante
la combustione; in particolare, uno dei parametri centrali da considerare è il
rapporto tra la massa e la superficie del materiale stesso: tanto minore è questo
rapporto, tanto più facilmente e velocemente brucerà il materiale.
Allo stesso modo, un tessuto pesante brucerà più lentamente di un tessuto
leggero realizzato con lo stesso materiale; inoltre fibre che emergono dalla
superficie facilitano la combustione: un tessuto molto battuto e lisciato, brucia
con più difficoltà di uno in cui la superficie tessile presenti molte “code” di fibra
libere.
Inoltre, l’impiego finale del materiale tessile influenza largamente il supo
comportamento al fuoco: in particolare, in Tabella 2.1 sono riportati i differenti
livelli di rischio da fuoco riscontrabili nelle varie applicazioni dei tessuti per
arredamento.
Tabella 2.1 – Rischi da fuoco nelle varie applicazioni di tessuti per arredamento[6].
Tende, tendaggi e materiali sospesi È l’applicazione più critica perché: • il calore sale verso l’alto • esposta all’aria da ambo i lati • soggetta a trasportare le fiamme • diffusa in tutti gli ambienti
Mobili imbottiti e materassi Impiego molto critico (particolarmente per “bedding”), perché innescabile dalle fonti più banali
Rivestimenti murali Criticità dipendente da modalità di posa: • per tessuti tesi, la pericolosità
è simile a quella dei tendaggi; • per tessuti incollati su supporti
non combustibili la pericolosità è minore.
Pavimentazioni È l’applicazione meno critica perché: • posizione orizzontale • incollata a supporti non
combustibili • in pratica non propaga l’incendio • brucia lentamente, agevolando lo
spegnimento
Un altro parametro che influenza la facilità di ignizione del materiale è la
termoplasticità. In particolare, i tessuti realizzati con fibre sintetiche
termoplastiche (es. poliestere) tendono a fondersi e a ritrarsi dalle piccole
fiammelle e quindi risultano più difficilmente infiammabili con un fiammifero o un
accendino. Le fibre non termoplastiche (es. cotone) e le miste cotone-poliestere
non fondono e sono più suscettibili di ignizione, se aggredite da fiamme piccole.
Anche la natura chimica della fibra influisce sulle doti di “flame retardancy”:
tanto maggiore è la presenza di carbonio e idrogeno, tanto maggiore sarà la
quantità di calore rilasciata dal materiale quando brucia; ad esempio, a parità di
massa, le fibre sintetiche rilasciano molto più calore delle cellulosiche.
La capacità ignifuga intrinseca di un materiale viene misurata indirettamente
attraverso un parametro indicato come LOI (Limiting Oxygen Index): esso
rappresenta la percentuale di ossigeno che deve essere presente nell’atmosfera
(composta da ossigeno e azoto) affinché il materiale bruci e mantenga la
combustione, se esposto alla fiamma. Poiché la percentuale di ossigeno contenuta
nell’aria è pari al 21%, i materiali con LOI inferiore a 21 bruciano all’aria,
mentre quelli con LOI superiore a 21 sono ignifughi, in misura maggiore quanto
più il valore del LOI è alto; si può dire che le fibre con LOI superiore a 28 hanno un
buon comportamento flame retardant.
Come evidenziato dal grafico in Figura 2.3 esiste un gruppo di fibre, sia
naturali, sia man-made, di facile infiammabilità, caratterizzate da indici LOI
compresi tra 18-20 e 22.
Figura 2.3
0 10 20 30 40 50 60
AcetatoAcrilica
PPCotone
ViscosaPoliestere
PoliammidicaLana
Cotone FRViscosa FR
Poliestere FRModacrilica
Lana FRClorovinilica
AramidichePA-immidePoliacrilati
PBIAcril.pre-ox
% O2 (LOI)
Resistenti al calore
Flame retardant
Infiammabili
Le fibre caratterizzate da valori di LOI compresi tra 28 e 31 hanno avuto
la maggiore diffusione per la produzione di manufatti tessili principalmente destinati
all’arredamento di ambienti a rischio, sottoposti alle specifiche normative sulla
prevenzione incendi. Queste fibre, grazie alla loro struttura molecolare ottenuta
durante il processo di polimerizzazione, hanno il vantaggio di conferire ai tessuti
proprietà ignifughe permanenti, esplicando un’azione di ritardo o di inibizione della
fiamma.
Un livello ancora superiore di LOI (da oltre 30 a 50) caratterizza un
terzo gruppo di fibre, quelle resistenti al calore, quali le fibre di carbonio, le fibre
aramidiche e altre costituite da polimeri a nuclei aromatici o ciclici condensati. I
prodotti tessili con esse realizzati, nella decomposizione tendono a carbonizzare e
non emettono gas infiammabili. Sono manufatti tecnici di costo elevato.
Nella Tabella 2.2 sono riassunte le principali caratteristiche dei vari gruppi di
fibre sopra illustrate.
Tabella 2.2 – Classificazione dei tessili antifiamma[6].
Tipologia Fibre componenti Caratteristiche Non combustibili Fibre di vetro
Fibre minerali Fibre metalliche
Eccellente reazione al fuoco Scarse proprietà tessili Impiego limitato
Resistenti al calore Fibre al carbonio Fibre aramidiche Fibre poliimmidiche
Ottima reazione al fuoco Scarse proprietà tessili Costo elevato Impieghi high-tech
Intrinsecamente FR Fibre man-made intrinsecamente additivate con prodotti ignifughi
Buona reazione al fuoco Ottime proprietà tessili-estetiche Resistenti al lavaggio Costo accettabile dal mercato Impieghi high-tech
Tradizionali post-trattati Fibre tradizionali, trattate in superficie con prodotti ignifughi
Buona reazione al fuoco Non permanenti nel tempo Sensibili a lavaggi ed abrasione
È evidente, da quanto sopra esposto, e in particolare dall’esame delle due
tabelle riportate, che la semplice conoscenza dell’indice LOI di un materiale non è
un dato significativo ai fini della valutazione del suo comportamento al fuoco, che è
determinato da numerosissimi fattori. Come si vedrà nel seguito, le prove
necessarie a valutare la reazione al fuoco di un materiale ne simulano la condizione
finale di utilizzo, proprio per tener conto il più possibile di tutte le variabili in gioco.
2.3 -Il ruolo degli additivi FR nella riduzione del
pericolo e del rischio di incendi.
Gli additivi flame retardant, incorporati direttamente nei materiali polimerici,
agiscono per ridurre il pericolo e il rischio di incendi interferendo con le
caratteristiche di combustione dei materiali stessi.
Le principali classi di sostanze flame retardant sono:
• Sostanze alogenate (a base di cloro o bromo).
• Prodotti contenenti fosforo (fosforo rosso, polifosfato di ammonio,
polifosfati melamminici, fosfonati, ecc…).
• Prodotti contenenti azoto (principalmente a base di melammina)
• Prodotti inorganici (alluminio triidrato, idrossido di magnesio, composti del
boro, borato di zinco, composti vari a base di zinco e piombo, ecc…)
Talvolta tali sostanze sono usate in miscela poiché, combinando i vari meccanismi,
si possono avere azioni sinergiche.
In base alla loro natura, i ritardanti di fiamma possono agire chimicamente
e/o fisicamente nella fase solida o nelle fasi liquide e gassose, interferendo con la
combustione in diversi momenti del processo (durante il riscaldamento, la
decomposizione, l’innesco, lo sviluppo della fiamma, ecc…).
Tali additivi agiscono principalmente attraverso i seguenti meccanismi:
• incrementando la quantità di calore necessaria per la pirolisi,
rendendo così necessarie per la combustione fonti di calore più
intense;
• facilitando la produzione di prodotti volatili incombustibili;
• riducendo la quantità e la velocità di formazione dei gas
combustibili;
• favorendo, durante la pirolisi, l’emissione di prodotti volatili
inibitori di ossidazione, in grado di rallentare la combustione.
Esaminando nel dettaglio le varie classi di additivi elencate precedentemente, si
possono individuare i loro principali meccanismi di azione:
• Sostanze alogenate. Sono tra le più comuni e spesso sono anche quelle più
efficaci. Agiscono principalmente avvelenando la fiamma nella fase gas,
cioè sottraendo i radicali liberi H• e •OH che favoriscono la combustione. In
particolare rilasciano dei radicali Br• e Cl• che, reagendo con le molecole
idrocarburiche dei gas infiammabili generano HBr o HCl. Questi ultimi si
ricombinano con i radicali ad alta energia H• e •OH formando acqua e
rigenerando i radicali a più bassa energia Br• e Cl• che possono rientrare nel
ciclo. L’efficacia di tali sostanze dipende dal numero di atomi di alogeno in
esse contenuti e anche, molto pesantemente, dal controllo del rilascio di tali
atomi. In particolare il cloro viene rilasciato in un più ampio intervallo di
temperatura rispetto al bromo e quindi è presente nella zona della fiamma a
concentrazioni più basse, risultando meno efficace. Il bromo, invece,
essendo rilasciato in un intervallo di temperatura più ristretto, raggiunge la
concentrazione ottimale nella zona della fiamma. I ritardanti di fiamma a
base di alogeni sono talvolta usate in combinazione con il triossido di
antimonio che, pur non avendo attività intrinsecamente antifiamma,
funziona da catalizzatore, esaltando l’effetto di soppressione della fiamma,
caratteristico dei composti alogenati.
• Prodotti contenenti fosforo. Generalmente agiscono nella fase solida,
favorendo la carbonizzazione del substrato in cui sono dispersi e quindi
rallentando la propagazione della fiamma. Il fosforo riscaldato reagisce dando
origine ad acido fosforico polimerico. Quest’ultimo provoca la carbonizzazione
del materiale polimerico, con formazione di uno strato vetroso che inibisce il
processo di pirolisi, non più alimentato da combustibile gassoso. Inoltre lo
strato intumescente protegge il polimero sottostante dal calore della fiamma
• Prodotti contenenti azoto. I meccanismi d’azione di tali composti non
sono ancora completamente noti, ma si può pensare che abbiano i
seguenti effetti:
• Formazione di strutture molecolari reticolate nel
materiale trattato. Queste sono relativamente stabili
ad alte temperature e inibiscono fisicamente la
formazione di gas combustibili, necessari ad
alimentare la fiamma.
• Rilascio di azoto gassoso che diluisce i gas
infiammabili, riducendo l’entità della fiamma.
• Azione sinergica con altri tipi di ritardanti di fiamma,
tipicamente a base di fosforo, con potenziamento della
loro azione. Infatti, per aumentarne l’efficacia, i ritardanti
di fiamma a base di azoto sono spesso usati in
combinazione con composti a base di fosforo.
• Prodotti inorganici (borati, silicati, ossidi di alluminio etc.). Esplicano la
loro attività secondo vari meccanismi:
• per formazione di uno strato carbonizzato
superficiale;
• per raffreddamento e/o diluizione della fiamma da
parte di acqua o gas non infiammabili.
Generalmente non sono molto efficaci e devono essere impiegati a
concentrazioni elevate oppure in combinazione con altri tipi di ritardanti di fiamma.
I ritardanti di fiamma inorganici comprendono:
• triidrato di alluminio: questo composto agisce con una
combinazione di tutti i meccanismi sopra illustrati. A
circa 200° C si decompone in ossido di alluminio (che
forma uno strato protettivo, non infiammabile, sulla
superficie del materiale) e acqua (sotto forma di vapore).
Quest’ultima genera uno strato di gas non infiammabile
sulla superficie del materiale, inibendo la formazione della
fiamma. La reazione è endotermica, cioè assorbe calore,
sottraendolo al materiale e rallentandone così la
combustione;
• idrossido di magnesio: agisce con gli stessi meccanismi
dell’alluminio triidrato, ma si decompone a temperatura
superiore (circa 300° C);
• composti del boro: anch’essi agiscono rilasciando
acqua, con reazione endotermica, e generando uno strato
vetroso protettivo sulla superficie del materiale; Possono
anche rilasciare acido borico, che provoca la
carbonizzazione del materiale, riducendo l’emissione di
gas infiammabili (come avviene per i ritardanti di fiamma
a base fosforo);
• borato di zinco: è un ritardante di fiamma
“multifunzione”, che può potenziare l’azione degli alogeni,
agendo in sinergia con l’ossido di antimonio; nei sistemi
antifiamma privi di alogeno promuove invece la
formazione di uno strato superficiale ceramico.
• composti a base di zinco e stagno: sono adatti a
ridurre l’emissione di fumi da materiali contenenti cloro,
promuovendo la carbonizzazione superficiale o agendo in
sinergia con i ritardanti di fiamma alogenati o
melamminici, potenziandone l’efficacia.
2.4 – Riferimenti normativi.
2.4.1 – Normativa nazionale.
In Italia, le norme riguardanti la resistenza al fuoco dei materiali discendono
tutte dal D. M. del 26/6/1984 che definisce:
• i metodi di analisi per la determinazione dalla Classe di reazione
al fuoco;
• le tipologie di materiali interessati;
• le procedure da seguire per la classificazione e la certificazione di
un determinato prodotto.
In particolare si definisce reazione al fuoco di un materiale il suo grado di
partecipazione ad un incendio.
• I materiali vengono suddivisi in Classi di reazione al fuoco,
assegnate valutando il materiale nelle sue condizioni di utilizzo finale.
Nella classificazione di un materiale vengono considerati tre aspetti del
suo comportamento sotto l'azione del fuoco:
• la velocita' di propagazione della fiamma;
• la emissione di fumi irritanti o tossici;
• il gocciolamento di materiale incandescente.
• Le classi sono 6, numerate da 0 a 5, secondo il grado crescente di
partecipazione del materiale all’incendio; per i materiali da costruzione,
di arredo e di rivestimento sono considerate le sole classi “0” (materiali
incombustibili, generalmente elementi strutturali di costruzioni), “1” e
“2”. Solo per gli arredi imbottiti sono adottate le classi speciali “1IM” e
“2IM”.
• Le prove necessarie alla determinazione della classe di reazione al
fuoco di un materiale sono disciplinate dalle norme descritte in Tabella
2.3.
• La procedura da seguire per l’assegnazione della classe di reazione al
fuoco è descritta dalla norma UNI 9177 (Classificazione di reazione al
fuoco dei materiali combustibili). Per tutti i materiali da testare (con
l’eccezione dei mobili imbottiti, per i quali basta eseguire la prova
regolamentata dalla UNI 9175) è necessario combinare la valutazione
ottenuta in due diverse prove tra quelle riportate nella tabella
seguente. Tutti i materiali devono essere testati nelle stesse condizioni
in cui verranno utilizzati nell’impiego finale; a tale la preparazione dei
campioni deve essere conforme alla norma UNI 9176 (Preparazione dei
materiali per l’accertamento delle caratteristiche di reazione al fuoco).
• Tabella 2.3 – Prove di reazione al fuoco.
• Norma • Anno • Titolo
• UNI
8456
• 1987 • Materiali combustibili
suscettibili di essere investiti
dalla fiamma su entrambe le
facce. Reazione al fuoco
mediante applicazione di una
piccola fiamma.
• UNI
8457
• 1987 • Materiali combustibili
suscettibili di essere investiti
dalla fiamma su una sola
faccia. Reazione al fuoco
mediante applicazione di una
piccola fiamma.
• UNI
9174
• 1987 • Reazione al fuoco dei
materiali sottoposti all’azione
di una fiamma d’innesco in
presenza di calore radiante.
• UNI
9175
• 1987 • Reazione al fuoco di mobili
imbottiti sottoposti all’azione
di una piccola fiamma.
• Le prove possono essere eseguite:
• soltanto ai fini della classificazione (ambito volontario);
• ai fini della certificazione e successiva omologazione (ambito cogente).
• I metodi di prova e la classificazione dei materiali sono gli stessi,
mentre cambiano gli adempimenti burocratici.
• In Italia, allo stato attuale, l’uso dei materiali certificati è
obbligatorio nei locali di pubblico spettacolo, negli alberghi, nelle
scuole, sui mezzi di trasporto pubblico.
2.4.2 – Normative sovranazionali e vigenti in altri paesi.
Attualmente le normative in materia di sicurezza al fuoco dei materiali
per arredamento in vigore nel Regno Unito, in Irlanda e in California sono
molto più rigide rispetto al resto dell’Europa e degli Stati Uniti. Questi paesi
applicano regolamenti altrettanto rigidi al settore dei trasporti pubblici, ma non alle
autovetture private; esistono inoltre leggi locali abbastanza restrittive per gli
alberghi e gli edifici pubblici. Normative molto restrittive sono inoltre applicate a
tutti i prodotti di arredamento e biancheria per le stanze da letto sia per uso
pubblico, sia per uso privato. In particolare il “bedding” per bambini è sottoposto a
regolamenti estremamente severi.
Nel Regno Unito, dove la normativa inerente la “Sicurezza al fuoco per
l’arredamento” è in vigore dal 1988, si stima questa comporti un costo aggiuntivo di
22-30 € sul singolo prodotto, con un costo totale di 33-45 milioni di euro l’anno per
il consumatore, a fronte di un risparmio di circa 80 milioni di euro sulle spese
assicurative, senza contare quello sui costi sociali legati alle vite umane. Si stima
infatti che, a partire dal 1997, l’applicazione di tali norme abbia contribuito a
salvare circa 140 vite all’anno e ad evitare più di 1100 feriti all’anno.[9]
Queste cifre sono destinate crescere per i prossimi 10-20 anni, man mano che gli
arredi soggetti alla precedente normativa verranno tolti dal mercato e sostituiti con
i nuovi.
In Tabella 2.4 è riportato un prospetto delle principali norme in vigore nei
principali paesi europei.
Note alla tabella 2.4:
[a] – La norma EN 1021-2 è recepita da numerosi paesi dell’Unione
Europea (Austria, Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo,
Olanda, Spagna e paesi scandinavi) e dalla Svizzera; tuttavia in tali
paesi è soltanto una norma volontaria, senza valore di legge.
[b] – Norma applicata anche in Irlanda.
[c] – Fiamma prodotta da 20 g di carta accartocciata.
Tabella 2.4 –Principali norme sovranazionali ed estere (Europa).
Paese Normativa Campo di
impiego
Fonte di
incendio
Applicazione
fiamma
EN 597-1 Materassi
Strutture letto
imbottite
Sigaretta
EN 597-2 Materassi
Strutture letto
imbottite
Piccola fiamma
EN 1021-1 Sigaretta
Unione
Europea
EN 1021-2[a]
Mobili imbottiti Piccola fiamma
Confluenza
sedile-schienale
DIN EN 1021 1+2 Mobili imbottiti Sigaretta
Fiamma da
propano
Confluenza
sedile-schienale
DIN 66084 Mobili imbottiti
Imbottitura sedili
treni
Tampone di
carta 100 g
Sigaretta
Fiamma da
propano
Confluenza
sedile-schienale
DIN 66082 Tendaggi Fiamma
omologata
Diretta verso
estremità
tessuto
B2 Fiamma
omologata
Germania
DIN 4102-1 Edifici
Mat. costruzione
Tess. decorativi
Tess. per mobili
B1 Camera di
combustione
Diretta verso
estremità
tessuto
Regno
Unito
BS EN 1021 1+2 Tess. per mobili Sigaretta Confluenza
sedile-schienale
BS 5852[b] 1+2 Tess. per mobili Sigaretta
“Crib 5”[c]
BS 5438 Tessili (in genere)
BS 5867 Tendaggi
Tess. decorativi
Fiamma
omologata
Diretta verso
superficie
tessuto
BS 6807 Materassi
Divani
Strutture letto
Combustione
primaria e
secondaria
La California è l’unico stato degli USA ad avere, dal 1975, una normativa
antincendio molto restrittiva per l’arredamento. Si stima che l’estensione delle
norme californiane a tutti gli Stati Uniti consentirebbe di evitare 4000 incendi e 500
decessi l’anno.[10]
Tabella 2.5 –Principali norme in vigore nello stato della California
Paese Normativa Campo di
impiego
Fonte di
incendio
Applicazione
fiamma
Cal TB 117 (A+D)
(Norma cogente per
arredi domestici)
Tess. per mobili
imbottiti
Fiamma 10 mm Prova a 45°
Cal TB 116
(Norma volontaria)
Tess. per mobili
imbottiti
Sigaretta
Centro e bordo
seduta, bracciolo,
schienale sup.,
confluenza sedile-
schienale
California
Cal TB 133
(Norma cogente)
Tess. per mobili
imbottiti
Fiamma 18 kW Bruciatore anulare
a gas
Per quanto riguarda il “bedding” in generale, nel 2001 lo Stato della
California ha approvato un disegno di legge (Assembly Bill 603) che rende
obbligatorio per tutta la biancheria da letto in vendita nel territorio statele, il
superamento dei nuovi test di resistenza alla piccola fiamma.
Nel 2004 la versione definitiva del metodo di prova TB603, contenente criteri di
ammissibilità e definizioni è stata approvata da tutte le agenzie governative
californiane. Dal 2005 i requisiti di conformità al metodo TB603 sono norme
cogenti per materassi e prodotti analoghi destinati alla vendita in questo stato.
2.5 – Mercato dei prodotti Flame Retardant.
Per l’anno 2004 il consumo mondiale di additivi flame retardant negli
Stati Uniti, in Europa e in Asia ammontava a 1,5 milioni di tonnellate, con un giro
d’affari valutato in 2.8–2.9 milioni di dollari. Si stima per questo tipo di mercato un
tasso di crescita annua del 3% circa in volume, dal 2004 al 2009.
In Figura 2.4 è rappresentato il consumo di additivi flame retardant nelle
principali aree del mondo.
Figura 2.4
L’Estremo Oriente, ad eccezione del Giappone, rappresenta il mercato più
promettente per i ritardanti di fiamma, perché la produzione di beni di consumo che
richiedono il rispetto di normative di sicurezza al fuoco si sta spostando verso queste
aree.
In Figura 2.5 è rappresentato il consumo di additivi flame retardant, per
categoria di composto, nelle principali aree del mondo.
Figura 2.5
2.6 – Problematiche ecotossicologiche.
Alla fine degli anni ’90 si è sviluppato un particolare interesse nei confronti delle
implicazioni ecotossicologiche degli additivi ritardanti di fiamma.
Per quanto riguarda gli effetti di tali composti sul corpo umano, esistono prove
scientifiche della loro tossicità e sono sospettati di essere cancerogeni.
Tuttavia nella valutazione del rischio connesso all’utilizzo di tali prodotti, la
loro azione positiva di protezione dal fuoco ha un peso preponderante rispetto
all’eventualità di un possibile danno chimico da essi provocato.
L’utilizzo di additivi ritardanti di fiamma è disciplinato da varie normative che
hanno lo scopo di tutelare la salute del consumatore. In particolare la Direttiva
67/548/CEE (e successive modifiche) stabilisce che le sostanze a cui siano associate
le frasi di rischio riportate in Tabella 2.6, debbano essere presenti in quantità
inferiore allo 0,1% in peso, sul totale del prodotto esaminato.
Tabella 2.6
Effetti sull’uomo.
R40 Possibilità di effetti irreversibili.
R45 Può provocare il cancro.
R46 Può provocare alterazioni genetiche ereditarie.
R49 Può provocare il cancro per inalazione.
R60 Può ridurre la fertilità.
R61 Può danneggiare i bambini non ancora nati.
R62 Possibile rischio di ridotta fertilità.
R63 Possibile rischio di danni ai bambini non ancora nati.
R68 Può provocare effetti irreversibili.
Effetti sull’ambiente.
R50 Altamente tossico per gli organismi acquatici.
R51 Tossico per gli organismi acquatici.
R52 Nocivo per gli organismi acquatici.
R53 Può provocare a lungo termine effetti negativi per l’ambiente acquatico.
Come si può vedere dalla tabella precedente, la Direttiva sopra citata prende in
esame anche i danni arrecati all’ambiente.
Anche in questo caso bisogna effettuare un bilancio tra il possibile danno ambientale e
i vantaggi apportati dall’utilizzo di additivi flame retardant; in particolare essi
contribuiscono a ridurre l’emissione in atmosfera di gas tossici sviluppati durante gli
incendi. Inoltre contribuiscono a migliorare le caratteristiche di riciclabilità dei
materiali in cui sono contenuti oppure, nel caso in cui questi ultimi vengano smaltiti
per incenerimento, non danno luogo a sostanze nocive durante la combustione,
aumentando la stabilità dei prodotti emessi.
Capitolo 3 – Sviluppo del progetto.
3.1- Generalità e stato dell’arte.
Come è stato dichiarato precedentemente, lo scopo del presente progetto di
ricerca è finalizzato all’ottenimento di fibre cellulosiche continue con proprietà
antifiamma permanenti, che possano essere utilizzate per l’arredamento di luoghi
pubblici e mezzi di trasporto.
Le principali fibre flame retardant presenti sul mercato sono:
o Viscosa in fiocco flame retardant (produttore: Lenzing).
o Visil viscosa in fiocco additivata con silice (produttore: Sateri-Finlandia).
o Poliestere flame retardant (principalmente Trevira CS; Hoecst). E’ una fibra
continua ottenuta per copolimerizzazione con monomeri contenti sostanze
flame retardant; è la più utilizzata nel settore dei tendaggi ed arredamento.
o Fibre Modacriliche (es. Kanekaron) ottenute per copolimerizzazione di
monomeri con caratteristiche flame retardant:
o Clorofibre, derivate dalla polimerizzazione del polivincloruro (es. Rhovyl).
Allo stato attuale non esistono sul mercato fibre cellulosiche continue con proprietà
flame retardant.
3.2 – Procedura di ricerca e sviluppo.
FASE 1 – Individuazione di additivi compatibili con la chimica dei processi
(Acetato, Cupro, Viscosa).
• Reperimento Schede Tecniche di prodotto.
• Contatti con i fornitori.
• Schede di sicurezza.
• Valutazioni tossicologiche, ecologiche ambientali.
� Criticità:
o Compatibilità chimica (reattività, interazioni con solventi,
catalisi, ecc.)
o Compatibilità chimico-fisica (stabilità delle
soluzioni/sospensioni, dimensioni delle particelle, ecc.)
FASE 2 – Sperimentazioni di laboratorio.
• Preparazione delle soluzioni di collodio (acetato, viscosa, ecc.) e
dispersione degli additivi.
• Prove di “filmatura” (per individuare eventuali coaguli e opacizzazioni).
• Determinazione delle viscosità a % crescente.
• Impiego di disperdenti per la stabilizzazione delle pre-dispersioni
(concentrazione e tipologia).
• Impiego di contatori di particelle per la determinazione delle distribuzioni
dimensionali.
FASE 3 – Filature sperimentali (max 10 kg di prodotto; 2-3 spezzoni di filo)
con collodio non filtrato, su un’unica testa di filatura.
• Verifica filabilità collodio.
• Caratterizzazioni meccaniche.
• Difettività delle confezioni
• Produzione di campioni per test di tingibilità.
• Produzione di campioni per determinazione del LOI.
• Determinazione della percentuale di additivo presente sul filo
(quantitativa).
• Determinazione della percentuale di additivo presente sul filo
(microscopia ottica e a raggi X, ecc.).
� Criticità:
o Mantenimento delle proprietà meccaniche negli standard di
prodotto.
o Ottenimento di LOI ≥ 28.
o Filabilità continuativa (48 ore).
FASE 4 – Filature semi-industriali.
• Produzione sugli impianti pilota o su parti di filatoi industriali (10-25
posizioni) di filo FR in modo continuativo per un periodo superiore a 15
giorni.
Verifica di:
o Adeguatezza del sistema di preparazione delle pre-dispersioni,
alle concentrazioni definite dal laboratorio (stabilità,
agglomerazioni, corpo di fondo, distribuzione dimensionale
delle particelle di additivo FR.
o Verifica dell’efficacia/efficienza dei sistemi filtranti (durata dei
filtri, capacità di trattenimento, dinamica di incremento delle
pressioni, concentrazioni in-out).
o Efficacia dei sistemi mixer (capacità di incorporare la
soluzione pre-dispersa nel collodio principale)
� Aggregazioni, precipitazioni dovute agli sforzi di taglio
elevato, ecc.
� Produzione di dispersioni omogenee (produzione di
pellicole, microscopia ottica, raggi X).
o Filatura (durata dei filtri filiera, build-up sui fori filiera,
stabilità di filatura, caratteristiche dinamometriche del filo,
colore, attriti, ecc.).
FASE 5 – Cicli tessili.
• Ispezione visiva delle confezioni prodotte (bavosità, loops, fili incollati,
ecc.).
• Torcitura del filo (numero di rotture e rese di scelta dopo ispezione
visiva).
• Orditura (rotture/milione di metri).
• Incollaggio (compatibilità con colle viniliche/acriliche; rotture).
• Tessiture / Tintorie (rotture a telaio, bavosità e aspetto dei tessuti,
uniformità tintoriale, ecc.).
FASE 6 – Test specifici FR.
• Realizzazione di costruzioni differenti finalizzate al superamento dei test
previsti in conformità alle normative specifiche per i settori di impiego:
o Rivestimento.
o Drappeggio.
• Sono previste costruzioni 100% fibre cellulosiche FR (verifica delle
proprietà FR del materiale) e costruzioni di tessuti misti (es. viscosa FR +
poliestere FR.
• Verifica della % minima di ciascun componente nella costruzione del
tessuto.
• Resistenza delle proprietà FR ai finissaggi e ai lavaggi.
Bibliografia.
Introduzione
[1]- BembergCell S.p.A. – Sito aziendale – www.bembergcell.com
Capitolo 1 – Le fibre cellulosiche.
[2]- AA. VV. – Le fibre cellulosiche artificiali. Il filo continuo. - Assofibre, 2000-2001
Capitolo 2 – Additivi ritardanti di fiamma e loro applicazioni.
[3]- M. Stringhetta – Lezioni tenute al Master “Tessile e Salute” , 2006
[4]- Cefic (European Chemical Industry Council), (a cura di) – How do flame retardants Work? – www.cefic-efra.com, 2006
[5]- A. Tempesti – Tessili Flame Retardant– Como, Tessile di qualità n°1, 2001
[6]- G. Belletti – I Tessili alla prova del fuoco.– TTI n°11, 2003
[7]- M. Tomasini – C’è modo e modo di andare a fuoco.– TTI n°11, 2003
[8]- Cefic (European Chemical Industry Council), (a cura di) – Applications of flame retardants: Fire safety of upholstered furniture– www.cefic-efra.com, 2006
[9]- Department of Trade and Industry UK - Effectiveness of the Furniture and Furnishings Fire Safety Regulations 1998. - http://www.dti.gov.uk/homesafetynetwork/bs_rfffr.htm, 2000
[10]- US National Association of State Fire Marshals - California vs US fires.- http://66.151.177.220/issues/home/home_pdf/furn_pdf/cal_vs_us_furn.pdf
[11]- A. C. Handermann – Flame resistant barriers for home furnishings: March 2004 Update. - Basofil Fibers, LLC, Enka, North Carolina, 2004
[12]- SRI Consulting, (a cura di) – Report: Consumption of flame retardants 2004. – www.sriconsulting.com
[13]- M. Croci – Lezioni tenute al Master “Tessile e Salute” , 2006
[14]- O. Manor, P. Georlette – Flame retardants and the environment.- Specialty Chemical Magazine, September 2005
Capitolo 3 – Sviluppo del progetto.
[15]- BembergCell S.p.A. – Documentazione interna.
Ringraziamenti. Desidero ringraziare tutto il gruppo di lavoro della Divisione Ricerca &
Sviluppo dell’azienda BembergCell S.p.A., per aver reso possibile la
realizzazione di questo lavoro di ricerca.