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PROTESTO ILLEGITTIMO - Giuseppe Fedeli1736 per l'assegno. La pubblicità del protesto, a cura della...

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diritto / NUOVI CASI Giuseppe Fedeli PROTESTO ILLEGITTIMO FONDAMENTI E FORMANTI NORMATIVI E GIURISPRUDENZIALI Cendon LIBRI
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diritto / NUOVI CASI

Giuseppe Fedeli

PROTESTO ILLEGITTIMO

FONDAMENTI E FORMANTI NORMATIVI E GIURISPRUDENZIALI

Cendon LIBRI

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Diritto – Danni e responsabilità

Nell'ordinamento italiano la disciplina fondamentale del protesto è contenuta negli artt. 51-73 del

R.D. 14 dicembre 1933 n. 1669 per la cambiale e negli artt. 45-65 del R.D. 21 dicembre 1933, n.

1736 per l'assegno. La pubblicità del protesto, a cura della camera di commercio, è ora disciplinata

dalla legge 18 agosto 2000, n. 235 ("Nuove norme in materia di cancellazione dagli elenchi dei

protesti cambiari"). Anticipando approfondimenti di seguito svolti, è illegittimo il protesto levato

fuori dai casi consentiti dalla legge o senza l'osservanza delle norme da questa previste; è invece

erroneo il protesto che, pur consentito su un piano strettamente cartolare, sia in contrasto con fatti o

accordi intercorsi tra le parti, o sia conseguenza di una condotta negligente dell’ufficiale procedente.

Giuseppe Fedeli consegue la Laurea in Giurisprudenza e successivamente la Specializzazione in

Diritto Civile presso l'Universitas Studiorum di Camerino.

Avvocato e giudice di pace, collabora a forum e riviste giuridiche, svolgendo in pari tempo l'attività di

Cultore del Diritto presso l'Università Gabriele D'Annunzio di Pescara. Ha al suo attivo pubblicazioni

presso prestigiose case editrici. Alterna alla professione ed allo studio di codici e pandette l'amore per

la letteratura e la poesia.

Partecipa a concorsi e premi letterari, che gli valgono significativi riconoscimenti. Sposato, è padre di

tre figli.

Collana diritto / NUOVI CASI

EDIZIONE SETTEMBRE 2013

© Cendon Libri Editore S.n.c. di Paolo Cendon & C.

via San Lazzaro 8 - 34100 Trieste (TS)

Sito internet: www.cendonlibri.it

E-mail [email protected]

ISBN 9788898069842

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione, di

adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e

le copie fotostatiche), sono riservati in tutti i Paesi.

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INDICE

Introduzione. Le cose per metafora – 1. La disciplina giuridica e le

caratteristiche dei titoli di credito 2. L'atto di protesto: forma e contenuto 3.

La normativa in materia 3.1. I principi giurisprudenziali in materia 4. Sul

diritto alla cancellazione dall’albo informatico dei protesti 4.1. Il caso deciso

5. La definizione dei poteri del g.o. nei confronti della p.a. La tutela

d’urgenza 6. La definizione dei poteri istruttori del giudice nei giudizi

impugnatori di provvedimenti amministrativi 7. La responsabilità delle

banche e dei p.u. per protesto illegittimo e/o per erronea indicazione del

nominativo protestato 8. Protesto in caso di denuncia di assegno smarrito o

rubato 9. Il protesto illegittimo fonte di danno conseguenza 9.1 In

particolare: protesto illegittimo e prova del danno. 9.2. Protesto illegittimo e

(centralità del) danno esistenziale 9.3 Protesto come compromissione del

riconoscimento 10. Sguardo retrospettivo (la madeleine proustiana, c’est a

dire a rébours) 11. Irrilevanza dei «danni punitivi». 12. Casistica (resumé)

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Introduzione

Le cose per metafora

Fino a tutto il Seicento non era esistito altro mercato che non fosse il

mercato delle merci. Tra la fine del Seicento e il principio del Settecento

prende vita, con il titolo di credito, lo strumento tecnico che consente

l'instaurazione di un altro mercato, diverso dal mercato delle merci, al quale

oggi diamo il nome di mercato finanziario, avente a oggetto la negoziazione

del credito e, più in generale, di altri diritti o di altre entità, diverse dalle

merci, cui diamo il nome di «prodotti finanziari» o di «valori mobiliari» o di

«strumenti finanziari». Già nel corso del Settecento avevano fatto la propria

comparsa, accanto alle più antiche borse merci, le borse valori, nelle quali si

negoziavano i titoli del debito pubblico, quali titoli di massa, emessi dagli

Stati per procurarsi entrate, cui sottostava un mutuo dell'investitore nei

confronti dell'emittente; oppure altri titoli, anch'essi di massa, come le

azioni emesse dalle Compagnie delle Indie, che permettevano di comperare

e di vendere la qualità di socio della Compagnia. Tutto era incominciato

con la cambiale, in relazione alla quale si manifesta, per la prima volta, la cd

“reificazione” del titolo di credito, e cioè il fenomeno per il quale il

documento, da semplice prova del diritto, è elevato alla condizione di cosa

mobile, e il diritto di credito in esso menzionato è fatto circolare non come

credito, ma alla stessa stregua di merce. Nel 1699 Lord Holt enuncia in

Inghilterra una regola che avrebbe costituito la base della moderna teoria del

titolo di credito: «a bona fide transferee for value can acquire a good title

from a mere finder»; regola che nel 1756 Lord Mansfield avrebbe esteso

dall'acquirente di un titolo smarrito, trasferitogli dal ritrovatore,

all'acquirente di buona fede di un titolo rubato. E così, commenterà

Commons, “si potrebbero trasformare i rapporti personali fra creditori e

debitori, quali erano concepiti nel common law, nei rapporti patrimoniali di

proprietà»; e le promesse di pagamento «potevano esse stesse essere

considerate come merci, che si possono comperare e vendere come le altre».

Analoga regola veniva enunciata, nella medesima epoca, a Genova dal

nostro Casaregis, siccome giustificata dalla “equità mercantile»: questa

«non sa, né deve ammettere che un terzo, come il giratario, che in buona

fede ha sborsato la valuta al girante, ne resti perdente», ossia perda la valuta

menzionata sulla cambiale, e il giurista genovese equipara il caso della

cambiale a quello della merce in buona fede comperata a non domino

sottratta alla rivendicazione del «padrone originario”. Si è parlato di

«sorprendenti somiglianze» (Panzarini,”Lo sconto”, 145), ma ogni sorpresa

cessa, se si considera che Holt e Casaregis, pur non essendo l’uno in grado

di attingere dal pensiero dell'altro, applicavano una regola della lex

mercatoria, ossia di un diritto consuetudinario, il cui raggio d'azione si

estendeva, da Genova a Londra, per tutta l'area dei mercati del tempo (G.

ALPA, Il bicentenario del code de commerce e le prospettive del diritto

commerciale, in Nuova giurisprudenza civile, 2007, 291). Non è più la

medioevale lettera di cambio, con la quale la cambiale di Casaregis, di Holt

e di Mansfield non ha più che una "discendenza” lessicale. La lettera di

cambio aveva assolto, in origine, una funzione corrispondente, nella

sostanza, a un moderno documento di legittimazione: consentiva al

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mercante l'utilizzazione a distanza del proprio danaro, evitandogli i rischi

connessi al portarlo con sé in viaggio. Egli depositava il danaro presso la

propria banca, otteneva da questa una lettera di cambio e, giunto a

destinazione, la presentava alla banca corrispondente, ottenendo da questa il

danaro. La lettera di cambio si era avvicinata alla moderna cambiale

quando, a partire dal principio del Seicento, era comparsa sulla lettera di

cambio la formula «pagate a Tizio o a suo ordine», con la quale se ne

ammetteva il trasferimento per girata, sicché alla banca poteva presentarsi

per riscuotere il danaro un mercante diverso dall' originario depositante, in

quanto giratario di quest'ultimo. Ma una lettera di cambio trasferibile per

girata non era ancora un titolo di credito, giacché la girata altro non

trasferiva se non il credito in essa descritto, così come sorto nel rapporto fra

debitore e creditore originario; e il giratario restava esposto a tutte le

eccezioni che il debitore poteva opporre all'originario creditore. Non era

un'innovazione: in sé considerata la cessione del credito era ammessa, come

cessio utilis, già in diritto romano, quanto meno a partire dall'epoca

giustinianea. Solo con Casaregis, Holt e, infine, Mansfield la cambiale

diventa il prototipo del moderno titolo di credito: si traduce in una cosa

mobile la proprietà della quale, e con questa il diritto di credito in essa

menzionato, può essere acquistata, con il possesso di buona fede, anche dal

giratario che l'abbia ricevuta da un mero ritrovatore o, addirittura, da un

ladro. Egli non acquista, a titolo derivativo, il credito; acquista, a titolo

originario, la cambiale e con essa acquista, sempre a titolo originario, il

credito che vi è menzionato; sicché è sottratto alle eccezioni opponibili

all'originario creditore. Con il che si faceva applicazione alla cambiale di un

principio che, a partire dal Trecento, si era fatto strada, entro la lex

mercatoria, ma limitatamente all'Europa continentale, per le cose mobili in

genere: il principio che, in deroga al diritto romano, e per rendere sicura la

circolazione della ricchezza mobiliare, sottraeva alla rivendicazione del

proprietario le cose mobili pervenute a non domino nelle mani di un

possessore di buona fede, cui fossero state trasferite da parte di un

commerciante (“a probato mercante”, precisava il card. De Luca, nel

“Theatrum veritatis et iustitiae”). Dalla lex mercatoria il principio si sarebbe

poi esteso al diritto comune, generando un nuovo modo di acquisto della

proprietà, non più a titolo derivativo, bensì a titolo originario, racchiuso

nella formula di Bourjon en fait de meubles possession vaut titre de

propriété, da applicare anche quando non si fosse trattato di cose acquistate

presso un commerciante. Nella sua estensione alla cambiale questo principio

aveva ricevuto una più radicale applicazione: valeva, come vale tuttora,

anche per l'ipotesi in cui il titolo di credito fosse stato rubato (id est

l'acquisto a non domino delle res furtive). Il common law, per contro, resta

fedele, per le cose in genere, all' antico principio nemo dat quod non habet,

e non ammette l'acquisto a non domino se non per i negotiables instruments,

concepiti sotto questo aspetto quali anomalous instruments Che sia per

applicazione di una nuova regola generale, come è in civl law, oppure per

eccezione alla regola generale, come è per common law, resta il fatto che

l'acquirente del titolo di credito è ovunque trattato alla stregua di acquirente

a titolo originario della proprietà del titolo. A partire da Lord Mansfield,

commenta ancora Commons, “si stabilisce una situazione anomala che

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consente a un soggetto di vendere più di quanto possiede”, e l'acquirente «è

libero da tutte le eccezioni di frode o di altro tipo che il debitore potrebbe

sollevare contro la parte con la quale il contratto è stato stipulato», sicché

«ha persino più diritti di quelli posseduti dal creditore originario». Si noti

che l'idea della cambiale da trattare alla stregua di una merce nasce, nella

mente dei suoi primi assertori, non diversamente da come era nata, secoli

addietro, l'idea dell'universitas come persona. Casaregis non dice che la

cambiale è una cosa mobile, onde si deve a essa applicare la relativa

disciplina giuridica. Asserisce, piuttosto, che l'equità commerciale rende

opportuno un trattamento corrispondente. Dopo avere giudicato iniquo che

il giratario, che ha pagato la valuta al girante, resti perdente, egli fa una

similitudine, che introduce con un come: scrive «come in simili termini, e

più dubbiosi ... di roba o mercanzia venduta a un terzo da un mercante, che

non aveva ancora l'ordine dal suo corrispondente di venderla, o avendolo,

l'avesse ecceduto, che non debba questo terzo compratore, il quale ha con

buona fede contrattato, e pagato il prezzo della roba, benché non fosse

entrata ancora in dominio di chi gliel'ha venduta, o rivenduta, non debba,

dico, essere astretto, né molestato a restituirla a chi pretende di esserne il

padrone originario». Casaregis non aveva la finezza intellettuale di Bartalo:

avrebbe scritto, se l'avesse avuta, che la cambiale non è, propriamente, una

cosa; è, tuttavia, conveniente che il giurista la tratti come se fosse tale. Solo

in epoca successiva la similitudine si tradurrà in un'identità, e la cambiale,

all’esito di una sorta d’ipostatizzazione metamorfica, diventerà una cosa

mobile fra le cose mobili, una merce come qualsiasi altra. Salvo poi

riscoprire, come si dirà più oltre, che la reificazione del titolo di credito è

solo una metafora. La storia della persona giuridica e quella del titolo di

credito si rivelano, sia detto per incidens, a questo modo, come storie

parallele, da ricondurre a un'unitaria vicenda, per dirla con Tarello, della

storia del pensiero giuridico. Si ricordi da a chiusura della presente

introduzione il paradosso di E. McLeod: «se venisse chiesto quale scoperta

abbia più profondamente influenzato le fortune della specie umana, si

potrebbe probabilmente dichiarare: la scoperta che il debito è una merce

cedibile» (il passo si legge in La teoria e la pratica delle banche, in

Biblioteca dell'economista, VI, trad, it, Torino, 1879, 264). McLeod citava, a

sua volta, Webster: la circolazione del credito «ha fatto mille volte di più per

arricchire le nazioni di quanto abbiano fatto tutte le miniere del mondo». Per

chi volesse approfondire la tematica, dall’indubbio fascino, più che

“metafisico” stricto sensu, ontologico-gnoseologico lato sensu, si

segnalano, nella letteratura italiana recente, circa la funzione decisiva

assolta dal titolo di credito in nell’avvento del capitalismo finanziario G.

Panzarini, Lo sconto dei crediti e dei titoli di credito, Milano, 1985, 221; e,

con specifico riferimento al «mercato dei diritti», P. Spada, Introduzione al

diritto dei titoli di credito, Torino, 1994, pp. 12.

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1.La disciplina giuridica e le caratteristiche dei titoli di credito

La disciplina giuridica dei titoli di credito è contenuta nel Titolo V “Dei

Titoli di Credito” del Libro IV “Delle Obbligazioni” del Codice Civile

all’articolo 1992 e ss. I titoli di credito sono documenti destinati alla

circolazione che attribuiscono il diritto ad una determinata prestazione. La

prestazione può consistere nel pagamento di una somma di denaro (es.

cambiale), nella riconsegna di beni determinati (es. polizza di carico), un

complesso di rapporti giuridici (es. azioni, obbligazioni). Il titolo di credito

è a tutti gli effetti un documento. Questo significa che è materialmente

costituito da un modulo prestampato che deve essere compilato nelle parti

lasciate in bianco (luogo e data di emissione, importo del credito, scadenza

di pagamento ecc.) e contiene la promessa, fatta da colui che lo rilascia, di

effettuare una prestazione a favore del soggetto che lo riceve e lo esibisce,

chiamato portatore. Il documento incorpora il diritto di credito, nel senso

che il possesso materiale del documento comporta solo per questo la

titolarità del diritto di credito e quindi il diritto del possessore a ottenere il

pagamento. I titoli di credito sono strumenti diffusi, sia presso gli

imprenditori (es. pagamento dei fornitori attraverso il rilascio di cambiali),

sia presso i non imprenditori (es. utilizzo di assegni). In base al loro

contenuto si distinguono tre tipi di titoli di credito:

- i titoli di credito in senso stretto, che attribuiscono al possessore il diritto

di riscuotere una somma di denaro.

Ne sono esempi gli assegni (bancari, circolari, postali) e le cambiali.

I titoli di massa (o valori immobiliari), che conferiscono al possessore la

qualità di:

a) socio di imprese aventi la forma giuridica di società per azioni o di

società in accomandita per azioni, che costituiscono le azioni che formano il

capitale delle società;

b) creditore nei confronti di enti pubblici o di società private, e qui rientrano

i titoli del debito pubblico (come i bot, i btp, i cct) e le obbligazioni emesse

dalle società di capitali;

c) i titoli rappresentativi di merci, che attribuiscono al possessore il diritto di

ritirare o di trasferire ad altri merci in viaggio o depositate presso magazzini

generali, che sono luoghi di pubblico deposito nei quali vengono immesse,

conservate e custodite merci per conto di terzi, contro pagamento di una

tariffa giornaliera. Appartengono a questa categoria la polizza di carico

(titolo di credito rappresentativo di merci che viaggiano su nave, che

attribuisce al possessore il diritto di venderle o di ottenerne la consegna nel

porto di destinazione) e la fede di deposito (titolo di credito rappresentativo

di merci, depositate presso magazzini generali, che attribuisce al possessore

il diritto di ritirarle o di venderle). In base alle modalità di trasferimento si

distinguono tre tipi di titoli di credito: i titoli al portatore, che si

trasferiscono con la semplice consegna del titolo stesso.

Colui che possiede il titolo ha diritto a ricevere la prestazione in esso

indicata, un esempio è costituito dalle banconote.

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d) I titoli all'ordine, che si trasferiscono attraverso girata.

La girata è una dichiarazione, scritta sul titolo, con la quale il possessore

ordina al debitore di eseguire la prestazione a favore di un altro soggetto.

Colui che trasferisce il titolo è detto girante, mentre colui al quale il titolo

viene trasferito è detto giratario. Un titolo può contenere varie girate, se

trasferito più volte da un soggetto all'altro. Sono titoli all'ordine: gli assegni

liberi, le cambiali, la fede di deposito. I titoli nominativi sono intestati a una

persona determinata, che si trasferiscono attraverso doppia annotazione del

nome del nuovo beneficiario sia sul titolo, sia sul registro dell'ente

emittente. Un esempio di titoli nominativi è costituito dalle azioni. Un titolo

di credito viene creato perché a monte vi è un rapporto cosiddetto causale

tra emittente (debitore) e primo prenditore (creditore/beneficiario) i quali

decidono di fissare proprio nel titolo la prestazione dovuta dal primo al

secondo. Ma la connessione tra rapporto causale e diritto nel titolo non è la

stessa per i diversi titoli. I titoli si dividono nelle due seguenti categorie:

titoli astratti, come le cambiali, sono quei titoli che possono essere emessi in

base a diversi tipi di rapporto. Il contenuto del diritto è determinato

esclusivamente dal tenore letterale del documento, secondo il principio della

letteralità completa. I titoli causali, come le obbligazioni, sono, invece, quei

titoli che possono essere emessi esclusivamente in base a un determinato

rapporto giuridico. Il contenuto del diritto è determinato sia nel titolo, sia

dalla disciplina relativa al rapporto che ha fatto creare questo documento,

secondo il principio della letteralità incompleta. Nel caso di circolazione del

titolo possono sorgere alcune questioni legate al collegamento che esiste tra

chi ha la titolarità del diritto, che spetta al proprietario del titolo, e chi è

legittimato al suo esercizio, cioè il possessore del titolo che lo ha ottenuto

attraverso le forme previste dai diversi tipi (al portatore, all'ordine,

nominativi). Di solito le due figure coincidono, ma può capitare una loro

dissociazione. In particolare, si distinguono i casi di:

- circolazione regolare: si ha un negozio di trasmissione valido e la figura di

proprietario e possessore coincidono.

- circolazione irregolare: si ha un negozio di trasmissione non valido e le

due figure si dissociano.

Il vero proprietario (derubato) è tutelato (attraverso l'azione di

rivendicazione verso il ladro o amministrato per titoli all'ordine o

nominativi), ma se un terzo acquista il titolo in buona fede e validamente, in

conformità delle norme che ne disciplinano la circolazione (acquisto a non

domino), diventa proprietario del titolo e del diritto a tutti gli effetti (ex art.

1153 codice civile, c.d. "possesso vale titolo"). Il derubato ha solo diritto ad

agire verso il fur per ottenere il risarcimento dei danni.

La modalità di circolazione dei titoli varia in base alle categorie di essi, che

sono:

- titoli al portatore: così definiti perché nel titolo viene inserita la clausola

“al portatore” e non viene indicato nel titolo il beneficiario. Lo sono anche

se nel titolo si inserisce un nome del beneficiario.

Questi titoli circolano con la semplice consegna, e la legittimazione

all'esercizio del diritto avviene con la sola presentazione al debitore; non ne

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viene ammesso l'ammortamento.

Ne costituiscono esempi assegni, azioni di risparmio, obbligazioni.

- titoli all'ordine: così definiti perché nel titolo viene inserito il nome di una

determinata persona beneficiaria e la circolazione avviene mediante girata.

La girata è una dichiarazione scritta sul titolo che ordina al debitore di

adempiere la propria obbligazione nei confronti del giratario. Essa può

essere:

1. piena, quando c’è il nome del giratario.

2. in bianco, quando non contiene il nome del giratario e figura solo la firma

del girante.

3. per procura, quando il giratario (ultimo prenditore che riceve) ha la

funzione di rappresentante del girante per l’incasso.

In questo caso il diritto cartolare rimane in capo al girante-proprietario.

4. in garanzia, quando il girante gira il titolo a un giratario attribuendogli un

diritto di pegno sul titolo a garanzia di un credito che lo stesso vanta nei

confronti del girante.

In questo caso il girante resta proprietario del titolo, mentre il giratario è

legittimato all'esercizio del diritto.

-titoli nominativi: in questi titoli viene inserito il nome di una persona

determinata (beneficiario) e il nome deve risultare anche in un registro

tenuto dall’emittente. Per il trasferimento vi sono due modalità:

1. trasferimento attraverso transfert (emittente), se il trasferimento del titolo

è richiesto all'emittente dall'alienante (debitore) e costui deve esibire il titolo

e provare all'emittente la propria identità e la propria capacità di disporre del

titolo attraverso la certificazione di un notaio.

Se il trasferimento del titolo è richiesto dall’acquirente (nuovo beneficiario)

esso deve esibire il titolo acquisito e deve dimostrare il suo diritto di

acquisto attraverso atto pubblico o scrittura privata autenticata.

2. trasferimento attraverso girata. L’alienante pone sul titolo il nome del

giratario (beneficiario), mentre l'emittente provvederà successivamente alla

trascrizione nel registro del trasferimento.

Il possessore del titolo può fare valere il diritto cartolare nei confronti del

debitore senza essere tenuto a provare il valido acquisto della proprietà del

titolo e il conseguente acquisto del diritto.

Il debitore che, senza dolo o colpa grave, anche se non era in buona fede (ad

esempio, sapendo che il possessore del titolo è un ladro, ma non avendo i

mezzi per provarlo) adempie la prestazione nei confronti del possessore è

liberato anche se questi non è il titolare del diritto.

Il debitore si può opporre al pagamento nei confronti del portatore del titolo,

e lo può fare sollevando alcune eccezioni. Le eccezioni si suddividono in

due categorie: le eccezioni reali, opponibili a qualunque portatore del titolo,

che sono le seguenti:

3. eccezioni di forma: mancanza dei requisiti formali del titolo che ne causa

la nullità.

- eccezioni fondate sul contesto letterale del titolo.

- falsità di firma.

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- difetto di capacità al momento dell’emissione del titolo.

- difetto delle condizioni necessarie per l’esercizio dell’azione (protesto).

Le eccezioni personali sono eccezioni opponibili solo a un determinato

portatore, non si ripercuotono sugli altri e sono le seguenti:

- eccezioni che derivano dal rapporto causale, opponibili solo al primo

prenditore.

- eccezioni che si fondano su altri rapporti personali, opponibili solo a chi è

stato parte del rapporto.

- eccezioni di difetto di titolarità del diritto, opponibili al possessore del

titolo.

L'ammortamento è una procedura che s'inizia nel momento nel quale un

titolo viene smarrito o sottratto al possessore legittimo. Attraverso questa

procedura il beneficiario può ottenere la separazione tra l'esercizio del

diritto cartolare e il possesso del titolo stesso. Quest'istituto consente di

ottenere una dichiarazione giudiziale secondo la quale il titolo originario

non è più strumento di legittimazione.

Chi ha ottenuto l’ammortamento può esigere il pagamento presentando il

decreto emesso dal tribunale di competenza, e, se il titolo non è scaduto si

può far rilasciare un duplicato dall’emittente.

L'iter della procedura prevede che l'ex possessore inoltri

contemporaneamente:

- denuncia al debitore.

- denuncia al Tribunale chiedendo l'ammortamento.

Il decreto di ammortamento rilasciato dal Tribunale dev'essere pubblicato

nella Gazzetta Ufficiale e notificato al debitore dal ricorrente, e, se il

debitore paga a un terzo non legittimato, non è liberato.

In caso di esecuzione della procedura di ammortamento, il debitore deve

attendere trenta giorni per il pagamento. Entro questo termine l'eventuale

terzo detentore del titolo si può opporre all'ammortamento depositando il

titolo presso il Tribunale. Se l'opposizione è accolta, si procede alla revoca

del decreto e la proprietà spetta al terzo; se, viceversa, l'opposizione viene

respinta, il decreto diventa definitivo e il titolo consegnato al ricorrente (in

generale, per queste problematiche si veda Fedeli, Berti Balestri 2005, 227).

2. L'atto di protesto: forma e contenuto

Gli artt. 68 l. camb. e 60 l. ass. prevedono testualmente che il protesto —

constatazione formale e solenne facente fede fino a querela di falso (in arg.

Fiorucci, Il protesto. Cancellazione, forme di responsabilità e tutela

d'urgenza ex art. 700 c.p.c , Giuffrè, 2012, 35) — «deve essere fatto con un

solo atto». Autorevole dottrina ha evidenziato che l'unità dell'atto va intesa

in senso documentale, e non temporale: non occorre, cioè, che il protesto sia

redatto contestualmente al compimento delle operazioni necessarie per la

presentazione del titolo ed alle richieste rivolte al debitore (Pavone La Rosa

1982, 551). Di fatto, nella prassi l'atto è posto in essere dal pubblico

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ufficiale competente in un momento successivo alla presentazione del titolo.

Il principio dell'unicità dell'atto trova applicazione anche nel caso in cui il

protesto comporti il compimento di più operazioni nel tempo, come quando

sia necessario interpellare più persone (Pavone La Rosa 1982, 551). Ove,

invece, il protesto sia levato successivamente nei confronti di più debitori

per il medesimo titolo cambiario, è possibile la redazione di più distinti atti

di protesto (Cass. 6.2.1965, n. 189, BBTC, 1965, II, 379): in tale circostanza

l'unicità è riferibile a ciascun singolo atto di protesto. Le finalità

essenzialmente pratiche cui è ispirato il suddetto principio — risparmio di

spesa e convenienza di concentrare in un unico atto tutto ciò che attiene alle

vicende del titolo — hanno indotto la dottrina a ritenere che il creditore,

quando ne sussistano i presupposti, può pretendere la redazione di un unico

protesto e che, in difetto di una richiesta del creditore, non è corretto il

comportamento del pubblico ufficiale che, pur potendo levare un unico

protesto, rediga tanti atti quanti sono i titoli il cui mancato pagamento è

chiamato a certificare (Triola 1989, 79). Dal principio di unicità del protesto

discende che dopo la definitiva redazione dell'atto non è consentito apporvi

correzioni o aggiunte. In via di carattere generale, il protesto può elevarsi

con atto separato (facendone menzione, nel modo che il pubblico ufficiale

procedente ritiene più opportuno, sul titolo) oppure essere scritto sul titolo

di credito, o sul duplicato, o sulla copia (per la cambiale v. art. 69, 1º

comma, l. Camb.), ovvero, ancora, sul c.d. foglio di allungamento, ossia un

foglio aggiunto al titolo e sulla cui giunzione è apposto il sigillo del

pubblico ufficiale levatore (la cui mancanza rende soltanto contestabili, da

parte di chi vi abbia interesse, l'autenticità e quindi il valore probatorio

dell'atto: v. Triola 1989, 84: artt. 69 l. camb. e 61 l. ass.); il protesto per atto

separato deve contenere la trascrizione del titolo. La circostanza che la

possibilità di levare il protesto sulla copia della cambiale sia espressamente

menzionata dalla l. camb. (art. 69, 1º comma), mentre nulla è detto al

riguardo dalla l. ass. ha indotto a ritenere che in questo ultimo caso non sia

possibile procedere al protesto. Invero, la mancata previsione normativa non

deve pregiudicare l'esigenza del creditore di levare il protesto quando non si

dispone dell'originale dell'assegno da protestare (ma una sua copia

autentica), ad es. poiché il titolo è stato sequestrato per le esigenze del

processo penale (Tencati 2006, 381; Trib. Pistoia 13.3.1965, BBTC, 1965,

II, 302 ha ammesso il protesto di un assegno bancario su copia dello stesso

ove non si abbia il possesso del titolo originale): il sequestro penale, diretto

ad assicurare la conservazione dello strumento materiale di un reato, non

può, a ben guardare, tradursi in un ingiustificato pregiudizio per il terzo

portatore estraneo al fatto delittuoso, precludendogli l'esercizio dei diritti

cartolari (Pret. Ottaviano, 3.7.1970, BBTC, 1971, II, 151). Nel verbale di

protesto il pubblico ufficiale levatore deve dare atto della intervenuta

presentazione del titolo, dell'invito al debitore all'accettazione o al

pagamento e delle motivazioni da questi addotte a sostegno del rifiuto di

conseguire detto invito. Il contenuto dell'atto di protesto è espressamente

indicato, rispettivamente, dall'art. 71 l. camb. e dall'art. 63 l. ass. nonché

dall'art. 4, 2º comma, l. 349/1973. Il protesto deve contenere:

a)la data, ossia il giorno, il mese e l'anno in cui è effettuata la richiesta di

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pagamento (allo scopo di attestarne la tempestività rispetto ai termini

prescritti);

b) il nome del soggetto (persona fisica o giuridica) ad istanza del quale il

protesto è levato;

c) l'indicazione dei luoghi in cui è fatto e la menzione delle ricerche svolte

(a termini dell'art. 44 l. camb., riguardo alle cambiali);

d) l'oggetto delle richieste (di accettazione o pagamento del titolo);

e) la corretta identificazione delle persone richieste — ossia nome,

domicilio, luogo e data di nascita per le persone fisiche, denominazione

sociale e sede per le società (in arg. cfr. Trib. Roma 22.9.2005 e Trib. Roma

16.12.2005, GI, 2006, I, 2, 987 ss.) — intendendosi per tali i destinatari del

protesto, e non altre persone eventualmente rinvenute sul luogo (Triola

1989, 80), cui, ad esempio, il pubblico ufficiale abbia chiesto notizie del

debitore assente;

f) le risposte avute, da riportare fedelmente, o l'indicazione dei motivi per i

quali non se ne è avuta alcuna. Occorre evidenziare che la risposta

dell'obbligato assume rilevante importanza nel verbale di protesto. Ad

espressioni quali “provvederò”, “sarà provveduto” o equivalenti, la

giurisprudenza, anche di legittimità, tende prevalentemente a riconoscere

valore di promessa di pagamento o di riconoscimento di debito, ex art. 1988

c.c. (Cass. 22.3.1990, n. 2391, GI, 1990, I, 1734; cfr. anche Cass. 5.7.1965,

n. 1388, GI, 1966, I, 52) o, ancora, ad attribuire valore di confessione

stragiudiziale resa ad un terzo, come tale soggetta al libero apprezzamento

del giudice (ex art. 2735, 1º comma, c.c.); la mera presa d'atto della levata

del protesto non è invece idonea ad attribuire nessun valore giuridicamente

vincolante alla condotta del debitore (App. Firenze 11.3.1960, BBTC, 1960,

II, 560). Con Circolare del Ministero dell'Industria del Commercio e

dell'Artigianato n. 3512/C del 30.4.2001 (www.infocamere.it) sono stati resi

noti gli elenchi delle causali di rifiuto pagamento assegni bancari e dei

motivi di rifiuto pagamento vaglia cambiari e tratte accettate. I motivi di

rifiuto del pagamento ed i relativi codici sono utilizzati per la compilazione

degli elenchi dei protesti e sono inseriti nel registro informatico dei protesti.

Oltre ai pubblici ufficiali abilitati alla levata dei protesti, anche il sistema

bancario e tutti i soggetti coinvolti nella procedura sanzionatoria degli

assegni bancari introdotta dal d.lgs. 507/1999 possono utilizzare le

medesime “causali”, con evidenti vantaggi per la razionalizzazione delle

operazioni e l'immediata individuazione dei motivi di mancato pagamento,

in un'ottica di massima chiarezza e trasparenza delle informazioni (cfr.

Circolare ABI 12.7.2001, prot. LG/SP 004720, in Fedeli, Berti Balestri, Il

Protesto Illegittimo, Cedam 2005, 334). Sinteticamente, relativamente al

protesto di assegni bancari le causali possono essere: 1) mancanza di

autorizzazione (codici da 10 a 17), nei casi in cui l'autorizzazione

all'emissione di assegni sia stata ritirata o non sia mai esistita; 2) difetto di

provvista (codici da 20 a 22), per la mancanza in tutto o in parte dei relativi

fondi presso il trattario; 3) irregolarità dell'assegno (codici da 30 a 37) e

altro (codice 40), per i casi non contemplati dalle altre due causali predette.

Per ogni codice è prevista la relativa motivazione dei motivi di rifiuto di

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pagamento (particolarmente pregiudizievole per il soggetto protestato quella

“difetto di provvista”) e l'indicazione del soggetto da protestare (di regola il

correntista);

g) la sottoscrizione del pubblico ufficiale (notaio, ufficiale giudiziario o

segretario comunale) nonché del presentatore o del messo comunale,

qualora abbiano partecipato alla levata del protesto (presentando il titolo al

pagamento).

L'assenza di taluno di questi elementi essenziali determina la nullità

dell'atto di protesto allorché risulti incertezza sul contenuto del medesimo,

non altrimenti integrabile (Triola 1989, 83; Segreto-Carrato 2000, 426 ss.;

Cass. 24.3.1979, n. 1717, BBTC, 1980, II, 167; Trib. Napoli 12.7.1991, FI,

1992, I, 2840).

Ai fini dell'integrazione dell'atto non possono essere utilizzate altre prove

(ad es. prove testimoniali), così come è da escludere che il notaio abbia il

potere di integrare le deficienze sostanziali dell'atto (o di correggere le sue

risultanze) con una dichiarazione successiva, potendo il protesto essere

rettificato solo con un nuovo atto di protesto (naturalmente entro il termine

previsto dalla legge per la sua redazione:Triola 1989, 83). Secondo altro

orientamento dottrinale, d'impostazione processualistica (Ciarcià 1986, 25),

eventuali omissioni o inesattezze dell'atto di protesto ne causerebbero

l'invalidità soltanto qualora lo stesso si rivelasse viziato in misura tale da

risultare inidoneo al perseguimento degli effetti attribuitigli dalla legge. In

giurisprudenza, è stato ritenuto nullo il protesto redatto e sottoscritto dal

notaio, ma attestante che la constatazione del rifiuto del pagamento è stata

fatta da altra persona non autorizzata dalla legge (Trib. Napoli 14.10.1971,

BBTC, 1971, II, 611); è altresì reputato giuridicamente inesistente l'atto di

protesto dal quale non possano desumersi il nome del pubblico ufficiale che

ha chiesto il pagamento ed il nome della persona alla quale tale pagamento

sia stato richiesto (Trib. Napoli 12.7.1991, FI, 1992, I, 2840). Parimenti

invalido è stato giudicato il protesto levato dall'ufficiale procedente senza

l'osservanza dei limiti di orario previsti in materia di notificazioni dall'art.

147 c.p.c. (Trib. Roma 30.11.1961, FI, 1962, I, 1414). La dichiarazione di

nullità del protesto è equiparabile alla mancata levata dello stesso, con

conseguente decadenza dell'azione di regresso.

3. La normativa in materia

L'art. 8 della legge 15 dicembre 1990, n. 386, modificato dall’art 33 del

Decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, prevede, nel caso di assegno

bancario emesso senza provvista e di pagamento dello stesso dopo la

scadenza del termine di presentazione, che non si applichino le sanzioni

amministrative e pecuniarie previste dalla legge, laddove il traente, entro

sessanta giorni dalla data di scadenza del termine di presentazione del titolo,

effettui il pagamento dell’assegno, degli interessi, della penale e delle

eventuali spese per il protesto, a mani del portatore del titolo o presso il

trattario o presso il pubblico ufficiale che ha elevato il protesto (per questi

aspetti Segreto-Carrato 2000, 120). La suddetta disposizione normativa

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prescrive altresì che la prova dell’avvenuto pagamento debba essere fornita

dal traente allo stabilimento trattario (ovvero, in caso di levata del protesto

o di rilascio della constatazione equivalente, al pubblico ufficiale tenuto alla

presentazione del rapporto), mediante quietanza del portatore con firma

autenticata, ovvero, in caso dì pagamento a mezzo deposito vincolato,

mediante attestazione della banca comprovante il versamento dell’importo

dovuto. L'art 9, comma 2, lettera b) della legge 15 dicembre 1990, n. 386,

come modificato dall'art. 34 del Decreto Legislativo 30 dicembre 1999, n.

507 (che ha introdotto altresì, nel corpus della legge suddetta, gli artt. 9-bis

e 9-ter) prescrive poi che, nel caso di mancato pagamento di assegno per

difetto di provvista, scatti un'ulteriore conseguenza dì tipo sanzionatorio

accessorio, in quanto la banca trattaria deve anche effettuare l’iscrizione del

nominativo del traente nell’archivio di cui all’art. 10-bis (il che determinerà

anche la revoca di ogni autorizzazione ad emettere assegni), ma soltanto

dopo il decorso del termine stabilito senza che il traente abbia fornito la

prova dell’avvenuto pagamento e salvo quanto previsto dal comma 3

dell’art. 9-bis. Quest'ultimo, infatti, al comma 1, prevede che, m caso di

mancato pagamento, in tutto o in parte, di un assegno per difetto di

provvista, il trattario debba inoltrare al traente una comunicazione

(cosiddetto preavviso di revoca dell’autorizzazione ad emettete assegni

bancari), al domicilio eletto dal traente all’atto della conclusione della

convenzione di assegno, contenerne la segnalazione che, volta che sia

scaduto il termine indicato dall’art. 8 senza che lo stesso traente abbia

fornito la prova dell'avvenuto pagamento, il suo nominativo sarà iscritto

nell’archivio di cui all’art. 10-bis (e, cioè, nella Centrale di Allarme

interbancaria, cd. C.A.I.) e che, a far tempo dalla stessa data, gli sarà

revocata ogni autorizzazione ad. emettere assegni. Secondo quanto previsto

dalle disposizioni in materia (cfr. anche Decreto Min. Giustizia n. 458 del 7

novembre 2001; Regolamento della Banca d’Italia del 29 gennaio 2002 e

successive modifiche), nel caso di emissione di. assegno senza provvista

l'illecito si perfeziona al momento della presentazione al pagamento

dell'assegno effettuata in ternpo utile, e cioè entro i temimi dì legge (la

presentazione al pagamento può essere telematica -check truncation- per

assegni fino a € 3.000,00, oppure materiale -in stanza di compensazione- per

assegni di importo oltre € 3.000,00). Solo dando prova del pagamento

tardivo nei termini e con le modalità fissate dalla legge, il traente può evitare

l’avvio a suo carico della procedura sanzionatoria amministrativa e la revoca

di ogni autorizzazione ad emettere assegni per sei mesi conseguente

all’Iscrizione nell’Archivio informatizzato degli assegni bancari e postali e

delle carte di pagamento (CAI); il pagamento tardivo, per essere completo in

termini di legge, deve comprendere una penale, pari al 10% dell'importo non

pagato, interessi ed eventuali spese per il protesto o per la constatazione

equivalente (cd. oneri accessori; in relazione a queste tematiche si vedano

Fedeli, Berti Balestri 2005, 98; Tencati 2006, 186).

3.1. I principi giurisprudenziali in materia

Occorre porre in evidenza i principi legislativi e quelli elaborati dalla

giurisprudenza in materia. La peculiare natura de1l’assegno bancario

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prevede, come è noto," che esso sia immediatamente presentabile pei il

pagamento e che al momento della presentazione debba sussistere la

provvista (art. 31 del rd n. 1736 dei 1933). L’assegno bancario è, infatti, un

titolo di credito pagabile a vista (cioè all’atto della sua presentazione

all’incasso presso la banca trattaria), che si perfeziona giuridicamente nel

momento in cui entra in circolazione, vale a dire quando esce dalla sfera

giuridica e dalla disponibilità del traente ed entra in quella del prenditore

(cfr. ex multis Cass. 11.5.1991 n. 5278; Cass. 25.5.2001 n.7135). Dalla

peculiare natura dell’assegno bancario quale strumento immediatamente

presentabile per il pagamento e quale, di conseguenza, mezzo di pagamento

agevole e sostitutivo della moneta discende- quindi- che, al momento della

presentazione, debba sussistere la provvista (Corte Cost. ordinanza 84/2004;

Corte Cost.70/2003; art 31 del r. d. n. 1736 del 1933; l. 12/02/1955 n. 77 art.

4 comma 1; l. 18.08.2000 n. 235 art. 2 comma 1). La funzione del protesto

non è soltanto quella - ancorché primaria e fondamentale- d'impedire

(attraverso la tempestiva levata) la decadenza dalle azioni di regresso

eventualmente esperibili (cd. funzione conservativa), potendo esso venir

levato, del tutto legittimamente, anche al solo scopo di far attestare, in forma

pubblica, e ad ogni altro possibile effetto, il mancato pagamento da parte

dell'obbligato "ex titulo”, così tutelando anche la fede pubblica, ossia la

fiducia dei consociati nell’idoneità astratta dell’assegno ad assolvere la sua

tipica funzione di pagamento (cfr. da ultimo Cass. 14.2.2006 n. 3140; Cass.

10.3.2000 n. 2742; Cass. 1683/1968; Cass.189/1965; in dottrina Pavone La

Rosa 1982, 76). Non può escludersi, infatti, che la levata del protesto e

questo stesso possa essere destinata a spiegare anche la sola, normale,

efficacia probatoria che il codice civile attribuisce agli atti pubblici (art.

2700) c.c., in relazione alla circostanza che l’assegno sia stato presentato per

l’incasso e che non sia stato pagato (cfr. Cass. del 1.3.2000 n.2742, anche in

motivazione). Da quanto detto discende, per un verso, che la banca girataria

per l'incasso di un assegno bancario è tenuta a far levare il protesto (art. 45

legge assegno), al fine di conservare integre le ragioni del proprio girante

nei confronti degli obbligati di regresso, per altro verso che gli interessi

sottesi alla levata del protesto hanno anche natura pubblicistica, come tale

sottratta alla disponibilità delle parti (cfr. Cass. 25.6.2004 n. 11852). Rientra

pertanto nella discrezionalità del legislatore collegare all’assenza della

provvista al momento della presentazione taluni effetti “lato sensu”

sanzionatori e postergarne altri allo spirare del "termine di grazia”, da un

lato favorendo l’adempimento, sia pure tardivo, dell’obbligazione portata

dal titolo e, dall’altro, continuando ad attribuire rilevanza giuridica

all’assenza della provvista al momento della presentazione (cfr. da ultimo

così testualmente Corte Cost. ord 84/2004; Corte Cost 70/2003). Ed è noto

al riguardo che la Consulta ha più volte dichiarato la manifesta infondatezza

della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, co 1, della legge 12

febbraio 1955, n. 77, come sostituito dall’art 2 comma 1, della legge 18

agosto 2000, n. 235, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 41 e 47 della

Costituzione, nella parte in cui non consente al traente di un assegno

bancario protestato, che abbia pagato capitale, interessi, penale e spese nei

termine di cui all’art., 8 della legge n. 386 del 1990, di ottenere la

cancellazione del proprio nome dal registro informatico dei protesti, a

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differenza di quanto invece previsto a favore di colui nei cui confronti sia

stato levato protesto per mancato pagamento di una cambiale o di un vaglia

cambiario (cfr. da ultimo Corte Cost., ord. 84/2004). La medesima

questione, infatti, è stata già analiticamente scrutinata con la sentenza della

Corte Cost. n. 70/2003, che ha evidenziato come la peculiare natura di

mezzo di pagamento conservata dall'assegno giustifica la diversa disciplina

che, quanto alle conseguenze del protesto, il legislatore ha dettato rispetto

alla cambiale (Corte Cost. 70/2003). In detta pronuncia si è, infatti,

affermato che "la norma di cui all’art. 4, comma 1, della legge 12 febbraio

1955, n, 77, come sostituito dall'art. 2, comma 1, della legge 18 agosto

2000, n. 235 – nell’occasione censurata nella parte in cui esclude dalla

disciplina della cancellazione del protesto (nel Registro informatico di cui

all'art., 3-bis dei decreto-legge 18 settembre l995, n. 381, convertito in

legge, con modificazioni, dall’art 1, comma 1, della legge 15 novembre

1995 n. 480)- il traente di assegno bancario che, nel termine dì sessanta

giorni dalla legata del protesto, abbia pagato quanto portato dal titolo (e

relativi oneri accessori e penale) “non irrazionalmente differenzia questa

disciplina rispetto a quella prevista per il debitore cambiario che abbia

provveduto al pagamento del proprio debito (e dei relativi oneri accessori)

nel termine di dodici mesi dalla levata del protesto (al quale la legge

riconosce un vero e proprio diritto alla cancellazione dell'iscrizione)”. La

razionalità della differente disciplina sul piano sostanziale di situazioni

diverse esclude la violazione dell’art. 24 Cost., ciò che presupporrebbe un

diritto sostanziale non riconosciuto al traente di assegno bancario. Non è

pertanto fondata la relativa questione di legittimità costituzionale, sollevata

in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. La normativa legislativa in materia di

assegni bancari ha- quindi- valenza pubblicistica, essendo dettata a tutela

della certezza e regolarità dei traffici giuridici e della fede pubblica ossia, in

particolare, della fiducia da consociati nell’idoneità astratta dell'assegno ad

assolvere la sua tipica funzione di pagamento ed all’aspettativa di corretta

circolazione e di efficacia degli assegni bancari (cfr. Cass. Sez. 1, 14.2.2006,

n. 3140; Cass. Sez. I, 10.3.2000, n. 2742; Cass. 1683/1968; Cass.189/1965).

Si tratta d’interessi di natura pubblicistica, come tali sottratti alla

disponibilità delle parti: cfr. Cass 25.6.2004 n. 11852; Cass. 9027/2000; in

dottrina Segreto-Carrato 2000, 212). Da quanto appena detto germina la tesi

che "in materia di sanzioni amministrative connesse all’emissione di assegni

senza provvista (fattispecie sanzionata come illecito amministrativo, a

seguito delle depenalizzazione del corrispondente delitto operata dall’art. 29

del d.lgs. n. 507 dei 1999, che ha novellato l’art. 2 l. n. 386 del 1990), viola

il dovere di diligenza media, con conseguente impossibilità di invocare il

fatto scusabile, l’emittente il quale non si attenga al dovere di conformare

l’andamento del proprio conto bancario al fine di assicurare che in ogni

momento vi sia disponibilità del denaro necessario al pagamento degli

assegni emessi nei termini per la presentazione di essi all'incasso”, ma fa

affidamento sulla tolleranza da parte della banca di una situazione di

scoperto assumendosi il rischio della sopravvenienza di un difetto di

provvista al momento della presentazione (Cass. 23.8.2006 n. 18345; Cass.

24842/2005; in dottrina Fedeli, Berti Balestri 2005, 73).

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4. Sul diritto alla cancellazione dall’albo informatico dei protesti

Il recente arresto delle Sezioni Unite del 25 febbraio 2009, n. 4464 ha

consegnato agli interpreti diversi principi di diritto di notevole rilievo,

seppur confermativi della precedente giurisprudenza (sulla natura

dell’attività amministrativa svolta dalla Camera di Commercio v. Cass. Civ.

n. 14991 del 2006; Cass. Civ. n. 17415 del 2004; Cass. Civ. n. 1168 del

2000; Cass. Civ., Sezioni Unite n. 1970 del 1995; Cass. Civ., Sezioni Unite

n. 8983 del 1990 e Cass. Civ., Sezioni Unite n. 1612 del 1989. Sui poteri del

g.o. nei giudizi di impugnazione di provvedimenti amministrativi v. Cass.

Civ. n. 27140 del 2007; Cass. Civ. n. 5895 del 2007; Cass. Civ. n. 18190 del

2006 e Cass. Civ., Sezioni Unite n. 1612 del 1989). Questi i principi di

diritto enunciati: è qualificabile come diritto soggettivo pieno la posizione

giuridica del debitore che, provvedendo al pagamento della cambiale o del

vaglia cambiario protestati nel rispetto dei tempi e degli adempimenti

prescritti dalla disciplina prevista nell’art. 4 della legge n. 77 del 1955

(come sostituito dall’art. 2 della legge n. 235 del 2000), proponga istanza, in

sede amministrativa, al responsabile dirigente dell’ufficio protesti della

competente camera di commercio per ottenere la cancellazione del proprio

nominativo dal registro informatico dei protesti, con la conseguente

attribuzione al giudice ordinario della cognizione sulla successiva

opposizione avverso il provvedimento di diniego o l’omessa pronuncia da

parte del suddetto responsabile amministrativo, senza che rilevi in senso

ostativo il generale divieto per il giudice ordinario di sostituirsi

nell’esercizio di un’attività amministrativa. La legge n. 77 del 1955, come

modificata dalla legge n. 235 del 2000, disciplina una di quelle ipotesi

eccezionali il cui al giudice ordinario è riconosciuta la legittimazione ad

attuare la tutela giurisdizionale piena e completa del diritto soggettivo leso

dal provvedimento amministrativo, attraverso non soltanto la

disapplicazione, ma anche la sua diretta caducazione. Nel giudizio di

impugnazione dell’atto amministrativo di reiezione dell’istanza

dell’interessato da parte del dirigente, ovvero del suo rifiuto a provvedere su

di essa, deve escludersi che la cognizione del giudice sia limitata al

controllo delle dedotte ragioni di illegittimità del provvedimento impugnato.

Ma il giudice è tenuto all’accertamento proprio del presupposto cui la norma

ha subordinato il diritto alla cancellazione, costituito dall’eseguito

pagamento della cambiale o del vaglia cambiario nel termine indicato dalla

norma, non potendo ammettere e ritenere sufficiente una prova diversa da

quella espressamente prevista dalla legge anche perché la scelta

dell’ammissibilità e dei limiti dei singoli mezzi di prova è rimessa

esclusivamente alla discrezionalità del legislatore (Fedeli, Berti Balestri

2005, 312).

4.1. Il caso deciso

Con ricorso proposto contro il provvedimento del 23 novembre 2002 del

Presidente della Camera di Commercio di Lecce l'instante chiedeva ed

otteneva la cancellazione, dal registro informatico dei protesti, del suo

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nominativo per intervenuto pagamento delle somme portate da effetti

protestati. La Camera di Commercio proponeva impugnazione che veniva

respinta dal Tribunale di Lecce, sul rilievo che proprio la legge 235/2000

prevedeva il potere del giudice di pace di disporre la cancellazione dal

registro protesti del debitore che ha pagato sulla base dell’accertamento

della sola regolarità dell’adempimento. Avverso la decisione di secondo

grado veniva promosso ricorso per cassazione. La decisione delle sezioni

Unite si struttura in tre punti:

- qualificazione della situazione giuridica soggettiva azionata in giudizio;

- definizione dei poteri del g.o. nei confronti della p.a.;

- definizione dei poteri istruttori del giudice nei giudizi impugnatori di

provvedimenti amministrativi.

In ordine al primo punto le S.U., conformandosi ai dicta delle note pronunce

della Cassazione e della Corte Costituzionale, ribadiscono che, al fine di

determinare quale sia il giudice competente a conoscere della controversia,

fatti salvi i casi tassativi di giurisdizione esclusiva, bisogna far riferimento

al criterio del petitum sostanziale, andando ad indagare quale sia la natura

della situazione giuridica soggettiva azionata: se essa ha la sostanza del

diritto soggettivo la giurisdizione spetterà al giudice ordinario se, invece, ha

la sostanza dell’interesse legittimo competerà al giudice amministrativo. Il

principio ermeneutico da utilizzare è quello definito da ultimo nella

decisione n. 191/06 della Corte Costituzionale, laddove è stata affermata la

configurabilità di un interesse legittimo solo quando l’agire amministrativo

sia supportato da poteri autoritativi, ossia quando il diritto positivo

attribuisca all’amministrazione una posizione di potere funzionalizzato, il

cui esercizio, sostanziantesi nell’emanazione di un provvedimento

amministrativo, sia idoneo a conformare, unilateralmente, la sfera giuridica

dei destinatari. Per converso, si è in presenza di un diritto soggettivo quando

la situazione giuridica soggettiva è perfettamente ed esaustivamente definita

dalla legge, sicché non residua alcun potere in capo alla p.a. sull’an ed il

quomodo del suo riconoscimento. In realtà, la fattispecie normativa

all’esame delle Sezioni Unite ha agevolato non poco il compito

dell’interprete, atteso che l’art. 4 della legge 2.2.1955 n. 77, come

modificato dall’art. 2 della legge 18.8.2000 n. 235, espressamente definisce

la pretesa alla cancellazione dall’albo informatico dei protesti come un vero

e proprio diritto: il debitore che, entro il termine di dodici mesi dalla levata

del protesto, esegua il pagamento della cambiale o del vaglia cambiario

protestati, unitamente agli interessi maturati come dovuti ed alle spese per il

protesto, per il precetto e per il processo esecutivo eventualmente promosso,

ha diritto di ottenere la cancellazione del proprio nome dal registro

informatico di cui all'articolo 3-bis del decreto-legge 18.9.1995, n. 381,

convertito, con modificazioni, nella legge 15.11.1995, n. 480 (Segreto-

Carrato 2000, 187). Peraltro, si deve segnalare che la prima sezione civile

della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 14991 del 28.6.2006 (conf.

Cass. Civ. n. 17415 del 30.8.2004) aveva già affermato il carattere materiale

e non tipicamente amministrativo dell'attività che la Camera di commercio

svolge in materia di pubblicazione dell'elenco dei protesti di cambiali e di

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assegni, in osservanza dell'art. 3 della legge 12.2.1955, n. 77. In verità,

consultando i repertori giurisprudenziali e risalendo a pronunce antecedenti

la riforma del 2000, è possibile rinvenire ben due pronunce del giudice della

giurisdizione che nel 1990 (sent. n. 8983), e prima ancora nel 1989 (sent. n.

1612), aveva dichiarato che, ai sensi della l. 12.2.1955 n. 77, l'attività delle

Camere di commercio in materia di pubblicazione degli elenchi cambiari

consiste per l'appunto in una mera operazione materiale che, senza alcun

potere discrezionale, ha come risultato la divulgazione di notizie,

risolvendosi, quindi, in comportamenti che rientrano nella categoria degli

atti materiali posti in essere all'infuori di una potestà amministrativa

(Pavone La Rosa 1982, 90; Triola 1989, 143). Per completezza, si deve

segnalare che il medesimo principio viene affermato anche nella pronuncia

n. 1168 della seconda sezione civile del 3.2.2000 (si vedano poi anche le

Sezioni Unite del S.C. n. 1970 del 22.2.1995). L'attività delle Camere di

commercio, diretta alla pubblicazione dei bollettini dei protesti, rappresenta

dunque un'attività di carattere materiale - non già provvedimentale, né

autoritativa -, come tale inidonea ad affievolire i diritti soggettivi di coloro

che la subiscano o entrino, comunque, in contatto con essa; ne deriva che

sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alla controversia

con la quale una ditta che gestisce una banca dati informatici lamenti di

essere stata danneggiata dalla concorrenza sleale praticata da altra banca dati

informatici, la quale, incaricata da una Camera di commercio della

redazione dei "tabulati" con l'elenco dei protestati, era l'unica a disporre e a

diffondere, presso la propria clientela, detti dati "in tempo reale", mentre

solo successivamente, l'ente camerale stampava e pubblicava i tradizionali

bollettini. In particolare, la sentenza n. 1612 del 3.4.1989, nell’affrontare in

dettaglio la normativa dettata dalla legge 77/55, rilevava come alla Camera

di Commercio fosse stato affidato un mero compito di pubblicazione delle

notizie relative ai protesti, che gli pervenivano dai competenti organi

amministrativi. “La Camera di Commercio dunque, ben lungi dal

manifestare una propria volontà che comunque incida sulla sfera giuridica

dei soggetti interessati, procede ad una semplice operazione materiale con

modalità specificamente descritte dalla legge, cui non è concesso alcun

potere discrezionale, avente come unico risultato la divulgazione di notizie,

senza che si attui alcuna partecipazione al protesto, atto pubblico creato da

altri allo scopo di far fede legale di determinate dichiarazioni rese a seguito

della presentazione di un titolo cambiario, o alla sua cancellazione. In altri

termini, trattasi di comportamenti rientranti nella categoria degli atti

materiali posti in essere all'infuori di una potestà amministrativa, in

relazione ai quali non è configurabile la lesione di interessi legittimi” (v.

sent. cit. Cass. n. 1612 del 3.4.1989). Le conclusioni cui pervennero le

Sezioni Unite nel 1989 meritano di essere pienamente condivise anche oggi,

in quanto le modifiche che la legge n. 235/00 ha operato sull’impianto

originario della legge 77/55, non hanno inciso sulla natura dell’attività della

Camera di Commercio né hanno attribuito alla stessa nuovi o diversi poteri.

Le Sezioni Unite nel 2009 non si addentrano nell’analisi del testo

normativo, né richiamano il lontano precedente, ritenendo evidentemente

sufficiente il tenore letterale – peraltro chiarissimo – del primo comma

dell’art. 4, l. 77/55. In sede di commento appare tuttavia utile descrivere la

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struttura fondamentale della legge sulla pubblicazione dei protesti cambiari

al fine di riscontare se il diritto positivo abbia effettivamente costruito la

posizione del privato come diritto soggettivo perfetto o se invece abbia

lasciato spazio all’esercizio di poteri autoritativi alla p.a.. L’art. 1

attribuisce in via esclusiva alle Camere di Commercio il compito di

provvedere alla pubblicazione ufficiale dell’elenco dei protesti cambiari;

l’art. 3 pone in capo ai pubblici ufficiali competenti l’obbligo di trasmettere

gli elenchi alle Camere di Commercio territorialmente competente e il terzo

comma attribuisce alle Camere di Commercio, previa autorizzazione da

formalizzare con decreto ministeriale, il potere di elaborare statistiche

relative ai protesti per mancata accettazione; l’art. 4 descrive la situazione

giuridica soggettiva dell’interessato e disciplina i relativi compiti della p.a..

Nello specifico, la legge definisce la posizione del debitore, che entro il

termine di dodici mesi dalla levata del protesto abbia eseguito il pagamento

della cambiale o del vaglia cambiario protestati - unitamente agli interessi

maturati come dovuti ed alle spese per il protesto, per il precetto e per il

processo esecutivo eventualmente promosso – come un vero e proprio

diritto soggettivo: il diritto di ottenere la cancellazione del proprio nome dal

registro informatico. Di fronte a questa posizione di diritto soggettivo

perfetto vi è il dovere della p.a. di provvedere, non oltre il termine di venti

giorni dalla presentazione dell’istanza, alla verifica della regolarità

dell'adempimento o della sussistenza della illegittimità o dell'errore del

protesto. Si tratta, all’evidenza, di un mero controllo formale scevro di

qualsiasi profilo di apprezzamento della situazione giuridica vantata dal

privato. Dall’esame della normativa emerge non solo il dato della formale

qualificazione della posizione giuridica del privato come diritto – che non

sarebbe di per sé sufficiente per l’attribuzione della natura di diritto

soggettivo, come è stato ampiamente dimostrato dalla vicenda ermeneutica

che ha interessato e continua ad interessare il c.d. diritto di accesso agli atti

amministrativi – ma anche la corrispondente assenza, nel tessuto normativo,

di una norma attributiva di un potere autoritativo alla p.a., la quale si vede

riconosciuto solo il compito di provvedere alla pubblicazione ufficiale dei

protesti cambiari. Nell’esercizio di tale funzione e, si potrebbe dire, al fine

della corretta tenuta degli elenchi, la Camera di Commercio, deve delibare,

nei tempi procedimentali prescritti dalla legge, le istanze dei privati volte

alla cancellazione del proprio nome: incombenza cui la p.a. provvede previo

controllo formale dei requisiti di legge. Per completezza, si deve rilevare

che il potere di elaborare statistiche relative ai protesti per mancata

accettazione, subordinato dall’art. 3 alla previa autorizzazione ministeriale,

non si configura come un potere autoritativo, ma come una facoltà di

utilizzo dei dati di per sé neutrale e inidonea ad incidere sulla sfera giuridica

di alcuno. A chiusura dell’indagine del testo normativo occorre attribuire il

giusto peso alla disposizione del 4° comma dell’art. 4, ove il legislatore,

esplicitamente, ha statuito che in caso di reiezione dell'istanza o di mancata

decisione sulla stessa, da parte del responsabile dirigente dell'ufficio

protesti, l'interessato può ricorrere all'autorità giudiziaria ordinaria. Ed allora

se la legge attribuisce alla situazione soggettiva del privato il nomen juris di

diritto, se nel testo normativo non è dato rinvenire alcuna norma attributiva

di alcun potere autoritativo alla p.a., e se, conclusivamente, lo stesso

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legislatore affida al giudice ordinario la tutela della situazione giuridica

soggettiva vantata dal privato, ne deve necessariamente conseguire (Fedeli,

Berti Balestri 2005, 289)l’affermazione della giurisdizione del giudice

ordinario (da ultimo: Cassazione civile , SS.UU., sentenza 25.2.2009 n°

4464).

5. La definizione dei poteri del g.o. nei confronti della p.a. La tutela

d’urgenza

Quanto al secondo punto, le Sezioni Unite, nella sentenza del 25 febbraio

2009, n. 4464 precisano che la questione delle definizione dei poteri del

giudice ordinario nei confronti della p.a. non attiene alla tematica del riparto

di giurisdizione, ma al diverso profilo della limitazione interna dei poteri

della giurisdizione ordinaria. In altri termini, l’eccezione di violazione

dell’art. 4 l.a.c. presuppone la soluzione della questione di giurisdizione in

favore del giudice ordinario, non potendosi discorrere dei limiti al potere del

g.o. in materie devolute alla cognizione esclusiva o generale di legittimità

del g.a. Le Sezioni Unite hanno gioco facile nel richiamare il noto principio

costituzionale evincibile dall’art. 113 Cost., a mente del quale la legge

determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della

pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.

Risulta chiaro, allora, che non esiste alcuna riserva della tutela demolitoria

dell’atto amministrativo in favore del g.a., perché, come affermato dalla

Corte Costituzionale sin dagli anni ’70, il legislatore nel legittimo esercizio

della propria discrezionalità può conferirlo anche al g.o (Segreto-Carrato

2000, 222). Esempi di attuazione del principio sono non solo gli art. 18, 28 e

37 dello Statuto dei lavoratori e gli artt. 11,16 e 17 d.p.r. 1035/1972

sull’assegnazione e la revoca degli alloggi di edilizia residenziale pubblica,

ma anche le norme in materia di iscrizione all’albo dei consulenti del lavoro

previste dalla legge n. 12 del 1979, o ancora l’art. 23 della legge 689/1981

(ora art. 7 l. 150/2011) e, da ultimo, l’art. 152 del d.lgs. 196/2003. La

pronuncia delle SS.UU. Trova un significativo precedente nella già citata

decisione, sempre a Sezioni Unite, del 1989, laddove si afferma che

l'autorità giudiziaria ordinaria, richiesta di ordinare la sospensione della

pubblicazione di un protesto già elevato, sul bollettino della Camera di

Commercio, ben possa esercitare poi i poteri di cognizione e di condanna,

nonché i poteri cautelari previsti dall'art. 700 c.p.c. nelle ipotesi in cui

sussista il fondato timore che, durante il tempo occorrente per far valere in

via ordinaria il diritto vantato, si verifichi un pregiudizio irreparabile

(Ciarcià 1986, 88). In dettaglio: la tutela d'urgenza prevista dall’ art. 700

cp.c è concessa a chi ha fondato motivo di temere che, durante si tempo

occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato

da un pregiudizio imminente e irreparabile (Triola 1989). Occorre, quindi

verificare la contemporanea sussistenza nella fattispecie dei due presupposti

per la concessione del provvedimento previsto dall’art. 700 c.p.c.: il fumus

boni juris, consistente nella (approssimativa) verosimiglianza dell'esistenza

del diritto di cui si chiede la tutela, ed il periculum in mora, cioè a dire

l’esistenza di un pericolo di pregiudizio -imminente ed irreparabile- al quale

il ritardo può esporre il diritto medesimo. Alla luce dei richiamati principi

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costituzionali, le Sezioni Unite dichiarano che la normativa dell’art. 2 della

legge 235/2000, lche ha attribuito al soggetto che ha provveduto al

pagamento della cambiale o del vaglia cambiano protestati il diritto

soggettivo pieno ed incondizionato ad ottenere il risultato della

cancellazione, rientra tra quelle tassative ipotesi normative che attribuiscono

al g.o. il potere di annullare atti amministrativi o comunque di sostituirsi

all’amministrazione. L’ipotesi di specie, peraltro, non desta particolari

perplessità, trattandosi di attività amministrativa meramente materiale, priva

di qualsiasi discrezionalità (Fedeli, Berti Balestri 2005, 178).

6. La definizione dei poteri istruttori del giudice nei giudizi impugnatori

di provvedimenti amministrativi

L’ultimo punto affrontato nella sentenza pronunciata in direzione

nomofilattica afferisce l’individuazione dei poteri istruttori spettanti al

giudice nell’ambito dei giudizi di opposizione a provvedimenti

amministrativi. Le Sezioni Unite, inserendosi in un solco giurisprudenziale

ampiamente tracciato, ribadiscono che i giudizi di opposizione a

provvedimenti amministrativi di competenza del g.o. differiscono dal

modello del processo impugnatorio tipico della giurisdizione generale di

legittimità del giudice amministrativo, perché, mentre in quest’ultimo caso il

Collegio rimane vincolato ai motivi di doglianza prospettati dal ricorrente,

tali limitazioni alla cognizione non operano per il giudice ordinario, il quale

può conoscere a tutto tondo il provvedimento impugnato al fine di giudicare

della sua legittimità e può pertanto avvalersi dei poteri istruttori concessi

dagli art. 420 e 421 c.p.c.. Tuttavia il giudice non può travalicare i confini

segnati dal legislatore per l’accertamento del diritto azionato in giudizio.

Pertanto, ferma l’ampiezza dei poteri istruttori del giudice ordinario nei

giudizi di opposizione a provvedimenti amministrativi, le Sezioni Unite

chiariscono che quando il legislatore abbia subordinato il riconoscimento

del diritto alla produzione di determinate prove, il giudice potrà sì utilizzare

i suoi poteri ma solo per ricercare quelle prove specificatamente richieste

dalla legge, mentre non potrà fondare il proprio convincimento su prove

diverse da quelle normativamente tipizzate (Cass. Civ. n. 27140/2007; Cass.

Civ. n. 5895/2007; Cass. Civ. n. 18190/2006 citate in sentenza; in dottrina

Tencati 2006, 134; Fiorucci, 2012, 96). Nel caso di specie, il legislatore ha

prestabilito che il debitore debba produrre esclusivamente il titolo

quietanzato e l’atto di protesto o la dichiarazione di rifiuto del pagamento.

In assenza di tale prova non sarà possibile per l’Autorità giudiziaria

ricercare succedanei o surrogati per giungere al medesimo risultato

probatorio, atteso che l’attività amministrativa è vincolata alla verifica sui

descritti documenti ed il giudice non può essere autorizzato a riconoscere un

diritto che sulla base della legge la p.a. comunque non potrebbe riconoscere.

Come si vede, quindi, l’oggetto del giudizio di opposizione si presta ad

essere configurato come una ripetizione dell’esercizio dell’attività

amministrativa non vincolata dai motivi di impugnazione bensì dalla stessa

natura dell’azione amministrativa, nel senso che ne ripete i limiti. In altri

termini, il giudice, ponendosi nella prospettiva dell’amministrazione dovrà

controllarne la legittimità dell’azione alla luce dei limiti legali che essa

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incontrava e non potrà utilizzare in tale attività di giudizio altri mezzi se non

quelli espressamente previsti dalla legge. Così, paradossalmente, il noto

detto “giudicare dell’amministrazione è già amministrare” sembra attagliarsi

molto più ai giudizi di opposizione dei provvedimenti amministrativi

dinanzi al g.o. che non alla giurisdizione del g.a..

7. La responsabilità delle banche e dei p.u. per protesto illegittimo e/o

per erronea indicazione del nominativo protestato

A dire del S.C., il correntista-cliente necessita di una protezione ad hoc. Alla

banca incombe un dovere di protezione nei confronti del cliente. Idem

quanto ai controlli cui è tenuto il p.u. deputato alla levata. Con atto di

citazione, Caio, Tizio e Sempronio convengono in giudizio, dinanzi al

tribunale, la Banca s.p.a. per sentirla condannare al risarcimento dei danni

subiti a seguito del protesto di quattro assegni tratti sul conto corrente nr. x,

ad essi cointestato presso una filiale della predetta banca. Gli assegni

facevano infatti parte di un libretto smarrito e dunque illecitamente utilizzati

da ignoti. Gli attori, in sede giudiziale, deducono l’erroneità dei quattro

protesti: più specificatamente, dichiarano che gli assegni sono stati smarriti

e la firma di traenza risulta essere apocrifa. In tal senso, gli attori medesimi

aggiungono che l’elevazione dei protesti andava condotta, da subito, nei

confronti dei soggetti che avevano firmato i titoli risultando la loro firma

leggibile. L’istituto di credito, convenuto, si costituisce assumendo la

correttezza dei protesti dei titoli smarriti ed evidenziando che i correntisti

non hanno custodito i moduli con la dovuta diligenza, come prescritto nelle

condizioni generali di conto corrente e chiedendo pertanto il rigetto della

domanda. Il tribunale incaricato rigetta, così, la domanda degli attori e

compensa le spese processuali. In sede d’appello, la Corte conferma la

pronuncia di primo grado e rigetta anch’essa il ricorso. Avverso quest’ultima

sentenza, i medesimi ricorrenti propongono la loro domanda in Cassazione,

la quale cassa la medesima sentenza con rinvio alla Corte d’appello, che si

atterrà nel decidere ai principi di diritto enunciati e che provvederà anche

alla liquidazione delle spese. Sotto il profilo tecnico-normativo, stante la

nozione e natura dell’atto di protesto, nella prassi, in ipotesi di assegno

protestato, gl’istituti di credito corrono ai ripari: rilasciando una

dichiarazione in cui si attesta l’avvenuta presentazione dell’assegno nel

rispetto dei tempi utili, ma che il medesimo non è stato pagato. In tali

circostanze, tale dichiarazione non è sufficiente, poiché gli istituti di credito

sono chiamati ad effettuare ulteriori ed indispensabili verifiche. Si pensi

all’importanza dell’esame esterno della firma di traenza: “se all’esito di

quest’ultimo esame è evidente la non corrispondenza della conformità

documentale di essa allo specimen della firma depositata presso la banca

correntista, l’istituto di credito non può limitarsi a dichiarare che rifiuta il

pagamento dell’assegno perché è stato denunciato come rubato, ma ha

l’obbligo di precisare chiaramente al pubblico ufficiale incaricato del

protesto che il titolare del conto corrente è un soggetto diverso da quello il

cui nome figura nella sottoscrizione dell’assegno (Cass. 6006/2003)”. Da

parte dell’istituto di credito dovrà, inoltre, essere appurato che “tra il titolare

del conto corrente ed il traente non vi è nessun rapporto negoziale o legale,

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opponibile alla banca, che legittimi quest’ultimo ad obbligarsi in nome e per

conto di quegli (Cass. 18919/2004)”. Se, in relazione ad un eventuale

protesto, la banca omette le previe e necessarie verifiche si dovrà addebitare

alla medesima una mera violazione del dovere di correttezza e buona fede:

un esempio è cristallizzato nel caso di specie, ovvero “nell’indicazione

erronea al notaio dei nominativi degli attori poi protestati”. Quanto al

pubblico ufficiale, nell’adempimento dei suoi obblighi di status, “a lui

personalmente incombe dirigere la compilazione dell’atto-precetto, ex l. nr.

89 del 1913, art. 47, con perizia e diligenza professionale, ex art. 1176

comma 2 c.c., per non danneggiare un soggetto apparentemente estraneo

all’emissione dell’assegno” (Cass. 16617/2010). Più dettagliatamente, il

notaio, nell’esercizio della sua professione, “è tenuto alla verifica della

corrispondenza tra lo specimen e la firma di traenza”. Tale verifica rientra

nei doveri di normale attenzione e diligenza, esulando dai casi di cui all’art.

2236 c.c., norma quest’ultima dettata unicamente in materia di soluzione di

problemi tecnici di speciale difficoltà. “Il notaio possiede, quindi, il

potere/dovere’ di chiedere, nei casi dubbi, i chiarimenti opportuni alla banca

trattaria che ha indicato i nominativi dei soggetti da protestare’’ (Trib.

Napoli, Sez. dist. Marano, 06.4.2007). Pertanto, “sia l’azienda di credito, sia

il notaio sono responsabili in solido tra loro (Cass. 11103/98) dei danni che

possono essere derivati dall’erronea elevazione del protesto”. Recentemente,

la Corte di Cassazione, Sez. I, 31.5.2012, nr. 8787, ha affermato che “il

comportamento dell’istituto di credito costituisce causa del fatto ingiusto

della pubblicazione del nome del correntista sul bollettino dei protesti (l.

77/55, art. 2), con l’ulteriore conseguenza di aver fatto conoscere a chiunque

le esatte generalità del cliente con cui intrattiene il conto, non essendo

sufficiente a tutelarlo dal discredito sociale ed economico la collocazione in

apposita categoria, con conseguente responsabilità, anche contrattuale, di

tutti i danni che ne derivano (…)”. Quanto poi al pubblico ufficiale,

“sussiste la sua corresponsabilità per concorso nel causare il protesto

illegittimo laddove questo abbia omesso di vigilare, anche per colpa lieve,

sulla corrispondenza tra la firma di traenza e il nome del titolare del conto

corrente (…)”. In tale circostanza fattuale, la Corte di Cassazione aggiunge

che “i relativi capitoli di prova appaiono rilevanti in quanto volti a

dimostrare l’esistenza del pregiudizio subito per effetto dell’erronea

elevazione dei protesti”. Nel caso di specie in cui le firme apposte sugli

assegni non risultano apocrife, ma indicano nomi diversi da quelli dei

titolari del conto, questa Corte (Cassazione, sez. I, 31 maggio 2012, n. 8787)

ha già avuto modo di affermare che "se all'esito dell'esame esterno della

firma di traenza è evidente la non corrispondenza della conformità

documentale di essa allo specimen della firma depositato presso la banca dal

correntista, l'istituto di credito non può limitarsi a dichiarare che rifiuta il

pagamento dell'assegno (l.349/73, art. 3, comma 1, n. 4 e art. 1) perché è

stato denunciato come rubato, ma ha l'obbligo di precisare chiaramente al

pubblico ufficiale incaricato del protesto che il titolare del conto corrente è

un soggetto diverso da quello il cui nome figura nella sottoscrizione

dell'assegno (ovvero che a nome di quest'ultimo nessun conto di traenza

esiste presso di essa: Cass. 6006/2003), e che tra il titolare del conto ed il

traente non vi è nessun rapporto negoziale o legale, opponibile alla banca,

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che legittimi quest' ultimo ad obbligarsi in nome e per conto di quello (R.D.

21 dicembre 1933, n. 1736, artt. 6 e 15: Cass. 18910/2004). Diversamente il

comportamento dell'istituto costituisce causa del fatto ingiusto della

pubblicazione del nome del correntista sul bollettino dei protesti (L. n. 77

del 1955, art. 2), con l'ulteriore conseguenza di aver fatto conoscere a

chiunque le esatte generalità del cliente con cui intrattiene il conto, non

essendo sufficiente a tutelarlo dal discredito sociale ed economico la

collocazione in apposita categoria, con conseguente responsabilità, anche

contrattuale, di tutti i danni che ne derivano (Cass. 2936/1974, 18316/2007).

Quanto poi al pubblico ufficiale, sussiste la sua corresponsabilità per

concorso nel causare il protesto illegittimo se ha omesso di vigilare, anche

per colpa lieve (Cass. 2821/1971), sulla corrispondenza tra la firma di

traenza e il nome del titolare del conto corrente, poiché nell'adempimento

dei suoi obblighi di status a lui personalmente incombe dirigere la

compilazione dell'atto - L. n. 89 del 1913, art. 47 - con perizia e diligenza

professionale per non danneggiare un soggetto apparentemente estraneo

all'emissione dell'assegno (Cass. 16617/10; Quanto poi al pubblico ufficiale,

sussiste la sua corresponsabilità per concorso nel causare il protesto

illegittimo se ha omesso di vigilare, anche per colpa lieve (Cass. 2821/1971;

in dottrina Zeno-Zencovich 1985, 13; Resta 2002, 237). In sostanza, sia

l'azienda di credito, sia il notaio sono responsabili, in solido tra loro (Cass.

11103/1998), dei danni che possono essere derivati dall'erronea elevazione

del protesto. “In relazione alla richiesta dei danni non patrimoniali, il

protesto, dove illegittimamente sollevato, deve ritenersi del tutto idoneo a

provocare un danno, anche sotto il profilo della lesione del diritto all’onore

e della reputazione del protestato come persona, al di là ed a prescindere dai

suoi interessi commerciali. Ne consegue che, qualora l’illegittimo protesto

venga riconosciuto lesivo del diritto della persona, come quello alla

reputazione, il danno, da ritenersi “in re ipsa”, andrà senz’altro risarcito

senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire la prova della sua

esistenza (…)” - Cass. 18316/07. Insomma, dopo avere richiamato il quadro

normativo-giurisprudenziale in materia, si potrebbe affermare che il

correntista-cliente necessita, sicuramente, di una protezione ad hoc. Sulla

banca trattaria-mandataria, in primis, incombe un dovere di protezione nei

confronti del cliente. In un rapporto fiduciario-privatistico, come quello tra

istituto di credito e cliente, è necessario, quindi, “dare spazio e voce” al

principio di buona fede contrattuale , ex art. 1375 c.c., tra le parti. D’altro

canto, sul piano pubblicistico, il protesto svolge una funzione incidentale di

tipo riparatorio-sanzionatoria. A questo punto ci si domanda: le due

funzioni, privatistica da una parte e pubblicistica dall’altra, risultano essere

nella prassi inconciliabili? Nei confronti del cliente-mandante si concretizza

un vuoto di tutela e non un suo necessario rafforzamento, nonostante le due

peculiari fasi (privatistica-pubblicistica)? Una risposta costruttiva a tali

quesiti si potrebbe individuare sotto il profilo privatistico-generale: l’art.

1710 c.c. potrebbe, sicuramente, arrivare a configurare in capo alla banca-

mandataria un dovere allargato-compatibile di collaborazione, che imponga

alla medesima di effettuare a favore del cliente tutte le verifiche del caso.

Pur essendo incontestabile che l’elenco dei protesti per mancato pagamento

di cambiali accettate, di vaglia cambiari e di assegni bancari costituisce – in

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base al disposto della L. n. 77 del 1955, artt. 3 e 4 – attività propria del

pubblico ufficiale che procede alla levata del protesto (cfr., tra le altre, Cass.

30 agosto 2004, n. 17415), a parere della Corte di Cassazione (sent.

n.18316/07) ciò non esclude la configurabilità di una colpa concorrente

della banca ove le informazioni da essa fornite, ovvero l’omissione o

l’incompletezza nel fornirle abbiano inciso causalmente sull’illegittimo

protesto (Fedeli, Berti Balestri 2005, 289). La responsabilità a carico della

Banca può ravvisarsi nel fatto che il protesto avrebbe dovuto essere elevato

nei confronti del vero traente e che la Banca, depositarla dello specimen

della firma del suo cliente, mettendo a confronto la firma in suo possesso

con quella apposta sui titoli, sarebbe stata in grado di desumerne la non

corrispondenza della seconda alla prima. Nel caso di specie è stata estesa

anche al caso di firma illeggibile ma inidonea ad essere ricondotta al

correntista, il principio secondo cui, nell’ipotesi di assegno bancario sul

quale sia stata apposta una firma di traenza con un nome leggibile che risulti

totalmente diverso da quello del titolare del conto di traenza, la banca, al

fine di evitare che il protesto dell’assegno sia levato al nome del correntista,

ha l’onere di dichiarare che di quel conto di traenza è titolare un soggetto

diverso da quello il cui nome figura nella sottoscrizione dell’assegno ed

altresì che al nome di quest’ultimo nessun conto di traenza esiste presso di

essa (cfr. Cass. n. 16617/10, n.6006/03). In buona sostanza, l'aspetto che

rileva nella fattispecie del danno da protesto illegittimo non è l'esercizio

fisiologico della libertà negoziale da parte dell'avente causa del protestato,

ma consiste più esattamente nella valutazione del condizionamento

patologico della medesima libertà negoziale nella fase precontrattuale a

causa della falsa informazione (in questo senso, F. Galgano, Le mobili

frontiere del danno ingiusto, in Contratto impresa, 1985, 13, secondo cui: «

Neppure qui la soluzione può essere fatta discendere dai generalissimi

principi, quale il principio di libertà contrattuale e della generica

considerazione che la libertà contrattuale è, in sé considerata, sia libertà di

contrarre che libertà di non contrarre. Alla libertà contrattuale non si potrà

fare capo prima di avere determinato alla stregua dell'ordinamento giuridico

quali ne siano i contenuti ed i limiti di protezione»: con l’ulteriore

conseguenza che il danno da protesto illegittimo è tout court risarcibile

perché nasce dall'inadempimento di una speciale obbligazione, preesistente

al fenomeno lesivo, la quale attribuisce al danneggiato un diritto soggettivo

a contenuto positivo non più azionabile erga omnes, ma soltanto nei

confronti di coloro con cui viene intrattenuta detta relazione di particolare

affidamento -quale è per definizione quella contrattuale, consistente nello

specifico nella convenzione di assegno). Occorre però osservare che una

limitazione al risarcimento di siffatti pregiudizi, se pure non è più reperibile

nell'elemento dell'ingiustizia del danno, trova comunque conforto - come del

resto emerge anche dalla massima della sentenza in commento - nella

valutazione del nesso eziologico (in relazione al nesso di causalità la

dottrina civilistica è tributaria di quella penalistica, ove si sono elaborate le

categorie della condicio sine qua non, della causalità adeguata, della

causalità alternativa intercorrente tra l'illegittimo protesto e la asserita

perdita patrimoniale: cfr. sul punto, ex multis: Gorla, Sulla cosiddetta

causalità giuridica, in Riv. dir. comm., 1951, 405; Realmonte, Il problema

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del rapporto di causalità nel risarcimento del danno, 1967, 45; Trimarchi,

Causalità e danno, 1967, 101; Franzoni, Dei fatti illeciti, in Commentario

del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Libro quarto delle obbligazioni

(Art. 2043-2059),1993,84; Monateri, La responsabilità civile, in Trattato di

diritto civile diretto da Sacco, 1998, 151; Facci, Il nesso di causalità e la

funzione della responsabilità civile, in Resp. civ. prev.. 2002, 144).

8. Protesto in caso di denuncia di assegno smarrito o rubato

Un assegno protestato è un assegno nei confronti del quale è stato avviato

un procedimento che attesta il mancato pagamento della somma in esso

specificata. Tale procedimento viene generalmente gestito da un notaio o da

un ufficiale giudiziario. Ai sensi dell’art. 45 l.a. il protesto dell’assegno è

necessario per consentire al portatore l’esercizio delle azioni di regresso. E,

infatti, il protesto, certificando, attraverso un pubblico ufficiale, la

presentazione tempestiva dell’assegno ed il suo mancato pagamento da parte

della banca trattaria, si pone come naturale presupposto per l’esercizio delle

citate azioni cartolari. Sebbene nella prassi il protesto venga levato contro il

traente (id est chi da l’ordine di pagamento alla banca), la vigente normativa

in materia prevede, invece, che il detto debba levarsi “contro” la banca

trattaria: “Il protesto si deve fare nel luogo di pagamento e contro il trattario

o il terzo indicati per il pagamento anche se non presenti” (art. 62, l. RD

21.12.1933 n.1736 - Vigente alla G.U. 13/09/2006 n. 213). La previsione,

apparentemente contraddittoria, è, invece, tecnicamente corretta per quanto

concerne, in particolare, il locus. La banca trattaria, infatti, è delegata al

pagamento dell’assegno e, pertanto, la constatazione del rifiuto di

pagamento (nel che si riassume l’essenza del protesto) non può che avvenire

presso di essa. Qualche dubbio sorge, invece, per ciò che concerne la

locuzione, pure evidenziata nell’art. 62 l.a., “il protesto deve levarsi […]

contro la banca trattaria”, dal momento che - sul piano della pubblicità

informativa - il dato è - a torto o ragione - del tutto insignificante. Non

altrettanto può dirsi riguardo al nominativo del traente correntista, la cui

inadempienza è considerata un segnale di grave difficoltà economica, degno

di diffusione presso il pubblico. La circostanza che il cit. art. 62 l.a. preveda

che il protesto debba levarsi “contro” la banca trattaria non esclude, tuttavia,

l’opportunità della compresente indicazione nell’atto del soggetto al quale,

in sostanza, il protesto si riferisce: ed è quanto accade, appunto, nella

pratica, con la levata del protesto dell’assegno “a nome” del correntista. La

Circolare n. 3512/c del Ministero dell’Industria del Commercio e

dell’Artigianato del 30.4.2001, in tema di “Registro Informatico dei protesti

ed Elenco causali rifiuto pagamento assegni bancari ecc.”, conferma

l’importanza dell’indicazione del “soggetto protestato”, prevedendo - in un

apposito quadro riassuntivo, accanto ai vari tipi di “causale” presi in

considerazione - il soggetto al cui nome il protesto deve essere levato

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9. Il protesto illegittimo fonte di danno conseguenza

L’attuale insegnamento della S.C. è nel senso che il protesto illegittimo

produce un «danno conseguenza». Esso è, dunque, risarcibile solo quando

l’attore dimostra, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti,

che dall’illegittimità del protesto gli derivi un pregiudizio non patrimoniale,

legato all’altrui condotta antigiuridica da nexus causalis. È, invece, superato

l’orientamento che ravvisa nel pregiudizio alla reputazione personale del

soggetto illegittimamente protestato un danno in re ipsa (specificazione del

«danno evento»: con la puntualizzazione che, laddove si aderisca

all'orientamento secondo cui il danno sia in re ipsa, esso va liquidato in caso

di assenza di elementi istruttori in via equitativa). Secondo tale

interpretazione, il danneggiato non deve fornire nessuna prova del

pregiudizio risentito (Cass., sez. I, 23.6.2010, n. 15224). Così hanno

sentenziato i giudici della Suprema Corte nella sentenza 15224/2010,

precisando che la “semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un

indizio in ordine all'esistenza di un danno alla reputazione, da valutare nelle

sue diverse articolazioni, non è di per sé sufficiente per la liquidazione del

danno medesimo, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità

del pregiudizio conseguente; elementi questi che possono essere provati

anche mediante presunzioni semplici, fermo restando però l'onere del

danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi

l'esistenza e l'entità del pregiudizio”. Afferma dal canto suo Cass., sez. I,

25.3.2009, n. 7211, MFI, 2009, 408 che in tema di risarcimento del danno

da illegittimo protesto di assegno bancario, la semplice illegittimità del

protesto (ove accertata), pur costituendo un indizio in ordine alla esistenza

di un danno alla reputazione, da valutare nelle sue diverse articolazioni, non

è di per sé sufficiente per la liquidazione del danno, essendo necessarie la

gravità della lesione e la non futilità del danno, da provarsi anche mediante

presunzioni semplici, fermo restando tuttavia l’onere del danneggiato di

allegare agli elementi di fatto dai quali possa desumersi l’esistenza e l’entità

del pregiudizio (in applicazione del suddetto principio la S.C. ha confermato

la sentenza di merito che aveva rigettato la generica domanda di

risarcimento in cui si accennava a spese in sede penale e per azioni tendenti

a limitare il danno, senza provarle, e senza provare altri pregiudizi

patrimoniali riconducibili all’attività professionale svolta). Opina Cass., sez.

III, 18.4.2007, n. 9233, BBTC, 2009, II, 551 come, nel caso di illegittimo

protesto di una cambiale (presentata a un istituto diverso da quello indicato

dalla debitrice come banca di appoggio), sussista il danno da lesione

dell’immagine sociale della persona che si vede ingiustamente inserita nel

cartello dei cittadini insolventi ed è quindi contraddittorio ed erroneo, dopo

aver affermato la responsabilità per il protesto, negare la liquidazione

equitativa del danno da lesione dell’immagine sociale e professionale, la

quale di per sé costituisce danno reale che deve essere risarcito sia a titolo di

responsabilità contrattuale per inadempimento che di responsabilità

extracontrattuale, in modo satisfattivo ed equitativo se la peculiare figura del

danno lo richiede. Secondo Cass., sez. I, 28.6.2006, n. 14977, DiGi, 2006,

30, 16; BBTC, 2008, II, 604, il protesto cambiario, conferendo pubblicità

ipso facto all’insolvenza del debitore, non è destinato ad assumere rilevanza

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solo in un’ottica commerciale-imprenditoriale, ma si risolve in una più

complessa vicenda, di indubitabile discredito, tanto personale quanto

patrimoniale, così che, ove illegittimamente sollevato e privo di una

conseguente, efficace rettifica, deve ritenersi idoneo a provocare un danno

patrimoniale anche sotto il profilo della lesione dell’onore e della

reputazione del protestato come persona a prescindere dai suoi eventuali

interessi commerciali: con la conseguenza che, qualora l’illegittimo protesto

venga riconosciuto lesivo di diritti della persona, come quelli sopraindicati,

il danno, da ritenersi in re ipsa, andrà senz’altro risarcito, non incombendo

sul danneggiato l’onere di fornire la prova della relativa esistenza

(fattispecie relativa a domanda di risarcimento del «danno all’immagine»

conseguente all’avvenuto protesto di cambiali di favore, provocato dal

favorito in violazione degli impegni assunti verso il favorente, emittente dei

titoli). Sul versante del merito, Trib. Ancona, sez. II, 14.7.2008, n. 867,

CorMer, 2008, 1254 ha statuito la responsabilità civile del notaio che aveva

levato protesto dell’assegno bancario nei confronti del traente legale

rappresentante autorizzato dalla società titolare del conto corrente, invece

che nei confronti di quest’ultima, mal interpretando le disposizioni ricevute

dall’istituto di credito; tuttavia è risultato immune da condanna per non

avere il danneggiato data la compiuta prova del pregiudizio subito. Da

ultimo è stato rimarcato che la semplice illegittimità del protesto, pur

costituendo un indizio in ordine all'esistenza di un danno alla reputazione,

non sarebbe di per sè sufficiente per la liquidazione del danno, essendo

necessarie la gravità della lesione e la non futilità del danno, da provarsi

anche mediante presunzioni semplici, fermo restando, tuttavia, l'onere del

danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi

l'esistenza e l'entità del pregiudizio: Cass. 16.2.2012 n. 2226; Cass. Civ. sez.

III 12.2.2013 n. 3286.

9.1 In particolare: protesto illegittimo e prova del danno.

L’analisi di Cass. n. 15224/2010 prende spunto dall’esame di quello che —

sul piano concettuale e, per certi versi, fattuale — ne rappresenta

l’immediato precedente. Un esercizio commerciale rifiuta la carta di

credito, esibita da una persona in pagamento di servizi, e la società gerente

della stessa la revoca. Successivamente a tali fatti, supportati da prove

testimoniali e documentali, il medesimo soggetto viene illegittimamente

protestato. L’interessato chiede il risarcimento del danno non patrimoniale,

ma la domanda risarcitoria è rigettata, stante la mancata prova del nesso

causale tra i fatti dedotti e l’asserito pregiudizio derivante dal protesto. In

questi termini si è svolta una vicenda giunta dinanzi al dianzi menzionato

Trib. Ancona (Trib. Ancona, sez. II, 14 luglio 2008, n. 867, CorMer, 2008,

1254), la cui pronuncia si pone nella stessa linea ideale adottata

dall’attualmente esaminata Cass. n. 15224/2010. Il Supremo Giudice

interviene sul caso in cui la banca ha bloccato i fondi sul conto della cliente,

fraintendendo il contenuto del decreto di sequestro penale, esteso alla

documentazione afferente al conto e non alle somme sullo stesso depositate.

L’erroneo blocco dei fondi, a fronte di assegni emessi dalla correntista,

fonda l’illegittimità del protesto, ma non la conseguente pretesa risarcitoria.

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Essa è respinta con motivazione costituente il più recente esempio

dell’orientamento giurisprudenziale ad avviso del quale il protesto

illegittimo — pur essendo «condotta illecita lesiva di interesse

costituzionalmente garantito […] — presuppone la gravità della lesione,

oltre che la non futilità del danno. […] La prova in proposito può essere

data anche mediante presunzioni semplici, fermo però restando, per il

danneggiato, l'onere di allegare gli elementi di fatto dai quali poter

desumere l'esistenza e l'entità del pregiudizio» (Cass., sez. I, 25.3.2009, n.

7211). Il presupposto dogmatico dell’attuale insegnamento relativo al

danno da protesto illegittimo consiste nell’affermazione delle Sezioni Unite,

ad avviso delle quali «va disattesa la tesi che identifica il danno con l'evento

dannoso, parlando di ‘danno evento‘» (Cass., Sez. Un., 11.11.2008, n.

26972, 50). Contraria all’idea del danno evento è pure Cass., sez. III, 24

ottobre 2003, n. 16004, FI, 2004, I, 781. Sul problema, complessivamente

considerato, v. ex aliis Giuliani 1985, 87; Zeno-Zencovich 1985, 113; Resta

2002, 175). Tale affermazione, di portata ancora generale, si specifica

contrastando l’orientamento (favorevole al danno in re ipsa: cfr. infra)

seguito fino al 2007 dai giudici occupatisi del protesto illegittimo e delle

relative conseguenze pregiudizievoli. Le Sezioni Unite, infatti, respingono

«la variante (della tesi del ‘danno evento‘: N.d.A.) costituita

dall'affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno

sarebbe in re ipsa» (Cass., sez. Un., 11.11.2008, n. 26972). La persona

illegittimamente protestata, dunque, non dovrebbe provare il verificarsi del

danno non reddituale sofferto. Basterebbe allegare l’illegittimità del protesto

per ottenere automaticamente il risarcimento del danno non patrimoniale,

derivante dal discredito nel proprio ambiente. Ma, così argomentando, il

«risarcimento» non sarebbe più «conseguenza dell'effettivo accertamento di

un danno», bensì «pena privata per un comportamento lesivo» (Cass., sez.

Un., 11.11.2008, n. 26972). Anche prima di Cass. 26972/2008 la prevalente

opinione dottrinale sosteneva la necessità di provare il danno non

patrimoniale da protesto illegittimo. Il punto di partenza dal quale muove

l’opinione maggioritaria in dottrina consiste nella pronuncia delle Sezioni

Unite in tema di demansionamento del lavoratore. Su tale fattispecie si è

creato il contrasto tra gli insegnamenti giurisprudenziali, spalleggiati da

altrettanto contrastanti suggerimenti degli Autori, rispettivamente favorevoli

al danno conseguenza (ad es. Pedrazzoli 1995, 269) ed al pregiudizio in re

ipsa (ad es. Scarpelli 1997, 717), specificazione del danno evento. I supremi

giudici hanno sposato la prima tesi, così insegnando: «quanto al danno non

patrimoniale all’identità professionale sul luogo di lavoro, all’immagine o

alla vita di relazione o comunque alla lesione del diritto fondamentale del

lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro,

tutelato dagli articoli 1 e 2 della Costituzione (cosiddetto danno esistenziale)

[…] il giudice è astretto alla allegazione che ne fa l’interessato sull’oggetto

e sul modo di operare dell’asserito pregiudizio […]; non è dunque

sufficiente la prova della dequalificazione […], ma è poi necessario dare la

prova che tutto ciò, concretamente, ha inciso in senso negativo nella sfera

del lavoratore, alterandone l’equilibrio e le abitudini di vita. Non può infatti

escludersi che la lesione degli interessi relazionali, connessi al rapporto di

lavoro, resti sostanzialmente priva di effetti, non provochi cioè conseguenze

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pregiudizievoli nella sfera soggettiva del lavoratore, essendo garantito

l’interesse prettamente patrimoniale alla prestazione retributiva» (Cass., sez.

Un., 24.3.2006, n. 6572, FI, 2006, I, 2334. Tra i numerosi commenti

spiccano quelli di: Cendon 2006, 2334; Mannacio 2006, 1057).

Il danno da protesto illegittimo, fattispecie attualmente scrutinata, esibisce

gli stessi caratteri di quella giudicata dalle sezioni unite perché:

1. Sia nel danno da protesto illegittimo che in quello da demansionamento

sono lesi valori di rilievo costituzionale (cfr. art. 2 Cost.);

2. Sia nel danno da protesto illegittimo che in quello da demansionamento

la condotta antigiuridica del convenuto potrebbe non aver causato danni

(Martorano F. S. 1997, 387-388, nota 12, ipotizza che «la liquidazione del

danno biologico sia divenuta un’immancabile appendice petitoria delle

azioni volte all’accertamento di illeciti della più varia natura. […]. Si può

segnalare il caso, davvero emblematico, di un amministratore di società il

quale, configurando il rinnovo anticipato dell’intero consiglio come

un’ipotesi di revoca priva di giusta causa, ha rivendicato, tra le altre

conseguenze risarcibili, l’insorgere di un pregiudizio alla vita di relazione,

nonché il sopraggiungere di una sindrome ansioso-depressiva reattiva

(termine tecnico con il quale si designa quello che comunemente […] si

definisce ‘esaurimento nervoso‘). C’è da chiedersi se casi del genere siano

da considerare come eccessi della prassi, o se essi siano suscettibili di una

valutazione sociale tipica, sì da esprimere valori rilevanti anche per

l’ordinamento giuridico. Quel che è certo è che il presupposto essenziale per

arrestare l’ondivago andamento della giurisprudenza è proprio la ricerca di

un punto di equilibrio concettuale»);

3. Sia riguardo al protesto illegittimo che al demansionamento,

«in tema di danno esistenziale […] — di natura non meramente emotiva ed

interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddittuale del

soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri,

inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione

della sua personalità nel mondo esterno — il giudice può far ricorso alle

presunzioni semplici, in quanto costituiscono una prova completa su cui

basare il proprio convincimento, ma è necessario che la parte alleghi

elementi di fatto i quali, per poter essere valorizzati come fonti di

presunzione, devono presentare i requisiti, ex art. 2729 c.c., di precisione,

gravità e concordanza, sì che da essi il giudice possa desumere, secondo un

criterio di normalità, l’esistenza del fatto ignoto» (Cass., sez. lav., 7.3.2007,

n. 5221, NGL, 2007, 309). Se una criticità esiste nelle pregresse

considerazioni, questa consiste nell’ampia discrezionalità riservata al

giudice nell’apprezzare la gravità, la precisione e la concordanza degli

elementi presuntivi dai quali far discendere la prova del danno non

reddituale da protesto illegittimo.

In sintesi: la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in

ordine alla esistenza di un pregiudizio alla reputazione, non è di per sé

sufficiente per la liquidazione del danno da lesione dell'immagine subito dal

soggetto protestato, essendo necessarie la gravità della lesione e la non

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futilità delle sue conseguenze, da provarsi anche mediante presunzioni

semplici, fermo restando l'onere del danneggiato di allegare gli elementi di

fatto dai quali possa desumersi l'esistenza e l'entità del pregiudizio (Cass.

civ., sez. VI, ordinanza 08.9.2011 n. 18476; in senso conforme Cass. Civ.,

sentenza 25 marzo 2009, n. 7211). Di contrario avviso Cassazione civile,

sez. I, sentenza 28.06.2006 n. 14977: qualora un protesto sollevato

illegittimamente venga riconosciuto lesivo di diritti della persona, il danno,

da ritenersi in re ipsa, andrà senz'altro risarcito, non incombendo sul

danneggiato l'onere di fornire la prova della sua esistenza ed essendo,

quindi, il medesimo danneggiato legittimato ad invocare in proprio favore

l'uso, da parte del giudice, del relativo potere di liquidazione equitativa. Ciò stabiliva la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14977 del 28 giugno

2006, precisando che il protesto cambiario, conferendo pubblicità ipso facto

all'insolvenza del debitore, non è destinato ad assumere rilevanza soltanto in

un'ottica commerciale-imprenditoriale, ma si risolve in una più complessa

vicenda, di indubitabile discredito, tanto personale quanto patrimoniale,

cosa che, ove illegittimamente sollevato ed ove privo di una conseguente,

efficace rettifica, esso deve ritenersi del tutto idoneo a provocare un danno

patrimoniale anche sotto il profilo della lesione dell'onore e della

reputazione del protestato come persona, al di l・ ed a prescindere dai suoi

eventuali interessi commerciali.

9.2. Protesto illegittimo e (centralità del) danno esistenziale.

La sentenza di Cassazione civile, 10.11.2010, n. 22819, sez. III (Resp. civ. e

prev. 2011, 2, 336) segna un'ulteriore autorevole conferma della persistente

vitalità del danno esistenziale quale risorsa preziosa nel panorama della

responsabilità civile; risorsa senza la quale la riflessione sulle ripercussioni

negative sul valore-uomo subirebbe un clamoroso arretramento, rimanendo

priva di un dispositivo concettuale in grado di offrire un nuovo punto di

osservazione sulla persona. Questo punto di osservazione attiene all'uomo

come attore sociale, colto dentro le relazioni, nella sua vita activa, per usare

una nota locuzione di H. Arendt (il riferimento è alla celebre opera dal titolo

The Human Condition, 1958, trad. it. S. Finzi, Vita Activa, Milano, 2003). È

ormai imponente la serie di pronunce di marca esistenzialista, anche del

giudice di legittimità, successive alle sentenze di San Martino del 2008. La

pronuncia in commento attesta in particolare la persistente centralità del

danno esistenziale nel versante relazionale del valore-uomo. La pronuncia

parla di lesione di assetti relazionali, con una locuzione molto spesso usata

dalla giurisprudenza nella definizione del danno esistenziale. Appare chiaro

che secondo la giurisprudenza esistenzialista è il danno esistenziale a

costituire l'abito più idoneo a vestire concettualmente la variegata gamma

dei danni di tipo relazionale/sociale; ossia dei danni consistenti nella

compromissione di quello che si potrebbe denominare l'io sociale. Nelle

numerose pronunce che delineano la fisionomia del danno esistenziale quasi

mai manca il riferimento alla compromissione dell'assetto relazionale (solo

per fare qualche esempio si possono richiamare: Cass. civ., 31.5.2010, n.

13281, in Guida dir., 2010, 29, 63; Trib. Varese, 12.4.2010, n. 488,

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Redazione Giuffrè, 2010; Trib. Roma, 30.7.2009, n. 15691, Guida dir.,

2009, 43, 53; TAR Campania, Napoli, 2.7.2009, n. 3657, Foro amm.TAR,

2009, 2208; Cass. civ., 19.12.2008, n. 29832, Riv. it. med. leg., 2009, 1120;

Cass. civ., 30.12.2009, n. 27888, www.personaedanno.it; Cass. civ.,

5.10.2009, n. 21223).

9.3 Protesto come compromissione del riconoscimento

Vediamo ora come la dimensione relazionale intesa quale componente

essenziale del valore-uomo si sostanzia nella fattispecie del protesto

illegittimo. Uno degli aspetti in cui in linea generale si concreta la

dimensione relazionale consiste nel riconoscimento da parte degli altri

consociati. A questo proposito è stato osservato che l'uomo avverte il

rapporto con l'altro quale «condizione ineliminabile della sua identificazione

in quanto uomo (...) avverte la dialettica con l'alterità come condizione di

possibilità dell'identità nel riconoscimento reciproco» (Palazzani 2003, 8,

371). Allargando poi lo sguardo anche alla riflessione non giuridica, giova

richiamare la considerazione secondo cui «La nostra identità personale,

quella che ci dice chi ha una vita migliore o peggiore da vivere, non è un

dato, quanto piuttosto l'esito di un processo o di una sequenza di

riconoscimenti nella durata (...) essere qualcuno è essere riconosciuti da

altri, durevolmente nel tempo». Ebbene, il protesto per un imprenditore o un

professionista incrina questa sequenza di riconoscimenti; incrina quindi la

sua identità personale, la sua biografia. Pregiudica il capitale sociale di cui

gode il soggetto, e che il soggetto ha costruito nel tempo; intacca quel

capitale di riconoscimenti che costituisce condizione essenziale della

realizzazione del soggetto. Usando parole hegeliane, si potrebbe dire che

l'attività di un professionista o di un imprenditore può essere definita come

una sorta di lotta per il riconoscimento. Un protesto pubblicato nella sede

principale in cui si svolge l'attività del professionista o dell'imprenditore può

costituire un grave handicap nella lotta per il riconoscimento, e finisce per

arrecare un grave vulnus all'attività realizzatrice (Veca 2006, 264).

10. Sguardo retrospettivo (la madeleine proustiana, c’est a dire a

rébours)

La giurisprudenza di legittimità sul protesto illegittimo, edita nel 2009 e nel

2010, si allinea ai più lontani interventi del supremo giudice. Risale infatti a

35 anni or sono la pronuncia secondo cui «l’erroneo protesto di un assegno

bancario e la sua pubblicazione nel Bollettino dei protesti, accompagnata da

quella della rettifica, non costituiscono un fatto produttivo, come tale, di

danno e non giustificano perciò la condanna generica al risarcimento dei

danni, che presuppone invece l’assolvimento, da parte dell’attore, che si

assume danneggiato, del suo onere probatorio» (Cass., sez. I, 19.9.1975, n.

3065, GC, 1975, I, 1837; BBTC, 1976, II, 40. Idee simili in Zeno Zencovich

1991, 498). Se le antiche (per citazioni giurisprudenziali relative agli anni

più remoti cfr. Martorano F. S. 1997, 384) ed attuali sentenze (tra le quali

Cass., sez. III, 26.3.1997, n. 2679, CED, 503277, in sintesi. Integralmente

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www.latribuna.it) che escludono il danno non patrimoniale in re ipsa da

protesto illegittimo sono criticabili perché non permetterebbero l’adeguato

ristoro di danni ad «interessi meritevoli di tutela», la cui lesione è

pacificamente avvertita come degradante per la vittima, la sua tutela è ben

presto recuperata. Lo strumento protettivo consiste nel «ragionamento

controfattuale»: se la banca non avesse omesso le verifiche e l’attenzione,

valutate con il «parametro della diligenza professionale richiesta ad un

soggetto particolarmente qualificato come un istituto di credito» (Trib.

Busto Arsizio 9.1.1987, BBTC, 1989, II, 102, che corresponsabilizza anche

il pubblico ufficiale chiamato a levare il protesto), il danno si sarebbe

egualmente prodotto? Molto probabilmente no, atteso che il protesto,

produttivo del danno, non sarebbe stato levato, né tanto meno pubblicato. La

risposta positiva alla domanda in cui si articola il «ragionamento

controfattuale» è infatti positiva solo in casi particolari: ad es. fatti rivelanti

un «cattivo pagatore», anteriori al protesto incriminato (cfr. Trib. Ancona

14.7.2008 precedentemente citata). Il protesto illegittimo, normalmente

fonte di danno risarcibile, lede poi il «vero e proprio diritto soggettivo

perfetto alla reputazione personale anche al di fuori delle ipotesi

espressamente previste dalla legge ordinaria. Esso (n.d.a.) va inquadrato nel

sistema di tutela costituzionale della persona umana, traendo nella

Costituzione il suo fondamento normativo […]., in particolare nell’art. 2

(oltre che nell’art. 3, che fa riferimento alla dignità sociale) e nel

riconoscimento dei diritti inviolabili della persona; l’art. 2 Cost.,

nell’affermare la rilevanza costituzionale della persona umana in tutti i suoi

aspetti, comporta che l’interprete, nella ricerca degli spazi di tutela della

persona, è legittimato a costruire tutte le posizioni soggettive idonee a dare

garanzia, sul terreno dell’ordinamento positivo, ad ogni proiezione della

persona nella realtà sociale, entro i limiti in cui si ponga come conseguenza

della tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle

formazioni sociali nelle quali si esplica la sua personalità; l’espresso

riferimento alla persona come singolo rappresenta certamente valido

fondamento normativo per dare consistenza di diritto alla reputazione del

soggetto, in correlazione anche all’obiettivo primario di tutela ‘del pieno

sviluppo della persona umana‘, di cui al successivo art. 3 cpv Cost. […];

infatti, nell’ambito dei diritti della personalità umana, con fondamento

costituzionale, il diritto all’immagine, al nome, all’onore, alla reputazione,

alla riservatezza non sono che singoli aspetti della rilevanza costituzionale

che la persona, nella sua unitarietà, ha acquistato nel sistema della

Costituzione; trattasi quindi di diritti omogenei, essendo unico il bene

protetto»(Cass., sez. III, 10.5.2001, n. 6507, DiGi, 2001, 27, 15. Concetti

simili in Cass., sez. III, 3.4.2001, n. 4881, GI, 2001, 1654; Ziviz 2001,

1203). L’adozione, da parte delle sentenze testé ricordate, della «concezione

monistica della reputazione» implica la soggezione ad identici oneri

probatori di chi ne afferma la lesione. In conclusione, la maggior parte della

giurisprudenza (fa eccezione, a quanto risulta, la sola Cass. n. 9233/2007)

inquadra la responsabilità da protesto illegittimo nel paradigma aquiliano,

ma le soluzioni sarebbero identiche considerando la responsabilità da

inadempimento contrattuale. L’art. 1218 c.c., infatti, presume soltanto la

colpevolezza del debitore inadempiente, mentre il nesso causale tra

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l’inadempienza ed il preteso danno va dimostrato. Gli elementi indiziari

addotti dal danneggiato – attore facilitano l’assolvimento di un onere

probatorio, comunque da rispettare (v., anche per citazioni, Valcavi 2001,

40; Poletti 2007, 30).

11. Irrilevanza dei «danni punitivi».

La «pena privata» — nella quale consisterebbe il risarcimento del danno

non patrimoniale in re ipsa da protesto illegittimo — richiama alla mente i

«punitive damages», legittimati dall’art. 614 bis c.p.c.

Il richiamo a tale fattispecie (sulla quale cfr., ad es., Riccio 2009, 854) è

tuttavia errato perché:

(a) I «danni punitivi» sono inflitti dal giudice, per definizione organo

pubblico;

(b) È dubbio che la richiesta di cancellare l’illegittimo protesto dal

competente Registro sia un «fare infungibile». È sicuramente insostituibile

l’attività che la Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura

(CCIAA) svolge per adempiere all’ordine giudiziale di cancellare dal

Registro informatico un protesto riconosciuto illegittimo, ma questo profilo

è diverso da quello risarcitorio ora considerato. Per rivalutare il danno non

patrimoniale in re ipsa da protesto illegittimo non vale sostenere che «la

giurisprudenza […], sempre più scopre la figura dell’utente tartassato dalle

banche, dando sempre di più riconoscimento a diritti violati e, troppo

spesso, dimenticati» (Tanza 2006, 134). L’effettiva realizzazione di quei

diritti, infatti, si ottiene imponendo ai potenziali Autori di protesti (o di

segnalazioni ad «archivi diffamatori») una condotta improntata ad

attenzione e professionalità.

132. Casistica (resumé)

Sul fatto che la genericità del dato normativo (art. 4, 2° co., l. 77/1955)

unitamente alla ratio della disposizione inducano a ritenere che la richiesta

possa essere proficuamente avanzata senza distinzione tra le diverse

categorie di titoli cambiari e quindi, in altri termini, anche nei casi di

protesto erroneo o illegittimo di assegni bancari, conforme è la prassi di

numerose Camere di commercio e un consistente orientamento

giurisprudenziale (Trib. Rimini, 26.11.1982, BBTC, 1985, II, 104; Trib.

Ravenna, 22.11.1988, BBTC, 1990, II, 494; App. Milano, 1.3.1990, GC,

1990, I, 1607; Trib. Roma, 19.8.1998, GI, 1998, I, 2333; Trib. Nola, ord.,

17.2.2006, www.iussit.it; Trib. Torre Annunziata 20.2.2007, GM, 2007,

2213, con nota di Carrato; contra Trib. Foggia 5.2.2004, GM, 2004, 914)

che, seppure originariamente maturato nella vigenza del precedente quadro

normativo, appare tuttora valido (sarebbe comunque stato opportuno che

l'attuale disciplina, considerate le incertezze applicative della norma, avesse

espressamente parificato, nella specifica fattispecie, il trattamento di

cambiali e assegni). Tale più estensiva interpretazione della norma trova

indiretta conferma nei lavori preparatori della disciplina in commento, i

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quali, riguardo alla levata di protesti erronei o illegittimi, evidenziano come

in tali circostanze « deve essere data la più ampia possibilità ai cittadini di

evitare che, con la pubblicazione del ‘protesto’, possano ricevere un grave

danno, poiché altrimenti la loro immagine rimarrebbe nel tempo

pregiudicata agli occhi dei futuri possibili creditori e nei confronti del

sistema finanziario in genere» (i lavori parlamentari preliminari sono

richiamati da Fedeli, Berti e Balestri 2005, 149). Gli argomenti posti a

sostegno di tale indirizzo interpretativo sono efficacemente sintetizzati dalla

decisione che segue: «non distinguendo la norma fra cambiali e vaglia

cambiari, da un lato, ed assegni bancari, dall'altro, non può escludersi

dall'ambito di applicazione del predetto 4o comma il caso del protesto di un

assegno bancario illegittimo od erroneo (ubi lex non distinguit, nec nos

distinguere debemus). Tale interpretazione è avvalorata da ciò, che i

precedenti 1° e 2° comma dello stesso art. 3 e le altre norme della medesima

legge 77/1955 si riferiscono sia ai protesti di cambiali accettate e di vaglia

cambiari, sia ai protesti di assegni bancari. Riguardo all'ipotesi del protesto

illegittimo od erroneo sussiste la medesima ratio giustificatrice della

cancellazione, sia che si tratti di una cambiale o di un vaglia cambiario, sia

che si tratti di un assegno bancario, mentre nessun rilievo possono avere la

diversità di funzione dei titoli (essendo strumenti di credito la cambiale ed il

vaglia cambiario, mezzo di pagamento l'assegno bancario) e la diversità di

regime sanzionatorio del mancato pagamento» (Trib. Roma, 19.8.1998, GI,

1998, I, 2334). Per una pronuncia più recente si veda Trib. Torre Annunziata

20.2.2007: «A fronte di una illegittimità o erroneità nella levata del protesto,

nessuna differenza appare rivestire la qualità del titolo di credito al quale

esso fa riferimento, non apparendo configurabile alcuna rilevanza della

diversità funzionale tra cambiale e assegno. Nel comma 1 (art.4 l. 77/1955)

non ci si duole dell'atto di protesto, ma si chiede di ovviare ad un errore del

protesto stesso» (Trib. Torre Annunziata 20.2.2007, GM, 2007, 2214).

Anche la Corte Costituzionale ha posto in evidenza come «la legge

(ovviamente) riconosca anche al traente di assegno bancario il diritto alla

cancellazione del protesto erroneamente o illegittimamente levato » (Corte

cost. 14.3.2003, n. 70, GD, 2003, n. 17, 24, con nota di Gentile).

Diversamente opina un filone dottrinario (Carrato 2002, 570), secondo cui

argomenti di carattere testuale, « istanza analoga a quella di cui al comma 1

» (art. 4, 2o co., l. 77/1955), ove si tratta esplicitamente di cambiali e vaglia

cambiari, e la diversità funzionale tra la cambiale e l'assegno — nel caso di

specie forse impropriamente richiamata considerato che qui si tratta di

rimuovere gli effetti pregiudizievoli di un protesto non dovuto e

incolpevolmente subito, rispetto al quale non rileva la predetta distinzione

fra titoli — lascerebbero intendere la non applicabilità anche agli assegni del

meccanismo di cancellazione del protesto erroneamente o illegittimamente

levato. Nella realtà, come detto, appare razionale ed equo ritenere che gli

assegni illegittimamente o erroneamente protestati – rispetto ai quali, giova

ribadire, nessun addebito può essere mosso al soggetto incolpevolmente

coinvolto - possano giovarsi delle procedure di cancellazione espressamente

contemplate per cambiali e vaglia cambiari: « sarebbe assurdo, infatti, che il

legislatore abbia considerato con favore il debitore che soddisfa

l'obbligazione cambiaria entro cinque giorni [vecchia disciplina] dal

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protesto, lasciando senza tutela colui che, pur essendo del tutto adempiente,

si è trovato per errore o per un comportamento illegittimo del terzo,

destinatario del protesto di un assegno. I motivi che giustificano la

limitazione delle facoltà previste dal primo comma dell'art. 12, cit., al

pagamento delle cambiali non sussistono per il secondo comma [vecchia

normativa, circostanza ininfluente ai ns. fini], perché se non può concedersi

al traente di un assegno privo di copertura il vantaggio del pagamento

tardivo, del tutto diversa è la posizione del traente di un assegno

illegittimamente o erroneamente protestato, che resterebbe privo di ogni

tutela » (Triola 1989, 100). Nonostante il detto riferimento normativo «

istanza analoga a quella di cui al comma 1 » (art. 4, 2o co., l. 77/1955) e

l'opinione espressa in dottrina, secondo cui la domanda di cancellazione di

un protesto illegittimo o erroneo va proposta « nel precisato termine di un

anno » (Carrato 2001, 147), deve altresì ritenersi — in ossequio a principi di

ragionevolezza e avute presenti le spesso ricorrenti incongruenze della

normativa in argomento — non tradita la ratio legis nel consentire la

possibilità di adire il responsabile dirigente dell'ufficio protesti al fine di

ottenere la cancellazione della impropria segnalazione anche, in ipotesi,

dopo il termine di dodici mesi (in tale direzione sembrano deporre, nella

fattispecie, anche i differenti termini concessi agli interessati dalla pregressa

normativa), comunque finché perdura la segnalazione di protesto. Oltre alla

circostanza che l'incolpevole interessato potrebbe non avvedersi per tempo

dell'intervenuta ingiusta segnalazione, con conseguente impossibilità di

adire la Camera di commercio e perdurante pregiudizio, risulterebbe altresì

meno efficace, in alternativa alla richiesta di tempestiva e definitiva

cancellazione dell'indebito protesto, l'eventuale annotazione sul registro

informatico della illegittimità o erroneità dello stesso, sempre che tale

opzione sia ritenuta perseguibile in analogia a quanto previsto per i

pagamenti di cambiali e vaglia cambiari eseguiti oltre i dodici mesi. Così

orientata appare anche la Corte costituzionale laddove, a proposito della

possibilità di richiedere la cancellazione di un protesto illegittimo o erroneo

prescindendo dai termini invece fissati per promuovere analoga istanza da

parte del debitore adempiente, rileva che « la richiesta di cancellazione

prescinde del tutto dall'avvenuto pagamento del titolo protestato, in quanto è

finalizzata a rimuovere eventuali errori del pubblico ufficiale o dell'azienda

di credito e, comunque, ad evitare che un protesto illegittimo per qualsiasi

ragione venga pubblicato, con evidente danno del debitore protestato. Da ciò

consegue che non possono essere equiparate situazioni diverse,

caratterizzate, l'una, dall'interesse del debitore protestato e, l'altra,

dall'interesse dell'ordinamento alla legalità e alla certezza dell'atto di

protesto. Situazioni che, pertanto, richiedono un trattamento diverso, quale

è, appunto, quello previsto dai commi terzo e quarto dell'articolo 3 della

legge n. 77 del 1955 [vecchia formulazione]» (Corte cost., 25.2.1988, n.

208, FI, 1988, I, 1807). Nella fattispecie in esame, le Camere di commercio

potranno, per mezzo del responsabile dirigente dell'ufficio protesti all'uopo

incaricato, riscontrare soltanto richieste di cancellazione aventi ad oggetto

ipotesi di erroneità o illegittimità palesi o formali della levata del protesto,

essendo demandata all'autorità giudiziaria ordinaria la risoluzione di

eventuali problematiche all'origine del protesto, quali truffe, controversie

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contrattuali et similia e, nell'eventualità, l'emanazione del provvedimento di

sospensione della pubblicazione del protesto. In altri termini, come

doviziosamente illustrato, l'accertamento circa la sussistenza dei vizi

lamentati non deve richiedere da parte della Camera di commercio

l'assunzione di mezzi istruttori, dovendosi trattare di vizi risultanti

immediatamente dalla documentazione in possesso dell'istante. Interessanti

considerazioni sulla natura delle competenze attribuite alla Camera di

commercio in prima istanza e, nell'eventualità, al giudice di pace sono poi

svolte dal Trib. Pistoia (ord., 19.5.2001, GI, 2002, 535); l'ordinanza è chiara

nel suo iter argomentativo: l'art. 4, 3o co., l. 77/1955 assegna al responsabile

dirigente dell'ufficio protesti un tempo oggettivamente stringato per

provvedere sulla domanda di cancellazione, in base all'accertamento di una

evidente illegittimità o erroneità, non attribuendo allo stesso alcuno

strumento istruttorio utile ad espletare compiutamente il suddetto

accertamento; in conseguenza di ciò, sembra debba concludersi che al

responsabile dirigente dell'ufficio protesti siano state « trasferite le

precedenti attribuzioni del presidente del tribunale, nel senso che il

procedimento amministrativo mantenga il medesimo ambito del vecchio

procedimento camerale, limitato a quei vizi del protesto risultanti

immediatamente dall'esame della relativa documentazione (es. protesto

levato fuori dai casi previsti dalla legge), e ciò anche qualora il

procedimento sia introdotto dal soggetto ingiustamente protestato, il quale

avrà l'onere di allegare all'istanza la documentazione da cui evincere l'errore

o l'illegittimità » (Trib. Pistoia, ord., 19.5.2001, GI, 2002, 535, con nota di

Vullo). Ad integrazione e maggior chiarimento di quanto appena illustrato

mette conto segnalare che, nella prassi, le tipologie di illegittimità prese in

considerazione dalle Camere di commercio sono riconducibili a due

categorie: alcuni enti camerali, interpretando rigorosamente l’art. 4, 2° co., l.

77/1955 esaminano esclusivamente le domande di cancellazione per le quali

l’illegittimità e l’errore derivano dalla levata del protesto da parte del

pubblico ufficiale, respingendo di conseguenza quelle che pongono

all’attenzione il rapporto causale; diversamente, altre Camere di commercio

considerano sia le domande di cancellazione per le quali l’illegittimità e

l’errore sono da valutarsi in relazione all’atto della levata del protesto da

parte del pubblico ufficiale sia quelle che pongono all’attenzione il rapporto

causale sottostante da cui il titolo ha avuto origine. Anche per le istanze di

cancellazione di protesti erronei o illegittimi, in caso di rigetto della

domanda o di mancata decisione sulla stessa entro 20 giorni dalla data di

ricezione, l'interessato può adire, come ricordato nelle pagine del presente

lavoro, il giudice di pace, ai sensi degli artt. 414 ss. c.p.c. Discussa è, infine,

l'ammissibilità di una richiesta cautelare ex art. 700 c.p.c. avverso un

protesto illegittimamente levato. Generalmente, in argomento, è operata la

seguente distinzione: richieste di sospensione della pubblicazione di un

protesto asserito illegittimo o erroneo potranno essere direttamente inoltrate

al giudice ordinario ex art. 700 c.p.c.; richieste aventi ad oggetto la

cancellazione di un protesto illegittimo dovranno di regola preliminarmente

transitare per la procedura amministrativa allo scopo prevista (per cambiali e

vaglia cambiari) dall'art. 4, 2° co., l. 77/1955, sempre che non si intendano

far valere in via d'urgenza ipotesi di illegittimità o erroneità (non risultanti

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direttamente dal titolo) rispetto alle quali il dirigente responsabile

dell'ufficio protesti non avrebbe concreti e proficui poteri di intervento: «

pur dopo la novella (l. n. 235 del 2000), deve ritenersi ferma la facoltà del

soggetto protestato di adire direttamente il giudice, anche in via cautelare, in

tutti i casi di protesto illegittimo della cambiale o del vaglia cambiario per

ragioni diverse da quelle immediatamente risultanti dal titolo, e rispetto alle

quali non può ritenersi sussistente la competenza del presidente della camera

di commercio, come nel caso tipico di sottoscrizione apocrifa del titolo

protestato ovvero in tutti gli altri casi per i quali si rendano necessari

accertamenti non demandabili in via amministrativa» (Trib. Nola 23.7.2008,

www.iussit.eu; In dottrina Fedeli Berti Balestri 2005, 254). Deve parimenti

ritenersi consentito il ricorso immediato ex art. 700 c.p.c. al giudice

dell'urgenza nel caso in cui il protesto illegittimo di cui si chiede la

cancellazione riguardi un assegno: la tutela ex art. 700 c.p.c. è l'unico

mezzo consentito all'emittente dell'assegno bancario pagato tardivamente o

erroneamente emesso per evitare il pregiudizio lamentato, non potendo

ravvisarsi un concorso della cautela atipica con quella accordata dalla legge

12.2.1955, n. 77 esclusivamente al debitore cambiario

(illegittimamente/erroneamente) protestato (essendo facultato a richiedere la

cancellazione del proprio nome dall'elenco dei protesti, ai sensi dell'art. 4

della legge come modificata dalla legge 18.8.2000 n. 235, soltanto il

debitore "che esegue il pagamento di una cambiale o di un vaglia cambiario

o che dimostri di aver subito levata di protesto al proprio nome

illegittimamente od erroneamente"), non ostando, quindi, il principio di

residualità - ex art. 700 c.p.c. - all'accesso dell'incolpevole emittente

dell'assegno bancario protestato alla cautela atipica (Trib. Roma 19.12.2006,

DeJure Giuffrè; conf. Trib. Torre Annunziata 20.2.2007, GM, 2007, 2213).

A chiudere il cerchio, e a completamento di quanto sub 9., va rimarcato

come la valenza non patrimoniale del protesto illegittimo possa trovare

suggello diretto nella legge fondamentale anche attraverso la valutazione

della lesione della clausola generale della dignità dell'individuo ex art. 3

cost., la quale per altro verso ha recentemente avuto particolare suffragio

nella Carta di Nizza. Sulla scia Tribunale Lecce, sez. Maglie, sentenza

11.02.2009: la reputazione personale è un diritto soggettivo perfetto che

compete alla persona anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste

dalla legge ordinaria e va inquadrato nel sistema di tutela costituzionale

della persona umana, traendo nella Costituzione il suo fondamento

normativo. Ne deriva che l’illegittima levata di protesto, offrendo pubblicità

all’insolvenza debitoris ed integrando un discredito non solo professionale

ma anche personale, è idoneo a provocare l’insorgenza di un danno di natura

non patrimoniale. Sic in parte motiva: orbene, sulla base di una lettura

costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. proposta nella ormai note

pronunzie della Suprema Corte (n. 8827 e n. 8828) è partita la rivisitazione

di gran parte dei principi dominanti in tema di responsabilità civile,

rivisitazione condivisa, expressis verbis, anche dalle Sezioni Unite con

l’attesissimo intervento di cui alle recenti sentenze (Cass. S.U. nn. 26972,

26973, 26974 e 26875). In realtà, a parte l’inquadramento sistematico volto

a sottolineare a chiare lettere l’nsuscettività del danno esistenziale ad

assurgere a categoria autonoma di danno, il recente intervento delle Sezioni

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Unite è rimasto ancorato ai principi compiutamente delineati nelle

richiamate sentenze gemelle del 2003 nn. 8827 e 8828. Per circa un

decennio la giurisprudenza di legittimità ha, in effetti, ruminato, seppure

talvolta forma diversa, l’affermazione secondo cui il protesto cambiario,

conferendo pubblicità all’insolvenza del debitore, costituisce causa di

discredito sia personale, che commerciale, e, pertanto, se illegittimo, è

idoneo a provocare un danno patrimoniale; nel caso in cui l’illegittimo

protesto abbia leso diritti della persona (come quelli alla reputazione o alla

salute), il danno è in re ipsa e dovrà essere risarcito senza che incomba sul

danneggiato l’onere di fornire la prova dell’esistenza del danno; nel caso in

cui, invece, sia dedotta la lesione alla reputazione commerciale a causa

dell’illegittimità del protesto, quest’ultima costituisce semplice indizio

dell’esistenza del danno alla reputazione, da valutare nel contesto di tutti gli

altri elementi della situazione in cui si inserisce (nella specie, l’attore

lamentava l’insorgenza di un esaurimento organico e nervoso, con

conseguente perdita di clientela, causato dall’illegittimità del protesto) (Cass., sez. I, 23 marzo 1996, n. 2576, DResp, 1996, 320). Il più recente

intervento del S.C. in tal senso Cass., sez. III, 18 aprile 2007, n. 9233,

DResp, 2008, 151. Siffatto insegnamento è stato giustamente sottoposto a

serrata critica perché è incomprensibile imporre un diverso onere

probatorio secondo che il protesto illegittimo abbia inciso sulle relazioni

economiche, ovvero sulla salute, sulla dignità personale oppure sula

possibilità di realizzare pienamente la propria persona (così Cardona &

Bosca 1999, 1130). Inoltre la presunzione secondo cui il protesto ingiusto

produce conseguenze pregiudizievoli non bisognose di prova, stante il

carattere in re ipsa del danno, ha maggior fondamento per l’imprenditore

che per qualunque altro soggetto (così Liace 2004, 897). Infine, nessuna

sentenza, appartenente all’indirizzo ora considerato, spiega perchè dal

carattere assoluto dei diritti personalissimi, lesi dal protesto illegittimo,

dovrebbe derivare un’ altrettanto assoluta presunzione di pregiudizio alla

persona del protestato. Con specifico riguardo al danno alla salute, alla

facile accettazione delle pretese risarcitorie, figlia del danno in re ipsa, si

contrappone inoltre l誕rgomento per cui le patologie psichiche, ォin ragione

della loro minore visibilit・, dovrebbero formare oggetto di pi・ accurata

indagine da parte dei giudici, supportati in questo dalle certificazioni e dalle

attestazioni del casoサ (Martorano 1997, 390), nonch・ da consulenze

medico ・ legali di elevata qualit・. ネ d誕ltra parte possibile criticare pure

sul terreno ォpoliticoサ l段nsegnamento giurisprudenziale secondo cui dal

protesto illegittimo deriverebbe un pregiudizio areddituale in re ipsa,

specificazione del danno evento. Infatti astrarre dall誕ccertamento del

nesso causale tra protesto illegittimo e danno alla 喪eputazione personale・

del protestato) significherebbe forzare il limite della bilateralit・ insito nell

段stituto aquiliano (art. 2043 c.c.) e portare il giudice ad operare quasi alla

stregua di un meccanismo sociale di compensazione dei danni, strumento

dai connotati affatto diversi dal controllo di tipo giudiziario, e che si pone

storicamente in alternativa ad esso. La responsabilità civile, nella

realizzazione della spinta solidaristica propria della società contemporanea,

(costituisce), a ben riflettere, tecnica privilegiata di compensazione del

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danno, in contrapposizione al regresso della cultura dello stato sociale

(Salvi 1988, 1257; Martorano F. S. 1997, 394, nota 35).

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LEGISLAZIONE ESSENZIALE

R.D. 14 dicembre 1933 n. 1669

R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736

l.12.2.1955, n. 77

l. 12.6.1973, n. 349

d.l. 18.9.1995, n. 381, convertito, con modificazioni, dalla l. 15.11.1995, n.

480

d.lgs. 30.12.1999, n. 507

l. 18.8.2000, n. 235

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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P. Spada, Introduzione al diritto dei titoli di credito, 1994

Montesano L., I provvedimenti d'urgenza nel proceso civile, Jovene, 1995

Diamato A.S., Sulla tutela della reputazione e economica dell' imprenditore, 1973, I

Renda B., 1976

L'assegno bancarion nella giurisprudenza, Cedam

Alpa G, Lesione della reputazione economica e circolazione di notizie inesatte, in

Resp. civ. prev., 1979

Pavone La Rosa A. 1982

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Protesto, pubblicazione e rimedi, Cedam 2000

Segreto A.-Carrato A. 2000

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Cendon P. e Ziviz P., 2000

(a cura di) Il danno esistenziale: una nuova categoria della responsabilità civile,

Giuffrè

Ciaccia A., 2001

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Veca, Dell'incertezza, Milano, 2006

Fiorucci F. 2012

Il protesto. Cancellazione, forme di responsabilità e tutela d’urgenza ex art. 700

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Collana diritto / NUOVI CASI

TITOLI PUBBLICATI

Paolo Cendon, I danni non patrimoniali oggi, 2012

Francesca Maschio, Vigilanza bancaria e tutela degli investitori

nell’Unione Europea, 2012

Paolo Cendon, Responsabilità per dolo e prevenzione del danno,

2013

Riccardo Mazzon, Demanio stradale e altre zone di rispetto,

2013

Riccardo Mazzon, Beni mobili e beni immobili, 2013

Riccardo Mazzon, Le distanze dal confine

Riccardo Mazzon, Mura di cinta e muri divisori, 2013

Alceste Santuari, I servizi Pubblici, 2013

Annalisa Gasparre, La vittima del reato, 2013

Annalisa Gasparre, La vittima nel processo, 2013

Rosaria Converso, Pubblicità sociale, 2013

Rosaria Converso, Soci e amministratori. Vecchie e nuove

responsabilità, 2013

Annalisa Gasparre, Giustizia riparativa, 2013

Annalisa Multari, Danni da terzi o colleghi di lavoro, 2013

Annalisa Gasparre, Vittima, oltre lo stereotipo, 2013

Tiziana Orrù, Il concorso di colpa del lavoratore, 2013

Roberto Riverso, Il danno alla salute nel rapporto di lavoro,

2013


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